RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 28 APRILE 2022
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Se permetti ai politici di violare la legge durante l’emergenza, i politici creeranno un’emergenza per violare la legge
Paolo Cioni 23 04 2021
FONTE: https://www.facebook.com/paolo.cioni.77/posts/2814694145451858
https://www.facebook.com/dettiescritti
https://www.instagram.com/dettiescritti/
Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.
I numeri degli anni precedenti della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com
Precisazioni legali
www.dettiescritti.com è un blog intestato a Manlio Lo Presti, e-mail: redazionedettiescritti@gmail.com
Il blog non effettua alcun controllo preventivo in relazione al contenuto, alla natura, alla veridicità e alla correttezza di materiali, dati e informazioni pubblicati, né delle opinioni che in essi vengono espresse. Nulla su questo blog è pensato e pubblicato per essere creduto acriticamente o essere accettato senza farsi domande e fare valutazioni personali.
Le immagini e le foto presenti nel Notiziario, pubblicati con cadenza pressoché giornaliera, sono raccolte dalla rete internet e quindi di pubblico dominio. Le persone interessate o gli autori che dovessero avere qualcosa in contrario alla pubblicazione delle immagini e delle foto, possono segnalarlo alla redazione scrivendo alla e-mail redazionedettiescritti@gmail.com
La redazione provvederà doverosamente ed immediatamente alla loro rimozione dal blog.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
SOMMARIO
PROPAGANDA & AFFARISMO
L’Operazione Orbital: come il Regno Unito ha addestrato gli ucraini
Ordine di battaglia ucraino della NATO
La realizzazione di una “NATO arabo-israeliana” in Medio Oriente
Pfizer allo scoperto: spunta il documento delle responsabilità ▷ “Elargite dichiarazioni confessorie”
Nuoto: il governatore della Florida non riconosce la vittoria della transgender Lia Thomas
Inchiesta mascherine Arcuri, donazioni cittadini finite in bond alle Cayman
Ucraina, Travaglio: “Stati Uniti alleati? Li chiamerei padroni”
La guerra arriva in Italia.
SI VIS BELLUM, PARA BELLUM
LO SPETTRO DI UNO SCONTRO DIRETTO NATO-RUSSIA
Reazione della Russia ai rifornimenti di armi dall’UK
Scontro sui nuovi confini dell’Ucraina: ecco le mappe segrete
Ucraina, l’ex ambasciatore Freeman: “Gli Usa non vogliono la pace in Ucraina”
Caschi bianchi… servitori obbedienti transfrontalieri
L’eredità di Madeleine Albright sopravvive mentre attacchi con false flag e notizie false provengono
direttamente dal manuale della guerra jugoslava
La guerra fredda 2.0 e i destini del mondo
SIC TRANSIT GLORIA MUNDI
La metamorfosi della promozione dei libri
Guerra e pace: la lezione di Sergio Cotta
LA RAZZA IN ESTINZIONE
La guerra dello spettacolo in Ucraina
GASHLIGHTING
Federico Caffè sulla controffensiva neoliberista degli anni Settanta
Vite rubate: dal sogno capitalista al futilitarismo
Crescita del PIL reale pro capite (2007/2021)
UNA VITA DI LUSSO E CORRUZIONE: L’USO DEL DENARO UCRAINO DA PARTE DI HUNTER BIDEN
FLORIS BLOCCA GLI APPLAUSI PER GRIMALDI PERCHE’ STABILISCE IN TRASMISSIONE CHE EGLI DICE FALSITA’!
La realtà della guerra, il fantasma dell’opposizione
Data breach: alcuni pericolosi miti da sfatare
Hitler e Stalin si davano la mano
EDITORIALE
IN EVIDENZA
L’Operazione Orbital: come il Regno Unito ha addestrato gli ucraini
Lo scoppio del conflitto in Ucraina, oltre a cogliere di sorpresa alcuni analisti che mai si sarebbero prefigurati un simile scenario, ha aperto interrogativi nel pubblico in merito alla preparazione dell’esercito di Kiev, considerato sorprendentemente preparato nel respingere l’invasione russa.
Dalle nostre colonne, nelle settimane che hanno preceduto le operazioni belliche cominciate il 24 febbraio scorso, vi avevamo già anticipato che le forze armate ucraine erano una forza da non sottovalutare, soprattutto la loro consistenza non era lontanamente paragonabile a quella del 2014, quando la Russia ha effettuato quell’operazione di Hybrid Warfare con la quale ha successivamente annesso la penisola di Crimea ed è intervenuta non ufficialmente nella sollevazione armata di alcune regioni delle province di Donetsk e Luhansk, poi diventate due repubbliche separatiste legate a Mosca.
Nel 2014 l’esercito di Kiev era indebolito da anni di abbandono e sottofinanziamento, ed era composto da circa 6mila effettivi, ma, da quel momento, le forze armate hanno apportato notevoli miglioramenti: l’Ucraina ha infatti intrapreso sforzi per adottare gli standard della Nato e ha ricevuto una significativa assistenza dall’Alleanza e dagli Stati Uniti avviando nel contempo riforme modellate sull’esperienza fatta nella difesa contro l’aggressione russa.
Le riforme spaziavano dal livello tattico a quello strategico e comprendevano anche misure politiche (ad esempio l’aumento della trasparenza, il contrasto alla corruzione e garantire il controllo civile sui militari) oltre che militari, come la modernizzazione delle attrezzature, la riforma dell’apparato di comando e controllo e una maggiore professionalizzazione delle forze armate.
Dal punto di vista politico, inoltre, Kiev nella sua Strategia di Sicurezza Nazionale (del 2020) ha identificato la Russia come una minaccia a lungo termine e ha stabilito di sviluppare relazioni più strette con l’Unione Europea, la Nato e gli Stati Uniti.
Prima del conflitto le forze armate ucraine potevano contare su circa 145/150mila uomini (incluse le forze aviotrasportate/paracadutisti) e su approssimativamente 50mila effettivi della Guardia Nazionale (che sovrintende al controllo dei confini), a cui si aggiungevano 10mila della difesa civile, entrambi però non alle dipendenze del Ministero della Difesa di Kiev. Oggi, con l’introduzione della legge marziale che ha stabilito un bacino di personale a cui attingere composto da tutta la popolazione maschile di età compresa tra i 18 e i 60 anni, la difesa civile può contare su centinaia di migliaia di possibili effettivi.
Parte di quel primo nucleo composto da circa 10mila uomini, insieme ad altro personale in servizio nell’esercito, con ogni probabilità è stato anche addestrato da personale militare occidentale, in particolare britannico, attraverso un programma di formazione che prende il nome di Operazione Orbital.
La missione è iniziata nel febbraio 2015 a seguito di una richiesta ufficiale del governo ucraino per la fornitura di assistenza e formazione alle proprie forze armate. L’esercito britannico ha avuto il compito di fornire addestramento difensivo concentrandosi sul miglioramento delle capacità mediche, logistiche, e della fondamentale situational awareness (la consapevolezza situazionale) per le truppe terrestri nonché nella formazione di un corpo di fanteria generale moderno.
A novembre del 2018 oltre 1300 soldati del Regno Unito erano stati schierati nell’Operazione Orbital dal suo inizio, addestrando più di 9500 membri delle forze armate ucraine. Questi numeri sono aumentati nel corso degli anni arrivando sino a circa 17500 uomini (alcune fonti riportano più di 20mila) a novembre del 2019, quando la missione britannica era stata prolungata una prima volta sino a settembre 2020, quando venne annunciato anche l’avvio di un’iniziativa multinazionale di formazione per la marina ucraina con corsi saranno tenuti dalla Royal Navy e dal personale marittimo di Svezia, Canada e Danimarca, per poi vedere una seconda proroga sino a marzo 2023.
Gli eventi bellici hanno poi cambiato le sorti dell’Operazione, ma spiega perché Londra ha tenuto a precisare recentemente che tutti i suoi “consiglieri militari” erano stati ritirati dall’Ucraina. Il Regno Unito non è stato il solo a fornire assistenza per l’addestramento delle forze armate ucraine: Germania, Polonia, Romania, Repubblica Ceca, Lituania, Bulgaria, Paesi Bassi e Stati Uniti sono tra i membri della Nato che hanno contribuito a sviluppare le capacità di comando e il controllo dell’Ucraina, la difesa nel campo della guerra informatica e ibrida, la formazione medica e delle comunicazioni e le riforme politiche che coinvolgono il settore della difesa.
I britannici hanno svolto questa attività di addestramento lavorando in squadre di formazione a breve termine (Sttt – Short Term Tranining Teams) coordinate da un gruppo di funzionari situato presso la sede centrale dell’Operazione Orbital a Kiev. L’addestramento, come detto, si è concentrato sullo sviluppo di una serie di abilità di base chiave per la fanteria come il counter Ied (attività di eliminazione della minaccia data da ordigni esplosivi improvvisati), tattica anticarro e anticecchini nonché le capacità di comando e pianificazione per la fanteria. Questa formazione è stata vitale per le forze armate ucraine nel loro sforzo di modernizzarsi e fronteggiare l’aggressione russa nell’est del Paese, ma soprattutto sono risultate fondamentali nel conflitto aperto scoppiato lo scorso febbraio.
Oltre all’Operazione Orbital, che si concentra sul rafforzamento delle capacità delle forze armate di Kiev, i britannici hanno intessuto dal 2015 sino all’attuale guerra una stretta collaborazione con l’Ucraina attraverso opportunità di formazione congiunte nei domini marittimi, terrestri e aerei. Ad esempio un’esercitazione su larga scala con le forze ucraine ha visto il più grande lancio di paracadutisti da un decennio a questa parte: si trattava della Joint Endeavour avvenuta a metà settembre del 2020 che ha visto l’impiego di 250 soldati schierati per via aerea dal Regno Unito. Questa esercitazione multinazionale ha visto i paracadutisti prendere parte a un addestramento congiunto insieme alle loro controparti ucraine, il Terzo battaglione e l’80esima brigata d’assalto aereo.
Il conflitto interno che insanguina l’Ucraina sin dal 2014 basterebbe da solo a spiegare il perché l’invasione russa, che alcuni – anche al Cremlino – consideravano erroneamente un’operazione a bassa intensità e relativamente di breve durata, trovi una consistente e organizzata resistenza da parte ucraina: l’esercito di Kiev è trincerato nell’est del Paese sin da allora e soprattutto ha avuto modo di riorganizzarsi e di aumentare la consistenza e il livello della formazione dei suoi effettivi. Un miglioramento qualitativo, in particolare, che non sarebbe stato così efficace senza l’apporto occidentale, che, come abbiamo visto, è cominciato quasi immediatamente dopo l’attacco russo nel Donbass e l’annessione della Crimea.
FONTE: https://it.insideover.com/guerra/loperazione-orbital-come-il-regno-unito-ha-addestrato-gli-ucraini.html
È tempo che gli eserciti del Canada e degli Stati Uniti escano, tornino a casa e svolgano le loro infinite e interminabili guerre sul loro territorio. L’Europa ne ha avuto lo stomaco pieno.
Sebbene la dichiarazione di Lord Ismay , il primo Segretario generale della NATO, che lo scopo della NATO fosse “tenere fuori i russi, gli americani dentro e i tedeschi giù”, rimane la missione della NATO, il suo Ordine di battaglia, lo scopo di questo articolo , è necessariamente molto più ampio e profondo di quelle poche parole.
L’ordine di battaglia della NATO iniziò ad emergere il 7 maggio 1945 anche quando “il generale Alfred Jodl, capo di stato maggiore dell’esercito tedesco, firmò contemporaneamente altri tre documenti di resa, uno ciascuno per la Gran Bretagna, la Russia e la Francia” e ” Il capo di stato maggiore sovietico, il generale Alexei Antonov, ha espresso preoccupazione allo SHAEF per il fatto che i continui combattimenti nell’est tra la Germania e l’Unione Sovietica hanno fatto sembrare la resa di Reims una pace separata”.
Anche quando il generale Jodl ha firmato, il piano della NATO di tenere a bada la Germania e la Russia fuori stava andando perfettamente a posto. Non solo gli Stati Uniti stavano dettando unilateralmente il ritmo, proprio come avrebbero fatto in seguito con la resa del Giappone imperiale, ma la Francia, che la Germania aveva sconfitto e occupato cinque anni prima era, con perplessità dei tedeschi, ostentatamente al primo posto per Lo stratagemma dell’America. Questo stratagemma vedrebbe la Francia, completamente sconfitta nel 1940, comandare un seggio dell’UNSC e diventare un membro del G7, insieme al Canada che, a parte la sua docile sottomissione agli Stati Uniti, è una potenza di livello intermedio con poche altre conseguenze.
Tutto questo erano gli Stati Uniti, il sovrano della NATO, che autorizzavano le sue colonie a controllare non solo l’Europa ma l’intero mondo libero (sic). L’esercito della NATO, sebbene formidabile, sarebbe uno strumento necessario ma non sufficiente per sconfiggere “La minaccia rossa”. Quella sperata vittoria finale richiederebbe il corretto dispiegamento di tutte le legioni più oscure della NATO.
Ordine di battaglia
L’ ordine di battaglia di una forza armata che partecipa alle odierne guerre ibride mostra l’organizzazione gerarchica, la struttura di comando, la forza, la disposizione del personale e l’equipaggiamento delle unità e delle formazioni delle forze armate. Durante la Guerra Fredda, la presenza di legioni di formazioni di carri armati sovietici in Cecoslovacchia significava che la NATO doveva schierare testate nucleari a breve termine in Baviera per scoraggiarle. Sebbene fosse semplice, hanno poi dovuto convincere i bavaresi che essere nel mirino degli attacchi nucleari sovietici di rappresaglia era il loro dovere buono e patriottico.
Anche se ciò ha richiesto molto lavoro sul lato della guerra morbida, le lezioni del libro mastro della NATO, come hanno detto, sono state apprese e quelle lezioni continuano a raccogliere dividendi, ad esempio, in Gran Bretagna, dove l’attivista per la pace Jeremy Corbyn è un paria politico per non voler essere alla fine degli affari di una raffica di missili termonucleari.
Il coraggioso bulldog britannico, a quanto pare, non dovrebbe nemmeno abbaiare anche se i missili nucleari di rappresaglia piovono su di loro. Anche se quella nazione di amanti degli animali salva cani e gatti dai talebani e, poiché i loro mercenari portano adorabili cuccioli a giocare con i nazisti Azov a Mariupol, la regina, i suoi corgi e decine di milioni di suoi sudditi, tutti devono essere preparati a vai al grande canile nel cielo se la NATO lo giustifica.
Anche se questo rende troppo facile deridere i nostri amici britannici, questo, gente, è ciò che fa l’indottrinamento, anche per gli inglesi che non saranno mai schiavi. Stupire gli inglesi è il motivo per cui il Pentagono ha chiamato i suoi influencer sui social media, i loro giocatori e i loro TikToker, per coinvolgerli in Battle Plan Ukraine.
Non c’è niente di surreale, stupido o particolarmente anglofobico in questo. La NATO ci dà la mano su ovvi centri di fake news britanniche come Eliot Higgins, un’università inglese abbandonata (dalla peggiore università d’Inghilterra), l’ Osservatorio siriano per i diritti umani , che ha avuto inizio dalle potenti reti dei Fratelli musulmani britannici e ora dal Kiev Indipendente , che è indipendente quanto un neonato. Con noi confusi dal discutere con una tale confederazione di dunces finanziati dalla NATO, gli schieramenti più importanti della NATO continuano a ritmo sostenuto.
Una moschea a Monaco di Baviera
La moschea di Ian Johnson a Monaco : i nazisti, la CIA e l’ascesa dei Fratelli Musulmani in Occidente è un libro che tutti dovrebbero leggere. La sua prima metà descriveva come l’Abwehr , come parte del suo Ordine di Battaglia antisovietico, utilizzasse le minoranze musulmane nel Caucaso settentrionale per aiutare ad aprire il ventre molle dell’Unione Sovietica per aiutare così le forze armate tedesche a raggiungere i giacimenti petroliferi di Baku .
Sebbene la seconda metà meno impressionante del libro descriva come la CIA, con l’aiuto di ex alti ufficiali dell’Abwehr, abbia ereditato quella campagna in corso, ci aiuta a capire come la NATO sia stata così efficace nell’integrare i quinti editorialisti islamici, la cosiddetta Legione araba della CIA, nel proprio Ordine di Battaglia.
Entra nelle Waffen SS
Le intuizioni che le Waffen SS , che in qualche modo ironicamente hanno posto fine alla guerra come forza combattente etnicamente più diversificata d’Europa, offrono nell’Ordine di Battaglia ucraino della NATO possono essere meglio riassunte esaminando Paul Hausser , Felix Steiner e Sepp Dietrich . Hausser, un ex generale dell’esercito regolare tedesco, trasformò la SS-VT in una formidabile organizzazione militare. Il notevole contributo di Steiner includeva la creazione di piccoli ma altamente efficaci gruppi di battaglia mobili, i cui uomini mimetizzati erano armati con mitragliatrici e granate invece di fucili e altre armi ingombranti.
Nonostante fosse semi-alfabetizzato, incapace di leggere nemmeno una mappa del campo e non avesse una formazione formale per ufficiali di stato maggiore, Dietrich era, insieme a Hausser, l’ufficiale di grado più alto delle Waffen-SS. In quanto comandante originale del Sonderkommando Berlin, precursore delle Waffen-SS, e come ex guardia del corpo e autista di Hitler, la sua lealtà era fuori discussione. Se Hitler e Himmler volevano un carismatico combattente di strada che potesse incantare i suoi compagni semi-alfabetizzati tirapugni, non c’era niente di meglio di Josef Sepp Dietrich.
Avanti veloce ai campi di battaglia di oggi e vediamo lo stesso Ordine di Battaglia della NATO dispiegato in Ucraina. L’era post Maidan ha permesso agli Haussers e agli Steiner della NATO di trasformare gli ottusi Dietrich di Azov da combattenti di strada in formidabili oppositori. Proprio come le Waffen-SS sono state profuse con i migliori armamenti che Krup e altre aziende affiliate alla NATO coinvolte nell’Olocausto potevano fornire, così anche i principali partner della NATO stanno cadendo su se stessi sfruttando armi di distruzione di massa in Ucraina, dove il suo regime di Kiev le ha consegnate fuori come tabacco da fiuto alla loro stessa scia per i soldati e le bande criminali allo stesso modo.
Non solo le milizie di Zelensky sono prive della disciplinata spina dorsale che le Waffen-SS e la Wehrmacht offrivano al Terzo Reich, ma sono fondamentalmente prive di qualcosa che assomigli all’Alto Comando tedesco , che era stato l’Alto Comando più efficace al mondo dalla scomparsa di Napoleone alla resa incondizionata di Jodl, da quando entrò in vigore il compito di Lord Ismay di tenerli per sempre legati all’alleanza angloamericana.
Il relativo successo delle forze di Zelensky nell’arginare i progressi della Russia può, in breve, essere meglio visto come una testimonianza di come la NATO ha trasformato le milizie ucraine e gran parte delle sue forze regolari in una versione moderna di una Waffen-SS controllata dalla NATO e gestita dalla NATO.
Ordine di battaglia dell’Ucraina
Lungi dall’essere un insulto, è una semplice affermazione di come la NATO ha schierato le sue forze ucraine. Già nel 2018, il Consiglio Atlantico della NATO, con Bellingcat lealmente alle spalle , stava paragonando gli Azov e i C-14 ucraini alla violenza di strada antiebraica condotta da Dietrich nei primi anni del Reich e non erano i soli a vedere che l’Ucraina aveva un sacco di Risorse umane di tipo Dietrich che potrebbero essere incanalate “per tenere fuori i russi, dentro gli americani e giù i tedeschi”, se solo gli Haussers e gli Steiner della NATO potessero modellare i Dietrich dell’Ucraina in un’efficace SS.
Poiché i partner minori della NATO, in particolare il Canada , sono stati felici di fornire gli Steiner dei nostri giorni , i loro addestratori Canuck possono prendersi gran parte del merito dell’abilità di combattimento e dei concomitanti crimini di guerra delle forze combattenti naziste ucraine. Foreign Policy, un altro noto canale della NATO, aveva notato già nel 2014 che la Russia avrebbe interrotto il suo lavoro premiando Mariupol libero dai Dietrich ucraini e, grazie a Francia e Canada, quanto avevano ragione.
Sebbene il Centro per la lotta al terrorismo chiamato orwelliano di Westpoint ne fosse fin troppo consapevole, erano anche fiduciosi di poter organizzare eventuali sinergie di danni collaterali derivanti dai legami tra gli estremisti di estrema destra occidentali e la zuppa alfabetica dei nazisti ucraini. L’Ucraina, dopo tutto, non è stato il primo rodeo della NATO.
Questo documento della George Washington University dell’Illiberalism Studies Program della GNU spiega come l’Herman Petro Saccharide National Army Academy (NAA), il principale istituto di istruzione militare dell’Ucraina e il principale hub per gli sforzi di assistenza militare della NATO, sia stata governata da Centauri, affiliato ad Azov, autonomo -descritto ordine di ufficiali militari “tradizionalisti europei” impegnati in un’ideologia suprematista bianca. Poiché Centauri ha liberamente fatto proselitismo alla futura élite militare ucraina all’interno della NAA e poiché ha sviluppato stretti legami con le principali istituzioni di istruzione e addestramento militare della NATO, le forze ucraine della NATO sono tanto imbevute di ideologia estremista di destra quanto lo erano la Wehrmacht dal 2 agosto 1934 in poi .
La diaspora ucraina
Dopo la sconfitta del Terzo Reich, innumerevoli nazisti ucraini dovettero evacuare rapidamente Dodge. Molti di loro hanno trovato casa negli Stati Uniti e in Canada, il che è eccezionale per i suoi numerosissimi e rumorosi proseltyzer di estrema destra, che sono saldamente radicati nella minoranza ucraina canadese di quasi 1,5 milioni, la terza più alta al mondo dopo quella di Russia e Kazakistan .
Se i piranha della NATO volevano nuotare in un mare ucraino, il Canada era perfetto. Non solo i politici canadesi sono stati frequenti viaggiatori a Kiev, ma l’esercito canadese, insieme alle università canadesi , sono stati piccoli attori nel revisionismo dell’Olocausto per volere dei nazisti ucraini. Il merito di questi successi nazisti canadesi non è solo di Christina [Kristina] Dobrovolska e Joel Harding , ma anche della diaspora ucraina del Nord America, che hanno redatto la loro narrativa controstorica dalla resa di Jodl.
Fronte orientale della NATO
La tragedia dell’Ucraina è che è, per definizione , una terra di confine, un cuscinetto tra la Russia a est e la NATO a ovest, proprio come era un tempo il divario tra gli imperi della Russia zarista e dell’Austria-Ungheria, che tollerava il galiziano e altri minoranze. Sebbene tutte le numerose minoranze dell’Austria-Ungheria meritino il dovuto, il rifiuto dell’Ucraina di vedere che la riforma della NATO della 14a divisione Waffen Grenadier delle SS (1a Galizia) è particolarmente problematico, così come gli sforzi della NATO per incorporare Finlandia e Svezia e, in seguito, forse , Austria e Irlanda, nel loro impero criminale.
Poiché la Finlandia, che ha combattuto spalla a spalla con la Wehrmacht fino a quando non è stata autorizzata alla resa nel settembre 1944 , ha prosperato con la neutralità, non ha motivo terreno per diventare ora vassalli della NATO, proprio come un tempo erano vassalli dei monarchi svedesi. Stoccolma, nel considerare le sue opzioni, dovrebbe ricordare la vecchia mezza verità che la Norvegia si arrese ai nazisti in una settimana, la Danimarca in un giorno e la Svezia con una telefonata. Se la Svezia vuole essere l’epicentro di una guerra nucleare, può facilmente sottrarsi, prepara al meglio i suoi sudari per il Valhalla.
Sebbene il navigatore dell’UNSC Simon Coveney e i truffatori politici irlandesi dovrebbero essere ignorati come i fastidiosi leccapiedi che sono, l’Austria, nel considerare le sue opzioni, dovrebbe ricordare che i loro antenati erano più filonazisti dei tedeschi ma che, rispetto ai tedeschi, essi scese in modo relativamente leggero a causa dell’opportunità politica.
Sebbene i leader di questi satelliti della NATO vogliano cinicamente inviare altri in una crociata di bambini contro la Russia, essere la zampa di gatto della NATO , combattere fino all’ultimo ucraino, non è né adulto né onorevole. Devono essere ritenuti responsabili del loro desiderio di morte criminalmente stupido.
Fronte occidentale della NATO
Anche se la NATO si spinge sempre più verso est per catturare ancora più risorse naturali, il fronte occidentale della NATO ha ancora bisogno di attenzione “per tenere fuori i russi, dentro gli americani e giù i tedeschi”. Sebbene la porta sembri saldamente chiusa contro Madre Russia, il problema parallelo è con la Patria tedesca, che è stata sviscerata militarmente, demograficamente, sociologicamente ed economicamente. Al di fuori dei bavaresi obesi in mutande che tracannavano birra e si riempivano la faccia grassa di wurstel all’Oktoberfest di Monaco, Steiner, Dietrich e Hausser sarebbero stati sempre più difficili da riconoscere i loro vecchi ritrovi.
L’abbandono da parte della Germania delle risorse russe a basso costo a favore di alternative americane molto più costose e quindi non competitive sembra spiegabile solo inserendo massicce tangenti e minacce della NATO nel nostro calcolo. Ad ogni modo, il crollo demografico della Germania, unito a questa follia della NATO, ha assicurato che la Cina la supererà presto a tutti i livelli di ingegneria avanzata. Dato che gli Stati Uniti hanno costretto la Francia a strappare lucrativi contratti australiani, c’è da chiedersi se gli yankee abbiano sviscerato allo stesso modo i loro partner francesi.
I sondaggi di Marine Le Pen mostrano, almeno a un livello, che c’è un sostanzioso colpo indietro per la Francia e l’Europa come leccapiedi dell’America. E i piani del buffone britannico e opportunista politico Boris Johnson di internare i profughi economici di Albion in Ruanda , che è tutto a 7.000 km dalle Bianche Scogliere di Dover, sono indicazioni di ulteriore disagio per le ondate infinite di profughi economici Le guerre senza fine della NATO, che in Ucraina inclusi, stanno causando.
Ma i leader della NATO possono rincuorare il fatto che orde di formiche europee arrabbiate non costituiscono una colonia efficace di formiche arrabbiate. I rifugiati continueranno a riversarsi nell’Europa occidentale, minando così sia la sua cultura che i livelli inferiori della sua economia e avvicinando così la realizzazione del Great Reset del World Economic Forum .
Anche nel mio caso, devo considerare tra mangiare e riscaldarsi, non perché ora devo scegliere tra l’uno o l’altro, ma perché l’orwelliano della Casa Bianca chiamato Putin’s Price Hike sta rendendo entrambe le necessità proibitivamente costose per molti comuni occidentali, poiché sono per le persone nelle altre colonie della NATO; ricordate, ad esempio, che la Banca Mondiale voleva addebitare ai boliviani il 40% dei loro stipendi per la loro stessa acqua piovana e vedrete il triste futuro dell’Europa.
L’arma principale scelta dalla NATO, a questo proposito, è abbassare le nostre aspettative e convincere tutti noi a prenderne una o forse più per la squadra, proprio come ha fatto Ronnie Reagan nel film All American . Ciò implica che la maggior parte di noi sia consumatori di basso livello, raschiando per pagare i conti per far girare le ruote delle industrie morenti della NATO e per trascorrere il nostro tempo libero seguendo attività che distruggono l’anima, poiché la NATO ci rimprovera di salvaguardare l’ambiente e ci fa il lavaggio del cervello per odiare la Russia e obiettivi alleati per l’esproprio della NATO.
L’ambiente, vedete, è tutta colpa di Putin e di quel cinese Xi Jinping e non colpa dei jet set della NATO e dei consumatori di gas, che tengono in vita i fast food e buttano via le industrie della moda. E non è colpa di Greta Thunberg se i bambini ingrati dei disgraziati nelle fabbriche sfruttatrici del Bangladesh o nelle miniere di cobalto congolesi non hanno mai sentito parlare dell’effetto a cascata della NATO.
E così, mentre la NATO getta sul rogo Ucraina, Siria e Yemen, dobbiamo garantire che le azioni in Big Pharma, il settore più dolce di Wall St, rimangano a galla, prendendo i nostri colpi di Covid. Dobbiamo accogliere ucraini, siriani e yemeniti non controllati sulle nostre coste e non invidiare a Vanguard e BlackRock i profitti dell’industria delle armi perché c’è un gioco molto più grande in tutto questo.
La NATO sta combattendo per il nostro stile di vita, lo stile di vita americano, in Ucraina, Siria, Yemen, Palestina, Libia, Armenia e Iraq. E non meno una cifra di quella che Dio ha effettivamente detto a George Bush, il macellaio di milioni di afgani e iracheni, proprio questo.
Ma il Dio della NATO, il Dio di George Bush, il Dio di Bill Clinton, il Dio di Tony Blair, è più psicopatico di qualsiasi divinità indigena americana , la cui brama di sacrifici di bambini potrebbe almeno essere saziata. Dopo che la NATO ha sacrificato oltre 500.000 bambini iracheni, la NATO ha affermato che ne valeva la pena ma, come dimostra chiaramente l’Ordine di Battaglia della NATO, ovviamente non era abbastanza.
Dalle Porte di Mosca ai Bunker di Berlino
Proprio come l’Armata Rossa ha inseguito la Wehrmacht da Mosca al Reichstag, così anche le legioni naziste della NATO devono essere respinte all’indietro da Mariupol ai loro luoghi di riproduzione canadesi. I popoli d’Europa, dal Portogallo a ovest alla Georgia a est, e dalla Norvegia a nord alla Grecia a sud, non hanno bisogno delle infinite guerre di aggressione della NATO e nemmeno dei media, delle armi e delle grandi aziende farmaceutiche che alimentano dal loro infinito massacro di innocenti. La guerra civile europea del 1914-45 è finita. È tempo che gli eserciti del Canada e degli Stati Uniti escano, tornino a casa e svolgano le loro infinite e interminabili guerre sul loro territorio. L’Europa ne ha avuto lo stomaco pieno.
FONTE: https://www.strategic-culture.org/news/2022/04/24/nato-ukrainian-order-of-battle/
La realizzazione di una “NATO arabo-israeliana” in Medio Oriente
Il recente incontro dei leader arabi e israeliani in Israele nel deserto del Negev meridionale è un evento straordinario, non solo perché indica come gli Stati arabi e Israele stanno normalizzando sempre più i loro legami, ma anche perché questo vertice potrebbe essere il primo serio passo verso la creazione di un meccanismo di sicurezza contro le minacce comuni, ad esempio l’Iran. Ancora più importante, il fatto che questo evento si sia svolto in un momento in cui gli Stati Uniti si stanno muovendo rapidamente verso un accordo con l’Iran sul suo programma nucleare mostra come l’unità arabo-israeliana non sia allineata con gli Stati Uniti. Anche se il Segretario di Stato americano era presente al vertice, la capacità degli Stati Uniti di orientare le cose in modo da mantenere il Medio Oriente in linea con le sue politiche si è drasticamente ridotta negli ultimi anni. Anche altri eventi recenti correlati lo dimostrano. Ad esempio, quasi tutti i paesi, in particolarehanno rifiutato i recenti sforzi degli Stati Uniti per ottenere il loro sostegno contro la Russia per “isolare” Mosca a livello globale. Il fatto che gli stessi stati stiano ora adottando misure per formare un meccanismo di sicurezza congiunto contro l’Iran in un momento in cui gli Stati Uniti stanno cercando di normalizzare i legami con Teheran significa solo la miriade di modi in cui il Medio Oriente si sta allontanando da Washington.
Come ha confermato il ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid dopo il vertice, i delegati hanno concordato di sviluppare un “forum permanente” come passo verso la “costruzione di una nuova architettura regionale basata su progresso, tecnologia, tolleranza religiosa, sicurezza e cooperazione di intelligence”. Questa nuova architettura, le capacità condivise che stiamo costruendo, intimidisce e scoraggia i nostri nemici comuni, in primis l’Iran e i suoi delegati”.
Nonostante la presenza di Blinken al vertice e il “sostegno” statunitense a una maggiore unità arabo-israeliana, le tensioni tra Washington e Gerusalemme sono tutt’altro che nascoste. In effetti, lo stesso Blinken li ha resi palpabili mentre sembrava spostare la politica degli Stati Uniti verso il conflitto israelo-palestinese. Ad esempio, mentre l’amministrazione Trump – che godeva di profondi legami amichevoli con l’allora leader israeliano Benjamin Netanyahu e aiutò Tel Aviv a ottenere il controllo assoluto di Gerusalemme contro il volere della popolazione palestinese – le osservazioni di Blinken secondo cui gli accordi di Abraham non erano un sostituto dei palestinesi problema mostra come Israele – che non riconosce alcuna ‘questione palestinese’ come tale – abbia posizioni diverse.
Una ragione diretta della cautela di Washington nei confronti della questione palestinese viene dallo sfondo della resistenza israeliana contro gli sforzi degli Stati Uniti per far condannare o opporsi a Gerusalemme l’operazione militare di Mosca in Ucraina.
La disposizione anti-americana di questa nuova alleanza è evidente anche dalla possibilità che l’Arabia Saudita – i cui legami con gli USA non sono mai stati così cattivi come oggi – si unisca all’alleanza in un prossimo futuro. La sua possibilità è stata recentemente rivelata dal saudita Mohammad bin Salman (MBS), che ha affermato che Israele potrebbe essere un “potenziale alleato”, aggiungendo che “non consideriamo Israele un nemico, lo guardiamo come un potenziale alleato, con tanti interessi che possiamo perseguire insieme”.
Mentre MBS desiderava anche sottolineare l’imperativo di risolvere il conflitto in Palestina, resta che Riyadh ha un disperato bisogno di un alleato che possa aiutarla a vincere la guerra in Yemen. Gli Stati Uniti hanno smesso di fornire qualsiasi aiuto e gli Houthi hanno intensificato i loro attacchi al Regno.
Il 25 marzo, una serie di attacchi a Gedda ha distrutto parti di un impianto petrolifero che era stato attaccato in precedenza. Oltre a Jeddah, gli Houthi riuscirono anche a prendere di mira Riyadh, la capitale del regno. Pertanto, Israele potrebbe essere un’opzione per Riyadh per rafforzare le sue difese. Allo stato attuale, Israele è desideroso di farlo.
Ad esempio, in seguito agli attacchi agli Emirati Arabi Uniti nel gennaio 2022, Israele si è affrettato a offrire – cosa che forse gli Emirati Arabi Uniti hanno accettato – assistenza ad Abu Dhabi per rafforzare il suo sistema di difesa aerea contro tali attacchi aerei. L’offerta è stata fatta dal primo ministro israeliano Naftali Bennett al principe ereditario di Abu Dhabi Mohammed bin Zayed (MBZ) in una lettera, in cui si sottolineava specificamente un meccanismo di sicurezza congiunto contro quelli che loro – Abu Dhabi, Riyadh e Gerusalemme – chiamano Houthi sostenuti dall’Iran. “Israele si impegna a lavorare a stretto contatto con voi nella battaglia in corso contro le forze estremiste nelle regioni e continueremo a collaborare con voi per sconfiggere i nostri nemici comuni”, ha scritto Bennett nella sua lettera pubblicata sul suo account Twitter.
Questo si sta già concretizzando. Come hanno confermato alcuni rapporti recenti , i funzionari della sicurezza israeliana sono già in trattative con le loro controparti degli Emirati Arabi Uniti, del Bahrain e dell’Arabia Saudita per stabilire un sistema di “difesa aerea congiunta”. Questi colloqui avvengono sullo sfondo di un crescente fallimento del sistema di difesa aerea statunitense nel contrastare gli attacchi Houthi. Questo sistema di difesa comune non si limita alla sola difesa aerea. Come confermato dall’ultimo vertice, si estenderà anche ad altre aree.
Anche Israele ha i suoi bisogni per offrire tale cooperazione e alleanze. Lo stesso giorno in cui si è svolto il vertice, un attacco dell’ISIS in Israele ha ucciso due persone e ferito altri sei nella città di Hadera, a circa 31 miglia a nord di Tel Aviv. Dopo l’attacco, lunedì 28 marzo il ministro degli Esteri marocchino ha dichiarato, facendo una dichiarazione simbolica sulla possibilità e la necessità di una grande struttura di sicurezza regionale, che la sua presenza insieme a tre controparti arabe a un vertice ospitato da Israele è stata la La “migliore risposta” agli attacchi dell’Isis.
La dichiarazione – ampiamente riportata dai principali media occidentali – indica il sostegno che Israele ha in quella che solo pochi anni fa era una regione ostile. Per Gerusalemme, questo sostegno significa una possibilità di diminuire la sua dipendenza dagli Stati Uniti per la sua sicurezza. Meno dipendenza dagli Stati Uniti significa anche più spazio per Gerusalemme per progettare e perseguire la sua politica estera in modo molto più indipendente di quanto non fosse il caso fino a pochi anni fa.
Vale anche per la maggior parte degli stati arabi, che per la maggior parte della loro esistenza hanno fatto affidamento sugli Stati Uniti e sull’Occidente per la sicurezza. Un’alleanza con Israele presenta un cambio di paradigma che potrebbe alterare profondamente le dinamiche regionali per loro ea svantaggio degli Stati Uniti. Un processo che l’amministrazione Trump ha avviato alla fine si sta svolgendo in modi che lascerebbero Washington nelle peggiori condizioni.
Salman Rafi Sheikh, ricercatore-analista di Relazioni internazionali e affari esteri e interni del Pakistan, in esclusiva per la rivista online “ New Eastern Outlook ”.
FONTE: https://journal-neo.org/2022/04/12/the-making-of-an-arab-israel-nato-in-the-middle-east/
Pfizer allo scoperto: spunta il documento delle responsabilità ▷ “Elargite dichiarazioni confessorie”
Le scorgiamo tra gli ultimi aggiornamenti, distrattamente. Le notizie sulle sparatorie statunitensi ormai raramente rimangono impresse nell’immaginario collettivo. L’ultima, avvenuta nella metropolitana di New York, è rimasta per qualche ora. Del resto, una sparatoria nella metropolitana, con tanto di fumogeni, faceva presagire il peggio. Per fortuna ci sono stati soltanto dei feriti e nessuna vittima. Proprio a New York però, qualche giorno prima, una vittima c’è stata. Sarebbe banale e riduttivo dire che è stata colpa delle permissive leggi sulle armi, che per inciso nello Stato e ancor di più nella città di New York sono piuttosto restrittive. La pistola utilizzata dal diciassettenne Jeremiah Ryan per uccidere la sedicenne Angellyh Yambo non sarebbe dovuta esistere. Perché è una cosiddetta “ghost gun”, un’arma fabbricata con una stampante 3S, senza il numero di matricola, irrintracciabile dalle forze dell’ordine. E non si è trattato di un caso isolato.
L’aumento dell’insicurezza
Anzi, dall’inizio dell’anno sono aumentate le violenze: 290 sparatorie contro le 236 dello scorso anno nel primo trimestre del 2022. Un brusco rialzo, in parte dettato anche dall’affievolirsi della pandemia. Non dimentichiamo che negli Stati Uniti il 2020 è stato l’anno della morte di George Floyd, ucciso da un agente a Minneapolis nel maggio 2020 e della conseguente demonizzazione delle forze dell’ordine da parte della sinistra democratica con lo slogan elettoralmente nefasto “Defund the Police”, prontamente respinto dall’allora candidato Joe Biden.
Successivamente a quell’evento, c’è stato un aumento dei crimini che ha portato a un diffuso senso di insicurezza culminato con l’aumento del 30% del numero di omicidi, che hanno avuto il loro epicentro nelle grandi città. A New York nel 2021 il tasso di criminalità era aumentato del 5% rispetto all’anno precedente mentre nel 2022 il primo trimestre ha visto un impressionante aumento del 38,5% del numero complessivo dei reati. Questo clima di spavento, dove si ipotizza che New York sia nuovamente pericolosa come negli anni ’70, spiega così anche la piattaforma securitaria con la quale è stato eletto il sindaco Eric Adams. Quest’ultimo ha lanciato un piano per la sicurezza per combattere quest’ondata il 5 marzo scorso: prematuro dire se questo ha avuto già degli effetti. Nel frattemo resta centrale il tema delle armi fantasma. Cosa sono queste strane pistole componibili chiamate ghost guns? Sono delle armi componibili costituite con materiale plastico. Basta fare un giro su Google e si trovano siti che le vendono con estrema facilità. Provare per credere.
È destinata a far discutere la nota rilasciata nei giorni scorsi da Pfizer ai suoi investitori. La casa farmaceutica statunitense ha pubblicato un documento rivolto ai suoi diretti stakeholders, i portatori d’interesse verso il colosso del farmaco. Lo scritto è centrato sui possibili effetti avversi legati alla vaccinazione. Pfizer ammette la possibilità che, essendo stata la somministrazione del vaccino su una scala ben più ampia rispetto ai test degli studi clinici approvati, potrebbero essere osservati “effetti collaterali e altri problemi che non sono stati osservati o previsti, o non erano così diffusi o gravi, durante gli studi clinici”.
La nota della Pfizer sembra di fatto rassicurare gli investitori sottolineando che “eventi avversi gravi” sono riscontrabili in ogni modo nell’ “l’uso di qualsiasi vaccino da parte di un’ampia popolazione di pazienti”. La multinazionale del farmaco appare soprattutto mettere in evidenza i possibili rischi economici e finanziari di una possibile identificazione di casi di correlazione con il vaccino. Le possibili conseguenze che il colosso farmaceutico USA ipotizza potrebbero infatti essere il ritiro del risarcimento danni, il ritiro dell’autorizzazione e anche la cessazione di conseguire utili.
In diretta l’intervento del prof. Giovanni Frajese e dell’avv. Renate Holzeisen
Traduzione nota Pfizer ai suoi azionisti
“Il nostro vaccino Covid-19 e qualsiasi altro prodotto candidato per il quale riceviamo l’approvazione o l’autorizzazione all’uso di emergenza sono soggetti a un controllo normativo continuo, inclusa la revisione di ulteriori informazioni sulla sicurezza.
Il nostro vaccino Covid-19 viene utilizzato dai pazienti come prodotto autorizzato più ampiamente di quanto non sia stato utilizzato negli studi clinici e pertanto dopo l’autorizzazione all’uso di emergenza possono essere osservati effetti collaterali e altri problemi che non sono stati osservati o previsti, o non erano così diffusi o gravi, durante gli studi clinici
Non possiamo garantire che non si verifichino problemi di sicurezza scoperti o sviluppati di recente.
Con l’uso di qualsiasi vaccino da parte di un’ampia popolazione di pazienti, di tanto in tanto possono verificarsi eventi avversi gravi che non si sono verificati durante le sperimentazioni cliniche del prodotto o che inizialmente sembravano non correlati al vaccino stesso e solo con la raccolta di successive informazioni sono risultati essere causalmente correlati al prodotto.
Questo può causare il ritiro dell’autorizzazione, di richieste di risarcimento danni e dunque della cessazione di conseguire utili”
VIDEO QUI: https://youtu.be/ixX_daOwhrU
Holzeisen: “Tanti studi non sono mai stati fatti”
“Questo è un documento confessorio che conferma quello che abbiamo sempre detto: non sono stati fatti in modo adeguato molti studi e tanti non sono stati mai fatti. Gli studi non riguardavano le persone fragili e le donne incinte o certe patologie. Questo lo si sapeva fin dal principio ma la narrazione era l’opposto. Queste relazioni agli investitori arrivano là dove ci sono dei pool di avvocati che negli Stati Uniti sulla base della documentazione dimostrano come Biontech, ma anche Moderna, sapevano che queste sostanze provocano eventi avversi gravissimi. Queste relazioni devono essere depositate alla borsa dell’autorità americana. Se non l’avessero fatto queste dichiarazioni i responsabili del settore finanziario di Biontech e Moderna avrebbero rischiato tantissimo”
Frajese: “Parliamo di prodotti sperimentali”
“Se la gente non l’avesse ancora capito, stiamo parlando di prodotti sperimentali. È un punto chiave di tutta quanta la storia. La follia fatta è, dopo 60 giorni di sperimentazione, imporre l’obbligo vaccinale ai medici. È una sperimentazione tanto è vero che l’autorizzazione finale molto probabilmente non verrà data, altrimenti non l’avrebbero scritto in questa nota. Se non la danno è perché ci sono tutta una serie di problemi. Nel primo pacchetto di dati pubblicati c’erano 1200 reazioni avverse diverse di importanza particolare, cioè ci sono verificate 4-5 volte in diversi pazienti. Man mano che i dati arriveranno la situazione cambierà perché ciò che prima non si sapeva non potranno nasconderlo ancora a lungo per molto temo”
FONTE: https://www.radioradio.it/2022/04/pfizer-documento-dichiarazioni-confessorie-responsabilita/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Nuoto: il governatore della Florida non riconosce la vittoria della transgender Lia Thomas
La decisione del governatore della Florida
A distanza di una settimana, però, il governatore repubblicano della Florida, Ron DeSantis, ha rifiutato questo verdetto riconoscendo Emma Weyant, medaglia d’argento nei 400 misti ai Giochi di Tokyo di sei mesi fa, come reale vincitrice della gara. “La NCAA sta fondamentalmente facendo sforzi per distruggere lo sport femmimile – ha tuonato il governatore in una conferenza stampa -: stanno cercando di minare l’integrità della competizione e stanno incoronando qualcun altro campione femminile. Stanno mettendo l’ideologia prima delle opportunità per le atlete”. Poi su Twitter ha rincarato la dose: “In Florida, rifiutiamo queste bugie e riconosciamo Emma Weyant di Sarasota come la migliore nuotatrice femminile nei 500 Yard stile libero”.
Nel 2019 la terapia ormonale
La NCAA attualmente richiede che le atlete transgender abbiano un anno di terapia ormonale sostitutiva (HRT) per essere autorizzate a partecipare agli sport femminili. Thomas ha iniziato la terapia ormonale sostitutiva a maggio 2019 (anno in cui tra gli uomini era al 462° posto nel ranking dei tempi nello stile libero) terminandola nell’autunno dello stesso anno e la NCAA ha approvato la sua partecipazione in campo femminile. Thomas, che gareggia per l’Università della Pennsylvania, si era assicurata il titolo in 4’33″24, precedendo la Weyant, originaria della Florida, di 1″75. Il tema delle atlete transgender è da tempo oggetto di controversia, non solo politica. Solo ieri Sebastian Coe, olimpionico dei 1500 metri di atletica e presidente della World Athletics, la federazione mondiale di atletica, si è detto convinto che “senza regole corrette in questo campo, lo sport femminile abbia di fronte a sé un futuro davvero fragile”.
Usa, la battaglia dei Governatori
Un rapporto del 2017 sulla rivista Sports Medicine che ha esaminato diversi studi correlati non ha rilevato “nessuna ricerca diretta o coerente” sulle persone transgender che hanno un vantaggio atletico rispetto ai loro coetanei cisgender, in qualsiasi stato della loro transizione, e i critici affermano che dichiarazioni come quella di DeSantis aggiungeranno solo ulteriore discriminazione a quella che già devono affrontare le persone transgender, in particolare i giovani. Tuttavia, il dibattito sull’inclusione degli atleti transgender, in particolare donne e ragazze, è diventato un punto critico politico negli ultimi anni negli Stati Uniti, soprattutto tra i conservatori. Finora quest’anno, Iowa e South Dakota hanno approvato una legislazione che vieta alle donne e alle ragazze transgender di partecipare a squadre sportive coerenti con il loro genere in scuole e college accreditati. E l’anno scorso, Alabama, Arkansas, Florida, Mississippi, Montana, Tennessee, Texas e West Virginia hanno emanato divieti sportivi simili, facendo infuriare i sostenitori LGBTQ, che sostengono che i conservatori stanno creando un problema dove non ce n’è uno.
FONTE: https://www.repubblica.it/sport/vari/2022/03/23/news/nuoto_il_governatore_della_florida_non_riconosce_la_vittoria_della_transgender_lia_thomas-342528060/?rss
BELPAESE DA SALVARE
Inchiesta mascherine Arcuri, donazioni cittadini finite in bond alle Cayman
Il sospetto è che parte di quei soldi siano stati investiti in paradisi fiscali. La Guardia di Finanza indaga sui percorsi bancari delle super provvigioni
Inchiesta mascherine, 120 mln di provvigioni sospette
L’emergenza Coronavirus in Italia e nel mondo non è ancora finita. I segnali che arrivano dall’Asia sono preoccupanti, il virus è ancora presente e continuano a crearsi nuove varianti. Intanto sul fronte delle indagini – si legge sulla Verità – prosegue la maxi inchiesta sulla compravendita di mascherine da parte dell’Italia, attraverso l’ex commissario all’emergenza Domenico Arcuri, con super commissioni per gli intermediari. La Guardia di Finanza cerca di vederci chiaro su un giro d’affari solo di provvigioni pari a 120 milioni, che sarebbero stati riconosciuti dai consorzi cinesi ai broker.
L’ipotesi – prosegue la Verità – è che parte di quei soldi, possa essere stata investita addirittura in bond finiti in paradisi fiscali come le isole Cayman. Nel verbale depositato il 22 febbraio 2021 dell’ex capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, si fa riferimento ad “addebiti su indicazione del commissario Domenico Arcuri, anche sui conti che raccoglievano i soldi dei cittadini“. Nella lunga lista compaiono aziende di 55 Paesi del mondo. Non sono presenti però i tre prescelti dal commissario per la super commessa da 1,25 mld di euro. Le indagini della Gdf proseguono.
FONTE: https://www.affaritaliani.it/coronavirus/inchiesta-mascherine-arcuri-donazioni-cittadini-finite-in-bond-alle-cayman-791244.html
Ucraina, Travaglio: “Stati Uniti alleati? Li chiamerei padroni”
FONTE: https://www.affaritaliani.it/coffee/video/cronache/ucraina-travaglio-stati-uniti-alleati-li-chiamerei-padroni-793255.html
La guerra arriva in Italia.
La buona notizia è che esiste un piano B. Quella brutta è che se Vladimir Putin dovesse chiudere dall’oggi al domani i rubinetti del gas siamo «fregati»
La guerra arriva in Italia. È quanto emerge dal retroscena di Repubblica sull’incontro che si è svolto Martedì 12 Aprile ad Algeri dove Mario Draghi è volato per trovare qualcuno di quei metri cubi di metano che verrebbero meno in Italia se lo zar decidesse di vendicarsi delle sanzioni occidentali imposte per contrastare l’occupazione russa dell’Ucraina.
Di fronte ai numeri impietosi (il nostro fabbisogno è tra i 75 e gli 80 miliardi di metri cubi di gas e circa 29 provengono dalla Russia) ovviamente non bastano quanti ce ne potrà fornire l’Algeria nel 2023-24. Sono solo nove, un terzo di quanti ne occorrerebbero. Altri cinque miliardi dovrebbero arrivare dal Congo, ma è necessario un lavoro preparatorio non indifferente. Cosa fare allora?
Taglio illuminazione e rimodulazione filiera industriale
Tommaso Ciriaco rivela che a Palazzo Chigi si stanno studiando scenari che permettano, nel frattempo, di ridurre, dove possibile, i consumi energetici del Paese. Si procederebbe ad esempio con il taglio dell’illuminazione di edifici, monumenti e luoghi pubblici. Oltre che alla riorganizzazione della climatizzazione estiva, prevedendo formule che ne contengano lo spreco energetico.
Il piano B del governo prevede anche di rimodulare l’attività industriale di alcune filiere che producono a ciclo continuo. Prevedendo di concentrare la produzione in alcuni periodi dell’anno, in modo da ottenere il massimo con minor utilizzo di energia mantenendo invariato il livello di produzione. E poi c’è il capitolo “diversificazione” attraverso investimenti ingenti nel fotovoltaico e nel solare che prevede anche nuovi accordi con la Germania per la produzione d’idrogeno, nell’idroelettrico e le centrali a carbone riporta Libero Quotidiano. Si potrebbe anche avviare una trattativa con i “cattivoni Russi” ma vien da ridere.
FONTE: https://raffaelepalermonews.com/la-guerra-arriva-in-italia-il-piano-del-governo-razionamento-e-lavoro-per-fasce/
CONFLITTI GEOPOLITICI
SI VIS BELLUM, PARA BELLUM
di Marco Travaglio
Antonio Padellaro illustra come meglio non si potrebbe il vicolo cupo e cieco in cui ci sta cacciando – per viltà, servilismo e incompetenza – il nostro governo.
Mentre nei nostri salotti domestici i soliti onanisti dibattevano su direttori d’orchestra, soprano, balletti russi e Dostoevskj, sul contratto di Orsini e le vignette di Vauro, sull’abrogazione della consonante Z e il putinismo dei pacifisti, Papa in testa (ma non di San Francesco, arruolato da Rep come “uomo d’armi”), sull’evidente somiglianza fra gli antifascisti italiani e quelli ucraini con la svastica, Putin tirava diritto nella sua feroce guerra regionale per il Donbass e Biden e i suoi camerieri facevano di tutto per trasformarla nella terza guerra mondiale.
Dài e dài, ci sono riusciti.
La tecnica dell’escalation è la stessa di Mitridate: una goccia di veleno al giorno per farci accettare, senza accorgercene, una prospettiva terrificante che avremmo respinto tutta in una volta: entrare in guerra con la Nato contro la Russia.
A questo portano i delirii di Johnson sulla liceità di attacchi con armi Nato in territorio russo, e quindi di attacchi russi in territori Nato. Finora si poteva discutere sull’invio di armi alla sacrosanta resistenza ucraina per difendere il suo territorio. Ora non più, perché la guerra è diventata un’altra cosa.
Ora le armi servono a “indebolire la Russia fino a farle perdere capacità militare” (Blinken). Anzi, ad “attaccarla” (BoJo) in vista del regime change evocato da Biden per destabilizzare un Paese sovrano, che è pure una potenza atomica, rovesciandone il presidente eletto. Perciò Blinken ha convocato a Ramstein 40 Paesi vassalli, distribuendo liste della spesa per nuove armi e inviando pizzini mafiosi contro la missione di pace del segretario generale dell’Onu Guterres (attaccato dall’ apposito Zelensky) e le dissociazioni di Scholz (già rientrate).
Quindi le armi sono un “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”: proprio ciò che la Costituzione vieta col verbo più perentorio (“L’Italia ripudia la guerra”). Scrive Lucio Caracciolo (Stampa): “Discutere sull’opportunità e sulla moralità per l’Occidente – l’impero americano – di combattere contro i russi fino all’ultimo ucraino”. E Domenico Quirico (Stampa): “Siamo a un punto di svolta. Si ammette per la prima volta che la libertà ucraina è solo una cosa fittizia di cui gli americani si servono per attuare la loro politica: l’annientamento della potenza militare russa. Non è estremamente pericoloso?”.
Lavrov, Zelensky e Johnson evocano in stereo la terza guerra mondiale, ma a Roma tutto tace. Vogliono gli esimi presidenti Mattarella e Draghi spiegarci dove sta l’Italia, sempreché abbia ancora un Parlamento e – absit iniuria verbis – una Costituzione?
FONTE: https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/27/si-vis-bellum-para-bellum/6571796/
LO SPETTRO DI UNO SCONTRO DIRETTO NATO-RUSSIA
Rosanna Spadini – 28 04 2022
FONTE: https://www.facebook.com/rosanna.spadini/posts/5686439198050873
Reazione della Russia ai rifornimenti di armi dall’UK
Rosanna Spadini 26 04 2022
FONTE: https://www.facebook.com/rosanna.spadini/posts/5682059638488829
Scontro sui nuovi confini dell’Ucraina: ecco le mappe segrete
Su Mariupol in questo momento sventolano due bandiere. Una è russa ed è stata issata sul municipio, l’altra invece, innalzata nei punti più alti della città, ha un tricolore diverso: ci sono il blu e il rosso in basso, come nella bandiera della federazione russa, ma sopra non c’è il bianco bensì il nero. Si tratta dei vessilli della Repubblica Popolare di Donetsk, quella cioè autoproclamata nel 2014 assieme alla “gemella” di Lugansk e riconosciuta dalla Russia il 21 febbraio scorso. Putin ha considerato “liberata” Mariupol e in mano alle forze russe. Ma a chi andrà la città dopo il conflitto? Farà parte della Russia oppure sarà il porto principale di Donetsk? Oppure ancora sarà in qualche modo recuperata, anche per vie politiche, dall’Ucraina? Domande che rimandano a una questione sempre più sentita nel conflitto, quella cioè delle mappe.
La geografia, per come la si conosceva nel 2014, è destinata a cambiare definitivamente. O perché Mosca riuscirà ad ottenere almeno il riconoscimento della sua sovranità sulla Crimea oppure, nella situazione al momento più favorevole alle prospettive del Cremlino, perché l’offensiva nel Donbass porterà buona parte dell’est dell’Ucraina in mano russa. Ad ogni modo, la fine del conflitto passerà inevitabilmente da un tentativo di modifica delle mappe. Modifiche che, stando ad alcuni ambienti diplomatici, sarebbero già state abbozzate in diverse cancellerie, comprese quelle occidentali.
Le mosse di Mosca a Kherson e Mariupol
Per capire come potrebbe cambiare la geografia nella regione, è bene partire da dei dati oggettivi. Il primo riguarda la posizione di Kiev: le attuali autorità ucraine al momento non sono disposti a rinunciare anche a una sola regione. Nei primi giorni di guerra si era parlato di possibili concessioni sul riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea, ma con un conflitto che ha inferto enormi dolori a Mosca e dove Kiev ha dimostrato di saper reggere all’urto della guerra, su questa ipotesi non sono più uscite concrete indiscrezioni. E oggi, a maggior ragione, nessuno da via Bankova, sede della presidenza ucraina, sembrerebbe interessato a mettere mano alle mappe.
L’altro dato invece riguarda il comportamento della Russia nei territori occupati. Al momento la città ucraina più grande in mano a Mosca è Kherson. Poi ci sarebbe anche Mariupol, ma se il Cremlino qui ha già considerato conclusa la battaglia, il fatto che al momento si combatta ancora dentro l’acciaieria Azovstal lascia qualche perplessità sulla posizione russa. Ad ogni modo il 90% del territorio cittadino è in mano russa e filorussa.
A Kherson sembrano essere già state avviate prove di vera e propria annessione. A partire dal primo maggio, ha fatto sapere il vice capo dell’amministrazione regionale, verrà introdotto il Rublo russo come nuova moneta. La misura non sembra provvisoria, ma figlia di un piano a lungo termine che prevede un affiancamento di quattro mesi alla Grivna ucraina. Cambiare moneta, introducendo la propria e prevedendo per giunta un periodo di transizione, è segno di come Mosca stia preparando il terreno per una permanenza a oltranza nella regione.
Anche a Melitopol, a metà strada tra Kherson e Mariupol, si vedono già importanti cambiamenti. Ad esempio i listini dei prezzi del carburante sono segnati in Rubli. A Mariupol poi c’è chi ha iniziato a parlare di un progetto russo volto ad annettere la città alla regione russa di Rostov. Petro Andryushchenko, consigliere del sindaco deposto di Mariupol, ha dichiarato che il nuovo primo cittadino voluto dai russi, Konstantin Ivashchenko, nei suoi primi incontri con i cittadini ha dichiarato di immaginare la città annessa alla confinante regione di Rostov.
La questione delle “nuove” mappe
Il discorso relativo a Mariupol è tutto da verificare. Anche perché se fosse vero contraddirebbe quanto affermato dal Cremlino il 21 febbraio scorso e cioè che per Mosca i territori di Donetsk e Lugansk riconosciuti come indipendenti erano quelli “previsti dalla costituzione delle due repubbliche”. Ossia i territori comprendenti le aree degli omonimi oblast. Mariupol amministrativamente è parte dell’oblast di Donetsk e dunque dovrebbe costituire la città portuale della Repubblica filorussa. Del resto i combattenti separatisti avevano provato a prendere questo territorio già nel 2014. O Mosca ha deciso di ridisegnare del tutto i confini oppure non è prevista la permanenza delle attuali due repubbliche separatiste a guerra finita, bensì una loro annessione diretta al territorio della federazione.
Presto ancora per dirlo, ma quanto sta accadendo a Kherson e Mariupol dimostra come la questione delle mappe inizia a diventare importante nell’economia del conflitto. La Russia vuole modificarle e forse qualche cartina con nuove linee tratteggiate circola già nelle cancellerie occidentali. Una prospettiva quest’ultima paventata ad esempio da Germano Dottori, consigliere scientifico di Limes, secondo cui delle nuove mappe sono state già definite. In ambienti diplomatici si parla di taciti accordi sui nuovi confini, da mettere in atto però soltanto se la Russia arrivi a conquistare militarmente le zone desiderate. In poche parole, anche in occidente è stato messo in conto che la geografia cambierà ma non verrà fatto alcuno sconto sul campo a Putin, il quale deve superare le insidie della difesa ucraina, delle armi occidentali e delle sanzioni.
In ballo il futuro della regione
La questione delle nuove mappe non è certo di poco conto. Non riguarda soltanto dei tratti di penna da applicare sulle cartine. Al contrario, potrebbe implicare annessioni, nascita di nuovi Stati, spostamenti di intere popolazioni. Un nuovo equilibrio regionale quindi, in parte già scritto e in parte ancora in ballo nel campo di battaglia. E il nuovo equilibrio potrebbe prevedere un’influenza russa definitivamente affermata nelle attuali regioni orientali dell’Ucraina. Mentre a Kiev potrebbe essere riservata la parte centrale e occidentale, anche perché la capitale ha resistito ai russi e si è guadagnata sul campo la permanenza nella sfera ucraina. Più intricata la storia nelle regioni meridionali: i russi vorrebbero Odessa, ma non riescono ad avanzare e le popolazioni non appaiono ben felici di accogliere Putin. Forse su questa parte del Paese la “diplomazia profonda” non è riuscita a intervenire e questo spiegherebbe in parte la tensione divampata nell’adiacente Transnistria.
Occorre poi capire in che modo la Russia eserciterà, se conquisterà il Donbass, l’influenza nell’est. Se cioè annettendo i territori oppure creando nuovi Stati. Il fatto che a Kherson si pagherà in Rubli dal primo maggio lascia presagire un’annessione. Ma non è esclusa la creazione di uno o più Stati cuscinetto da una futura Ucraina ridimensionata e con pochi (o senza) sbocchi sul mare. Scenari di cui i governi sarebbero già a conoscenza. E che in qualche modo, in caso di avanzata russa nell’est, potrebbero costituire la base di un compromesso tra Russia e occidente. Ma non tra Russia e Ucraina. Kiev spera, al contrario, di poter riprendere manu militari le aree al momento perdute.
FONTE: https://it.insideover.com/guerra/scontro-sui-nuovi-confini-dell-ucraina-ecco-le-mappe-segrete.html
Ucraina, l’ex ambasciatore Freeman: “Gli Usa non vogliono la pace in Ucraina”
“Gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di porre fine alla guerra in Ucraina. L’emotività e l’indignazione oscurano la ragione e incoraggiano l’escalation militare”. E ancora: la guerra rappresenta “la fine del dominio euro-americano e la divisione del mondo in ecosistemi in competizione”. A dichiararlo in un’intervista esclusiva a InsideOver è un diplomatico statunitense di spicco come Chas W. Freeman, vicesegretario alla Difesa per gli affari di sicurezza internazionale dal 1993 al 1994 ed ex ambasciatore degli Stati Uniti in Arabia Saudita durante le operazioni Desert Shield e Desert Storm. Freeman è noto in ambito diplomatico per essere stato vice segretario di Stato per gli affari africani durante la storica mediazione statunitense per l’indipendenza della Namibia dal Sud Africa e del ritiro delle truppe cubane dall’Angola. Ha inoltre lavorato come Vice Capo Missione e Incaricato d’Affari nelle ambasciate americane sia a Bangkok (1984-1986) che a Pechino (1981-1984). Dal 1979 al 1981 è stato Direttore per gli Affari Cinesi presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ed è stato il principale interprete americano durante la storica visita del presidente Richard Nixon in Cina nel 1972. Abbiamo chiesto all’ambasciatore il suo punto di vista sull’invasione russa dell’Ucraina e sul ruolo degli Stati Uniti.
Ambasciatore Freeman, in una recente intervista rilasciata ad Aaron Maté su Grayzone, citata anche da Noam Chomsky, ha affermato che l’amministrazione Biden sta combattendo la Russia “fino all’ultimo ucraino”. Che cosa significa?
La guerra in Ucraina non è solo una guerra tra russi e ucraini e tra Russia e Ucraina, è una guerra per procura tra Russia e Stati Uniti per determinare se l’Ucraina rimane parte della sfera di influenza americana in cui è stata assorbita in modo informale nel 2014, oppure se farà parte di una sfera di influenza russa. Il suo carattere di guerra per procura, come il Vietnam o l’Afghanistan durante la Guerra Fredda, lo rende un gioco a somma zero tra Mosca e Washington. Nella misura in cui la guerra indebolisce la Russia, gli Stati Uniti sembrano non avere alcun interesse a porvi fine. Di conseguenza, Washington non ha fatto nulla per affrontare le preoccupazioni russe attraverso la diplomazia, per promuovere la cessazione delle ostilità o sostenere i negoziati tra i belligeranti, o per stabilire i termini per risollevare la Russia dalle sue crescenti sanzioni (che alcuni suggeriscono debbano rimanere in vigore per punire la Russia anche se si ritira dall’Ucraina). Ha invece trascorso gli ultimi otto anni ad addestrare ed equipaggiare le forze ucraine per combattere la Russia e i separatisti a Donetsk e Lugansk. Ha sostenuto con forza la resistenza ucraina all’aggressione russa, suggerendo al contempo che potrebbe opporsi a un accordo ucraino con Mosca, che considera troppo favorevole alla Russia. Queste politiche non mirano a produrre una pace. Mirano a sostenere la guerra finché ci sono ucraini disposti a morire in combattimento con i russi.
C’è appunto molta confusione su quale sia il vero obiettivo dell’amministrazione Biden in Ucraina. Per ora si è limitata a fornire armi a Kiev, oltre ad addestrare le truppe ucraine e ad approvare sanzioni economiche sempre più dure. Qual è il suo punto di vista al riguardo?
Nel 2008, l’amministrazione di George W. Bush ha dichiarato la sua intenzione di portare l’Ucraina nella NATO. Questo è stato correttamente visto sia dai russi, sia dagli ucraini, come la dichiarazione di una sfera di influenza americana informale in Ucraina, in attesa della sua formalizzazione attraverso la sua incorporazione nella NATO. Nel 2014, quando il governo ucraino eletto sembrava sul punto di accettare una posizione filo-russa o neutrale tra la Russia e il resto d’Europa, gli Stati Uniti ne incoraggiarono il rovesciamento. L’obiettivo degli Stati Uniti non è semplicemente quello di negare che l’Ucraina rimanga in una una sfera di influenza russa, ma la sua inclusione nella sfera di influenza degli Stati Uniti rappresentata dalla NATO.
Bè, quindi potrebbe esserci un’ulteriore escalation dopo quello che è successo a Bucha? C’è il rischio che il conflitto si espanda oltre i confini dell’Ucraina?
Ogni guerra è un crimine che produce atrocità. Quello che è successo a Bucha è stato un abominio e merita un’indagine approfondita e obiettiva. Tali indagini, tuttavia, sono state bloccate in altre guerre recenti, anche da parte degli Stati Uniti, che si sono rifiutati di sottoporsi al controllo internazionale delle proprie azioni. Non c’è motivo di credere che né la Russia né l’Ucraina si dimostreranno più collaborativi con le indagini sul loro comportamento nella periferia di Kiev. Gli orribili omicidi di Bucha alimentano l’indignazione e la frenesia bellica che ha preso piede in Europa e Nord America. L’aumento della temperatura emotiva, come ha fatto Bucha, sostituisce la ragione con la rabbia e incoraggia un’escalation in risposta all’aggressione russa. Ciò rischia a sua volta di provocare le contro-azioni russe, che potrebbero espandere la guerra ad altre parti d’Europa o addirittura portare la Russia a usare armi nucleari tattiche.
Sì, ma chi sta vincendo la guerra in Ucraina? La Russia riuscirà a raggiungere i suoi obiettivi?
È troppo presto per prevedere l’esito di questa guerra. Chiaramente, la Russia ha raggiunto il suo obiettivo di bloccare l’adesione dell’Ucraina alla NATO. Ha anche portato a casa degli ucraini la spiacevole realtà che il loro paese non può prosperare o essere sicuro se ha una relazione ostile con Mosca. Sembra esserci una forte possibilità che gran parte delle aree di lingua russa nel Donbas che sono state attaccate da Kiev dal 2014 vengano ora separate dal resto dell’Ucraina. D’altra parte, il presidente Zelensky, che è stato eletto a capo di uno stato, ora guida una nazione. L’aggressione russa ha rafforzato la volontà ucraina di avere un’identità separata dalla Russia che quest’ultima cercava di cancellare.
La Russia ha iniziato questa crisi con una diplomazia coercitiva. Ha ammassato truppe al confine con l’Ucraina e ha chiesto un negoziato con gli Stati Uniti per produrre un sistema di sicurezza europeo che la rassicurasse e non rappresentasse una minaccia. Gli Stati Uniti hanno respinto tale negoziato e hanno insistito sul diritto dell’Ucraina di sfidare la Russia aderendo alla NATO, anche se nessuno credeva che avesse le carte in regola per entrarvi. L’invasione russa non è stata preceduta dalla collocazione di supporto logistico o da alcuno sforzo per radunare truppe russe a sostegno di una missione specifica. Ha tutte le caratteristiche di una reazione impetuosa del presidente Putin al rifiuto degli Stati Uniti e della NATO di impegnarsi nella diplomazia nel discutere e affrontare le sue preoccupazioni. Penso che sarà visto come il peggior errore strategico della Russia da quando lo zar Nicola II decise nel 1904 di fare guerra al Giappone. Non è andata bene per lo Zar.
Parliamo delle cause di questa guerra. Secondo alcuni politologi, tra cui John J. Mearsheimer dell’Università di Chicago, l’espansione della NATO a est ha provocato la reazione russa. Lei è d’accordo con questa lettura?
La Russia si è opposta a gran voce all’allargamento della NATO dal 1994 in poi. In 28 anni, sia Eltsin che Putin hanno avvertito che, se le preoccupazioni della Russia fossero state ignorate, Mosca avrebbe reagito violentemente. Gli Stati Uniti hanno scelto di ignorare questi avvertimenti. Ignorare le obiezioni espresse con vigore da una grande potenze a ciò che percepisce come politiche ostili è un errore. Questa è stata la causa principale dell’uso russo della forza per ottenere ciò che non poteva ottenere con la diplomazia. Detto questo, la decisione di Mosca di invadere l’Ucraina non è stata solo riprovevole ma stupida.
Alcuni sostengono che Vladimir Putin voglia resuscitare l’impero sovietico e che in futuro potrebbe invadere altri Paesi oltre all’Ucraina. È vero?
Qualsiasi Paese che viene escluso dal trattare le questioni di grande importanza per la sua sicurezza sarà infelice e incline al revanscismo. Il Congresso di Vienna ha conferito alla Francia post-napoleonica il ruolo nella governance europea che il Congresso stesso le aveva conferito. Ciò ha prodotto cento anni di relativa pace. La decisione di ostracizzare la Germania e accettare il non coinvolgimento sovietico nella gestione della pace e della stabilità europea dopo la prima guerra mondiale ci ha dato la seconda guerra mondiale e la guerra fredda. La Russia ha bisogno di ragioni per aiutare a sostenere una pace europea e per astenersi dall’aggressione contro i suoi vicini. Ciò non è impossibile, ma non può essere ottenuto rianimando ed espandendo la NATO come minaccia per la Russia. Abbiamo bisogno di un rinnovato Concerto d’Europa. Abbiamo gli statisti per raggiungere questo obiettivo? Abbiamo bisogno di loro.
Conosce molto bene la Cina e l’Asia, avendoci lavorato come diplomatico. Come decifrare la posizione di Pechino in questa guerra?
Pechino, come l’India e altri paesi al di fuori della regione atlantica, vede questa guerra come una guerra condotta per procura tra Russia e Stati Uniti. La Russia è un vicino con cui ha buoni rapporti. Gli Stati Uniti sono un Paese lontano che ha recentemente fatto di tutto per dimostrare la sua ostilità alla Cina. Per la Cina, la scelta di evitare di allinearsi con gli Stati Uniti e di mantenere buone relazioni con la Russia è ovvia. Detto questo, la Cina non ama le sfere di influenza, ha notato il crescente allineamento della NATO nei suoi confronti e non è in grado di deviare la Russia di Putin dal suo corso antiamericano, con il quale è in profonda simpatia. A mio avviso, l’incertezza a cavallo della questione ucraina da parte della Cina ha più a che fare con la deplorevole condizione delle relazioni sino-americane che con le affinità tra Cina e Russia.
Ultima domanda: possiamo dire che questa guerra rappresenta la fine della globalizzazione?
La prima ondata di globalizzazione fu cancellata dalla prima guerra mondiale. Nella Guerra fredda che seguì la seconda, la globalizzazione era incompatibile con la divisione del mondo in blocchi concorrenti americani e sovietici. La globalizzazione del dopo Guerra Fredda ha arricchito tutti coloro che vi hanno partecipato. Nella guerra in Ucraina, abbiamo appena assistito alla fine del periodo successivo alla Guerra Fredda, alla fine del secondo dopoguerra e all’era di Bretton Woods, alla fine della pace in Europa e alla fine del dominio globale euro-americano. Le sanzioni ora divideranno il mondo in ecosistemi in competizione per finanza, tecnologia e commercio. Difficilmente possiamo immaginare le implicazioni di una tale trasformazione.
Caschi bianchi… servitori obbedienti transfrontalieri
https://youtu.be/t4RVekf11kc
Testo: Mosca afferma che gli elmetti bianchi sono una organizzazione terroristica che partecipa ai combattimenti in Ukraina utilizzando gli esperimenti effettuati in Siria e con l’appoggio dei media occidentali.
La Zacharova afferma con forza che è chiaro che l’organizzazione partecipa facendo provocazioni in Ucraina. Il nuovo passaggio dell’Occidente è quello di ripetere lo schema terroristico a giustificazione della guerra in Siria.
Immagini degli elmetti bianchi sono ancora nell’immaginazione delle persone riguardo alle operazioni di guerra chimica contro i civili …
VIDEO QUI: https://youtu.be/t4RVekf11kc
FONTE: http://sana.sy/en/?p=269526
Gli eventi sul campo e in tutta la comunità diplomatica coinvolta nel conflitto ucraino sono sorprendentemente simili.
L’ex ambasciatore delle Nazioni Unite per gli Stati Uniti e prima segretaria di Stato donna non mancherà in Medio Oriente. Il legame tra la sua eredità in Jugoslavia, Iraq e Ucraina non vedrà i regni ricchi di petrolio del Golfo in fila per scrivere il suo elogio
Con la morte di Madeleine Albright coperta da gran parte dei media occidentali, seguita dall’anniversario dell’assedio di Sarajevo, ci viene in mente la sua eredità nell’ex Jugoslavia e come lei, insieme a Richard C. Holbrook, Warren Christopher e Peter Galbraith, alla fine convinse Bill Clinton a lanciare la leva sugli attacchi aerei della NATO.
Gli eventi sul campo e in tutta la comunità diplomatica coinvolta nel conflitto ucraino sono sorprendentemente simili poiché vediamo il presidente Zelensky costantemente implorare e arringare i leader occidentali per imporre una no fly zone, che potrebbe probabilmente portare a una campagna aerea in seguito. La differenza è che Biden è debole e ha troppa paura di Putin, mentre Clinton non ha avuto lo stesso dilemma con Milosevic, che era facile da prepotente sul campo di battaglia.
Proprio come il primo ministro bosniaco, Haris Silajdzic, telefonava regolarmente al Segretario di Stato Warren Christopher nel 1994 per dirgli che la NATO doveva portare avanti una campagna di bombardamenti contro le posizioni serbe, Zelensky fa anche le stesse chiamate chiedendo l’irrealistica no fly zone.
La decisione di iniziare attacchi aerei nell’ex Jugoslavia ha cambiato il corso della guerra e alla fine ha portato all’Accordo di Dayton firmato più tardi nel 1995, nonostante la sua base fosse una bugia, proprio come in Iraq nel 2003. Tuttavia, è interessante notare ciò che Albright è riuscito a fare con Clinton doveva convincerlo che gli attacchi aerei della NATO erano l’ unico modo per affrontare il recalcitrante leader serbo che non avrebbe avuto modo di contrattaccare, così come la minaccia di un’enorme invasione di terra delle truppe statunitensi che, in un colpo di penna , ha cancellato dall’equazione gli inutili soldati delle Nazioni Unite che il più delle volte erano più parte del problema e non della soluzione. Alla fine, le truppe statunitensi non erano obbligate a mettere in riga Milosevic poiché il bombardamento NATO dei serbi bosniaci era molto efficace.
Ma questi erano gli anni ’90. Oggi i leader del Medio Oriente e del mondo arabo in generale osservano quanto siano impotenti sia l’ONU che la NATO in Ucraina e probabilmente vedono poco il confronto con la guerra jugoslava. Tuttavia, ci sono ancora elementi di entrambe le guerre che hanno temi comuni.
Oggi in Ucraina non ci sono truppe delle Nazioni Unite sul campo, un punto raramente se non mai sollevato dai media occidentali o dagli esperti che sono regolarmente sui nostri schermi TV. La guerra in Jugoslavia, durante il periodo di Albright come ambasciatore americano delle Nazioni Unite (e successivamente come Segretario di Stato durante la crisi del Kosovo), ha creato un simile precedente, dato il ruolo ridotto, se non servile, delle truppe delle Nazioni Unite che spesso hanno portato ad essere letteralmente respinte dai bosniaci Soldati serbi?
È difficile da dire, ma ci sono altre lezioni dalla Jugoslavia e dall’eredità di Albright/Christopher che sono agghiaccianti e vale la pena rimuginare.
Bravi e cattivi
È preoccupante l’eccessiva semplificazione e il totale abbandono dei fatti e del contesto storico nel trattare con Milosevic volti a dare ai diplomatici, come Albright, un percorso più chiaro per trovare una soluzione . Milosevic non era molto ricettivo all’egemonia degli Stati Uniti e quindi è stato immediatamente liquidato come il cattivo e la radice di tutti i problemi – che era una narrativa che ha funzionato molto bene per i media statunitensi, gli americani e l’Occidente in generale, anche gli europei che sapevano più della storia e della situazione. I croati, nonostante abbiano una sensazionale eredità di essere i più grandi fascisti del 20 ° secolosecolo e l’omicidio di centinaia di migliaia di serbi durante la seconda guerra mondiale, furono rapidamente accettati come alleati dell’America in modo che intermediari come Albright (una volta chiamato “Clinton hawk”) potessero sembrare rilevanti con il loro ego lasciato intatto. La narrativa era viziata a così tanti livelli che era del tutto accettabile portarla a un altro livello, motivo per cui e come due massacri di mortaio di musulmani a Sarajevo nell’estate del ’95 furono attribuiti ai serbi, poiché anche i media avevano accettato Mentalità Albright/Holbrook/Warren. L’orribile bombardamento del mercato, ripreso su pellicola, era in effetti quello che oggi chiameremmo attacchi “false flag” ed è stato il pretesto per Clinton per spingere per un’intensa campagna della NATO per colpire Milosevic – o più specificamente i serbi bosniaci che lo servivano – duramente .
Siamo stati ingannati in una luce simile in Ucraina? I media occidentali, pigri e complici di accompagnarsi all’eccessiva semplificazione della situazione, riferiscono diligentemente di attacchi che sanno essere una zona grigia e sono sospettosi nel migliore dei casi e ambigui nel peggiore? L’attentato al teatro Mariupol è vittima di questo stesso giornalismo da call center in cui gli hacker occidentali vogliono colmare le lacune e presentarlo agli umili lettori di tutto il mondo come un’atrocità russa. Come mai, con le sofisticate armi della Russia, colpisce il teatro con centinaia che apparentemente si rifugiano nelle sue cantine, senza riuscire a uccidere un civile, con tutti apparentemente sopravvissuti all’attacco? Anche Reuters deve ammettere nel suo reportage che “Le informazioni sulle vittime sono ancora in fase di chiarimento”.
Quando studi i rapporti, vedi uno schema di MSM che mostra che si tratta di un attacco standard da parte di un esercito spietato (Russia), ma alcune domande chiave rimangono ancora senza risposta, presentando una teoria che non può essere trascurata: il bombardamento è stato di gran lunga organizzato in anticipo -giusti gruppi legati a Zelenksy e messi in scena, in modo da attirare gli Stati Uniti nella stessa mentalità che aveva Clinton nel 1995? In altre parole, un tale massacro potrebbe spingere Biden oltre una linea e giungere alla conclusione che l’Occidente deve intervenire lui stesso per fermare le atrocità?
I pacchi di fake news che vengono elaborati dai giornalisti di tutto il mondo – dalle “uccisioni di Snake Island” da parte dei russi di soldati ucraini che hanno insultato i loro aggressori con abusi verbali (che si sono presentati in seguito vivi e catturati) a un pilota ucraino fittizio per nominare un coppia – vengono prodotti da agenti di pubbliche relazioni in Ucraina, alcuni dei quali lavorano anche come “riparatori” per la BBC. Un esercito di queste persone che stanno producendo immagini e video falsi che vengono inseriti nelle redazioni dei media occidentali sta vincendo la guerra dell’informazione per il presidente dell’Ucraina che ha recentemente chiuso i media che ha affermato essere filo-russi, mentre lascia che “nazionalisti” [leggi l’estrema destra ] i punti vendita continuano.
I musulmani pagano con il sangue
E quindi, non dovremmo elogiare Madeleine Albright perché la sua eredità di diplomazia sciatta e partigiana è stata responsabile di un colosso di bugie su quella che era la realtà del conflitto jugoslavo che stiamo vedendo replicata su scala più ampia oggi in Ucraina. Ha sostenuto la politica interventista degli Stati Uniti per imporre l’egemonia degli Stati Uniti a tutti i costi, indipendentemente dalle vite di milioni di persone che colpisce, spesso con i musulmani che pagano il prezzo più alto. Lei, insieme a Holbrook, ha avuto pochi problemi con gli attacchi sotto falsa bandiera, come quello di Sarajevo nell’agosto 1995, ma ha anche guardato dall’altra parte quando il principale alleato americano, la Croazia, ha compiuto spaventosi atti di genocidio quando i soldati di Tudjman hanno approfittato del serbo bosniaco le forze che erano in ritardo alla fine della guerra per tornare nell’enclave serba di Knin in Croazia costringendo i serbi a lasciare, mentre uccidevano donne anziane che avevano deciso di restare e bruciavano le loro case. E poi c’è stato il tradimento dei croati bosniaci nei confronti del suo cosiddetto alleato, i musulmani, che ha portato anche al massacro di migliaia di persone.
Più tardi, sull’Iraq, chi può dimenticare il commento che ha fatto sulla morte di mezzo milione di bambini iracheni “ne vale la pena”, quando un giornalista le ha chiesto in 60 minuti?
Sembra che l’Occidente e coloro che difendono le sue idee guida americane come Albright non abbiano problemi con i massacri fintanto che vengono effettuati nei confronti dei suoi nemici. Gli Stati Uniti hanno assistito e finanziato gruppi di estrema destra in tutto il mondo come strumento utile per contrastare l’influenza russa e oggi l’Ucraina è il prezzo che paga per la sua ideologia illecita che nella migliore delle ipotesi, come Albright, è obsoleta e poco utilizzata più a chiunque, anche in Medio Oriente. È il nuovo impulso dei leader lì ad abbracciare Assad, come hanno fatto di recente gli Emirati Arabi Uniti accogliendolo con una visita, un’indicazione che la nozione di egemonia statunitense di Albright: bombardamenti, diplomazia delle navette, sostegno a gruppi di estrema destra e incoraggiamento di attacchi sotto falsa bandiera contro innocenti Musulmani – è finita, o sta per essere ripetuto nel prossimo conflitto nella regione in cui alcuni potrebbero chiedere assistenza alla Russia? L’eredità di Albright sarà macchiata nei libri di storia dalla sua complicità con la disinformazione che ha trascinato gli Stati Uniti in una guerra in Jugoslavia, che ha sostenuto i neonazisti in Croazia e i loro orrendi omicidi e in seguito il massacro di quasi 400.000 civili in Iraq (per non parlare 4.550 militari americani). Questa stessa formula viene utilizzata dai leader ucraini per trascinare Biden nel conflitto lì mentre i leader del Medio Oriente osservano con gioia e imparano come usare l’America per combattere le tue guerre per te. 000 civili in Iraq (per non parlare dei 4.550 militari americani). Questa stessa formula viene utilizzata dai leader ucraini per trascinare Biden nel conflitto lì mentre i leader del Medio Oriente osservano con gioia e imparano come usare l’America per combattere le tue guerre per te. 000 civili in Iraq (per non parlare dei 4.550 militari americani). Questa stessa formula viene utilizzata dai leader ucraini per trascinare Biden nel conflitto lì mentre i leader del Medio Oriente osservano con gioia e imparano come usare l’America per combattere le tue guerre per te.
FONTE: https://www.strategic-culture.org/news/2022/04/17/madeleine-albrights-legacy-lives-on-as-false-flag-attacks-and-fake-news-comes-straight-from-yugoslav-war-handbook/
La guerra fredda 2.0 e i destini del mondo
Il primo tempo di questo nuovo capitolo di quella che papa Francesco ha ribattezzato la “terza guerra mondiale a pezzi” è stato vinto a mani basse dagli Stati Uniti. Uno a zero per la squadra a stelle e strisce, che con uno schema di gioco basato sulla pressione concentrica e mirante all’istigazione al suicidio ha spinto un avversario esasperato, la Russia, ad un clamoroso autogoal.
Vladimir Putin avrebbe vinto la partita per l’Ucraina soltanto preferendo la diplomazia alle armi. Ma Joe Biden, un veterano della Guerra fredda, nella consapevolezza del bottino in palio e delle probabili implicazioni a livello macro di una guerra offensiva, ha ingegnosamente creato i presupposti affinché si concretasse lo scenario più cupo e remoto: la trasformazione del conflitto da spettro agitato come spauracchio in sede negoziale, come nella primavera 2021, a ineluttabile e irreparabile realtà. Una realtà utilizzabile, ed effettivamente utilizzata, per prendere un secondo piccione con la fava ucraina: l’Unione Europea (UE).
Se è vero che questo primo tempo è indiscutibilmente andato agli Stati Uniti, i quali, senza colpo ferire, hanno indotto in stato ipnagogico il partito europeo della distensione e dell’autonomia strategica, catalizzando contemporaneamente la brzezinskiana “espulsione della Russia in Asia”, lo è altrettanto che non si può veicolare l’idea che tutto sia terminato a Kiev la notte del 24.2.22. Perché non c’è nulla di più permamente della transitorietà. E Perché Kiev, de facto, è stata ed è ultima e prima fermata di una miriade di eventi, fenomeni, tendenze e processi destinati a sconvolgere nel profondo l’ordine globale.
A Kiev, la notte del 24.2.22, sono state gettate definitivamente le fondamenta di un’epoca a lungo in fermento: quella del multipolarismo. Kiev è il luogo in cui si è scritta la prima parte di questo nuovo capitolo della terza guerra mondiale a pezzi, ed è il luogo che innescherà e plasmerà la conformazione della seconda. E siccome la globalizzazione ha compresso lo spaziotempo, sveltendo ogni fenomeno e processo – come ben esplicato dal politologo Salvatore Santangelo –, ciò significa che è già il momento di pensare al dopo, al domani, a cosa potrebbe accadere nel corso del secondo paragrafo di questa partita-chiave della transizione multipolare.
Il primo tempo: scritto e deciso da Biden
L’obiettivo dell’amministrazione Biden, che vanta al suo interno degli strateghi altamente preparati come Antony Blinken e Victoria Nuland – tra i registi di Euromaidan –, era quello di incitare Putin esasperandolo. Esasperare per prendere due piccioni, Russia e Ue, con una fava, l’Ucraina. Una strategia basata sull’intransigenza, con un trascurabile margine di errore, alla quale la storia ha dato rapidamente ragione e che è destinata a fare scuola. Vincere senza combattere, o meglio: vincere facendo combattere qualcun altro.
Biden aveva inserito nel proprio calcolo la reazione tremenda ma avventata, cioè disorganizzata, di un Putin accecato dalla rabbia e impossibilitato a ritirare quella forza potenziale dispiegata ai bordi dell’Ucraina nel contesto di una diplomazia delle cannoniere. Perché tirarsi indietro senza aver ottenuto nulla, dopo mesi di stallo con l’Alleanza Atlantica e di indifferenza da parte americana, avrebbe danneggiato la credibilità e l’immagine del Cremlino nel mondo, in particolare nella Repubblica Popolare Cinese.
Invadendo, e dunque agendo secondo il copione scritto da Biden, Putin è stato il testimone di una pioggia di maxi-sanzioni, rappresaglie multidimensionali e conseguenze fisiologiche, tanto dure quanto prevedibili – e che avevamo previsto –, tra le quali lo spegnimento del Nord Stream 2, il possibile allargamento dell’Alleanza Atlantica a Finlandia e Svezia, il tranciamento del cordone ombelicale della GeRussia, l’espulsione dall’euromercato dell’energia e la piantatura di semi della discordia nella cerchia di potere putiniana e nello spazio postsovietico. Come effetto derivato, inoltre, l’immediato rallentamento dei processi di autonomia strategica europea, l’indebitamento del potere contrattuale dell’euro e, in sintesi, il consolidamento dell’”Impero europeo dell’America” – cioè di un’Europa sotto l’ombrello di Washington.
Ma la partita è tutt’altro che conclusa: il secondo tempo deve ancora cominciare e assomiglierà più ad un confusionario campionato, ad un bellum omnium contra omnes, che ad un uno contro uno.
Il ruolo di Ue e Nato
La guerra in Ucraina potrebbe traghettare l’Alleanza Atlantica alle porte di San Pietroburgo, possibilitandole l’egemonizzazione totale del Baltico e una più ampia esposizione nell’Artico, qualora Svezia e Finlandia dovessero decidere di farvi ingresso. Simultaneamente, grazie alla ricucitura dello strappo con l’Ue – a mezzo della messa in letargo del partito della distensione e dell’autonomia strategica –, gli Stati Uniti potranno delegare al riammansito junior partner l’onere-onore del contenimento della Russia in maniera tale da potersi dedicare adeguatamente alla vera sfida sistemica di questo XXI secolo: il rinato Impero celeste di Xi Jinping.
Nell’Artico, un mackinderiano cuore della Terra in divenire, attività militari, operazioni di disturbo e competizione di vario tipo torneranno ai livelli guerrafreddeschi del secondo Novecento. Gli occhi di tutti sono puntati su Helsinki e Stoccolma, sul ritorno della flotta di Sua Maestà nelle acque gelide del polo nord, sui cavi sottomarini tranciati (probabilmente) dai sabotatori russi, ma il secondo tempo imporrà l’entrata a gamba tesa nelle dinamiche internazionali di due attori ai margini per scelta: Reykjavik e Copenaghen.
La pace in Europa è finita, la temperatura nell’Artico è destinata ad aumentare – e non soltanto per il cambiamento climatico –, e questo non potrà non avere effetti sulla politica estera e sulla dottrina securitaria della pacifica Islanda e della vulnerabile Danimarca, due giocatori la cui collocazione geografica dota la “grande armata occidentale” di profondità strategica nelle terre dell’Artide. Il loro ingresso, però, potrebbe non essere privo di traumi, contraccolpi e amare sorprese, dalla radicalizzazione del nazionalismo groenlandese e faroese all’incremento di sabotaggi e operazioni ibride lungo la tratta Nuuk-Reykjavik-Tórshavn-Copenaghen.
L’Ue, nel caso in cui il partito della distensione e dell’autonomia strategica a trazione franco-tedesca venisse schiacciato dall’oltranzismo atlantistico della triade Londra-Varsavia-Vilnius, assumerebbe la forma di un ariete in funzione antirussa in una varietà di teatri geopolitici, in primis Balcani e Mediterraneo, e settori, dalla diplomazia all’energia, diventando una sorta di 51esimo stato degli Stati Uniti e sperimentando un’epidemia di incendi nelle periferie di cui è ricca, come regioni autonome e distretti d’oltremare, ed è circondata, in particolare nella penisola balcanica.
La voce ai muti
Non è facile stabilire quando l’arbitro abbia fischiato l’inizio del primo tempo, perché ogni politologo e analista ha un’opinione diversa in merito – per alcuni è stato l’intervento Nato in Serbia del 1999, per altri l’edizione 2007 della Conferenza sulla sicurezza di Monaco, mentre altri ancora puntano il dito a Georgia 2008 o ad Euromaidan –, ma è certo che la sua fine sia stata emblematizzata dall’accresciuta georilevanza delle periferie e dalla guerra in Ucraina.
Nell’attesa che cominci il secondo tempo della partita egemonica del XXI secolo, la cui posta in palio è la (ri)definizione dell’assetto polare del sistema internazionale – rivitalizzazione dell’unipolarismo o ascesa del multipolarismo? O, magari, un nuovo bipolarismo? –, alcuni segnali premonitori di ciò che attende il mondo oltre l’orizzonte sono stati e stanno venendo lanciati da spalti e spogliatoi, ovvero da chi, sino a ieri, è stato mero osservatore degli eventi.
Negli spalti, cioè a livello di spettatori, potenze-chiave come Brasile e India, senza trascurare le petromonarchie arabe e gli attori principali dell’islamosfera, hanno rifiutato di aderire alla “guerra economica totale” dell’Occidente alla Russia e, così facendo, hanno influenzato il comportamento adottato dal loro vicinato. Comune il denominatore della riluttanza dei “giganti insospettabili”: l’essere in sintonia con l’agenda di destrutturazione dell’ordine mondiale liberal-occidentale dell’asse Mosca-Pechino, che ha nella lotta alla dollarocrazia e nel ridimensionamento della proiezione imperiale americana i suoi capisaldi.
Tra spogliatoi e panchine, ovvero a livello di jolly da sfoderare al momento del bisogno e di cortili di casa da salvaguardare, sia l’Occidente sia il blocco sinorusso hanno assistito a degli eventi eloquenti nel corso della guerra in Ucraina. La riaccensione del fuoco mai spento tra Serbia e Kosovo, simbolizzato dall’arrivo di armamenti cinesi nella prima e dalla richiesta di aderire alla Nato del secondo. Il cambio ai vertici del potere in Pakistan. La crisi in Corsica. Il risveglio della Transnistria. Il raddoppio della puntata cinese sulle Isole Salomone. Le mosse russo-cinesi tra Atlantico e Latinoamerica. Una periferia per un’altra. La teoria guevarista dell’accensione del fuoco applicata alle relazioni internazionali: appiccare un incendio ad un edificio nella speranza-aspettativa che si estenda all’intero quartiere.
Dai Balcani al Pacifico, senza trascurare Africa e regione MENA, molto di quanto sta avvenendo in termini di asce di guerra disseppellite e nuovi conflitti è inquadrabile nel medesimo contesto, nel calderone delle periferie al centro. E questo insieme di eventi sembra preludiare ad un secondo tempo protagonizzato dagli attori marginali, dai rimasugli coloniali e dagli stati fantoccio disseminati dentro e fuori gli spazi vitali delle grandi potenze, dalla Latinoamerica all’Indo-Pacifico, passando per la stessa Europa.
Tracciare una rotta: perché l’ordine globale va rifatto
L’ordine globale in questa fase si trova a un crocevia decisivo. Sono saltati tutti gli schemi che tenevano anche solo minimamente coeso il sistema-mondo. Il risveglio del conflitto in Europa, la guerra economico-valutaria totale, il ruolo delle terze parti che stanno a guardare, l’uso a fini offensivi delle risorse da parte della Russia e la weaponization di pressoché ogni apparato di governo della Globalizzazione da parte di Russia o Occidente lasciano presagire che qualcosa si è rotto.
Nell’era globale torna il conflitto tra Stati di tipo vestfalico, l’ONU è morta e non sarà la volontà degli Stati Uniti di ridimensionare il peso russo al suo interno a salvarla. Ci sono sei settimi dell’umanità che, piaccia o meno, non la pensano come l’Occidente. E questo va tenuto in conto. Anche l’ordine economico rischia la volatilità di fronte a crisi energetica, inflazione e guerra economica. Ora più che mai servirebbe una nuova Bretton Woods che faccia sedere attorno a un tavolo gli attori emergenti.
nfine, il ruolo dei pontieri per la pace in Ucraina, come Israele e Turchia, pone il problema delle alleanze a geometria variabile e della graduale regionalizzazione dell’ordine globale in un sistema a isole in cui singole potenze coltivano agende indipendenti. Mirando, dunque, a massimizzare il loro protagonismo.
La transizione è avviata e non sarà facile seguirne le rotte. Quel che è certo è che ora appare più probabile lo sdoganamento del G-Zero: una fase di grande imprevedibilità sistemica. Parafrasando Antonio Gramsci, “un ordine globale è tramontato”. Ma ancora non si vedono che gli abbozzi di quello che sorgerà dopo l’Ucraina.
FONTE: https://it.insideover.com/politica/la-guerra-fredda-2-0-e-i-destini-del-mondo.html
CULTURA
SIC TRANSIT GLORIA MUNDI
Francesca Sifola
Era in uno stato di perenne agitazione. La causa della sua continua ebollizione interiore, oltre al prossimo, era dovuta a ogni inevitabile sventura: la caduta di un bottone, una goccia di galestro così sprecata per cucinare le polpette, il latte Bema finito troppo presto, l’acqua del proprio bicchiere bevuta dalla sua donna che aveva osato attingervi, il polline dei fiori pianto per le sue allergiche narici… Queste erano le sventure in cui incorreva con maggiore frequenza, con rare tregue e sospiri di sollievo, sostituiti piuttosto dal piacere masochista di pensare che tra una tachicardia, uno sbalzo di pressione e un’asma da polline, per questi continui affanni, stesse infine per rimetterci la pelle.
Allora anche Narciso lo abbandonava. Narciso, proprio colui per il quale era ancora in vita a gratificare le sue sopravalutate forme; colui per il quale ossessionava gli specchi ormai stufi, annoiati dalla sua persona, dai suoi abiti blu, dalle sue camicie a righe, dai suoi calzini bordeaux…
Non osava di fatto cambiare icapi d’abbigliamento perché, in caso contrario, si sarebbe privato di quella forma dalla quale si sentiva così gradevolmente avvolto; di abitudine in abitudine si era parcheggiato in un posto fisso pur nella sua bollente quotidianità.
Il taglio dei capelli con la riga sul lato destro stava ormai da anni molto bene sui suoi occhi verdi e sul viso oliva un po’ schiacciato, ma, che gli era piacevolmente familiare: tutti dettagli, questi, che lo resero più caro e fiducioso amico di se stesso. Tale era il validissimo motivo per cui ogni programma non mantenuto, per l’alterazione di basilari dettagli quotidiani, procurava quella effervescente ebollizione interiore durante la quale le parole che diceva urlando partivano dal ventre e non dal cervello, da un’esplosione viscerale e non dal pensiero, in modo che tutto pareva essersi trasferito nell’ addome in tumulto.
Parlando del più e del meno con smisurata enfasi il collo si tendeva come quello di un gallo per lo sforzo del canto. La sua opinione, sempre giusta, “doveva” raggiungere tutta l’insolente umanità che per altro, di sicuro, non avrebbe compreso quanto le sue ire fossero giustificate dal fatto che solo lui aveva capito come andavano le cose di questo mondo. Ogni essere umano era come l’aria oppressiva e snervante smossa dallo svolazzare inconsulto del polline, quando in primavera si ficcava nelle sue narici, procurandogli quell’ansimare che gli faceva percorrere centimetro per centimetro gli angoli della terra, inspirando ed espirando, inspirando ed espirando … finché non diceva: «Ah, qui sto bene!»
Allora prendeva la sdraio ove si accasciava estenuato, ma avvolto da cinque minuti di pace. Erano minuti di atarassia psyckes, come diceva onorato dalla sua cultura… Oh, dolce suono greco sulle sue labbra così abituate ad articolare urli di sopravvivenza; erano testimoni dell’alta vetta del suo pensare in un attimo eterno, inceneritore di umanità! A questa si sottraeva, incosciente del fatto che per questa sottrazione, anche se troppo breve, le faceva un regalo; come restava tranquilla infatti quell’odiata umanità per il suo ritiro! Ma poi ritornava l’urlo, perché malauguratamente proprio qualcuno di quel repertorio umano era lì, inebetito da quel suo andirivieni dentro e fuori dal mondo, a prestargli ascolto. C’era una lei in attesa che qualcosa di più soffice e meno contratto scivolasse da uno sguardo, da una mano, da una parola più pacata; insomma, una lei in attesa di un prodigio.
Davanti al suo continuo show raggiungeva un orgasmo maggiormente liberatorio di quanto non gli accadesse di provare nell’amplesso con una donna, verso la quale tutti gli interrogativi che ci si può porre, in quanto esponente di una categoria con la quale di solito si desidera entrare in relazione, erano precipitati nell’addome schizzando via dal cervello, perché ogni volta che a una donna si proponeva come amante lo faceva sempre costretto da quello stato di ebollizione interiore.
Ma, incredibile a dirsi, nel pentolone di quell’umanità, in fondo poi davvero così stupida, c’era sempre una qualche lei disposta a riprovarci ancora. Già dal primo incontro qualche segnale era generoso nell’esporre tratti definiti a favore di ciò che sarebbe stato piuttosto un ingorgo che una relazione, piuttosto un crocevia di stati emozionali incivili che, senza rispettare precedenze, si sarebbero fiondati nello stesso momento in poco spazio a urlare l’uno contro l’altro. A nessuna delle donne bloccate in quell’ingorgo venne mai chiara innanzi agli occhi questa immagine così didascalica per poter fuggire; ognuna restava in attesa di un semaforo verde che non giungeva mai, restava finché lui non si bloccava in un altro ingorgo. Ma anche davanti a questo nuovo stato di cose lei era poco lucida non riconoscendo l’unico gesto che avrebbe potuto infine riscattare quest’uomo: il tradimento.
Generalmente il cambio di donna avveniva nei mesi invernali, in uno stato di salute quasi perfetto o per lo meno libero da asma da polline. Questo benessere portava ad amplessi meno frazionati, meno ansimanti, amplessi che lui stesso definiva più “dignitosi”, così che più “dignitoso” nella vita in quel periodo si sentiva anche lui, poiché invece di urlare parlava a voce alta, potendo indurre a pensare che il prodigio di un cambiamento fosse alle porte, un prodigio che si affacciava, spiava, avanzava… ma s’azzoppava in coincidenza con gli inizi di un’altra primavera o con un’altra inevitabile quotidiana sventura. A questo punto era da copione abbandonarsi a violente nostalgie per la donna che aveva preceduto quella di ora e ritornare in preda a una specie di allergia esistenziale. Ricominciava così freneticamente a fare i conti di un bilancio economico in passivo da molti mesi, per il quale faceva strani sogni di vampiri, vecchie sdentate e malattie mortali; al mattino poi, soprattutto se era nel periodo del polline che vagava intorno alle narici, starnutiva con un frastuono che sembrava violentare le nuvole. In attesa che lo struggente formicolio nasale si risolvesse in forma di starnuto, camminava pestando come se volesse penetrare nelle viscere della terra: in quante sabbie mobili era sceso e risalito restando sempre con le suole imbrattate di fango, carnalmente affezionato a esso e contro il quale, pur non potendone fare a meno, continuava a bestemmiare!
Era davvero stufo! E stufa era la sua donna di ora che però restava ancora accanto a lui pronta, sempre sul chi vive, a tamponare i prossimi starnuti e incosciente del fatto che al prossimo inverno lui l’avrebbe sostituita. Fino a questa salvifica stagione avrebbe tutto sofferto e sopportato, in nome di Venere, dea motrice della razza umana che manovra la sua giostra impastando gli esseri con i sogni.
Di fronte a questa dea lui rotolava come una biglia verso i birilli del piacere. La situazione tipo era la segliente: dava teneri baci incoscienti e brevi sulla bocca di lei, veloci baci semi prolungati nella bocca di lei, strana cavità semioscura e umida; leggere toccatine al seno, inspiegabili e femminee protuberanze; sguardo misterioso verso quell’altra cavità molto più misteriosa e oscura della bocca, caverna ancestrale, sede di spiriti maligni, depositaria di irreversibili calamità; restare incinta; sguardo incuriosito al proprio sesso, occhieggiante e imperioso e -“per fortuna” -sano, del quale si stupiva meno solo perché era attaccato al suo corpo invece che a quello di un estraneo.
Che paura però che questa volta, per un morbo improvviso, avesse smesso di saper occhieggiare. Dio che paura! E allora? Allora presto! Bisognava avere subito la conferma che funzionasse proprio come l’ultima volta che era stato messo in moto, e allora presto… movimenti rapidissimi nel sistemare i due corpi, molto disagio per la velocità, ma questo non contava; braccia arrotolate d’improvviso dietro la schiena, finite lì involontariamente e con il rischio di una rottura; «Ahi…» di lei che in modo inopportuno veniva a rallentare la faccenda per l’accaduto, ma poi finalmente l’accordo, anche se solo di posizione, e la ripresa dei piccoli scatti del corpo di lui che si agitava come un palmo di mano sbattuto sulla pasta di una pizza, senza violenza, ma con tecnico ardore, laddove a lui sembrava di penetrare in un vortice e scendere, scendere fino al fatidico, conclusivo e irripetibile, perché rassicurante … «Ah!»
FONTE: https://www.francescasifola.it/francesco-sifola-luna-park/
La metamorfosi della promozione dei libri
Com’è cambiato il mondo dell’editoria nel corso degli anni? A chi ci si affida per la promozione dei libri? Alessandro Orlandi, editor de La Lepre, risponde alla questione in un articolo in collaborazione con La Voce.
Uno degli aspetti della filiera editoriale in più rapido e radicale cambiamento è quello della promozione dei libri. Come far sapere a librai, lettori e addetti ai lavori che un libro è uscito e che vale la pena di leggerlo? Fino a qualche anno fa, questo era compito del distributore/promotore, dell’Ufficio Stampa e delle presentazioni. Due mesi prima dell’uscita del libro i promotori facevano il giro delle librerie con la scheda commerciale, l’Ufficio stampa spediva il libro ai giornalisti e, dopo l’uscita, venivano organizzate varie presentazioni. La risposta dei librai, che prenotavano un certo numero di copie, determinava poi la tiratura del libro.
Questo meccanismo è entrato completamente in crisi. I promotori non dialogano più con i librai, ma spediscono le schede dei libri via mail e i librai quasi mai le leggono (in Italia escono più di 5000 libri al mese); una parte consistente del mercato si è spostata dalle librerie all’acquisto diretto on line tramite piattaforme come Amazon;le vendite dei giornali sono diminuite drasticamente e sempre meno persone si informano attraverso gli articoli delle testate tradizionali; le trasmissioni TV e radio dedicate ai libri sono sempre meno seguite; il meccanismo di promozione degli e-book si sottrae completamente alla logica della promozione dei titoli cartacei. Il progressivo svuotarsi della funzione dei promotori tradizionali è tanto più rilevante per un editore in quanto al distributore/promotore spetta più del 60% del prezzo di copertina di ogni libro venduto, per un servizio che diviene ogni giorno più evanescente.
Oggi la promozione dei libri avviene ormai prevalentemente su internet, attraverso i social, i blog letterari, il passa-parola dei lettori, gli “influencer”, la creazione di eventi legati al libro diffusi attraverso questa rete di contatti, le presentazioni virtuali. Chiamati anche influencer letterario bookinfluencer, si tratta di lettori appassionati, nonché persone di tutte le età che sono state in grado, parlando di libri in rete, di costruire community reali e appassionate, tanto da trainare le preferenze di lettura e veri casi editoriali. Tutto questo, attraverso consigli e recensioni di un libro con video e foto. Se oltreoceano queste figure esistevano già da un po’, in Italia si stanno affermando negli ultimi anni. Parlare di libri in rete, esponendosi in prima persona, non è cosa semplice. Ci vuole una certa conoscenza dell’argomento, è indispensabile aggiornarsi, conoscere i classici, sviluppare un proprio linguaggio, ma anche leggere tanto.
Bisogna anche valutare il fatto che un lettore è “forte” se supera i 10 volumi all’anno, quindi è chiaro che con soli dieci libri letti in 12 mesi, nessun influencer potrebbe costruire una community e un confronto di successo. Ci vuole tempo, competenza e dedizione, ed è questo che colpisce del fenomeno dei book influencer: si tratta di persone che accumulano follower con le loro capacità e con il loro cervello, coltivando community reattive e compatte. Sul loro ruolo, si schierano grandi fazioni di pro e di contro. C’è chi non prende sul serio il loro lavoro e chi trova in questa innovazione un vero e proprio punto di riferimento. Un editore può tuttavia anche agire su alcune caratteristiche degli stessi libri che pubblica per riuscire a promuoverli. La stessa casa editrice dell’Orlandi, La Lepre Edizioni, ritiene che se una casa editrice caratterizza i propri libri sia dal punto di vista dei contenuti che da quello estetico e qualitativo, tracciando una linea di ricerca riconoscibile, allora ogni nuovo libro, anche di un autore sconosciuto, ha una chance in più di venire scelto dai lettori. Il tutto orientando le proprie scelte su un’ampia linea editoriale (non ristretta a un unico genere) e sulle scelte estetiche accompagnate dalla comunicazione; naturalmente, senza dimenticare la “mercurialità” ( ad esempio, il logo de La Lepre cambia posizione e aspetto ogni collana, a scandire l’importanza della continua trasformazione e della poliedricità). Insomma, resta ancora un ampio dibattito su chi abbia il predominio nel mercato della promozione dei libri, ma la cosa fondamentale è che il mercato editoriale e quello dei bookinfluencer uniscano le proprie forze in funzione dell’amore per la letteratura.
Carlotta Casolaro
Alessandro Orlandi
FONTE: https://www.lavoce.online/2020/09/22/la-metamorfosi-della-promozione-dei-libri/
GUERRA E PACE: LA LEZIONE DI SERGIO COTTA
Sergio Cotta è stato uno dei padri della filosofia del diritto in Italia. Ha insegnato questa materia per decenni. Le sue vaste ricerche sono state orientate sul versante conservatore. Ha compiuto studi approfonditi sulla dinamica dell’agire politico in rapporto alla morale. Leggere il suo pensiero consente di arricchire e completare le attuali e prevalenti ricerche di natura geopolitica ed economica, con una prospettiva eminentemente storica e filosofica. Il suo libro Dalla guerra alla pace – oggi di grande attualità – è stato pubblicato nel 1989. La teoria è improntata alla ricerca delle origini della guerra considerata dall’autore uno stato eccezionale, tenuto conto che la pace è una condizione connaturata all’uomo. Una sua riflessione afferma che la pace non viene “pensata”, ma è concepita da sempre come una sospensione della guerra rivestendo un significato negativo.
Il testo ha quindi lo scopo di confutare questa concezione della pace come una parentesi, procedendo a una analisi del pensiero antico, da Sant’Agostino per arrivare a Leibniz. Si discosta così da Eraclito il cui pensiero si appoggia sulla contesa che è il fondamento della guerra, dove l’altro è un nemico da annientare e non una controparte con la quale negoziare, trovare un accordo, una sintesi di diverse visioni del mondo in un confronto pacifico. Sergio Cotta ribadisce il grande e intramontabile valore della fiducia reciproca, della cooperazione e della fratellanza ispirata ai valori cristiani, ma che ha significato anche in una prospettiva laica. Il volume è oggi di grande attualità dal punto di vista etico e umanistico in un’epoca – quella attuale – che è costituita da una cultura di morte.
Il testo si articola in due parti che contengono sette capitoli per un totale di 186 pagine. La trattazione inizia con il polémos di Eraclito, prosegue con i concetti giuridici della guerra come trasgressione e diffusione della paura sulla quale si fonda qualsiasi sistema di potere antidemocratico. Si giunge alla conclusione che la pace è la condizione umana più autentica. La pace si tutela mediante un’architettura giuridica del diritto all’esistenza. Un bel libro da leggere con calma per comprendere lo spirito di una contemporaneità vittima del caos, della falsificazione, dell’eclisse dell’analisi culturale per lasciare il posto alla paralizzante paura. Un libro che deve essere ristampato al più presto! Buona lettura a coloro che riusciranno a trovarne una copia.
“Dalla guerra alla pace” di Sergio Cotta, Rusconi 1989, 186 pagine
LA RAZZA IN ESTINZIONE
di Gaber – Luporini
Non sopporto neanche le cene in compagnia
E coi giovani sono intransigente
Di certe mode, canzoni e trasgressioni
Non me ne frega niente
E sono anche un po’ annoiato
Da chi ci fa la morale
Ed esalta come sacra la vita coniugale
E poi ci sono i gay che han tutte le ragioni
Ma io non riesco a tollerare
Le loro esibizioni
E fa il professionista del sociale
Ma chi specula su chi è malato
Su disabili, tossici e anziani
È un vero criminale
Ma non vedo più nessuno che s’incazza
Fra tutti gli assuefatti della nuova razza
E chi si inventa un bel partito
Per il nostro bene
Sembra proprio destinato
A diventare un buffone.
Di una razza
In estinzione.
Le strade, le piazze gremite
Di gente appassionata
Sicura di ridare un senso alla propria vita
Ma ormai son tutte cose del secolo scorso
La mia generazione ha perso.
Odio anche i giornali e la televisione
La cultura per le masse è un’idiozia
La fila coi panini davanti ai musei
Mi fa malinconia.
E la tecnologia ci porterà lontano
Ma non c’è più nessuno che sappia l’italiano
C’è di buono che la scuola
Si aggiorna con urgenza
E con tutti i nuovi quiz
Ci garantisce l’ignoranza.
Non faccio neanche il tifo per la democrazia
Di gente che ha da dire ce n’è tanta
La qualità non è richiesta
È il numero che conta
E anche il mio paese mi piace sempre meno
Non credo più all’ingegno del popolo italiano
Dove ogni intellettuale fa opinione
Ma se lo guardi bene
È il solito coglione
Di una razza
In estinzione.
Migliaia di ragazzi pronti a tutto
Che stavano cercando
Magari con un po’ di presunzione
Di cambiare il mondo
Possiamo raccontarlo ai figli
Senza alcun rimorso
Ma la mia generazione ha perso.
Che è il paradiso di ogni multinazionale
E un domani state pur tranquilli
Ci saranno sempre più poveri e più ricchi
Ma tutti più imbecilli.
E immagino un futuro
Senza alcun rimedio
Una specie di massa
Senza più un individuo
E vedo il nostro stato
Che è pavido e impotente
È sempre più allo sfascio
E non gliene frega niente
E vedo anche una Chiesa
Che incalza più che mai
Io vorrei che sprofondasse
Con tutti i Papi e i Giubilei
È un’idea di chi appartiene
A una razza
In estinzione
VIDEO QUI: https://www.youtube.com/watch?v=BLDCyd0Axik
FONTE: https://www.youtube.com/watch?v=BLDCyd0Axik
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
La guerra dello spettacolo in Ucraina
FONTE: https://www.madaniya.info/2022/04/08/la-guerre-du-spectacle-en-ukraine/
GASHLIGHTING
Il gaslighting può essere una forma di intimidazione o abuso psicologico . Le informazioni false vengono presentate alla vittima come verità, facendole dubitare della propria memoria o percezione nel tempo. [1] Coinvolge una persona o un gruppo di persone che lavorano contro una vittima.
Il modo in cui opera il complesso dei media aziendali , nel nascondere informazioni fattuali e la sua sostituzione con informazioni false o fittizie continuamente ripetitive progettate per confondere e disorientare, è una forma di gaslighting. [2] [3]
Contenuti
Tecniche
Il gaslighting dipende dal convincere la vittima, che il pensiero [della vittima] è distorto e convincere [la vittima] che le idee del carnefice sono quelle corrette. Il gaslighting induce dissonanza cognitiva nella vittima e fa sì che la vittima metta in discussione il proprio pensiero, percezione e test di realtà, e quindi tende a evocare in essa una bassa autostima e idee e affetti disturbanti, e può portare a confusione, ansia, depressione e in alcuni casi estremi, psicosi. Dopo che la vittima perde fiducia nelle proprie capacità mentali e sviluppa un senso di impotenza appresa , diventa più suscettibile al controllo del carnefice.
L’esempio classico del gaslighting è scambiare qualcosa su qualcuno che sai che noterà sicuramente, ma poi negare di sapere qualcosa al riguardo e spiegare che devono immaginare le cose. Una definizione più psicologica di gaslighting è:
Una frequenza crescente di nascondere sistematicamente informazioni fattuali alla vittima e/o fornire false informazioni alla vittima, con l'effetto graduale di renderla ansiosa, confusa e meno in grado di fidarsi della propria memoria e percezione.
Sociopati / Psicopatici / Narcisisti
I sociopatici usano spesso tattiche di gaslighting per abusare e indebolire le loro vittime. [4] Le persone di quella natura trasgrediscono costantemente i costumi sociali, infrangono le leggi e sfruttano gli altri, ma in genere sono anche bugiardi convincenti , a volte affascinanti, che negano costantemente le malefatte. Pertanto, alcuni che sono stati vittimizzati dai sociopatici possono dubitare delle proprie percezioni. [5] Alcuni coniugi fisicamente violenti possono accecare i loro partner negando categoricamente di essere stati violenti.
Nel COVID-19
L’ evento COVID-19 è stato caratterizzato da molti gaslighting. All’inizio del 2020 molte persone hanno confuso le narrazioni in continua evoluzione e contraddittorie a causa del panico e della confusione COVID. Tuttavia, con il passare del tempo, molti osservatori hanno rilevato uno schema indicativo di una complessa operazione psicologica . Entro la fine del 2021, la vaccinazione COVID obbligatoria universale era stata identificata come un obiettivo chiave della pornografia della paura e dell’illuminazione a gas.
Caitlin Johnstone sul metodo utilizzato
“Questo è anche il modello per il più grande costrutto di propaganda imperialista , non solo per quanto riguarda la Siria , ma con Russia , Corea del Nord , Iran e qualsiasi altro governo insolente che rifiuta di piegarsi alle agende suprematiste americane. Funziona in questo modo: in primo luogo, i media dell’establishment di proprietà degli oligarchi , che a loro volta sono pieni zeppi di membri del Council on Foreign Relations , usano altri think tank guerrafondai e i propri ingenti finanziamenti per forzare psyop dello stato profondo come Russiagate e ” Saddam ha armi di distruzione di massa” nel diventare la narrativa mainstream. In secondo luogo, usano lo status mainstream e ampiamente accettato di questa narrativa fabbricata per dipingere chiunque lo metta in dubbio come un teorico della cospirazione mentalmente difettoso che indossa un cappello di carta stagnola . È uno schema perfetto. I mass media hanno dato ad alcune élite la capacità di trasformare efficacemente una falsa storia che loro stessi hanno inventato in un fatto accertato così ampiamente accettato che chiunque ne dubiti può essere dipinto esattamente nella stessa luce di chi dubita della rotondità della Terra . L’illusione di un accordo unanime è così completa che l’establishment palese psyopssono posti sullo stesso piano di un fatto scientifico consolidato, anche se è composto da poco altro che esperti altamente pagati che fanno affermazioni autorevoli con toni di voce fiduciosi giorno dopo giorno.
Caitlin Johnstone (12 febbraio 2018) Come la macchina di propaganda dell’establishment ci porta a sottometterci [6]
Citazioni correlate
Pagina | Citazione | Autore |
---|---|---|
Vanessa Beeley | “Il gigantesco apparato di piegamento e controllo della mente viene messo in iper-impulso dall’élite dominante. Siamo inondati di propaganda che sfida il nostro senso della realtà, ma solo dopo essere stati “inteneriti” dal fattore paura. Paura del “ terrore ”, paura della guerra , paura dell’insicurezza finanziaria, paura della violenza armata, paura della nostra stessa ombra. Una volta che stiamo adeguatamente tremando nei nostri stivali, arriva la resa della realtà che allevia la nostra ansia. Se sfidiamo questa versione degli eventi veniamo etichettati come complottisti , una minaccia alla sicurezza . Siamo perseguitati, screditati , calunniati e ridicolizzati. Siamo isolati e minacciati ”. | Vanessa Beeley |
Cass Sunstein | “Una volta che sappiamo che le persone sono umane e hanno un po’ di Homer Simpson in loro, allora c’è molto da fare per manipolarle “. | Cass Sunstein |
Valutazione
Riferimenti
- ↑ https://www.nbcnews.com/better/health/what-gaslighting-how-do-you-know-if-it-s-happening-ncna890866
- ↑ https://21stcenturywire.com/2016/05/26/gaslighting-state-mind-control-and-abusive-narcisism/
- ↑ https://caitlinjohnstone.com/2018/02/12/how-the-establishment-propaganda-machine-gaslights-us-into-submission/
- ↑ https://www.psychologytoday.com/us/blog/understanding-narcissism/201709/are-you-being-gaslighted-the-narcisist-in-your-life
- ↑ https://books.google.com/books?id=PyOjlz_2SG0C&pg=PA94
- ↑ https://caitlinjohnstone.com/2018/02/12/how-the-establishment-propaganda-machine-gaslights-us-into-submission/
FONTE: https://wikispooks.com/wiki/Gaslighting
ECONOMIA
Federico Caffè sulla controffensiva neoliberista degli anni Settanta
Estratto dal libro di prossima uscita “Una civiltà possibile. La lezione dimenticata di Federico Caffè” di Thomas Fazi (Meltemi, 2022).
Alla metà degli anni Settanta, si sviluppò in Italia un fervente dibattito su quelli che nel discorso pubblico erano presentati come i due “mali” del paese: l’inflazione e gli squilibri con l’estero. Per ironia della sorte, la discussione vide confrontarsi da un lato il relatore della tesi di dottorato di Mario Draghi, Franco Modigliani, e dall’altro il relatore della sua tesi di laurea, Federico Caffè.
La tesi di Modigliani, a grandi linee, era la seguente: esiste un unico livello del reddito (in termini macroeconomici) compatibile con la stabilità dei prezzi, dato il livello dei salari reali. Ciò implica che ogni sforzo per accrescere l’occupazione sopra quel tasso determinerà inflazione, anche se non si raggiunge un reddito coerente con il pieno impiego delle risorse. Per questo motivo, l’Italia si trovava attanagliata in una sorta di ciclo infernale inflazione-svalutazione-disoccupazione, di cui il principale responsabile, per Modigliani, era la scala mobile (cioè il meccanismo di indicizzazione dei salari all’inflazione).
Era quindi nell’interesse dei lavoratori stessi, e compito dei sindacati, cancellare la scala mobile, rivedere lo statuto dei lavoratori (che creava “assenteismo”) e accettare un livello salariale più basso, compatibile con la piena occupazione e con l’equilibro dei conti con l’estero. Questo, ammetteva Modigliani, «richiede qualche sacrificio ai lavoratori», ma in cambio la classe operaia avrebbe ottenuto la difesa dell’occupazione, il riassorbimento della disoccupazione e la fine dell’inflazione.
Diametralmente opposta era la visione di Caffè. In uno dei tanti articoli che scrisse in quel periodo, disse di accogliere «con vero smarrimento intellettuale» il fatto che fossero riemerse nel dibattito pubblico e accademico posizioni prekeynesiane secondo cui «la causa della disoccupazione […] risiede in una deviazione dai prezzi e dai salari di equilibrio che si stabilirebbero automaticamente in presenza di un mercato libero e di una moneta stabile». Per Caffè una posizione di questo tipo era del tutto inaccettabile sul piano analitico e, ancor di più, su quello delle sue ricadute concrete; gli era ben chiaro, infatti, che essa implicava, in ultima analisi, «l’abbandono della piena occupazione come obiettivo di politica economica prefissato dai poteri pubblici».
L’indignazione di Caffè di fronte a questo tentativo di revisionismo storico e teorico era tale che durante una lezione dedicata ai quadri sindacali della CGIL abbandonò i suoi toni tradizionalmente pacati per lasciarsi andare a un giudizio particolarmente caustico: «Affermazioni del genere mi danno soltanto il fastidio che provo nel dovermi trovare oggi sotto gli occhi, sui muri, simboli nazisti o antisemiti». Caffè notava, infatti, come «non [fosse] verificato né empiricamente né analiticamente» che una riduzione dei salari, né tantomeno una riduzione del tasso di inflazione, «migliori di per sé le condizioni dell’occupazione: questo è solo un atto di fede». Anzi, la storia – nonché l’apporto teorico di Keynes, ovviamente – dimostravano l’esatto contrario: «di certo c’è solo che una politica di stretta creditizia provoca maggiore disoccupazione».
Senza considerare, poi, la parzialità, se non la malafede, di una lettura che vedeva nelle spinte salariali il principale responsabile delle pressioni inflazionistiche. Una caratteristica della posizione “anti-inflazionista”, notava Caffè, era infatti, «quella di sottovalutare l’importanza di episodi specifici che vengono generalmente collegati all’aumento dei prezzi sul piano mondiale», in particolare «la quadruplicazione dei prezzi dei prodotti petroliferi, a partire dallo scorcio finale del 1973». Non a caso, negli anni Ottanta, con la riduzione del prezzo del petrolio cominciò a rallentare anche l’inflazione, che si riportò su valori analoghi a quelli della seconda metà degli anni Sessanta.
Caffè comprendeva bene quale fosse il vero obiettivo della polemica anti-inflazionista: «mettere indietro le lancette della storia», a un tempo in cui il lavoro era trattato alla stregua di una qualunque altra merce, in cui, cioè, poteva essere acquistato e liquidato secondo le esigenze del datore di lavoro e più in generale del “mercato”; e anzi in cui l’uomo finiva per essere meno degno di considerazione persino dei mezzi non umani del processo produttivo. Insomma, Caffè aveva ben chiaro che la posta in gioco andava ben al di là della semplice scala mobile. In discussione, seppur in maniera implicita, c’era una conquista di civiltà che Caffè, fino a qualche anno prima, riteneva assodata per sempre: la ridefinizione del lavoro, a tappe alterne nel corso del XX secolo e poi in maniera più strutturale dopo la Seconda guerra mondiale, da merce in diritto, il che significava anche e soprattutto il diritto a un’esistenza dignitosa; e insieme il dovere delle autorità pubbliche di garantire il lavoro, per mezzo di politiche (monetarie, fiscali, industriali, sociali ecc.) tese alla piena occupazione.
Nei primi anni del dopoguerra, Caffè si era detto convinto che «l’impegno di promuovere il pieno impiega costituisca […] [una di quelle] svolte oltre le quali diventa imperativo il procedere ed impossibile il tornare indietro». E invece, a trent’anni di distanza, fu costretto a riconoscere che «[s]ono bastati cinquant’anni per dimenticare (o fingere di dimenticare) la intrinseca incapacità del mercato di determinare, con le sue forze spontanee, sia un accettabile livello di occupazione, sia una distribuzione della ricchezza e dei redditi meno sperequata di quanto lo sia nei paesi che si dicono “industrialmente progrediti”».
Caffè osservava con crescente preoccupazione «la riaffermazione», in quegli anni, «di un liberismo economico che spesso confonde la valorizzazione dell’iniziativa individuale con la salvaguardia a oltranza di posizioni privilegiate; l’offuscarsi della concezione di Stato garante del benessere sociale, che spesso si tende a valutare alla stregua di uno Stato acriticamente assistenziale; la tendenza a riabilitare il mercato, trascurandone le inefficienze». Per Caffè si trattava di tesi irricevibili non solo sul piano etico-morale, date le conseguenze pratiche che implicavano per le politiche occupazionali e di welfare, ma anche su quello strettamente analitico. Era semplicemente inconcepibile che «di fronte a una involuzione economica che è stata […] giudicata la più grave dopo quella del 1930, non si trovi nulla di meglio da proporre che “la riscoperta del mercato”».
In tal senso, secondo Caffè, era da considerarsi del tutto priva di fondamento la tesi, già circolante negli anni Settanta, secondo cui quella italiana fosse un’economia “ingessata”, necessitante di essere liberata da “lacci e lacciuoli”. Era semmai vero il contrario: anche nell’Italia degli anni Settanta, «l’entità dei costi sociali non pagati» generati dall’eccessiva enfasi posta sui meccanismi di mercato era «ben più rilevante degli intralci creati da forme, sia pure farraginose, di regolamentazione pubblica».
Particolarmente assurdo, poi, secondo Caffè, era proporre un “ritorno al mercato” nel momento in cui nelle principali economie capitalistiche era in corso «un processo di crescente concentrazione, centralizzazione e organizzazione societaria». Caffè, infatti, faceva notare quanto fossero infondati gli «orientamenti di pensiero» riaffiorati in quegli anni «che, contrapponendo lo “Stato” al “mercato” (secondo una tipica antitesi ottocentesca), attribuiscono agli interventi dei poteri pubblici nella vita economica un carattere perturbatore e destabilizzante. […] Poiché il mercato è una creazione umana, l’intervento pubblico ne è una componente necessaria e non un elemento di per sé distorsivo e vessatorio». Anzi, è vero l’opposto. Caffè comprendeva bene che il capitalismo maturo – tanto nelle sue varianti “progressive” quanto in quelle più regressive, “neoliberali”, che cominciavano ad affermarsi in quegli anni – non può esistere senza un permanente intervento statale.
In questo senso, Caffè comprendeva bene che l’ideologia liberista, almeno nella sua polemica ufficiale contro lo Stato, era da considerarsi poco più che un comodo alibi per un progetto che non puntava a distruggere lo Stato quanto a riconfigurare radicalmente le forme dell’intervento pubblico.
Per lo stesso motivo Caffè contestava l’ideologia del «vincolismo» o dell’«automatismo internazionale», ossia la tesi che cominciò a prendere piede sempre in quegli anni, anche a sinistra, secondo cui la crescente internazionalizzazione economica e finanziaria e il sempre maggior potere delle imprese multinazionali – ciò che oggi chiamiamo globalizzazione – imponeva dei vincoli ineluttabili ai singoli Stati, rendendoli sempre più impotenti nei confronti delle forze del mercato, erodendo la capacità dei governi di decidere in autonomia (cioè a prescindere dalla volontà dei mercati) le politiche economiche e sociali, in particolare quelle di segno progressivo-redistributivo. Caffè, a differenza di molti suoi colleghi, comprendeva bene che la cosiddetta “globalizzazione” non era il risultato di una dinamica intrinseca al capitale o all’innovazione tecnologica che inevitabilmente riduceva il potere statale, ma al contrario un processo attivamente promosso dagli Stati stessi.
Insomma, secondo Caffè, l’esistenza di vincoli oggettivi derivanti dall’economia internazionale non era una premessa ineluttabile. I vincoli, infatti, erano in larga parte autoimposti e «nulla, nell’esperienza umana, costringe all’accettazione [impotente] e fatalistica d’un qualsiasi “vincolo”». Ancor meno giustificata era l’idea secondo cui «le singole economie nazionali [siano] obbligate ad adattarsi ai mutamenti del mondo circostante, anche a costo di subire disoccupazione e depressione». La visione di Caffè era diametralmente opposta: sono i rapporti di un paese con l’estero che devono essere subordinati alle esigenze della collettività e in particolare della piena occupazione, non viceversa.
Va detto che Caffè non era così ingenuo da ricondurre il nuovo clima di opinione affiorato in quegli anni – che invocava la necessità di assoggettare le esigenze della piena occupazione e del welfare state ai “vincoli” ineluttabili dell’economia internazionale – unicamente all’emergere di un nuovo consenso, sostanzialmente prekeynesiano, in ambito accademico. Gli economisti (tanto i neomonetaristi quanto i neokeynesiani) erano semmai gli apologeti, più o meno consapevoli, di quella che Caffè definisce – con stupefacente lucidità, se si considera che il termine non era ancora entrato nel linguaggio comune – una «controffensiva neoliberista», guidata da potenti interessi padronali decisi a ristabilire il loro dominio su una classe lavoratrice rea di essersi emancipata troppo.
In quest’ottica, osservava Caffè, l’enfasi ossessiva sul problema dell’inflazione – che monopolizzò il dibattito politico-economico italiano per circa un decennio dalla metà degli anni Settanta –, e soprattutto la lettura antioperaia che veniva data dal fenomeno, erano da considerarsi funzionali a una strategia che non mirava realmente, o primariamente, a risolvere il problema dell’inflazione stessa, comunque molto meno grave di quanto si voleva far credere (in Israele, ricordava per esempio, l’inflazione era tre volte superiore a quella italiana), ma piuttosto a sfruttarne lo spauracchio per raggiungere obiettivi politici ed economici di ben altra natura: «[O]ggi l’inflazione più̀ che essere combattuta viene strumentalizzata nel senso che evocando questo male dell’inflazione si intendono risolvere molti altri problemi di natura industriale, sindacale, rivendicativa e così via».
Caffè la chiamava «strategia dell’allarmismo economico»: una sorta di equivalente mediatico-narrativo della strategia della tensione di matrice propriamente terroristica utilizzata per destabilizzare il paese in quegli anni.
Di: Thomas Fazi
FONTE: https://www.lafionda.org/2022/04/14/federico-caffe-sulla-controffensiva-neoliberista-degli-anni-settanta/
Vite rubate: dal sogno capitalista al futilitarismo
Crescita del PIL reale pro capite (2007/2021)
Lisa Stanton 19 04 2022
🇺🇸 USA +12.9%
🇩🇪 Germania +10.1%
🇸🇪 Svezia +9.2%
🇨🇭 Svizzera +7.5%
🇧🇷 Brasile +7.5%
🇫🇷 Francia +4.3%
🇯🇵 Giappone +3.8%
🇳🇴 Norvegia +2.3%
🇫🇮 Finlandia 0.5%
🇪🇦 Spagna -4.7%
🇦🇷 Argentina -4.9%
🇮🇹 Italia -8.2%
🇬🇷 Grecia -22.2%
FONTE: https://www.facebook.com/lisa.stanton111/posts/5325637060787860
PANORAMA INTERNAZIONALE
UNA VITA DI LUSSO E CORRUZIONE: L’USO DEL DENARO UCRAINO DA PARTE DI HUNTER BIDEN
In questo periodo l’anno scorso, il quotidiano britannico Daily Mail ha riferito di aver acquistato una copia del disco rigido del laptop di Hunter Biden, che era stato precedentemente scoperto in un’officina di riparazioni del Delaware.
A ottobre 2020, i media statunitensi avevano già pubblicato diverse storie basate sulla corrispondenza trovata sul computer di Hunter. Ma all’epoca la sua autenticità non era confermata, quindi i Democratici chiamarono le informazioni una presunta campagna russa per screditare l’allora candidato Joe Biden.
Il New York Post , che per primo ha pubblicato la storia del computer, ha ricevuto un boicottaggio totale. Le piattaforme social hanno contrassegnato tutte le storie come false e le hanno rimosse dai motori di ricerca. I media hanno seguito la stessa linea di negarne la veridicità.
Dopo che Joe Biden è stato eletto presidente, lui e suo figlio sono andati al contrattacco. Hunter ha pubblicato un’autobiografia dal titolo toccante Beautiful Things . In esso, Hunter interpreta la vittima. Confessa alcune cose, dal momento che non poteva negare lo stile di vita selvaggio, ma tralascia la maggior parte dei dettagli.
Subito dopo la pubblicazione del libro, il British Daily Mail ha iniziato a pubblicare il contenuto verificato di lettere e foto di Hunter Biden che testimoniavano il suo coinvolgimento in attività criminali di traffico di droga e prostituzione. Un enorme archivio di 103.000 messaggi di testo, 154.000 e-mail, più di 2.000 foto e dozzine di video è ricco di rivelazioni scioccanti.
Negli Stati Uniti, non è raro ricevere quel tipo di contenuto sul computer di una persona perché in quel sistema la tossicodipendenza, la prostituzione e l’alcol sono comportamenti normali per troppe persone. Tuttavia, essendo figlio del presidente degli Stati Uniti e conoscendo il contesto bellico in cui ha condotto il governo degli Stati Uniti contro la Russia, è bene ricordare cosa fece Hunter con i soldi che ricevette per i suoi legami corrotti e criminali ( Birisma e biolaboratori ) in Ucraina.
HUNTER HIGH, HUNTER UBRIACO, HUNTER CON PROSTITUTE
Hunter ha creato un metodo che gli ha permesso di dirottare denaro da uomini d’affari stranieri che cercavano di ingraziarsi Joe Biden, quando quest’ultimo era vicepresidente degli Stati Uniti. Oltre a ricevere denaro dalla compagnia del gas ucraina Burisma, il Washington Post ha pubblicato un’indagine che ha confermato i dettagli chiave del rapporto d’affari del figlio di Biden con i partner cinesi. È accusato di aver accettato milioni di tangenti nel 2017-2018 dalla società energetica CEFC.
Hunter ha speso tutti i soldi della corruzione in consumi ostentati: una lussuosa Porsche, un’Audi, un camion Ford Raptor, una Range Rover, una Land Rover, una BMW, un camion Chevrolet, uno yacht da $ 80.000 e abbonamenti a club Elite. Hunter ha anche speso migliaia di dollari in prostitute, alcol e droghe.
Ha scritto numerose donne che si offrono di “uscire e festeggiare” in cambio di denaro. Sul computer sono state trovate foto di bilance su cui Hunter ha pesato il crack , foto di lui con ragazze nude e altri dettagli. Ci sono messaggi dal figlio di Biden a una donna elencata nella sua rubrica come “Oksana Russian” riguardo al pagamento di lei e di un’altra signora $ 2.000. E altre due russe, “Kristina Matveeva e Rimma Elmeeva”, gli hanno mandato sms chiedendo soldi.
Le foto del Daily Mail mostrano Hunter nudo, Hunter drogato, Hunter ubriaco, Hunter con una prostituta, Hunter con una pipa da crack, Hunter con due prostitute e un cane . In compenso lo mostrano con una bocca completamente danneggiata e denti che ricordano quelli dei crack addicted che lo consumano da anni.
Il figlio del presidente degli Stati Uniti ha caricato i video delle sue orge sui siti porno più popolari e per un po’ questi sono stati di pubblico dominio. Circa cinquecento video sono stati registrati e caricati da Hunter Biden.
Nel 2019, Hunter era completamente al verde. Aveva 44 centesimi sul suo conto in banca. Un’e-mail del suo commercialista nell’ottobre 2018 mostra che per quell’anno il suo debito fiscale era ammontato a $ 804.000, inclusi $ 600.000 in tasse personali e $ 204.000 per una delle attività da cui ha ricevuto denaro dalla società: il gas ucraino Burisma.
Quando non poteva più prelevare denaro dal suo conto a causa dei debiti, si è rivolto ai banchieri per $ 20.000 dal conto di risparmio del college di sua figlia, ma è stato rifiutato.
L’UCRAINA LOTTA PER DIFENDERE I VIZI DEL FIGLIO DEL PRESIDENTE BIDEN
Le e-mail mostrano che Hunter era preoccupato di “andare in prigione”. Secondo il Daily Mail, il suo laptop contiene un’e-mail in cui implora suo padre di candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti per salvarsi la reputazione.
“Se non ti candidi alle elezioni, non avrò mai la possibilità di salvarmi”, si legge nel testo del messaggio di febbraio 2019, il cui screenshot cita il Daily Mail . Questo dimostra anche che il presidente americano sapeva tutto di suo figlio. Lo tirava regolarmente fuori dalle follie, lo copriva, mentiva ai giornalisti.
Hunter una volta ha avuto una relazione con la moglie di suo fratello maggiore, che proprio in quel momento stava morendo di cancro. Joe Biden ha quindi approvato la menzogna di Hunter secondo cui la relazione è iniziata solo dopo la morte di suo fratello. I messaggi recuperati dal disco rigido del suo computer mostrano che mentre usciva con sua cognata, aveva anche conversazioni sessuali con sua sorella.
In qualità di vicepresidente alla supervisione dell’Ucraina, Biden Sr. era a conoscenza della nomina di Hunter a una posizione ben pagata in Burisma. E quando la società corrotta è stata interrogata dal procuratore generale ucraino, il vicepresidente degli Stati Uniti è volato a Kiev e ha costretto le autorità ucraine a rimuovere il procuratore generale.
Quindi Hunter non è solo un problema personale per il presidente Biden. È un fattore importante nelle ultime due amministrazioni democratiche, che ha fatto della politica estera di Washington un canale di finanziamento per l’acquisto di droga, prostitute e lussi stravaganti.
Ora che il governo ucraino sta rispettando diligentemente l’ordine degli Stati Uniti di affrontare militarmente la Russia, c’è da chiedersi se valga davvero la pena sacrificare solo così Hunter può comprare un altro colpo e condividerlo con una prostituta sul suo yacht di 80 anni. dollari.
POLITICA
FLORIS BLOCCA GLI APPLAUSI PER GRIMALDI PERCHE’ STABILISCE IN TRASMISSIONE CHE EGLI DICE FALSITA’!
Floris de LA7 si ege a ministro della verità e blocca l’applauso al giornalista Grimaldi
VIDEO QUI: https://www.facebook.com/lafiondarivista/posts/533752144941046
FONTE: https://www.facebook.com/watch/?v=685978495969297
La realtà della guerra, il fantasma dell’opposizione
1- La guerra in corso rivela ed esaspera le dinamiche profonde che hanno determinato la nostra storia a partire dalla dissoluzione dell’Urss. A quella dissoluzione non ha corrisposto il parallelo e “logico” scioglimento della Nato. E questo perché Washington doveva evitare che la fine del collante anticomunista avvicinasse eccessivamente l’Unione europea, e in particolare la Germania, alla Russia, dando vita così ad un’alleanza potenzialmente esiziale per il dominio statunitense. Da qui la spinta (favorita dalla preferenza tedesca per le ragioni economiche rispetto a quelle strategiche) all’inclusione di Polonia, Ungheria ecc. nell’Ue. Da qui il placet al consolidamento dell’Unione stessa, così ampliata, come mezzo per tener legata la Germania. Da qui l’evidente e inesorabile allargamento della Nato a Est, col momentaneo esito attuale. Non si tratta di un piano delineato in tutte le sue parti e tappe. Nessun vero stratega fa piani del genere e, soprattutto, lo stratega in questione era ed è internamente diviso, quantomeno sui tempi e sui modi: Trump contro Biden, Biden contro il Congresso, Dipartimento di Stato e Pentagono contro tutti e in reciproca frizione. Ma alla fine, anche grazie alla confusione, prevalgono gli apparati più duraturi e soprattutto la parte dominante, più dinamica e aggressiva, del capitalismo statunitense, rappresentata soprattutto dal Partito Democratico. E questo si traduce in una politica tesa ad acuire i conflitti tra Europa e Russia (anche in risposta all’incremento dei rapporti di Berlino e Roma con Mosca), a rinfocolare la questione ucraina, a mettere quindi in conto una guerra e a trasformarla, una volta scoppiata, nell’occasione per impantanare Putin, aumentare la dipendenza politica ed economica dei partner europei, rafforzare la posizione del dollaro e con essa la pretesa, ormai folle, del dominio assoluto dell’ Occidente “americano” sul resto del mondo. Ossia sulla stragrande maggioranza del genere umano.
2 – La guerra della Nato è quindi anche una guerra contro l’Europa, contro la Germania, contro l’Italia. Nonostante o forse proprio per questo né l’una né le altre si mostrano all’altezza della situazione. Anzi. In particolare il nostro paese mostra , come in tutte le più gravi crisi internazionali, il suo peggiore servilismo e l’incapacità di elaborare una strategia almeno parzialmente autonoma. Come all’epoca della guerra di Libia, l’Italia palesa ormai di combattere non solo a vantaggio degli interessi altrui, ma anche direttamente contro il proprio interesse, identificato da tempo solo con l’esser parte, a qualunque condizione, dell’Alleanza atlantica e dell’Ue. La fine della prima repubblica ha trascinato con sé ogni pur blando tentativo di far valere un minimo di autonomia, e all’indebolimento del capitalismo italiano nella competizione mondiale ha corrisposto una caduta rovinosa del ceto politico italiano. Un ceto formatosi nell’obbedienza ai vincoli esterni, nella pretesa fine delle ideologie, in un professionismo politico d’accatto, nella rispondenza immediata a grandi e piccole lobby, non poteva che passare dalla servitù volontaria alla pura e semplice volontà di servire, ossia dall’accettazione ragionata di uno spazio di alleanza entro il quale sviluppare comunque una propria politica, al bisogno di ricevere direttamente la linea dall’esterno per potersi così esimere dal pensare ed agire in proprio e dall’assumersi qualunque responsabilità. Si noti bene: nonostante l’attuale apparente identità di visioni tra Washington e i governi occidentali il servilismo integrale non è una conseguenza obbligata dell’adesione alla Nato o all’Ue, come ora mostrano Orban e Erdogan, e domani forse mostreranno Macron e Scholz. E’ la nostra classe dirigente ad aver abiurato, da Mani Pulite in poi, alla difesa e finanche alla definizione di ogni interesse nazionale, facendo dell’integrale dipendenza da decisioni esterne un punto di forza per imporre politiche antipopolari. Motivo non ultimo dell’urgenza di una definizione e difesa dell’interesse nazionale da parte delle classi subalterne.
3 – Purtroppo a questa degradazione dell’avversario corrisponde una analoga povertà ed inefficacia della (reale o potenziale) opposizione. Un’area larga che va dalle inquietudini e/o dalla diaspora del M5S fino alle parti più lucide della sinistra radicale, passando per quello che si è chiamato (o si è lasciato chiamare) sovranismo costituzionale, sembra non essere in grado di andare oltre la pur giusta denuncia dei caratteri di questa guerra e l’organizzazione di manifestazioni pensate spesso più per contarsi che per ampliare i consensi. Il problema non sta soltanto della necessità di approfondire teoricamente la conoscenza dell’epoca presente e dei suoi protagonisti, cosa peraltro assolutamente urgente. Si tratta, più banalmente, del fatto che nessuno sembra in grado di poter mandare in parlamento – quando e se si voterà – un congruo numero di eletti capaci di contrastare con un minimo di efficacia il bellicismo nostrano e le sue conseguenze. Di contrastarli, cioè, molto meglio di quanto non potrà farlo un partito “contiano”, che tenta timide differenziazioni a scopo elettorale, per poi riportare i voti così acquisiti nell’alveo del costante centrismo che guida la politica italiana. Eppure il momento sembra favorevole. La indecorosa canea atlantista dei media è motivata anche dalla percezione delle forti contraddizioni sociali e interstatali che il conflitto è destinato ad approfondire. Utile e coraggioso, ma non decisivo, è il cercare di contrastare la linea dei media sul loro terreno: infatti la critica più aspra ed efficace della guerra è la guerra stessa, sono i morti, le devastazioni, i costi immani. Nel paese c’è una forte corrente antibellicista che si ingrosserà. Il profondo malessere che cova da anni dovrà prima o poi tornare a manifestarsi, e non solo nelle urne. La destra, normalizzata la Lega e assorbita praticamente Fdi nell’area di governo, ha ridotto al momento la sua capacità di rappresentarlo, questo malessere, e lo stesso accade al tragicomico trasformismo del M5S. Eppure dall’area della possibile opposizione, pur di fronte ad una situazione nuovissima e ricca di opportunità, non sembra manifestarsi null’altro che la ripetizione delle vecchie identità e dei soliti errori. Dal lato della proposta politica tutto è fermo. Sembra quasi che in Italia tutti attendano la soluzione dall’esterno: chi dagli Usa, chi dalla fantomatica Europa, chi dal Vaticano, chi da Putin. Ancora una volta un effetto della nostra completa subalternità. E ancora una volta un grave errore.
4 – La guerra in corso è guerra tra oligarchie capitalistiche di diversa natura, distinte per il diverso rapporto tra capitale e stato e per la attuale propensione all’espansione o alla difesa, ma unite nella comune scelta del ricorso alle armi come strumento ormai direttamente decisivo. Una scelta pagata da tutti tranne che dai rispettivi gruppi dominanti. Con lo sviluppo del progetto di accerchiamento della Russia gli Stati uniti fanno pagare la guerra all’Europa. Insieme, Stati uniti ed Europa fanno pagare la guerra all’Ucraina. Infine il nazionalismo ucraino fa pagare a quello sventurato paese la propria storica incapacità di ridefinire il rapporto con la Russia senza cadere in mani spesso peggiori, nonché la tragica superficialità mostrata nel credere che “più Occidente” significhi davvero “più protezione”. L’oltranzismo nazionalista, le ambigue promesse occidentali e un sostegno bellico buono a solo a far durare la guerra, sono corresponsabili del massacro tanto quanto la Russia. Dall’altra parte il governo russo fa pagare la guerra, oltre che agli ucraini (russofoni inclusi), ai propri combattenti, alle loro famiglie e all’intero popolo di quell’enorme paese. La crescita di consenso che credibilmente si registra nei confronti di Putin è effetto di un nazionalismo che oggi più che mai serve a nascondere gravi problemi sociali, non certo risolti dalla svolta anti-eltsiniana dell’attuale presidente, che ha arrestato la disgregazione dello stato e gli eccessi liberisti, ma non ha certo mutato la natura filocapitalista del governo. A qualche nostalgico che si sforza di vedere qualcosa di “comunista” nel comportamento dell’attuale dirigenza russa, va ricordato che nell’aggredire l’Ucraina Putin ha espressamente maledetto Lenin e la netta opzione di quest’ultimo per l’autodecisione delle nazioni. Ossia per una scelta valoriale e tattica che consentì, pur tra notevoli contraddizioni, di aggregare fruttuosamente nell’Urss diversissime nazionalità e di farle a lungo convivere in modi decisamente incomparabili con quelli propri della brutale subordinazione imposta dalla violenza zarista.
5 – Di fronte a una guerra di tal fatta, chi pensa che il socialismo sia ancora un’alternativa necessaria e possibile deve assumere la posizione antibellicista che fu di Lenin: non chiedersi “di chi è la colpa” perché la colpa è di tutti, seppur spesso in modo asimmetrico, e soprattutto non identificarsi con nessuno dei contendenti. Come sempre, e soprattutto durante la guerra, il vero nemico non sta negli altri paesi, ma nel proprio, e la sconfitta del proprio governo è per ciascuno l’obiettivo principale: senza questo obiettivo, ogni pacifismo è vano. Certo, a differenza di Lenin noi non possiamo proporci di “trasformare la guerra in rivoluzione”, se non altro perché Lenin parlava nel corso di una crescita impetuosa del movimento operaio e socialista, mentre noi, almeno in Europa, viviamo in un’epoca del tutto diversa. Ma possiamo e dobbiamo usare la guerra come momento di chiarificazione dei rapporti fra le classi e gli stati, di lotta contro il nostro governo e soprattutto come inizio della costruzione molecolare di un movimento orientato al socialismo, nel corso dell’opposizione alla guerra stessa come espressione di tutte le peggiori tendenze del capitalismo. Questa ricostruzione è l’obiettivo strategico in relazione al quale giudicare la situazione presente e le sue evoluzioni, il perno attorno al quale far ruotare tutte le possibili variazioni e svolte tattiche.
6 – Nello scontro fra potenze, insomma, bisogna schierarsi con la potenza che non c’è ancora, e costruirla. Può sembrare una scelta fondata sul vuoto: ma in realtà è fondata sulle crescenti esigenze di milioni di persone. Come ogni scelta realista e radicale, il rifiuto di schierarsi apre inevitabilmente una contraddizione: essere contro il “nemico interno” significa favorire il “nemico esterno”. Questa contraddizione non è aggirabile, e quindi, quando sia possibile, deve essere utilizzata, come lo stesso Lenin opportunamente fece tornando in Russia col placet della Germania imperiale, nemica dello Zar. Diciamo quindi che una eventuale vittoria della Russia, in una qualunque delle forme possibili, potrebbe controbilanciare lo strapotere dell’Occidente ed aprire (anzi riacutizzare) le contraddizioni di quest’ultimo. Che tutto ciò potrebbe facilitare la costruzione di un’alleanza internazionale per un mondo multipolare e quindi la (molto futura…) edificazione di un nuovo equilibrio. Che l’entrata in campo di potenze che, come la Russia (e ancor più e certo diversamente la Cina) fanno perno più sullo stato che sulla libertà economica, potrebbe favorire la costruzione di aree geopolitiche capaci di controllare il movimento del capitale: cosa utilissima anche in una prospettiva socialista. Tutto ciò potrebbe essere. Ma il condizionale indica che questa è appunto solo una possibilità. La vittoria russa potrebbe invece esser tale solo su un piano tattico ed aumentare l’unità e la militarizzazione dell’Occidente. L’alleanza antiegemonica mondiale potrebbe essere indebolita da un’iniziativa bellica che a molti (Cina inclusa) appare avventurista, strategicamente debole e gravida di rischi. Ma, soprattutto, un futuro nuovo equilibrio di potenze potrebbe prevedere ancora una volta per l’Italia una disciplina internazionale antisocialista. Insomma: si può e si deve pensare di utilizzare qualcuna delle dinamiche scatenate da questa epoca di guerra, così come si deve progressivamente decidere su quale soluzione internazionale puntare. Ma, anche e soprattutto perché siamo (o meglio potremmo e dovremmo essere) all’inizio della costruzione di un nostro movimento, non dobbiamo identificarci con nessuno dei contendenti e dobbiamo contare solo sulle nostre forze.
7 – Contare sulle proprie forze è il principio che deve guidarci (un principio maoista: come si vede quando torna la guerra diviene inevitabile tornare ai classici, che sono tali perché hanno detto la verità), anche perché nessuno dei molto ipotetici sviluppi della posizione internazionale dell’Italia sembra attualmente utile. L’idea di puntare sugli Stati uniti come potenza inflazionista contrapposta all’austera Germania, idea connessa ad una certa interpretazione dell’Italexit, è forse oggi meno lontana ma ancor più improponibile di ieri, giacché comporterebbe lo schierarsi con la potenza maggiormente votata alla guerra. L’idea di accelerare l’unione politica europea e quindi la costruzione di un esercito continentale capace potenzialmente di supportare una politica di neutralità, appare reazionaria dal punto di vista economico-sociale e utopica dal punto di vista dei rapporti fra gli stati (la Germania non ricostruisce la Bundeswehr per farla guidare da un generale italiano…). L’idea di un asse italo-tedesco (o italo-franco-tedesco) basato sulla comune tendenza ad un rapporto cooperativo con la Russia, intesa come vicino col quale è logico coesistere, e sulla percepibile divaricazione tra Berlino e Washington (la questione del riarmo è posta in Germania da tempo, e non solo nei riguardi della Russia ma come effetto della crisi della leadership nordamericana), è resa al momento del tutto impraticabile dalle oscillazioni ed incertezze dei gruppi dirigenti tedeschi, e soprattutto è resa non auspicabile per il permanere dell’ordoliberismo teutonico. Tutte queste dinamiche e tutte queste scelte potenziali hanno in ogni caso una caratteristica in comune: non sono oggi alla nostra portata. Dobbiamo discuterne e approfondirle, ma con senso della realtà. Noi possiamo influire indirettamente su questo groviglio di questioni soltanto costruendo con le nostre forze un movimento che alzi il costo della mediazione sociale per le classi dirigenti e così acuisca le difficoltà dell’Ue, ne attenui le propensioni belliciste, ostacoli il tentativo di ricostruire una Unione analoga a quella precedente e favorisca, per intanto, il prevalere di alleanze interstatali ad hoc sui frusti e disastrosi meccanismi comunitari. Nulla di più (e sarebbe già tanto). Il problema è che per arrivare a ciò dovremmo superare abitudini ed errori talmente radicati da sembrare insormontabili. Bisognerebbe prendere atto fino in fondo della sconfitta del populismo, della inadeguatezza attuale delle formazioni comuniste e di sinistra radicale, delle serie difficoltà del sovranismo costituzionale. E giungere ad una proposta di fase che, intorno ad una parola d’ordine come “La vostra guerra non la paghiamo” consenta di costruire in prospettiva il nucleo di un nuovo partito. Perché è proprio sapendo rispondere a fasi come queste che si costruiscono nuovi partiti destinati a durare.
8 – Nel riflettere sugli errori che ci ostacolano (errori che, va detto, nel corso degli anni sono stati in gran parte commessi o tollerati anche da chi scrive) si deve ovviamente iniziare dalla sconfitta del populismo, populismo che ha raggiunto il punto più alto col governo giallo-verde. Un’ esperienza che ha rappresentato di fatto una coalizione trai i perdenti della globalizzazione (proletariato più fragile, piccolo e medio capitale, nonché numerose fasce intermedie), ma una coalizione debole, inconsapevole e soprattutto egemonizzata dalla parte capitalistica. L’egemonia di tale parte è dovuta al fatto che solo essa aveva sia una rappresentanza politica esplicita (la Lega) sia autonome organizzazioni categoriali capaci di incalzare lo stesso partito di riferimento. Il resto della coalizione non aveva invece né l’una né l’altra cosa, essendo il M5S un partito vago e confusionario per scelta, che svolge soltanto by design alcune delle funzioni di un partito “laburista”, e non avendo il proletariato (in particolare quello più debole) nessuna vera organizzazione sociale e soprattutto nessuna organizzazione veramente autonoma, dato l’indirizzo politico dei sindacati maggioritari. Su queste basi era impossibile definire un programma capace di mediare fra gli interessi degli uni e degli altri e quindi di costruire una stabile alleanza di massa a sostegno dei progetti ambiziosi declamati dai due partner di governo. Tutto ciò ha favorito sia l’emergere dell’opportunismo della Lega e del conservatorismo della sua “base pagante”, sia la vocazione trasformistica di un partito volutamente privo di ideologie (e quindi di idee) come il M5S. Qui si mostra tutta la debolezza della posizione populista, in quanto fondata sull’appello a un “popolo” indistinto. La forza del populismo sta nel capire che in questo periodo è impossibile o estremamente difficile, per la gran massa dei lavoro dipendente, fondare identità politiche sulla base di identità di classe. Ma se le classi non possono essere il punto di partenza dell’aggregazione politica, l’azione sui rapporti di classe deve comunque essere necessariamente il punto d’arrivo del programma di un partito popolare, pena l’inefficacia e/o la completa cooptazione nelle tanto odiate élite. Eludendo questo nodo, è come se il M5S avesse messo in pratica la lezione di uno dei più influenti e più dannosi pensatori degli ultimi anni, Ernesto Laclau. In Laclau l’efficace descrizione dell’attuale impossibilità di dirette aggregazioni di classe si trasforma nella prescrizione di evitare qualsiasi valutazione e qualsiasi programma classista, oltre che qualsiasi accenno ad un mutamento di sistema che vada oltre la semplice democrazia radicale. Il programma si fonda soltanto sulla capacità meramente retorica di individuare il tema che può momentaneamente unificare una serie di eterogenee rivendicazioni, così come meramente retorico è il contenuto fondamentale dell’azione politica, giacché le gerarchie sociali e le stesse istituzioni statali altro non sarebbero che plessi di rapporti discorsivi. Ma il M5S ha pagato a duro prezzo l’idea che bastasse parlare un linguaggio “anticasta” e proporre la democrazia immediata per aggregare stabilmente il “popolo”, trasformare la società, lo stato e addirittura i rapporti internazionali. Inutile dire che in questa concezione si perde anche l’idea del partito come sede di autoeducazione popolare, come strumento per trasformare le classi subalterne in classi dirigenti, attraverso la formazione di specialisti di origine popolare. Il partito populista moderno non vuole trasformare i propri membri, ma soltanto esprimerne discorsivamente le opinioni, ricorrendo a piattaforme apparentemente libere da fastidiose intermediazioni “burocratiche”, per giungere poi ad una semplice decisione maggioritaria, priva perciò stesso di saggezza politica. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: crescita di mediatori occulti e di gerarchie tanto solide quanto informali, assenza di un gruppo dirigente stabile e organico, trasformismo, improvvisazione, cialtroneria. Chiunque volesse ricostruire qualcosa di buono a partire dalla crisi del M5S dovrebbe tener conto di tutto ciò.
9 – Errore speculare è quello della sinistra radicale (e ci riferiamo alla parte che non si identifica con la difesa dell’europeismo e/o con l’enfatizzazione del tema dei diritti individuali). Si producono analisi di classe molto spesso condivisibili, anche se rozze (ma questo è un problema che riguarda tutti noi, giacché se pure sono presenti singoli brillanti pensatori non esistono purtroppo una o più scuole marxiste capaci di dare ordine alla ricerca e alla discussione). Tali analisi però vengono quasi sempre tradotte linearmente in proposta politica, come se gli ulteriori approfondimenti dello sfruttamento individuati e denunciati dovessero/potessero naturalmente dare vita, prima o poi, a movimenti di protesta e a qualcosa di più. Alla vacuità dell’appello al popolo corrisponde qui l’inutilità dell’appello alla classe. Ciò accade non solo perché, come tutti sanno, tra sfruttamento e rivolta ce ne corre. Ma anche perché l’appello alla classe è spesso circondato dall’invito al conflitto permanente, all’ autorganizzazione di massa, all’ azione dal basso: un invito che può essere veramente efficace solo quando conflitto, autorganizzazione ecc. hanno già raggiunto una determinata soglia critica, altrimenti appare come vacua declamazione che allontana invece di attrarre perché aumenta la sensazione di incertezza e di insicurezza che attanaglia la gran parte del popolo che viene da decenni di passività, a cui si chiede di affidare il proprio destino ad una lotta dalle prospettive indefinite. Intendiamoci: senza un conflitto di tal genere (e soprattutto senza le associazioni autonome di base che nascono da esso) non si fa nulla di veramente efficace, ma non è detto che si possa e si debba sempre iniziare da ciò. In fasi storiche come queste (ma la cosa può ovviamente mutare anche presto) le classi subalterne hanno bisogno di sicurezza, di Stato, di partiti che guadagnino la loro fiducia sia con la presenza costante e quotidiana sia con idee, linguaggi non gergali e programmi che non contengano semplicemente l’invito a lottare, ma la promessa di agire concretamente a livello di governo per cambiare la loro situazione. A ciò si aggiunga che spesso i programmi, quando ci sono, riproducono stereotipi banali che, anch’essi, allontanano invece di attrarre. Quando si capirà che è sbagliato porre la tassazione come perno centrale di un programma di redistribuzione della ricchezza, sbagliato sia perché una vera tassazione dei redditi più alti è possibile solo con differenti rapporti di forza (e in ogni caso non libera risorse sufficienti), sia perché sono spesso proprio gli strati popolari a star lontano da chi parla di tasse, perché temono, e non del tutto a torto, che alla fine le pagheranno loro, e che le imposte graveranno su quella proprietà della casa che, come realtà e come ideologia, è una delle poche ancore di salvezza di numerosissime famiglie di lavoratori. E quando si capirà che è sbagliato dire che l’immigrazione non è un problema ma una risorsa? Essa è tale solo per il capitale e per i politici che speculano sulla xenofobia. Non è tale per chi patisce la concorrenza degli immigrati o si trova in difficili condizioni di convivenza. Non è vero per chi, bombardato continuamente dai discorsi sulla scarsità delle risorse, teme razionalmente che queste si riducano ancor di più con l’arrivo di altri poveri. Sappiamo bene che le soluzioni alla Salvini non sono soluzioni. Sia perché sono inumane, sia perché incrementano la clandestinità invece di arginarla. E sappiamo anche che altre soluzioni non sono facilissime e che tutte devono comunque avere come scopo l’integrazione e l’eguaglianza, l’alleanza tra lavoratori. Ma il punto, prima ancora di trovare le soluzioni, è quello di riconoscere che il problema è un problema, mettendosi così in sintonia con la maggioranza dei lavoratori. Continuare a parlare bellamente di integrale apertura e di accoglienza sempre e comunque, e questo in un paese esposto come il nostro, è semplicemente irresponsabile. E spiega molta parte della giusta diffidenza degli elettori.
10 – Quanto al sovranismo costituzionale e socialista, questo vive oggi una crisi che non sarà risolta, ma semmai aggravata, da incerte incursioni elettorali o dalla identificazione con movimenti privi di prospettive. Non si tratta dell’effetto Draghi, né della momentanea apparente coesione bellicista del continente: anche quando l’Ue era in evidenti difficoltà quest’area non ha mai superato la soglia della vera esistenza politica. I problemi non nascono da oggi, ma non dipendono dalla vacuità delle idee, anzi. Il legame tra questione di classe e questione nazionale; la necessità, per le classi subalterne, di rompere con l’Ue; l’esigenza di una nuova collocazione internazionale del paese in un quadro multipolare; l’urgenza di un’alleanza tra lavoratori dipendenti e Pmi, sono tutte questioni rese ancor più pregnanti dalla guerra. Quindi non di veri errori concettuali si è trattato, ma del paradosso che coglie chiunque abbia un’idea giusta, e la proponga nel tempo sbagliato e in modi inadeguati (e questo vale anche per i richiami della sinistra radicale al socialismo e al comunismo). Il paradosso è che più trova conferme la tua giusta lettura della realtà, e quindi più tu insisti sulla tua idea, più questa insistenza ti isola: la verità detta anzitempo, e male, ti impedisce di accumulare le forze per raggiungere i tuoi scopi. Perché detta anzitempo e male? Soprattutto perché la necessità di rompere con l’Ue è stata di fatto presentata come scopo principale, se non unico, e come questione immediata e facilmente comprensibile: sottovalutando così la pesante presenza dell’Unione nello stato e nella società italiane, nonché la paura del salto nel buio (superabile solo quando la casa brucia davvero), e non comprendendo appieno il carattere rivoluzionario dell’exit. Rompere con l’Ue vuol dire infatti rompere con decenni di storia, con una forma assai strutturata del domino capitalistico e con un assetto geopolitico stabilito da tempo. Implica quindi la necessità di accumulare (anche sul piano internazionale) forze talmente ingenti da non poter essere direttamente aggregate sulla sola proposta, oltretutto meramente “negativa” dell’exit. Un “partito di scopo” di tal fatta poteva attecchire in Inghilterra, visto il diffuso antieuropeismo d’oltremanica e visto che Londra non è mai entrata nell’eurozona. In Italia l’antieuropeismo è minore, e maggiori sono le conseguenze dell’uscita. Da noi la cosa può essere proposta solo come esito di una serie di rivendicazioni popolari, tali da fornire progressivamente motivazioni chiare e positive anche all’addio a Bruxelles. Ciò non vuol dire che la questione europea debba essere accantonata, anzi. La guerra, anche se al momento sembra giocare a favore della conservazione, può divenire fattore di crisi e disgregazione dell’Unione, ma anche in questo caso è difficile porre immediatamente la questione in termini di “dentro o fuori” e si devono piuttosto immaginare alcune battaglie intermedie. Battaglie che dovrebbero essere impostate evitando l’altro errore, potenzialmente esiziale, di questo progetto politico: l’incapacità di distinguersi sufficientemente dalla destra e quindi la tendenza a finire nel suo cono d’ombra, a subordinarsi ad essa. Subordinazione avvenuta non solo perché la destra univa alla retorica antieuropeista la forza delle proprie dimensioni politiche e quindi una incomparabile capacità di attrazione, ma anche perché l’antieuropeismo socialista ha ritenuto erroneamente che la lotta all’Ue e l’exit fossero condizione preliminare della ripresa e dell’efficacia del conflitto sociale, ed in particolare di quello proletario, e che quindi fosse necessario ed utile a tal fine allearsi con la destra, anche se in posizione subalterna. Come dimostrato dalla misera fine dell’antieuropeismo leghista e dal ben più astuto rientro nei ranghi di Fdi, l’exit non è presupposto ma conseguenza della nascita di un nuovo movimento popolare, che deve avere come nemico il mutevole ma stabile centro euroatlantico che determina la politica italiana e di cui la stessa destra è parte integrante.
11 – A tutti questi errori va aggiunto quello che probabilmente è il guaio peggiore, peggiore perché indica probabilmente non tanto l’incapacità quanto la non volontà di uscire dal proprio cerchio ristretto. Indica la paura di diventare maggioranza perché questo implicherebbe la perdita delle posizioni di potere acquisite all’interno della minoranza. Si tratta del gergalismo, a cui abbiamo già fatto cenno, ossia dei linguaggi e delle parole d’ordine con le quali si pretende di rivolgersi “alle masse” mentre in realtà ci si sta rivolgendo ai propri simili e sodali, per esibire l’appartenenza ad una comune consorteria o per mandare messaggi in cifra, utili solo per il conflitto trai gruppi e dentro essi. Massimi e inarrivabili esponenti di tale gergalismo sono i gruppi più o meno woke, i cui testi sono pieni di parole ormai congelate, di asterischi e schwa che hanno la precipua funzione di distinguersi (e quindi isolarsi) dal resto dei parlanti, anche a danno delle stesse spesso nobili cause che questi gruppi difendono (e nello stesso tempo indeboliscono). Su un piano differente si deve notare come, proprio nel momento in cui sarebbe possibile sviluppare un discorso maggioritario, alcuni continuino a evidenziare, anche intrecciandola alla questione della guerra, l’appartenenza allo schieramento inevitabilmente minoritario dei no-vax e no green pass. Qui non intendiamo entrare nel merito della questione, ma solo far notare che dal punto di vista della conquista della maggioranza una posizione del genere è una della meno indicate. E questo perché la grande maggioranza degli italiani ha posizioni opposte (e a volte fortemente contrastanti) e le ha non per motivi filosofico-epistemologici o per sudditanza, bensì per aver fatto e fa esperienza diretta di un sistema sanitario che dal punto di vista clinico funziona positivamente nella gran parte dei casi e contribuisce a migliorare e ad allungare la vita dei cittadini. E’ questa convinzione, che da qualcuno può essere contestata ma che ha un serio fondamento razionale e non certo scalzabile nel medio periodo, a far sì che la posizione contraria non potrà mai divenire maggioritaria, e quindi ostacolerà l’espansione di qualunque proposta politica che innalzi anche quelle bandiere, oltre a rendere più difficile, come è già avvenuto, la stessa lotta contro lo scientismo, contro i media, contro la gestione della campagna vaccinale e dello stesso green pass. Passando a posizioni più direttamente politico-generali, gergalismo è anche, per esempio, parlare dell’uscita dalla Nato e dalla stessa Ue non già come prospettive (prossime o remote che siano), ma come obiettivi immediati, cosa che serve certo a raggruppare i fedelissimi, ma solo a quello, mentre un intervento di massa di centocinquanta parole, oggi, dovrebbe dedicarne cento alla situazione sociale, quaranta alla guerra, cinque ciascuna alla Nato e all’Ue. Altro e importante esempio è quello della pur generosa riproposizione, sic et simpliciter di una identità comunista, anche come presenza elettorale: e questo nel paese che ha visto il più grande partito comunista d’occidente trasformarsi nel proprio opposto. Chi scrive è comunista, e sa che senza una presenza organizzata dei comunisti (comunque denominati) non si fa nulla, nemmeno le riforme. Ma altra cosa è, in questo momento, la proposta di massa e quindi anche la lotta per la rappresentanza politica. C’è stato un tempo, diciamo dal suicidio del Pci al suicidio del Prc (avvenuto con la gestione del secondo governo Prodi e della successiva campagna elettorale) in cui il semplice richiamo all’identità comunista poteva consentire di aggregare una decorosa forza parlamentare; ma le cose ormai non stanno più così, ed insistere oggi nel voler raccogliere consensi significativi come comunisti impedisce di costruire domani gli spazi politici ampi in cui ridefinire e rilanciare utilmente una proposta che si richiami alla grande esperienza storica del comunismo mondiale.
12 – Tutto quanto sopra non è più accettabile. Ormai la scala, l’imminenza, la tragicità dei problemi che dobbiamo affrontare impongono un salto di qualità analogo al salto compiuto dalla fase storica. O si cambia o si muore. Sappiamo bene che le trovate e le invenzioni individuali non possono risolvere nessuna situazione. E non chiediamo certo a nessuno di rinnegare le sue idee più importanti (ma semmai di modificarne la scansione logica e temporale, nonché la traduzione politica), né tantomeno auspichiamo lo scioglimento di organizzazioni che si sono costruite attraverso l’impegno e i sacrifici di moltissime persone. Ma in frangenti come questi ognuno di noi, comunque collocato, ha il dovere di dire la verità. E la verità è che alla frattura epocale avvenuta il 24 febbraio del 2022 bisogna rispondere con una iniziativa politica egualmente discontinua. I modi per produrre tale discontinuità possono essere i più disparati. A noi pare che si potrebbe iniziare costruendo un gruppo di discussione tra chi concorda, in tutto o in parte, con le cose qui scritte. Parallelamente si potrebbe lavorare per giungere alla proposta di una lista elettorale unitaria che eviti la frammentazione in listarelle del 2%, e si rivolga ai votanti con un programma che, alla faccia delle elucubrazioni postmaterialiste, chieda Pane, Lavoro, Pace e Democrazia. Pane ossia welfare; lavoro ossia piena occupazione e non semplice innovazione green e digitale; pace ossia ordine multipolare e spazi per una politica popolare; democrazia, ossia possibilità di decidere del proprio futuro, come classi subalterne e come paese. E questo potrebbe essere il primo passo verso quella vasta coalizione popolare senza la quale sarebbe impossibile sostenere le gravi ritorsioni a cui, dobbiamo saperlo, sarà sottoposta d’ora in poi ogni politica che rivendichi l’indipendenza delle classi subalterne, e quindi l’indipendenza nazionale nella ricerca delle più adeguate forme di cooperazione internazionale.
Di: Mimmo Porcaro and Ugo Boghetta
FONTE: https://www.lafionda.org/2022/04/14/la-realta-della-guerra-il-fantasma-dellopposizione/
SCIENZE TECNOLOGIE
Data breach: alcuni pericolosi miti da sfatare
E’ necessario creare cultura e consapevolezza in materia di dati personali
Molto si può dire sui data breach, ma occorre evitare pericolose deviazioni – o più precisamente: errori – che spesso sfociano in dei miti virali che vengono ripetuti in modo apodittico e comportano un vero e proprio pericolo sia per la gestione della conformità al GDPR che per la sicurezza. Vediamo alcuni dei principali, confidando che l’elenco non possa mai arricchirsi ma al contrario venire sempre più eroso da una diffusa cultura e consapevolezza in materia di protezione dei dati personali.
Se non c’è accesso ai dati, non è data breach. FALSO.
Il data breach consiste in una “violazione di sicurezza che comporta accidentalmente o in modo illecito la distruzione, la perdita, la modifica, la divulgazione non autorizzata o l’accesso ai dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati” (art. 4.1 n. 12) GDPR). Pertanto, come confermato anche dal comitato europeo per la protezione dei dati, anche l’indisponibilità temporanea ad esempio per effetto di un ransomware o di un calo di tensione, è un data breach.
Non è data breach perché non coinvolge dati sensibili. FALSO.
Un data breach è tale se coinvolge dati personali, indipendentemente dalla loro tipologia. La valutazione della natura, sensibilità e volume dei dati personali oggetto di violazione riguarda invece la sussistenza o meno degli obblighi di notifica al Garante e comunicazione agli interessati.
Ogni data breach va notificato al Garante. FALSO.
Non tutti i data breach devono essere notificati all’autorità di controllo, dal momento che la notifica è richiesta solo a fronte di un processo decisionale di valutazione dell’evento che riscontri la sussistenza di un rischio probabile per i diritti e le libertà delle persone fisiche i cui dati son ostati violati. Qualora non sia riscontata la probabilità di un danno fisico, materiale o immateriale, la notifica non è richiesta.
La comunicazione agli interessati deve essere successiva alla notifica al Garante. FALSO.
Qualora siano riscontrati gli elementi di rischio elevato per i diritti e le libertà delle persone fisiche (art. 34 GDPR), la comunicazione agli interessati deve essere svolta “senza ingiustificato ritardo”, perseguendo l’obiettivo – confermato dall’EDPB – di allertarli e consentire l’adozione di tutte le misure individuali di prevenzione e protezione dalle conseguenze dell’evento. Non è infrequente che l’autorità di controllo imponga successivamente la comunicazione del data breach agli interessati coinvolti, ma buona prassi – e dunque: conformità al principio di accountability e rispetto del contenuto sostanziale delle norme relative alla protezione dei dati personali – richiede che tale comunicazione intervenga immediatamente a fronte della valutazione di rischio.
Se non c’è notifica al Garante, il data breach non comporta alcun obbligo. FALSO.
L’art. 33.5 GDPR prevede che ogni violazione sia registrata, e in ogni caso la gestione della sicurezza – tanto relativa a dati personali che a dati non personali – richiede un processo di analisi che si conclude con la chiusura dell’incidente e un approccio di tipo lesson learned. È dunque necessario che ogni incidente di sicurezza sia oggetto di registrazione soprattutto ai fini di poterne rilevare frequenza e tendenza, con lo scopo di svolgere le verifiche e i correttivi richiesti da un approccio di miglioramento continuo della sicurezza dei trattamenti.
FONTE: https://www.infosec.news/2022/04/15/news/sicurezza-digitale/data-breach-alcuni-pericolosi-miti-da-sfatare/
STORIA
Hitler e Stalin si davano la mano
Marcello Veneziani – La Verità 23 08 2019
Il 23 agosto di ottant’anni fa il mondo stava prendendo un’altra piega che avrebbe cambiato i destini dell’umanità. Stalin e Hitler strinsero un patto che sarebbe diventato un abbraccio fatale per il comunismo, per il nazismo ma anche per il resto del mondo. Era un patto di non-aggressione, firmato al Cremlino dai due ministri degli esteri, Molotov e Ribbentrop, ma era in realtà un patto di aggressione al resto del mondo, Un reciproco via libera all’insegna dell’anticapitalismo, dell’antisemitismo e dell’antioccidentalismo. Stalin brindò col ministro tedesco alla salute del Fuhrer e all’amicizia tra i due regimi. Un mese dopo seguì un ulteriore patto di amicizia. Rimase in piedi per un paio d’anni, quel patto, permise di spartirsi la Polonia, consentì alla Germania di invadere i paesi vicini e dichiarare guerra alle plutocrazie occidentali, ricevendo dall’Urss scorte di petrolio, informazioni segrete e materiali necessari al conflitto. Se il carattere sospettoso e maniacale dei due dittatori non avesse prevalso, oltre le ragioni strategiche, oggi vivremmo in un altro pianeta.
Magari a guerra finita ci sarebbe stata una finale resa dei conti tra la Germania indoeuropea e la Russia asiatica; però intanto avrebbero liquidato insieme capitalismo, democrazie liberali, ebrei ed egemonie atlantiche. Fu l’Operazione Barbarossa, due estati dopo, a spezzare l’incantesimo e l’idillio, con l’attacco tedesco all’Urss.
Di quel patto, la stampa e la cultura occidentale, egemonizzate da una cultura di provenienza marxista e comunista, ha sempre finto di non ricordarsi e continua a dimenticare. Ma quel patto non riguardò solo i due dittatori. Fu un patto che coinvolse i regimi, i partiti, gli apparati, la propaganda. E si estese ben al di là dell’Unione Sovietica a tutta l’Internazionale comunista. Fu imbarazzante, e a tratti ripugnante, la giravolta che i comunisti francesi e italiani, Togliatti incluso, fecero dall’antifascismo militante fino alla guerra di Spagna alle epurazioni dei dissidenti antinazisti, alle circolari che esortavano a chiudere ogni ostilità tra rossi e neri e a guardare con simpatia alla Germania nazista che si apprestava ad aggredire le nazioni capitaliste. Qualcuno, come Angelo Tasca, tra i fondatori del partito comunista d’Italia, prese quel patto assai sul serio, e in Francia dove era esule da comunista dissidente, fu col regime filo-nazista di Vichy, diresse una rivista collaborazionista con la Francia occupata dai nazisti, l’Effort, e fu dipendente del governo di Petain. Altri compagni da noi si barcamenarono, elogiarono il Patto, misero la sordina all’antinazismo. Camilla Ravera e Umberto Terracini osarono criticare il patto con Hitler: furono espulsi dal Pc. Rischiò grosso anche Peppino Di Vittorio; gli altri si allinearono.
Al di là dei fatti storici, le giravolte e i retroscena, come giudicare quel patto sul piano delle idee? Ci affidiamo al giudizio di due acute pensatrici ebree, una rivoluzionaria-socialista e l’altra liberal-democratica. Scrivendo Sulla Germania totalitaria, Simone Weil osservava che le parole d’ordine dei nazisti e dei comunisti sono state quasi identiche e notava già prima del patto: “non si può negare l’esistenza tra i comunisti di una certa corrente di simpatia verso gli hitleriani… Si ha spesso l’impressione che operai comunisti e operai nazisti nelle loro discussioni cerchino invano di trovare un punto di disaccordo… In pieno terrore hitleriano si potevano sentire hitleriani e comunisti rimpiangere insieme i momenti in cui lottavano, come dicevano, fianco a fianco, vale a dire il tempo del plebiscito rosso; si poteva sentire un comunista gridare: ‘Meglio nazista che socialdemocratico’”. Ne Le origini del totalitarismo Hannah Arendt sottolineò le convergenze tra nazismo e comunismo, l’ammirazione di Hitler per “il geniale Stalin” e ricordò che Krusciov aveva rivelato: “Stalin si fidava solo di un uomo, e questo era Hitler”.
Nazismo e comunismo, notava Pierre Chaunu, sono “gemelli eterozigoti” e Francois Furet sottolineava “la parentela inconfessata” tra i due e la complicità ideologica. Nel Novecento, il Secolo del male, Alain Besancon, nota che Russia comunista e Germania nazista ebbero in comune la parola lager. Quell’uso, come è noto, non fu solo verbale. Comunismo e nazismo condivisero la promessa del bene assoluto in terra. Il nazismo ebbe una passione estetica, magica e naturalistica mentre il comunismo ha una passione etica, storica e materialistica. I nazisti promisero di ridare bellezza al mondo, i comunisti promisero di dare bontà al mondo. Il comunismo uccide a fin di bene, è pedagogico e obbliga le sue vittime a interiorizzare le sue nuove regole morali; per questo, aggiunge Besancon, è più perverso del nazismo. Perverte a tal punto “il principio di realtà e il principio morale da poter sopravvivere a 85 milioni di cadaveri”, mentre l’idea nazista soccombe con le sue vittime. Il nazismo, in linea col suo particolarismo, è ferocia circoscritta a un preciso nemico (gli ebrei e altre minoranze mirate); il comunismo, coerente col suo universalismo, è visione punitiva estesa all’umanità. Tutti possono diventare vittime del comunismo, chi difende la famiglia, la patria, la religione o la proprietà o gli stessi comunisti “deviati”, anarchici e “socialtraditori”. Il nemico del comunismo è generico e indefinito, il nemico del nazismo è specifico e definito. La paura nei regimi comunisti è universale, tutti denunciano tutti. Perciò, nota Besancon, i comunisti “hanno bisogno della chiusura assoluta delle frontiere, per proteggere il segreto delle loro fosse, del loro fallimento”. Infatti il comunismo crolla con la globalizzazione. I comunisti controllano l’informazione in modo capillare, fino a “sostituire la realtà con una pseudorealtà”. Vi ricorda qualcosa? Viviamo di continui paragoni tra l’oggi e l’avvento del nazismo. Quanti paragoni potremmo fare tra la sinistra d’oggi e la sua matrice comunista?
MV, La Verità 23 agosto 2019
FONTE: https://www.marcelloveneziani.com/articoli/hitler-e-stalin-si-davano-la-mano/
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°