RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 28 GIUGNO 2022
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
IMMAGINI
Mani striate da linee narranti che soffiano sospiri, mentre la vita si rinnova. Sorriso acchiappa lacrima; risate che spacciano simulato dolore; occhi grandi, affamati di fantasie; suoni che sbucano dal sibilo dell’etere; rabbia a fil di cuore, rinchiusa in un affanno sottile; fame di gioia sognata nel ripetersi di un generoso pensiero che si prodiga senza tregua; noia accumulata nel tempo di una vita scambiata per vita.
Tutto questo tra le pagine della storia di ognuno che si specchia in quella dell’intera Umanità.
Francesca Sifola scrittrice
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SOMMARIO
IL SOFT POWER AMERICANO NELLA EX-ITALIA
La grande menzogna sul grano ucraino.
Il decalogo del buon cittadino globale transumanista
John Kleeves, Sacrifici umani. Stati Uniti: i Signori della guerra, nuova edizione
NATO choc: abbiamo immunità, non potete processarci per i crimini di guerra
Omaggio a Arbore
Siamo vittime della “scienza dell’organizzazione”
Devono smetterla, dice ” Il Riformista”, le donne, di sfruttare il ” dono” della maternità e della ” sessualità”?
COPERNICANESIMI.
IL VILE AFFARISTA
ll fallimento del nostro paese in un’immagine.
KALININGRAD: OLTRE LA CRISI UCRAINA
L’abbaglio della guerra etico-democratica
Panottico
La rivoluzione in tempi non rivoluzionari
Francia, trovato morto in strada il CEO di Biogroup Stéphane Eimer
Ecco per chi non ci credeva! La Cina è arrivata anche da noi
Gli USA, la guerra nucleare finanziaria contro la Russia e il nuovo ordine finanziario globale
CEO Exxon: questa brutta transizione energetica sarà tutta pagata dai consumatori. A voi han mai chiesto qualcosa?
Il diritto al dissenso in tempo di emergenza
Il programma di austerità della Fed per ridurre i salari
IL NUOVO ORDINE MONDIALE STA ARRIVANDO.
Il caso Jeffrey Epstein è il motivo per cui la gente crede nel Pizzagate
È vero che non proviamo più vergogna?
Microchip: TATA vuole guidare l’India al dominio mondiale del settore…
Siamo vittime della “scienza dell’organizzazione”
La Storia delle X MAS. Per non dimenticare.
EDITORIALE
IL SOFT POWER AMERICANO NELLA EX-ITALIA
Manlio Lo Presti – 28 06 2022
Sporadicamente, emerge qualche notizia sul c.d. FIVE EYES, più precisamente definito FIVE EYES INTELLIGENCE OVERSIGHT AND REVIEW COUNCIL (FIORC) (1), poi di nuovo il silenzio. Come spesso avviene, si tratta di “avvertimenti” indirizzati ad un qualche destinatario specifico per motivi che non sappiamo. Il FIORC è nato come meccanismo di sorveglianza del pianeta. Si tratta di una struttura di controllo e predominio che non è unica nel panorama italiano. Nella ex-italia agisce in buona compagnia di migliaia di enti e strutture aventi il compito di controllare, reindirizzare le strategie adottate di governi italiani o perfino e reprimerle con azioni mirate (covert operations, assassinii di imprenditori e di politici, attentati con migliaia di morti, ecc.). Della F.E. ne cominciò a parlarne Gioele Magaldi diversi anni fa, ovviamente deriso, occultato, linciato soprattutto dai suoi fratelli massoni ed infine, dimenticato.
L’Italia è una piattaforma che gli Usa utilizzano per il controllo del Mediterraneo. Ha lo scopo di tenere a bada l’estensione degli interessi inglesi, francesi e germanici. Diciamolo che l’ex-italia è controllata duramente e pervasivamente da oltre 80 anni da strutture americane di cui la five eyes è una delle tante.
Elenchiamone alcune:
CIA
NSA
RAND CORP
LE 4/5 SOCIETÀ PRIVATE DI RATING (che riducono a spazzatura il debito se i governi italiani non ubbidiscono supinamente)
NATO USA
NATO SEZ. ITALIA
ONU
LIONS
ROTARY
ASSOCIAZIONI BENEFICHE VARIE
FONDAZIONI DAI NOMI PIU’ FANTASIOSI E DAGLI ACRONIMI PIU’ ILLEGIBILI
AGENZIE MONDIALI (tutte con sede in Usa): ONU, UNESCO, ILO, CORTI PENALI E CIVILI INTERNAZIONALI …
RELIGIONI AMERICANE A DOZZINE CHE HANNO DEPOSITI IN MILIARDI PRESSO BANCHE ITALIANE
MASSONERIA (nelle sue varie obbedienze e mediante le loro strutture sussidiarie)
ASPEN INSTITUTE
LUISS e simili
FONDO AMBIENTE ITALIANO costituita da una ben precisa aristocrazia industrial-finanziaria italica, con riferimenti anglofrancesi (ricalca il modello inglese di gestione di monumenti e opere d’arte dei quali la ex-italia viene spossessata). Ne sentiremo parlare a breve …
UNIVERSITÀ PRIVATE A DECINE sull’intero territorio nazionale
CENTRI DI RICERCA E DI STUDI POLITICI a dozzine, con fondi illimitati , con una dirigenza composta prevalentemente da politici trombati e boiardi eliminati dai giri alti.
DIPARTIMENTO DI STATO USA
AMBASCIATA USA A ROMA che agisce per “persuadere”, anche e soprattutto utilizzando unità di assassinio per la eliminazione mediante incidente stradale di persone che ostacolano la “gestione” della COLONIA ITALIA e delle sue istituzioni apicali.
SOCIETÀ FINANZIARIE: BLACKROCK, BANCHE INDUSTRIE, ASSICURAZIONI, FONDI PENSIONE AVVOLTOIO USA, ECC
FARMACEUTICHE CHE HANNO DIFFUSO VIRUS AD OROLOGERIA COME ARMA IBRIDA
SICCITA’ E CONTROLLO DELLE ACQUE PER COLLASSARE LE RETI ECONOMICHE ITALIANE
GIORNALI, WEB, COMUNICAZIONE
UN INFINITO ELENCO DI REALTÀ NASCOSTE DIETRO ACRONIMI LEGGIBILI SU TARGHE D’OTTONE APPESE NELLE CENTINAIA DI PORTONI A MILANO, ROMA, NAPOLI E ALTRE CITTÀ PRIMARIE
SOFT POWER, cioè la presenza di società e di enti che aprono, chiudono. La rete di strutture Usa è un’arma sperimentata in tutta l’europa.
164 BASI ATOMICHE LUNGO TUTTA LA EX-ITALIA
DECINE DI BASI MILITARI NATO/CIA/NSA CHE SONO INTOCCABILI GRAZIE AL CONFERIMENTO DI EXTRATERRITORRIALITA’
IMPUNITA’ TOTALE PER QUALSIASI REATO COMMESSO DAI MILITARI E DAI FUNZIONARI USA IN STANZA NELLA PENISOLA. RIPETO: QUALSIASI REATO!
FLOTTA DI GUERRA USA INTORNO ALLE COSTE ITALIANE
PARABOLE ELETTRONICHE DI TRASMISSIONE DATI E DI ONDE MAGNETICHE PER LA GUERRA HAARP VERSO L’EST EUROPA
RETE DI CONTROLLO EX ECHELON
REGISTRAZIONE GIORNALIERA DI OLTRE 5 MILIARDI DI TRANSAZIONI WEB, ELETTRONICHE ECC. ATTIVATE NELLA PENISOLA
7 POLIZIE i cui “servizi” lottano fra loro invece di proteggere la Repubblica!
8 MAFIE il cui vero scopo è quello di riciclare ogni giorno decine di miliardi che finanziano primavere arabe, rivolte sociali e reti guerrigliere terroristiche con mercenari addestrati da esperti americani e loro alleati.
IMMIGRAZIONE SELVAGGIA COME ARMA POLITICA
L’elenco è indicativo ma non esaustivo perché in continua evoluzione.
Infine, sarebbe interessante conoscere il contenuto occulto di diversi articoli del Trattato di pace del 1947 firmato dalla ex-italia a Parigi.
Quegli articoli capestro obbligano il nostro Paese ad una obbedienza incondizionata ANCORA DOPO QUASI OTTANTA ANNI! Conoscere il loro contenuto è un dovere per riavere la dignità di popolo sovrano che non abbiamo mai avuto!!! La loro desecretazione e conoscenza chiarirebbe molti atteggiamenti apparentemente incomprensibili della politica interna costellata da migliaia di morti per attentati mai risolti, della politica estera, della demolizione controllata del tessuto industriale ed economico della ex-italia.
Infine, dovremmo farla finita di credere al mito che gli americani ci hanno salvato e ci hanno donato la libertà politica e civile.
Sappiamo benissimo che il durissimo predominio Usa dimostra il contrario quando qualche politico o governo in carica ha tentato di tutelare gli interessi nazionali sui temi petroliferi ed è stato assassinato o “è stato suicidato” come Olivetti, Mattei, Cagliari, Craxi, per elencarne qualcuno. Come ogni superpotenza, gli Usa hanno commercialmente e militarmente tutelato i propri affari italiani anche andando contro inglesi, francesi, tedeschi.
A complicare ulteriormente il quadro è il mutato ruolo della Nato attualmente telecomandato dalle maggiori società multinazionali americane che stanno usando la struttura per demolire barriere, confini, popoli, lingue, filiere commerciali e nazioni, compresi gli Usa, che si frappongono o rallentano il lo potere commerciale e finanziario. La Nato, che si muove anche contro gli stati uniti, sarà il vero pericolo con il quale il mondo dovrà misurarsi a breve!
È IL DOMINIO COLONIALE AMERICANO E DEI SUOI COLLABORAZIONISTI ITALIANI, BELLEZZA!
1)https://www.dni.gov/index.php/ncsc-how-we-work/217-about/organization/icig-pages/2660-icig-fiorc
IN EVIDENZA
La grande menzogna sul grano ucraino.
Kiev non è il granaio del mondo e neppure d’Europa
di Augusto Grandi
“La Russia vuole affamare il mondo, bloccando l’esportazione del grano ucraino per via mare”. È questa la nuova bufala dei media italiani di regime. D’altronde sul terreno l’esercito russo avanza e non si può continuare a raccontare di ripiegamenti delle armate putiniane pronte ormai alla resa. Dunque occorre cambiare la menzogna quotidiana. E cosa c’è di meglio di provocare una nuova ondata di indignazione e di terrore nel gregge italico?
Il Covid non funziona più, il vaiolo delle scimmie non funziona ancora. Ma la carestia è sempre un tema di successo.
Tanto chi, nel gregge, andrà mai a controllare i dati reali? Basta raccontare che l’Ucraina è il “granaio del mondo” e le pecore si spaventano. Un tempo era considerata solo il granaio d’Europa, ma i tempi sono cambiati. Anche le produzioni ed i produttori, però. Così la produzione mondiale si aggira intorno ai 760 milioni di tonnellate e, grazie ai disinformatori di regime, viene da pensare che Kiev sia il primo produttore. Se no che “granaio del mondo” sarebbe?
Invece no. Per la delusione della squadra di Mimun al primo posto c’è la Cina, con (dati Fao 2020) con 134 milioni di tonnellate. Seguita dall’Ucraina, ovviamente. Macché, seguita dall’India con oltre 107 milioni. Va beh, Paesi lontani, con una produzione destinata a sfamare i propri abitanti. Falso anche questo, la Cina esporta e l’India esportava, prima che bloccasse le vendite subito dopo aver visto le sanzioni contro la Russia. Quella Russia che è al terzo posto con 86 milioni di tonnellate, 36 milioni in più degli Stati Uniti. E poi c’è il Canada, con 35 milioni. Insomma, i due Paesi patria della democrazia e delle libertà potrebbero impegnarsi a vendere il proprio grano a prezzi ridotti ai Paesi poveri, ma si guardano bene dal farlo.
E l’Ucraina? Non è neppure il granaio d’Europa perché è preceduta dalla Francia che produce 30 milioni mentre Kiev si ferma a 25, poco meno del Pakistan. Con la Germania a più di 22milioni, la Turchia a 20 e l’Argentina a poco meno di 19 milioni. L’Italia, che si è scordata la politicamente scorretta “battaglia del grano”, è molto più in basso nella classifica, con meno di 7 milioni.
Diventa difficile credere che la fame nel mondo dipenda dalle esportazioni della sola Ucraina. Ancor più difficile credere che il prezzo in forte rialzo sia una conseguenza del blocco del porto di Odessa. Soprattutto se ci si degna di leggere l’ottimo libro di Fabio Ciconte, “Chi possiede i frutti della terra”. Per scoprire, ad esempio, che due terzi di tutte le sementi commerciali del mondo fanno capo a soli 4 gruppi. E nessuno di loro è controllato dai russi. O per addentrarsi nei meccanismi dei famigerati Club dei diversi prodotti rigorosamente registrati. Con il Club che sceglie gli agricoltori che possono coltivare i rispettivi prodotti, in che modo, con quali fitofarmaci, con quali attrezzature. Agricoltori trasformati in operai che devono vendere la produzione al Club ad un prezzo concordato.
Ed in questo meccanismo globale perverso, con eserciti di avvocati pronti ad intervenire in ogni parte del mondo contro il singolo contadino che sogna un margine di libertà, davvero il problema è rappresentato dal blocco russo di Odessa? Dove, peraltro, il mare è stato minato dagli ucraini per impedire lo sbarco dei russi. La realtà è che la speculazione ha bisogno di creare panico per far aumentare i prezzi. Dando la colpa a Putin anche se piove troppo o troppo poco.
FONTE: https://sinistrainrete.info/articoli-brevi/23138-augusto-grandi-la-grande-menzogna-sul-grano-ucraino-kiev-non-e-il-granaio-del-mondo-e-neppure-d-europa.html?
Il decalogo del buon cittadino globale transumanista
Federica Francesconi 23 03 2022
- Non avrai altro dio all’infuori del mercato
- Non nominare il nome del dio di questo mondo invano
- Onora i demiurghi del mondialismo (Schwab, Soros, Gates…)
- Ricordati di santificare i Gay pride
- Abortisci e uccidi più che puoi
- Commetti atti impuri, soprattutto contro i bambini
- Ruba e impoverisci il prossimo
- Non cambiarti le mutande e non tirare lo sciacquone
- Indossa sempre la mascherina e offri il tuo corpo in sacrificio alla scienza
- Non desiderare di essere un uomo diverso dal gregge lobotomizzato.
FONTE: https://www.facebook.com/1165264657/posts/pfbid02ZNqQLeJst7DRNUjizz91G7HCVMWUawyMKEZKaxW4YiSZzA7SpPtrqQszVuUvxptVl/
John Kleeves, Sacrifici umani. Stati Uniti: i Signori della guerra, nuova edizione
Finalmente è uscito in una nuova edizione. Al momento giusto, si direbbe…
2 06 2022
John Kleeves, Sacrifici umani. Stati Uniti: i Signori della guerra, nuova edizione, edizioni Il Cerchio, collana “La Bottega d’Eraclito”; prefazione di Marcello Veneziani, pagg. 128, euri 18,00.
Di John Kleeves, pseudonimo dell’italo-americano Stefano Anelli, si è molto parlato a causa della sua tragica morte, il 18 settembre 2010, che ha dato origine anche a complesse dietrologie.
Esponente del Partito Comunista Americano durante la sua lunga carriera professionale negli USA, si trasferì in Italia nel 1990, cercando di condividere con la sinistra italiana vent’anni di studi critici sulle basi antropologiche, economiche e culturali degli Stati Uniti d’America; dovette toccare con mano che a sinistra in Italia non si poteva più parlare criticamente del padrone. Trasferitosi a Rimini, entrò in contatto con la Casa editrice Il Cerchio, per la quale pubblicò nel 1991 il suo primo saggio in italiano, Vecchi trucchi. Le strategie e la prassi della politica estera americana (Nuova edizione, Rimini 2011). Continuò a cercare di diffondere il frutto della propria conoscenza diretta della società americana fino al 2009, per poi ritirarsi.
Tema centrale di questo suo saggio è la “cultura della guerra” diffusa negli USA e permeante sia il ceto politico che quello militare statunitense sin dalla genesi storica dello Stato americano.
Se dal punto di vista prettamente bellico tale cultura è alla base dell’invenzione della “Guerra totale”, di cui Kleeves spiega la genesi storica e le sempre più raffinate e devastanti metodologie, è sul piano antropologico-culturale che questo saggio apre prospettive di grande interesse, dimostrando come la “cultura della guerra” statunitense nasca e si sviluppi all’interno di una visione del mondo pseudo-religiosa, esattamente di tipo veterotestamentaria secolarizzata, in cui lo Stato assume la funzione di “incarnazione del popolo eletto” ed i suoi nemici vengono di conseguenza disumanizzati e ridotti a mere incarnazioni del “male”.
Come risulta anche dalle parole di una miriade di telepredicatori evangelici americani, il compito del “nuovo crociato” americano è quindi quello di distruggere fino alle radici la presenza del “male” nel mondo.
La “guerra totale” viene quindi elevata ad autentico “sacrificio” pseudoreligioso, non più elevato sull’altare per Jahvè, ma nei campi di battaglia a conferma del ruolo provvidenziale del nuovo “popolo eletto”.
Come ben si può notare in filigrana anche nel recentissimo caso della guerra in Ucraina.
NATO choc: abbiamo immunità, non potete processarci per i crimini di guerra
Uranio impoverito/ Al tribunale di Belgrado un pool di avvocati con un italiano cita in giudizio la NATO per i crimini di guerra commessi nella ex Jugoslavia
di Antonio Amorosi
La storia torna sempre. Accade in questi mesi in Ucraina e tornerà quando l’attuale conflitto sarà concluso.
FONTE: https://www.affaritaliani.it/cronache/nato-choc-abbiamo-immunita-non-potete-processarci-per-i-crimini-di-guerra-801357.html
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
Omaggio a Arbore
David Nieri 24 06 2022
Techetechete’ è l’unico programma che mi capita talvolta di guardare sulla tv di stato. Stasera un (a mio avviso) giustissimo omaggio agli 85 anni di Renzo Arbore, protagonista assoluto della cultura popolare (non solo televisiva) italiana. A tratti geniale.
Come l’esperimento sociale in occasione di “Indietro tutta!”, che ormai risale a 35 anni fa, quando l’Italia era molto diversa sotto ogni punto di vista: socialmente, culturalmente, economicamente, tecnologicamente e umanamente. Ma il grande Arbore era già avanti anni luce. Insieme allo Squallor Cerruti (Volante Uno a Volante Due…), aiutati dal paroliere Claudio Mattone, per la trasmissione fu inventato uno sponsor “immaginario”, il Cacao Meravigliao (disponibile in tre gusti: Delicassao, Spregiudicao e Depressao). La canzone era interpretata da un’allora tredicenne Paola Cortellesi: come risultato, la pubblicità (in tv) a un prodotto inesistente, che la gente comune cominciò a cercare tra gli scaffali dei negozi e dei supermercati. Tanto per farci capire come il marketing e la forza promozionale delle aziende leader di mercato siano in grado di vendere prodotti che neanche esistono. L’ardua sentenza, in questo caso, è semplice. Basta guardarsi intorno.
FONTE: https://www.facebook.com/1514007802/posts/pfbid0qYdApePxuPXWigLtcUcrE3umJC8WfaxUW7X4oKui8yBY4M7cDG9qJZvWscxyx1xLl/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Siamo vittime della “scienza dell’organizzazione”
Quando la Rivoluzione Francese lasciò spazio al disincanto, il filosofo Claude-Henri Saint-Simon divenne uno dei pensatori più popolari del Diciannovesimo secolo […] definito il “precursore del socialismo, della tecnocrazia e del totalitarismo”.
Come Bacon, Saint-Simon credeva che la scienza e la tecnologia avrebbero risolto gran parte dei problemi sociali e tecnici.
Tuttavia, affinché gli esperti tecnici potessero governare la società, le “masse ignoranti” dovevano essere controllate.
Ciò implicava a sua volta la necessità di abbandonare la democrazia e, quindi, la politica di massa.
Al suo posto, egli proponeva l’istituzione di una nuova scienza che avrebbe governato tutte le altre, chiamata “scienza dell’organizzazione”.
La ‘scienza dell’organizzazione’ è dunque pensata come sovrastruttura per governare le ‘masse ignoranti’ attraverso gli ‘esperti’.
Indifferentemente dal contesto nel quale operano, questi hanno un solo obiettivo: creare consenso, modificando la percezione del mondo nel popolo per piegarla alla scienza e la tecnologia.
La martellante presenza di ‘esperti nell’essere esperti’ su tutti i massmedia, dallo scoppio della PSICO pandemia, ha messo in luce questo fenomeno.
Ai lettori / ascoltatori più attenti non sarà sfuggito il ricorso alle tecniche di manipolazione e indottrinamento, condito dal paternalismo tipico di chi si trova nella posizione di proteggere masse troppo ‘ignoranti’ per comprendere la gravità di un problema complesso.
Non saranno nemmeno sfuggite le innumerevoli cantonate e ritrattazioni, alle quali non è seguita però nessuna scusa e men che meno una narrazione meno sicura delle proprie affermazioni.
Dalla celebre sentenza del Burioni che nella trasmissione “Che Tempo Che Fa” decretava: «Io ritengo che in Italia il rischio di contrarre questo virus è zero, perché il virus non circola» agli slogan salvifici sul vaccino, la narrazione della COVID avanza di certezza in certezza. Poco importa se viene puntualmente smentita.
Questo linguaggio tronfio, volto a creare aprioristicamente consenso, chiuso ermeticamente ad ogni dissenso o riflessione, è stato descritto da Geoge Orwell ne I princìpi della neolingua, appendice al suo celebre 1984. Processo di oggettivazione della realtà, la neolingua (Newspeak, ossia “nuovo parlare”) è un espendiente in grado di recidere dalle fondamenta la possibilità di esprimere un’opinione che si discosti dalla narrazione ufficiale portata avanti dai padroni del discorso.
Gradualmente, grazie al ricorso a precise strategie messe in atto nel tempo, il linguaggio viene impoverito, in modo da annichilire ogni riflessione e ridurre il pensiero a un gesto meccanico e inconsapevole di asservimento.
Fine specifico della neolingua non era solo quello di fornire, a beneficio degli adepti del Socing (termine della neolingua utilizzato da Orwell per indicare il socialismo inglese, NdA), un mezzo espressivo che sostituisse la vecchia visione del mondo e le vecchie abitudini mentali, ma di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero.
Si riteneva che, una volta che la neolingua fosse stata adottata in tutto e per tutto e l’archelingua dimenticata, ogni pensiero eretico (vale a dire ogni pensiero che si discostasse dai princìpi del Socing) sarebbe stato letteralmente impossibile, almeno per quanto riguarda quelle forme speculative che dipendono dalle parole. […]
Tutto questo avviene oggi, sotto i nostri occhi. La creazione di nuovi vocaboli, l’eliminazione chirurgica di altri (tramite lo spauracchio del politicamente corretto), la mannaia mediatica di epiteti in grado di intirizzire il pensiero alternativo (vedi complottista, negazionista), l’istituzione di Task Force conto la fake news… il clima nel quale viviamo è puramente distopico e nichilista.
L’obiettivo non è la tanto decantata ‘salvezza’ della nostra salute, quanto la distruzione sistematica del pensiero critico e, dunque, della Democrazia.
Questo rappresenta il volto nascosto e, al contempo, più violento della PSICO pandemia di COVID-19.
Questa è, a mio avviso, la questione più grave che ci troviamo a dover affrontare in questo momento, perché lo scopo ultimo della propaganda e della censura non è impedire la libera espressione di un pensiero, ma creare le condizioni perché le persone non siano più in grado di formularlo.
Armando Manocchia
FONTE: https://www.imolaoggi.it/2022/06/26/siamo-vittime-della-scienza-dellorganizzazione/
Devono smetterla, dice ” Il Riformista”, le donne, di sfruttare il ” dono” della maternità e della ” sessualità”?
Gaetano Immè 19 06 2022
E con che cosa camperebbero, allora?
Quale altro ricatto potrebbero esercitare su figli e uomini?
Quando, una banda di illusi radicali, promuovevamo, negli anni settanta, una rivoluzione copernicana della società italiana , la facevano passare da una fase patriarcale ad una fase moderna , dai ” pari diritti e doveri”, quando ci siamo battuti per riforme epocali quali il divorzio, l’aborto, il nuovo diritto di famiglia, l’abrogazione del delitto d’onore, eccetera non ci siamo resi conto che stavamo sbagliando tutto, perché stavamo levando, da sotto il muso di ogni donna, il “piatto ricco”, ossia il ” patriarca”, ossia ” il carnefice” il ” posto fisso agognato”.
Noi credevamo nell’amore , le femministe hanno creduto solo ai loro interessi, ossia a due loro prerogative, la prerogativa di potere partorire una vita e quella di possedere quella dote nella quale l’uomo trova la sua pace, il sesso.
Abbiamo spinto una marea di femministe analfabete da 4 soldi a usare queste due armi micidiali per annientare ogni uomo, con alienazione filiale e parentale e con il ricatto sessuale.
I misfatti di Cogne, di Santa Croce Camerica e, oggi, di Mascalucia ci vogliono ricordare che se tre, fino ad ora, sono state le madri che odiano i figli, milioni sono le madri che usano i figli per spingere gli uomini alla disperazione, al suicidio.
BELPAESE DA SALVARE
COPERNICANESIMI.
Pierluigi Fagan 1 11 2021
La cultura delle immagini di mondo ha una sua credenza fondativa. La credenza è quella che, data una struttura di pensiero gerarchica che da uno o più assunti di vertice produce discorso complesso a cascata secondo l’operatore logico “se … allora”, “se” si mette in discussione il punto iniziale, “allora” cambia l’intera struttura di pensiero. Classicamente, si è presa l’ipotesi di Copernico del porre la Terra in periferia ed il Sole al centro, al contrario di quanto faceva l’ideologia dominante cristiana di derivazione tolemaica, per chiamare questo processo “rivoluzione copernicana”.
Kant dichiara di esser stato soggetto ad una rivoluzione copernicana quando venne svegliato dal “sonno dogmatico” grazie alla lettura di Hume. Marx sarà ancor più copernicano nel voler rimettere la dialettica a testa in su dopo che Hegel l’aveva messa a testa in giù. Darwin fece altrettanto con l’idea che le specie nascevano, cambiavano e sparivano in un ciclo di esistenza adattiva e quindi non erano fisse, immobili, create perfette ex ante dal Perfetto Assoluto. Freud fece qualcosa di simile con la pretesa razionalista, in parte anche Nietzsche, come riconobbe Paul Ricoeur nel confezionare la definizione di “scuola del sospetto” (Marx-Freud-Nietzsche). Einstein infine fece qualcosa di simile con Newton o meglio con la pretesa epistemologica che la gravità newtoniana fosse l’unica dimensione valida per comprendere il funzionamento macro dell’Universo. Per non parlare della distruzione paradigmatica della meccanica quantistica rispetto alle nostre pretese di uniformare il mondo macro al micro.
Insomma, da dopo Copernico, si nota quello che solo negli anni ’60 per merito di un epistemologo americano (Thomas Khun) verrà razionalizzato come un sistema di pensiero che discende da un paradigma, messo in dubbio la pretesa ordinativa del paradigma, si muove tutto il sistema di pensiero fino a trovare un nuovo paradigma che sembra più adatto al cumulo delle conoscenze sviluppate.
Si noti il fattore tempo. Un paradigma è sempre figlio di un’epoca storica. Passando il tempo si accumulano evidenze a favore ma anche molte non a favore di quel paradigma, da cui l’idea di metterlo in discussione per cercarne un altro che faccia i conti con tutto ciò che si sapeva al tempo in cui è stato formulato, ma anche con tutto ciò che s’è scoperto dopo.
Sottoponiamo allora a verifica il paradigma del materialismo storico. Classicamente il paradigma, che era a sua volta un copernicanesimo anti-hegeliano, invertiva i rapporti tra struttura materiale produttiva e sociale con la sovrastruttura ideologica sovrastante. Così funzionava l’ordine delle cose e quindi così doveva funzionare l’anti-ordine delle cose. Fare “politica” per trasformare lo stato delle cose in atto, ordinava di cambiare le strutture. In effetti poiché lo ordinava in base ad una analisi e prognosi, cioè a seguito di una costruzione di pensiero, aveva in sé una contraddizione in quanto esso stesso negava il suo presupposto. C’era una idea prima dell’azione. In effetti, già prima nella sequenza storica del suo pensiero, Marx non aveva affatto escluso il ruolo delle idee, aveva solo raccomandato di tenerle in contatto col mondo reale delle cose, di pensare mentre si agisce, creando quello che noi oggi possiamo chiamare un “circolo ricorsivo” tra pensiero-azione-nuovo pensiero-nuova azione etc.
Dopo un secolo e mezzo di progresso conoscitivo operato da molte discipline, oggi si è per lo più convinti che, coscienti e non sempre del tutto coscienti, gli esseri umani agiscono in base a ciò che pensano. L’uomo è l’animale con il più sfolgorante successo adattativo della storia recente del vivente, proprio perché pur non dotato di alcuna specialità fenotipica, pensa prima di agire. Financo pensa che è meglio non agire, talvolta, cosa che lo ha -in parte- emancipato da certi meccanismi istintuali non sempre adatti a tutte le circostanze. Il complesso sistema che sovraintende alla funzionalità mentale, noi qui lo chiamiamo “immagine di mondo”, logiche, memorie, informazioni, teorie, conoscenze, giudizi, attraverso i quali pensiamo prima di agire. Ci teniamo talmente tanto (in effetti lo potremmo dire la nostra “identità”) che spesso che ce freghiamo se i risultati delle nostre azioni sono in contraddizione con il sistema di verità dell’attività pensante, facciamo prima a dar la colpa al mondo, piuttosto che alla nostra immagine.
A questo punto potremmo fare una contro-storia culturale del dominio dell’uomo sull’uomo, evidenziando quanto problematica sia l’idea che tale dominio si sia creato nelle condizioni materiali e solo dopo sia stato “giustificato” da quelle ideali. Fino a giungere all’Origine di questa asimmetria che secondo alcuni (tra cui chi scrive) data all’inizio delle società complesse, cinquemila anni fa. Origine che alla sua origine, si è affermata al contrario, prima distruggendo l’immagine di mondo condivisa naturalmente nei piccoli gruppi umani, per poi sviluppare un doppio processo ideale e materiale che ha portato progressivamente alla forma gerarchica della società. Ma non abbiamo spazio e tempo per poter esser più precisi a riguardo.
Saltiamo allora direttamente ad oggi. Come forse saprete, c’è una “discorso delle idee” che si dipana con grande coerenza ed intensità dalla fine della Seconda guerra mondiale, soprattutto in ambito statunitense. E’ un discorso complesso fatto di psicologia diretta allo sviluppo prima del comportamentismo e poi del cognitivismo, che poi si interseca con la rivoluzione informatica, lo sviluppo dei mass-media, che poi arriva ad Internet che nasce da una rete militare, che poi si sviluppa progressivamente nella cultura digitale, nel più ampio movimento della informazione, della cultura e dell’intrattenimento in direzione di certi precisi canoni conformi all’ordinatore economico mediato dal marketing. Fino ad arrivare ai primi del nuovo millennio, ad una nuova strategia lanciata dal governo americano detta NBIC, appunto la convergenza e sinergia tra le ricerche su nanotecnologie-biotecnologie-informazione-sviluppi della “cognitive science” che porterà al Internet of Things, al Metaverso, alla Realtà aumentata e molto altro per altro da tempo anticipato dalla letteratura fantascientifica distopica.
Ci si domanda quindi: quanto della battaglia politica condotta dalle élite oggi si basa su strutture piuttosto che sovrastrutture? Quanto materiale e sociale condizionamento sono esercitati, quanto controllo biopolitico, ma a questo punto quanto controllo psicopolitico come intuito da Byung-chul Han? Siamo sicuri che il dominio dell’uomo sull’uomo è operato dal piano materiale e solo dopo si confezionano ideologie? E come spieghiamo allora la vasta e storica servitù volontaria dei Molti se non con l’introiezione che è giusto sia così e non altrimenti possibile ancorché desiderabile? Se l’uomo è l’animale che pensa prima di agire, il controllo dell’uomo sull’uomo non parte dal controllo di questa facoltà di pensiero per poi raccogliere i frutti nel dominio materiale? Cosa hanno fatto le religioni per milioni di anni?
Sino a giungere alla nostra domanda finale: non è che convinti ancora che la battaglia politica debba partire dalle forme materiali, ci siamo persi l’opportunità di agire invece sul piano mentale? Perché invece di fondare partiti materiali, non proviamo a fondare un partito mentale? Che faccia conflitto organizzato mentale? Avremo dei vantaggi a fare un nostro copernicanesimo che riconosca la necessità di agire in forme organizzate il conflitto sociale e politico sul piano mentale? Non è che ci serve un partito culturale, un movimento culturale organizzato prima di quello sociale e politico?
O crediamo che basti la nostra confusa e scoordinata, vociante ed inconcludente “guerriglia critica” per combattere le potenti forze messe in campo dall’ ordinatore dominante e relativa élite con codazzo funzionariale sempre più dedita a capire e controllare come riannodare i fili dei nostri dendriti disciplinando i flussi elettrici e chimici che da neurone vanno a neurone?
E’ forse questa la risposta che non troviamo per la versione attuale dell’eterna domanda politica: che fare?
FONTE: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=pfbid0upCkCrjwg9CLyqMPpf5bBC3YynMpxSWrZYWiDhXq3vpDGN1sj5qND8w892heUci7l&id=1100565428
IL VILE AFFARISTA
Maurizio Ulisse Morelli 25 06 2022
Se c’è stato uomo che la sapeva lunga ed era ben a conoscenza di cosa si muoveva dietro le quinte, come e perché, un uomo che ben conosceva il ruolo assegnato dal Mondialismo a certi soggetti, quast’uomo era Francesco Cossiga che così si esprimeva: «Mario Draghi? Un VILE AFFARISTA socio di Goldman sachs, che esegue ordini precisi per l’impoverimento degli stati ai quali l’élite ha messo gli occhi, fu un mio gravissimo errore consigliarlo all’allora presidente Berlusconi, un gravissimo errore da parte mia. Se Draghi arrivasse alla presidenza del consiglio sarebbe una catastrofe per l’Italia»
Stabilito chi è Draghi, bisogna cercare di capire il perché della posizione urticante del “vile affarista” nei confronti della Russia, senza lasciarsi condizionare dall’antipatia derivante dalla conoscenza della sua natura, della sua mentalità, della sua concezione del mondo e della vita, cercare di capire dove questo neo “Migliore” vuole andare a parare, quale obiettivo e quale strategia ha in testa.
Noi sappiamo che l’Italia nei prossimi mesi rischia grosso a diversi livelli, uno dei quali è l’approvvigionamento energetico utile per affrontare l’inverno. Il ministro Cingolani fa lo splendido e dice che al momento abbiamo riempito il 55% degli impianti di stoccaggio, e dice anche che salvo incidenti, entro l’inizio dell’inverno raggiungeremo il 90-95%. Quel che non dice è che il gas che viene stoccato è una riserva strategica utile per far fronte alle punte di richiesta durante l’inverno, ovvero un rinforzo al fabbisogno giornaliero invernale rispetto al periodo estivo. Se ne può stoccare fino a 18 miliardi di metri cubi mentre il fabbisogno giornaliero è di quasi 100 milioni di metri cubi. Se il flusso di gas fosse interrotto, ne avremmo a disposizione 9 miliardi, sufficienti per meno di 100 gg…. Forse. Perché essendo state fermate le centrali idroelettriche per mancanza di acqua, il fabbisogno di gas per generare elettricità è aumentato.
Ora è impensabile che Draghi non sia cosciente di quale disastro potrebbe essere causa questa situazione da sommare alle altre sciagure. Lo sa, lo sa benissimo. E allora serve capire cosa veramente ha escogitato per evitare questa e le altre catastrofi derivanti dallo scontro con la Russia. Uniamo alcuni puntini. Draghi va in USA e a Biden dice che in qualche modo l’Europa deve differenziarsi nella modalità di guerra condotta contro la Russia. In tutta evidenza ottiene l’assenso per una qualche manovra che si può supporre ma sulla quale evito di speculare. Va poi in Israele che è uno degli Stati che si è posto come intermediario. Magari gli sarebbe piaciuto andare anche in Turchia, ma dopo aver insultato il Sultano etichettandolo come Dittatore la cosa non si presta. Probabile che, spiegata la sua strategia a Israele, abbia ottenuto un qualche assenso. Quindi va a Kyev con il Francese e il Tedesco e mentre è in viaggio pare li convinca alla sua strategia, che poi è quella concordata con Biden, tant’è che sia il Francese che il Tedesco cambiano registro fino al punto che i tedeschi mandano a Zelensky i carri armati che non si decidevano a mandare. Perché, come ha detto Draghi alle Camere, è indispensabile continuare a “sostenere con gli armamenti” l’Ucraina. A Kyev di certo il trio italo-franco-tedesco garantiscono l’entrata dell’Ucraina nella UE, e di fatto il processo è stato avviato giusto ieri con una prassi ridicola. Ora resta da capire se questa promessa accoglienza nella UE dell’Ucraina è il contentino per Zelensky che da ieri gongola come un bambino cui hanno donato un lecca-lecca e dunque dovrà accettare una inconfessabile (per il momento) proposta del Trio. Una proposta che prelude ad una accettabile resa con concessioni territoriali? Se a Kyev è stato concordato qualcosa di simile alla resa dell’Ucraina allora si spiega il “muso duro” verso i russi tenuto da Draghi e anche l’ottimismo di Cingolani: una recita. Diversamente quello di Draghi è un atteggiamento suicida (per l’Italia) che non si spiega. Basta vedere come si è posizionata la Germania dichiarando lo stato di emergenza energetica fino al punto di riaprire le centrali a carbone parlando anche di razionamento. Se nei prossimi giorni la Russia non diminuisce le forniture di gas all’Italia, allora c’è anche da supporre che i russi della “misteriosa” proposta di Draghi a Zelensky siano stati messi al corrente e abbiano preso atto che Draghi recita la parte del bullo intransigente per mascherare il suo reale operato.
FONTE: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=pfbid02S2opKk1Mq9LaBwQ4r8b5MmD8No2j678wrKdd8euRANKF187bwdPSjPc5WSuZukZ7l&id=100039778910832
ll fallimento del nostro paese in un’immagine.
Federica Francesconi 24 06 2022
Un nuovo decreto del governo dei migliori impone la tassazione per il calciobalilla che viene equiparato agli altri giochi d’azzardo. La GdF sta intervenendo in tutta Italia per multare i pericolosissimi esercenti detentori di biliardini. Questa norma demenziale viene applicata mentre i nostri anziani frugano nei cassonetti dell’immondizia, i nostri corpi venduti a Big Pharma, le risorse africane delinquono, le bollette schizzano ecc. Fra non molto verrà tassata anche l’aria inquinata che respiriamo. Per i sacerdoti del nuovo mondo distopico non dobbiamo più vivere.
Ma la colpa di tutto ciò è di Putin, sia chiaro.
FONTE: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=pfbid02F6x8Dkc84Ai7jJoCoxnPonZzPtGSYXVuUcLYd6D62RjfsLh8HC6qiag79QyPPpzQl&id=1165264657
CONFLITTI GEOPOLITICI
KALININGRAD: OLTRE LA CRISI UCRAINA
Già in precedenza ho menzionato “l’escalation in orizzontale” (allargamento degli schieramenti) della crisi ucraina, e la “questione” di Kaliningrad è un ulteriore esempio. Quindi, al fulcro ucraino della crisi tra Russia ed Occidente, si aggiunge un altro scenario geografico, già accarezzato da tensioni con la richiesta di Finlandia e Svezia di entrare nella Nato, ma che ora si conclama come un concreto focolaio per una espansione del conflitto che potrebbe coinvolgere ufficialmente e direttamente l’Occidente. Kaliningrad è un esiguo lembo di terra di 15mila chilometri quadrati, eredità delle spartizioni della Seconda guerra mondiale, ex Prussia orientale; è una enclave russa ora circondata da paesi europei. Una stretta striscia di terra, chiamata Suwalki Passage, è la porta della Russia verso l’area baltica meridionale. Ma in che modo l’ex città prussiana di Königsberg è diventata russa?
Kaliningrad era appunto chiamata Königsberg fino al 1945 quando fu conquistata dall’Armata Rossa che marciò contro i nazisti. Casa natale del filosofo Immanuel Kant, fu quasi completamente rasa al suolo durante la Seconda guerra mondiale. Gli accordi di Yalta e Potsdam posero la parte settentrionale della Prussia orientale sotto il dominio sovietico, mentre la parte meridionale tornò alla Polonia. Così l’Urss, avuto questo territorio incuneato tra Polonia e Lituania, ottenne l’accesso ai porti di Königsberg e Pillau liberi dai ghiacci tutto l’anno, a differenza di Kronstadt e Leningrado nel Golfo di Finlandia che erano spesso bloccati dal ghiaccio. Nel 1946 Königsberg fu annessa alla Repubblica socialista federativa sovietica russa e ribattezzata Kaliningrad, in onore di Mikhail Kalinin, presidente del Soviet Supremo deceduto il 3 giugno 1946. Nel 1948 la popolazione tedesca fu espulsa. I russi cancellarono ogni traccia di questo passato tedesco iniziato nel XIII secolo con l’arrivo dei cavalieri teutonici. La città fu profondamente ridisegnata e trasformata in un modello sovietico. I paesi baltici ottenuta la loro indipendenza, aderirono all’Unione europea nel 2004.
Ora su Kaliningrad le sanzioni europee si stanno facendo sentire, ma a che costo? Gli accordi esistenti con l’Europa per rifornire Kaliningrad dalla Russia, sono stati messi in discussione durante il processo sanzionatorio, di conseguenza la Lituania sta bloccando il transito su rotaia di merci verso l’enclave russa, situazione percepita, ma soprattutto propagandata dal Mosca, come una pericolosa aggressione dell’Occidente. Anton Alikhanov, governatore di Kaliningrad, ha avvertito Mosca che l’applicazione del quarto pacchetto di sanzioni inciderebbe tra il 40 e il 50 per cento sulle importazioni. Prima del blocco del Suwalki Passage mensilmente circa cento treni passeggeri e merci non militari, collegavano Kaliningrad con la Russia continentale attraverso la Bielorussia, alleata di Mosca, e la Lituania, membro dell’Unione europea e della Nato. L’istituzione di questo transito è stata una delle le condizioni imposte alla Lituania quando è entrata a far parte dell’Ue. Le misure di ritorsione europee riguardano principalmente carbone, metalli e materiali da costruzione e saranno estese a luglio anche a cemento e alcol.
Le autorità russe, dal 20 giugno, hanno minacciato una reazione adeguata a quello che ora Mosca considera un affronto strategico, e Vilnius si sta allertando per poter reagire ad una eventuale aggressione. Preoccupazioni rafforzate da Sergei Ryabokon incaricato d’affari russo in Lituania, che ha dichiarato che il divieto di transito non è più solo una questione di sanzioni, ma un atto ostile contro la Russia. Frase pesante in quanto questo blocco del transito commerciale può ricadere in uno specifico “atto di guerra”. Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, ha chiaramente comunicato che la Russia sta studiando delle misure di ritorsione contro la Lituania e che saranno rese note a breve. Intanto, Mosca ha chiesto l’immediata revoca del blocco ferroviario, considerandolo illegale. Come è di prassi la disinformazione che naviga sui social è in pieno svolgimento, e per i filorussi diventa la dimostrazione che la Nato sta agendo per provocare la Russia e accendere la miccia della Terza guerra mondiale.
Il Corridoio Suwalki, di circa 65 chilometri, potrebbe essere la miccia d’innesco della polveriera baltica? È solo una questione di tempo? Intanto sullo sfondo di un nuovo scenario mortifero, sicuramente molto più coinvolgente a livello internazionale, è stata avviata l’operazione Thunder Lynx, dove l’esercito francese ha paracadutato dall’areo da trasporto militare A400M, verso l’Estonia, un centinaio di soldati dell’11a brigata paracadutisti, per dimostrare la propria capacità di reagire con breve preavviso in caso di crisi. La “manovra”, hanno dichiarato i coordinatori dell’operazione, anche se temporalmente sospetta, non ha nulla a che fare con la rinnovata tensione tra Russia e Lituania. L’ennesima dimostrazione della disinformazione che tuttavia fa parte, in questo caso, di strategie prettamente militari, anche se apparentemente banalizzate. Intanto l’escalation sia in orizzontale che in verticale (incremento di armi potenti) prosegue e il rischio di un aumento della insicurezza globale diventa un fattore con cui fare i conti, anche alla luce di quanto affermato da un portavoce del Cremlino che ha assicurato che la Russia “spezzerà la schiena all’Occidente!”.
FONTE: https://www.opinione.it/esteri/2022/06/27/fabio-marco-fabbri_kaliningrad-russia-ucraina-ue-terza-guerra-mondiale/
L’abbaglio della guerra etico-democratica
di Michele Prospero
Una guerra che ha avuto una copertura mediatica mai vista, con scene di morte e distruzione mandate in onda minuto per minuto, non produce nelle reazioni del pubblico l’automatismo sperato dai registi dell’indignazione: una mobilitazione bellicista contro il criminale di guerra, il macellaio, il folle malato terminale che si cura con il sangue di cervo. I sondaggi mostrano una opinione largamente ostile all’invio di nuove armi per vincere in Ucraina la bella guerra di civiltà.
Su questa sfasatura tra orientamenti politici (anche il capo dello Stato ha fatto ricorso ad un irrituale invito alla prosecuzione delle ostilità sino “al ritiro degli occupanti”) e paure di una massa ampia di cittadinanza, che percepisce l’effetto autolesionista delle misure di sanzione ed embargo, cerca di far leva Salvini. Le sue trovate di capitano della pace sono grottesche, nei modi poco diplomatici adottati, e strumentali negli obiettivi (il 21 giugno dal chiacchiericcio si passa alle esplicite assunzioni di responsabilità in aula). Però reali sono i sentimenti di preoccupazione che esistono nella società per il timore della caduta progressiva in una catastrofica economia di guerra.
Non sorprende che, dinanzi alle materiali angosce della porzione di popolo che teme il peggio dinanzi all’inflazione, Letta reagisca con un lessico etico: il suo partito non ha salde radici nei ceti subalterni. Contrapponendo la dignità ideale del combattimento all’interesse materiale alla trattativa, egli cavalca l’immagine di una guerra etica. In uno dei suoi ultimi tweet contro Lavrov (cha ha avuto condivisione e like anche di filosofe importanti come Urbinati, Mancina, Cavarero) il segretario del Pd dichiara che lo scontro è tra noi e loro, da una parte i pacifici democratici e dall’altra gli autocratici guerrafondai.
In tempi di sbrigativa cancel culture, che nel risentimento post-coloniale delle periferie del mondo fa tabula rasa delle tracce anche simboliche dell’occidente, Letta certifica che mai Parigi avrebbe occupato altri territori e così condona a fin di bene il pesante passato coloniale francese. Le guerre di conquista e di aggressione degli eserciti transalpini sono scambiate evidentemente per delle allegre scampagnate in Indocina, a Suez, ad Algeri, in Libia.
Con la coppia noi-loro, democrazia-autocrazia si alimenta la guerra infinita e si chiude ogni spiraglio per la mediazione. Anche al vice segretario Provenzano la semplice parola trattativa produce un nodo in gola: “noi dobbiamo sostenere l’Ucraina ed essere i più netti e i più coraggiosi nel farci carico delle conseguenze della guerra”. Non pace e negoziati, con una lotta per la soluzione politica, ma trovare qualche bonus per rendere sopportabile il costo di una guerra di lunga durata. L’abbaglio della guerra etico-democratica è davvero disarmante.
In Ucraina si svolgono molteplici guerre, e tra di esse non compare proprio la polarità democrazia-autocrazia come effettivo motivo del ricorso alle armi. C’è invece una guerra etnico-territoriale, una guerra geo-politica che non è cominciata da 100 giorni. Ha a che fare con l’estensione della Nato oltre ogni limite ragionevole e con il confinamento della Russia in spazi sorvegliati e ristretti nel disconoscimento delle sue rivendicazioni di grande potenza seppur decaduta.
La follia strategica di Putin, che si getta in una impresa costosa e illegale, non può essere disgiunta dalla provocazione strategica del 10 novembre del 2021 quando Usa e Ucraina hanno firmato il Charter on Strategic Partnership. Il documento contiene passaggi molto forti (assistenza piena per una “solida formazione ed esercitazioni”) e impegni destinati a scatenare nell’avversario delle risposte rabbiose, sino all’azzardo dell’invasione. In un crescendo di sfida verso il ruolo geopolitico russo, la dichiarazione congiunta richiama il comunicato del vertice Nato di Bruxelles del 14 giugno 2021 e ribadisce il sostegno alle legittime “aspirazioni dell’Ucraina a entrare nella Nato”.
Per scansare ogni equivoco interpretativo, la carta scandisce a chiare lettere: “gli Stati Uniti sostengono gli sforzi dell’Ucraina per massimizzare il suo status di Nato Enhanced Opportunities Partner per promuovere l’interoperabilità”. Il nesso causale (che non significa in alcun modo legittimazione della guerra di aggressione) tra la impresa criminogena della Russia e il reclutamento di Kiev in una alleanza militare ostile parrebbe piuttosto evidente. Invece che di etica e democrazia occorre parlare di aree geopolitiche, di alleanze militari, di multilateralismo.
Anche le imprese belliche non legittime, come quella russa, devono pur trovare una soluzione politica che riduca i costi imponderabili della escalation militare. Il nuovo governo degli spazi, con la riclassificazione dei territori contesi a suon di bombe, non potrà che ratificare le esigenze di mantenimento della sovranità dell’Ucraina insieme alle legittime istanze di sicurezza della potenza russa che non può tollerare che la Nato si estenda con gli arsenali sino “ad abbaiare” verso Mosca.
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/23236-michele-prospero-l-abbaglio-della-guerra-etico-democratica.html
CULTURA
Panottico
pa-nòt-ti-co
SIGNIFICATO Edificio carcerario circolare ideato dal filosofo inglese Jeremy Bentham alla fine del Settecento, in cui tutte le celle possono essere controllate da un singolo sorvegliante posto al centro; edificio radiale; struttura di controllo sociale centralizzato
ETIMOLOGIA dall’inglese panopticon, costruito con gli elementi greci pân ‘tutto’ e optikón, neutro di optikós ‘visibile’.
«Ci fece ruotare e sfalsare i banchi a mo’ di panottico, per poterci controllare tutti stando seduto alla cattedra.»
I destini delle parole riforgiate modernamente a partire da antichi frammenti di greco sono dei più diversi. Nel caso in cui questi frammenti siano in effetti elementi comuni, che si prestano a interpretazioni differenti, è possibile — come accade col ‘panottico’ — che da una composizione greca salti fuori un vero cespuglio di parole. Ciò nonostante, qui abbiamo un significato centrale estremamente interessante e con venature inquietanti, appeso a un conio specifico.
Alla fine del Settecento il filosofo inglese Jeremy Bentham (che avevamo già incontrato come inventore del termine ‘deontologia’ e che incontreremo di nuovo in futuro) ebbe un’idea per un carcere di nuova concezione, un carcere circolare, in cui un singolo sorvegliante posto al centro potesse controllare tutte le celle di tutti i piani.
Lo chiamò Panopticon, adattato in italiano come panottico, componendo il greco pân ‘tutto’ e optikón, neutro di optikós ‘visibile’ — anche se c’è chi ci sente dentro l’eco di Argo Panóptes, gigante multiocchiuto del mito greco.
Il panottico di Bentham in realtà non fu costruito, ma questa sua idea si è sviluppata nella lingua in due direzioni metaforiche diverse, la prima più architettonica la seconda più funzionale.
L’idea architettonica alla base del panottico è uno sviluppo radiale del carcere a partire da un centro da cui è interamente visibile — e così diventano panottici gli edifici che hanno questo tipo di pianta.
Possiamo parlare del panottico della nuova biblioteca, ramificata intorno a un padiglione centrale, di come si ammiri l’intero giardino a panottico dal belvedere di un’edicola, di come il panottico di un vecchio manicomio sia stato riadattato a centro espositivo.
Ma se invece prendiamo il panottico come struttura, in senso lato, in cui ogni persona può essere osservata allo stesso tempo da un’unica entità vigilante, allora possiamo anche parlare del panottico di uno Stato autoritario che controlla capillarmente la rete internet, del panottico tappezzato di schermi a cui trasmettono immagini tutte le telecamere stradali della città d’arte, del panottico del balcone da cui la nonna guardava la piazza — e non c’era fatto o relazione che la sfuggisse.
Il riferimento al Panopticon di Bentham, esteso come edificio radiale o struttura di controllo centrale, è un riferimento di grande impatto, che spiazza con una dottrina ricercata — ma anche un po’ elitista, per la verità, visto che non in ogni contesto chi è presente e ci ascolta o legge ha presente quella trovata carceraria. Ma è una risorsa brillante per quando sappiamo che non cadrà nel vuoto.
Poi certo, siamo davanti a una parola che avulsa da Bentham ci parla di un ‘tutto visibile’, concetto a dir poco largo. E allora, riprendendo il cespuglio di cui dicevamo, diventano panottiche anche le collezioni museali in stile Wunderkammer, ‘Camera delle meraviglie’, in cui sono raccolti esemplari di vaste varietà d’arte e di specimen naturali — quasi in rappresentanza di tutto. E non solo, sono panottici anche gli strumenti che mirano a migliorare la vista agendo su difetti dell’occhio, come occhiali forati, mentre in biologia sono panottici quei metodi che permettono di colorare tessuti organici, differenziandoli e rendendoli visibili.
Significati diversi, variegati, certamente di portata comune inferiore rispetto agli esiti del Panopticon di Bentham — ma che ci danno la dimensione di quanto le parole siano materiali da lavoro versatili.
Parola pubblicata il 18 Giugno 2022
FONTE: https://unaparolaalgiorno.it/significato/panottico
La rivoluzione in tempi non rivoluzionari
Una vita liberata
Oggi alla Fondazione Basso, ore 17.30 (via della Dogana Vecchia, 5 Roma), si presenta il nuovo libro di Roberto Ciccarelli «Una vita liberata. Oltre l’apocalisse capitalista» (DeriveApprodi, 2022). Intervengono con l’autore: Ubaldo Fadini, Dario Gentili, Chiara Giorgi, Giacomo Marramao. Per l’occasione pubblichiamo un estratto dell’introduzione, ringraziando l’autore e l’editore per la disponibilità e invitando i nostri lettori a leggere un libro che non è un soprammobile (come tanti libretti inutili pubblicati dall’industria culturale), ma un’arma che serve a fare cose.
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Rivoluzione passiva
Siamo entrati nella condizione postuma quando il mondo è stato dichiarato impossibile da cambiare e ogni tentativo di liberare la vita sembra essere destinato al fallimento. Dagli anni Ottanta del XX secolo è stata celebrata la fine della storia e del mondo, del moderno e del postmodernismo, della società e della politica. Consummatum est. L’elenco potrebbe continuare a lungo, ma già questo permette di comprendere l’immaginario totalitario in cui è stata incastonata la nuova escatologia della storia, la più insidiosa perché teorizza la fine di tutte le fini. Da un lato, è stata sostenuta la fine di tutte le «grandi narrazioni»; dall’altro lato, è stata ribadita una narrazione ancora più grande basata sulla fine di tutte le altre. La narrazione totalizzante che pone fine a tutte le narrazioni totalizzanti ha lasciato impregiudicato il sistema che ha fatto della crisi la propria ragione d’essere: il capitalismo.
L’idea di una rivoluzione non è scomparsa. La troviamo in una posizione capovolta e prigioniera di un’illusione retrospettiva che proietta la realtà in un passato indefinito e vede nel presente un blocco unico dove le parti cambiano solo di posto. La rivoluzione appare oggi un’ipotesi controfattuale che imprime la sua potenza solo sul rovescio dell’immaginario distopico delle Serie Tv o dei romanzi a cui sono ispirate e non nella realtà prosciugata dalle potenze necessarie per arrestare il crollo e fare nascere un altro mondo. Il suo desiderio è un fantasma che attende l’ora dell’alba e resta sospeso nel crepuscolo di un possibile senza relazioni con la potenza di agire e di pensare. Si presta sempre meno attenzione all’idea per cui il possibile non si trovi in un mondo separato dalla realtà ma sia parte di un movimento che lo unisce a qualcosa mentre qualcos’altro lo rigetta all’indietro e si concretizza negli incontri tra ciò che è determinato nel reale e ciò che è determinabile nel virtuale. Come sonnambuli ci trasciniamo in un sistema che sembra avere colonizzato ogni aspetto dell’esistenza e crediamo che la vita sia una marionetta nelle mani di un potere assoluto o di una causa senza soggetto. Nasce così l’impressione di uno schiacciamento che rende angosciosa la vita e preferibile il nulla in attesa che un meteorite colpisca la terra devastata da pandemie, guerre, diseguaglianze e disastri climatici accettati come eventi inevitabili, non intesi come effetti di un’organizzazione del mondo. Oggi è più facile riflettere su come moriremo che rispondere alla domanda su cosa può la vita che viviamo. In un orizzonte claustrofobico non sembra esserci resistenza, né creazione. Attendiamo la catastrofe finale mentre in realtà partecipiamo alla sua riproduzione in una condizione storica senza prospettive che non siano quelle di sopravvivere a noi stessi.
Questo pensiero è il prodotto di una politica che ha capovolto la rivoluzione nel suo opposto trasformandola in una rivoluzione passiva, quella che con Antonio Gramsci intendiamo come una politica trasformistica governata, non senza contraddizioni, da gruppi sociali dominanti la cui azione opprimente ed elusiva esclude la possibilità e l’attualità di una rivoluzione politica e sociale generalizzata. Ai nostri giorni possiamo rideclinare il concetto negli stessi termini, ma in un contesto diverso, dentro un processo di dimensioni globali come il neoliberalismo capace di coniugare, travisandole, alcune istanze di giustizia – equità intesa come redistribuzione tra i ricchi, il benessere sociale come performatività dell’individuo – con altre di natura conservatrice – la gestione delle gerarchie in un individualismo proprietario, la manutenzione della divisione sociale del lavoro o la finzione ecologica della «transizione verde» del capitalismo fossile.
Rispetto all’originale espressione gramsciana in questo libro reinterpreto la rivoluzione passiva nei termini plurali da contestualizzare a seconda degli usi di rivoluzione «neoliberale», rivoluzione senza rivoluzione, rivoluzione–restaurazione, rivoluzione dall’alto, rivoluzione conservatrice e controrivoluzione preventiva. Queste formule rispondono all’esigenza di assorbire e canalizzare le richieste di una profonda discontinuità politica in una progressiva, continua e flessibile restaurazione di un ordine senza giustizia. Da quasi mezzo secolo le controriforme che hanno costellato la storia di questa rivoluzione non hanno riformato nulla se non le condizioni che rendono praticabile la vita dei dominanti e spingono gli oppressi ad adattarsi a una vita parossistica e servile in una crisi senza sbocchi né alternative. Nella rivoluzione al contrario la vita è un continuo rinvio a un futuro negato, a una pratica separata dalle sue potenze e dalla concreta possibilità di esercitarle in maniera democratica e generativa, al ricordo di un’epoca dell’età dell’oro che non è mai stata tale.
L’apocalisse culturale del capitalista umano
La condizione postuma non è l’interregno dove emergono i fenomeni morbosi della decadenza umana. È il risultato di una contraddizione politica prodotta da una rivoluzione senza rivoluzione in una storia il cui esito non è scritto. In questa prospettiva la postumità non ha un significato univoco. Postumo non è solo chi è venuto dopo la fine (di una rivoluzione «attiva», per esempio), ma è anche chi scopre che un’altra vita comincia dopo la guarigione dai postumi di una malattia, di un incidente, di un’esperienza intensa e sublime, di una sconfitta politica di enormi dimensioni. Questa seconda idea permette di pluralizzare la condizione postuma e rappresentarla non come la fine del mondo in generale, ma come la liberazione da un mondo determinato, quello della soggettività neoliberale sulla quale è costruita l’attuale rivoluzione passiva.
La fine di tutte le fini riguarda un modo di concepire e praticare la vita che è passato dal sogno di incarnare il proprio capitale umano alla realtà di chi conduce una vita di scarto. Questa modalità storicamente determinata è definita nel libro capitalista umano. Si tratta di un personaggio che viene spesso confuso con l’«Uomo» in generale, oppure è ridotto a un modello di individualismo consumista e egoista, mentre invece è l’esito di una costruzione, il risultato di una crisi, l’esperienza di un’apocalisse culturale che coinvolge la società neoliberale e il suo principale soggetto: l’individuo sovrano armato di un Io a pezzi, estenuato da un’agonia che tuttavia non cancella la potenza di cui ha bisogno per alimentare i propri tormenti. La forma di vita del capitalista umano, metà uomo e metà capitale, è il centro della narrazione sulla fine di tutte le fini, il perno di una rivoluzione che dichiara la fine di ogni rivoluzione. Apocalittico oggi non è il mondo, né la sua storia, ma una specifica connessione tra l’agire e il pensare che dilania la vita e distrugge il pianeta imponendo una determinata configurazione dei saperi e dei poteri che scambia gli effetti con le cause, sovraordina l’atto alla potenza o viceversa, rovescia la libertà nel suo opposto di (auto)sfruttamento e consuma la vita in un’impotenza riflessiva. Quando parlo di “apocalisse” intendo invece una forma della politica, non un’ontologia della storia. Tale forma è l’esito di un conflitto sui modi in cui la potenza si esprime nel capitalista umano e su quelli in cui andrebbe liberata dalla sua presa. Il conflitto è praticato molto spesso in maniera unilaterale e non è del tutto compreso da chi lo subisce. Oggi manca una conoscenza critica condivisa delle teorie del capitale umano, della storia del neoliberalismo e delle loro implicazioni intellettuali e materiali. Questo libro è una storia del presente in cui si ricostruisce l’ampiezza dello scontro in corso e ragiona a partire dalla seguente alternativa: il problema del capitalista umano è sopravvivere in una condizione postuma senza storia, il nostro è liberare la storia dei suoi postumi e sperimentare una potenza oltre quella che l’ha ridotta al racconto della fine di tutte le fini.
Parliamo della liberazione eppure il suo soggetto è sempre più confuso. Nel dibattito sulle emergenze climatiche, ad esempio, è stato identificato con un’umanità generica. È un’idea che rischia di dissolvere la specificità dei rapporti di potere che hanno imposto un’organizzazione distruttiva della vita, producono epidemie mortali e impongono forme intollerabili di esistenza ma sorvolano sulle responsabilità di chi ha contribuito a realizzarle. Non siamo tutti uguali quando non arriviamo alla fine del mese, un diluvio allaga le città o il caldo torrido uccide di più gli anziani poveri e i senza casa. L’umanità non è un tutto indifferenziato ma resta divisa in governati e governanti, oppressi e oppressori, sfruttati e sfruttatori. Non basta evocare la fine del mondo per ritrovare un afflato unificante. Anzi, questa può essere l’occasione per scatenare una guerra di tutti contro tutti. Non è mai chiaro chi dovrebbe cambiare il mondo. I governanti in cui sono in pochi ad avere fiducia ma ai quali si continua a delegare il futuro? I fantasmi della volontà generale che si incarnano nel popolo? E perché non scatta la scintilla della liberazione? Quali sono le ragioni della reticenza, per non dire dell’ostilità, rispetto al bisogno di sottrarsi alle promesse di una libertà fittizia che ci fa vivere da nemici e oppressi da noi stessi prima ancora che dagli altri? A queste domande la rivoluzione passiva risponde con il paradosso che identifica la rivoluzione con la conservazione, produce una vita intossicata che si adatta alla crisi, al crollo o al collasso e si conferma indifferente alla sua impotenza. Il risultato di questa operazione, che non è solo discorsiva, è il capitalista umano.
Il libro prospetta una soluzione creatrice. Nella condizione postuma abitiamo una potenza praticata in maniera afflittiva rispetto a noi stessi, gli altri e la Terra. È possibile praticare una liberazione esercitando questa potenza in un’altra maniera di pensare e agire. Da passiva una rivoluzione può diventare attiva se agisce nella prospettiva che libera una vita nella direzione di una catartica politica. Questa prassi permette di adottare il prospettivismo storico della liberazione contro l’illusione retrospettiva dell’apocalisse.
Potenza/impotenza
La rivoluzione passiva del capitalista umano è basata su un assunto teorico: il mondo coincide con l’Io, l’Io possiede un potere assoluto sulle proprie azioni, tale potere è il prodotto della volontà di padroneggiare il mondo e non è determinata da altro che da se stessa. Ciò che definisco «apocalisse» è il segno di una crisi profondissima che ha spezzato il capitalista umano facendo vacillare il suo impero nell’impero. In questa situazione si attribuisce la causa dell’impotenza a una patologia della volontà che non è all’altezza del suo potere, alla coscienza assediata da uno stato psichico depressivo e luttuoso, a una perdita della libido o a un acquiescente e rassegnato adattamento allo stato di cose presenti.
In questo libro darò invece un’interpretazione spinozista dell’impotenza intesa come lo stato negativo di una potenza in atto, non come una condizione originaria dell’essere fondato su una mancanza ontologica, una malattia della psiche, un baco nella razionalità o una colpa che divora la coscienza. La potenza di agire e pensare è ovunque una sola e medesima, ma è sempre declinata rispetto ai modi in cui è espressa e a un rapporto tra le forze del corpo e della mente, degli affetti e dei concetti, dei soggetti e delle istituzioni. Questa potenza non è contenuta solo nell’Io, nè è riducibile all’espressione della sua volontà. E, quando muta da una forma all’altra, non è superiore ai suoi effetti perché agisce attraverso essi. Così intesa l’impotenza è l’attualizzazione di una potenza effettiva che nega un’altra possibile. Quest’altra potenza non si trova in un iperuranio ma agisce all’interno delle cause che la rendono attuale in un modo ma non in un altro.
La potenza è una relazione tra un’attività e una passività che può portare all’isolamento, all’alienazione e alla separatezza oppure al potenziamento, alla gioia e all’estensione non ancora sperimentata dell’esistenza. L’impotenza è un’articolazione di questa relazione ed è la causa della rinuncia alla sperimentazione di una convenienza con le potenze degli altri, condizione per attualizzare una potenza in maniera virtuosa. La tristezza e la passività prodotte da una simile attuazione mancata sono gli effetti di azioni inadeguate rispetto a idee conosciute ma non praticate in maniera adeguata o di idee confuse che guidano azioni contraddittorie e generano conseguenze disastrose. Dunque l’impotenza non è solo un atto della mente, un infarto dell’individuo o il girare a vuoto dell’Io su se stesso, ma è una delle forme possibili di azione, passione e pensiero, l’espressione di esperienze personali o sociali variamente combinate, una delle modalità di una potenza che alimenta una condizione di subalternità. Questo discorso è incomprensibile se non consideriamo il rapporto tra la potenza e l’impotenza come un fatto sociale integrale in cui gli aspetti metafisici dell’esperienza si intrecciano con quelli affettivi, politici, istituzionali o economici nell’ordito in cui una vita si fa e si disfa. Questa dialettica è di fondamentale importanza per comprendere e riprendere l’iniziativa oltre la rivoluzione passiva. La conoscenza delle sue cause e dei suoi arcigni meccanismi è già una liberazione ed è la premessa non scontata di un’anti–rivoluzione passiva, o rivoluzione attiva.
Nel libro porto fino alle estreme conseguenze l’unificazione già prospettata altrove nella mia ricerca tra l’etica della potenza e l’analisi delle passioni di Baruch Spinoza con il materialismo dei rapporti sociali di produzione e della forza lavoro di Karl Marx. Questa operazione, già emersa nello spinozismo politico, spunta qui e lì nel pensiero critico contemporaneo anche se è realizzata in maniera ancora parziale e incompleta. Prendiamo ad esempio il «realismo capitalista», una categoria usata per descrivere la potenza–impotente separata dalla possibilità di attualizzarsi in un «reale» dominato dal «capitalismo». In questo caso l’impotenza è considerata l’effetto di uno stato di «intossicazione» soggettiva e la subalternità sarebbe dovuta a un’alterazione psicofisica che compromette la conoscenza e l’azione nella realtà. È stato osservato che Spinoza permette di considerare il fatto che la libertà si apprende conoscendo le cause dell’impotenza, condizione necessaria per liberarsi dalle «passioni tristi» che spingono ad adottare comportamenti reattivi ispirati da immagini congelate di sé e del mondo. Tuttavia lo spinozismo è irriducibile a una clinica lacaniana della soggettività e non può essere ricondotto a un’altra psicoanalisi freudo–marxista. Spinoza non «offre le migliori risorse per pensare cosa un paternalismo senza padre potrebbe essere», ma permette di decostruire anche questa singolare idea. Tanto meno predica una morale del dovere essere o, all’opposto, un’anarchia delle pulsioni. Lo spinozismo non è l’«ideologia del tardo capitalismo» e nemmeno un’«ingegneria morale» come vaneggiano altri. In questi discorsi non si vede, o si vuole respingere con argomentazioni pretestuose, la formazione di una costellazione tra filosofie politiche non omologhe come lo spinozismo e il materialismo, l’esito di una lunga genesi che risale al XIX secolo e si è sviluppata non casualmente dopo il 1968, un anno considerato centrale in un lungo ciclo storico che ha trasformato la concezione della rivoluzione e della contro–rivoluzione a livello mondiale. In questo libro affronto il problema attraverso un’interpretazione spinozista del marxismo della forza lavoro e una lettura marxista dell’antropologia spinozista. Il progetto è abbozzare i lineamenti di una prassi della liberazione sociale e politica irriducibile al soggettivismo e alla rappresentazione del mondo prevalenti anche nelle culture critiche contemporanee.
Questo libro
Il titolo del libro parla di una vita, non de la vita liberata. L’articolo indeterminativo è l’indice di una vita comune per tutti e singolare per ciascuno. La sua idea nasce dalla comprensione materiale e da una prassi adeguata alla conoscenza di cos’è una liberazione e su come possa essere organizzata alla luce dei suoi limiti. Questa vita non risponde a un modello ideale, né esemplare. Non esiste una teleologia storica che porterà la vita a una sicura liberazione. Una liberazione non è certa, oggi meno che mai, ma resta a disposizione di chi opera nella sua prospettiva.
Questo libro è un’inchiesta intesa come esplorazione, esperienza, messa in gioco, sperimentazione. E poi anche come racconto, storia delle idee, genealogia. Inchiesta significa inoltre fare esplodere dall’interno i concetti della storia dei dominanti e prospettare un’altra storia dei subalterni, degli oppressi, dei vulnerabili e degli inquieti alla ricerca di una liberazione. Questo non è un lavoro individuale. Coinvolge sia l’autore sia i lettori. Insieme facciamo inchiesta, sperimentiamo la possibilità di un modo di esistere e pensare, indaghiamo le cause, tracciamo le prospettive, delineiamo le tendenze in una vita, attraversiamo e facciamoci attraversare dal divenire in cui siamo implicati e di cui siamo l’espressione. Fare inchiesta significa maturare un atteggiamento di confine, non ostinarsi in un comportamento di rifiuto. Restiamo sulle frontiere di ciò che siamo per divenire altrimenti da una vita capitalista.
FONTE: https://operavivamagazine.org/la-rivoluzione-in-tempi-non-rivoluzionari/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Francia, trovato morto in strada il CEO di Biogroup Stéphane Eimer
E’ morto in circostanze misteriose a Parigi Stéphane Eimer, 52 anni, fondatore e amministratore delegato del gruppo di analisi mediche Biogroup. Il cadavere è stato ritrovato in strada, ai piedi dell’hotel Royal Monceau (VIII arrondissement), e gli investigatori hanno avviato le indagini per ricostruire l’accaduto: al momento ipotizzano la caduta da un balcone.
Stéphane Eimer aveva una ricchezza stimata in 600 milioni di euro e la sua Biogroup, con 742 laboratori, è la più grande rete di laboratori di analisi cliniche francese, specializzata dall’inizio della pandemia nella realizzazione e nel processamento di tamponi molecolari. Negli ultimi 4 anni il suo fatturato è passato da 215 milioni di a 1,3 miliardi di euro, spinto in modo particolare dalla pandemia. meteoweb.eu
FONTE: https://www.imolaoggi.it/2022/06/27/francia-trovato-morto-in-strada-il-ceo-di-biogroup-stephane-eimer/
Ecco per chi non ci credeva! La Cina è arrivata anche da noi
Se volete fare la guerra lo dovete diffondere a tutti…anche ai più VACCINISTI che conoscete…
ATTENZIONE ATTENZIONE ATTENZIONE Il Ministro per l’Innovazione 3D e la Transizione Digitale Vittorio Colao ha dichiarato:
“Stiamo elaborando una piattaforma per l’erogazione di tutti i benefici sociali, il nome è IDPay, dove avverrà tutto direttamente in digitale.
GIÀ PER APRILE ci sarà l’avvio della «piattaforma dell’INTEROPERABILITÀ» dove alcune grandi pubbliche amministrazioni come l’AGENZIA DELLE ENTRATE, l’ANAGRAFE, il MINISTERO DELL’INTERNO e l’INPS AGGANCERANNO I PROPRI DATI.
In questa piattaforma sarà presente ANCHE il FASCICOLO SANITARIO di ogni cittadino, “al fine di avere anche sul piano sanitario la possibilità di teleconsulto, telemonitoraggio e gestione da remoto”. I
n caso di emergenza sanitaria, basterà attivare nella piattaforma nazionale IDPay il fatto che per essere in regola è necessario aver fatto il vaccino per quel determinato virus, ed ogni cittadino che deciderà di non vaccinarsi 💉, in automatico accenderà un “allarme” nei monitor dell’INPS in merito alla NON IDONEITÀ AL LAVORO
e verrà segnalato automaticamente presso l’Agenzia delle Entrate che, agganciandosi all’irregolarità, potrà revocate sussidi o assistenza finché il cittadino non si metterà in regola con il piano vaccinale.
La stessa piattaforma, consentirà anche che un cittadino, entrando in un negozio, si registrerà automaticamente e questo, consentirà all’Agenzia delle Entrate di tracciare non solo le spese 🛍️ di ogni singola persona in maniera esatta ma anche gli incassi 💰 reali di ogni commerciante.
Tutto questo su una piattaforma in grado di incrociare dati rilevando ogni incongruenza ed ogni irregolarità cittadina o aziendale.
La Sogei, azienda “ingaggiata” per strutturare e l’IDPay (già gestore della piattaforma Green Pass, richiederà il numero del conto corrente di ogni cittadino.
FONTE: https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2022/03/02/colao-in-arrivo-piattaforma-idpay-per-benefici-sociali_95c4223d-9106-4c1e-8fb7-a7f18ba768b1.html
ECONOMIA
Gli USA, la guerra nucleare finanziaria contro la Russia e il nuovo ordine finanziario globale
Giulio Chinappi intervista Gal Luft
Gal Luft, consulente senior del Consiglio per la sicurezza energetica degli Stati Uniti, ha rilasciato un’intervista alla testata cinese Guancha, traducibile come (“L’Osservatore”). Nell’intervista, Luft affronta tematiche di grande attualità come le sanzioni contro la Russia, la fine del dominio del dollaro come valuta di riferimento e la nascita di un nuovo ordine finanziario, sottolineando anche i reali interessi degli Stati Uniti in Europa. Di seguito la traduzione dell’intervista.
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Gli Stati Uniti hanno raggiunto un accordo con i principali alleati europei per rimuovere diverse banche russe dal sistema SWIFT, in quelle che sono state definite sanzioni “a livello di bomba nucleare finanziaria“. Il sistema SWIFT è stato creato dagli Stati Uniti, ma l’allargamento delle sanzioni alla Russia dimostra che Europa e Stati Uniti stanno indebolendo il sistema internazionale da loro stessi stabilito. Che impatto avrà questo sull’ordine economico e finanziario mondiale?
Nell’estate del 2019 ho pubblicato un libro intitolato De-dollarization: The Revolt Against the Dollar and the Rise of a New Financial World Order (“Dedollarizzazione: la rivolta contro il dollaro e l’ascesa di un nuovo ordine finanziario”, ndt). Molti degli eventi che stanno accadendo oggi sono stati predetti nel libro, ma devo dire che anche io sono piuttosto stupito dalla velocità del cambiamento. Stiamo letteralmente assistendo a una trasformazione del sistema finanziario globale annunciata dalle potenze occidentali dopo la seconda guerra mondiale alla conferenza di Bretton Woods.
Nelle ultime settimane, gli Stati Uniti ei loro alleati hanno infranto diversi tabù: hanno disconnesso una grande economia da SWIFT; hanno sequestrato beni privati di cittadini russi che chiamano oligarchi senza alcun procedimento legale e, peggio di tutto, hanno congelato le riserve della Banca Centrale. Questa è stata in realtà la seconda volta in otto mesi che Washington ha messo le mani sulle riserve di una banca centrale. La prima volta è stata l’estate scorsa quando gli Stati Uniti hanno congelato miliardi di dollari della Banca Centrale Afgana. Il congelamento dei beni della banca centrale nella guerra economica è un atto di pirateria sponsorizzato dallo Stato ed equivalente all’uso di bombe nucleari in un conflitto militare. Ma è anche un atto controproducente che indebolirà solo la fiducia che i banchieri centrali di tutto il mondo hanno nel sistema del dollaro USA e nell’ordine internazionale basato sulle regole dell’America. Dal momento che l’America vuole scrivere le regole e farle rispettare, ogni Paese che non accetta i dettami di Washington potrebbe trovarsi nella stessa situazione della Russia. Questo è un campanello d’allarme per molti Paesi. Al momento, un Paese su dieci nel mondo è soggetto alle sanzioni statunitensi. Non ho dubbi che gli eventi dell’ultimo mese segnino uno spartiacque nella storia della finanza globale, che passerà alla storia come la peggiore ferita autoinflitta nella storia dell’economia. Lo status del dollaro come valuta di riserva è ciò che dà all’America il suo potere sulla scena mondiale, ed è ciò che consente agli Stati Uniti di avere deficit di trilioni di dollari e accumulare 30 trilioni di debiti. Nel corso della storia ci sono state numerose valute di riserva. La loro vita media è stata di 80-100 anni. Il dollaro è stato una valuta di riserva all’incirca per lo stesso periodo di tempo. Se ha fatto il suo corso, è solo a causa delle azioni del governo degli Stati Uniti che si è scatenato nell’applicare sanzioni e altre misure punitive economiche senza vederne l’impatto cumulativo.
Il debito totale del governo federale degli Stati Uniti ha superato i 30 trilioni, e l’anno scorso ha ampiamente superato il PIL degli Stati Uniti di circa 23 trilioni di dollari USA. Vedremo aumentare gradualmente il pagamento degli interessi sul debito pubblico. È possibile per il governo federale invertire il continuo aumento del debito? In caso negativo, ciò innescherà una crisi di insolvenza del debito ancora più forte, anche con rischi finanziari globali?
Per ridurre un debito così enorme deve succedere una di queste due cose: o il governo aumenta le sue entrate attraverso una robusta crescita economica e una maggiore tassazione o riduce le sue spese, ad esempio tagliando il budget della difesa. L’ideale sarebbe una combinazione delle due. Tuttavia, non sembra che l’amministrazione Biden abbia il potere o la volontà di fare nessuna delle due. In vista delle elezioni di midterm e con l’aumento dell’inflazione, aumentare le tasse è un suicidio politico. Biden parla di tassare i ricchi, ma sarebbe una battaglia in salita con il rischio di fuga di capitali dagli Stati Uniti verso vari paradisi fiscali. Dopo aver versato trilioni di dollari nell’economia in vari programmi di ripresa dal Covid e dopo aver mantenuto i tassi di interesse vicini allo zero per quasi un decennio e mezzo, la Fed sta esaurendo gli strumenti per stimolare l’economia. Quanto alla riduzione della spesa pubblica, ciò è altrettanto improbabile. In effetti, con 10.000 baby boomer che vanno in pensione ogni giorno, le spese sembrano solo crescere. Il budget per la difesa di Biden per il 2023 riflette un aumento di 79 miliardi di dollari, che è maggiore dell’intera spesa militare della Russia. Con la classe politica riluttante a compiere alcun passo doloroso nella direzione del taglio del disavanzo, il debito continuerà a crescere e con l’aumento dei tassi di interesse il costo del servizio del debito potrebbe diventare entro la fine del decennio la spesa numero uno del governo degli Stati Uniti: più grande del budget della difesa. I Paesi che acquistano obbligazioni statunitensi guardano questo spettacolo con orrore e si chiedono: “Dove porterà tutto questo?“. Gli Stati Uniti potranno mai ripagare tale debito o sono la madre di tutte le trappole del debito? Penso che questo plasmerà le decisioni delle banche centrali su quanto debito statunitense continuare a detenere.
L’Arabia Saudita sta valutando l’utilizzo dello yuan invece dei dollari USA nelle vendite di petrolio alla Cina, secondo recenti rapporti dei media statunitensi. Secondo i media indiani, il governo Modi ha recentemente approvato una proposta russa per consentire alle entità russe di investire in obbligazioni di società indiane. Nel contesto delle sanzioni finanziarie contro la Russia da parte dei Paesi occidentali, questo meccanismo può consentire il proseguimento del commercio India-Russia. Tutto ciò può essere considerato una rivolta contro il dollaro e l’egemonia finanziaria statunitense? È troppo presto per dire che questo è il sorgere di un nuovo ordine finanziario mondiale?
Non c’è dubbio che una vera e propria rivolta è già in atto contro l’egemonia del dollaro. In molti si chiedono: se il dollaro non è più valuta di riserva, cosa lo sostituirà? L’euro? Lo yuan? Questo è il quadro sbagliato per esaminare il problema. Non è il caso di un re che succede a un altro. Non esiste una moneta unica che possa sostituire il dollaro. Invece, stiamo passando da un’era di unipolarità valutaria a un’era di multipolarità valutaria in cui diverse valute, inclusi oro e criptovalute, competono l’una contro l’altra per una quota maggiore nelle riserve delle banche centrali. Nel nuovo ordine finanziario i Paesi effettueranno sempre più transazioni tra loro in valute diverse dal dollaro. Il dollaro perderà gradualmente la sua presa sul mercato delle materie prime multimiliardario e la domanda per la valuta statunitense diminuirà. Una volta che ci sarà meno domanda di dollari, gli Stati Uniti non saranno in grado di vendere i loro strumenti di debito denominati in dollari con la stessa facilità con cui hanno fatto per quasi un secolo. Paesi come la Cina riconsidereranno la saggezza di acquistare il debito statunitense allo stesso ritmo di prima. Con la domanda per il suo debito in calo, gli Stati Uniti dovranno aumentare i tassi di interesse sulle loro obbligazioni e questo significa che il costo del servizio del debito aumenterà, lasciando meno soldi per la difesa, la salute, l’istruzione, le infrastrutture, ecc. Ciò influenzerà la capacità degli Stati Uniti di fornire aiuti esteri, sostenere le organizzazioni internazionali, proteggere i suoi alleati e investire in progetti infrastrutturali all’estero. Di conseguenza, sempre più Paesi rimarranno delusi dagli Stati Uniti e cercheranno partner economici e di sicurezza alternativi. Sul piano interno, man mano che sempre meno denaro verrà destinato ai servizi sociali, il pubblico diventerà sempre più infelice e questo potrebbe portare a un sistema politico ancora più instabile.
Il 24 marzo Biden ha partecipato a tre vertici consecutivi, il vertice della NATO, il vertice del G7 e il vertice dell’UE. Di fronte alla crisi umanitaria causata dall’attuale conflitto russo-ucraino e al recente aumento dei prezzi dell’energia in tutto il mondo, gli Stati Uniti e l’Europa hanno ancora espresso che continueranno a esercitare pressioni sulla Russia e a fornire supporto militare all’Ucraina. Sembra che l’incontro non abbia avuto luogo per “spegnere il fuoco” o per la pace, ma augurare che il ciclo bellico possa essere prolungato. In qualità di consulente senior del Consiglio per la sicurezza energetica degli Stati Uniti, cosa pensi che siano le considerazioni degli Stati Uniti dal punto di vista della sicurezza energetica e del panorama energetico globale?
Quando Donald Trump era presidente, coniò il termine “American Energy Dominance” (“Dominio energetico americano, ndt) che essenzialmente richiedeva un aumento della produzione di petrolio e gas nordamericani e l’utilizzo di queste risorse energetiche come strumenti di politica estera per soppiantare l’influenza dell’OPEC e della Russia sull’America e sui suoi alleati. Biden, che è molto più legato al movimento ambientalista, si è astenuto dall’usare questo termine, ma le sue intenzioni sono simili nel senso che come Trump vuole emarginare il Medio Oriente, che non è più una priorità assoluta per gli interessi globali degli Stati Uniti, così come la Russia. La guerra in Ucraina è un modo conveniente per gli Stati Uniti di rendere l’Europa vincolata all’energia nordamericana. L’Europa è un pasticcio burocratico economicamente indebolito, governato da un’élite politica sempre più divorziata dai bisogni della sua gente. Gli Stati Uniti hanno capito che l’Europa è matura per un’acquisizione economica. Tutto quello che deve fare è disconnettere l’Europa dall’energia russa. Questo spiega l’ossessione dei politici statunitensi per il gasdotto Nord Stream 2. Ad un certo punto tutte le nomine di Biden sono state sospese al Senato fino a quando Biden non avesse sanzionato il gasdotto. Perché l’America era così ossessionata da un unico gasdotto? La risposta è che il gasdotto avrebbe impedito all’America di diventare il principale fornitore di energia per l’Europa. Una volta che gli Stati Uniti prenderanno il controllo dell’approvvigionamento energetico europeo, l’Europa diventerà un vassallo dell’America nel perseguimento del suo prossimo obiettivo di sfidare la Cina. La dipendenza dell’Europa dal gas americano avrà un prezzo molto alto. Il GNL sarà sempre più costoso del gas russo e questo significa che i prezzi europei dell’energia ora diventeranno molto più alti con implicazioni negative per la produzione europea e il costo della vita. Purtroppo, gli europei non sono in grado di vedere nulla di tutto ciò e, quando lo faranno, sarà troppo tardi.
Lo scoppio della crisi russo-ucraina ha fatto salire alle stelle i prezzi dell’energia in una certa misura e il prezzo dei futures europei sul gas naturale una volta si è avvicinato a $ 3.900/mille metri cubi. Otto anni fa, Cina e Russia hanno firmato un accordo di fornitura di gas naturale della durata di 30 anni, che costava solo 350 dollari per 1.000 metri cubi di gas naturale. Al momento, di fronte all’impennata dei prezzi del petrolio e del gas in Europa e alla pressione dell’inflazione globale, gli Stati Uniti e l’Europa hanno annunciato al vertice della NATO appena concluso che continueranno ad esercitare pressioni sulla Russia e a fornire supporto militare all’Ucraina. Con il prolungarsi della guerra, le persone in Ucraina non saranno le uniche in Europa a soffrire. Per l’Europa, quello americano è davvero un alleato affidabile e degno di fiducia?
Henry Kissinger una volta disse che “l’America non ha amici o nemici permanenti, solo interessi“. Penso che questo sia un buon modo per giudicare le relazioni USA-Europa. Molti politici affermano che le relazioni sono fondate su “valori condivisi“, il che è generalmente vero, ma ciò che mantiene davvero intatta l’alleanza transatlantica sono gli interessi condivisi. Per l’America, un’Europa debole è un’enorme opportunità strategica, che consente a Washington di raccogliere molti vantaggi economici per le sue società e di forgiare un’alleanza occidentale economicamente e militarmente potente che può successivamente espandere per includere gli alleati indo-pacifici. In qualità di leader di un’alleanza così ampia e con una Russia indebolita, gli Stati Uniti potranno spostare gli occhi sul loro concorrente strategico numero uno, la Cina, e stabilire un dominio permanente sulla regione del Pacifico. Ma nel lungo periodo questa alleanza potrebbe diventare una responsabilità per l’America. L’economia europea è in rapido declino, di fronte a debiti pesanti, crescita lenta, disoccupazione in aumento e ondate di milioni di rifugiati. Il pericolo per gli Stati Uniti è che se l’Europa crolla sotto il proprio peso, gli Stati Uniti dovranno investire risorse crescenti per mantenerla a galla e l’Europa potrebbe trasformarsi da risorsa in passività.
Ricordo ancora ciò che lei ha detto rivolgendosi a un panel cinese prima del Summit della Democrazia degli Stati Uniti, “la promozione della democrazia è stata un appuntamento fisso della politica estera degli Stati Uniti per più di un secolo”. Recentemente hai menzionato sul tuo account Twitter: “un nuovo termine è nato nel blob per descrivere i membri onorari del West+: Advanced Industrial Democracy“. Lo dice in modo vivido come: India, non sei abbastanza democratica. Turchia, non sei abbastanza industriale. Devi anche essere “avanzato” per entrare nel club d’élite. L’impostazione delle regole è un privilegio autodichiarato degli Stati Uniti da molti anni. Ci saranno più seguaci nel gioco, visto l’ampliamento del gioco “noi e loro”? Perché o perché no?
Il mondo è diviso in tre gruppi di Paesi. Il primo gruppo è l’ovest più alcuni membri onorari come Giappone, Singapore e Corea del Sud. I secondi sono i cosiddetti revisionisti guidati da Cina e Russia, che spingono senza scusarsi per un sistema internazionale più equo in cui il “resto” non viva più sotto i dettami dell’”Occidente”. Il terzo gruppo è dove si trova la maggior parte dei Paesi: i non allineati. I Paesi non allineati traggono il massimo beneficio dal sistema globalizzato e vogliono che sopravviva senza essere soggetti a grandi pressioni di potere, senza che gli venga detto con chi possono commerciare, quale valuta dovrebbero usare o quale tecnologia dovrebbero adottare. La guerra in Ucraina ha affilato i confini tra i tre gruppi. Su quasi 200 Paesi circa 100 sono nel campo dei non allineati mentre gli altri 100 sono divisi a metà tra l’Occidente e i revisionisti. Questa è più o meno la nuova architettura del potere globale. I prossimi anni saranno una lotta epica tra i due schieramenti con i Paesi non allineati sempre più schiacciati nel mezzo, come un pezzo di formaggio preso tra due fette di pane. Per me, l’India è il Paese più interessante da tenere d’occhio, non solo perché sta per diventare il Paese più popoloso, ma anche perché è anche la più grande democrazia del mondo, ma non sembra disposta ad allinearsi con l’Occidente. L’approccio dell’India alla guerra in Ucraina ha scioccato Washington, che pensava che gli indiani fossero nelle loro tasche. Gli eventi delle ultime settimane, con l’India non solo riluttante a condannare la Russia e ad aderire alle sanzioni, ma che in realtà ha intrapreso misure attive per indebolire le sanzioni, determineranno se gli Stati Uniti possono o meno fare affidamento sull’India per le sue ambizioni indo-pacifiche, se l’India diventerà il perno di un nuovo movimento non allineato o se si unirà a Cina, Russia e forse Brasile nella creazione di un blocco revisionista ancora più grande guidato dai BRICS.
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/22870-gal-luft-gli-usa-la-guerra-nucleare-finanziaria-contro-la-russia-e-il-nuovo-ordine-finanziario-globale.html
CEO Exxon: questa brutta transizione energetica sarà tutta pagata dai consumatori. A voi han mai chiesto qualcosa?
La ExxonMobil prevede che tutte le nuove auto vendute tra due decenni saranno veicoli elettrici, ma anche che ritene che i consumatori “pagheranno un prezzo elevato” in questa corsa alle energie rinnovabili fatta senza fornire l’energia di cui la società ha attualmente bisogno. Questo è emerso da un’intervista a Darren Woods, amministratore delegato della Exxon, concessa la scorsa settimana a David Faber della CNBC. La Exxon si unisce a molti altri produttori di petrolio che affermano che i governi e i politici devono trovare un equilibrio tra la spinta a ridurre le emissioni di carbonio e l’attuale bisogno di energia a prezzi accessibili per la popolazione. Il recente sottoinvestimento nelle fonti energetiche tradizionali è un colpo alle forniture energetiche del presente e del prossimo futuro, che porta a prezzi elevati e a prezzi della benzina da record, ha dichiarato l’amministratore delegato della Exxon alla CNBC. Questo è l’ultimo avvertimento dell’industria petrolifera, secondo cui i politici dovrebbero guardare al fabbisogno energetico a breve termine e pianificare un futuro a basse emissioni di carbonio.
Certo, non è insolito che una grande azienda petrolifera metta in guardia da una transizione affrettata. Tuttavia, l’attuale crisi energetica globale, con prezzi della benzina da record, dà ragione a tutti quei dirigenti e funzionari dei Paesi produttori di petrolio del Medio Oriente che da oltre un anno avvertono che la riduzione degli investimenti in petrolio e gas si sarebbe ritorta contro i consumatori e i governi.
Dopo i primi blocchi COVID, molti analisti del settore avevano previsto la fine della crescita della domanda globale di petrolio e che non avremmo mai più visto una domanda di petrolio così alta come nel 2019. Ma le persone sono tornate a viaggiare e, secondo gli analisti, l’anno prossimo la domanda supererà i livelli precedenti al COVID. Persino l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), che l’anno scorso ha affermato che non si dovrebbero fare investimenti in nuove forniture se il mondo vuole raggiungere lo zero netto entro il 2050, nel suo ultimo rapporto mensile ha previsto che la domanda globale raggiungerà una media record di 101,6 milioni di barili al giorno (bpd) e supererà i livelli pre-COVID nel 2023. Inoltre, le turbolenze del mercato dovute all’invasione russa dell’Ucraina potrebbero persino portare l’offerta a faticare a tenere il passo con la domanda l’anno prossimo, dato che le sanzioni contro la Russia ridurrebbero l’offerta quando entreranno ufficialmente in vigore alla fine di quest’anno.
Secondo l’industria, la lotta per l’approvvigionamento non è solo il risultato di un mercato petrolifero globale in continuo mutamento, con la guerra russa in Ucraina e le sanzioni occidentali contro le esportazioni di petrolio della Russia. È anche il risultato di diversi anni di scarsi investimenti nell’offerta, e questo è anche il punto di vista di Exxon.
All’inizio di questo mese, il presidente Joe Biden ha criticato la Exxon e altre compagnie petrolifere per i loro profitti eccessivi, affermando che “quest’anno la Exxon ha guadagnato più soldi di Dio”. Il Presidente Biden vuole che le compagnie producano più benzina e riducano le bollette per i consumatori americani.
“In un periodo di guerra, non è accettabile che i margini di profitto delle raffinerie, ben al di sopra della norma, vengano scaricati direttamente sulle famiglie americane”, ha dichiarato il Presidente Biden in una lettera all’industria.
In risposta alla lettera, la Exxon ha dichiarato che nel breve termine il governo americano potrebbe adottare misure spesso utilizzate in caso di emergenza dopo uragani o altre interruzioni delle forniture, come la deroga alle disposizioni del Jones Act e ad alcune specifiche sui carburanti per aumentare le forniture.
“A più lungo termine, il governo può promuovere gli investimenti attraverso politiche chiare e coerenti che sostengano lo sviluppo delle risorse statunitensi, come vendite di leasing regolari e prevedibili, nonché un’approvazione normativa più snella e un sostegno alle infrastrutture come gli oleodotti”, ha dichiarato la major petrolifera.
Quello che è vero è che la crisi energetica attuale è creata ad arte. Nessuno ha pensato a fornire le fonti di energia alternativa prima di tassare il petrolio o di non investirvi, creando una forzata carenza energetica. Hanno voluto farvi tutti più poveri, in modo doloso. Salvo lamentarsi che poi, magari, vengano votati i partiti populisti.
FONTE: https://scenarieconomici.it/ceo-exxon-questa-brutta-transizione-energetica-sara-tutta-pagata-dai-consumatori-a-voi-han-mai-chiesto-qualcosa/
GIUSTIZIA E NORME
Il diritto al dissenso in tempo di emergenza
di Giulio Di Donato
Negli ultimi due anni, sull’onda della crisi pandemica prima e della guerra in Ucraina poi, abbiamo assistito a una crescente compressione del dibattito pubblico, con forme sempre più estreme di delegittimazione e marginalizzazione del dissenso. L’elemento più paradossale è che in questo caso le opinioni divergenti non sono quelle di una avanguardia avventurista che promuove istanze potenzialmente eversive, ma quelle di chi si schiera in difesa dei principi costituzionali e quindi, come avviene nel nostro paese, reclama una maggiore fedeltà ai valori fondativi della Repubblica. Giocando con le parole, potremmo dire che assistiamo all’insorgenza di un dissenso diffuso dal basso contro i protagonisti del dissenso antisistema dall’alto (i fautori della cosiddetta “ribellione delle élite” verso il nucleo profondo delle democrazie costituzionali, che non può essere oggetto di dissenso). Contro questo ricorrente “sovversivismo delle classi dirigenti”, ovvero contro il polo della subalternità al vincolo esterno e del neoliberismo nelle sue diverse varianti, va fatto appunto valere un dissenso radicale dal basso, il quale, se vuole essere efficace, non può limitarsi a denunciare il baratro nel quale stiamo precipitando ma deve puntare a rigenerare un nuovo consenso attorno all’indirizzo politico fondamentale contenuto nella nostra Costituzione, che ha subito nel tempo una progressiva disattivazione. Rilanciando il senso dei principi basilari della sovranità democratica, della piena occupazione e della libertà incarnata, in relazione.
La democrazia, scriveva Bobbio ne Il futuro della democrazia, non è caratterizzata soltanto dal consenso, ovvero se essa può contare sul consenso dei consociati, ma anche dal dissenso. Del resto, che valore ha il consenso dove il dissenso è ostracizzato, censurato, intimidito? Dove dunque non c’è scelta fra consenso e dissenso?
In un sistema fondato sul consenso non imposto in maniera coercitiva, una qualche forma di dissenso è appunto inevitabile: soltanto là dove il dissenso è libero di manifestarsi il consenso è reale, e soltanto là dove il consenso è reale il sistema può dirsi a buon diritto democratico. Per questo, insisteva Bobbio, c’è un rapporto necessario fra democrazia e dissenso perché, una volta ammesso che la “democrazia significa consenso reale e non fittizio, l’unica possibilità che abbiamo di accertare che il consenso è reale è di accertare il suo contrario”. Ma come possiamo accertare il dissenso se nei fatti lo impediamo? Allora, se non possiamo presupporre il “consenso unanime e forzato come una forma più perfetta di consenso”, e quindi dobbiamo riconoscere che in un regime fondato sul consenso non può non esserci anche il dissenso, questo significa che c’è un rapporto necessario fra democrazia, dissenso e, ovviamente, pluralismo. Non è questa la sede né si possiedono le conoscenze adeguate per affrontare in modo approfondito e articolato il problema della dialettica fra consenso e dissenso, e quello dei limiti del dissenso. Resta il fatto che il libero confronto fra le idee può ritenersi pienamente operante solo se non risulta limitato ai contenuti accolti con favore o inoffensivi, ma si estende anche a quelli che urtano, disturbano, colpiscono, inquietano, quindi aperto tanto alle critiche più ponderate quanto a chi dissente in maniera netta dal potere e diverge radicalmente dall’opinione dominante. Da qualche tempo, però, i diritti e il pluralismo si vanno restringendo, le imposizioni crescono insieme al conformismo coatto e la libertà d’espressione viene sottratta ai suoi ambiti vitali. Questa tendenza, come già accennato, si è propagata prima sull’onda della gestione della crisi sanitaria e delle sue opacità e contraddizioni, poi con la guerra in Ucraina e la sua coscrizione obbligatoria nei giudizi a senso unico, quindi con l’ansia neo-millenaristica da fine del mondo, infine con le ossessioni neo-puritane del politically correct.
Ai vari protagonisti della linea del dissenso, a coloro che offrono una lettura dissonante rispetto all’informazione ufficiale e istituzionale, non è certo negato il diritto di essere contro, ma vengono il più possibile ignorati e emarginati o derisi e demonizzati in coro dalle nuove vestali fanatiche del potere. Salvo alcune autorevoli eccezioni, le voci più radicalmente contro costeggiano i bordi del discorso pubblico e magari si affacciano pure in tv, ma sono fuori dal sistema che non ammette veri contraddittori al suo interno, ma solo ai margini, fuori: altro che dialettica delle idee! Le letture più spiazzanti e disallineate al canone vengono così messe al bando, stigmatizzate, denigrate come irrazionali, squalificate come disinformazione. E non si tratta di voci isolate, minoranze esigue in via d’estinzione. Tutt’altro: esse esprimono un pensiero, un sentire, un’opinione assai larga, forse perfino maggioritaria. Che emerge nei social, affiora nei sondaggi, si trasmette col passaparola. A volte attraversa anche le categorie professionali più esposte, ma il timore di sanzioni, problemi alla carriera e gogna mediatica, induce loro a confessare in privato opinioni, dubbi e preoccupazioni che in pubblico sono prudentemente nascoste o stemperate.
In tutto questo non si può non vedere il ruolo parallelo che hanno avuto le forze maggioritarie della sinistra attuale, nella fisionomia “liberale” e “post-materialistica” che esse hanno assunto nella fase ascendente della globalizzazione, nella rimozione della complessità e delle contraddizioni del reale, con il loro schematismo astratto costellato di divieti, tabù e premesse assunte acriticamente come punti di partenza mai problematizzati. La tendenza è stata quella di compensare con dosi massicce di artistocraticismo perbenista una crescente impotenza politica: secondo gli standard del progressismo liberal, più o meno radicaleggiante, dei “moralisti senza morale” si può difatti parlare di politica solo assecondando la pedagogia del sentimentalismo umanitario o a partire dalle nuove istanze di modernizzazione dal volto “umano e sostenibile”, opportunamente promosse e cavalcate dai settori emergenti del grande capitale occidentale per rilanciare e rilegittimare se stesso sia sul fronte produzione-consumo che sul fronte ideologico (e di lotta geopolitica).
Colpisce che proprio quel campo politico in tempi passati educasse al sospetto, a diffidare delle letture più facili e scontate: non si doveva aver timore a interpretare i fatti in maniera anche estrema o provocatoria, nessuno avrebbe mai avanzato per questo accuse di “complottismo” o “negazionismo”; il biasimo arrivava, caso mai, se si esprimeva una visione troppo appiattita e allineata, o se si era così ingenui da non saper cogliere il grumo di interessi e rapporti di forza che ogni narrazione contiene. Guai, ad esempio, a credere alla neutralità e all’oggettività dell’informazione o della tecno-scienza! Se il conformismo era il problema, benaccette e benvolute erano anche le posizioni più scettiche, radicali e scandalose. Le parole d’ordine erano contro-informazione e contro-inchiesta. La denuncia di tutto ciò che si muove dietro le quinte, a prescindere e a ogni costo, era una linea di condotta, a tratti era quasi una posa estetica. Certo, le ideologie vincolavano e creavano un perimetro, ma gli sguardi eretici erano presi in considerazione, mai demonizzati a priori: cosa accadrebbe ora a uno come Pasolini, che allora sparigliava certi schemi consolidati, ma con il quale si intratteneva un dialogo aperto (basti pensare ai confronti spesso aspri fra lui e Calvino sulle pagine dei principali quotidiani)?
Ma torniamo ai giorni nostri. Con la “strategia dell’allarme permanente” si è andato consolidando un assetto di potere asservito nei fatti al capitalismo finanziario globale e al vincolo esterno euro-atlantista, che sempre più si adopera per marginalizzare le opposizioni più critiche e per spingere chi dissente a ritirarsi nel privato o a dare vita a forme di contestazione improduttive dal punto di vista politico.
Assieme all’idea di sovranità popolare e di rappresentanza politica, come vediamo ogni giorno di più, anche le idee di consenso, di opinione pubblica e di partecipazione sono ormai connotati altamente problematici. Anche sposando una concezione minima, procedurale, della democrazia, essa ha comunque bisogno di una base di consenso che la sostenga e, naturalmente, di una sfera pubblica all’interno della quale le diverse opinioni possano circolare e confrontarsi liberamente; eppure questi due presupposti sono sempre più un puro flatus vocis al tempo della disintermediazione (noi sappiamo che non c’è autodeterminazione popolare senza il lavoro della mediazione rappresentativa) e nel contesto di quella che non è solo una crisi di legalità, bensì una assai più penetrante e scivolosa crisi di fiducia e legittimità dell’ordinamento nel suo complesso.
Oggi il quadro politico-istituzionale prescinde in larga parte dal consenso della generalità dei cittadini e si tende a ricondurre le espressioni del consenso e del dissenso ad una forma di adesione senza fondamento ai risultati della decisione (tecno)politica, a prescindere da qualsiasi input di valori o finalità di carattere generale. D’altra parte questo è il tempo della necessità: la partecipazione politica è un esercizio irrilevante, così come l’importanza di costruire e rigenerare consenso, l’astensionismo è la chiave per realizzare una ‘democrazia senza popolo’ e il tecnico sostituisce il politico perché l’obiettivo non è scegliere tra opzioni diverse ma quello di affidarsi agli automatismi del cosiddetto pilota automatico. Nel frattempo la logica del vincolo esterno e l’uso politico-mediatico delle emergenze (vere o presunte che siano) assurgono nei fatti a fonte sostitutiva di legittimazione e possono essere considerate un surrogato funzionale della legittimazione in base a un consenso effettivo; diventano cioè lo sfondo e la copertura ideologica per assolutizzare alcuni temi e sottrarli alla discussione pubblica, sancendo tanto l’insindacabilità del bene superiore nel nome del quale vengono richiesti sacrifici continui (che non può essere oggetto di dissenso), quanto l’intrascendibilità dell’ordine esistente.
Al posto di un’immagine mitica di una sfera dell’opinione pubblica ricca, libera e informata, abbiamo a che fare con una dispersione della sfera (dell’emozione) pubblica, in cui la ‘volontà generale’ tende a frammentarsi in una molteplicità anarchica di infiniti particolarismi. Questo processo di crescente dispersione della sfera pubblica si svolge però all’insegna di una profonda ambiguità: da un lato si sono ampliate a dismisura le fonti alle quali attingere informazioni e notizie, consentendo la veicolazione di contenuti a un pubblico assai ampio senza bisogno di strutture organizzative; dall’altro il dibattito pubblico è diventato autoreferenziale e chiuso e ha generato di riflesso una progressiva individualizzazione e privatizzazione delle opinioni politiche, confinate in innumerevoli isole o cyber-ghetti all’interno dei quali si parla soltanto tra coloro che la pensano allo stesso modo.
Tutti in teoria oggi possono prendere posizioni su qualunque tema, almeno sul web (per quanto anche su quel mondo si è abbattuta la scure della censura e dell’autocensura preventiva), ma si tratta di opinioni e giudizi che incidono ben poco sulla dimensione collettiva. Insomma, tutto si può dire, ma nulla veramente conta. E così il dissenso fa fatica a tradursi sul piano dell’iniziativa politica. Questa deriva è ovviamente strettamente legata anche agli effetti che i mezzi di comunicazione di massa (quelli nuovi soprattutto) esercitano sui singoli destinatari: l’abitudine ad assuefarsi a una percezione prevalentemente simbolica, mediata, dell’universo sociale, assieme alla sovrabbondanza alluvionale del flusso di informazioni, induce infatti una tendenza sempre più spiccata a “economizzare l’esperienza politica diretta”. Ne derivano atteggiamenti di torpore sociale e di inerzia operativa, in particolare nei confronti delle forme tradizionali della partecipazione collettiva alla vita politica (a tal proposito Danilo Zolo parlava, ne Il principato democratico, di “disfunzione narcotizzante”).
Peraltro, pur ammettendo il carattere asimmetrico e scarsamente interattivo della comunicazione di massa, i singoli si trovano esposti all’influenza dei media in una situazione che non è di automatica passività e di isolamento, ma all’interno di una rete spesso molto ricca di rapporti sociali che la stessa comunicazione mediale contribuisce a rendere ulteriormente complessa. E bisogna fare i conti con quella che Stuart Hall chiamava “decodifica oppositiva”: le persone, nonostante sia spesso l’interazione simbolica con i media a fornire gli strumenti primari di interpretazione della realtà e la definizione dell’orizzonte di ciò che è pubblicamente oggetto di attenzione, possono ancora oggi decodificare la comunicazione pubblica, soprattutto quella dall’alto, a partire dai loro meccanismi selettivi e dal loro vissuto concreto, e dunque possono smascherarla come ideologica, come menzognera. Questo significa che non è del tutto smarrita la possibilità di confrontare criticamente la realtà con qualcosa che non sia un’esperienza mediata dai mezzi di comunicazione di massa.
In ogni caso la retorica di questi ultimi anni sul primato dei tecnici e dei competenti, visti gli esiti, dovrebbe averci liberato definitivamente dal “mito della complessità” e dall’invocazione per le virtù salvifiche dell’epistocrate di turno: ora sappiamo che rispetto ai grandi problemi del mondo reale l’opinione dell’uomo comune è spesso più perspicace e acuta di quella di sedicenti esperti osannati a reti unificate. Ancora una volta aveva ragione Antonio Gramsci: bisogna «rimanere a contatto coi “semplici” e in questo contatto trovare la sorgente dei problemi da studiare e risolvere». Contro il dirigismo tecnocratico dall’alto bisogna allora suscitare «élites di un tipo nuovo che sorgano direttamente dalla massa», con la quale debbono rimanere a contatto, in modo da alimentare una continua dinamica espansiva in opposizione a ogni chiusura castale-oligarchica, nella prospettiva di avvicinare la volontà collettiva del popolo-nazione ai contenuti della nostra Costituzione e di riaffermare così il senso perduto dell’autonomia della politica.
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/politica/23307-giulio-di-donato-il-diritto-al-dissenso-in-tempo-di-emergenza.html
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
Il programma di austerità della Fed per ridurre i salari
di Michael Hudson
Per Wall Street e i suoi sostenitori, la soluzione a qualsiasi inflazione dei prezzi è ridurre i salari e la spesa sociale pubblica. Il modo ortodosso per farlo è spingere l’economia in recessione al fine di ridurre le assunzioni. L’aumento della disoccupazione obbligherà i lavoratori a competere per lavori che pagano sempre meno man mano che l’economia rallenta.
Questa dottrina della guerra di classe è la prima direttiva dell’economia neoliberista. È la visione a tunnel dei manager aziendali e dell’One Percent. La Federal Reserve e il FMI sono i suoi lobbisti più prestigiosi. Insieme a Janet Yellen al Tesoro, la discussione pubblica sull’inflazione odierna è inquadrata in modo da evitare di incolpare l’aumento dell’8,2% dei prezzi al consumo alle sanzioni della Nuova Guerra Fredda dell’amministrazione Biden contro petrolio, gas e agricoltura russi, o sulle compagnie petrolifere e altri settori che usano queste sanzioni come pretesto per imporre prezzi di monopolio come se l’America non avesse continuato ad acquistare gasolio russo, come se il fracking fosse aumentato e il mais non fosse stato trasformato in biocarburante. Non ci sono state interruzioni nella fornitura.
Anche la chiusura degli Stati Uniti e delle economie straniere e del commercio estero da parte del Covid non è riconosciuta come un’interruzione delle linee di approvvigionamento e un aumento dei costi di spedizione e quindi dei prezzi di importazione. L’intera colpa dell’inflazione è attribuita ai salariati e la risposta è renderli vittime dell’imminente austerità, come se i loro salari fossero responsabili dell’aumento dei prezzi del petrolio, dei prezzi dei generi alimentari e di altri prezzi derivanti dalla crisi. La realtà è che sono troppo a corto di debiti per essere spendaccioni.
L’economia spazzatura della Fed su come viene speso il credito bancario
La pretesa dietro il recente aumento da parte della Fed del suo tasso di sconto dello 0,75 per cento il 15 giugno (a un intervallo irrisorio dall’1,50% all’1,75%) è che l’aumento dei tassi di interesse curerà l’inflazione dissuadendo i prestiti a spendere per i bisogni primari che costituiscono il Indice dei prezzi al consumo e relativo deflatore del PIL. Ma le banche non finanziano molti consumi, fatta eccezione per il debito della carta di credito, che ora è inferiore ai prestiti agli studenti e ai prestiti automobilistici.
Le banche prestano quasi interamente per acquistare immobili, azioni e obbligazioni, non beni e servizi. Circa l’80% dei prestiti bancari sono mutui immobiliari e la maggior parte dei prestiti rimanenti sono garantiti da azioni e obbligazioni. Quindi l’aumento dei tassi di interesse non porterà i salariati a prendere meno prestiti per acquistare beni di consumo. Il principale effetto sul prezzo della riduzione del credito bancario e dei tassi di interesse più elevati è sui prezzi delle attività, che scoraggiano l’assunzione di prestiti per l’acquisto di case, nonché gli intermediari per l’acquisto di azioni e obbligazioni.
Rolling back della proprietà di casa della classe media
L’effetto più immediato dell’inasprimento del credito da parte della Federal Reserve sarà la riduzione del tasso di proprietà delle case americane. Questo tasso è in calo dal 2008, da quasi il 68% a solo il 61% di oggi. Il declino è iniziato con lo sfratto da parte del presidente Obama di quasi dieci milioni di vittime di mutui spazzatura, principalmente debitori neri e ispanici. Quella era l’alternativa del Partito Democratico all’abbattimento dei mutui fraudolenti a prezzi di mercato realistici e alla riduzione delle spese di carico per allinearli ai valori degli affitti di mercato. Le vittime indebitate di questa massiccia frode bancaria sono state fatte soffrire, in modo che gli sponsor di Wall Street di Obama potessero mantenere i loro guadagni predatori e, infatti, ricevere massicci salvataggi. I costi della loro frode sono ricaduti sui clienti delle banche, non sulle banche e sui loro azionisti e obbligazionisti.
L’effetto di scoraggiare i nuovi acquirenti di case aumentando i tassi di interesse riduce il valore simbolico di essere proprietari di una casa, il distintivo dell’essere classe media. Nonostante ciò, gli Stati Uniti si stanno trasformando in un’economia proprietaria. La politica della Fed di aumentare i tassi di interesse aumenterà notevolmente gli oneri per interessi che i potenziali acquirenti di nuove case dovranno pagare, valutando le spese di acquisto fuori dalla portata di molte famiglie.
Poiché gli Stati Uniti sono diventati sempre più pieni di debiti, oltre il 50 percento del valore degli immobili statunitensi è già detenuto da banchieri ipotecari. L’equità dei proprietari di case – ciò che possiedono al netto del debito ipotecario – è diminuita ancora più velocemente di quanto siano diminuiti i tassi di proprietà delle case.
Il patrimonio immobiliare viene trasferito da mani “poveri” a quelle di ricche società di proprietari terrieri. Le società di capitali private — i fondi dell’1% — raccoglieranno i pezzi per trasformare le case di proprietà in case di affitto. Tassi di interesse più elevati non influiranno sul costo dell’acquisto di queste abitazioni, perché acquistano tutti i contanti per realizzare profitti (in realtà, affitti immobiliari) come proprietari. In un altro decennio il tasso di proprietà della casa della nazione potrebbe scendere verso il 50 per cento, trasformando gli Stati Uniti in un’economia proprietaria invece della promessa economia di proprietà della classe media.
L’imminente austerità economica (in effetti, depressione gravata dai debiti)
Mentre i tassi di proprietà delle case sono crollati per la popolazione in generale, il “Quantitative Easing” della Fed ha aumentato il suo sussidio ai titoli finanziari di Wall Street da $ 1 trilione a $ 8,2 trilioni, di cui il più grande guadagno è stato nei mutui domestici preconfezionati. Ciò ha impedito ai prezzi delle case di scendere e di diventare più convenienti per gli acquirenti di case. Ma il sostegno della Fed ai prezzi delle attività ha salvato molte banche insolventi, le più grandi, dal fallimento. Sheila Bair della FDIC ha individuato Citigroup, insieme a Countrywide, Bank of America e gli altri soliti sospetti. La popolazione attiva non è considerata troppo grande per fallire. Il suo peso politico è piccolo rispetto a quello delle banche di Wall Street.
L’abbassamento del tasso di sconto a solo lo 0,1% circa ha consentito al sistema bancario di realizzare una manna d’incassi con prestiti ipotecari intorno al 3,50%. Quindi, nonostante il crollo di oltre il 20 per cento del mercato azionario da quasi 36.000 a meno di 30.000 il 17 giugno, l’uno per cento più ricco d’America, e in effetti il 10 per cento più ricco, hanno aumentato notevolmente la propria ricchezza. Ma la maggior parte degli americani non ha beneficiato di questo aumento dei prezzi delle attività, perché la maggior parte delle azioni e delle obbligazioni sono di proprietà solo dello strato più ricco della popolazione. Per la maggior parte delle famiglie americane, delle aziende e del governo a tutti i livelli, il boom finanziario dal 2008 ha comportato un aumento del debito. Molte famiglie rischiano l’insolvenza poiché la politica della Federal Reserve mira a creare disoccupazione. Ora che scade la moratoria Covid sugli sfratti degli affittuari in ritardo nei pagamenti.
L’amministrazione Biden sta cercando di incolpare Putin dell’inflazione odierna e delle relative distorsioni, anche usando il termine “inflazione di Putin”. I media mainstream seguono l’esempio non spiegando al loro pubblico che il blocco delle esportazioni di energia e cibo russe causerà una crisi alimentare ed energetica per molti paesi quest’estate e l’autunno. E in effetti, oltre: gli ufficiali dell’esercito e del Dipartimento di Stato di Biden avvertono che la lotta contro la Russia è solo il primo passo della loro guerra contro l’economia non neoliberista cinese e potrebbe durare vent’anni.
Questa è una lunga depressione. Ma come direbbe Madeline Albright, pensano che il prezzo “ne valga la pena”. Il gabinetto di Biden descrive questa Nuova Guerra Fredda come una lotta degli Stati Uniti “democratici” che privatizzano la pianificazione economica nelle mani delle più grandi banche “troppo grandi per fallire” e di altri membri della classe neo-rentier, in opposizione alla Cina “autocratica” e persino la Russia che considera le banche e la creazione di denaro come un’utilità pubblica per finanziare una crescita economica tangibile, non la finanziarizzazione.
Non ci sono prove che la Nuova Guerra Fredda neoliberista americana possa ripristinare il precedente potere industriale ed economico della nazione. L’economia non può riprendersi fintanto che lascia invariato il sovraccarico del debito odierno. Il servizio del debito, i costi degli alloggi, l’assistenza medica privatizzata, il debito studentesco e le infrastrutture in decadimento hanno reso l’economia statunitense non competitiva. Non c’è modo di ripristinare la sua vitalità economica senza invertire queste politiche neoliberiste. Ma c’è poca “economia della realtà” a portata di mano per fornire un’alternativa alla guerra di classe insita nella convinzione del neoliberismo che l’economia e il tenore di vita possono prosperare con mezzi puramente finanziari, sfruttando il debito e l’estrazione della rendita da monopolio aziendale mentre gli Stati Uniti hanno fatto il loro produzione non competitiva, apparentemente irreversibile.
La classe di Rentier ha cercato di rendere irreversibile la privatizzazione e la finanziarizzazione neoliberali americane
È riuscito a tal punto che non esiste un partito o un collegio elettorale economico che promuova tale ripresa. Eppure la leadership del Partito Democratico, sottoponendo l’economia a un piano di austerità in stile FMI, renderà uniche le elezioni di medio termine di novembre. Nell’ultimo mezzo secolo, il ruolo della Fed è stato quello di fornire denaro facile per dare al partito al governo almeno l’illusione della prosperità per dissuadere gli elettori dall’eleggere il partito di opposizione. Ma questa volta l’amministrazione Biden sta seguendo un programma di austerità finanziaria.
La politica identitaria del Partito si rivolge a quasi tutte le identità tranne quella dei salariati e dei debitori. Non sembra una piattaforma che può avere successo. Ma come dice loro senza dubbio il fantasma di Margaret Thatcher: “Non c’è alternativa”.
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/23312-michael-hudson-il-programma-di-austerita-della-fed-per-ridurre-i-salari.html
PANORAMA INTERNAZIONALE
IL NUOVO ORDINE MONDIALE STA ARRIVANDO.
L’OCCIDENTE È MORTO ED È GUERRA!!
Tonio de Pascali 26 06 2022
A mezzanotte, dice Biden, la Russia entra in default perché non riuscirà a pagare la rata mensile del debito internazionale.
Non lo sappiamo.
Sappiamo però che se la Russia non paga per essa non cambia assolutamente nulla.
Sarebbe solo il primo passo di quello che Putin ha definito la creazione di un nuovo ordine mondiale, alternativo con Cina e India, Sud Africa, Brasile, Pakistan, Bangladesh e tutta l’africa e il Sud America al dollaro, a Wall Street, alla finanza mondiale delle banche e multinazionali.
Un sistema di libero mercato basato non più sulla finanza dei mercati speculativi ma sul possesso delle materie prime, agricole ed alimentari.
Ribaltando praticamente tutto.
Perché è ridicolo che chi abbia in mano le ricchezze del Primario e del Secondario del pianeta debba dipendere da chi detiene il Terziario, ovvero la fuffa speculativa di Wall Street, City etc.
Perché in questo caso non pagare la rata non comporterà una beata minchia. Perché “pagare moneta vedere cammello” da oggi in poi.
Altro che Fmi e tutte le puttanate annesse.
Altro che ricatti ai Paesi poveri.
È finita la pacchia!!!
Capito perché la guerra?
FONTE: https://www.facebook.com/100015824534248/posts/pfbid0Q4o1acbutL7e39nevHP8eKpJXFqTpwcX78FzmtJveJZrSLNq5o7rcyBr5rR99EPbl/
Il caso Jeffrey Epstein è il motivo per cui la gente crede nel Pizzagate
Una misteriosa cabala di miliardari e politici e pezzi grossi di Hollywood che gestiscono un giro internazionale di traffico sessuale – ridicolo, giusto?
L’arresto dell’apparente investitore miliardario Jeffrey Epstein in un aeroporto del New Jersey sabato con accuse federali per crimini di cui è stato accusato durante l’amministrazione Bush non dovrebbe sorprendere chiunque abbia seguito attentamente le notizie. Potrebbe essere fuggito nel 2008 con un ridicolo periodo di un anno in una prigione della contea che gli è stato permesso di lasciare sei giorni alla settimana, ma il suo nome non è mai stato del tutto fuori dai titoli dei giornali. Tra il 2008 e il 2015 Epstein avrebbe risolto più di una dozzina di cause legali di Jane Does per presunta violenza sessuale; la più giovane delle sue presunte vittime aveva 14 anni.
L’unica domanda è: perché ci è voluto così tanto tempo? Perché il ridicolo accordo che ha dato a Epstein e ai suoi compagni cospiratori l’immunità in cambio di una condanna al carcere a schiaffi al polso è mai stato permesso di passare in primo luogo?
La risposta più ovvia è, ovviamente, che Epstein conosce le persone. Un sacco di gente. Un elenco dei suoi amici, soci in affari e consulenti legali si legge come un team All-Star di #MeToo e Manhattan sleazebag, con alcuni incalzanti tirati dentro dai media ed entrambi i partiti politici: Woody Allen, Harvey Weinstein, Kevin Spacey, Mort Zuckerman, prince Andrew, Bill Clinton, Alan Dershowitz, Ken Starr, Katie Couric, George Stephanopoulos, l’attuale presidente degli Stati Uniti. L’accordo osceno che ha tenuto Epstein fuori da quella che avrebbe potuto facilmente essere una condanna all’ergastolo è stato negoziato da Alexander Acosta, l’attuale Segretario del Lavoro, che era allora un procuratore federale in Florida. Nel 2002, Graydon Carter, l’editore di lunga data di Vanity Fair, ha rimosso i riferimenti all’attività sessuale di Epstein da un profilo, comprese le testimonianze di presunte vittime, secondo l’autore dell’articolo. “È sensibile alle giovani donne”, si dice che Carter abbia spiegato. Qualcuno non penserà per favore ai bambini?
Ci vorrà almeno un’altra settimana prima che circa 2.000 pagine di documenti relativi alle imprese di Epstein vengano rilasciate a seguito dell’ordine di una corte d’appello la scorsa settimana. Quando finalmente li vedremo, probabilmente saremo in grado di rispondere alle domande sulle identità dei “numerosi politici americani di spicco, potenti dirigenti d’azienda, presidenti stranieri, un noto primo ministro e altri leader mondiali” che sono stati anche accusati di abusi sessuali dalle presunte vittime di Epstein. Uno di loro è un appassionato di calcio dei Razorbacks? Chi era il “famoso primo ministro”? Trump stava parlando per esperienza personale quando ha detto nel 2002 che Epstein “ama le belle donne tanto quanto me, e molte di loro sono più giovani”?
Dovremmo tenere a mente tutto questo la prossima volta che ci sentiremo inclini a deridere i cosiddetti “elettori a bassa informazione”, specialmente il tipo kookier. Conoscete le persone che intendo. Wackos. Dadi per pistole. 8channers. Teorici della cospirazione in Medio America che guardano InfoWars (uno dei pochi organi giornalistici a discutere regolarmente la questione della pedofilia) e postano su QAnon e “cucina spirituale” e il popolo lucertola. La notizia che una cabala globalizzata di miliardari, politici, giornalisti e pezzi grossi di Hollywood potrebbe volare in tutto il mondo violentando ragazze adolescenti non li sorprenderà minimamente perché è ciò che sospettano da tempo. Per il resto di noi è come scoprire che il Jersey Devil è reale o accendere le notizie via cavo e trovare Anderson Cooper e il suo panel impegnati in una discussione di fatto sulla residenza di Elvis tra gli Zixl sulla 19a luna di Dazotera.
Tra le altre cose, il caso Epstein ci costringe a porci alcune domande scomode sul vero significato delle notizie “false”. C’è, o dovrebbe esserci, più nell’essere informati che nel formalismo del controllo dei fatti. Se avete passato gli ultimi anni a consumare seriamente i media mainstream di sinistra in questo paese, avrete l’impressione che gli Stati Uniti siano caduti sotto il controllo di un clone di Mussolini abbronzato a spruzzo che non è mai a più di cinque minuti dal rendere illegale il controllo delle nascite. Se guardi Fox News e leggi pubblicazioni conservatrici, senza dubbio ti lamenti del fatto che l’erede di Ronald Reagan sia ostacolato da un gruppo di streghe femministe che mangiano avocado. Nel frattempo, il pubblico di Alex Jones vi dirà che l’America, come il resto del mondo, è governata da un’élite internazionalista depravata la cui fedeltà finale non è a paesi o partiti politici o ideologie, ma l’uno all’altro. Queste persone non credono in nulla. Salvaguarderanno la loro ricchezza e i loro privilegi ad ogni costo. Non romperanno mai il rango. E commetteranno impunemente crimini indicibili, mentre chiunque osi speculare apertamente viene citato in giudizio o cacciato dalla vita pubblica come un kook.
FONTE: https://theweek.com/articles/851426/jeffrey-epstein-case-why-people-believe-pizzagate
SCIENZE TECNOLOGIE
È vero che non proviamo più vergogna?
Ognuno di noi vive sotto lo sguardo (e il giudizio) altrui. Ma il senso di vergogna è cambiato. Ecco come. E perché.
La vergogna è una sensazione che tutti conosciamo bene: quella di volersi sotterrare, di scomparire all’istante. Ma anche il dolore di aver deluso qualcuno, o di deluderlo quando sa prà ciò che abbiamo fatto. Fino ad arrivare al timore di non potersi più guardare allo specchio perché la propria immagine diventa insopportabile visto che non risponde più alle aspettative (proprie e altrui).
Inoltre, è l’emozione sociale per eccellenza: la proviamo proprio perché i nostri comportamenti, ciò che diciamo e perfino i nostri pensieri vengono inevitabilmente giudicati. E il giudice può essere reale ma anche solo immaginato: del resto si evita di compiere un’azione illecita anche se nessuno in quel momento ci sta guardando e, magari senza rendercene conto, ci chiediamo: “se sapessero… che cosa penserebbero di me?”.
Sarebbe proprio questa la sua funzione sociale: impedirci di infrangere le regole. Non va però confusa con l’imbarazzo, ma soprattutto con il senso di colpa. L’imbarazzo può essere suscitato anche dal semplice esporsi allo sguardo degli altri (per esempio parlare in pubblico) senza aver trasgredito nulla. Oppure la violazione delle norme sociali è poco importante e non intenzionale, come quando ci si strappa per caso il vestito o si fa una gaffe a una cena importante.
IMBARAZZO E SENSO DI COLPA. L’imbarazzo è quindi dovuto a un fatto momentaneo e ha breve durata, mentre la vergogna persiste per molto tempo e di solito è dovuta a un’azione intenzionale. Ma la distinzione più importante da fare è quella con il senso di colpa, un sentimento che si può provare solo a posteriori.
Il senso di colpa ci fa sentire un comportamento che abbiamo adottato come sbagliato o indegno, ma senza intaccare la stima che si ha per se stessi, mentre vergognandosi ci si sente sbagliati come persone, bollati per l’azione compiuta e si desidera solo fuggire da una situazione, mentre chi prova colpa cerca di rimediare a ciò che ha fatto (o chiede scusa).
DIPENDE DALLA PROPRIA SCALA DI VALORI. Non tutti si vergognano nella stessa situazione, anche perché questa emozione dipende inoltre dalla scala di valori: per chi è abituato a superare i limiti di velocità, essere pizzicati dalla polizia può essere una vera seccatura, ma per chi è sempre ligio alla regola e supera i limiti per distrazione, essere colto in fallo può diventare vergognoso. Ci si può perfino vergognare per qualcosa che fa qualcun altro. In spagnolo esiste, unica lingua al mondo, una espressione per dire proprio questo: si parla di verguenza ajena, ovvero vergognarsi al posto di qualcuno.
Una cosa è certa: nel momento in cui pensiamo di aver deluso le nostre e le altrui aspettative, e di aver quindi provocato un danno irrevocabile, si viene presi dal disgusto verso se stessi. «Non a caso, vergogna e disgusto si somigliano: sono entrambe emozioni che ci inducono a stare lontani dagli altri, anche se per scopi diversi.
UN’EMOZIONE CHE DERIVA DAL DISGUSTO. Inoltre, entrambe hanno a che fare con il corpo: la prima tende a nasconderlo, il disgusto a preservarlo da malattie», sottolinea Natalie Shook, psicologa dell’Università del Connecticut (Usa), che ha dimostrato con alcuni esperimenti che la vergogna, dal punto di vista evolutivo, deriva appunto dall’emozione del disgusto, tant’è vero che entrambe queste sensazioni attivano le stesse regioni cerebrali: la corteccia cingolata anteriore e l’insula anteriore. Shook ha dimostrato anche che chi è disgustato per qualcosa tende a vergognarsi di più.
Si può dire che oggi siamo senza vergogna? No, naturalmente, visto che difficilmente non la si prova mai, però meno una società è coesa e meno circola perché le persone sentono poco il bisogno di adeguarsi. «Inoltre nella nostra società ogni individuo è portato a dare spettacolo di sé, e questo ci spinge a essere protagonisti anche quando si compiono azioni non lecite (non è raro vedere assassini o truffatori raccontare le proprie vicende in tv o sui giornali). Insomma, questa emozione non è scomparsa, ma ognuno ne ha una propria, a seconda del pubblico di riferimento: non è più legata a che tipo di persona si è, ma a come si appare. E quindi «oggi spesso si trasforma nella sofferenza di non essere riusciti ad apparire abbastanza felici, abbastanza realizzati», sottolinea Turnaturi.
CAMPANELLO D’ALLARME. Questo sentimento, però, può anche avere due risvolti utilissimi. Il primo per l’individuo: per alcuni potrebbe funzionare come un campanello di allarme, ovvero che è il momento di reagire. Il secondo per la società: a volte induce indignazione. Se si prova questo sentimento come reazione alle ingiustizie o alle offese alla dignità altrui, può trasformarsi in passione civile, per evitare di sentirsi complici di azioni che non si condividono. «Quando vediamo i migranti morire nei nostri mari e proviamo indignazione, questa reazione nasce da un primo senso di vergogna che poi può sfociare in azione politica per cambiare le cose», chiarisce Turnaturi.
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Articolo tratto da Che vergogna la vergogna!, di Raffaella Procenzano, pubblicato su Focus n.355 (maggio 2022), disponibile in versione digitale. Leggi il nuovo Focus in edicola!
Microchip: TATA vuole guidare l’India al dominio mondiale del settore…
Giugno 25, 2022 posted by Giuseppina Perlasca
Mentre l’attenzione si concentra su una nuova cooperazione tra i Paesi BRIC sul lato finanziario, l’India sta pesantemente investendo per entrare pesantemente nel settore dei microchip.
Secondo Nikkei, Raja Manickam, CEO di Tata Technologies, questa settimana si è espresso a favore dell’India e del Sud-Est asiatico come destinazione per i produttori di chip. La sua tesi è che il Paese ha una posizione attraente e un facile accesso alle rotte di navigazione.
“È sempre una questione di posizione, posizione e posizione”, ha detto Raja questa settimana durante una conferenza sui semiconduttori organizzata dall’associazione industriale SEMI. Ha criticato i luoghi in cui si svolge attualmente la produzione di semiconduttori in Asia, definendo l’area soggetta a “preoccupazioni geopolitiche” e “disastri naturali”.
Taiwan e la Corea del Sud sono attualmente i due principali operatori del settore ed entrambi i Paesi devono affrontare nuove tensioni con la Cina e la Corea del Nord, sottolinea il rapporto.
Il governo indiano ha già messo in atto un programma di incentivi da 10 miliardi di dollari per sviluppare un ecosistema di semiconduttori. Raja ha proseguito: “Il governo ha fatto la sua parte e anche i rispettivi Stati competono con i loro pacchetti di incentivi. È il settore privato indiano che deve farsi avanti”.
Ha anche affermato che l’industria ha bisogno dell’India tanto quanto l’India potrebbe usare la capacità produttiva: “Molte grandi aziende di semiconduttori hanno sedi di ricerca e sviluppo in India, quindi è logico che i centri di ricerca siano circondati da impianti di produzione”.
Ha sottolineato che l’India “offre un enorme mercato di utenti finali”.
Loy Hwee Chuan, direttore esecutivo per le telecomunicazioni, i media e la tecnologia della DBS Bank di Singapore, è d’accordo con Raja. Chuan ha affermato che: “[Il] mercato complessivo dei semiconduttori in India dovrebbe crescere a un tasso annuo composto del 18,8%, raggiungendo i 64 miliardi di dollari nel 2026. Potremmo assistere a maggiori investimenti in India e nel Sud-Est asiatico, dato che i produttori adottano la strategia ‘Cina più uno’“.
Raja ha concluso: “Quando Tata fa qualcosa, di solito è enorme e il presidente di Tata Sons Chandra (Natarajan Chandrasekaran) ha già segnalato che i semiconduttori saranno una delle sue priorità principali”.
Quindi avremo un nuovo fornitore globale di microchip, solo che sarà enorme e con potenzialità di volumi produttivi incredibili. Nel frattempo l’Europa fa fatica ad attrarre perfino produzioni secondarie.
Siamo vittime della “scienza dell’organizzazione”
Quando la Rivoluzione Francese lasciò spazio al disincanto, il filosofo Claude-Henri Saint-Simon divenne uno dei pensatori più popolari del Diciannovesimo secolo […] definito il “precursore del socialismo, della tecnocrazia e del totalitarismo”.
Come Bacon, Saint-Simon credeva che la scienza e la tecnologia avrebbero risolto gran parte dei problemi sociali e tecnici.
Tuttavia, affinché gli esperti tecnici potessero governare la società, le “masse ignoranti” dovevano essere controllate.
Ciò implicava a sua volta la necessità di abbandonare la democrazia e, quindi, la politica di massa.
Al suo posto, egli proponeva l’istituzione di una nuova scienza che avrebbe governato tutte le altre, chiamata “scienza dell’organizzazione”.
La ‘scienza dell’organizzazione’ è dunque pensata come sovrastruttura per governare le ‘masse ignoranti’ attraverso gli ‘esperti’.
Indifferentemente dal contesto nel quale operano, questi hanno un solo obiettivo: creare consenso, modificando la percezione del mondo nel popolo per piegarla alla scienza e la tecnologia.
La martellante presenza di ‘esperti nell’essere esperti’ su tutti i massmedia, dallo scoppio della PSICO pandemia, ha messo in luce questo fenomeno.
Ai lettori / ascoltatori più attenti non sarà sfuggito il ricorso alle tecniche di manipolazione e indottrinamento, condito dal paternalismo tipico di chi si trova nella posizione di proteggere masse troppo ‘ignoranti’ per comprendere la gravità di un problema complesso.
Non saranno nemmeno sfuggite le innumerevoli cantonate e ritrattazioni, alle quali non è seguita però nessuna scusa e men che meno una narrazione meno sicura delle proprie affermazioni.
Dalla celebre sentenza del Burioni che nella trasmissione “Che Tempo Che Fa” decretava: «Io ritengo che in Italia il rischio di contrarre questo virus è zero, perché il virus non circola» agli slogan salvifici sul vaccino, la narrazione della COVID avanza di certezza in certezza. Poco importa se viene puntualmente smentita.
Questo linguaggio tronfio, volto a creare aprioristicamente consenso, chiuso ermeticamente ad ogni dissenso o riflessione, è stato descritto da Geoge Orwell ne I princìpi della neolingua, appendice al suo celebre 1984. Processo di oggettivazione della realtà, la neolingua (Newspeak, ossia “nuovo parlare”) è un espendiente in grado di recidere dalle fondamenta la possibilità di esprimere un’opinione che si discosti dalla narrazione ufficiale portata avanti dai padroni del discorso.
Gradualmente, grazie al ricorso a precise strategie messe in atto nel tempo, il linguaggio viene impoverito, in modo da annichilire ogni riflessione e ridurre il pensiero a un gesto meccanico e inconsapevole di asservimento.
Fine specifico della neolingua non era solo quello di fornire, a beneficio degli adepti del Socing (termine della neolingua utilizzato da Orwell per indicare il socialismo inglese, NdA), un mezzo espressivo che sostituisse la vecchia visione del mondo e le vecchie abitudini mentali, ma di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero.
Si riteneva che, una volta che la neolingua fosse stata adottata in tutto e per tutto e l’archelingua dimenticata, ogni pensiero eretico (vale a dire ogni pensiero che si discostasse dai princìpi del Socing) sarebbe stato letteralmente impossibile, almeno per quanto riguarda quelle forme speculative che dipendono dalle parole. […]
Tutto questo avviene oggi, sotto i nostri occhi. La creazione di nuovi vocaboli, l’eliminazione chirurgica di altri (tramite lo spauracchio del politicamente corretto), la mannaia mediatica di epiteti in grado di intirizzire il pensiero alternativo (vedi complottista, negazionista), l’istituzione di Task Force conto la fake news… il clima nel quale viviamo è puramente distopico e nichilista.
L’obiettivo non è la tanto decantata ‘salvezza’ della nostra salute, quanto la distruzione sistematica del pensiero critico e, dunque, della Democrazia.
Questo rappresenta il volto nascosto e, al contempo, più violento della PSICO pandemia di COVID-19.
Questa è, a mio avviso, la questione più grave che ci troviamo a dover affrontare in questo momento, perché lo scopo ultimo della propaganda e della censura non è impedire la libera espressione di un pensiero, ma creare le condizioni perché le persone non siano più in grado di formularlo.
Armando Manocchia
FONTE: https://www.imolaoggi.it/2022/06/26/siamo-vittime-della-scienza-dellorganizzazione/
STORIA
La Storia delle X MAS. Per non dimenticare.
Giugno 25, 2022 posted by Guido da Landriano
Vi presentiamo il video di God Save the Vintage che presenta la storia della X MAS durante la Seconda Guerra Mondiale, nella quale sono presentate le imprese del Corpo Speciale, parlando dei “Maiali” o Siluri Lenta Corsa, dei MAS, i motoscafi da incursione, e le operazioni degli “Uomini Gamma”, cioè gli incursori subacquei.
Tutto questo era poi appoggiato dalle operazioni del SIS, il servizio segreto della Regia Marina, nel quale purtroppo c’erano anche delle spie. Sono presentati gli attacchi prima a Gibilterra quindi a Suda e poi ad Alessandria e Algeri. Si ricordano le imprese di Borghese, Moccagatta, Durand De la Penne.
VIDEO QUI: https://youtu.be/dv4NO4FrX3c
FONTE: https://scenarieconomici.it/la-storia-delle-x-mas-per-non-dimenticare/
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