RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 9 AGOSTO 2022
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Peter finì per convincersi che la sua vita fosse probabilmente un sogno.
IAN MCEWAN, L’inventore di sogni, Einaudi, 2002, pag. 61
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SOMMARIO
Il suicidio assistito e l’interpretazione analogica ed estensiva
LA MELONI DELL’ASPEN
Assalto alla Cgil a Roma, l’avvocato Taormina: «Non hanno devastato nulla»
La spietata dittatura UE comincia …. fame e freddo
“Cari inglesi, niente docce, lavatevi con uno straccio umido”. Una siccità mette in crisi il Regno Unito
La repubblica delle nascite indesiderate
IPOTESI: UNO SCONTRO IN VATICANO DIETRO LA CRISI DI GOVERNO?
Attacco o incidente? Esplosioni fortissime in una base aerea russa in Crimea
Oltre l’Ucraina, le segrete cause materiali della guerra
Mentre l’Ucraina brucia, la Turchia valuta una guerra con la Grecia
Un americano a Kiev ci racconta, finalmente, quello che stanno facendo i russi. E perché
Usa e Ucraina
IL RAPPORTO AMNESTY E I TRE PORCELLINI
Focus. Allarme sul destino delle armi occidentali cedute a Kiev
Le persone che invece della pace creano sempre guerra, discussioni e capricci intorno a loro sono poco intelligenti
SCARSA PREPARAZIONE E IGNORANZA DEGLI STUDENTI
Il vecchio e le sue uova
La Cia e Meta
UN ALTRO TASSELLO PER LA TRASFORMAZIONE DEGLI UMANI IN DISPOSITIVI NUMERABILI INTRAPPOLATI IN UN INFINITO PRESENTE.
La truffa del cuneo fiscale
DRAGHI E COLAO SOLO IL DITO, ORA OSSERVATE LA LUNA DI DAVOS
Bill Gates and His Foundation Continue to Be at the Center of Everything
Attacco di Maddalena a Draghi
TSMC: il motivo nascosto della visita della Pelosi a Taiwan, cioè evitare l’impensabile
CENSURA IN #CINA: IL “GRANDE FRATELLO” È REALTA…
Chi è Nancy Pelosi
Breve storia dell’Impero americano. Una potenza senza scrupoli. Daniele Ganser
Elezioni Politiche anticipate del 25 settembre
La digitalizzazione? Non è sinonimo di democrazia
LETTERA APERTA ALL’ON. GIORGIA MELONI
Metaverso, i rischi per la cybersecurity e come difendersi
Albione
L’IMPRESA FIUMANA
EDITORIALE
Il suicidio assistito e l’interpretazione analogica ed estensiva
Manlio Lo Presti 9 08 2022
La persistente opposizione alla deregolamentazione del suicidio assistito non proviene solo dal fronte religioso e/o politico. Ci sono forti perplessità quando vengono valutate le conseguenze di un possibile uso esteso della normativa sul suicidio assistito come viene definito in maniera morbida. Si spaccia per libertà la possibilità di morire a comando, come si vuole e quando si vuole.
La posizione di partenza di questo ragionamento non nasce da una mia critica barricadiera al principio, ma valuta con attenzione il prodursi di effetti incontrollabili perché sottovalutati o messi in ombra dalla spinta ideologica del momento.
Esiste un serio pericolo che una norma sul suicidio assistito, utilizzata per motivi umani di lotta alla sofferenza, sia poi applicata per altri casi che presentino forti analogie ma con scopi diversi. Si tratta spesso di un modo per eludere la legge oppure di usare una norma in assenza di regolamentazione del fenomeno in questione avente molte analogie.
Gli strumenti giuridici a sostegno di questa strisciante mutazione di qualsiasi normativa sono quelli della interpretazione analogica e della interpretazione estensiva.
Nel caso del suicidio assistito, con una sua applicazione di massa grazie alla interpretazione analogica e alla interpretazione estensiva, potrebbe verificarsi il pericolo che la normativa vigente, originariamente utilizzata ad un settore della popolazione, sia lentamente estesa in un futuro immediato in modo strisciante a tutte le fasce sociali che una società orientata totalmente al mercantilismo. Un effetto ignobile sarebbe quello della eliminazioni di bambini affetti da malattie rare che rappresentano un costo. Non a caso, la corte inglese ha disposto d’ufficio l’interruzione delle cure ad un minore perché costava troppo ai contribuenti!!! Se non interveniamo, la strada che si sta aprendo è quella della valutazione della vita da un punto di vista mercantile, cioè dei costi.
La utilizzazione sarebbe estesa a tutte le categorie umane considerate esclusivamente un costo!
Un primo elenco condurrebbe immediatamente a queste categorie:
bocche inutili da eliminare, pensionati soprattutto;
malati di lunga degenza ma non terminali, afflitti da dementia praecox, da Alzheimer e da altre lesioni del cervello. Forse, dietro a questa scelta esiste uno studio certificato dalle solite organizzazioni mondiali dove è previsto che nell’immediato futuro una persona su tre avrà malattie degenerative del cervello, cioè 2.100.000.000 di umani!
ultraottantenni, ma anche di età inferiore;
volontari usati per esperimenti segreti andati male e che si sono infettati: prove da eliminare rapidamente e alla chetichella;
ed infine, una volta aperto il varco e indotta la popolazione ad abituarsi al concetto, la legge estesa sarebbe applicata agli oppositori, ai dissenzienti, ai devianti.
Il passo è breve e la storia ce lo ha dimostrato!
Basta elencare in un disegno di legge che contenga nel testo una asettica lista di requisiti di morte e il gioco è fatto, con l’approvazione alle camere durante il picco dell’estate o delle feste natalizie, quando il livello di attenzione è scarso o perfino inesistente!
Una buona intenzione può quindi esporsi al rischio di diventare una nuova edizione della CONFERENZA DI WANNSEE del 1942 che stabilì l’eliminazione delle lebensunwerte Leben (cfr https://www.figlidellashoah.org/pagina.asp?id=124 cioè le bocche inutili (soldati tedeschi feriti gravemente, dementi, prigionieri politici, oppositori, omosessuali, altre etnie, età avanzata, ecc. ecc. ecc.).
Tutto questo potrebbe accadere, tra l’indifferenza della popolazione pronta a girare la testa da un’altra parte! E non sarebbe la prima volta.
Purtroppo, tutti noi siamo bombardati continuamente da centinaia di sollecitazioni e l’informazione a raffica è una di queste. Cosa fa il cervello per districarsi? Per affrontare rapidamente le numerose sollecitazioni ricevute dal mondo esterno, il cervello elabora le proprie analisi facendo ricorso a schemi mentali prestampati e di rapido utilizzo (o pre-giudizi) calibrati dalle pulsioni emotive.
Su temi di tale importanza è invece necessario riflettere di testa, analizzare, con calma, farsi aiutare dalle letture storiche, confrontare i dati raccolti. Insomma, usare il cervello.
Alcune centrali di potere, soprattutto con il supporto di tecnologi della sovversione e del terrore sociale, arruolati dai colossi farmaceutici e mercantili mondiali, continuano a predicare un sorta di eliminazione di massa controllata dell’ordine di miliardi di umani. Si tratta di un martellamento ininterrotto irrogato dall’alto mediante ben confezionate conferenze presso università, centri di ricerca, dichiarazioni di “esperti”, soffici salette del Parlamento, del Quirinale, ecc.
BELLEZZA, DOBBIAMO MORIRE … O FORSE NO, PER ORA!
LINK INTERPRETAZIONE ANALOGICA
https://www.treccani.it/enciclopedia/analogia_res-cd244bba-45f8-11e2-8bbb-00271042e8d9/
https://www.studiocataldi.it/articoli/37651-interpretazione-analogica.asp
IN EVIDENZA
LA MELONI DELL’ASPEN
Axel White 27 07 2022
La falsa oppositrice iscritta all’Aspen dei Rockefeller, colei che ha sempre votato l’invio delle armi italiane all’Ucraina, colei che urlava contro il Governo mentre lo spalleggiava perfino nelle sanzioni alla Russia che stiamo pagando noi e che continueremo a pagare.
Colei che nel caso di vittoria porterà avanti la stessa politica estera suicida (e non solo) di Draghi.
Vorrebbe perfino eliminare le bocciature da scuola per una società sempre più ignorante e manipolabile.
Lei, che non si è ancora pronunciata sul reintegro anticipato dei sanitari in caso di vittoria.
Lei, Giorgia Meloni.
La falsa oppositrice al servizio di Draghi e del Sistema.
La faccia nascosta della stessa sporca moneta.
“La Verità è Grande & Potente”
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La spietata dittatura UE comincia …. fame e freddo
Notizia compare su zero hedge
I paesi dell’UE raggiungono un accordo sulla riduzione coordinata della domanda del 15% per il prossimo inverno
Fino a ieri moltissimi stati si opponevano a questa gravissima misura che dà alla Ursula il un potere super dittatoriale inimmaginabile sui paesi. Poi è arrivata la notizia che Gazprom aveva ridotto ulteriormente il flusso nel NordStream 1 al 20% dal 40% che era. E allora si è raggiunta l’unanimità
Nelle stesse ore apprendiamo che
L’ex cancelliere tedesco Schroeder arriva in Russia per colloqui sulle forniture di gas.
L’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder è arrivato a Mosca per colloqui sull’energia, ha riferito martedì Der Spiegel, citando fonti. https://www.spiegel.de/politik/deutschland/gerhard-schroeder-ex-kanzler-laut-medienbericht-wieder-in-moskau-a-8db56eb6-a709-4ec4-a950-c4fabbef3280
Secondo le fonti, al centro dei colloqui ci saranno le forniture di gas russo attraverso il gasdotto Nord Stream. Il media ha aggiunto che non è chiaro con chi l’ex cancelliere tedesco si incontrerà. MA Schroeder è considerato l’iomo di Gazprom in Germania.
L’ultima visita di Schroeder a Mosca risale a marzo, per discutere della situazione in Ucraina con il Presidente russo Vladimir Putin. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha dichiarato martedì ai giornalisti che un incontro tra il leader russo e l’ex cancelliere tedesco è possibile.
Qui di seguito l’articolo di Zero Hedge che mostra la soddisfazione gongolante del kommissari:
A seguito della decisione del produttore energetico statale russo Gazprom PJSC di ridurre i flussi di gas naturale verso l’Europa attraverso il gasdotto Nord Stream 1, i paesi dell’Unione Europea hanno concordato un taglio della domanda del 15% durante il prossimo inverno poiché le probabilità di raggiungere l’80% di riempimento dello stoccaggio NatGas si riducono, ha riferito Bloomberg .
Martedì, la presidenza ceca dell’UE ha twittato i ministri dell’Energia dell’UE si sono riuniti a Bruxelles e hanno dato il “pollice in su” alla proposta di tagliare volontariamente la loro domanda di NatGas nei prossimi mesi. In caso di emergenza, come Gazprom che riduce a zero i flussi di NatGas, il piano afferma che i paesi dell’UE dovranno ridurre la domanda del 15%.
“L’UE è unita – accordo su una regolamentazione coordinata di riduzione della domanda del 15% in una sola settimana! – ridurre il nostro consumo di gas di 45 miliardi di metri cubi è la mossa migliore per reagire al ricatto del gas di Putin – solo l’Ungheria ha votato contro”, ha twittato il ministro dell’Energia lussemburghese Claude Turmes .
A seguito della decisione del produttore energetico statale russo Gazprom PJSC di ridurre i flussi di gas naturale verso l’Europa attraverso il gasdotto Nord Stream 1, i paesi dell’Unione Europea hanno concordato un taglio della domanda del 15% durante il prossimo inverno poiché le probabilità di raggiungere l’80% di riempimento dello stoccaggio NatGas si riducono, ha riferito Bloomberg .
Martedì, la presidenza ceca dell’UE ha twittato i ministri dell’Energia dell’UE si sono riuniti a Bruxelles e hanno dato il “pollice in su” alla proposta di tagliare volontariamente la loro domanda di NatGas nei prossimi mesi. In caso di emergenza, come Gazprom che riduce a zero i flussi di NatGas, il piano afferma che i paesi dell’UE dovranno ridurre la domanda del 15%.
“L’UE è unita – accordo su una regolamentazione coordinata di riduzione della domanda del 15% in una sola settimana! – ridurre il nostro consumo di gas di 45 miliardi di metri cubi è la mossa migliore per reagire al ricatto del gas di Putin – solo l’Ungheria ha votato contro”, ha twittato il ministro dell’Energia lussemburghese Claude Turmes .
Secondo l’esperto di energia di Bloomberg Javier Blas, con ” Nord Stream 1 che scorre solo al 20% della capacità dal 27 luglio, la Germania NON avrà abbastanza gas naturale per farcela per tutto l’inverno **a meno che non vengano implementate grandi riduzioni della domanda**. Berlino dovrà attivare la fase 3 del suo programma di emergenza gas “.
Il calo dei flussi del Nord Stream ha reso ancora più improbabile la probabilità che i paesi dell’UE raggiungano l’obiettivo di riempimento dello stoccaggio dell’80% di NatGas entro l’inverno, il che implica che l’Europa sta affrontando un inverno gelido ma anche quella che potrebbe essere una dolorosa recessione.
Sven Giegold, viceministro dell’economia tedesco, ha affermato che il nuovo piano è “un passo senza precedenti nella solidarietà europea … “Gli stati dell’UE che non importano gas russo stanno mostrando sostegno e si sono impegnati a ridurre i consumi. Non era mai successo prima”.
Bloomberg sottolinea che alcuni paesi dell’UE erano preoccupati per i tagli:
Nel periodo precedente l’incontro, diversi paesi, tra cui Italia, Ungheria, Polonia, Portogallo e Spagna, avevano espresso preoccupazione per gli obiettivi di riduzione, citando i tagli alla domanda già raggiunti, la mancanza di collegamenti del gas con altri paesi e il fatto che le decisioni in merito l’energia è solitamente di competenza nazionale.
La Repubblica Ceca, che detiene la presidenza di turno dell’UE, aveva proposto negli ultimi giorni una serie di modifiche al piano della Commissione rispetto alla scorsa settimana nel tentativo di portare le nazioni in gioco.
Le revisioni includevano una disposizione che aumenterebbe il numero di paesi che devono richiedere che un obiettivo di riduzione della domanda del 15% sia reso obbligatorio a cinque su tre, secondo una bozza vista da Bloomberg. La commissione potrebbe anche proporre la misura di emergenza se ritenesse che vi sia un alto rischio di carenza. Entrambi gli scenari avrebbero anche bisogno del sostegno della maggioranza degli Stati membri per avere effetto.
Altre modifiche includevano la presa in considerazione del livello di stoccaggio del gas in un paese e la possibilità di escludere alcuni settori chiave. Le regole sarebbero inoltre stabilite solo per un anno, anziché due come originariamente delineato. Gli Stati membri potrebbero chiedere una riduzione obbligatoria inferiore in base a determinati criteri in base alle loro interconnessioni con altre nazioni, ad esempio paesi insulari come l’Irlanda.
Katharina Buchholz di Statista spiega in dettaglio che una chiusura completa del Nord Stream avrebbe effetti disastrosi sulle economie europee.
sono fuori sede e uso un computer non mio
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
“Cari inglesi, niente docce, lavatevi con uno straccio umido”. Una siccità mette in crisi il Regno Unito
Agosto 9, 2022 posted by Guido da Landriano
Le società idriche del Regno Unito stanno consigliando ai clienti di risparmiare acqua ed energia utilizzando asciugamani umidi o bottiglie spray invece di fare la doccia durante l’ondata di caldo e la siccità di quest’estate.
I clienti dicono che i consigli che le società idriche stanno dando sono “ridicoli”, tra cui la ricerca di una canzone di quattro minuti per fare la doccia o la raccolta dell’acqua fredda nella doccia fino a quando l’acqua si riscalda, come riporta il Mail on Sunday. Altri consigli includono l’uso di barili di quercia per raccogliere l’acqua piovana.
Le forniture d’acqua nel Regno Unito sono ridotte a causa delle recenti ondate di calore e della mancanza di pioggia, e alcuni servizi pubblici hanno già introdotto il divieto di usare le manichette in alcune aree per risparmiare le risorse idriche.
BELPAESE DA SALVARE
La repubblica delle nascite indesiderate
Luglio 9, 2022 posted by Francesco Carraro
Anno del Signore 2022, mese di luglio, giorno 9, titolo a tutta scatola di Repubblica: “Non è un paese per bimbi”. Ora, marzullianamente, fatevi una domanda e provate a darvi una risposta: questo titolo vuol essere un campanello d’allarme contro una china pericolosa oppure la compiaciuta presa d’atto di un obbiettivo raggiunto? A seconda di come lo leggi, tutto dipende, direbbe Jarabe de Palo. Insomma, cosa intende dire Il più importante quotidiano della “sinistra”, dei “diritti”, del “progresso”, della “Europa”, e chi più virgolette ha più ne metta? Forse: “Oddio, l’Italia non è più un Paese per bimbi, dobbiamo fare qualcosa!”. Oppure: “Ragazzi, ce l’abbiamo fatta: finalmente l’Italia non è più un Paese per bimbi!”.
Intanto che vi fate la domanda e provate a darvi la risposta, vi sveliamo il senso di quel titolo per chi l’ha fatto: c’è la denatalità, e la colpa è della povertà. Lo si capisce dall’occhiello dove sta scritto: “L’Italia secondo l’istituto di statistica: si allarga la povertà e quindi crolla la natalità con un -12 sul 2021”. A questo punto, il mistero iniziale sembrerebbe risolto: Repubblica sta lanciando un allarme, ha individuato un problema e ci offre persino una soluzione che è la lotta alla miseria. Ma scoprire cosa intendeva dire il quotidiano di Agnelli non implica che quel titolo sia coerente con la linea editoriale del medesimo e con l’ideologia di riferimento dell’area politica cui lo stesso si rivolge.
IPOTESI: UNO SCONTRO IN VATICANO DIETRO LA CRISI DI GOVERNO?
Tra i vari interventi esterni che vengono fatti a proposito della crisi di governo innestata dalle dimissioni di Draghi, vi è quello del Vaticano da parte del presidente della Conferenza Episcopale, card. Matteo Zuppi, vicino alla Comunità Sant’Egidio, il quale in particolare ha fatto riferimento alla necessità di “chiarezza di decisioni e una forte concertazione con le Parti Sociali e con l’Europa” per attuare “un confronto dialettico e pluralismo”: tutte cose che non ci sembra siano nella pratica di governo di Draghi.
Ciò potrebbe far pensare che, dietro alle parole di circostanza, la crisi abbia qualche riferimento all’ambiente della Curia Romana che, si sa, in Italia ha avuto sempre grande influenza soprattutto quando vi è – come ora – debolezza delle forze politiche.
Non dobbiamo infatti dimenticare come i due protagonisti dello scontro, Mario Draghi e Giuseppe Conte, non siano estranei a quel mondo d’Oltretevere.
Draghi, com’è noto, ha studiato dai Gesuiti all’Istituto Massimo di Roma, e quei legami non si rompono mai; pochi anni fa è stato nominato da Papa Bergoglio membro della Pontificia Accademia di Scienze Sociali (dove c’è pure Marta Cartabia, indicata come sua possibile sostituta, proveniente da Comunione e Liberazione, altra corrente cattolica). Quell’Accademia è presieduta dall’economista bolognese Stefano Zamagni, vicino a Prodi, che ha collaborato con il “Centro Democratico” di Bruno Tabacci.
Conte, oltre alla sua devozione verso Padre Pio e i suoi correligionari, è stato “tutor” di diritto amministrativo presso Villa Nazareth, un centro di preparazione universitaria fondato dal Cardinale Domenico Tardini (ben noto nella Roma degli anni cinquanta): quell’istituto ha la particolarità di essere guidato dalla Segreteria di Stato vaticana cui apparteneva il fondatore Tardini (prima vice di Montini e poi Segretario lui stesso)ed è stato presieduto da altri due Segretari, lo scomparso Card. Achille Silvestrini e l’attuale Pietro Parolin.
Ricordiamo che la polemica di Conte contro Draghi iniziò con il rinnovo del decreto sulla fornitura di armi all’Ucraina che lui non voleva: quella polemica rientrò ma è riemersa con il decreto n. 50 sugli “Aiuti all’economia” in cui c’è l’art. 13 che assegna pieni poteri al sindaco di Roma Gualtieri per la costruzione dell’impianto di smaltimento di rifiuti in vista del Giubileo, allargando i poteri per quell’evento che già gli erano stati concessi.
Quindi: problema del Giubileo, con l’interesse del Vaticano che esso possa svolgersi senza disagi per i pellegrini e perplessità sulle capacità di Gualtieri, già manifestatesi deficitarie in condizioni normali; scontro sulla politica di fornitura di armi all’Ucraina perché al Vaticano si preferisce l’azione diplomatica; contrasti interni tra i Gesuiti e le altre componenti per l’influenza sulla politica italiana.
Non dimentichiamo poi che il Presidente Mattarella non è certo estraneo a quel mondo, e il fatto che a suo tempo abbia affidato senza obiezioni l’incarico di presidente del consiglio a Giuseppe Conte che non era conosciuto e non aveva alcuna esperienza politica, ci sembra significativo. Come pure il fatto che abbia voluto rimandare Draghi alle Camere per un chiarimento pubblico.
La crisi in atto potrebbe quindi avere avuto qualche motivazione per le diverse influenze qui indicate che non saranno state le sole determinanti ma comunque hanno un certo peso. E forse la soluzione si troverà dove è nata la crisi.
Nazzareno Mollicone
16 07 2022
CONFLITTI GEOPOLITICI
Attacco o incidente? Esplosioni fortissime in una base aerea russa in Crimea
Agosto 9, 2022 posted by Giuseppina Perlasca
Poche ore fa moltissime persone hanno assistito a fortissime esplosioni in una località corrispondente ad una base aerea russa in Crimea, territorio ucraino occupato dal 2014 da Mosca.
Eccovi alcuni video
Le esplosioni sono davvero impressionanti e la gente scappa dalla spiaggia. Secondo le prime notizie fatte trapelare dal ministero della Difesa russo non si tratterebbe di un attacco ucraino, ma il risultato di un’incidente relativo a munizioni di aerei. Difficilmente però il ministero della Difesa di Mosca ammetterà che si possa trattare di un attacco riuscito ucraino, perché sarebbe un segno della debolezza militare della Russia.
Comunque, qualsiasi sia la causa, i danni sono stati sicuramente estesi, data l’ampiezza delle esplosioni, visibili a molti chilometri di distanza.
FONTE: https://scenarieconomici.it/attacco-o-incidente-esplosioni-fortissime-in-una-base-aerea-russa-in-crimea/
Oltre l’Ucraina, le segrete cause materiali della guerra
di Emiliano Brancaccio
Post di Emiliano Brancaccio, docente di politica economica presso l’Università del Sannio
La narrazione della guerra è ormai polarizzata su due opposte retoriche. Putin e i suoi giustificano l’aggressione all’Ucraina con l’urgenza di denazificare il paese e salvaguardare il diritto di autodeterminazione delle popolazioni filo-russe. Il governo USA e gli alleati NATO, invece, sostengono sia doveroso partecipare più o meno direttamente alle operazioni belliche per tutelare la sovranità di un paese libero e democratico aggredito. Queste due propagande, pur contrapposte, risultano dunque uguali nel richiamarsi continuamente ai diritti, alla lealtà, all’ideologia, all’integrità delle nazioni, alla protezione dei popoli. Come se nelle stanze del potere si discutesse solo di tali nobili argomenti. Mai d’affari.
Che in un tale bagno di idealismo affondino i rozzi propagandisti che vanno per la maggiore non suscita meraviglia. Più sorprendente è il fatto che nel medesimo stagno si siano calati anche studiosi interpellati dai media: filosofi, storici, esperti di geopolitica e di relazioni internazionali, economisti mainstream. La ragione di fondo, a ben guardare, è di ordine epistemologico. I più sembrano infatti accontentarsi di una metodologia di tipo aneddotico. Ossia, una serie di fatti giustapposti, una concezione della storia come fosse banalmente costituita dalle decisioni individuali dei suoi protagonisti, una sopravvalutazione delle spiegazioni ufficiali di quelle decisioni. E sopra ogni cosa, una espressa rinuncia: mai pretendere di ricercare “leggi di tendenza” alla base dei conflitti militari. Da Allison Graham a Etienne Balibar, nessuno osa oggi parlare delle “tendenze” su cui invece indagavano i loro grandi ispiratori, da Tucidide ad Althusser. [1]
La conseguenza di questo involuto metodo di analisi è che nel dibattito prevalente si avverte la pressoché totale assenza di indagini dedicate agli interessi materiali sottesi ai movimenti di truppe e cannoni. Manca cioè un esame delle tendenze strutturali che alimentano i venti di guerra di questo tempo.
Colmare questa lacuna è un’impresa colossale, che richiederebbe un enorme sforzo collettivo. Qui proverò solo a dare un contributo preliminare. A tale scopo, riprenderò un celebre esperimento tipico dei cosiddetti “giochi di guerra”, per rielaborarlo alla luce di quella che definisco una nuova teoria della “centralizzazione imperialista”. John Nash e Karl Marx uniti nella comprensione dei fatti, potremmo dire.
Ai fini dell’esperimento adottiamo alcune semplificazioni, che in seguito potranno esser tranquillamente rimosse ma che ora possono aiutare il lettore a cogliere più agevolmente il nocciolo del problema. Immaginiamo di tornare indietro nel tempo, alla vigilia della guerra in Ucraina. [2] Esaminiamo le possibili strategie di due soli protagonisti chiave del conflitto, la Russia da un lato e i paesi NATO dall’altro. Gli attori in gioco hanno due opzioni: la pace oppure la guerra. Ipotizziamo che tali opzioni vengano decise in base a una variabile cruciale del capitalismo contemporaneo: le quote di controllo del capitale [3], in particolare le stime sulle variazioni di tali quote che potrebbero scaturire dalle conseguenze del conflitto militare e dall’annessione dell’Ucraina nella sfera di influenza economica propria o del nemico. Un caso chiave è descritto dalla seguente tabella, dove in ciascuna casella i numeri di sinistra e di destra corrispondono rispettivamente alla variazione attesa del controllo del capitale della Russia e dei paesi NATO a seconda della scelta delle parti di restare in pace o di entrare in guerra. I numeri inseriti sono indicativi, ma come vedremo gli esiti dell’esperimento sono esattamente gli stessi in un insieme molto più ampio e plausibile di circostanze.
NATO in pace | NATO in guerra | |
RUSSIA in pace | 0 ; 0 | -10 ; +2 |
RUSSIA in guerra | +3 ; -4 | -5 ; -2 |
Un “equilibrio di guerra” basato sulle variazioni attese del controllo del capitale. I valori di sinistra e di destra in ciascuna casella si riferiscono rispettivamente alla Russia e alla NATO.
Il lettore può verificare un fatto piuttosto increscioso. In questo tipo di situazione la guerra è la strategia “dominante”, nel senso che entrambe le parti sono indotte a confliggere. Il motivo è che la guerra è l’opzione che determina il risultato migliore, quale che sia la strategia decisa dal nemico. Nello specifico, se prevede che la NATO opti per la guerra, la Russia preferirà fare anch’essa la guerra per ottenere -5 anziché –10. Ma pure se assume che la NATO scelga la pace, alla Russia converrà optare per la guerra che assicura un risultato di +3 piuttosto che 0. Lo scenario è identico, si badi bene, se ci si pone dal punto di vista della NATO.
Sulla base di una ferrea razionalità capitalistica, dunque, entrambe le parti sono portate a scegliere la guerra. La conseguenza di questa scelta, tuttavia, è paradossale: le parti andranno infatti a situarsi nella casella in basso a destra, che determina un esito peggiore rispetto al caso in cui avessero optato entrambe per la pace situandosi nella casella in alto a sinistra.
Perché allora non scelgono la pace? Un motivo cruciale è che l’equilibrio di pace in alto a sinistra è precario. Basti notare, partendo dall’equilibrio di pace, che ciascun attore può essere attratto dalla possibilità di ottenere un risultato migliore spostandosi verso la guerra, e sa bene che lo stesso vale per il nemico. Questo significa che per scatenare il conflitto non è indispensabile la volontà originaria di aprire il fuoco. E’ sufficiente anche solo il timore che la controparte sia tentata dalla guerra.
L’esito finale è sconcertante: sebbene causi danni a tutti, la tendenza verso la guerra è inesorabile. Come in una nemesi di Goya, non è il sonno della ragione che genera mostri ma è la stessa ragione capitalistica che genera i mostri della guerra.
Il lettore potrebbe sospettare che un tale angoscioso risultato dipenda dalla banalità dell’esercizio didattico proposto e dai particolari valori inseriti in tabella. Purtroppo non è così. Il problema della tendenza verso la guerra si ripresenta anche in modelli di analisi molto più realistici, caratterizzati da attori multipli, obiettivi pluridimensionali, probabilità statistiche, sequenze temporali, ripetizioni, e così via. Quanto ai valori inseriti, non sono certo gli unici che conducono al conflitto. La tendenza verso la guerra si impone sotto una combinazione di dati iniziali molto ampia, corrispondente a tutte le circostanze in cui i risultati delle seconde righe e colonne siano potenzialmente superiori a quelli delle prime righe e colonne. [4]
Ebbene, vi è motivo di ritenere che negli ultimi anni sia avvenuto esattamente questo: si è formata una combinazione di dati che ha innescato una generale tendenza verso l’equilibrio di guerra, di cui il conflitto in Ucraina rischia di rappresentare solo un episodio preliminare.
Molte sono le cause di questo terribile mutamento di scenario, ma sono tutte essenzialmente legate al problema del controllo del capitale. Il punto da cui occorre partire è che la competizione capitalistica mondiale genera continuamente vincitori e vinti, con i primi che a lungo andare diventano creditori dei secondi e tendono poi a liquidarli o a fagocitarli. E’ la cosiddetta tendenza verso la “centralizzazione del capitale” in sempre meno mani, che col tempo sposta il controllo del capitale dei debitori liquidati verso i creditori che li acquisiscono. [5]
Un problema chiave di questa fase storica è che gli Stati Uniti e i loro più stretti alleati si illudevano di poter dominare la centralizzazione capitalistica e hanno invece scoperto di esserne soggiogati. Questi paesi stanno infatti subendo gli effetti di uno storico declino di competitività, che si traduce in una posizione di pesante debito verso l’estero e che li colloca nell’immane gorgo della centralizzazione capitalistica nel ruolo di potenziali sconfitti.
Questi grandi debitori occidentali hanno cercato per lungo tempo di restare a galla nel grande gorgo globale adottando una strategia di doppio espansionismo, del debito e dell’influenza militare nel mondo. In pratica, i debiti esteri finanziavano le milizie all’estero che a loro volta dovevano creare nuovi accaparramenti proprietari capaci di mitigare i debiti stessi. Le campagne di guerra in Iraq, tese anche a migliorare la bilancia energetica USA, sono solo l’esempio più elementare di questo complesso circuito militar-monetario.
Come già avvenuto all’inizio del secolo scorso per l’impero britannico, tuttavia, questa forma di imperialismo dei debitori ha incontrato ostacoli crescenti, fino a raggiungere una crisi di risultati e un limite massimo di espansione, comprovato anche da varie ritirate, dall’Afghanistan e non solo. Ecco perché, da qualche anno, la linea di condotta è cambiata. Oggi, gli USA e gli altri debitori occidentali non tentano più di governare la tendenza globale alla centralizzazione del capitale, ma mirano direttamente a bloccarla. Basti pensare alle cosiddette operazioni di “friend shoring”, una figura retorica sdoganata nelle alte sfere da Janet Yellen e altri, per indicare la nuova politica di protezionismo finanziario che l’occidente sta attuando nei confronti dei capitali provenienti dal resto del mondo. Una sofisticata politica trumpiana senza alcun bisogno di Trump.
Questa svolta protezionista, evidentemente, non è apprezzata dai grandi paesi creditori verso l’estero, in primis la Cina e guarda caso in misura minore anche la Russia, che a causa del “friend shoring” stanno incontrando crescenti ostacoli all’esportazione dei loro capitali in occidente. Ostacoli, si badi bene, sorti ben prima della guerra e delle famigerate “sanzioni”.
Proprio da queste difficoltà di esportazione dei capitali nasce la tentazione dei grandi creditori orientali di dare nuovi sbocchi ai loro flussi finanziari attraverso la forza, a mezzo di interventi militari. Ossia, sorgono i primi cenni di un imperialismo emergente da parte dei creditori orientali, incoraggiati anche dai limiti di espansione dell’imperialismo militare del grande debitore americano. Giungiamo così al cospetto di due forme, una conseguente all’altra, di quella che io definisco la nuova fase di “centralizzazione imperialista” del capitale. Non più decisa solo dalla competizione sui mercati, ma anche e soprattutto dagli scontri militari.
In sintesi, potremmo affermare che la svolta imperialista dei creditori russi – che non a caso gode delle simpatie dei creditori cinesi – ha trovato un suo cruciale fattore d’innesco nella crisi dell’imperialismo dei debitori, americani e occidentali, e nella conseguente svolta di questi verso il protezionismo finanziario.
E’ questa l’inedita combinazione di dati che sta alimentando una tendenza generale verso l’equilibrio di guerra, e che rischia di esondare ben al di là dei confini ucraini. La vera posta in gioco, infatti, è enormemente più grande: la sopravvivenza o la cancellazione delle regole del circuito militar-monetario internazionale, fino ad oggi continuamente scritte e riscritte a piacimento dai soli Stati Uniti e dai loro alleati, e subite da tutti gli altri.
Se si accetta questo schema interpretativo, emergono implicazioni sconvolgenti rispetto alle consuetudini della vulgata. Contro le fantasie dei pasdaran delle rispettive fazioni, secondo cui l’imperialismo sarebbe solo quello del nemico, gli imperialismi reali qui sono due, logicamente consequenziali: quello dei debitori in declino e quello dei creditori in ascesa, e sono destinati a scontrarsi come gigantesche zolle tettoniche in movimento. Mentre il capitalismo europeo, che pure ambisce a un proprio imperialismo unitario, di fatto resterà ancora a lungo sfracellato, anche a causa di un’identità finanziaria contraddittoria: all’estero né troppo creditore né troppo debitore, mentre all’interno affetto da un enorme sbilanciamento tra posizioni nette attive e passive.
In questo intreccio sempre più fitto di lotta economica e militare tra capitali, chi si affanna a parteggiare per gli uni o per gli altri esercita solo una perniciosa forma di “codismo”. Piuttosto, sarebbe il caso di focalizzare che nell’economia di guerra prossima ventura la classe lavoratrice di tutti i paesi coinvolti sarà inevitabilmente sottoposta a più intensi tassi di sfruttamento, tra ulteriori rischi di declino dei salari reali e delle quote salari, accentuata precarietà, nuove militarizzazioni dei luoghi di lavoro. Un destino da carne industriale e da cannone, a meno di ricostruire un autonomo punto di vista del lavoro nella contesa tra nazioni e tra classi: un “pacifismo conflittualista”, all’altezza dei durissimi tempi a venire.
Di questo e di altro si dovrebbe iniziare a discutere. Ma dall’analisi dei fatti c’è già una lezione preliminare da trarre. Nella sua essenza, il moderno conflitto militare è pura “guerra capitalista”, che scoppia a causa non di sacri diritti negati ma di profani contratti mancati. Molto più dello sfregio di una libertà violata, è l’onta di un affare perduto che oggi più che mai muove le truppe e i cannoni. [6]
Essere concreti costruttori di pace significa allora, in primo luogo, abbandonare le ingannevoli scorciatoie dell’idealismo e disvelare le potenti forze materiali che agitano i nuovi venti della guerra capitalista. Non lo si sta facendo, quasi per nulla. E il tempo stringe.
NOTE
[1] Per un approfondimento in tema di “leggi di tendenza”, si veda: Emiliano Brancaccio, Fabiana De Cristofaro (2022), In Praise of ‘general laws’ of Capitalism: Notes from a Debate with Daron Acemoglu. Review of Political Economy, first published online: 2 March. Trad. it. in Emiliano Brancaccio, Democrazia sotto assedio. La politica economica del nuovo capitalismo oligarchico, Piemme, Milano, 2022.
[2] Anche ben prima della vigilia: cfr. “La guerra per procura”, intervista a Emiliano Brancaccio e Giulio Tremonti, RAI Radio Uno, 21 marzo 2022.
[3] Per una misura delle quote di controllo del capitale paese per paese in termini di “network control”, cfr. Emiliano Brancaccio, Raffaele Giammetti, Milena Lopreite, Michelangelo Puliga (2022), Convergence in solvency and capital centralization: a B-VAR analysis for High-Income and Euro area countries, Metroeconomica, forthcoming.
[4] Su potenzialità e limiti della teoria dei “giochi di guerra” e sui possibili legami con le analisi strutturali del capitalismo, si rinvia a: Emiliano Brancaccio con Giacomo Bracci, Il discorso del potere, Il Saggiatore, Milano 2019 (in particolare i paragrafi dedicati a Schelling e Aumann).
[5] Sulla teoria e sulle evidenze empiriche della centralizzazione del capitale, si veda: Emiliano Brancaccio, Raffaele Giammetti, Milena Lopreite, Michelangelo Puliga (2018), Centralization of capital and financial crisis: a global network analysis of corporate control, Structural Change and Economic Dynamics, Volume 45, June, Pages 94-104; Emiliano Brancaccio, Giuseppe Fontana (2016), ‘Solvency rule’ and capital centralisation in a monetary union, Cambridge Journal of Economics, 40 (4). Cfr anche: Emiliano Brancaccio, Marco Veronese Passarella (2022), Catastrophe or Revolution, Rethinking Marxism, first published online: 7 February.
[6] Emiliano Brancaccio, Raffaele Giammetti, Stefano Lucarelli, La guerra capitalista, Mimesis (di prossima pubblicazione).
FONTE: https://sinistrainrete.info/estero/23163-emiliano-brancaccio-oltre-l-ucraina-le-segrete-cause-materiali-della-guerra.html
Mentre l’Ucraina brucia, la Turchia valuta una guerra con la Grecia
La Turchia sta preparando un’importante rischio calcolato militare per ripristinare il prestigio in declino del presidente Recep Tayyip Erdogan, il quale, a meno di un miracolo, potrebbe essere spazzato via dalla sua poltrona entro un anno.
In questo momento, Erdogan sembra disposto a fare poco per la crisi economica della Turchia. L’inflazione ha raggiunto il massimo degli ultimi 24 anni a giugno 2022: il 78%; il valore della lira ha continuato a essere debole (17,68 per dollaro Usa a luglio 2022) e l’impennata delle importazioni di energia e l’aumento dei costi dell’energia hanno portato una crisi della bilancia dei pagamenti e un dolore a livello dei consumatori. Il miracolo economico della Turchia è arrivato e se ne è andato e gli elettori si sono impoveriti di nuovo.
Di conseguenza, Erdogan potrebbe presto iniziare una guerra con la Grecia per la sovranità delle isole tradizionalmente (e legalmente) greche nell’Egeo. Lo farebbe usando la «copertura» o distrazione del conflitto Russia-Ucraina e in base alla supposizione che la posizione di importanza critica della Turchia per la Nato/Stati Uniti in quella guerra significhi che delle forti sanzioni contro di essa siano fuori discussione.
Il governo turco sotto Erdogan ha certamente iniziato i preparativi per una tale guerra, ben consapevole del fatto che le forze armate elleniche hanno iniziato tardivamente i passi per raggiungere un grado di capacità di forza che potesse eguagliare, o addirittura superare, le capacità delle forze armate turche in alcune aree: nuove navi da guerra e nuovi aerei da combattimento (Rafales e F-35).
Erdogan sa di avere una finestra di opportunità limitata prima che la Grecia ripari a gran parte dello squilibrio militare che ha con le forze armate turche e soprattutto prima delle elezioni presidenziali del 2023, che, se non manipolate, dovrebbero probabilmente spazzarlo via dall’incarico.
Dopotutto, la Turchia è sfuggita a questi ultimi 48 anni senza problemi per l’invasione del 1974 e la successiva occupazione del 37% settentrionale di Cipro. Erdogan ha costantemente giocato sul fatto che la Turchia potrebbe allontanarsi dal suo presunto orientamento occidentale – cementato da Kemal Mustafa Ataturk dopo il 1920 – e «riallinearsi» con la Russia o il blocco eurasiatico dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco).
Quella minaccia costante, tuttavia, si è esaurita come l’economia turca. Erdogan ha dimostrato di essere altrettanto consapevole della posizione problematica che la Turchia ha sopportato negli ultimi anni a causa della sua elevata dipendenza dalla Russia per il commercio, quanto dell’ambiguo status di outsider, che la Turchia sopporta con l’Unione Europea (Ue) e persino la Nato.
Erdogan potrebbe passare a una terza posizione: l’allineamento con gli Stati del Medio Oriente e dell’Asia centrale. Ma quegli Stati regionali erano felici di aver abbandonato l’influenza ottomana con la sconfitta della Turchia nella prima guerra mondiale. Quindi Erdogan oscilla tra queste opzioni imperfette. Ora è nella sua posizione più disperata da quando è diventato primo ministro nel 2003.
La Turchia è a meno di un anno dalla sua seconda elezione dall’introduzione di una forma di governo presidenziale esecutivo. Tuttavia, sarà più un giudizio sul suo primo presidente esecutivo che sul sistema stesso. Erdogan viene giudicato in base a un’economia in forte declino e alla serie di tentativi falliti di ricreare i fasti del panturkismo e del passato ottomano.
Di conseguenza, Erdogan ha un tempo limitato per recuperare la sua posizione, o dal punto di vista elettorale o attraverso l’imposizione di una qualche forma di forza maggiore per annullare o impedire le prossime elezioni. Dopotutto Erdogan è riuscito a mettere in scena un «tentativo di colpo di Stato fallito» il 15-16 luglio 2016, al fine di tirare fuori e reprimere i suoi rivali politici e militari, più o meno allo stesso modo in cui i nazisti di Adolf Hitler organizzarono un colpo di Stato artificioso dal 30 giugno al 2 luglio 1934, per consolidare il potere con il pretesto di un imminente colpo di Stato delle camicie brune paramilitari Sturmabteilung (Sa) di Ernst Rohm.
Il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha incontrato Erdogan nel marzo 2022 e sembrava aver raggiunto un accordo sulle questioni di sicurezza del Mediterraneo. Ma alla fine di aprile 2022 è diventato evidente che l’accordo era svanito e che le violazioni dello spazio aereo greco sul Mar Egeo da parte dell’aviazione turca hanno raggiunto un «livello senza precedenti».
Allo stesso tempo, il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha affermato che Atene aveva «militarizzato» illegalmente i suoi territori insulari nell’Egeo. La Turchia, nel 2021, aveva presentato una petizione alle Nazioni Unite con una visione unilaterale di «smilitarizzazione» delle isole dell’Egeo. Nell’aprile 2022 Cavusoglu ha affermato che la sovranità greca sui suoi territori dell’Egeo sarebbe stata considerata «dibattibile».
La Turchia nel 2022 stava cercando di acquistare nuovi Lockheed Martin F-16 Vipers per rafforzare le sue capacità. Questa è ora una battaglia interna degli Stati Uniti tra l’industria della difesa e i funzionari della politica strategica preoccupati per il reale impegno della Turchia nei confronti della Nato. Ma Washington accoglierebbe con favore un’elezione per rimuovere Erdogan prima che possa entrare in guerra contro la Grecia.
Gregory Copley è presidente dell’International Strategic Studies Association con sede a Washington. Nato in Australia, Copley è membro dell’Ordine dell’Australia, imprenditore, scrittore, consigliere governativo ed editore di pubblicazioni per la difesa. Il suo ultimo libro è The New Total War of the 21st Century and the Trigger of the Fear Pandemic.
Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.
Articolo in inglese: While Ukraine Burns, Turkey Ponders a War With Greece
FONTE: https://www.epochtimes.it/news/mentre-lucraina-brucia-la-turchia-valuta-una-guerra-con-la-grecia/
Un americano a Kiev ci racconta, finalmente, quello che stanno facendo i russi. E perché
28 Febbraio 2022
VIDEO QUI: https://youtu.be/1vdiEABLFoo
Sta facendo il giro della Rete: è il video, girato il 26 febbraio, di cittadino americano a Kiev. Il quale finalmente ci fornisce le risposte alle tante domande che ci siamo posti e che certo non vengono spiegate dai media, troppo impegnati a cucinare falsità, notizie inventate e spezzoni di videogames. Perché non vediamo attacchi aerei? Perché non ci sono bombardamenti? Perché la Russia non ha tagliato elettricità, acqua e internet agli ucraini, come si usa nelle guerre? Come reagiscono gli ucraini? Cosa sta combinando Zelenski? Da cosa stanno davvero scappando, i profughi? E soprattutto: cosa vuole in realtà Putin?
Ascoltatelo con attenzione, è davvero illuminante. Chi non conosce l’inglese troverà più sotto tutta la traduzione originale, un po’ riadattata per facilitare la lettura.
Oggi è sabato 26 febbraio ed è il terzo giorno dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
La gente in USA non sembra capire niente di quello che concerne siffatta invasione, continuano a dire che la Russia sta fallendo nel suo attacco perché non ha preso le infrastrutture, non ha colpito ad esempio il sistema elettrico, non ha distrutto i ripetitori del telefono oppure ancora non ha colpito le riserve idriche, continuano a dire che non capiscono perché la Russia sembra avanzare per poi fermarsi ogni volta che incontra qualche una resistenza. E’ davvero mancanza di immaginazione da parte dei commentatori americani.
Perché vedete il modo americano di fare le cose è andare e distruggere una nazione, distruggere tutto, distruggere il sistema elettrico, i ripetitori telefonici , le riserve idriche, basta distruggere tutto, per poi avanzare, ma questo non è fare la guerra, questo è spianare tutto, annichilire il nemico. E lo abbiamo visto fare così tante volte in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Siria, cioè hanno provato a farlo in Siria.
Ma allora cosa vogliono fare i russi? Non vogliono distruggere l’Ucraina, la vogliono prendere intatta, e non vogliono fare del male ai civili, perché dovrebbero voler far loro del male? Dal loro punto di vista se fanno male ai civili si creano dei nemici, quindi vogliono prendere l’Ucraina intatta, cambiarne la leadership politica e mettere una leadership che sia in linea con la Russia per ricavarne un alleato sulla lunga distanza. Ma se nel fare questo fanno del male ai civili, poi saranno proprio loro a mandare via il regime diretto da Mosca, non prendiamoci in giro. Vogliono un regime di marionette a cui gli ucraini siano più o meno indifferenti, non vogliono mettere nessuno al potere dopo aver reso la vita degli ucraini miserabile.
Quindi come stanno mettendo in atto la loro strategia? Stanno invadendo il paese in maniera molto rapida ed è sotto gli occhi di tutti quanto velocemente stiano invadendo l’Ucraina, senza colpire alcuna infrastruttura civile, ma solo colpendo obiettivi militari, e ogni volta che raggiungono una città e trovano una resistenza, intendo una seria resistenza da parte dell’esercito ucraino, si fermano e arretrano. In questo modo stanno li accerchiando, basta guardare una mappa. E’ una strategia tanto semplice quanto efficace, e stanno facendo questo in tutte le maggiori città, tipo a Kiev e Karkov, accerchiano le città e poi che fanno? Semplice: aspettano. Se circondi una città alla fine cadrà, non c’è un finale diverso.
Altra cosa che la gente sembra non capire è che vogliono prendersi l’esercito, e questo è il motivo per cui se vedete non ci sono state battaglie con centinaia o migliaia di morti o feriti. I russi è come se stessero prendendo l’Ucraina in punta di piedi. Per quel che riguarda lo spazio aereo, i russi posseggono lo spazio aereo ucraino al 100%. Ogni aereo che passa è russo. Non possiamo pensare all’esercito russo come all’esercito arretrato della seconda guerra mondiale, quello che vediamo oggi è l’esercito russo moderno, con una strategia ben precisa per catturare Ucraina ed esercito ucraino intatti. I russi hanno capito che una volta che avranno cambiato la leadership politica al paese, dovranno avere un esercito in loco che si prenda cura della nazione e delle persone.
E’ per questo che, come ho già detto, quando incontrano una resistenza maggiore, si fermano e arretrano. In occidente questa cosa è interpretata come debolezza, dicono che la Russia avanza molto velocemente ma poi non concretizza, perché è debole. Per la gente i russi sono deboli perché non sbaragliano l’esercito ucraino, e questo solo perché gli americani quando vanno in guerra fanno questo. distruggono l’esercito, e qualsiasi cosa che incontrino sul loro cammino, a loro non interessa. Ma ai russi si. ai russi invece interessa.
Una cosa che un mio amico mi ha fatto notare, una cosa che se ci si pensa è anche ovvia, è che i vertici militari ucraini, i generali e gli altri sono andati all’accademia militare insieme ai russi, erano compagni di scorribande fin da quando magari avevano 18 o 19 anni, bevevano insieme, uscivano insieme, si conoscono, si conoscono bene e non si vogliono uccidere tra di loro. Magari le loro vite si sono separate, ma gli anni passati insieme li mettono in una posizione in cui hanno qualcosa in comune e di certo non vogliono uccidersi l’uno con l’altro.
Una volta che i russi posseggono il cielo, lo sappiamo, ci mettono un attimo a colpire una zona e annichilirla causando una crisi umanitaria dalle proporzioni gigantesche ma loro non lo hanno fatto e non lo faranno. Come so questo? Perché hanno avuto tre giorni per farlo e niente, non l’hanno fatto. Sto facendo questo stupido video da un motel in centro a Kiev, pensate che potrei mai fare un video e avere linea internet se i russi facessero sul serio con l’Ucraina?
Mentre in occidente pensano che Putin e la Russia siano il male, la personificazione dell’anticristo. Non capiscono, non lo capite, e i vostri leader occidentali non vogliono di certo che capiate, leaders come Boris Johnson, Joe Biden, vogliono che vi immaginiate questa storia come un film della Marvel dove c’è il cattivo da demonizzare ed il cattivo è Putin, mentre gli americani insieme agli altri sono i cappelli bianchi, i bravi ragazzi che vinceranno il confronto.
Quello che mi da fastidio, e forse non è una cosa saggia da dire finché mi trovo qui in Ucraina, è che il regime di Zelensky invece vorrebbe vedere gli ucraini morti, non avrebbero problemi ad avere una crisi umanitaria. E come lo so? Lo so perché hanno dato le munizioni alla gente, da quel che so almeno 10 mila ak47. Se non hai pratica con un’arma del genere, puoi diventare molto pericoloso per la gente intorno a te e anche per te stesso. ci vogliono anni di training per imparare e sapere dove stai mettendo le mani, non è come nei film, è una cosa davvero pericolosa e davvero puoi farti seriamente male. Il regime di Zelensky non solo distribuisce le armi ma insegna alla gente come fabbricare ed utilizzare le molotov, vogliono fomentare la guerra, vogliono che la gente comune combatta contro i russi.
I russi hanno un esercito professionista, per cui se incontrano qualcuno di armato per la strada, sia un civile oppure un militare, gli sparano, non fanno discorsi. E se è un civile sarà il soggetto perfetto per una operazione fotografica in cui ritrarranno il civile morto per colpa del russo cattivo, e sarà presentato al mondo come scusa per le altre nazioni che verranno coinvolte come ad esempio gli Stati Uniti, fino a far arrivare la situazione ad un punto tale che le conseguenze potrebbero essere inimmaginabili.
E’ il regime di Zelensky che sta facendo qualcosa di demoniaco, perché deve essere demoniaco il fatto di incoraggiare i civili a fare qualcosa di cosi pericoloso e irresponsabile. Inoltre il regime di Zelensky ha di fatto messo nelle mani dei civili artiglieria pesante, e come è normale e giusto, i russi hanno il diritto di distruggere queste armi, e quindi saranno costretti a colpire anche dei civili. Mettiamo il caso che una cosa del genere avvenga in mezzo a dei condomìni, ci saranno i russi che nel tentativo di disarmare gli ucraini si troveranno costretti ad uccidere i civili. Il regime di Zelensky ha distribuito queste armi in aree popolose proprio perché vuole che una cosa del genere accada.
Vi racconterò anche qualcos’altro che il regime di Zelensky sta facendo: stanno impedendo a tutti gli uomini tra 18 e 60 anni di lasciare la nazione, se provano ad andarsene sono arrestati e arruolati immediatamente nell’esercito ucraino. Così succede che molti uomini stanno scappando dalle città. Ma non scappano dai russi, scappano dall’essere arruolati a forza. Non hanno paura che i russi distruggano le loro abitazioni o facciano loro del male.
Ora le donne, i bambini e gli anziani stanno nascondendo gli uomini tra i 18 ed i 60 anni, e non è una cosa che ho sentito dire, ma che so personalmente di gente che conosco, con cui lavoro, con cui sono uscito, sono andato a bere insieme, al ristorante insieme, ci ho fatto affari. Hanno dovuto lasciare Kiev per la paura di essere costretti con la forza ad entrare nell’esercito ucraino. Gente di mezza età come me, bravissimi business men magari, che però sono delle schiappe a fare i soldati con in mano un’arma, senza un briciolo di esperienza.
Il governo ucraino, il regime di Zelensky sta facendo tutto questo. E perché lo stanno facendo? Beh non costringi certo i tuoi uomini ad arruolarsi a forza se pensi che stai vincendo, o sbaglio? No di certo. E seconda cosa, attraverso questo sistema coatto crei un’intera classe di rifugiati che ha paura di te, governo, non certo dei russi. Così in occidente si rivendono quei filmati di gente che scappa dalle città e vi dicono e voi dite ” guarda scappano perché hanno paura dei russi”, no, assolutamente, non è così, hanno paura del regime di Zelensky.
Ma se dovessi dire cosa mi spaventa di più, è dare armi in mano ai cittadini che non sanno nemmeno come utilizzarle, perché il solo fatto di dar loro delle armi non li rende assassini perfetti. Poi accade che li trovano i russi e cosa succede? Cosa succede con un’arma che nemmeno sanno come utilizzare? Succede che i russi sparano, e così si ha inutile spargimento di sangue, per un’arma che nemmeno dovrebbero avere tra le mani. E questo è davvero diabolico. Da qui come ho già detto il regime ci può costruire una photo op perfetta.
Non pensate che le cose che vi sto dicendo le stia dicendo perché sono pro Russia o pro Putin, a me non interessano le opinioni qui, ma solo i fatti, e questa è la verità. Sono qui a Kiev in centro e sto ancora aspettando che i russi invadano la città, quindi so ciò di cui sto parlando. E nulla di ciò che sto dicendo viene detto dai media mainstream, o sbaglio? Guardate, tiro ad indovinare perché nemmeno li seguo i media americani o europei perché so che sono solo un ammasso di menzogne.
Probabilmente quello che state ascoltando qui non lo avete mai sentito altrove, benissimo, lo sentite adesso. Cosa vi ho sempre detto in questo canale? Pensate con la vostra testa e chiedetevi sempre perché qualcosa che sta avvenendo, sta avvenendo nel modo in cui avviene. Qui non ci sono casualità, c’è sempre chi pensa alle cose affinché avvengano in un certo modo, e sicuramente questo è ciò che hanno fatto i russi, i russi hanno pensato ad ogni singola mossa.
L’unica cosa che c’è da sperare è che il regime di Zelensky fallisca nel tentativo che sta mettendo in atto di coinvolgere in questo conflitto America ed Europa, e che il regime crolli o se ne vada, e che la Russia sia in grado quindi di prendere l’Ucraina intera senza feriti o morti, o con il numero minore possibile. Se le cose non vanno così, la nazione intera sarà distrutta, milioni di persone verranno ricollocate, milioni di persone verranno uccise e questa è esattamente la stessa cosa avvenuta in Iraq. Speriamo di non avere un secondo Iraq.
traduzione di Martina Giuntoli
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FONTE: https://www.marcotosatti.com/2022/03/01/un-americano-a-kiev-che-cosa-fanno-i-russi-come-e-perche/
Usa e Ucraina
Lisa Stanton 18 07 2022
Mentre gli Stati in guerra adottano politiche economiche interventiste per mobilitare risorse e manodopera, l’Ucraina ha perseguito misure di libero mercato che soddisfano i creditori occidentali più della popolazione in fuga dal paese.
Dopo Euromaidan l’Ucraina è diventata un laboratorio per la sperimentazione della liberalizzazione economica. Il primo problema è l’aumento del debito pubblico: secondo il ministero delle finanze ucraino, da gennaio a giugno il bilancio statale ha registrato 35mld di $ di spese e 21,8mld di entrate. La situazione è andata peggiorando a giugno, in calo rispetto a maggio. Da gennaio a giugno 2022, $ 19mld di entrate totali provenivano da varie forme di credito e aiuti esteri su titoli di stato e denaro stampati dalla banca nazionale. Un po’ come in Italia, dove il debito pubblico ha raggiunto il 160%, lo spread ha superato quota 250 e la BCE sta pensando di non comprare più titoli del debito italiano.
Il ministro delle finanze Marchenko ha affermato che senza un immenso aumento degli aiuti, l’Ucraina è costretta a tagliare ulteriormente la spesa non militare: la tensione si è già fatta sentire sui dipendenti statali, che ricevono i loro salari con ritardi di 10gg e ridotti di 1/3. La classe docente non percepisce lo stipendio da mesi e i lavoratori portuali ora guadagnano $ 50 al mese con ritardi.
A maggio l’Ucraina ha ricevuto solo 1/3 dei 5mld di $ in aiuti e il 21% di tutte le spese di bilancio di gennaio-giugno è stato dedicato ai pagamenti del debito statale. La situazione non farà che peggiorare a settembre per l’entità del debito pubblico estero (Zelensky ha annunciato di sperare in 200-300mld di $ in crediti occidentali per la ricostruzione).
Come l’Italia col PNRR ed il MES, l’Ucraina non avrà capacità di rifiutare le richieste politiche imposte dai creditori esteri: dal 2014 i partner occidentali spingono l’Ucraina a “combattere la corruzione” ma, al pari dell’Italia, il regime cleptocratico è favorito proprio dalle lobbies e dalle corporations internazionali che controllano il governo e l’economia.
Anzichè nazionalizzare settori strategici dell’economia l’Ucraina, nonostante si trovi in una situazione di “guerra totale”, alla fine di giugno ha approvato, al pari dell’Italia, una legge che “riavvia la privatizzazione dei beni statali a un nuovo livello”. Anche nella colonia Ucraina l’attività legislativa è infatti concentrata sull’eliminazione dell’intervento statale nell’economia.
Qui c’è Draghi, lì la “società civile” liberale ucraina (l’1%), l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (USAID) e la Open Society Foundation: il tutto nell’interesse di una “oligarchia” corrotta.
IL RAPPORTO AMNESTY E I TRE PORCELLINI
Rosanna Spadini – 9 08 2022
Fulvio Scaglione – Il rapporto di #AmnestyInternational che ha fatto tanto infuriare i trinariciuti nostrani alla fin fine è un quasi banale esercizio di giornalismo, quel giornalismo che così tanto manca alla narrazione della guerra nata dall’invasione russa dell’Ucraina. A differenza di quanto sostiene il presidente #Zelensky, nel Rapporto non c’è alcun tentativo di “spostare le responsabilità” né di mettere sullo stesso piano in contendenti. Nel Rapporto, per esempio, si parla esplicitamente dell’uso di bombe a grappolo (vietate dal diritto internazionale) da parte della Russia, ed è solo un esempio.
La vera colpa di questo Rapporto Amnesty è di graffiare l’immagine artificiale che i media occidentali hanno costruito di questa guerra, e che ha trovato la perfetta sintesi nel servizio di Vogue sui coniugi Zelensky: una guerra finta, patinata, dove il Paese aggredito, l’Ucraina, è popolato di eroi senza macchia e senza paura e il Paese aggressore, la Russia, di malfattori tanto vili quanto incapaci. Pensiamo alle cronache della guerra: per mesi ci è stato raccontato che l’esercito dell’Ucraina passava di vittoria in vittoria, fino al giorno in cui ci si è ritrovati con i russi in controllo del 20% del territorio ucraino. Idem con tutto il resto. Chi non ricorda “l’eroe” ucraino, il generale Zaluzhny, contrapposto al “macellaio” russo, il generale (poi vice ministro della Difesa) Dvornikov? L’eroe Zelensky con la maglietta da soldato contrapposto a Putin che molti, per settimane, hanno descritto malato e chiuso in un bunker?
E così via. La vera colpa del Rapporto di Amnesty è di rifiutare la trasformazione di una guerra in una favola, in una specie di tre porcellini e il lupo. Perché chi ha visto qualche guerra, come il sottoscritto che ha cominciato con la Cecenia nel 1994 e ha finito (forse) con la Siria degli anni scorsi, sa ciò che tutti coloro che hanno fatto queste esperienza sanno: sì, ci si nasconde dietro i civili, nella speranza che questo freni il nemico; sì, si spara anche dai centri abitati, da dietro i condomini, dai cortili, nella speranza di cogliere di sorpresa il nemico; sì, si spara al nemico anche sapendo che a essere colpiti potrebbero essere i civili dell’altra parte. Lo fanno tutti, in tutte le guerre. Perché il motto di chi combatte è: meglio loro di me. E non si vede proprio perché gli ucraini dovrebbero combattere in guanti bianchi di fronte a un avversario potente e senza guanti. Infatti non lo fanno per niente.
Purtroppo, a pontificare qua e là sono soprattutto quelli che parlano delle guerre senza mai averne vista una. Se non fosse così, saprebbero non solo che cos’è successo a Grozny nel 1999 (ceceni asserragliati tra le abitazioni, russi a sparare a tappeto) o ad Aleppo nel 2016 (idem), ma anche ciò che successe a Fallujah nel 2004 (islamisti nascosti tra la popolazione, esercito Usa a usare anche il napalm) o a Raqqa nel 2017 (Stato islamico mischiato ai civili, bombe Usa che fecero migliaia di morti civili). È la guerra del nostro secolo, quella in cui muoiono molti più civili che militari. Poi, certo, i tre porcellini…
Focus. Allarme sul destino delle armi occidentali cedute a Kiev
Se il mercimonio di armi fosse realmente in atto con la guerra ancora in corso, è facile immaginare cosa potrebbe accadere non appena il cannone cesserà di tuonare
Sostenere la resistenza ucraina, costi quel che costi. Questa la parola d’ordine dell’amministrazione americana, seguita al guinzaglio dalle cancellerie europee. Nonostante le morti, le distruzioni e il devastate impatto economico provocati dal conflitto, l’occidente continua a pensare che l’unica soluzione possa arrivare dall’invio di ulteriori armi all’Ucraina. La convinzione, che non sembra essere scalfita neppure dalle notizie che arrivano dal fronte, rischia di generare un impatto dalle conseguenze imponderabili, sia nel breve che nel lungo periodo. Fin dell’annuncio dell’invio di ingenti forniture militari all’Ucraina, infatti, intelligence e analisti hanno lanciato l’allarme sulla possibilità che parte del fiume di armi destinato a Kiev possa disperdersi in qualche rivolo incontrollabile. A inizio giugno, l’allarme era stato rilanciato in seguito ad alcune segnalazioni secondo le quali missili anticarro Javelin forniti dagli Usa, sarebbero stati messi in vendita sul dark web a 30 mila euro. Come se non bastasse, nei giorni scorsi, alcuni osservatori hanno parlato di armi occidentali destinate all’Ucraina vendute in Medio Oriente e Africa. La possibilità che i trafficanti possano impadronirsi di parte degli arsenali occidentali messi a disposizione di Kiev, ha ricevuto nuova linfa con la notizia di due obici semoventi Caesar di produzione francese finiti in mani russe. Il primo a parlarne, il 20 giugno scorso, era stato l’avvocato Régis de Castelnau che, sul suo account Twitter, aveva scritto: ”Un altro successo di Macron: 2 cannoni Caesar francesi sono stati intercettati intatti dai russi. Attualmente sono nella fabbrica Uralvagonzavod negli Urali per studio ed eventuale reverse engineering. Grazie Macron, stiamo pagando”. Il tweet ha ricevuto migliaia di condivisioni e mi piace, anche perché de Castelnau, non è un avvocato qualsiasi: oltre a un passato da esponente del Partito comunista francese, vanta, infatti, l’appartenenza ad un’antica famiglia della nobiltà di Rouergue e la discendenza dal capo di stato maggiore di Joffre durante la prima guerra mondiale, generale Édouard de Castelnau. La conferma del cinguettio partito dall’account del blasonato avvocato non è tardata ad arrivare. Il 23 giugno, infatti, la Uralvagonzavod, sul proprio profilo Telegram, ha richiamato il tweet di de Castelnau per ringraziare ironicamente Macron per la donazione dei due semoventi. Ad arricchire di particolari la vicenda, ci ha pensato giovedì scorso il sito d’informazione filo russo Donbass insider che, richiamando non meglio precisate fonti militari francesi, ha confermato la notizia. Tuttavia, secondo l’autore del pezzo, i soldati di Mosca non avrebbero conquistato gli obici sul campo, ma li avrebbero banalmente acquistati, come fossero due lussuose berline. A venderli, neppure a dirlo, sarebbero stati gli stessi ucraini. Una notizia che, se confermata, sarebbe sconcertante, soprattutto alla luce dei continui peana con i quali il presidente Zelensky invoca aiuti militari all’occidente. A rendere ancor più surreale l’intera vicenda, il quadro tratteggiato dal canale Telegram Rybar che ha proposto un dettagliato resoconto sul destino di alcuni dei 14 semoventi forniti dalla Francia: tre dei quali sarebbero andati in fumo durante un attacco aereo, mentre si trovavano ancora incellofanati nella stazione ferroviaria di Kurakhovo; un altro sarebbe stato distrutto sull’isola di Kuban nella regione di Odessa e altri due sarebbero finiti nelle officine russe di Uralvagonzavod, i cui tecnici sarebbero già al lavoro per carpirne i segreti. Questi ultimi, secondo Rybar, sarebbero stati venduti dagli ucraini per “una cifra ridicola”, ovvero “120 mila dollari”. Un vero e proprio affare, grazie al quale i russi avrebbero la possibilità di scoprire i segreti e gli apparti tecnologici di un’arma il cui valore supera i 7 milioni di euro. A dare nuova impulso alla notizia fatta circolare dai canali filo russi, è stato Bulgarian military, per la quale è plausibile che i due obici “siano stati rivenduti con l’aiuto di un intermediario”. Un’ipotesi non confermata da dati oggettivi, ma suffragata, scrive la rivista bulgara, dalla “sensazione che militari ucraini corrotti siano coinvolti nel commercio illegale di armi”. Un concetto ribadito su Telegram anche dal canale filorusso Abs News, secondo il quale “Il comando delle Forze armate dell’Ucraina” rivenderebbe “in Medio Oriente e Nord Africa attrezzature e armi fornite dalla Nato”. La denuncia potrebbe essere capziosa o finalizzata ad alimentare la propaganda di Mosca, tuttavia il dubbio che molte delle armi fornite dall’occidente possano alimentare ben altro che la resistenza di Kiev, è stato paventato anche da Jürgen Stock. Come riportato dal Guardian, il capo dell’Interpol, intervenuto alla Anglo-American Press Association a Parigi, ha affermato senza mezzi termini, che “le armi inviate in Ucraina dopo l’invasione russa di febbraio finiranno nell’economia sommersa globale e nelle mani dei criminali. Soprattutto quando la guerra sarà finita, ma anche adesso mentre parliamo – ha aggiunto – i criminali si stanno concentrando sulle armi”, tanto che “dovremmo essere allarmati e dobbiamo aspettarci che queste armi vengano trafficate non solo nei paesi vicini ma anche in altri continenti”. Un traffico che potrebbe essere già in atto e di cui i russi avrebbero beneficiando non solo nel caso dei Caesar ma, stando a quando riportato dalla rivista tedesca Overton-Magazin, anche in occasione della battaglia per il controllo di Mariupol, quando i soldati di Mosca avrebbero abbattuto alcuni elicotteri mandati da Kiev per evacuare i soldati assediati all’Azvostal con missili Stinger comprati sul mercato nero. Se il mercimonio di armi fosse realmente in atto con la guerra ancora in corso, è facile immaginare cosa potrebbe accadere non appena il cannone cesserà di tuonare e dal fronte ritorneranno torme di uomini costretti a sopravvivere in un paese in ginocchio. Un paese che potrebbe diventare il prodigioso bazar nel quale acquistare sofisticati sistemi d’arma a prezzi di saldo.
I link degli articoli citati nel pezzo
FONTE: https://www.barbadillo.it/105251-focus-allarme-sul-destino-delle-armi-occidentali-cedute-a-kiev/
Le persone che invece della pace creano sempre guerra, discussioni e capricci intorno a loro sono poco intelligenti
Romana Mercadante di Altamura 29 07 2022
. La loro unica colpa è non cercare di essere persone migliori, e invece di rendere la vita delle persone a loro care più facile, gliela rendono più difficile. Soprattutto emotivamente parlando abusano della felicità altrui, a volte senza nemmeno arrivare a pensare che il loro comportamento è profondamente sbagliato e fa del male. Ma il più delle volte invece lo fanno di proposito. E sputando sopra alla tua apertura che invece è sincera e totale( all’inizio).
Sono quelli che l’esame di coscienza non se lo fanno mai perchè non gli piacerebbe quello che troverebbero. Spesso hanno disturbi clinici della personalità mai affrontati, a volte sono solo persone di dubbia cultura o semplicemente meschine.
La vita mi ha insegnato, a forza di delusioni, a non dare possibilità a queste persone quando si ripresentano una seconda volta avendo miseramente fatto naufragare la prima.
Fa male, ma chi ti fa del male gratuito o pensa male di te o parla male di te , a volte senza nemmeno conoscerti, a volte travisando completamente la realtà oppure in assoluta malafede, se lo ha fatto una volta lo farà altre mille. È esperienza e non pregiudizio.
Peccato.
#leperlehdisaccezzadellamercadante
FONTE: https://www.facebook.com/1469315800/posts/pfbid09rAcJ9Tw2XkkD7XTUhCF71uBTYBTCHtCRQGuAFbCtt3NLFqNtTKMvyVyhGTu5hEpl/
CULTURA
SCARSA PREPARAZIONE E IGNORANZA DEGLI STUDENTI
Ipse dixit – 18 01 2022
Gli studenti condannati a una preparazione scarsa o apparente, o addirittura all’ignoranza, diventano più facilmente vittime del potere.
Sono cittadini debolissimi, indifesi, aperti a ogni influenza improvvisata e chiassosa.
Chi ha rovinato la scuola, ha ferito gravemente anche la Repubblica, il sistema democratico, la libertà individuale e la consapevolezza dei diritti. Spero che qualcuno prima o poi se ne accorga.
I futuri cittadini vengono resi così più fragili e manipolabili. È un grande problema storico-politico, di cui, temo, prima o poi vedremo conseguenze lancinanti.
Non vorrei apparire troppo pessimista, ma il successo di movimenti irruenti e semplificatori sul piano della lotta politica, si spiega anche con questa debolezza culturale.
Luciano Canfora, Intervista sul potere, 2013
Il vecchio e le sue uova
Domenico Cirasol 24 07 2022
Una signora chiede:
“a quanto vendete le vostre uova?”
Il vecchio venditore risponde:
“0.50 centesimi un uovo, signora”
La signora dice:
“prendo 6 uova per 2.50 euro o me ne vado”.
Il vecchio venditore gli risponde:
“Acquisti al prezzo che desiderate, signora. Questo è un buon inizio per me perché oggi non ho venduto un solo uovo e ho bisogno di questo per vivere “.
Lei ha comprato le sue uova a prezzo contrattato ed è andata via con la sensazione che aveva vinto.
È entrata nella sua auto elegante ed è andata in un ristorante elegante con la sua amica.
Lei e la sua amica hanno ordinato quello che volevano. Hanno mangiato un po ‘ e hanno lasciato un sacco di quello che avevano chiesto.
Così hanno pagato il conto, che era di 400 euro, le signore hanno dato 500 euro e hanno detto al proprietario del ristorante chic di tenere il resto come mancia…
Questa storia potrebbe sembrare abbastanza normale nei confronti del capo del ristorante di lusso, ma molto ingiusto per il venditore delle uova…
La domanda e ‘:
Perché dobbiamo sempre dimostrare che abbiamo il potere quando compriamo ai bisognosi?
E perché siamo generosi con quelli che non hanno nemmeno bisogno della nostra generosità?
Una volta ho letto da qualche parte:
“Mio padre aveva l’abitudine di acquistare beni ai poveri a prezzi elevati, anche se non aveva bisogno di queste cose.
A volte li pagava di più’.
Un giorno gli chiesi:
“perché lo fai, papà?”
Così mio padre rispose:
“è una carità avvolta nella dignità, figlio mio”
“So che la maggior parte di voi non condivideranno questo messaggio, ma se siete una delle persone che ha preso il tempo di leggere finora… allora questo messaggio di tentativo “di umanizzazione” avrà fatto un passo in più nella giusta direzione.”
*Cerchiamo sempre di essere grati verso la vita*
(Dal web)
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
La Cia e Meta
Beatrice Sarzi Amade 21 07 2022
Scott Stern
Ex ufficiale degli obiettivi della CIA, diventa infine capo degli obiettivi, oggi, come direttore dell’intelligence di rischio per Meta, disinformazione e controllo dei malintenzionati sono i suoi obiettivi.
Altri ex uomini della CIA su Facebook includono Mike Torrey, che ha lasciato il suo lavoro come analista senior presso l’agenzia per diventare il capo tecnico di Meta per rilevare, indagare e interrompere le minacce di operazioni informative complesse.
Un ex appaltatore della CIA Hagan Barnett, ora capo delle operazioni di contenuti dannosi presso il gigante della Silicon Valley.
Che dire: auguro a loro il meglio.
Il team di sicurezza e intelligence online di Meta include individui provenienti praticamente da ogni agenzia governativa immaginabile. Secondo un recente report di Facebook, i primi cinque posti per un comportamento non autentico coordinato tra il 2017 e il 2020 sulla sua piattaforma sono Russia, Iran, Myanmar, Stati Uniti e Ucraina.
Sin dalla sua nascita, nel 2004, Facebook è diventato un impero globale enorme e di gran lunga il più grande distributore di notizie che il pianeta abbia mai conosciuto. L’azienda conta quasi 3 miliardi di utenti attivi, il che significa che quasi 2 persone su 5 in tutto il mondo utilizzano la piattaforma. Uno studio recente su 12 Paesi suggerisce che circa il 30% del mondo intero riceve notizie attraverso i feed di Facebook. ( orripilante )
Facebook è molto più influente del New York Times o della Reuters, raggiungendo miliardi di persone ogni giorno. In tal senso, obiettivo logico principale di qualsiasi organizzazione di intelligence. È diventato talmente grande e diffuso che molti lo considerano di fatto un bene pubblico e credono che non debba più essere trattata come una società privata.
Tuttavia, nella vita esiste sempre un tuttavia, un’indagine pubblicata nell’aprile 2021, la giornalista Whitney Webb ha documentato le origini militari di Facebook e ha dimostrato che il social network è sostanzialmente analogo a un controverso programma di sorveglianza gestito dalla DARPA, un corpo controllato dal complesso militare-industriale statunitense gestito dalle élite pro-guerra di Wall Street e della City di London
Così quando venite qui con i vostri video patetici, strappacuore, sappiate che i meccanismi stanno giocando con le vostre sinapsi, prendetevene cura.
DIRITTI UMANI
UN ALTRO TASSELLO PER LA TRASFORMAZIONE DEGLI UMANI IN DISPOSITIVI NUMERABILI INTRAPPOLATI IN UN INFINITO PRESENTE.
Buona lettura: Colao annuncia la rivoluzione digitale che «nessun futuro governo potrà smontare»
Giorgia Audiello – 6 LUGLIO 2022
Il Ministro per l’innovazione tecnologica e digitale, Vittorio Colao, ha deciso: tutti i dati dei cittadini dovranno essere digitalizzati e contenuti in un portafoglio elettronico sempre consultabile, mentre sta lavorando affinché il progetto assuma una dimensione europea. Come spiegato dallo stesso Colao ieri in conferenza stampa, infatti: «l’obiettivo è creare una vera e propria Schengen del digitale», ossia un Qr code contenente tutti dati e i documenti valido a livello europeo. L’Italia ha l’ambizione di porsi come avanguardia e apripista del progetto di digitalizzazione, che rientra nel contesto più ampio di riforme previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e necessarie per ottenere i fondi del Next Generation EU.
Il Ministro per la transizione digitale – facendo il punto sullo stato di attuazione del PNRR in materia di digitalizzazione e innovazione – ha spiegato che sono stati stanziati 20 miliardi nei settori digitale e spazio e che «ad oggi sono stati allocati o assegnati circa 15 miliardi, quasi 11 miliardi sul digitale, 4 miliardi sullo spazio». Ma la dichiarazione più importante – e anche più preoccupante – del Ministro è quella secondo cui «il percorso delle riforme è tracciato, nessun futuro governo potrà fermarlo». Una tale esternazione evidenzia inequivocabilmente quanto poco potere abbiano in realtà gli esecutivi eletti dal popolo di fronte a decisioni prestabilite a tavolino da agende sovranazionali rispetto alle quali cittadini e politica non hanno voce in capitolo. Un dato di fatto che indebolisce notevolmente quel concetto di “democrazia” costantemente ostentato dalla classe politica europea.
Dunque, il disegno dei rappresentanti di Bruxelles – sostenuto anche da organizzazioni extranazionali ed estremamente influenti come il World Economic Forum – prevede un Paese interamente digitalizzato, connesso e online dove tutto sarà potenzialmente controllabile e tracciabile. Nulla potrà sfuggire a quello che pare a tutti gli effetti un “grande occhio digitale”, dal sapore vagamente orwelliano.
L’idea è quella di estendere a tutti il possesso di un’identità digitale e di un portafoglio virtuale – come, ad esempio, l’App Io già utilizzata per il green pass – in cui saranno contenute tutte le informazioni che riguardano la vita di una persona: dai documenti al conto bancario, dalla tessera elettorale fino al fascicolo sanitario elettronico: quest’ultimo, in particolare, “custodirà” l’intera storia del nostro corpo e renderà possibile anche trattamenti sanitari a distanza che sono quelli su cui punta la “nuova” sanità 4.0. Non è un mistero, infatti, che attraverso le tecnologie più avanzate sia possibile monitorare in tempo reale l’organismo di un individuo nelle sue funzioni vitali, aggiungendo così un elemento ulteriore di possibile controllo sulla vita fisica dei cittadini. Si tratta del consolidamento del cosiddetto biopotere, già inaugurato da vaccini e green pass.
Un altro obiettivo fondamentale del ministero di Colao per trasformare l’Italia in una nazione “smart” è rappresentato dall’estensione onnipervasiva della rete 5G, che dovrà raggiungere anche i borghi più isolati del Paese entro il 2026. Durante la conferenza stampa di ieri, l’ex AD di Vodafone ha asserito, infatti, che «saremo il primo Paese europeo che avrà il 100% di fibra per il 5G, copriremo il 99% della popolazione e le reti a banda larga saranno per il 94% in fibra», aggiungendo anche che «a dicembre di quest’anno avremo completato tutta l’architettura digitale del Paese». A dispetto di quanto narrato, la rete 5G non è pensata tanto per la popolazione, quanto per fare decollare la cosiddetta Quarta rivoluzione industriale (4RI), in quanto permette il collegamento di milioni di oggetti alla Rete, rendendo possibile così l’automazione del lavoro, pilastro della 4RI, ma anche minaccia per milioni di posti di lavoro.
A tal fine, è necessario collegare tra loro i cavi delle antenne 5G: per questo, lo Stato ha assegnato 725 milioni alla Tim per “rilegare” antenne in 5G – ben 11 mila – alla fibra, coprendo così il 90% delle spese.
Tutto ciò rientra nella Strategia italiana per la Banda Ultra Larga, monitorata attentamente dall’Unione europea. Il governo e il ministero di Colao hanno lanciato per la sua realizzazione 5 bandi di gara, inclusi i due del 5G, finanziati dal piano di rilancio europeo (PNRR): tutti i bandi prevedono che la proprietà delle nuove reti resti appannaggio delle imprese private che le realizzano. Sarà poi il Garante delle Comunicazioni (l’AgCom) a dettare le regole affinché eventuali altre aziende concorrenti possano noleggiare queste reti d’avanguardia a prezzi equi.
Altri due punti importanti del progetto di digitalizzazione riguardano le amministrazioni pubbliche e la questione del contante: nel primo caso, si prevede il caricamento sul cloud di almeno il 75% delle amministrazioni italiane; nel secondo, la limitazione all’uso del contante va inserita proprio all’interno del progetto digitale che renderà possibile il controllo totale sui movimenti bancari degli utenti e non solo: le transazioni elettroniche, infatti, sono fonte di grande guadagno per gli istituti di credito grazie alle commissioni, che possono variare dall’1 al 4%.
Dietro alla facciata avanguardistica che si sta cercando di attribuire al Paese grazie a quello che dovrebbe essere il più grande ammodernamento tecnologico, dunque, si nascondono diversi problemi e rimangono, altresì, gravi criticità: una sanità sempre meno efficiente che ha visto il taglio di milioni di fondi e in cui manca personale medico e infermieristico, una scuola sempre più prostrata alle logiche di mercato piuttosto che alla formazione culturale, disoccupazione e disagi sociali, cui ora si è aggiunto un altissimo tasso di inflazione.
Si vedrà presto, dunque, se (e come) la digitalizzazione del Paese contribuirà a risolvere questi problemi strutturali, oppure se tale “ambizione” si rivelerà essere solo l’ennesimo “disegno futuristico” di una élite ormai sempre più distante dai problemi concreti della nazione e dei cittadini.
ECONOMIA
La truffa del cuneo fiscale
Periodi duri come quello attuale richiedono misure straordinarie. Tra disoccupazione, inflazione galoppante e insicurezza economica crescente, servirebbero ricette innovative e di ampia portata a favore dei lavoratori. Di sicuro i partiti non stanno lavorando sull’innovatività, ma sembrerebbero almeno dedicarsi ad un intervento di dimensioni ragguardevoli. Stiamo parlando infatti della solita, immancabile, immarcescibile proposta di “patto tra governo e parti sociali per un taglio shock al cuneo fiscale, ovvero al costo del lavoro”. Secondo le attuali proposte, tale taglio dovrebbe far ottenere una mensilità in più a 15 milioni di lavoratori dipendenti con retribuzioni fino ai 35mila euro lordi. Cerchiamo di capire se questa proposta può essere soddisfacente, ma prima di tutto inseriamo un dato di realtà: non è affatto vero che – come si lamentano i nostri imprenditori – il costo del lavoro (dato da salari più oneri accessori, quali contributi previdenziali, etc.) in Italia è più alto che in altri paesi.
Tenendo questo in mente, un aumento di ciò che i lavoratori percepiscono effettivamente in busta paga dovrebbe essere, di per sé, un segnale positivo, soprattutto in periodi di forte erosione del potere d’acquisto. Un elemento che immediatamente emerge è però legato in prima battuta proprio al tipo di elargizione che si vorrebbe concedere. Sgravi di vario genere infatti si sono già succeduti negli anni, non ultimo il famoso bonus da 80€ di renziana memoria. Se quindi può essere accolta con favore l’entità crescente di questo tipo di mossa, non si può ignorare il fatto che tale intervento si faccia strada in un contesto in cui misure come il salario minimo faticano a imporsi e al contempo si spinge sempre più sulle contrattazioni di secondo livello. Tradotto: sì, i lavoratori possono beneficiare di qualche soldo in più, ma questo si può fare solo tramite bonus che non intaccano la posizione del tutto sottomessa del lavoro dipendente.
Unito a ciò va considerato il fatto che, quando si tratta di elargire finanziamenti di portata ragguardevole, il secchio che va dallo Stato ai lavoratori è sempre pronto ad essere bucato. Non è infatti un caso che, dati i circa 16 miliardi di euro necessari ad implementare tale misura, Confindustria vorrebbe che tali risorse fossero ripartite per 2/3 a favore dei lavoratori (10,7 miliardi), e il rimanente 1/3 alle imprese (5,3 miliardi). In questo modo, sempre secondo Confindustria, si garantirebbe un beneficio di 1.223€ per lavoratore. Evidentemente il Governo a guida Draghi, per quanto prodigo di attenzioni verso il mondo delle imprese, secondo gli appetiti confindustriali non sta ancora facendo abbastanza. E, si badi, anche in questo caso ci troviamo di fronte a una minestra riscaldata; veniamo infatti da anni in cui – nonostante le continue lamentele da parte del mondo imprenditoriale – già abbiamo avuto diversi interventi di riduzione del cuneo totalmente a favore delle imprese: un esempio lo abbiamo avuto sempre col governo Renzi, che ha consentito la piena deducibilità dall’IRAP del costo per lavoro dipendente. Qualcuno si è accorto che questa diminuzione del cuneo fiscale ha portato aumenti in busta paga ai lavoratori? A noi non pare…
Arriviamo poi al fatto che il secchio d’acqua, dopo essere stato bucato, debba anche essere scambiato con qualche contropartita prima di essere consegnato al destinatario. Il contesto fiscale di riferimento non è infatti neutrale rispetto alla messa in atto di qualsivoglia intervento pubblico. Non bisogna infatti mai dimenticare che l’Italia ha due grossi macigni legati saldamente alle gambe. Da un lato abbiamo un sistema fiscale fortemente regressivo, dove strutturalmente i redditi da capitale sono sottratti di fatto alla fiscalità generale e al contempo l’IRPEF è smaccatamente tagliata in favore dei redditi più alti sottoposti a imposizione fiscale. Dall’altro lato l’adesione acritica alle regole di bilancio europee (ormai inscritte anche in Costituzione) fa sì che per ogni spesa debba essere prevista una copertura, o, quantomeno, bisogna che nel corso del tempo si prevedano percorsi di rientro dai deficit (vedasi il caso del PNRR).
Questo combinato disposto produce un effetto collaterale esiziale. Dentro tale schema non è infatti possibile trovare altra strada per far posto a questi 16 miliardi per il cuneo se non in due modi. Volendo agire sul fronte dell’imposizione fiscale, dato l’evidente orecchio da mercante che i partiti di governo fanno sulle riforme del fisco, non resterebbe che accontentare la Commissione Europea, la quale ci chiede da tempo immemore di alzare le tasse sui consumi. È immediatamente evidente il portato profondamente regressivo che un aumento dell’IVA avrebbe proprio sui soggetti beneficiari dell’intervento di abbattimento del cuneo. In alternativa, non resterebbe che dare come contropartita un ulteriore deterioramento nell’offerta di servizi pubblici, cosa che farebbe ben felici i grandi e piccoli avvoltoi pronti a fiondarsi su ulteriori carcasse di rete pubblica di sostegno alle famiglie.
Insomma, nel quadro attuale non resterebbe altra scelta ai lavoratori se non quella di autofinanziarsi di fatto il taglio al cuneo fiscale. Una beffa che si aggiunge ai danni già in corso d’opera.
Ricapitoliamo, per cogliere fino in fondo il paradosso: i lavoratori di fatto si caricano del costo della riduzione del cuneo (attraverso l’aumento di qualche altra forma di tassazione e/o la riduzione di servizi pubblici) e una quota di questa operazione finisce a diminuire il costo del lavoro per le imprese, determinando di fatto un trasferimento a loro favore; un vero capolavoro per un’operazione che doveva servire a mettere qualche spicciolo in più nelle tasche dei lavoratori!
Infine, arriviamo alla fregatura vera e propria: un portato velenoso che non tocca le tasche dei lavoratori o la capacità di spesa dello Stato ma che agisce in maniera più subdola sulla coscienza di classe. Il discorso generale rimane infatti sempre e comunque inchiodato sulla necessità che il lavoro costi meno per poter essere impiegato. Si perde così di vista il punto chiave di cosa determini l’occupazione: non il costo del lavoro e flessibilità contrattuale degli occupati, bensì la crescita stabile e continua della domanda di beni e servizi. La storiella del cuneo fiscale insomma è un modo come un altro per riproporre – e come abbiamo detto in maniera neanche originale – le solite politiche del lavoro dal lato (di destra) dell’offerta, con l’altrettanto solito e odioso refrain secondo cui, se sei disoccupato, è colpa tua perché costi troppo. La verità è l’esatto contrario e, come abbiamo detto più volte, l’unico modo di alzare i salari è alzare i salari.
FONTE: https://coniarerivolta.org/2022/07/06/la-truffa-del-cuneo-fiscale/
DRAGHI E COLAO SOLO IL DITO, ORA OSSERVATE LA LUNA DI DAVOS
Prima che l’Italia riprenda il suo vigore istituzionale, paludato e doppiopettista, è il caso di spiegare agli italiani qual era la missione del trio Mario Draghi, Vittorio Colao, Roberto Cingolani. Missione totalmente economica, capace di cambiare radicalmente le abitudini d’un popolo. Un progetto certamente ispirato dalle economie trainanti occidentali, preteso dai poteri finanziari che annualmente si riuniscono a Davos. Andiamo con ordine, perché necessita fare proprie le differenze tra un sistema economico a debito e uno a credito, individuando con precisione chi sarebbero gli attori, i debitori ed i creditori. Qui rivolgiamo al lettore la domanda introduttiva: ovvero la moneta è capitale o debito per chi la emette? Attualmente (fonte Banca d’Italia) le monete metalliche a corso legale (dal centesimo ai due euro) sono considerate passività dello Stato che le emette e sono conteggiate ai fini del debito pubblico. Anche le banconote, emesse dalla Banca centrale europea (Bce) sono passività bancarie emesse con contabilizzazione d’un debito nei confronti dei possessori, ovvero i cittadini europei.
Va detto che, storicamente, la moneta nasce come un debito. Tutta la moneta in circolazione, sia legale (sotto forma di banconote) che scritturale (bancaria censita da impulsi elettronici), è un debito nella proprietà di colui che la presta: quel sistema bancario a cui la moneta deve tornare. Ecco perché si dice che gli unici soldi posseduti dal cittadino sono la moneta contante che ha in tasca, di cui può disporre nell’assoluto anonimato, diversamente i soldi depositati come quelli elettronici sono nell’assoluta disponibilità del sistema bancario e delle istituzioni collegate.
Questo è nella logica delle banche centrali, e il sistema statunitense è stato il primo ad emettere la nuova moneta a debito: la Federal Reserve è istituzione privata e controlla l’emissione a debito, sia in conio che cartaceo e in elettronico. Di fatto, la Federal Reserve e la Bce sono in antitesi alla “moneta del popolo” garantita dallo Stato e di proprietà dei cittadini: come la moneta cubana o quella russa, per esempio, quest’ultima è ancora vincolata all’oro a differenza delle divise occidentali. Il problema di oggi e perché i poteri occidentali gradiscano che i tecnici alla Draghi e Colao governino al posto della politica. Soprattutto capire perché il potere non gradisca più la moneta a debito venga garantita dagli stati bensì da strutture private (ed indipendenti) come le banche centrali. Il problema e la soluzione sono stati posti più volte a Davos: dove il sistema (ovvero Stati, banche, istituzioni finanziarie e multinazionali) hanno deciso di liberarsi del debito mondiale, che è circa cento volte superiore al prodotto interno lordo del pianeta.
DAVOS E LA POLITICA
A Davos hanno sentenziato che, gli Stati, quindi la politica, sono antagonisti del potere finanziario, quindi per trasferire sui cittadini il debito contratto da governi eletti e banche pubbliche ed istituzioni sovranazionali, necessiterebbe di abolire il risparmio individuale e modificare la proprietà privata. In parole povere, trasformare i cittadini da attori d’una economia tradizionale a soggetti rigidamente vincolati a un sistema a debito. Evitando che possano risparmiare e autofinanziare le proprie imprese, che non puntino su quote d’accantonamento o non facciano più le formichine per acquistare beni durevoli o di consumo. In un siffatto sistema, il risparmio non assume più un valore individuale ma collettivo, e diventa inutile riempire un conto od un salvadanaio con i propri sacrifici. In un siffatto sistema, ognuno di noi verrebbe chiamato a un lavoro continuo fino a fine vita, per pagare il debito che giustificherebbe il possesso momentaneo di un alloggio, l’apertura d’un negozio, le cure personali, le eventuali vacanze o l’acquisto d’un mezzo di trasporto. A Davos sono anche andati oltre: ipotizzando un futuro in cui, per disincentivare il risparmio individuale, venga introdotta una moneta elettronica a tempo che, periodicamente, verrebbe azzerata dalle istituzioni centrali, qualora il cittadino non dimostri una velocità d’impiego ed investimento. Quindi abolendo il concetto di risparmio per i giorni difficili. Parimenti è stato messo in discussione il concetto di proprietà d’un immobile (o qualsivoglia bene soggetto a registro) ed il suo possesso e trasferimento: in pratica come porre un limite temporale di legge alla proprietà, disincentivandone il trasferimento ad eredi e parenti.
Questa visione e rivoluzione economica rompe il patto tra Stato e libero cittadino codificato nell’antica Roma con le leggi giustinianee, ovvero “obligatio est iuris vinculum, quo necessitate adstringimur alicuius solvendae rei secundum nostrae civitatis jura”. Riportando l’economia a prima della conquista alessandrina dei regni assiro-babilonesi, dove la proprietà privata non esisteva, era tutto nelle disponibilità del re. La vera rivoluzione la fecero i discendenti dei pastori macedoni, che estesero al mondo conquistato il concetto di proprietà individuale di terre e greggi, rendendoci liberi. E poi i romani che codificarono la cornice giuridica giunta ai nostri giorni. Il debito comporta un rapporto obbligatorio tra le parti, ma nel sistema occidentale si sta trasformando in un patto leonino tra potere e popolo. Un patto imposto dai regimi monetari, che evita obblighi alle Banche centrali e nemmeno le vincola ad impegni di restituzione a favore dei possessori di risparmi, di quote ed obbligazioni.
La moneta legale era in passato un debito verso il cittadino, oggi l’intero Occidente va verso il contrario. In una economia sana, con uno Stato che funzioni, chi è in possesso di moneta legale ha diritto assoluto su una quota corrispondente della ricchezza nazionale. Quest’ultimo particolare a Davos è stato messo in discussione. Perché le Banche centrali di oggi sono di proprietà di soggetti privati, ed i dividendi e la ricchezza di Bce e Federal Reserve non sono ripartiti tra i cittadini, bensì come soli benefici economici per il privato che ha stampato moneta. Quindi il danaro legale delle banche è oggi “capitale” per chi emette, e non più debito verso i cittadini che lavorano e partecipano allo Stato buono. Quindi un debito sociale viene soppresso per ragioni di natura squisitamente aziendali.
MONETA BENE SOCIALE
Da sempre il costo di produzione della moneta rappresenta un reddito netto, altrimenti noto come signoraggio, negli Stati democratici da intendersi come rendita di cui solo lo Stato è autorizzato ad appropriarsene, perché ammette d’aver sempre e comunque un debito sociale verso i cittadini tutti. Oggi, con la vincente visione alla Davos, sono altri soggetti privati ad essere legittimati ad appropriarsi del signoraggio, aumentando il proprio potere d’acquisto, divenendo di fatto padroni delle economie planetarie. Un tempo la moneta legale non poteva nemmeno essere definita come “strumento finanziario”, perché assolveva ad una funzione ben più ampia di quella di favorire l’arricchimento di pochi privati. Con la vittoria del metodo alla Davos (condizionato da borse, mercati, Federal Reserve) la moneta gestita da banchieri come Draghi è assurta a mero strumento finanziario, facendo nascere il bisogno del potere di incrementare gli strumenti di controllo (capitalismo di sorveglianza) sui cittadini, sui lavoratori, su chi cerca di operare economicamente.
I governanti tecnocratici alla Draghi hanno lavorato perché il reddito da signoraggio venisse occultato (dirottato) dal conto economico alle passività dello stato patrimoniale: in pratica i banchieri centrali hanno rafforzato i potenti della terra giustificando il più clamoroso dei falsi in bilancio. Parliamo del “signoraggio primario”, per distinguerlo dal “secondario” che viene conseguito applicando interessi attivi sui prestiti bancari.
Questo chiarimento ci auguriamo serva ai più per comprendere le ragioni della tecnologia annunciata da Vittorio Colao, ovvero il “wallet digitale per tutta Europa”: strumento base di controllo della vita economica di ogni cittadino, quindi utile al capitalismo di sorveglianza. Quest’ultimo ha di fatto preso il posto del signore che governava nell’economia preesistente al “contratto sociale” (meno di trecento anni fa). A Davos hanno archiviato l’ipotesi democratica, la partecipazione dei cittadini, il concetto di Stato che abbiamo costruito dalla Rivoluzione francese a oggi, e reintrodotto una sorta di nobiltà, non più di “sangue e terra” ma di egemonia finanziario-tecnologica. Ne deriva che i nuovi sudditi (i vecchi cittadini) andranno limitati nella proprietà e nelle capacità di detenere (tesaurizzare) danaro. A questo viene incontro la tecnologia, la tracciatura totale del cittadino, il “wallet digitale” di Colao promosso da Draghi e signori di Davos. La domanda che ora dobbiamo porci è se il progetto in Italia sia stato bloccato con la caduta del Governo. Soprattutto se i partiti si dimostreranno un argine all’economia a debito. E le multinazionali cibernetiche, le lobby finanziarie ed i signori di Davos credete che rinunceranno facilmente al progetto? Quest’ultimo è di fatto avversato planetariamente da Vladimir Putin, che come è noto ha mantenuto il rublo vincolato all’oro, entrando in contrasto con i poteri occidentali riuniti a Wall Street. È noto i governi politici occidentali siano oggi allo sbando, perché sanno il popolo vorrebbe tornare alle libertà economiche e non avere vincoli e controlli digitali, di contro ricevono pressioni (minacce) dai potenti della terra (esempio i continui viaggi in Italia di Bill Gates, Elon Musk, George Soros, Klaus Schwab e compari). Chi verrà dopo Draghi, forse, cercherà di lasciarci un tetto e senza bruciarci i risparmi, ma verrà avversato dai mercati, dallo spread, da chi accusa l’economia italiana di essere “poco digitale… poco aperta al futuro virtuale”. L’economia a debito non salverà il pianeta: distruggerà i popoli e fortificherà l’aristocrazia finanziaria.
FONTE: https://www.opinione.it/politica/2022/07/23/ruggiero-capone_draghi-colao-davos-debito-credito-moneta-governo/
Bill Gates and His Foundation Continue to Be at the Center of Everything
Renate Holzeisen, [01/08/2022 06:10]
[Forwarded from The Vigilant Fox ]
He’s Everywhere You Look: “Bill Gates and His Foundation Continue to Be at the Center of Everything”
• He has close ties to Fauci.
• He has close ties to Deborah Birx.
• He has close ties to Robert Redfield.
• He has close ties to the World Economic Forum and Klaus Schwab.
• He has close ties to the World Health Organization.
• He has admitted to making huge, obscene amounts of profit off of these mRNA vaccines.
• Not only was he involved in the planning of Event 201, which foreshadowed all of this, but he funded it.
Dr. Robert Malone: (https://rwmalonemd.substack.com/) “Every corner you turn, there’s Bill Gates looking at you in this whole mess!”
Full Interview: tinyurl.com/Malone-CHD
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GIUSTIZIA E NORME
Attacco di Maddalena a Draghi
Luciano Cantone 23 07 2022
Arriva in queste ore un durissimo attacco del Vice Presidente emerito della Corte Costituzionale, Paolo Maddalena, a Mario Draghi:
“Per quanto riguarda la caduta del governo Draghi è da dire che questo evento è stato pervicacemente voluto da Draghi stesso.
Benché chiamato da tutte le parti, e persino dal Movimento 5 Stelle, a restare al suo posto, egli, con alterigia fuori posto, insulti e una inaccettabile forma di autoritarismo, ha proposto il suo “patto”, e cioè l’attuazione del sua disegno di legge concorrenza, che privatizza e sottrae alla proprietà pubblica demaniale del popolo italiano beni e servizi di rilevantissimo valore economico.”
Mario Draghi ha evidentemente dimenticato di essere italiano e di avere il dovere, sancito dall’art. 54 Cost., “di adempiere le sue funzioni con disciplina e onore”.
Il resto è, purtroppo, visibile a tutti dal suo ultimo discorso al Senato e alla Camera.
Se poi, come prassi di molti giornalisti, vogliamo continuare ad addossare colpe a Conte, prima vorrei ricordare chi e in che momento ha fatto cadere quel Governo che stava facendo tanto per gli italiani.
Poi ne riparliamo.
PANORAMA INTERNAZIONALE
TSMC: il motivo nascosto della visita della Pelosi a Taiwan, cioè evitare l’impensabile
Agosto 8, 2022 posted by Giuseppina Perlasca
Un interessante articolo di Maria Ryan da Consortium News mette in evidenza qualcosa che è passato in secondo piano nella complessa questione del viaggi di Nancy Pelosi a Taiwan. Un aspetto del viaggio della Presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi a Taiwan che è stato ampiamente trascurato è l’incontro con Mark Lui, presidente della Taiwan Semiconductor Manufacturing Corporation (TSMC). Il viaggio di Pelosi ha coinciso con gli sforzi degli Stati Uniti per convincere TSMC – il più grande produttore di chip al mondo, da cui gli Stati Uniti dipendono fortemente – a stabilire una base produttiva negli Stati Uniti e, soprattutto, a smettere di produrre chip avanzati per le aziende cinesi.
Il sostegno degli Stati Uniti a Taiwan si è storicamente basato sull’opposizione di Washington al governo comunista di Pechino e sulla resistenza di Taiwan all’assorbimento da parte della Cina. Negli ultimi anni, però, l’autonomia di Taiwan è diventata un interesse geopolitico vitale per gli Stati Uniti, a causa del dominio dell’isola nel mercato della produzione di semiconduttori.
I semiconduttori, noti anche come chip per computer o semplicemente chip, sono parte integrante di tutti i dispositivi in rete che sono diventati parte integrante della nostra vita. Soprattutto hanno anche applicazioni militari avanzate. L’Internet 5G superveloce e trasformista sta rendendo possibile un mondo di dispositivi connessi di ogni tipo (l’”Internet delle cose” o IoT) e una nuova generazione di armi in rete. In quest’ottica, durante l’amministrazione Trump i funzionari statunitensi hanno iniziato a rendersi conto che le aziende statunitensi di progettazione di semiconduttori, come Intel, dipendevano fortemente dalle catene di fornitura asiatiche per la fabbricazione dei loro prodotti.
In particolare, la posizione di Taiwan nel mondo della produzione di semiconduttori è un po’ come lo status dell’Arabia Saudita nell’OPEC. TSMC detiene una quota di mercato del 53% del mercato globale delle fonderie (fabbriche appaltate per produrre chip progettati in altri Paesi). Altri produttori con sede a Taiwan rivendicano un altro 10% del mercato.
Di conseguenza, secondo il rapporto 100-Day Supply Chain Review dell’amministrazione Biden, “gli Stati Uniti dipendono fortemente da un’unica azienda – TSMC – per la produzione dei loro chip di punta“. Il fatto che solo TSMC e Samsung (Corea del Sud) siano in grado di produrre i semiconduttori più avanzati (di dimensioni pari a cinque nanometri) “mette a rischio la capacità di soddisfare le esigenze attuali e future [degli Stati Uniti] in materia di sicurezza nazionale e infrastrutture critiche”.
Ciò significa che l’obiettivo a lungo termine della Cina di riunificare Taiwan è ora più minaccioso per gli interessi degli Stati Uniti. Nel Comunicato di Shanghai del 1971 e nel Taiwan Relations Act del 1979, gli Stati Uniti hanno riconosciuto che sia la Cina continentale che Taiwan credevano che esistesse “una sola Cina” e che entrambe ne facessero parte. Ma per gli Stati Uniti è impensabile che TSMC possa un giorno trovarsi in un territorio controllato da Pechino.
Per questo motivo, gli Stati Uniti hanno cercato di attirare TSMC negli Stati Uniti per aumentare la capacità di produzione nazionale di chip. Nel 2021, con il sostegno dell’amministrazione Biden, l’azienda ha acquistato un sito in Arizona dove costruire una fabbrica statunitense, il cui completamento è previsto nel 2024.
Il Congresso degli Stati Uniti ha appena approvato il Chips and Science Act, che prevede 52 miliardi di dollari di sovvenzioni per sostenere la produzione di semiconduttori negli Stati Uniti, ma le aziende riceveranno i fondi del Chips Act solo se si impegneranno a non produrre semiconduttori avanzati per le aziende cinesi. Ciò significa che TSMC e altri potrebbero essere costretti a scegliere tra fare affari in Cina e negli Stati Uniti, perché i costi di produzione negli Stati Uniti sono considerati troppo alti senza sovvenzioni governative. Tutto questo fa parte di una più ampia “guerra tecnologica” tra Stati Uniti e Cina, in cui gli Stati Uniti mirano a limitare lo sviluppo tecnologico della Cina e a impedirle di esercitare un ruolo di leadership tecnologica globale.
Nel 2020, l’amministrazione Trump ha imposto pesanti sanzioni al gigante tecnologico cinese Huawei, con l’obiettivo di tagliarlo fuori da TSMC, da cui dipendeva per la produzione di semiconduttori di fascia alta necessari per la sua attività di infrastrutture 5G. Huawei era il principale fornitore mondiale di apparecchiature di rete 5G, ma gli Stati Uniti temevano che le sue origini cinesi rappresentassero un rischio per la sicurezza (anche se questa affermazione è stata messa in discussione). Le sanzioni sono ancora in vigore perché sia i repubblicani che i democratici vogliono impedire ad altri Paesi di utilizzare le apparecchiature 5G di Huawei. In questo c’è una perfetta unità di visione interpartitica.
Il governo britannico aveva inizialmente deciso di utilizzare le apparecchiature Huawei in alcune parti della rete 5G del Regno Unito. Le sanzioni dell’amministrazione Trump hanno costretto Londra a revocare la decisione. Un obiettivo chiave degli Stati Uniti sembra essere quello di porre fine alla dipendenza dalle catene di fornitura in Cina o a Taiwan per le “tecnologie emergenti e fondamentali”, che comprendono i semiconduttori avanzati necessari per i sistemi 5G, ma che in futuro potrebbero includere altre tecnologie avanzate.
Il viaggio della Pelosi a Taiwan non riguardava solo la posizione critica di Taiwan nella “guerra tecnologica”. Ma il dominio della sua azienda più importante ha conferito all’isola una nuova e critica importanza geopolitica, che è simile a quella di un’azienda di produzione. A questo punto Taiwan è una pedina strategica essenziale da difendere nel breve periodo e da, possibilmente, internalizzare nel medio. Stiamo vivendo solo una fase ulteriore della guerra fra USA e nuovi poteri emergenti.
FONTE: https://scenarieconomici.it/tsmc-il-motivo-nascosto-della-visita-della-pelosi-a-taiwan-cioe-evitare-limpensabile/
CENSURA IN #CINA: IL “GRANDE FRATELLO” È REALTA…
Giulio Terzi 24 07 2022
Sono rimasto colpito (ma non stupito…) dal leggere un articolo su una nota rivista di tecnologia che raccontava come una scrittrice cinese si sia vista negare l’accesso al romanzo a cui stava lavorando… *mentre era ancora in bozza* sul suo computer!
Cercando di riaprire il file, infatti, compariva sullo schermo del suo PC un avviso che diceva che il file era stato bloccato (dal Governo, ovviamente, o quanto meno su richiesta del Governo) in quanto conteneva “contenuti sensibili”.
Il testo, da circa un milione di parole, era salvato su un programma di scrittura che funziona sull’i-Cloud (il file quindi è “depositato” in rete, e l’autore si connette online per accedervi).
La scrittrice ha raccontato l’accaduto su forum di letteratura cinese, Lkong, e il suo post è stato poi rilanciato da alcuni influencer di #Weibo, il Twitter cinese, come ha riportato la #MIT Technology Review, rivista del celebre istituto di ricerca #USA.
Inutile dire che la denuncia ha stimolato un’accesa discussione sul *controllo* che il Partito Comunista #Cinese può esercitare per il tramite delle varie compagnie tecnologiche, che alle direttive del governo si asserviscono senza protestare (pena, la perdita della licenza per operare).
La rivista ci riferisce che 1 mese fa circa l’Agenzia che in Cina si occupa di regolare il funzionamento del web ha reso pubblica la bozza di un aggiornamento della direttiva vigente, che obbligherebbe le piattaforma social e le aziende ad applicare “una censura preventiva sui contenuti e i commenti degli utenti ancor prima che vengano pubblicati” (!).
Il che significa verificare ogni documento mentre viene scritto, o tenerli in attesa, in bozza, *prima che possano essere definitivamente pubblicati* online…privacy definitivamente azzerata, in buona sostanza.
Su Weibo, nel mentre, altri scrittori hanno raccontato di esperienze simili: è come se in Cina fosse in corso una gigantesca sperimentazione, finalizzata ad entrare (virtualmente) nelle case degli utenti *per censurare contenuti scomodi al regime*.
La tecnologia, quindi, garantisce a un regime avanzato e autoritario come quello cinese di imporre *forme di controllo* che non hanno nulla da invidiare al *Grande Fratello* del libro 1984 di George Orwell, e che sono anzi ancor più subdole e precise. Per aggirare la censura preventiva digitale gli autori dovranno tornare alla classica macchina per scrivere, si domanda il giornalista…?
La #Cina non è nuova a surreali e distopici tentativi di *controllare la popolazione*. Ad esempio il sistema “Social Credits” (siglato SCS) ha l’obiettivo di “incentivare le buone azioni” (o quelle considerate tali) attraverso l’assegnazione di crediti, e disincentivare quelle cattive togliendo crediti, con una specie di “patente a punti” che viene assegnata ad ogni cittadino cinese. Chi decide quali azioni sono virtuose e quali da censurare? Il governo comunista, ovviamente, che lavora – a suo dire – per raggiungere “un’ideale di armonia, equilibrio e di bellezza”…
Attualmente il SCS è ancora in fase sperimentale, ma l’idea è che possa venire esteso a livello nazionale: a ogni cittadino cinese verrà associato un numero identificativo connesso a un registro personale, da utilizzare per verificare la propria “fedina comportamentale” al momento di comprare un biglietto aereo o sottoscrivere un mutuo: chi sarà “debitore” di punti a causa di comportamenti ritenuti sconvenienti delle autorità (ad esempio protestare per strada contro il governo stesso…) *non potrà fare nessuna delle due cose*…
Il rischio evidente è che l’SCS diventi (l’ennesimo) strumento di censura e controllo di un governo *già sufficientemente autoritario* e poco propenso alla libertà di pensiero: basti pensare al caso di Liu Hu, giornalista che ha denunciato la corruzione del governo e che per questo è stato arrestato, multato ed è ora nella lista nera, non può viaggiare, comprare una casa né sottoscrivere un mutuo.
L’SCS è solo l’ultimo degli strumenti di controllo impiegati dal governo cinese per monitorare il comportamento dei propri cittadini: in taxi, per strada, al supermercato si è sempre osservati dall’occhio delle telecamere (170 milioni in tutto il Paese) che grazie al riconoscimento facciale sono in grado di individuare una persona in appena sette minuti ovunque si trovi.
La propaganda parla di “necessità di sicurezza e di controllo”, la verità è quella di un regime totalitarista che lascia sempre meno spazio ai cittadini, vessati e “addomesticati”, loro malgrado, in nome di un controllo sociale dal vago retrogusto “sovietico”…
Inquietante, non trovate…? DITE LA VOSTRA!
Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale
Chi è Nancy Pelosi
Nancy Pelosi è una figura centrale nell’attuale sistema di potere del Partito Democratico americano e una delle figure più in vista tra i membri della formazione del presidente Joe Biden. Oltre a esser stata, prima dell’ascesa alla vicepresidenza di Kamala Harris nel gennaio 2021, la donna a toccare le cariche più apicali nella politica Usa, unica nella storia americana a guidare da Speaker la Camera dei Rappresentanti (2007-2011 e dal 2019 ad oggi), è anche la figura di origini italoamericane arrivata ai ruoli di maggior prestigio nel sistema istituzionale a stelle e strisce.
L’attuale Speaker della Camera è nata come Nancy D’Alessandro a Baltimora, in Maryland, il 26 marzo 1940. Suo padre, Thomas D’Alessandro Jr. (1903-1987) era nato da genitori italiani emigrati da Montenerodomo, piccolo comune dell’area abruzzese del Sangro in provincia di Chieti. Sua madre, Annunziata Lombardi, era nata nel 1909 a Fornelli, in Molise, ed era arrivata in America coi genitori nel 1912.
La politica è stata una costante nella famiglia D’Alessandro. Thomas si conquistò nella città di residenza una grande fama come broker assicurativo, stimato per la sua onestà e competenza in un periodo storico in cui gravava ancora l’eredità del caos portato a inizio Anni Venti da Charles Ponzi, autore di una delle truffe più celebri della storia, nella vicina Boston. A partire da questa fama, iniziò per lui un importante cursus honorum politico: membro della Camera dei Delegati del Maryland (1926-1933), membro del Consiglio comunale di Baltimora (1933-1938), in seguito deputato a Washington (1938-1947) e, a coronamento della sua carriera, sindaco di Baltimora (1947-1959). Tutto questo all’interno del Partito Democratico che dopo la Grande Depressione dominò la politica americana con Franklin Delano Roosevelt e Henry S. Truman controllando la presidenza dal 1933 al 1953. Thomas d’Alessandro III, fratello maggiore della Pelosi, avrebbe seguito le orme paterne diventando a sua volta sindaco di Baltimora dal 1967 al 1971.
La giovane figlia di una delle famiglie più in vista di Baltimora si è formata tra le high school a Baltimora e il Trinity College di Washington, ove si è laureata in Scienze Politiche e ha conosciuto il futuro marito, Paul Pelosi, di cui ha assunto il cognome dopo essersi sposata nel 1963.
La politica è stata per Nancy Pelosi una professione costante: assistente allo studio del Senatore del Maryland Daniel Brewster subito dopo la laurea, è entrata nei ranghi del partito sostenendo le mosse del padre e del fratello prima di spostarsi, assieme al marito, in California. La scelta fu, col senno di poi, felice per entrambi: Paul Pelosi divenne un investitore esperto in società tecnologiche, detenendo quote in aziende come AT&T e Microsoft, mentre la moglie ebbe la possibilità di costruire una carriera politica di rango nazionale.
La figura che più ha contribuito a lanciare in orbita la carriera di Nancy Pelosi è stata quella di Philip Burton (1926-1983), vero e proprio “guastatore” in un Partito Democratico che andava abbracciando in alcune sue frange posizioni radicali e critiche della tradizionale impostazione del sistema del partito dell’asinello. Dai tempi di Roosevelt, infatti, negli Stati del Sud i Democratici erano tradizionalmente conservatori sui temi civili in cambio del sostegno alle grandi politiche sociali e di welfare. Dai tempi di Lyndon Johnson questo iniziò a cambiare, ma fu soprattutto per l’operato di uomini come Burton che le istanze liberal e più spiccatamente progressiste iniziarono a farsi strada.
Nancy Pelosi si spostò a San Francisco dove Burton aveva il suo feudo elettorale nel seggio più centrale della città alla Camera dei Rappresentanti, detenuto dai democratici dal 1949 tanto da diventare quello controllato da più tempo in tutti gli Usa. Da amica, collaboratrice di ufficio e portavoce di Burton divenne centrale nelle sue battaglie e acquisì la fama di persona di spicco nella Sinistra dem. Alla morte di Burton, per un aneurisma, nel 1983, la moglie Sala gli successe per il controllo del seggio. E quando a sua volta Sala Burton morì, nel 1987, poco dopo la riconferma al Congresso, fu proprio Nancy Pelosi ad esser scelta per concorrere all’elezione speciale per il rinnovo del seggio. La Pelosi lo conquistò, lo confermò alle elezioni del 1988 e in seguito avrebbe vinto le elezioni nel distretto per altre sedici volte tra il 1990 e il 2020 tanto da diventare la deputata da più tempo in carica per la California.
Da deputata, Nancy Pelosi ha promosso una serie di politiche sempre coincidenti con la volontà di promuovere una visione aperta e progressista della società Usa, contribuendo a emergere tra i Democratici come una degli artefici della polarizzazione con il Partito Repubblicano a partire dagli Anni Novanta. Forte sostenitrice del diritto all’aborto, si è sempre scontrata fino alla scelta della Corte Suprema nel 2022 di abolire la Roe vs Wade con ogni proposta restrittiva in tal senso; a favore della legalizzazione dei migranti irregolari, ha anche criticato la guerra in Iraq e si è spesa per anni a favore degli investimenti in rinnovabili.
Più volte membro dello House Intelligence Committee, Pelosi non ha però dimenticato a più riprese di essere donna dell’establishment Usa. Ha, ad esempio, sostenuto in tal senso i programmi di sorveglianza di massa messi in campo dalle amministrazioni Bush ed Obama, pur criticando al contempo le tecniche di interrogatorio utilizzate a Guantanamo. Si è detta a favore della lotta alle disuguaglianze e alle fragilità del sistema sanitario, ma sul fronte economico è anche un’attenta sostenitrice della necessità di conseguire il pareggio di bilancio.
Questa sua capacità di mediare tra istanze personali e logiche di partito le ha, a più riprese, attratto critiche da ogni parte della formazione, ma insieme alla grande conoscenza dei regolamenti parlamentari e alla scelta di non lasciare mai la Camera per il Senato le ha permesso di fare strada. Nel 2001 divenne House Minority Whip, vice del capo dell’opposizione alla Camera Dick Gephardt, da lei sostituito nel 2002. Come Minority Whip e Minority Leader la Pelosi divenne la prima donna della storia Usa a detenere queste cariche, e dopo la vittoria democratica alle midterm del 2006 nel gennaio 2007 fu incoronata come prima Speaker donna della Camera dei Rappresentanti, ottenendo la terza carica per rilevanza nella politica Usa.
Ad oggi, entrambi i mandati da Speaker della Pelosi sono stati divisi tra presidenze repubblicane e presidenze democratiche. Tra il 2007 e il 2011, infatti, Pelosi ha visto l’avvicendamento tra George W. Bush e Barack Obama. Nel 2007 fu decisiva per bloccare l’impeachment al Presidente repubblicano per il caso delle dichiarazioni sulle armi di distruzione di massa in Iraq; negli anni successivi sarebbe invece stata molto favorevole alla riforma sanitaria targata Obama.
La svolta “barricadera” della Pelosi si è però manifestata quando nel 2019 è tornata alla carica di Speaker dopo 8 anni di egemonia repubblicana come donna di lungo corso negli apparati federali Usa diventando la contraltare del presidente Donald Trump, da lei avversato con tutta la forza che ha usato contro il tycoon repubblicano l’establishment liberal-progressista. Nancy Pelosi ha tentato due volte di colpire Trump con l’impeachment, lo ha definito una minaccia per la democrazia dopo i fatti di Capitol Hill, ha cavalcato la narrativa sul Russiagate, ha in ultima istanza contribuito all’ascesa di Biden utilizzando la carica come leva contro l’inquilino della Casa Bianca. A ottant’anni passati, nel 2021 con la nuova amministrazione Nancy Pelosi è giunta all’apice dell’influenza politica. Tanto da diventare una figura attiva anche sul piano internazionale: la controversa visita a Taiwan dell’estate 2022 ne ha segnato per la prima volta il ruolo di figura divisiva anche sul piano internazionale, l’ha vista interprete della rivalità tra Usa e Cina in nome dell’agenda dell’amministrazione. E nulla di diverso ci si poteva aspettare da colei che si può definire con ogni crisma la donna rivelatasi più influente nella storia politica Usa.
FONTE: https://it.insideover.com/schede/politica/chi-e-nancy-pelosi.html
Breve storia dell’Impero americano. Una potenza senza scrupoli. Daniele Ganser
di Marco Pondrelli
Nel bellissimo film che Oliver Stone dedicò alla ricostruzione dell’assassinio Kennedy, c’è una sequenza in cui il procuratore di New Orleans, Jim Garrison, chiede cosa avrebbe pensato il popolo statunitense se l’omicidio del Presidente ad opera di un fanatico, a sua volta ucciso quando si trovava circondato da poliziotti, fosse capitato in Unione Sovietica. Chiunque, allora come oggi, penserebbe ad un colpo di Stato ma la forza della comunicazione è quella di condizionare l’opinione pubblica (o tentare di farlo) ingrandendo alcuni fatti (ad esempio il caso Navalny) ed ignorandone altri (ad esempio Assange).
Il bel libro dello storico Daniele Ganser ci offre la possibilità di guardare alla storia degli Stati Uniti da un’altra prospettiva. Questa storia può essere divisa in due parti, una precedente alla conquista della Frontiera ed una successiva.
Nella prima fase gli originari 13 Stati fondatori si espandono verso ovest, lo fanno acquistando territori smisurati come la Louisiana e l’Alaska, ma sopratutto questa conquista è attuata attraverso il genocidio dei nativi passati da circa 5 milioni a 250.000 [pag. 82] dopo le ‘guerre indiane’. Il cinema hollywoodiano ha (seppur con lodevoli eccezioni) costruito un immaginario collettivo in cui l’indiano è il cattivo che minaccia donne e bambini regolarmente salvati dall’arrivo della cavalleria, la realtà è che l’esperienza statunitense venne apprezzata da Hitler che nel ‘Mein Kampf’ la citò come esempio positivo di conquista del proprio lebensraum.
Assieme al genocidio lo sviluppo degli Stati Uniti fu possibile grazie alla deportazione ed alla schiavitù di 12 milioni di africani [pag. 119]. La guerra civile non rappresentò una vera liberazione per gli afroamericani. Va ricordato, ad onor del vero, che negli anni immediatamente successivi l’ala radicale repubblicana impose, manu militari, un maggiore protagonismo degli ex-schiavi che arrivarono anche a ricoprire importanti cariche pubbliche ma successivamente, anche grazie al terrorismo del ku klux klan, gli Stati del sud instaurarono un sistema di apartheid che non è ancora stato superato.
La chiusura della frontiera alle fine dell’Ottocento coincide con la proiezione imperialistica degli Stati Uniti, non è casuale che Alfred T Mahan, importante teorico dell’espansionismo statunitense, nel 1890 dia alle stampe la sua opera principale ‘l’influenza del potere marittimo sulla storia 1660-1783‘, nel quale si sosteneva la necessità di rafforzare la marina militare per fare degli USA un Impero marittimo. Nel 1898 scoppia la guerra con il declinante Impero spagnolo. Come spiega l’Autore la stampa con alla testa William Hearst (alla cui figurò Orson Welles ispirò ‘quarto potere’) iniziò una grande propaganda anti-spagnola che portò ad accusare l’Impero europeo di essere il responsabile dell’affondamento del Maine (una corazzata della marina USA che si trovava nel porto dell’Avana), questo fu il pretesto che diede il via alla guerra. La guerra presentata come la liberazione del popolo cubano in realtà fu una guerra di aggressione, per i cubani la libertà sarebbe arrivata solo nel 1959. La stessa guerra portò all’occupazione delle Filippine con prezzi enormi pagati dai civili, Ganser ripota un cronaca del 1901 nella quale si afferma che gli statunitensi ‘hanno ucciso uomini, donne, bambini, prigionieri, agitatori in attività e semplici sospetti, dai dieci anni in su. L’idea di fonda era che i filippini fossero poco più che dei cani’ [pag. 151]. L’Autore sostiene che come per gli indiani queste stragi furono possibili perché le vittime non erano considerate parte ‘della grande famiglia umana’, è un concetto molto simile a quello espresso da Domenico Losurdo che nel suo ‘Controstoria del liberalismo‘, nel quale parlava della de-umanizzazione dei popoli coloniali. Losurdo introdusse il concetto di Herrenvolk Democracy sostenendo che dentro i confini della civiltà occidentale vigono delle regole che non contano per gli untermensch, così si spiega la lucidità criminale della guerra nazista in Unione Sovietica, dell’invasione giapponese della Cina ed in generale di tutto il colonialismo occidentale, anche italiano.
La seconda parte della storia degli Stati Uniti può essere letta solo alla luce della categoria, mai tramontata, di imperialismo, l’impegno nelle guerre a partire dai due conflitti mondiali fu sempre guidato dalla difesa dei propri interessi. Oggi c’è chi vorrebbe fare passare l’idea (a partire dall’Europarlamento) che sono stati gli USA a sconfiggere la Germania nazista, disconoscendo ed occultando il ruolo sovietico. È vero che Washington dopo il 1941 sostenne l’Unione Sovietica aggredita ma allo stesso tempo ‘la società petrolifera americana Standard Oil […] continuò a rifornire la Germania’ [pag. 224]. Questo modo di operare, dividi et impera, torna quando l’Autore alla fine del libro affronta il tema euroasiatico, gli USA sono interessati a dividere il mondo impedendo che nasca uno Stato egemone, quindi nella Seconda Guerra Mondiale, se da una parte di sostenne l’URSS dall’altra le si impedì di vincere da sola. Il secondo fronte in Europa, promesso del 1942, venne aperto nel ’44 solo quando era chiaro che l’Armata Rossa sarebbe facilmente arrivata non solo a Berlino ma anche a Parigi!
Gli Usa dal secondo dopoguerra sono stati il Paese che ha combattuto il maggior numero di guerre, non è casuale che in un sondaggio Gallup del 2013 fatto sulla popolazione di tutto il mondo gli Stati Uniti siano visti dalla maggioranza degli intervistati (24%) come ‘il maggior pericolo per la pace nel mondo’ [pag. 31]. L’informazione del nostro Paese sicuramente classificherebbe questo risultato come le conseguenze della propaganda anti-americana. Sarebbe interessante sapere dov’è questa propaganda anti-americana, a titolo d’esempio cosa sarebbe successo su Assange fosse in galere per volontà del governo cinese o di quello russo dopo avere denunciato i loro crimini? Non credo che in quel caso i vari Aldo Grasso o Michele Serra si preoccuperebbero delle password craccate…
Il bel libro di Ganser non si limita all’analisi della politica estera degli USA ma ne analizza anche le condizioni interne. Oggi questo paese è quello che il maggior numero di carcerati (2 milioni) e con 100 milioni di poveri [pag. 66] allo stesso tempo c’è un gruppo di circa 300.000 super ricchi che è l’oligarchia che governa il Paese. Come dice Noam Chomsky ‘la diseguaglianza ha raggiunto livelli senza precedenti […] la politica economica e sociale degli USA è consistita per decenni nel procurare vantaggi ai ricchi’ [pag. 61]. Per commentare la situazione attuale sono molto appropriate le parole di Luois Brandes giudice della Corte Suprema dal 1916 al 1939: ‘in questo paese possiamo avere una democrazia o una grande ricchezza, concentrata nelle mani di pochi, ma non l’una e l’altra insieme’ [pag. 74].
Il modello a cui si ispira l’Italia è questo, gli Stati Uniti non sono più il Paese dell’american dream (il sogno americano) ma dell’american nightmare (dell’incubo americano), ma il futuro al quale mirare non deve essere fatto di guerra e povertà!
La conclusione del libro lascia spazio all’ottimismo, affrontando la questione euroasiatica l’Autore decifra la politica statunitense come il tentativo di evitare l’emergere di uno Stato egemone ma allo stesso tempo egli vede nella crescita cinese e nello sviluppo della via della seta un possibile cambiamento, per dirla con lo storico inglese Peter Frankopan citato in chiusura del libro, ‘l’era dell’Occidente che costruisce il mondo a sua immagine è ormai passata’ [pag. 457]. Non condivido il passaggio che l’Autore fa sul Tibet definendolo uno stato indipendente invaso dalla Cina, ma nonostante questo l’analisi della Cina come di uno Stato pacifico che si è risollevando dal secolo delle umiliazione è giusta ed proprio nel socialismo cinese che oggi come non mai è giusto riporre le proprie speranze.
FONTE: https://www.marx21.it/cultura/breve-storia-dellimpero-americano-una-potenza-senza-scrupoli-daniele-ganser/
Scandalo Berlinese: la direttrice della TV regionale si dimette per malversazione, rivelando un preoccupante intreccio di poteri con le forze dell’ordine
Agosto 9, 2022 posted by Giuseppina Perlasca
In Germania sono molto attenti alla malversazione, cioè all’uso di fondi pubblici per usi personali. La direttrice della RBB, la radio televisione pubblica del lander di Berlino, parte della ARD, la TV pubblica, Patricia Schlesinger, è stata costretta alle dimissioni dopo che si è scoperto essersi fatta rimborsare una cena personale per 1154 euro, pagati ad un servizio di catering in occasione: la direttrice, messa sotto pressione, ha dovuto ammettere di essersi fatta rimborsare dei soldi che aveva speso non per finalità istituzionali, ma per inaugurare il proprio nuovo appartamento.
La situazione ha però indirettamente rivelato un intreccio di poteri che vi farà capire molto del perché in Germania sembra che tutto vada sempre bene: ospiti della signora Schlesinger e marito erano alcuni ospiti importantissimi, quali il capo della polizia di Berlino e il direttore del grande ospedale – istituto sanitario della Charité. In una cena privata si sono trovati i vertici di alcuni poteri potentissimi nella capitale tedesca. Ufficialmente queste persone hanno amicizie per motivi non professionali con la signora Schlesinger, ma molti si sono chiesti se poi sarebbe stato possibile vedere un’inchiesta della TV pubblica sui comportamenti della polizia. Allo stesso modo ci si spiega anche come mai ci siano state ben poche inchieste sul comportamento della sanità tedesca durante il covid: come fai a far indagare una dei tuoi più cari amici? La berliner Zeitung cita anzi un caso specifico che coinvolgeva tutte e tre le parti: le indagini per le frequenti malattie professionali dei poliziotti, costretti ad allenarsi frequentemente in poligoni di tiro fatiscenti e senza aspirazione del gas delle armi da fuoco, indagini condotte dalla Charité, e che condussero a nulla, venendo poco riportare dalla TV pubblica.
In Italia si parlerebbe di cosca o di loggia massonica, in Germania sono cene fra amici che solo casualmente sono venute alla luce, ma alla fine si tratta sempre di intrecci di potere occulti.
POLITICA
Elezioni Politiche anticipate del 25 settembre
Interventi al convegno del 29 luglio
Interventi al Convegno ISPG del 29 luglio dedicato alle prossime Elezioni Politiche del 25 settembre 2022
Viste le numerose richieste si pubblica l’Audio integrale del Convegno ISPG del 29 luglio 2022 con il materiale “work in progress” della Relazione di Daniele V. Comero. Le slide presentate al convegno sono da considerare degli appunti ideati dal relatore per comunicare al meglio i tanti aspetti tecnici che sono connessi all’ordinamento elettorale in Italia; sono quindi necessariamente incomplete per la rapidità della successione degli eventi (mancano note, didascalie e fonti dove non sono chiaramente indicate).
Il link alla registrazione audio è qui (dal minuto 46 la relazione qui presentata), con cui è possibile accompagnare le seguenti immagini:
Esempio di due Schede elettorali – Camera e Senato – delle elezioni del 4 marzo 2018.
Subito dopo è riportata la tabella dei risultati elettorali della prima applicazione del Rosatellum
Sono riportati anche i rendimenti effettivi in seggi con i risultati ottenuti dai partiti alla Camera e al Senato.
Nella tavola sopra riportata le schema delle esenzioni firme per la presentazione delle candidature per le Elezioni Politiche 2022. Segue tavola sui Collegi Uninominali e plurinominali:
FONTE: https://www.istitutostudipolitici.it/2022/08/02/note-sulle-elezioni-politiche-anticipate-del-25-settembre/
La digitalizzazione? Non è sinonimo di democrazia
“Internet dà l’impressione al popolo di avere una voce, ma in molti Paesi il potere rimane saldamente nelle mani dell’élite”, ha scritto Gillian Tett sul Financial Times. Vero, la trasformazione digitale può anche cambiare i rapporti tra elettore e potere politico costituito ma non necessariamente migliora la partecipazione politica e l’informazione dei cittadini
di Fabio Sdogati
Pochi lo ricordano, ma Gillian Tett è l’autrice di L’oro dei fessi (Fool’s Gold, traduzione mia), uno dei primissimi libri sulla crisi del credito emersa nel 2007. L’aveva intitolato così forse per dire già nel titolo che non di mutui subprime si sarebbe dovuto parlare, ma di ‘ingegnerie finanziarie’. Osservazione arguta, forse dovuta al fatto che Tett non è un’economista, ma un’antropologa. Il che le consente, evidentemente, anche di spaziare con successo da un campo all’altro delle discipline sociali. E oggi invita a riflettere sul rapporto tra digitalizzazione e democrazia. Tema spinosissimo, da discutere con grande prudenza.
Si può cominciare a parlarne con lucidità riconoscendo dapprima che la diffusione del digitale consente adalcuni individui, tanti o pochi non so, di esercitare maggior potere su parti importanti della propria vita: la app che ti porta sul telefono la comparazione tra le offerte dei supermercati della tua città è una gran cosa… peccato che quelle comparazioni interessino prevalentemente se non esclusivamente a chi un’app non sa che cosa sia.
È bello e utile sapere quanto disti dalla tua fermata l’autobus che stai aspettando, così che tu non debba aspettare al freddo troppo a lungo, salvo il fatto che quelli che non sanno che cosa sia un’app il freddo continuano a prenderselo. È bello e utile che tu possa acquisire dalla rete i risultati di esami medici sostenuti dalla tua vecchia madre, a condizione che si capisca che è il ‘tu’ che intermedi che fa la differenza, poichè alla vecchia madre la rete non è accessibile.
È bello e utile poter acquistare il tuo biglietto ferroviario da casa (ovviamente, diciamolo per favore, questo è anche il modo per scaricare su di me il costo della gestione della biglietteria); è bello e utile poter chiamare un taxi… e avanti così.
Quel che voglio dire è che se per caso qualcuno confondesse ‘democrazia’ con ‘uniformità di accesso’ o, peggio ancora, con ‘uniformità di opportunità di accesso’, si ravveda: sono cose diverse. Una Rolls Royce non è uno strumento di democrazia solo perché chiunque abbia i soldi per comprarsela può comprarsela indipendentemente da sesso, razza, credo politico, eccetera. Insomma, i miracoli sono un’altra cosa, la rete ha dei costi e dei benefici, e costi e benefici non sono distribuiti uniformemente. Ergo, nessuna garanzia che la rete avvicini, che ci renda omogenei dal punto di vista dell’accesso alle opportunità o, un poco più pomposamente, da quello dei diritti di cittadinanza. Tutt’altro, sospetto io.
Il problema posto da Tett sorge di fronte al quesito se la digitalizzazione sia o meno uno strumento di democrazia politica. Come al solito, sarà bene sgomberare anzitutto il campo da discorsi a vanvera. Per esempio, ricordo un tempo in cui mi si voleva dar da intendere che Twitter è uno strumento di democrazia politica perché attraverso di esso i manifestanti antigovernativi di Hong Kong e quelli di Ankara potevano essere convocati in maniera rapida ed efficiente (che i relativi governi fossero o meno degni di contestazione è cosa del tutto irrilevante in questo contesto).
Meno irrilevante è la considerazione secondo cui la diffusione dei dispositivi portatili, quella dei pc e simili, consente un grado di informazione sulle vicende politiche mai raggiunto prima e, dunque, l’espressione di un voto ‘informato e responsabile’. Ma questa secondo me è una proposizione indimostrabile. Se il problema è avere cittadini informati a dovere prima che esercitino il proprio diritto di voto, come s i fa a dire che i telespettatori degli anni ottanta erano ‘meno informati’ del cittadino digitale di oggi? Meno nutriti, voglio dire, di informazioni rilevanti al fine della espressione del voto, non del ciarpame quotidiano noto come ‘le notizie’?
Lo erano perché non potevano ascoltare 44 telegiornali al giorno, a casa, in auto, sull’autobus, al bar? Una cosa è l’offerta, un’altra è la domanda, e l’equilibrio che ne risulta una terza ancora. Il mezzo digitale consente di canalizzare velocemente e in maniera diffusa abbondante informazione. Ma che importanza ha il fatto che l’informazione venga diffusa ad altissima frequenza, quando si vota ogni tot anni? E poi, dal lato della domanda, non è forse vero che il consumatore di informazione è molto, molto selettivo, e vuol sentire prevalentemente (se non solo!) le cose che vuol sentirsi dire? In breve, non scegliamo noi chi seguire su Twitter? Che l’offerta sia smisurata rispetto alla mia domanda non fa di me un elettore migliore. O no?
Tett cita un interessante passaggio da un rapporto presentato dal gruppo di relazioni pubbliche Edelman al World Economic Forum:
“Il tasso di approvazione dell’operato dei politici sta cadendo, e i partiti politici in essere in Europa dovranno fare i conti con il declino nel numero dei loro membri e riconsiderare i modi in cui si rapportano all’elettorato”.
Essendo il pezzo citato parte di un rapporto preparato da una ditta di relazioni pubbliche, l’enfasi non poteva che essere sui rapporti e sulle comunicazioni. E se invece ci fosse un problema di rappresentatività sui contenuti? Voglio dire: e se la distanza tra élite politica ed elettorato/cittadinanza avesse a vedere con gli interessi che l’élite rappresenta, e non con la diffusione o meno del mezzo digitale, certamente uno dei ‘modi in cui [i partiti esistenti] si rapportano all’elettorato?
FONTE: https://www.economyup.it/blog/digializzazione-e-democrazia/
LETTERA APERTA ALL’ON. GIORGIA MELONI
Augusto Sinagra 23 07 2022
Egregia Signora, non essendo né un supponente né un saccente, mi lasci dire che mai avrei pensato di darle la confidenza di rivolgerle pubblicamente alcune considerazioni riguardanti il suo ruolo.
Parto dall’ultima notizia: lei sta facendo cancellare dai social tutte le sue esternazioni a favore dei sieri genici che hanno provocato sofferenze e morte. Di questo lei era ed è consapevole. Così pure sono scomparsi i suoi post di sostegno all’infame green pass.
Ovviamente, lei ha dato queste disposizioni in vista delle prossime consultazioni politiche per poter continuare a gabellare gli elettori e acquisire voti. Già questo dà la misura della sua consistenza etica e politica. Ma è da tempo che lei fa politica con l’inganno.
Lei è la stessa persona che è corsa ad inserirsi nell’Aspen Institute che è la fogna del peggiore globalismo e della peggiore finanza internazionale speculativa. Non ha esitato ad assumere la presidenza, nel Parlamento europeo, del Partito dei Conservatori.
Ogni suo atteggiamento, condotta, azione politica, posizionamento partitico è stato sempre funzionale ai suoi personali interessi anche a livello familiare, facendo eleggere Deputato pure suo cognato.
Io la conosco da tempo e lei lo sa, e mi ricordo le sue dichiarazioni di fedeltà alle idee fasciste, i suoi sgambettanti saluti romani, i suoi scimmiottamenti di quella che possiamo definire la liturgia fascista. Questo ai tempi del Fronte della Gioventù.
Si possono conservare le idee anche partecipando ad altre formazioni partitiche non rappresentative di quelle idee ma lei ha fatto di più e ha superato ogni misura pur di acquisire consensi e appoggi per la sua carriera politica perché, egregia Signora Meloni, è così che lei intende la politica e cioè come strumento attraverso il quale fare “carriera”.
Lei oggi aspira legittimamente, come chiunque altro, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ma se dovesse conseguire anche questo risultato di “carriera”, questo avverrà all’esito di un lungo percorso lastricato di opportunismo, contraddittorietà, tradimenti politici e ideali.
E anche abiure: lei è la stessa persona che dichiarò pubblicamente di non volere fascisti nel suo Partito. Ne sia assolutamente sicura: i fascisti veri se ne tengono alla larga perché sono ben consapevoli che il pericolo viene da destra e il nemico è la borghesia parassitaria. E lei interpreta perfettamente la peggiore destra e la peggiore borghesia.
Sono consapevole che accreditandola ora come una antifascista, contribuisco alla sua “carriera” politica. Non mi aspetto un ringraziamento, ma dovrebbe farlo sempre per il suo innato senso dell’opportunismo.
Lei è la stessa persona che votò la fiducia al governo Monti, che votò l’infame legge Fornero, il pareggio di bilancio inserito addirittura nel testo costituzionale. Non votò il “fiscal compact” solo perché, come lei ebbe a dire, quel giorno non era in Parlamento. Forse attendeva ad altri impegni per lei più convenienti.
Poi abbiamo avuto la pantomima della finta opposizione al governo di Mario Draghi che ha tormentato il Popolo italiano anche per merito suo e del suo Partito che abusivamente porta il nome creato da Goffredo Mameli.
Lei si dichiara “atlantista”, sostenitrice fedele della NATO e favorevole all’invio di armi e Soldati italiani in Ucraina. Capisco che per la sua “carriera” ha bisogno dell’appoggio del deep State USA che ha insanguinato e insanguina il mondo ma, accecata dalle sue ambizioni, ha perso il senso dell’etica politica e della cura degli interessi nazionali.
La strada che lei percorre è anche intrisa di sangue.
Lei è tra i personaggi politici che più si sono impegnati negli ultimi due anni e mezzo, attraverso lo strumento della asserita epidemia, a devastare non solo l’economia e la politica intesa in senso alto, ma soprattutto a devastare le coscienze dei cittadini.
Non ho e non ho mai coltivato aspirazioni elettorali ed è con riguardo a questo mio personale posizionamento apparentemente solitario (ma non è così perché di Camerati veri e di Cittadini onesti ce ne sono molti di più di quanto lei immagini) e questo mi dà “titolo” per marcare, per mia fortuna, le differenze fra me e lei.
Io ho sempre vissuto del mio lavoro, come molti altri. Lei non può dire lo stesso perché lei non ha mai lavorato e non conosce la fatica e la gioia del lavoro.
Io non ho mai tradito le mie idee, lei lo ha fatto già da tempo e continua a farlo.
Mediti sulle parole dell’Autore dei “Canti pisani”: “Se uno non è capace di sostenere le proprie idee, o non valgono niente le idee o non vale niente lui”.
Lei ovviamente non avrà il mio voto ma stia pur tranquilla che da tanti e tanti altri non avrà sostegno elettorale poiché tra le tante altre cose ce n’è una in particolare che lei e i suoi palafrenieri non avete capito: gli Italiani non sono stupidi.
In chiusura di una lettera, dovrei rivolgerle i saluti ma non lo faccio. Non sono un ipocrita.
SCIENZE TECNOLOGIE
Metaverso, i rischi per la cybersecurity e come difendersi
Gartner stima che entro il 2026 il 25% delle persone trascorrerà almeno un’ora al giorno nel Metaverso. Quali minacce per la cybersecurity incombono su individui e aziende? Ecco le principali e come affrontarle
01 Ago 2022
Metaverso e cybersecurity, quali sono i rischi? Dagli attacchi “human jostick” al “chaperone”, fino ai furti di criptovaluta, sono diversi i pericoli del Metaverso da non sottovalutare. Essendo un campo ancora in corso di definizione, perciò non regolamentato, il Metaverso pone inevitabilmente problemi di privacy e di sicurezza informatica. Il volume dei dati personali scambiati, infatti, è notevolmente superiore a quello correlato alle attività della vita reale. D’altra parte, il Ceo di Facebook, Mark Zuckerberg, lo aveva detto subito presentando il “nuovo Facebook”: “Nello sviluppo del Metaverso bisognerà costruire sicurezza e privacy”.
Una grande sfida per gli esperti di cybersicurezza, chiamati a concentrare i loro sforzi sull’identità digitale, che non ha che fare soltanto con l’identità online, ma racchiude anche quella offline e comprende tutti i nostri dati sensibili, metodi di pagamento inclusi. Proteggere queste informazioni appare quindi di importanza vitale per lo sviluppo e la sopravvivenza stessa del Metaverso.
Metaverso e cybersecurity, i rischi per gli utenti
Entro il 2026 il 25% delle persone trascorrerà almeno un’ora al giorno nel Metaverso, per lavoro, shopping, istruzione, sociale o intrattenimento. Lo prevede Gartner, che definisce il Metaverso come uno spazio condiviso virtuale collettivo, creato dalla convergenza di realtà fisica e digitale virtualmente migliorata. Nessun singolo fornitore sarà proprietario del Metaverso, quindi Gartner si aspetta un’economia virtuale abilitata da valute digitali e token non soggetti a sanzioni (NFT), che avrà un impatto su ogni azienda con cui i consumatori interagiscono ogni giorno.
- Attacco human joystick: nel Metaverso è possibile controllare la posizione degli utenti e spostarli nello spazio fisico senza che questi se ne rendano conto. Gli obiettivi sono molteplici: inganno, violenza ed estorsione sono solo alcuni.
- Attacco chaperone: questa metodologia comporta la modifica dei confini dell’ambiente virtuale di un utente e potrebbe essere usata per danneggiarlo fisicamente, ad esempio, facendolo cadere da una vera rampa di scale o facendogli valicare confini pericolosi nel mondo offline.
- Furto di informazioni: gli utenti possono inconsapevolmente condividere i propri dati sensibili con un hacker, sentendosi al sicuro in un luogo inesplorato e apparentemente privo di rischi, mettendo in pericolo i loro asset nella vita reale.
- Impersonation: un hacker può sfruttare le informazioni pubbliche reperibili online per impersonare terze parti e ottenere informazioni personali da parte degli utenti, traendoli in inganno.
- Furto di identità: gli utenti possono incorrere nel furto del loro avatar e il cybercriminale potrebbe essere riconosciuto come il suo vero proprietario e, in quanto tale, libero di compiere ogni tipo di azione dannosa.
- Furti di criptovalute: il Metaverso è collegato al mondo delle criptovalute e degli NFT, questo lo rende preda di hacker pronti a impossessarsi dei wallet e delle chiavi di accesso dei cittadini del Metaverso.
- Attacchi mirati di varia natura: essendo le tecnologie ancora pionieristiche, non si conoscono tutti i rischi tecnologici e le falle di cui questi sistemi possono soffrire. Nelle comunità di esperti informatici si teme la nascita di forme inedite di attacchi cibernetici.
Metaverso e sicurezza, i rischi per le aziende
Ottocento miliardi di dollari: questo è il valore di mercato totale del Metaverso stimato per il 2024.
Il Metaverso promette di offrire opportunità in quasi tutte le aree di mercato: dai negozi di abbigliamento alle agenzie immobiliari, fino alle gallerie d’arte. La sola spesa pubblicitaria in-game dovrebbe raggiungere quota 18,41 miliardi di dollari entro il 2027. Secondo le stime di PWC su realtà virtuale e realtà aumentata, queste tecnologie potrebbero avere un impatto su 23 milioni di posti di lavoro entro il 2030. Previsioni incoraggianti, che tuttavia non devono far abbassare la guardia sui rischi. Ci affidiamo ancora alla ricerca di Ermes – Intelligent Web Protection che ha individuato le principali aree di rischio per le aziende:
– FOMO (fear of missing out): molte aziende potrebbero sentirsi in dovere di presenziare nel Metaverso, per evitare di essere tagliate fuori dalla “next big thing”: quindi potrebbero prendere decisioni avventate senza conoscere adeguatamente il medium e finire così nelle mani sbagliate. Sono già molte, infatti, le offerte di vendite di pubblicità o di presenza sospette nel Metaverso rivolte alle imprese.
– Compromissione dell’integrità: un’azienda può esporre i propri dati sul Metaverso senza considerare che andrebbero trattati allo stesso modo di qualunque esposizione pubblica online, e cioè con la massima cura e tenendo sempre a mente il rischio di un possibile furto di dati.
– Violazione del copyright: chi possiede veramente i contenuti del Metaverso? Le aziende devono prevenire eventuali violazioni e decidere fino a che punto sarà permissivo il loro diritto d’autore.
“Non esistono, al momento, difese se non l’education e le best practice personali”, commenta i risultati della ricerca Lorenzo Asuni, Chief Marketing Officer di Ermes – Intelligent Web Protection.
Metaverso e sicurezza: quali difese adottare
Nel corso dell’evento online tenutosi il 23 febbraio 2022, “Meta Inside the Lab: costruire il Metaverso con l’AI”, stati svelati i dettagli sulla strategia che Meta sta perseguendo per la realizzazione del Metaverso. Jacqueline Pan, Program Manager in Meta AI, ha presentato la nuova area Responsible AI, composta da un team di esperti in diverse discipline e basata su cinque pilastri, il primo dei quali è: Privacy & Security. L’obiettivo è far in modo che l’AI sia usata in maniera responsabile nelle varie aree di business del Gruppo, verificando che qualsiasi prodotto/servizio implementato in Meta (Metaverso incluso) porti beneficio alle persone e alla società.
Sappiamo bene come non esista un sistema in grado di garantire la sicurezza al 100%, e ciò vale anche per il Metaverso. Tuttavia, se si vuole intraprendere in questa realtà tridimensionale, che promette di rivoluzionare anche l’eCommerce, è bene assicurarsi l’affidabilità della piattaforma tecnologica. Molte aziende, ad esempio, si stanno già servendo del cloud come infrastruttura principale e hanno una forza lavoro distribuita: spostare gli uffici nella realtà virtuale sarebbe quindi un passo logico. Le aziende le cui operazioni coinvolgono la gestione di dati personali o informazioni classificate potrebbero voler continuare a fare affidamento su soluzioni on-premise e non esporre le identità dei loro dipendenti su una blockchain. Se il Metaverso dovesse diventare realmente un nuovo paradigma (cosa ancora da venire), la mitigazione delle cyber minacce avrà le stesse basi attuali: proteggere gli account usando password manager e autenticazione a due fattori (2FA), usare una soluzione di cyber security affidabile per prevenire malware e attacchi di phishing e tenersi sempre aggiornati sulle migliori pratiche di cyber security. Se si utilizzano le criptovalute, poi, è consigliabile investire in un portafoglio hardware e seguire consigli di cyber sicurezza su come mantenerle al sicuro.
STORIA
Albione
al-bió-ne
SIGNIFICATO Gran Bretagna, o Regno Unito, o Inghilterra, o Isole Britanniche
ETIMOLOGIA dal latino Albion, nome della Gran Bretagna.
«Venerdì sarà di ritorno in Sicilia dalla nebbiosa Albione.»
Per considerare questa parola dobbiamo passare da una domanda: per quale motivo, per indicare la Gran Bretagna in contesti abbastanza elevati, si dice ‘Albione’? Di solito non sentiamo l’urgenza di pescare nomi celtici, germanici o latini per indicare posti che hanno i loro bei nomi moderni, noti e funzionali. C’è qualcosa di speciale negli equilibri di questo nome o no?
Partiamo dal semplice rilievo generale che i nomi alternativi dei posti piacciono.
A volte le alternative piacciono semplicemente perché sono un vezzo, una preziosità, un piccolo sfoggio d’insolito — come quando diciamo Paese del Sol levante invece di ‘Giappone’. Questo loro essere meno scontati, volendo, risponde a una funzione: richiede una piccola decodifica del testo a chi lo legge, e questa richiesta crea complicità fra chi legge e chi scrive. Poi ovviamente piacciono anche perché permettono di evitare le ripetizioni, una bizzarra impellenza che a una duplicazione rende preferibile qualunque alternativa stramba (il capoluogo meneghino per ‘Milano’, la città orobica per ‘Bergamo’ e via dicendo).
In questo panorama, il nome di Albione (accompagnato dall’aggettivo ‘albionico’) si stacca in maniera particolare.
Ha un’origine antica: si trova usato da geografi greci secoli prima di Cristo, e in latino troviamo il nome Albion. Forse ha un’origine celtica, dopotutto il popolo dei Britanni era celtico, ma era percepito (e forse è davvero) legato ad albus, bianco, magari in riferimento alle scogliere bianche del sud-est, il punto più vicino al continente. Ma sono ricostruzioni complesse da saggiare. Ad ogni modo, durante la tarda antichità e il primo medioevo si assesta specificamente a indicare proprio l’isola della Gran Bretagna. A differenza di altri nomi del suo genere, non è episodico e non ha un’aria fatua: appartiene a un registro evidentemente elevato, con una vocazione letteraria e ironica sviluppata e strutturata nei secoli — anche grazie a un’espressione maliziosa di grande e longeva risonanza europea.
Sembra che in francese si inizi a parlare di ‘perfida Albione’ (la perfide Albion) già nel Cinquecento, forse addirittura prima, ma è dalla fine del Settecento e con Napoleone che la popolarità di questa dicitura esplode nel continente — e arriva fino a noi oggi, passando in particolare per il volano della retorica fascista, che l’amava molto. Oggi si continua a parlare di ‘perfida Albione’ nei casi in cui si voglia esprimere un sentimento antibritannico in maniera paludata (sentimento che gira sempre, e che continua a valere il solito tanto al chilo), ma anche quando lo si voglia disinnescare con ironia. Così il prozio ristoratore, commentando la notizia scandalistica del tabloid sul cibo italiano, si lancerà in una tirata contro la perfida Albione, ma noteremo come le torme vacanziere della perfida Albione gli piacciano molto. Ad ogni modo, è un’espressione che ha contribuito a conservare fresco il nome di Albione.
Oltre al fascino comune del preziosismo, ‘Albione’ ha anche un altro vantaggio piccolo ma assolutamente unico. La Francia è la Francia, la Germania è la Germania, ma quella cosa là oltre la Manica come si chiama? Abbiamo il vezzo di chiamarla Inghilterra, anche se l’Inghilterra è solo una porzione del Regno (un po’ come l’Olanda è una porzione dei Paesi Bassi), e guai a dirlo con gente di Galles, Scozia e Irlanda in giro. (Comprensibile, proviamo ad andare a Trieste e dire che sono friulani invece che giuliani…)
Potremmo chiamarla Gran Bretagna, ma questa sarebbe tecnicamente solo l’isola più grande dell’arcipelago. Le Isole Britanniche al contrario comprendono anche tutta l’Irlanda, troppa grazia. Dovremmo dire ‘Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord’, ma non scherziamo, è troppo lungo, basta ‘Regno Unito’ per indicare lo Stato — ma è un nome dall’aura un po’ fiscale, oltre che tanto generico, composto di due termini ordinari e poco distintivi: può non soddisfare. In questo caos onomastico, Albione arriva col suo bel piglio letterario e ci toglie le castagne dal fuoco senza un pensiero in più: «Temperature da record in Ingh… In Gran… nella Terra d’Albione».
Ma oggi Albione indica l’isola maggiore dell’arcipelago? Comprende i confini completi del regno, inclusa Gibilterra, Sant’Elena e tutti i territori d’Oltremare? Si stringe sull’Inghilterra? O sfuma un minestrone senza pretese, conscio che comunque si sa grossomodo di che parte di mondo parla? È una parola letteraria, aristocratica: non lo sa, non gliene importa né lo dà a vedere. Le basta l’eleganza.
Parola pubblicata il 09 Agosto 2022
FONTE: https://unaparolaalgiorno.it/significato/albione
L’IMPRESA FIUMANA
Emanuele Campilongoi – 3 08 2022
Ho avuto modo nella mia vita di leggere diversi libri riguardanti Fiume, D’Annunzio e i suoi legionari. Sia scritti da storici che da politologi, e soprattutto da coloro che a quell’impresa hanno partecipato attivamente. Di certo, L’impresa fiumana di Host-Venturi edito da Aspis rappresenta uno dei libri più ben fatti del genere. Questo non dipende solo dalla qualità dello scritto dell’autore ma dalla sapienza e direi quasi della delicatezza, con cui sia il curatore che l’editore hanno voluto approcciarsi all’argomento. Infatti, ancora oggi quando si parla (raramente) dell’impresa fiumana e di tutto quello che ha rappresentato – e può rappresentare tutt’ora – lo si fa facendo “carne di porco”. L’attività più in voga è quella di chi vuole maneggiare, falsificare, inquinare solo e soltanto perché la verità non si sappia. Ancora oggi Fiume e l’eroismo di migliaia di italiani e non solo fa paura. Anzi, terrore. Host-Venturi non ha scritto un libro apologetico, non ha omesso le indecisioni e le problematiche ma ha voluto concedere ai posteri la possibilità di comprendere lo stato d’animo di chi ha voluto fare la Storia. “D’Annunzio ancora oggi viene respinto da una specie di congiura, che mira a sottolinearne meschinità e decadenza. Sicchè D’Annunzio dovrebbe essere tolto dall’albo degli artefici della nostra storia e dal pensiero nazionale, da tutto quel periodo di rigenerazione degli italiani che oggi tanto ci si adopera a sommergere.” Volete qualche prova di ciò? Andatevi a vedere a cosa é stato ridotto il Vittoriale degli Italiani e poi se ne avete voglia (e se vi passa la nausea) ne riparliamo. Sentite questa: “Quando un giorno un usciere andava in cerca dei deputati per indurli e rientrare nel recinto trovò D’Annunzio nella biblioteca e lo pregò a nome del Presidente della Camera di rientrare in aula perché “manca il numero legale”. La risposta fu:” Dite al Presidente che io non sono un numero!”. Tutto chiaro? Ecco perché di Fiume e di D’Annunzio non si può ancora parlare nonostante siano passati cento anni. Perché farlo vorrebbe dire ammettere che abbiamo subito una involuzione, quella tipologia di uomini è sempre più rara e gli esempi ora più che mai sono pericolosi. Quindi grande plauso a chi ha reso possibile questa nuova edizione di questo testo che ovviamente vi invito ad acquistare e leggere. Inutile parlare dei fatti di Fiume senza comprendere la valenza distruttiva di quelle decisioni che l’hanno generata, di un’Italia tradita, di uomini e donne che avevano un senso dell’Onore e del coraggio. Di vertici della nostra Nazione indaffarati a tutelare gli interessi stranieri e non a quelli del loro popolo. Vi ricorda qualcosa? Deja-vu? Dall’altro lato c’era gente che non voleva sopravvivere come topi nascosti ma che voleva il vento della libertà tra i capelli. E noi ancora oggi non possiamo che dirgli grazie.
Buona lettura.
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