Ogni anno, la quasi totalità dei contribuenti non conosce l’esatto meccanismo di distribuzione degli oboli.
Ogni anno si ripete la volontà del contribuente di destinare l’otto per mille del proprio IRPEF. Ogni anno sussiste un velo di silenzio sulle reali destinazioni della somma. Ogni anno, la quasi totalità dei contribuenti non conosce l’esatto meccanismo di distribuzione degli oboli. La facoltà di destinare questa parte di Irpef è disciplinata dalla legge 222 del 1985 (Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia). Questa legge ha sostituito il vecchio e superato istituto della congrua, meccanismo per il quale, fino a venti anni addietro, lo Stato italiano pagava direttamente lo stipendio al clero cattolico.
La scarsa trasparenza del meccanismo di calcolo delle somme che ogni culto riceve, abbinato alla poca informazione peraltro fornita lentissimamente e con riluttanza dal Ministero delle Finanze e solamente alle fedi religiose, crea di fatto delle condizioni di favore eccessivo a favore della religione più numerosa esistente in Italia. La distorta attribuzione dei fondi si basa sul principio che l’intero gettito viene distribuito in base alle sole scelte espresse con la firma nell’apposito spazio del modello allegato al 730 e non sulla totalità dei 730 presentati – anche se privi della firma di scelta della destinazione! A tale proposito riportiamo interamente quanto riportato nel sito web www.governo.it :“La ripartizione tra le istituzioni beneficiarie avviene in proporzione alle scelte espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi. In caso di scelte inespresse dai contribuenti, la destinazione si stabilisce proporzionalmente alle scelte espresse e secondo gli accordi sottoscritti con le Confessioni religiose”.
Dietro questa affermazione esiste una produzione legislativa debordante e volutamente complicata. Dal 1985 ad oggi, sono stati emanati ben 23 provvedimenti normativi e ogni anno viene pubblicato un apposito D.C.P.M. (decreto Presidente Consiglio Ministri) che elenca la ripartizione della quota dell’otto per mille per l’anno corrente. Il primo della serie DCPM è del 2005. Così facendo il meccanismo ha al proprio interno un vizio concettuale che distribuisce con eccessivo favore ai culti più diffusi un gettito superiore a quello che andrebbe riferito alla percentuale calcolata sulla totalità dei contribuenti che include le mancate scelte, appunto. L’impalcatura appena descritta si basa su una idea molto diffusa fra i contribuenti ma purtroppo inesatta, che non firmare la scelta fa destinare la somma allo Stato. Invece, come si è appena affermato, il totale delle somme non destinate ricadono dentro la distribuzione calcolata esclusivamente sulla totalità delle firme ricevute.
Ad esempio, il 39,52% dei contribuenti ha esternato la propria scelta ed il 35,24 lo ha indirizzato in favore del culto maggiore in Italia.
Quindi, al 35,24% circa di firme a favore del maggiore culto rispetto al totale delle dichiarazioni presentate pari al 39,52%, viene attribuito oltre l’ottanta percento del gettito in quanto il rapporto è 35,24 / 39,52% (oltre l’80%) e non quello più corretto di 35,24% sul 100% delle dichiarazioni presentate (che sarebbe il 35,24%). Il rapporto percentuale, più correttamente riferito al totale dei 730 presentati (il 100%), consentirebbe allo Stato di incamerare tutti i 730 senza la firma di scelta, per destinare il relativo gettito in favore della ricerca scientifica. Ma ciò non avviene.
Concludendo, l’intera operazione truccata ha lo scopo di far fronte agli impegni sanciti dal nuovo concordato: l’ottanta percento dell’immenso flusso di danaro pari ad oltre un miliardo di euro, finisce in un’unica direzione.
Dal 2006, il contribuente ha la facoltà di attribuire un ulteriore 5 per mille della propria IRPEF in favore di organizzazioni di ricerca scientifica e universitaria, di Onlus o agli Enti della ricerca sanitaria. Basta scrivere con accuratezza il codice fiscale dell’organizzazione beneficiaria e firmare per conferma. Questa ulteriore opzione è nata per sostenere la ricerca scientifica, ma poi è stata estesa – senza un motivo apparente – ad altre categorie.
Va tuttavia detto che – contrariamente a quanto avviene per l’otto per mille – la mancata scelta, fa destinare il 5 per mille al bilancio dello Stato.
Anche nel caso di scelta del cinque per mille, il contribuente non è in grado di verificare se l’opzione da lui fatta è stata poi realizzata. Non esiste un controllo a posteriori che verifichi la buona esecuzione delle direttive impartite dal contribuente. In caso di errore di digitazione del codice fiscale (più o meno voluto, nel peggiore dei casi), quale è il livello organizzativo dello Stato preposto ad uno stringente controllo? Perché il contribuente non riceve un messaggio sms, di posta elettronica o di tipo cartaceo al suo indirizzo che certifichi l’avvenuta esecuzione secondo le sue direttive? Ci troviamo ancora una volta di fronte ad un comportamento privo di chiarezza aggravato da una congenita lentezza delle strutture statali italiane a rapportarsi in modo civile con il cittadino, alimentando sempre di più la marea montante di sfiducia e di legittimo sospetto verso le Istituzioni create per difendere gli interessi del cittadino e non per eliminarli del tutto, come di fatto oggi avviene!
Pubblicato il 4 aprile 2018 – da Dailycases