NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI
3 GENNAIO 2018
A cura di Manlio Lo Presti
https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/
Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.
Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com
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EDITORIALE
FAI e acqua privata
di Manlio Lo Presti – 3 gennaio 2019
Una struttura di ispirazione angloamericana come il FAI agisce in sostituzione dello Stato ex-italiano e della classe politica eletta e affogata nella propria corruzione.
Questa volta parliamo del possesso e dell’uso delle fonti idriche del pianeta il cui controllo sarà oggetto della prossima Guerra mondiale. Cina, USA e Russia stanno affilando le armi per il controllo dell’oro bianco.
L’intervento a gamba tesa del FAI (Fondo Ambiente Italiano) costituisce l’ennesimo segnale che le nazioni – e l’Italia in particolare – sono sovragestite da entità di natura privatistica, non elette da nessuno, Alcune delle quali sono qui di seguito elencate:
- le ONG,
- le COOP,
- il Vaticano e le altre nazioni dell’unione, che manovrano contro l’Italia da sempre,
- il numero infinito di c. d. Agenzie non governative, emanazioni dell’Onu,
- la macchina dell’Unione Europea
- la Nato,
- la Fao,
- l’Unesco,
- il FAI,
- il WHO
- le banche a struttura multinazionale globale,
- i colossi multinazionali farmaceutici, degli armamenti, dell’informatica, delle tecnologie genetiche,
- un numero imprecisato di strutture misteriose con acronimi impronunciabili incisi nelle targhe d’ottone esistenti accanto ai portoni,
- una marea di altre organizzazioni, istituzioni, strutture, spesso poco note, ma che rientrano nella strategia del SOFT POWER),
- la carità (CHARITY scaricabile fiscalmente, però) irrogata dall’alto e non creazione di lavoro regolato da diritti e doveri contrattuali e di legge rivenienti da una libera negoziazione dalle parti sociali.
E ANCORA PARLIAMO DI DEMOCRAZIA, di libertà negoziali, di PATTO cittadino-Stato?
Povero Cesare Beccaria, geneticamente modificato in stile Monsanto!
https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10218156608296278&id=1520773895
IN EVIDENZA
PER PREPARARSI ALLA GRANDE “FAKE NEWS” DEL 2019
Maurizio Blondet 2 Gennaio 2019 80 commenti
Poiché ad anno appena iniziato già i media tv hanno cominciato a spargere il terrorismo climatico; a dichiarare l’urgenza assoluta di ridurlo, visto che – dicono – è causato dall’uomo; che alzerà il livello dei mari di 60 metri; e che per ridurlo bisogna tagliare la produzione di anidride carbonica, il gas colpevole dell’effetto-serra. E poiché questa è la politica obbligatoria con cui la UE conta di rafforzare il suo potere – che sente pericolante – sugli europei, aggravando i controlli e le spese obbligatorie per la riduzione del CO2; e l’urgenza verrà posta come verità da non discutere se non si vuol essere nemici del Bene.
Barack ObamaAccount verificato @BarackObama
“Non ci dev’essere dibattito, ma azione immediata” ordinò Obama.
Poiché anche questa direttiva (come quella delle 12 vaccinazioni ai neonati) sembra essere stata ordinata dalla gestione Obama; e poiché può preludere alla disastrosa irrorazione nell’alta atmosfera di immense quantità composti chimici solforosi per “schermare la luce solare” come da delirio di Paul Crutzen, Nobel per la chimica nel 2006, perché a suo dire “Se non ridurremo drasticamente le emissioni di gas serra e le temperature continueranno a salire, allora l’ingegneria climatica sarà l’unica opzione possibile per ridurre rapidamente l’aumento di temperatura e contrastare altri effetti sul clima” (Albedo Enhancement by Stratospheric Sulfur Injections), ecco qui una tabella per aiutare:
Qui si vede che, negli ultimi 40 anni, gli aumenti di temperatura indicati (linea rossa) dai “modelli climatici” – ossia le proiezioni sul riscaldamento basato su modelli teorici in base all’accumulo dell’effetto-serra – sono smentiti dai dati “osservati” ossia constatati realmente e misurati puntualmente da palloni e satelliti meteorologici.
Il motivo, secondo Roy Spencer e John Christy, i due climatologi (Università di Huntsville, Alabama) che hanno constatato la discrepanza – è che la Terra disperde nello spazio esterno molto più calore di quanto sia creduto dai modelli basati sull’effetto-serra. L’effetto-serra da CO2 è minore di quello creduto – ed usato ampiamente per spargere il terrorismo climatico e l’urgenza di “fare qualcosa per diminuire il CO2”.
Da sinistra: Roy Spencer e John Christy, i due climatologi.
Ciò significa che anche se raddoppiasse il CO2 nell’atmosfera, esso farebbe aumentare la temperatura terrestre non di 3,2 gradi, ma di 1,6. E ciò, assumendo per certo che tutto l’aumento di gas-serra sia dovuto all’attività umana, il che è ben lungi dall’essere verificato.
“Il riscaldamento globale sembra esser già iniziato nei secoli passati”, spiega Roy Spencer, dopo la Piccola Glaciazione (durata dal 1300 al 1800), prima che potesse essere ritenuto colpevole il consumo umano di energetici fossili su grande scala. D’altra parte, ci sono state epoche preistoriche in cui la concentrazione di anidride carbonica o CO2 è stata cinque volte l’attuale. E l’effetto è quello di stimolare la crescita dei vegetali, il “rinverdire” del pianeta e di conseguenza, una maggiore quantità di nutrienti per gli animali.
IL CO2 è indispensabile ai vegetali
Perché, dice il professor Christy, “è sbagliato trattare il CO2 come se fosse un gas velenoso. Se fosse un gas tossico, anch’io sarei contrario. La realtà è che le piante lo adorano…”.
Roy Spencer si domanda se davvero è eticamente possibile “ridurre le emissioni di CO2 quando l’umanità ha ancora bisogno di combustibili fossili per ridurre la povertà e creare prosperità. Non ho nulla contro le fonti energetiche alternative di per sé , purché siano pratiche e competitive in termini di costi.
Finché Cina e India continueranno a ridurre la povertà con l’uso sempre crescente di combustibili fossili, le emissioni globali di CO2 continueranno ad aumentare, indipendentemente da quello che fanno gli Stati Uniti e l’Europa. Con circa 1 miliardo di persone nel mondo ancora senza elettricità, credo che sia immorale privarle dell’accesso a energia a prezzi accessibili.”
E’ un argomento che usa anche un altro scienziato critico, il fisico François Gervais, professore emerito alla Facoltà des Sciences et Techniques de l’Université de Tours. Chiamato a valutare il quinto rapporto sul cambiamento climatico dell’IPCC ( Intergovernmental Panel on Climate Change), un istituto sotto l’egida dell’ONU che è la fonte primaria del catastrofismo climatico, si è convinto che “l’urgenza climatica è un o specchietto per le allodole” e l’insieme delle operazioni e tassazioni (sul carbonio) proposte per tutti gli Stati del mondo costerebbe su 43 mila miliardi di dollari, un costo economico immane, che minaccerebbe la vita dei paesi in via di sviluppo, e per cosa?
“Per un rialzo infinitesimale di temperatura constatato dallo stesso IPCC, 0,04°C per decennio negli ultimi 20 anni”. Il punto, ha scoperto Gervais, è che nel “Riassunto per i Decisori”, lo stesso IPCC racconta a tali decisori (ossia ai
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IL DOCUMENTARIO CHE DOVREBBE FAR VERGOGNARE OGNI ISRAELIANO CHE ABBIA UN MINIMO DI DIGNITA’
DI GIDEON LEVY
haaretz.com
Non c’è un attimo di tregua nel documentario probatorio di Emad Burnat e Guy Davidi, “5 telecamere distrutte”, che ripercorre lo scontro nel villaggio palestinese della Cisgiordania Bil’in.
I soldati arrivano nel cuore della notte. Tirano calci, rompono, distruggono. Fanno irruzione in una casa svegliando bruscamente gli abitanti, inclusi bambini e neonati. Un ufficiale tira fuori un documento dettagliato e proclama: “Questa casa viene dichiarata ‘zona militare chiusa’”. Legge l’ordine – in ebraico e a voce alta – alla famiglia in pigiama, ancora intontita dal sonno.
NB: All’interno dell’articolo la versione integrale del documentario
Questo giovane uomo ha completato con successo il suo addestramento da ufficiale. Forse crede persino, nel profondo, che qualcuno debba pur fare questo sporco lavoro. E legge ad alta voce il comando unicamente per giustificare il fatto che al capofamiglia, Emad Burnat, sia stato vietato di filmare l’evento con la sua videocamera.
Non ci sono momenti di respiro né di tregua nel documentario probatorio di Emad Burnat e Guy Davidi, “5 telecamere distrutte”, che è stato proiettato, tra gli altri posti, alla Cineteca di Tel Aviv lo scorso week end, dopo aver collezionato una serie di di premi internazionali ed essere stato trasmesso su Canale 8.
Questo documentario dovrebbe far vergognare ogni israeliano che abbia un po’ di dignità di essere tale. Dovrebbe essere mostrato durante le lezioni di educazione civica e di storia.
Gli Israeliani dovrebbero essere messi a conoscenza dì ciò che viene fatto in nome del loro popolo ogni giorno ed ogni notte in questo apparente periodo di non belligeranza. Persino in un villaggio cisgiordano come Bil’in, che ha fatto della nonviolenza la sua bandiera.
I soldati – gli amici dei nostri figli, i figli dei nostri amici – fanno irruzione nelle case per portare via bambini piccoli, sospettati di avere lanciato dei sassi. Non c’è altro modo di descrivere ciò che accade. Arrestano anche dozzine di organizzatori della manifestazione di protesta che si svolge ogni settimana a Bil’in. E questo accade ogni notte.
Sono stato spesso in questo villaggio, ai suoi cortei e ai suoi funerali. Una volta o due mi sono unito alle manifestazioni del venerdì contro il muro di separazione che è stato costruito nel suo territorio in modo da permettere a Modi’in Ilit e a Kiryat Sefer di sorgere sui suoi oliveti. Ho respirato il gas lacrimogeno ed il fetido gas “moffetta”. Ho visto i proiettili di gomma che feriscono e a volte uccidono, e la violenza dei soldati e della polizia nei confronti dei cittadini che manifestano.
Ma ciò che ho visto in questo film mi ha scioccato molto di più di quanto mi sia accaduto nel corso di queste rapide visite. I condomini di Modi’in Ilit stanno fagocitando il villaggio, proprio come sta facendo il muro issato qui, sulla loro terra. Gli abitanti hanno deciso di lottare per le loro proprietà e per la loro esistenza. Con un misto tra ingenuità, determinazione e coraggio – e, di tanto in tanto, un eccesso di teatralità – i residenti si ingegnano con ogni stratagemma, con l’aiuto di un manipolo di Israeliani e di volontari internazionali.
E questa lotta ha portato ad una vittoria parziale: sulla sua scia, infatti, la Corte Suprema di Giustizia ha ordinato lo smantellamento del muro e la sua ricollocazione in un altro posto. Persino la Corte Suprema, che in genere accetta in automatico le posizioni dell’ordine costituito, si è resa conto che lì si stava commettendo un crimine. Insieme a Bil’in e, in larga misura, seguendo il suo esempio, altri villaggi hanno dato inizio ad una rivolta popolare – che ancora oggi ha luogo ogni venerdì – contro il muro, a mezz’ora di auto dalle nostre case.
VIDEO QUI: https://www.youtube.com/watch?v=fQXXTevFDrA
Questo documentario dimostra che, per la gente del luogo, la realtà dell’occupazione è che la lotta nonviolenta non esiste. Per informazione di coloro che predicano la nonviolenza (da parte dei Palestinesi): quando ci sono di mezzo i soldati delle Forze di Difesa Israeliane e la Polizia di Frontiera è sicuro che ci sarà violenza. Basterà che venga lanciata una pietra, che vi sia uno scontro verbale e, nonostante gli appelli degli organizzatori delle manifestazioni, l’arsenale con le armi più potenti del mondo si spalancherà – per tirare lo spinotto, liberare il gas, il proiettile di gomma, il gas moffetta e a volte il fuoco vivo, e soprattutto per troncare il sogno di una lotta nonviolenta.
Chiunque guarda questo film si rende conto che è davvero difficile guardare il muro, il piano di insediamento e i soldati – e tutti che gridano “violenza” – e restare pacifici. Quasi impossibile.
Le telecamere di Burnat sono state distrutte cinque volte. Tre volte dai soldati, una volta in un incidente stradale sul lato opposto del muro divisorio, e una volta dai coloni violenti e ultraortodossi – la gioventù della cima della collina– che hanno fatto irruzione nelle case nonostante la corte l’avesse proibito. “Non hai il permesso di stare qui”, dice un colono ultraortodosso ad un abitante del luogo mente prende possesso della terra che gli ha sottratto.
La verità è che le telecamere di Burnat sono state danneggiate molte più volte; il film descrive solo gli episodi in cui l’attrezzatura veniva resa del tutto inutilizzabile. Le parti danneggiate delle telecamere vengono usate come prova.
Ma qui si è rotto qualcosa di molto più profondo. Le telecamere distrutte hanno squarciato una realtà. Hanno documentato fatti che la maggior parte degli Israeliani non conosceva. Hanno fornito una descrizione realistica di qualcosa che la maggior parte di loro preferisce ignorare. Così facendo hanno anche dimostrato che, in un luogo dove quasi non ci sono più giornalisti, esistono però degli importanti registi di documentari come Burnat e Davidi.
Da quando la maggior parte dei mezzi di comunicazione locali ha deciso di non riportare più alcuna notizia riguardo all’occupazione, film come “5 telecamere distrutte”, “La legge da queste parti” di Ra’anan Alexandrowicz e “Un giorno dopo la pace” di Mir Laufer e Erez Laufer – tutti frutto degli ultimi mesi – stanno adempiendo a quello che dovrebbe essere il ruolo dei media in maniera eccellente.
Chiunque un giorno volesse farsi un’idea di cosa è accaduto qui in questi maledetti decenni farebbe fatica a trovare qualcosa negli archivi dei giornali e delle televisioni. Troverebbe invece del materiale nell’archivio dei film documentario, che sta salvando l’onore di Israele.
“5 telecamere distrutte” è già stato trasmesso in molti paesi, nell’ambito di festival e di messaggi pubblicitari. Davidi e Burnat hanno documentato la routine dell’occupazione. Il ritratto che emerge delle Forze di Difesa Israeliane e della Polizia di Frontiera è pessimo. Anche usando un eufemismo non si può che descriverle come reparti d’assalto.
La voce di Burnat, che accompagna il film, è una delle più sobrie che abbiate mai sentito a proposito dell’occupazione, senza ombra di odio e senza demagogia. Ed è così anche nella realtà. Andate a vedere questo film e fatevi una vostra idea.
Ci sono stati altri film su Bil’in ma questo, essendo una produzione su scala relativamente piccola, ha un taglio molto personale. La moglie di Burnat, che vorrebbe tenerlo lontano dalle telecamere e dal pericolo, ed il suo giovane figlio
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BELPAESE DA SALVARE
Spaccanapoli
Un bel articolo su Spaccanapoli, apparso nel 1970 su di un ebdomadario napoletano.
Angelo Trascino 4 12 2012
Si sa: ogni uomo ha il suo pizzico di follia, il suo cantuccio segreto d’irrazionalità, dove si difende dagl’infiniti condizionamenti a cui l’umana società lo sottopone di continuo, riducendolo non di rado al livello di un puro automa. Perché la pazzia è come certi veleni: ti ammazza a grandi dosi ma
a piccole dosi ti salva: e ti salva anzitutto, dalla schiavitù delle regole, dalla monotonia delle leggi, dalla ipocrisia delle convenzioni, dandoti, la possibilità, sempre più rara ai giorni nostri, d’essere uomo e non pecora, un’anima e non un numero. Perciò gli di spirito, da Orazio all’Ariosto, da Montaigne a Vouvenargues, l’hanno sempre lodata, e il più sapiente die dotti, Erasmo da Rotterdam la definì nel suo Elogio immortale “serenatrice degli uomini e degli dei.
E serenatrice, osiamo aggiungere noi, delle città. Perché anche le città, che sono fatte d’uomini, ne ritengono le caratteristiche. Guardate Parigi: c’è la Sorbona, c’è Piazza della concordia, c’è Louvre; e c’è il Mercato delle pulci. E’ la sua riserva di pazzia. O guardate Londra: ha il Parlamento, la City, il British Museum, Trafalgar Square, ma ha anche il quartiere di Soho, la sua follia segreta. E guardate New York: ci sono i grattacieli, la Fifth Avenue, il ponte di Brooklyn; e c’è Manhattan. E’ il suo ripostiglio d’incongruenze folli. Così Vienna e Amsterdam, Roma e Tokio, Mosca e Berlino, Madrid e Shangai… Tutte le città nel mondo hanno da qualche parte hanno li loro angolo di pura, sfrenata e invincibile libertà, la loro pazzia nascosta, la valvola di salvezza contro quella grande, mostruosa, organizzata follia collettiva che è la vita civile degli uomini.
E Napoli ha Spaccanapoli. C’è il Vesuvio, c’è Mergellina, c’è Marechiaro; c’è il Museo di Capodimonte, il S. Carlo e S. Martino: tutto ciò che l’ha resa bellissima fra le città della terra e ricca di cultura e d’arte. Ma poi c’è Spaccanapoli, che è la follia di Napoli, il suo pubblico manicomio aperto a tutti e vietato solo alla legge, la sua deliziosa universale anarchia.
Spaccanapoli, chi non lo sapesse, è una strada che attraversa la città per chilometri da un capo all’altro, dalla zona di Forcella a quella dell’Ospedale Militare (con la Riforma Sanitaria non più in funzione), e corre dritta e sottile come il taglio di un coltello nella scorza di un’anguria. Propriamente parlando non è nemmeno una strada: è una “natural burella” nella quale s’insaccano le persone e le cose più impensate di questo mondo. La chiamano, nel tratto più noto, “s. Biagio dei librai”, per il gran numero di librerie grandi e piccole, alcune minime, che l’accompagnano e la resero cara nei secoli, dal Vico al Croce, che qua abitarono, agli uomini di cultura d’ogni paese. “ S. Bigio dei librai”… Ma dovrebbero chiamarla S. Biagio dei librai e dei rigattieri, dei gioiellieri e dei calzolai, dei robivecchi, dei “saponari”, chincaglieri, dei falegnami, dei marmisti, dei lazzaroni e dei principi, dei preti e dei camorristi, e dei cani, dei gatti, dei topi…: i quali tutti non si fanno la guerra, l’eterna ineluttabile guerra della vita, ma contro tutte le leggi della natura e della società convivono pacificamente gli uni accanto agli altri, costituendo la più incredibile, assurda e paradossale delle comunità. Qua la Napoli ufficiale non c’entra; i suoi miti e la sua storia millenaria, dal Ninfa Partenopee alle Quattro giornate, non hanno senso. Come non hanno senso le sconfitte e le resurrezioni, le miserie la gloria, e il progresso. Qua è il regno dell’antica immutabile follia umana. Che è una follia particolare (lo abbiamo detto, ogni città ha la sua): la follia d i Napoli.
Ci troverete le cose più introvabili. Anzitutto vi è abolita la legge stessa del divenire storico dell’evoluzione universale. Passato e presente vanno qua fianco a fianco senza urtarsi, senza elidersi a vicenda. Qua le leggi della natura e della storia, inoppugnabili nelle sfere dei cieli, nelle teste dei filosofi e nei trattati degli scienziati, non funzionano più; non valgono un soldo. E il progresso non ha senso. Domina incontrastato il paradosso. Provate ad attraversarla quest’arteria pazza partendo dalla zona Castelcapuano; e camminando guardatevi attorno. Pianin meccanici fabbricati un secolo fa, che suonano canzoni di un secolo fa, tra uomini che sono anch’essi gli stessi uomini di un secolo fa, con quei vestiti, quelle facce, quella parlata. Negozi all’ultima moda, eleganti; e accanto ad essi negozi all’aria aperta, ossia povere mercanzie stese per terra ed offerte ai passanti. Sono le cianfrusaglie ed rifiuti del mondo qua convenuti, per quali misteriosi vie non sarà mai dato conoscere: fascicoli settimanali con le avventure di Buffalo Bill e Nick Carter, di Lord Lister e di Giuseppe Petrosino contro Mafia, Camorra e Mano nera; volumi della Universale Sonzogno e della Bietti: roba che tu leggevi ragazzino trenta, quaranta, cinquant’anni fa, e d’un tratto te la ritrovi davanti come se quei cinquanta, quaranta, trent’anni non fossero passati mai; e ti trovi tu stesso tutt’intero nei tempi di allora: anche se poi, a pensarci su, ti ricordi che allora eri in un’altra città, a centinaia di chilometri da questa. E dunque? – Ti domandi. Ma non è possibile trovare risposta.
Ritrovi ogni cosa. Qua, per un’inesplicabile magia, la ferrea, eterna legge del “nulla si crea, nulla si distrugge” diventa realtà tangibile. Ma lo diventa in modo sconcertante eppure inequivocabile: non nel senso, cioè, che al di là del mutare degli accadimenti rimane l’immutabile essere della universale sostanza che quegli accadimenti da sé genera e di continuo in sé riassorbe, ma nel senso che quegli accadimenti stessi, ossia la singola, concreta, irripetibile vicenda di ciascuno di essi: io, voi; ciò che fu e che sarà mio, vostro… non passa e rimane immortale.
Ti guardi a destra e a sinistra: e scorgi vicoli e vicoletti, casupole miserelle e splendide costruzioni principesche: Palazzo Marigliano, Palazzo del Monte di Pietà,, Palazzo Santangelo, Palazzo Filomarino, Palazzo Sangro… negli stili più disparati: greci romani bizantini, spagnoli…Spii dentro certi portoni: e intravedi immensi atrii pieni di verde e di sole, portici moreschi, settecenteschi balconi, pozzetti barocchi… Vedi chiese maestose e chiese sberciate e cadenti, coperte di polvere con l’erba che scopia a ciuffi dalle crepe e gli uccelli che nidificano sicuri entro le palme aperte dei Santi; chiese aperte al culto, o chiuse per sempre, condannate alla rovina, ma che nessuno tocca. Cammini…
Ti passano accanto ponti scuri e lunghi scavati sotto i palazzi come medioevali gallerie: e di là dall’ombra, nel sole, case multicolori e panni stesi, file di bianchi stendardi fluttuanti a perdita d’occhi’. Pensi a Casciaro, a Migliaro, paratela… Passano pergolati stesi tra casa e casa, verdi e folti, e neri tabernacoli di Madonne e di Santi… Sulle gradinate di antiche chiese sedi venditori che vendono di tutto. L’arca di Noè può dare solo una pallida idea di quel che si può ritrovare sulle gradinate delle antiche chiese: pelli di pitoni africani catturati ai tempi di Livingstone; sedie dell’epoca di Maria Teresa; grosse scorze di sughero accartocciate, alte fino a un metro e mazzo; pappagalli impagliati, campanacci tirolesi, armadi a muro grandi quanto case, manici d’ombrello, pupi di terracotta, veli nuziali…Riprendi la strada con la testa che ti gira. Ti passano accanto tirati a mano, certi carretti stracarichi di roba fino a tre, cinque metri da terra: grandi, gonfi, che caracollano a dritta e a manca tra la marea di gente, sempre in procinto di cadere e senza cadere mai: come caravelle di Colombo nell’oceano delle tempeste. E vengono chissà da dove, e chissà dove vanno…Donne vecchissime con facce gialle rugose e occhi di carbone, che vendono scope: e tu pensi che da un momento all’altro su quelle scope si metteranno a cavalcioni e voleranno in alto. Oppure vendono cappotti: nel mese di luglio; o mutandoni di lana; o scarpe: scarpe appaiate e scarpe spaiate; uno va e si compra una scarpa, una sola, quella che gli serve; e costumi da bagno, dischi, giornali, riviste; bambole sconciate, che vi guardano da terra con tanto d’occhi, voi non sapendo che rispondere affrettate il passo…In un grande atri, su di un’armoniosa gradinata, vi colpisce improvvisamente, a lettere cubitali un’iscrizione: IL GIORNALE. E’ la testata di un quotidiano di Napoli a tiratura nazionale che si pubblicava tanti anni fa.
Era morte. E invece no, è ancora là. Perché a Spaccanapoli non cuore mai niente. Non muore e non nasce mai niente. Cose che credevi naufragate nel gorgo del tempo, te le ritrovi vive in questa strada; e cose che fino a ieri credevi nuovissime, qua t’accorgi che esistono da sempre. Cose vecchie e cose nuove, cose morte e cose vive: tutto è qua presente e si confonde, ti confonde. Certe casse panche, certe sedie di vimini, certi candelieri di tempi memorabili… Io vidi una sveglia una volta, una sveglia che era stata nella casa di certe mie vecchissime zie, ai tempi della mia infanzia: una sveglia grossa panciuta, fragorosa di quelle con la suoneria esterna, il campanello in testa come un buffo cappellino, e un piede zoppo. Quella sveglia era morta da secoli in un paese remoto… Ed ecco che d’un tratto la rivedi per terra, me la
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CONFLITTI GEOPOLITICI
LUNEDÌ 24 DICEMBRE 2018
GIALLI: I SINDACATI GIALLI PORTANO AI GILET GIALLI. E ALLE STELLINE GIALLE.
Post di Bazar
«L’accordo di Parigi non sta funzionando così bene per Parigi. Proteste e rivolte in tutta la Francia. Le persone non vogliono pagare grosse somme di denaro, la gran parte a favore di paesi del terzo mondo (che sono gestite in modo discutibile), al fine di forse di proteggere l’ambiente. Cantando “Vogliamo Trump!” Amo la Francia.» Donald J. Trump
1- Fenomenologia del conflitto sociale in Europa
Il conflitto sociale in Europa si sta infiammando e, nonostante la soffocante cappa mediatica di un sistema di comunicazione monopolizzato dalle classi egemoni compatte nel portare avanti il dogma neoliberista e mondialista – costi quel che costi – la situazione sembra sfuggire dal loro controllo.
Ci sono due note da fare: la prima consiste nel riportare e commentare ciò che accade in Europa ed in particolare in Francia. La seconda consiste nel vedere quali misure prendono affannosamente le élite globaliste per riprendere il controllo sociale e andare avanti – costi quel che costi – nel loro progetto.
Da circa un mese la Francia è sconquassata da una grande protesta, di una dimensione mai vista nonostante disordini, scioperi generali, e caos dovuti al blocco dei trasporti non siano insoliti oltralpe:
« Circa 100.000 persone [hanno bloccato] le strade a pagamento, le stazioni di servizio e gli incroci creando gravi e problemi ai trasporti e ai grandi centri commerciali. La protesta si sta dimostrando estremamente difficile da disinnescare, dal momento che non c’è un particolare leader con cui negoziare. »
«Nel fine settimana gli ulteriori disordini mostrano che il movimento sta andando fuori controllo»
Nonostante gli ingenti danni economici inferti ai rentier e alle aspettative poco incoraggianti degli investitori, l’84% del pubblico francese su Le Figaro definivano «giustificata» la protesta.
Settimana scorsa lo scontro tra forze dell’ordine e manifestanti è stato ancora più violento: Macron capitola.
Ma questo sabato la protesta si è fatta ancora sentire.
«noi non dimentichiamo il trattato di Lisbona adottato dopo che è stato bocciato nel 2005, noi non dimentichiamo i 13 anni senza referendum.»
«Se il despota cade in Francia, cade dappertutto» – Victor Hugo
La Gran Bretagna si vede umiliata dalla UE e la delicata trattativa dell’Italia sul deficit mostra le sue prime difficoltà.
L’Ungheria di Orban, mentre è in subbuglio per proteste anti-governative, è puremessa sotto pressione dalla UE.
Le tensioni in Catalogna sono vicine al “punto di ebollizione”, la Svezia èpraticamente un campo di battaglia.
La Grecia non esiste più se non come espressione geografica.
Una riflessione tranchant è questa: come nota Sapir, in Francia chi protesta non ha ancora bene le idee chiare sulle dinamiche che hanno portato all’impoverimento della del popolo francese. Altrimenti, si potrebbe aggiungere, mai sarebbe stato votato Macron che ora i francesi vorrebbero dimesso.
In particolare, non è stato introiettato come la moneta unica sia la madre di tutte le contraddizioni.
In Italia un po’ di coscienza in più ci sarebbe, ma il dissenso viene vincolato dall’enorme retorica europeista propagandata e da alcuni partiti che – a quanto pare – hanno fatto del distruggere il Paese come sacrificio a “il Mercato” una missione.
Nel momento in cui il clero degli informatori dei media di massa, dei giornalisti e degli accademici, non riesce più a nascondere l’esproprio di massa di ricchezza, di mezzi di produzione pubblici e privati, di diritti sociali, dei diritti alla salute e ad una vecchiaia serena, lo spirito di sopravvivenza del corpo sociale, ancora sano e non psicologicamente corrotto, fa sentire la sua reazione.
L’unica risposta veramente temuta dalle élite è una insurrezione di massa incontrollabile; è il loro incubo: che il crollo delle istituzioni porti alla confisca di proprietà private e personali. O alla loro semplice distruzione. A questo serve quella parte di struttura e sovrastruttura sociale che sono l’informazione e l’indottrinamento di massa: ad evitare tutto ciò.
Quando gli strumenti di controllo psicologico non funzionano più, quando l’indottrinamento e la propaganda non fungono più da sedativi, mistificatori, e manipolatori di coscienze fino al raggiungimento della dissociazione completa – quella per cui la coscienza critica viene completamente annullata e i principi di identità e di non contraddizione saltano psicoticamente nell’elettore mediano – allora il finto pluralismo liberale lascia spazio alla violenza diretta del totalitarismo del mercato.
2- La risposta totalitaria delle classi dominanti in Europa
A questo punto commentiamo brevemente questo articolo ripreso da Voci dall’Estero.
Il tema dibattuto è riassumibile in:
«La Ue rischia di crollare, e le persone che temono di perdere il potere tendono a gesti estremi di controllo dittatoriale.»
Paiono emergere delle forze – forze che sembrano viste di buon grado dall’amministrazione Trump – che trovano un’apparente autonoma capacità di convergere contro quello che viene ritenuto il Leviatano eurounionista.
Se consideriamo la UE il progetto di punta della mondializzazione, ci possiamo aspettare che le contraddizioni di questo abnorme progetto si scarichino precipuamente nel nostro continente.
E quali sarebbero le risposte che gli interessi materiali che sostengono la UE possono contrapporre a questi sommovimenti antagonisti?
Sicuramente creare una forza armata unionista, anazionale, in cui i soldati e gli agenti arruolati possano reprimere violentemente il dissenso
Continua qui: http://orizzonte48.blogspot.com/2018/12/gialli-i-sindacati-gialli-portano-ai.html
CULTURA
“Il Campo dei Santi” è il romanzo apocalittico che preannuncia la conquista musulmana di Roma.
E’ diventato oggi la Bibbia dei Sovranisti.
Il Campo dei Santi, traduzione italiana di Fabrizio Sandrelli, Collana Il Cavallo Alato, Padova, Edizioni di Ar, 1998(Le Camp des saints, Paris, Laffont, 1973), è un romanzo fantapolitico dello scrittore francese Jean Raspail pubblicato nel 1973 e tradotto nel 1988 in Italia, certamente anticipatore in quanto ambientato negli anni Novanta del Novecento, il libro descrive quelle che per l’autore sarebbero le conseguenze dell’ immigrazione nelle società occidentali. Ha scritto il collega Nicola Porro qualche giorno fa che “ll campo dei santi di Jean Raspail è un libro eccezionale, e pur scritto nel 1973, sembra che ripercorra esattamente, anche se in modo romanzato, le tensioni migratorie di questi anni”.
Eccone la trama. Una folla di paria indiani, guidata da un personaggio chiamato il “coprofago”, s’impadronisce di un centinaio d’imbarcazioni all’ancora nel porto di Calcutta e comincia a navigare verso le coste della Francia. Di fronte all’avanzare di quella che verrà chiamata ‘armata dell’ultima chance’, l’opinione pubblica e le autorità occidentali sono titubanti e sempre più remissive. Il disarmo morale dell’Occidente sfocerà nella resa incondizionata della Francia di fronte al milione di invasori venuti dal Gange. “Di fronte ad un milione di invasori l’opinione pubblica e le autorità occidentali cedono ad una ottusa disperazione; si lasciano occupare”. Il buon senso resta nei comportamenti e negli occhi di quell’unico vecchio abitante della montagna che guarda dall’alto le navi dei disperati, senza aver alcuna intenzione di lasciare libera la sua casa all’occupazione e arrendersi. Anzi uccidendo l’invasore. È il disperato grido dell’eroe di Raspail, che non ci sta. «L’uomo di colore scruta l’uomo bianco mentre questi discorre di umanità e di pace perpetua. Ne fiuta l’incapacità e l’assenza di volontà di difendersi».
Il Campo dei Santi
Il titolo del romanzo deriva da un versetto dell’Apocalisse “Marciarono su tutta la superficie della terra e cinsero d’assedio il Campo dei Santi e la città diletta”, Apocalisse, 20,9.”Il tempo dei mille anni giunge alla fine. Ecco, escono le nazioni che sono ai quattro angoli della terra, il cui numero eguaglia la sabbia del mare. Esse partiranno in spedizione sulla faccia della terra, assalteranno il campo dei Santi e la Città diletta”. All’epoca della pubblicazione, il libro fu tacciato di “razzismo” dall’intellighenzia francese di sinistra e criticato da studiosi accademici e storici delle migrazioni. E’ la resa dell’Occidente per via del buonismo e dell’accoglienza della Chiesa di Papa Bergoglio comunista doc che innalza tra l’altro anche la bandiera arcobaleno del vescovo Tonino Bello. E infatti nel romanzo i simboli dell’Occidente uno alla volta cadono, e il racconto dell’invasione va di pari passo all’abdicazione rispetto ai nostri valori. Ha detto ancora Porro sulla figura del Papa nel romanzo: “Ecco addirittura che il Papa si spoglia delle sue apparenze, delle sue ricchezze, dei suoi palazzi e anche del suo prestigio; muore in un appartamento di provincia e il suo successore viene ignorato dai più”. Con un Papa che – guarda caso nel libro – si chiama Benedetto XVI, ma che lungi da rassomigliare a papa Ratzinger, rassomiglia fin nelle virgole a Bergoglio. Come Bergoglio è latino-americano (brasiliano, anche se non proprio argentino), non vive nelle stanze del Vaticano ma si atteggia a “poverello d’Assisi”. Nel libro dorme infatti su un duro pagliericcio di ferro, redarguisce i frati benedettini dell’Abbazia di Fontgembar etichettati come “integralisti” che vedevano in lui un “antipapa” e confisca loro i fondi dell’Abbazia, frutto di donazioni di mecenati. “Perché sperperare somme così ingenti quando altre voci gridano da mesi, la miseria che
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L’invasione degli ultratabù
05 dicembre, 2018 | 31 commenti
Ogni civiltà ha i suoi tabù, perché di ogni civiltà è il sacro. Ciò che è sacro è intoccabile, inavvicinabile, perché in origine maledetto. Scrive Pompeo Festo (De verborum significatione) che l’homo sacer è «quem populus iudicavit ob maleficium… quivis homo malus atque improbus». Tra le etimologie proposte, l’accadico sakāru rimanda appunto all’atto del bloccare, interdire, ostruire l’accesso. In una comunità di persone il sacro postula l’indiscutibile, i riferimenti invalicabili dell’identità e dei valori comuni di norma rappresentati nella sintesi di un simbolo o di una formula rituale. L’ambivalenza del sacro è prospettica: nel tracciare un confine inviolabile discrimina ciò che deve restare fuori – il tabù – da ciò che sta dentro e attorno a cui ci si deve raccogliere – il totem. Il binomio freudiano svela così i due volti del sacro: dove c’è un totem c’è un tabù, e viceversa. Se la Repubblica Italiana si rispecchia nel totem dell’antifascismo, il fascismo è un tabù. Se una chiesa fissa il suo totem nel dogma, i tabù sono l’eresia e la bestemmia che lo negano.
Non si ha notizia di civiltà senza tabù, perché il sacro soddisfa un fabbisogno spirituale che si riscontra ovunque. Sarebbe perciò sciocco credere che i tempi laici in cui viviamo si siano emancipati dal sacro e quindi dai tabù. L’errore nasce dalla confusione di sacer e sanctus, dove il secondo rimanda in modo specifico alla sacralità religiosa. Sanctus è participio passato di sancīre, attestato anche nel significato di interdire, separare, dedicare (a una divinità), accomunato a sacer da una possibile radice comune sak-. La convergenza e quasi sovrapposizione nell’uso dei due termini sembra illustrare un processo che dall’era classica a quella cristiana ha progressivamente «relegato» il sacro nelle cose ultraterrene, con il vantaggio di trattare più pragmaticamente le cose umane e della terra, di schivare cioè il rischio di sacralizzarle rendendole così inconoscibili perché inaccessibili al λόγος. Un rischio che si sarebbe confermato e si sta più che mai confermando reale.
Ben lontano dall’essere desacralizzata, la nostra è una società desantificata che nel rinunciare al santo ha trascinato il sacro nel fango della storia. Attaccando il divino nella speranza di guadagnarne una liberazione dagli «schemi», dagli «errori» e, appunto, dai tabù del passato, lo ha frantumato in tante schegge semidivine disseminando il sacro in ogni forma e in ogni dove. Da questo schianto è sorto un politeismo i cui feticci non portano più le insegne della divinità ma ne preservano l’inattaccabilità e il dogmatismo. Se l’esperimento novecentesco dell’ateismo di Stato ha colmato il vuoto del sacro religioso con il suo rimpiazzo politico mantenendo e possibilmente aumentando i corollari presidi di repressione e censura degli eterodossi, il fenomeno è letteralmente esploso negli ultimi anni in seno alle democrazie occidentali.
Svincolati dalla sorveglianza di una dottrina riconosciuta e centrale, i nodi del sacro si sono moltiplicati e hanno infestato il discorso pubblico e privato, e quindi anche il pensiero. Ai richiamati totem laici dell’antifascismo e della democrazia si sono aggiunti quelli dell’Unione Europea, Gerusalemme babelica portatrice e promettitrice di pace, dei suoi padri e profeti, de «i mercati» giusti, onnipotenti e severi, dell’internazionalizzazione di popoli e capitali in cui sciogliersi per rinascere fortificati (Gv, 24-25), dell’accoglienza di ogni diversità purché non di pensiero, del laicismo, del riscaldamento globale, della parità di generi e orientamenti sessuali e della loro moltiplicazione, di cose, persone e organizzazioni che «salvano vite», della storia non più solo patria ma di qualunque angolo di mondo purché scritta dai vincitori, del progresso che si autoavvera nella condanna acritica di tutto ciò che è trascorso. L’ultimo totem è insieme il più promettente e potente: «la scienza» e l’innovazione tecnologica in cui si celebrano non già gli strumenti, ma i fini di un’evoluzione di cui portarci all’altezza espungendo ogni incomputabile residuo di umanità.
Ai totem rispondono più numerosi i tabù: non solo «i fascismi» ma anche «i nazionalismi» e le stesse nazioni, le identità tradizionali (il colore locale è ammesso, purché vendibile), la discriminazione anche solo come distinzione di generi e genti, «odio», razzismo, sessismo, antisemitismo, omofobia, transfobia, xenofobia, islamofobia e tutte le nostalgie di un passato ontologicamente peggiore. Dal totem scientifico discendono i tabù dell’antiscientismo, di chi non si lascia cullare da «gli esperti» circolarmente espressi da «la scienza» come sistema gerarchico e finisce negli antri di «maghi» e «stregoni», della superstizione, dell’antivaccinismo, delle cure alternative e «ciarlatanesche», della critica darwiniana, delle scie chimiche, della terra piatta, cubica o dodecaedrica e di qualsiasi altro dubbio non corroborato dai media o dalle peer review. Non serve che il soggetto si affili direttamente a un tabù: basta che non si dissoci dalla sua lettera e dai suoi latori con la dovuta veemenza. Allora sarà detto revisionista, negazionista, complottista o reazionario, dato in pasto al gregge schiumante e accusato della stessa bestialità con cui lo si attacca. Non potendolo più chiamare eretico, dell’eretico subirà la sorte sociale, fin quando il sognato tramonto delle garanzie costituzionali non renderà lecita anche quella penale.
A questi tabù generali ciascuno aggiunge i propri e quelli della propria fazione, in un proliferare senza freni di caveat dialettici dove l’elaborazione verbale e concettuale diventa un campo minato, un percorso a ostacoli irto di cose da non dire, o da dire avendo reso devoto omaggio al loro contrario («premesso che personalmente», «ben lungi dal difendere» e via scusando). Si instaura così la «dittatura del politicamente corretto» denunciata e descritta da molti autori, che nell’incarcerare il discorso toglie spazio al pensiero e lo impoverisce, lo confina in un cono di luce sempre più angusto dove può solo balbettare e ridursi alla litania degli slogan e degli hashtag, fino all’afasia. Ciò che resta è un pensiero minimo e lobotomico asservito alla sua negazione, un intelletto tutto teso allo spegnimento si sé: proprio e altrui, presente, futuro e persino passato, con la pretesa di distruggere o riscrivere le testimonianze sgradite alle nuove dottrine. L’epoca presente si candida così a diventare non solo la più bigotta e fanatica, ma anche quella intellettualmente più povera, la più sterile e puerile degli ultimi secoli.
***
Nel rompere gli argini del sacro, l’eclissi del santo ne ha liberalizzato anche i sacerdoti, conoscitori e guardiani del tabù, il cui soglio vacante si è lasciato occupare da chi già occupava il trono secolare dell’economia e delle armi, dai vincitori del mondo e da chi ne accetta la legge. Ecco un’ascoltata intellettuale enunciare, con apposito test, un lungo elenco di propositiones in odore di «fascismo» per misurare l’omodossia dei lettori. Eccone un altro che nel «populismo» vede non già l’etichetta storica di un momento storico ma la colpa eterna del «fascismo eterno» formulata da un pater ecclesiae. Ecco l’analisi di un «maschilismo» che sedurrebbe le anime per «vie insidiose» e invisibili ai non iniziati. Ed ecco il giornalista di un grande giornale che, al contrario, distribuisce dispense dal tabù atavico dell’infanzia sofferente spiegando «quando è necessario mostrare la foto di un bimbo che muore». Quando? Solo in casi estremi: quelli cioè decisi da lui e dai suoi editori per attaccare i governi a sé nemici, perché lì «non può esistere il sospetto che sia un modo di speculare sui minori». Chi controlla i tabù controlla il pensiero, ne traccia i confini e l’orizzonte, alza gli argini dentro cui deve fluire per imporgli l’unico corso possibile: il proprio. Scrive Roberto Pecchioli:
Il XXI secolo, tecnologico e permissivo, ha bisogno di un sistema di potere allucinogeno: le masse devono essere convinte di godere di ampie libertà, nonché di avere grandi possibilità individuali. Un esercito di finti pezzi unici, sospinti però verso comportamenti, gusti, reazioni assolutamente comuni e previste. È il principio del soft power, che agisce per linee interne, a livello subliminale, persuasivo, per coazione a ripetere, mostrando e imponendo modelli, ottenendo senza violenza fisica comportamenti o attitudini di proprio gradimento.
E ancora:
Ciò che chiamiamo politicamente corretto è una accattivante confezione di preconcetti basata su un unico postulato: l’uguaglianza quasi paranoica, ossessiva, superstiziosa, che diventa uniformità, gabbia inviolabile. Timoroso di se stesso, l’uomo mette a confronto la sua percezione di fatti, il proprio principio di realtà, inevitabilmente diverso dalla visione ufficiale, e censura se stesso, si considera cattivo, malvagio in quanto giudica altrimenti, e, nella maggioranza dei casi, si conforma, sino a introiettare come giusto e vero quello che il suo proprio convincimento rifiuterebbe.
I frutti del condizionamento a contrariis sono strabilianti, non ottenibili con tecniche di propaganda «positiva». Emmanuel Macron, già banchiere presso i Rotschild e misteriosamente catapultato al Ministero dell’economia nel 2014, dove fece approvare con procedura d’urgenza la legge ferocemente padronale che porta il suo nome, lo stesso Macron contro cui oggi le classi popolari francesi manifestano mettendo a ferro e fuoco il Paese, si aggiudicò le elezioni presidenziali del 2017 contro Marine Le Pen perché quest’ultima era tabù, figlia di un neofascista, dimostrando così che lo stigma sacrale si trasmette anche per via di sangue, non solo ideologica. Per lo stesso motivo qualcuno è riuscito a scrivere che non si possono criticare le idee e le iniziative politiche di George Soros senza violare il tabù dell’«antisemitismo», vantando il finanziere ungherese un’ascendenza ebraica. Associando tabù lontani si creano e si governano i «moderati», che non essendo mai tali negli atti e nelle idee si definiscono così perché abbracciano gli atti e le idee del manovratore di turno collocandosi con prevedibile diligenza tra gli «estremismi», cioè i tabù, che ha fabbricato per loro. L’intransigenza del metodo generale produce, per imitazione, parrocchie e sottogruppi ancora più intransigenti, in reciproca guerra per aggiudicarsi la palma dei «puri». Nasce così il fenomeno del «mai con», infallibile nel soffocare in culla le possibili alleanze tra dissenzienti, tutti impegnati a restringere ulteriormente il già ristretto recinto sacrale per bearsi della propria incontaminazione.
Andrebbe chiaramente detto – e qui lo diciamo – che non è possibile rendere omaggio al complicato olimpo dei totem e dei tabù contemporanei per guadagnarsi il diritto di esprimersi, e insieme esprimere un pensiero libero e originale, figuriamoci critico. Perché le minuziose mappe del sacro servono precisamente a sopprimere la libertà di pronunciare ciò che dispiace a chi ha la forza di imporle. Non si può vincere rispettando le regole degli avversari. Quando parlo del libro che ho recentemente pubblicato con Pier Paolo Dal Monte sui rischi di avere reso coercitive e indiscutibili diverse vaccinazioni per l’infanzia, mi guardo bene dal prendere le distanze dai «no vax». Non perché io lo sia o non lo sia, ma perché quel tabù serve proprio ed esclusivamente – lo ripeto: esclusivamente, mancandogli ogni fondamento analitico – a squalificare ogni posizione critica sul tema, e quindi anche ciò che ho scritto nel libro. Sicché, mi sconfesserei già in partenza. Né sarebbe intelligente esercitarsi in distinzioni definitorie di scuola questista su quale sia il «vero» oscurantismo, il «vero» razzismo, il «vero» negazionismo o, viceversa, la «vera» Europa, il «vero» internazionalismo, il «vero» progresso e via dicendo, perché si è già visto che il sacro è postulato in ontologia, esiste proprio per mettere i cardini fondanti dell’identità al riparo dalla dialettica. Il suo essere indeclinabile è cioè sostanziale, non accidentale.
L’unica strategia costruttiva è quindi quella di disconoscere i tabù vulgati, di allontanarsene e di rimuoverli dalla propria agenda per costruire un pensiero altro e ancorato ai propri, personali tabù: meglio se pochi e meglio ancora, per quanto possibile, se non inquinati dal mondo.
http://ilpedante.org/post/l-invasione-degli-ultratabu
CYBERWAR SPIONAGGIO DISINFORMAZIONE
ONG: CHI LE FINANZIA VERAMENTE? E PERCHE’ HANNO QUESTE E PROPRIO QUESTE PRIORITA’?
29 aprile 2917 RILETTURA
- Nessuno si interroga su quanto costi esattamente armare delle navi – che magari in precedenza erano addette al trasporto di merci ricavandone un corrispettivo- e dunque, rinunciando ai precedenti noli commerciali, per tenerle continuamente in navigazione, pagando i relativi carburanti, il personale di bordo delle varie qualifiche e quello di terra per il supporto logistico/tecnologico e per il disbrigo delle pratiche portuali di ormeggio e rifornimento.
Allo Stato, a cui non si perdona nessuno spreco, – che poi consiste nel fatto stesso che non affida al mercato privato ogni suo possibile compito-, costa(va) tanto: la “versione” Mare Nostrum, delle operazioni di salvataggio (previo pattugliamento), costava allo Stato italiano 9,5 milioni al mese; quella Frontex, e Triton, in apparenza notevolmente di meno, cioè circa 2,9 milioni al mese.
Almeno stando al livello di finanziamento apprestato dall’UE: ma dato il “volume” incrementale di sbarchi in Italia, nel corso degli ultimi anni, questo finanziamento UE deve necessariamente essere pro-quota e quindi non sufficiente a coprire gli interi costi dell’operazione: e ciò, includendo, appunto, l’attuale apporto di navi mercantili, cioè di armatori privati (che dovrebbero essere prescelte dall’UE in base a criteri che si devono presumere trasparenti e conseguenti ad accertamenti sui requisiti finanziari e di capacità tecnica degli armatori interessati).
- Poiché il volume di “salvataggi” si è addirittura incrementato rispetto alla fase Mare Nostrum, se ne deve dedurre che il costo differenziale che sostiene l’iniziativa privata, rigorosamente no-profit, sia quantomeno, per approssimazione, superiore ai 6,5 milioni al mese.
Questo intervento al Senato dell’onorevole Arrigoni, precisa le ipotesi appena fatte, supportandole coi dati ufficiali resi disponibili dal governo e delineando lo scenario complessivo, di tenuta del sistema finanziario pubblico e del tessuto sociale, che ne consegue:
“Vorrei descrivere il fenomeno in Italia.
Nel triennio 2014-2016 gli ingressi e gli sbarchi sono stati 505.000, ma – attenzione – solo via mare. A questi dovrebbero aggiungersi le migliaia di persone che entrano via terra, dall’Austria e dalla Slovenia in particolare, cioè da Paesi dell’area Schengen, dove noi non imponiamo il diritto di Paese di primo ingresso.
Dall’inizio dell’anno al 20 marzo 2017 sono già entrate via mare più di 18.000 persone, pari a oltre il 32 per cento (in più) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Perché do i dati dell’ultimo triennio?
Dalla fine del 2013, anno in cui si sono registrati 42.330 ingressi, c’è stata un’impennata degli sbarchi grazie – lo sottolineo – alle operazioni Mare nostrum (introdotta dopo la strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013) e, poi, Triton.
Negli obiettivi, quelle missioni internazionali avrebbero dovuto costituire un deterrente per gli scafisti e diminuire le morti in mare.
Come i dati dimostrano, i risultati hanno invece visto un aumento esponenziale degli ingressi, a maggior ragione dopo l’attività delle navi delle organizzazioni non governative da settembre dello scorso anno.
In secondo luogo, si sono incrementate – e di molto – le morti in mare.
Do alcuni dati forniti dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Dal 1990 al 2012 (ossia in un arco di ventitré anni) sono state registrate 2.711 morti nel Mediterraneo. Nel 2013 il numero è stato pari a 477 (comprese le 388 morti nella strage di Lampedusa del 3 ottobre).Dopo l’operazione Mare nostrum il numero delle morti si è innalzato: nel 2014 è stato pari a 3.270, nel 2015 a 3.771 e lo scorso anno a oltre 5.000. Nei primi due mesi del corrente anno i morti sono già oltre 500.
Veniamo alle organizzazioni non governative, di cui questa mattina ha parlato il procuratore della Repubblica di Catania Zuccaro in sede di Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen.
Dal settembre 2016 appartenenti a una decina di organizzazioni non governative non italiane, la metà con sede in Germania, spuntate come funghi – come dice Frontex, non collaborano con le attività di polizia e di intelligence – dispongono di 13 navi battenti bandiera di Paesi poco collaborativi con le nostre magistrature che stazionano stabilmente – h24 – al limite delle acque libiche e si fanno notare da facilitatori scafisti, che così inviano verso di loro gommoni precari, di produzione cinese, carichi di immigrati che vengono salvati e trasportati in Italia.
Nel complessivo anno 2016, queste organizzazioni non governative hanno compiuto, da sole, il 30 per cento dei soccorsi in mare nelle aree di ricerche e soccorso. Nei primi due mesi del 2017, operando a pieno regime, hanno svolto il 50 per cento dei soccorsi e, in barba a quanto previsto dalla Convenzione dell’ONU sul diritto del mare, se ne guardano bene dal portare i migranti salvati nel porto più vicino e sicuro, di Zarzis, in Tunisia, ma si dirigono direttamente in Italia.
Queste navi, super equipaggiate e dotate di droni sofisticati, hanno dei costi di navigazione elevatissimi, stimati in circa 10.000 euro al giorno cadauna.
Chi finanzia tutto questo?
È questa un’invasione pianificata a tavolino?… È inaccettabile che dei privati si sostituiscano allo Stato per realizzare, di fatto, un corridoio umanitario verso il nostro Paese. Ci domandiamo se queste organizzazioni non governative favoriscono l’immigrazione clandestina in Italia.
Esse dovrebbero essere indagate non solo ai sensi del cosiddetto articolo 12 della legge Bossi-Fini, per favoreggiamento del reato di immigrazione clandestina, ma anche per omicidio colposo.
Anche la procura di Catania correla le attività di queste ONG con l’aumento delle morti, visto che le organizzazioni criminali ricorrono a gommoni sempre più inadeguati (gommoni cinesi dove si muore persino per schiacciamento) mettendo alla guida non scafisti, che si sono fatti furbi, ma gli stessi migranti, dotandoli semplicemente di bussola e cellulare, per i quali non è nemmeno configurabile il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Dopo gli ingressi, veniamo al numero delle richieste di asilo nell’ultimo triennio: sono state “solo” 300.000 contro i 500.000 ingressi.
Dove sono andati i 200.000 che non hanno fatto richiesta di asilo? Nel triennio, di questi 300.000 richiedenti, solo 220.000 sono state le richieste esaminate dalle Commissioni territoriali. Nel 2016 le richieste di asilo sono state 123.600 (il 50 per cento in più rispetto al 2015) e nelle prime settimane del 2017 registriamo un aumento del 60 per cento rispetto al pari periodo del 2016. Sempre lo scorso anno sono state “solo” 91.100 le richieste esaminate, e di queste il 60 per cento sono state respinte. Dunque, nonostante l’aumento delle commissioni territoriali (che da diciotto mesi sono state elevate a 48) cresce costantemente la coda delle persone in attesa di esame della richiesta di asilo: al 10 marzo – lo dice il presidente della Commissione nazionale per il diritto d’asilo, il prefetto Trovato – le pendenze in ordine alle richieste di asilo sono 120.000.
Analizzando tali richieste si scoprono, poi, cose davvero interessanti.
Le nazionalità più numerose che chiedono protezione internazionale in Italia non sono quelle che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale (soglia che la UE stabilisce nel 75 per cento).
La prima nazionalità a fare richiesta d’asilo è la Nigeria con l’otto per cento di riconoscimento di protezione; la seconda è il Pakistan con il 23 per cento; la terza il Gambia con il cinque per cento; la quarta il Senegal con il quattro per cento; la quinta la Costa d’Avorio con l’otto per cento; la sesta l’Eritrea con il 74 per cento (di richieste accolte).
Insomma, per quantità di richieste di asilo bisogna arrivare al sesto posto per trovare gli eritrei e addirittura all’undicesimo per trovare gli afghani, entrambe nazionalità che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale, ma che registrano numeri bassi.
Prime riflessioni. Questo spiega perché negli ultimi due anni la percentuale di rifugiati media è del cinque per cento, mentre quella di coloro che ottengono protezione sussidiaria è del 14 per cento; cioè a meno del 20 per cento (uno su cinque) degli esami delle richieste di asilo si riconoscerà la protezione internazionale. I dati dimostrano, dunque, che la gran parte di coloro che chiedono asilo sono migranti economici, dunque irregolari, clandestini… Questi sono messi nel sistema di accoglienza per anni.
Tra le nazionalità di migranti in ingresso balzano all’occhio i pakistani, che ottengono il tre per cento di stato di rifugiato e il cinque per cento della protezione sussidiaria, e che dunque sono prevalentemente migranti economici, dunque clandestini. I numeri ci dicono che i pakistani sbarcati nel 2016 sono molti meno (il 20 per cento) rispetto a quelli che hanno chiesto asilo: 2.770 sono sbarcati, 13.510 hanno richiesto asilo nel 2016. Sono forse stati paracadutati nel nostro Paese? No. Qual è allora la motivazione? Percorrendo la rotta dei Balcani – che quindi non è totalmente interrotta, nonostante noi Europa, noi Italia, diamo sei miliardi al sultano Erdogan per bloccarla – i pachistani e altri migranti, venendo dal Medio Oriente, passano attraverso i confini terrestri, soprattutto austriaco e sloveno, che sono Paesi di area Schengen, che dunque non sono controllati.
Dove emerge con tutta forza il lato più significativo dell’emergenza?
È nel sistema di accoglienza, che registra una situazione che diventa ogni giorno sempre più esplosiva. Elevati ingressi più foto segnalamenti a tappeto che ci ha imposto l’Europa, hanno determinato un’esplosione dei numeri che sta facendo collassare il sistema di accoglienza dove vengono assistiti i sedicenti profughi.
Alla fine del 2013 erano 22.000 nel sistema di accoglienza; a fine 2014 erano 66.000, a fine 2015 erano 104.000, alla fine dello scorso anno 176.000, con spese enormi a carico del nostro Paese; spese passate da 1,6 miliardi del 2013, con un contributo dell’Unione europea di soli 100 milioni di euro, a 4 miliardi del 2016, con soli 112 milioni di contributo dell’Unione europea: un contributo che non si avvicina neanche a meno del 3 per cento del costo complessivo.
L’impatto fiscale dell’emergenza migranti tocca quasi lo 0,3 per cento del nostro PIL; oltre il 60 per cento di questi 4 miliardi è speso per l’accoglienza: un esborso con spreco enorme di risorse. È una follia.
Assistiamo al fatto che per un periodo medio di due o tre anni (a volte anche quattro) ci sono molte persone che per l’80 per cento non hanno diritto alla protezione internazionale, con l’automatica conseguenza che l’80 per cento dei posti nel sistema di accoglienza (quasi 140.000) è dato da strutture temporanee, case private o condomini, alberghi, resort gestiti da cooperative in odore di affari o da albergatori falliti, spesso individuati dai prefetti che scavalcano i sindaci. Tutto ciò avviene con costi economici e sociali enormi, incombenze enormi per i Comuni“.
- Insomma: nella “filiera” industrializzata della importazione di immigrati,che all’80% compiono accessi illegali nel nostro territorio, i costi, sono altissimi: certamente nella fase di trasporto via mare, che viene generosamente privatizzata da organizzazioni che prescelgono la destinazione-Italia, a prescindere dai presupposti effettivi e dalla corretta applicazione dello sbandierato “diritto del mare”.
Se mi muovo su segnalazione di chi si è posto in navigazione, entro le acque sovrane libiche,già sapendo che non sarà in grado di navigare fino alla (unica) destinazione prescelta,l’Italia, si tratta visibilmente di un espediente.
Non è salvataggio, ma l’utilizzazione programmatica di più vettori, in oggettivo coordinamento tra loro, per una destinazione predeterminata e avulsa dalle regole del diritto del mare: le mete portuali più prossime, Tunisia e Malta, paiono infatti ignorate dai “salvatori-secondo-il-diritto-del-mare”che navigano allo scopo esclusivo, e dichiarato, di andare a raccogliere chi si mette in mare solo per finire in pericolo e essere “salvato”!
E questo meccanismo, dunque, nulla ha a che fare coi criteri di accidentalità del soccorso da apprestare in mare, e tantomeno coi criteri di prossimità in cui si sviluppa normalmente il soccorso “accidentale” e non predisposto; è, cioè, un “soccorso” apprestato da parte di chi abbia, come privato, un’unica ragione per navigare: quella di stazionare nei pressi delle acque territoriali libiche per completare la tratta illegalmente intrapresa e segnalata dagli scafisti o, per essi, dai passeggeri “addestrati” dei gommoni!
3.1. Ma il fatto saliente, al di là della totale anomalia del meccanismo di trasporto di massa chiamato forzatamente salvataggio (se si ha riguardo alle invocate regole dei “diritto del mare”), è che, solo per il segmento della fase di entrata-trasporto entro il territorio nazionale, dal mare, dei soggetti privati sostengono costi altissimi.
E quindi, posto che il finanziamento ufficiale UE copre, a malapena, meno di un terzo dei costi complessivi, e che ragionevolmente appare esclusivamente un (limitato) cofinanziamento della spesa sostenuta dal nostro Stato, chi li finanzia?
E’ credibile che, in un’€uropa afflitta dalla disoccupazione strutturale più alta dalla fine della seconda guerra mondiale e dalla deflazione salariale che l’accompagna in termini di calo dei salari e della capacità di spesa della maggior parte della popolazione, questi finanziamenti siano attinti da spontanee, costanti e ragguardevoli microdonazioni di cittadini privati?
- E poi: non è strano che, registrandosi all’interno dell’€uropa, un un crescendo preoccupante di povertà assoluta, i cittadini comuni, pur impoveriti(tranne una fascia di elite sempre più ristretta e ricca), sentano la spinta umanitaria soltanto per coloro che risiedono in altri paesi e considerino con indifferenza la povertà di chi gli sta accanto e condivide, con loro, l’appartenenza alla stessa comunità sociale e territoriale?
Ma se non appare verosimile che siano le spontanee e straordinariamente costanti donazioni dei cittadini privati a garantire l’altissimo livello di finanziamento delle operazioni navali delle ONG, almeno finchè non sia compiuta un’operazione di oggettiva e doverosa trasparenza sui loro bilanci, la domanda è non tanto “chi veramente le finanzi”, ma “perché le finanzi”.
- Se la finalità delle ONG nord-europee, come per lo più risultano essere, fosse umanitaria, cioè di sollievo della condizione di povertà, anche considerata in chiave internazionale, avrebbero come logico e immediato scenario quello di soccorrere la massa crescente dei poveri assoluti che si sta inarrestabilmente stabilizzando in €uropa, (e proprio in paesi (€uropei) diversi da quelli in cui hanno sede le ONG, le ONLUS e le associazioni internazionaliste della “solidarietà”).
Magari, se queste attivissime protagoniste del tanto vagheggiato “terzo settore”, avessero pure un’etica incline all’analisi veritiera dei fatti, non farebbero solo azioni assistenziali sugli effetti della povertà, ma si attiverebbero per rimuoverne le cause; cioè, denunziando l’austerità fiscale che disattiva il welfare pubblico, mediante la riduzione dei deficit pubblici e della relativa spesa, considerata, dalle istituzioni UE e dai governi ad esse obbedienti, improduttiva; una riduzione che è alla base di questa stessa dilagante povertà.
- Ma né questa azione assistenziale riguardante i cittadini poveri €uropei, né questa denunzia delle sue cause notorie ed oggettive, appaiono minimamente interessare l’azione delle ONG “umanitarie”.
Forse i diritti umani, prima di tutti quelli all’esistenza libera dalla miseria che, un tempo, in €uropa si connetteva alla dignità del lavoro, non pertengono anche ai disoccupati degli Stati mediterranei coinvolti nell’eurozona e ai loro figli (ammesso che non ci si debba curare dellecause, altrettanto chiare, per chi vuole spiegarsele, della crisi demografica €uropea, v. p.2, dopo 30 anni di feroci politiche deflazioniste e di liberalizzazione del mercato del lavoro)?
6.1. Eppure la situazione della povertà assoluta, in €uropa, non può non essere definita allarmante, per chi avesse qualche minima razionale preoccupazione per le popolazioni che gli vivono accanto:
Uno dei misuratori indiretti della crisi in corso e delle diseguaglianze in crescita da decenni è senz’altro quello delle povertà.
Guardando agli ultimi dati Istat, in Italia balza agli occhi il livello raggiunto dalla povertà assoluta. Che è poi quella povertà più radicale, perché se quella relativa si misura sul reddito medio, quella assoluta ha a che fare con i beni essenziali per la vita e la sopravvivenza.
Negli ultimi dieci anni mai si era registrato un dato simile in relazione ai singoli individui: nel 2015 sono 4.598.000, il 7,6% della popolazione, erano il 6,8% nel 2014. Sotto il profilo della povertà relativa, la cui soglia nel 2015 è attestata su 1.050,95 euro per due persone, i dati non sono più confortanti: anche qui crescono proporzionalmente di più i singoli delle famiglie, rispettivamente 8.307.000 (il 13,7% del totale, era il 12,9% nel 2014) e 2.678.000 famiglie, il 10,4% (era il 10,3%).
Una disamina approfondita delle povertà in Europa e in Italia è contenuta nel nuovo Rapporto sui diritti globali.
Il Rapporto sui diritti globali, realizzato dalla associazione Società INformazione e dalla suaredazione, promosso dalla CGIL, nel suo ultimo volume, il 14°, giunto da poco in libreria, contiene come sempre un capitolo dedicato al tema delle politiche sociali, curato da Susanna Ronconi. Il Focus del capitolo quest’anno è dedicato alle diseguaglianze nella salute.
Proponiamo qui un estratto dalla sezione del capitolo Il Contesto.
Qui scaricabili l’indice generale del volume, la prefazione di Susanna Camusso e l’introduzione di Sergio Segio.
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L’economia non decolla, il welfare non tutela
Con buona pace per l’obiettivo di lotta alla povertà della strategia comunitaria Europe 2020 – ridurre di 20 milioni il numero degli europei a rischio povertà ed esclusione entro lo scadere del 2020 – il trend è sostanzialmente stabile, il minimo decremento medio dello 0,1% registrato nel 2014 rispetto all’anno precedente viene infatti dopo la netta e costante crescita nel periodo 2009-2013, e non riesce a recuperare i valori pre-crisi: nell’Unione Europea con 28 Paesi membri (UE28) è povero (in relazione a tutti e tre gli indicatori AROPE, rischio povertà, deprivazione materiale e bassa intensità lavorativa) il 24,4%, 122 milioni di persone, nel 2008 era 23,8%.
I dati più negativi sono in Romania (40,2%), Bulgaria (40,1%) e Grecia (36%), tuttavia mentre i primi due Paesi hanno un tasso elevato ma in calo rispetto al 2013, la Grecia – sottoposta come noto al Memorandum della Troika – registra un incremento anche nell’ultimo anno, dopo un trend in impressionate escalation tra il 2008 e il 2014: +7,9%.
I Paesi con meno poveri sono Repubblica Ceca (14,8%), Svezia (16,9%), Olanda (17,1%), Finlandia (17,3%) e Danimarca (17,8).
L’Italia si colloca in posizione critica, con il 28,3%, 4 punti sopra la media UE28, ed è uno dei Paesi, insieme a Grecia, Spagna, Cipro, Malta e Ungheria, che dall’anno della crisi ha registrato un costante aumento delle povertà, con +2,8%. Segno non solo di una economia che non decolla, ma anche di un sistema di welfare che non tutela e non bilancia gli effetti sociali della crisi.
Secondo un trend ormai purtroppo consolidato, sono bambini e ragazzi under18 a essere maggiormente penalizzati: sono poveri nel 27,8% dei casi, oltre 3 punti in più del dato medio, con gli usuali picchi di Romania e Bulgaria (51% e 45%), ma anche con i dati di Ungheria (41,4%), Grecia (36,7%), Spagna (35,8%). I fattori che più espongono i minori alla povertà sono la posizione occupazionale dei genitori, il loro livello di istruzione, la numerosità del nucleo famigliare e l’accesso a misure di sostegno e servizi; in maggiore svantaggio anche i figli di immigrati“.
- Questo la mappa EUROSTATsul rischio povertà nel continente europeo:
Questa, oltretutto, è una situazione che, proprio per i cittadini europei, è senza futuro: il futuro, cioè i bambini di oggi, appare sempre più compromesso dalla emarginazione, dalla miseria materiale e culturale, a cui sono esposti come destino esistenziale immutabile, in numeri che risultano sempre più spaventosi:
7.1. Notare che, se per paesi come quelli dell’Europa orientale, questa situazione di diffusa povertà assoluta è notoriamente “derivata” dal passaggio ormai ultraventennale all’economia di mercato – il che fa già dubitare della sua efficacia nel determinare l’innalzamento costante del benessere e dell’equità sociale- per il meridione italiano, quello spagnolo e per la Grecia, si tratta di una condizione obiettivamente indotta dalla moneta unica, e precisamente dalle politiche fiscali considerate TINA per il suo mantenimento.
Dunque, una condizione non solo auspicata e ritenuta tecnicamente e eticamente giusta dalle istituzioni UEM, ma anche destinata a strutturarsi e, viste le ulteriori raccomandazioni fiscali che vengono date ai paesi appartenenti all’eurozona, ad aggravarsi.
Certamente, e in modo sensibile, non appena si manifestasse una qualche crisi esogena (o endogena) di tipo finanziario, come già nel 2008, alla quale si risponderebbe, per vincolo normativo supremo scolpito nella pietra dei (vari) trattati €uropei, con dosi aggiuntive di austerità fiscale.
- Dunque, queste ONG internazionaliste non sentono alcuna esigenza prioritaria di rivolgere le loro attenzioni umanitarie ai poveri greci, spagnoli o italiani (o almeno bulgari e rumeni)?
Non si rendono conto che entrare pesantemente nella catena di montaggio dell’importazione massificata di ulteriori poveri, da insediare proprio nei territori di paesi così provati dall’austerità fiscale e dalle infinite riforme strutturali impoverenti, aggrava la situazione di una parte così consistente dei loro “concittadini” europei e rende sempre più disperata la situazione di bambini (bambini!) europei in povertà assoluta, giunti, nell’area emergenziale del mediterraneo, – proprio quella in cui operano per immettere i nuovi disperati, la cui presenza aggrava la situazione di impotenza fiscale degli Stati ad intervenire-, a percentuali di oltre un terzo della popolazione infantile?
8.1. Non sarebbe il caso, anzitutto, di soccorrere queste fasce di popolazione autoctona, stabilizzare il benessere sociale nei paesi europei, proprio per poi consentire, anche agli immigrati dall’Africa e dalle zone più povere dell’Asia, di avere in €uropa, tutti insieme e in una condizione di effettiva sostenibilità sociale, un futuro che non sia di scontro permanente tra masse di miserabili in inevitabile attrito fra loro?
Non si rendono conto che ammassare poveri in zone dove disoccupati e poveri “autoctoni” sono già un problema drammatico e, nel paradigma istituzionale €uropeo, irrisolvibile, non significa “salvare vite umane” – e già i numeri dei morti in mare danno torto a questo fine salvifico e ricattatorio contro ogni buon senso-, ma innescare la situazione esplosiva di una miseria a livelli ottocenteschi che pareva sconfitta in €uropa?
E fu sconfitta per buone ragioni, completamente dimenticate dalle ONG e dalle istituzioni UE: dopo la seconda guerra mondiale, per l’affermarsi delle democrazie sociali in cui l’intervento dello Stato, garantiva lo sviluppo armonico del capitalismo, coniungandolo con la priorità dell’occupazione e della tutela pubblica, cioè democratica e legalmente prevista, dei più deboli (che sono i lavoratori e le loro famiglie).
- Evidentemente non sono interessate a rendersene conto: la cultura delle ONG è improntata, rispetto a questo tragico scenario, che in Europa non ha mai condotto a nulla di buono, alla più totale indifferenza.
E se c’è questa programmatica, anzi, organizzata, indifferenza, rimane il pesante interrogativo: perché le ONG, e cioè i misteriosi finanziatori privati che le istituiscono, e che inevitabilmente appaiono essere soggetti economicamente molto forti (non certamente identificabili con i cittadini medi impoveriti, il cui contributo non pare obiettivamente sufficiente a giustificarne gli imponenti strumenti di azione organizzata) operano in questo modo?
Perché i sottostanti finanziatori, che normalmente si muovono secondo la logica dell’investimento rapportato al rendimento finanziario più profittevole, compiono, in definitiva, questo tipo di “investimenti” nella miseria e nella destabilizzazione sociale di un intero continente?
http://orizzonte48.blogspot.com/2017/04/ong-chi-le-finanzia-veramente-e-perche.html
DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI
MA QUANDO I FARABUTTI STANNO DENTRO L’APPARATO DELLO STATO E’ UNA PARTITA CON LE CARTE TRUCCATE
Danilo Bonelli 27 12 2018
Così non vale …. Quando chi dovrebbe tutelare e difendere i cittadini onesti se la fa con i delinquenti è una partita persa in partenza.
In provincia di Pisa un profugo africano del Gambia ospite di un centro gestito dalla Croce Rossa era stato colto in flagrante mentre spacciava marijuana che coltivava personalmente.
Il Prefetto aveva pertanto ravvisato nel suo comportamento la decadenza dallo status di rifugiato, disponendone l’espulsione.
Ma ormai sappiamo bene che dietro gli immigrati c’è una vasta rete di fiancheggiatori che garantiscono loro ogni sorta di sussidio e di assistenza, inclusa quella legale.
E così il gambiano ha fatto un ricorso al TAR che lo ha accolto con la pretestuosa motivazione di “debolezza delle accuse”, restituendogli la condizione di rifugiato e disponendo pure che le spese legali siano a carico dello Stato italiano.
Non è certo la prima volta che un Organo della cosiddetta giustizia rimette subito in libertà un delinquente, mandando in fumo il lavoro delle Forze dell’ordine ed umiliando gli operatori di Polizia e Carabinieri.
Ma stavolta si è voluto aggiungere anche la beffa, lo schiaffo allo Stato e ai cittadini.
Questi signori indossano la toga ma non sono magistrati … questi sono eversori che attentano all’ordine costituito, che sabotano il funzionamento delle istituzioni … guastatori che a sommo studio creano lo sconcerto e il disorientamento dell’opinione pubblica allo scopo di destabilizzare le fondamenta della società civile.
Ovviamente questo provvedimento del TAR è stato immediatamente impugnato ma intanto del gambiano non c’è più traccia, è sparito nel nulla, e così lo scopo è stato raggiunto.
Eccoci dunque arrivati per le vie brevi alla realizzazione del disegno del Sindaco di Riace Mimmo Lucano e di tutta quella banda di suoi fiancheggiatori: “per motivi umanitari è moralmente giusto violare le leggi che non sono giuste” …. eccoci dunque arrivati anche a questo.
Si decide da soli in assoluta discrezionalità cosa sia giusto e cosa non lo sia, decidendo di volta in volta e caso per caso se rispettare la legge o meno.
Intuibile l’arbitrarietà di una simile interpretazione che fa venir meno il concetto stesso dello Stato di diritto e di un principio cardine della giurisprudenza di ogni tempo: ubi societas ibi ius.
Già….ma al tempo degli antichi romani chi tramava contro lo Stato veniva esiliato o condannato a morte …. oggi invece siede in Parlamento, indossa la toga del giudice o la fascia da Sindaco oppure dice Messa o benedice dal balcone…..i tempi sono cambiati.
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Nascondeva clandestini nei materassi, fuggito trafficante in Spagna
La polizia di frontiera spagnola scopre per la prima volta, stando alla stampa locale, questa nuova modalità di introduzione clandestina: immagini condivise dal senatore spagnolo Jon Inarritu
Federico Garau – Mer, 02/01/2019
Un nuovo ingegnoso sistema per favorire il superamento dei confini europei ed introdurvi clandestinamente stranieri è stato scoperto e sventato in Spagna dagli uomini della Guardia Civil.
I due extracomunitari, provenienti da paesi dell’Africa sub-Sahariana, sono stati individuati e tratti in arresto dalle guardie di frontiera grazie ad un posto di blocco. Il controllo era stato approntato tra il territorio della città autonoma spagnola di Melilla, situata sulla costa nordafricana, ed il Marocco.
Stando a quanto riportato dalla stampa spagnola, sarebbe la prima volta in cui il sopra menzionato metodo viene scoperto dalle autorità di confine. Il timore è che da tempo i trafficanti di esseri umani avessero adottato questa strategia per favorire l’immigrazione clandestina, ragion per cui l’allarme e l’attenzione sulle nuove tattiche di intrusione abusiva in Europa torna ad essere alto.
Gli agenti della Guardia Civil, dopo aver notato qualcosa che non andava in quel bagaglio sospetto, hanno scaricato due materassi dal tettuccio di un furgone e poi li hanno aperti con l’ausilio di un coltello. Al loro interno due uomini, trovati comunque in buono stato di salute, cosa che non ha reso necessario l’intervento sul posto dei soccorsi.
Niente da fare, invece, per quanto riguarda il conducente della vettura che trasportava i clandestini in territorio spagnolo. Non appena si è reso conto di ciò che sarebbe successo di lì a poco è fuggito a tutta velocità facendo ritorno entro i confini del Marocco.
Padre Livio Fanzaga a Pietro Senaldi: “Immigrati e Islam, cosa deve fare l’Europa per salvarsi. E Salvini…”
Ne converte più Radio Maria del Papa. Non è un’affermazione blasfema. La radio mariana, nata nel 1982 come emittente parrocchiale ad Arcellasco d’Erba, paesino del Comasco, oggi fa sei milioni di ascoltatori al giorno, anche grazie alla ricezione perfetta su tutto il territorio nazionale. Ha scopo prettamente di evangelizzazione ed è un baluardo di fede per i cattolici tradizionali. A lei fa capo un network che nel mondo conta 78 emittenti che raggiungono un pubblico di 35 milioni di persone. Il dominus e direttore è Padre Livio Fanzaga che raramente si concede ai colleghi.
Padre Livio, perché le persone vanno sempre meno in chiesa?
«È un fenomeno che riguarda soprattutto l’Occidente, dove la visione atea e materialistica della vita è divenuta la religione di massa. Ciononostante, non mancano le minoranze fervorose e le conversioni. All’ uomo non basta vivere. Ha bisogno di dare un senso e un valore alla vita che vada oltre l’effimero».
Cosa direbbe a un agnostico che le si apre per avvicinarlo alla Chiesa?
«Ogni uomo ha fame di “Assoluto” nel senso che desidera un amore eterno, una felicità piena, una verità che illumini il mistero della vita. Gli direi di ascoltare il suo cuore, perché c’ è una riposta a questi desideri. Gli direi che “Qualcuno” lo cerca e lo chiama. Al momento opportuno gli parlerei di Gesù e del mio incontro con Lui».
Com’è cambiato il modo degli italiani di essere cattolici?
«Anche in Italia si è fatta sentire la secolarizzazione, ma meno che altrove, perché è un paese ricco di spiritualità mariana e molti italiani hanno risposto alla chiamata della Madonna a Medjugorje».
Quali preoccupazioni e speranze le affidano i suoi ascoltatori?
«Radio Maria è una radio che chiama alla conversione. È incredibile il numero di persone che danno testimonianza del loro ritorno alla fede grazie all’ ascolto di Radio Maria. Quando si crede in Dio e si prega, non si ha paura del futuro e si affronta con più coraggio il presente».
L’ oratorio è ancora il miglior luogo dove un giovane possa formarsi? Perché?
«L’ Italia ha una storia straordinaria in questo campo, che viene da molto lontano. L’ oratorio è un’esperienza comunitaria completa, che propone valori e attività che coinvolgono la gioventù. Oggi ci sono purtroppo meno preti, ma c’ è più collaborazione da parte delle famiglie».
Questo Pontificato è in una fase di stanca o è solo una impressione esterna?
«Tenere a galla la Barca di Pietro sulle onde tempestose del nostro tempo è un’impresa ardua. Però sulla barca ci siamo tutti. Per questo dobbiamo aiutare il Papa e pregare per Lui».
Perché Papa Francesco non è gradito a una buona parte dei cattolici tradizionali?
«Da quando sono andato in seminario dei Padri Scolopi a Roma, dal 1957 fino ad oggi, ho sempre seguito da vicino la vita della Chiesa e ho notato che il Papa non ha mai avuto vita facile, non solo a causa degli attacchi esterni alla Chiesa, ma anche e soprattutto a causa di quelli interni. Come è noto il diavolo non dorme, ma Gesù ci ha assicurato che “non praevalebunt”».
Perché piace alla sinistra?
«Il mondo si fa gli affari suoi, ma la Chiesa non è di questo mondo. Mai dimenticare quelli che la Domenica delle Palme cantavano Osanna e il venerdì Santo gridavano Crucifige».
Tempo di bilanci: quanto è differente e in cosa rispetto al Papa emerito Ratzinger?
«Sono personalità diverse, ognuna di grande rilievo. Ratzinger è un Maestro nella fede ed è formidabile nella lettura teologica del nostro tempo. Francesco è il Papa delle moltitudini, con quella capacità di attirare le persone che tanto ci aveva colpito in Papa Giovanni».
Quale eredità lascerà?
«Lo dirà la storia. All’orizzonte ci sono i segreti di Medjugorje, durante i quali “La Madonna cambierà radicalmente il mondo”, come afferma la veggente Mirjana. Per ora penso che la straordinaria attenzione di Francesco verso la povera gente sia la sua più preziosa eredità».
Perché la Chiesa non denuncia con più forza il massacro dei cristiani nel mondo?
«La denuncia è necessaria, ma serve a poco. Serve molto invece che la Chiesa non lasci cadere nell’ oblio le moltitudini di martiri dei tempi moderni e ne conservi la memoria a gloria di Dio e per la propria edificazione spirituale».
Uno degli obiettivi del Pontificato era l’evangelizzazione dell’Africa: il piano sta fallendo?
«L’ Africa è il continente dove ci sono più conversioni alla Chiesa Cattolica e anche Radio Maria vi contribuisce con 21 emittenti e 20 stazioni in lingua locale. I cattolici africani sono molto attivi e nell’ ultimo secolo hanno conseguito risultati straordinari. L’ Africa è una grande speranza della Chiesa».
Ritiene l’Islam una minaccia per il cristianesimo?
«L’ Islam è nato per sostituire tutte le altre religioni, compreso il Cristianesimo. La sua fede e la sua storia lo dimostrano. Ora però i musulmani devono adeguarsi a convivere in una società multireligiosa. La minaccia per il Cristianesimo sono i cristiani che tradiscono la loro fede».
Perché l’ islam continua a incrementare il numero di adepti e il cattolicesimo no?
«La fase attuale di espansione islamica è dovuta in primo luogo al tasso di natalità. Ma nel prossimo futuro sarà il cattolicesimo a trionfare nel mondo, perché l’ umanità si renderà conto che sarà la Madre di Gesù a salvarla, nel tempo in cui si realizzeranno i segreti di Medjugorje».
Temi etici: nozze gay, adozioni gay. È il momento che la Chiesa si apra a queste nuove realtà?
«La Chiesa deve tenere salde le fondamenta della creazione, che sono l’ uomo e la donna chiamati a collaborare con Dio creatore nella trasmissione della vita, attraverso quel patto di amore fedele e indissolubile che sono il matrimonio e la famiglia. Se dovesse mancare la testimonianza della Chiesa, chi e che cosa farebbero da argine al caos?».
Fecondazione, eutanasia: che male c’ è nel cercare di realizzare i propri sogni o nel voler porre fine alle proprie sofferenze?
«Il cristiano sa che la vita è un dono che è stato affidato alla sua responsabilità nella luce del progetto di Dio creatore. Chi non crede ritiene che la vita sia sua e che ne può fare quello che vuole. Su questa strada va incontro a sofferenze senza speranza».
Al mondo siamo troppi: la prossima battaglia umanitaria è il controllo delle nascite e la prevenzione anticoncezionale?
«Meglio non fare calcoli e non guardare troppo in là. Il mondo è a rischio di autodistruzione, ma non a causa delle troppe nascite. Il futuro è pieno di punti interrogativi».
Scandalo pedofili: quanto ha fatto male e quanto può fare ancora male alla Chiesa?
«Sarebbe imperdonabile chiudere gli occhi e sottovalutare un male così grave, che va estirpato senza esitazione, ma che va anche prevenuto attraverso un cammino formativo nei seminari. Ritengo tuttavia che i disordini morali manifestino una crisi profonda della fede».
Perché Wojtyla coprì e perché è un fenomeno tanto diffuso, anche nelle alte gerarchie? Cosa dovrebbe fare il Papa per fermarlo?
«Credo che la Chiesa sia rimasta sorpresa, quasi impreparata dinanzi a un fenomeno così esteso, almeno in alcuni paesi. Il male, per essere fermato, deve essere in primo luogo riconosciuto come tale e questo vale non solo per la pedofilia ma anche per la pratica omosessuale da parte di consacrati che, fra l’altro, hanno fatto il voto di castità».
Qual è l’atteggiamento corretto verso il fenomeno dell’immigrazione non qualificata dalle zone povere del mondo?
«Il fenomeno migratorio è complesso. L’ importante è che sia governato dalla partenza fino all’ arrivo. Bisogna che gli Stati stronchino le organizzazioni criminali e prendano in mano la situazione».
Comprende le paure della gente? Perché i credenti e la Chiesa sono così divisi sul punto?
«L’ Italia ha manifestato nei decenni scorsi una grande apertura ai migranti, come dimostra il numero delle persone provenienti dall’ Albania, dalla Romania, dalle Filippine Negli ultimi anni si è assistito a una migrazione disordinata e ingovernabile attraverso il Mediterraneo che, anche con l’esplosione del terrorismo islamico, ha allarmato la gente. In ogni caso il Papa ha più volte ripetuto che l’accoglienza va fatta con prudenza».
Quanto si avverte a livello sociale la mancanza di un partito d’ ispirazione cattolica in Parlamento?
«È importante che ci siano tanti cattolici in politica e che siano coerenti con i nostri valori. In passato il partito di ispirazione cattolica non è stato molto coerente».
Ha apprezzato Salvini quando ha esibito rosario e vangelo in piazza?
«Salvini, secondo l’opinione comune, è un politico che sa il fatto suo… In quell’ occasione però mi è sembrato sincero, anche perché in Italia i politici cattolici fanno a gara a nascondere le loro convinzioni religiose».
Perché una parte della stampa e del mondo cattolico si scaglia con così tanta forza contro il leader leghista, paragonandolo addirittura a Satana?
«La politica è l’arte del governare. Demonizzare gli avversari non serve a niente. Bisogna invece dimostrare di governare meglio di loro. Le persone in politica si giudicano da quello che fanno».
Sono crollati i partiti che hanno retto l’Italia negli ultimi 25 anni, ora ce n’ è uno nuovo (M5S) e uno che si è profondamente rinnovato (Lega). Questa rivoluzione: durerà o arriverà la restaurazione?
«In Italia le rivoluzioni non sono di casa. I partiti al governo hanno incanalato il malcontento di un Paese uscita dalla crisi con i poveri raddoppiati. C’ è da augurarsi che riescano a fare qualcosa di buono».
È opinione comune che l’Occidente sia in crisi perché non ha retto la globalizzazione che ha innescato: cosa possiamo fare per rimediare?
«L’ Occidente ha incrementato il progresso tecnico ma ha perso l’anima. Si trova in una situazione pericolosa, perché per un mondo senza Dio non c’ è futuro. L’ Occidente si salva se ritorna alle radici cristiane».
Ritiene che l’Europa dovrebbe ancora ispirarsi ai principi giudaico-cristiani o è giusto sia totalmente laica?
«L’ Europa unita è un grande valore e può assumere di nuovo un ruolo da protagonista per il futuro. Devo però riscoprire gli ideali ne hanno fatto un faro nel mondo».
Cosa pensa di Paesi come Ungheria e Polonia che all’ interno della Ue rivendicano con forza la propria cultura cristiana?
«Salvano se stessi e aiutano l’Europa a salvarsi. Anche l’Italia deve fare lo stesso».
di Pietro Senaldi
ECONOMIA
Procedura di infrazione
Avv. Giuseppe PALMA
Francesco Amodeo 01 01 2019
“Il Presidente della Repubblica, come dimostra il tweet del Quirinale, afferma: “Aver scongiurato la apertura di una procedura di infrazione, da parte dell’Unione europea, per il mancato rispetto di norme, liberamente sottoscritte, è un elemento che rafforza la fiducia e conferisce stabilità”.
Occorre essere precisi.
La procedura di infrazione, dal 2012 in avanti, non riguarda più il mancato rispetto dei parametri di Maastricht (quelli, sì, sottoscritti liberamente), bensì gli ancor più stringenti parametri dettati dal Fiscal compact, un Trattato intergovernativo sottoscritto il 2 marzo 2012 da 25 Stati dell’Unione europea (per il nostro Paese c’era il governo Monti).
Quantomeno per l’Italia non fu un Trattato sottoscritto liberamente, ma sotto il ricatto e l’imbroglio dello spread in nome del quale fu giustificato – pochi mesi prima – un vero e proprio Colpo di Stato finanziario.
Dopo un mese e mezzo dalla sottoscrizione del Fiscal compact seguì la costituzionalizzazione del vincolo del pareggio di bilancio (Legge costituzionale n. 1/2012), deliberata in seconda approvazione con voto favorevole di Pd, Pdl, Udc e Fli sotto un vero e proprio ricatto sovranazionale, altro che “norme liberamente sottoscritte”! E la maggioranza dei due terzi dei componenti di Camera e Senato raggiunta in seconda approvazione evitò al popolo di esprimersi in un referendum confermativo.
Del resto, il vincolo del pareggio di bilancio inserito in Costituzione è frutto proprio di quanto previsto dal Fiscal compact, il cui mancato rispetto produce – in teoria – l’apertura della procedura di infrazione da parte della Commissione europea. Ma v’è di più. L’autorizzazione alla ratifica del Fiscal compact da parte del Parlamento italiano avvenne in appena una settimana nel mese di luglio del 2012, senza alcuna discussione nel Paese e in un periodo in cui lo spread era tornato – nonostante la cura da cavallo del governo Monti – oltre i 500 punti base.
Non si tratta quindi, caro Presidente Mattarella, di “norme liberamente sottoscritte”.
Altro non aggiungo perché voglio evitare ogni tipo di polemica.”
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Reddito di cittadinanza, altro che “prima gli italiani”: andrà anche agli stranieri
Di Adolfo Spezzaferro – 2 Gennaio 2019
Il governo gialloverde erogherà il reddito di cittadinanza (misura-bandiera del Movimento 5 Stelle) anche agli stranieri. Sebbene nei mesi scorsi questa notizia sia stata sempre smentita, in verità il sostegno economico andrà anche agli immigrati.
Il capo politico del M5S, Luigi Di Maio, lo scorso settembre aveva chiarito: “Pensare di poter individuare una platea straniera nel reddito di cittadinanza inevitabilmente significa, da subito, che non puoi prevedere la spesa perché la spesa la prevedi in base alla platea”. E ancora: “È chiaro anche che in Italia ci sono 10 milioni di persone sotto la soglia di povertà relativa e quando dico che a 5 milioni deve andare il nostro primo obiettivo, mi rivolgo a quella parte di cittadinanza italiana che è in difficoltà in questi 10 milioni”.
A maggior ragione, il concetto era stato ribadito dal leader della Lega, Matteo Salvini: “Che il reddito di cittadinanza sia limitato ai cittadini italiani è una precisazione che come Lega abbiamo accolto con grande piacere perché di regalare altri soldi agli immigrati che vagano per l’Italia non avevamo voglia”.
Sempre Di Maio, poco dopo, ribadiva: “La manovra darà il reddito di cittadinanza a tutta la platea, esclusi gli stranieri. La proposta l’avevamo già cambiata nel 2015, tenendo dentro i migranti ci avrebbe fatto saltare i conti. Ma il reddito spetterà ai residenti in Italia da dieci anni”.
Ora però è chiaro come stanno veramente i fatti. Il reddito di cittadinanza andrà anche ai cittadini stranieri residenti in Italia da almeno cinque anni. Almeno così risulta da una bozza tecnica che circola online dal 31 dicembre, in cui si legge che la misura riguarderà i nuclei familiari più in difficoltà, “compresi quelli di stranieri se residenti da almeno 5 anni e in possesso di permesso di soggiorno“.
Fa specie che un governo che – soprattutto sul fronte leghista – ha sempre ripetuto lo slogan sovranista “Prima gli italiani“, ha invece dato la precedenza prima ai diktat dell’Ue sul fronte del deficit, riducendo le risorse a disposizione, per poi aggiornare – ad insaputa dei cittadini – le misure economiche, mettendo sullo stesso piano italiani e stranieri.
Vediamo nel dettaglio come funzionerà il reddito di cittadinanza. Un tetto di reddito e uno per il patrimonio immobiliare e il conto in banca, non solo personale, ma di tutta la famiglia. Ci sono anche le norme contro i furbetti, come i falsi divorziati, e poi gli obblighi per continuare a beneficiare dell’assegno. Sono questi i criteri per beneficiare del sostegno, che sarà erogato a partire da aprile.
I paletti per accedere al sostegno destinato alle famiglie più indigenti – stabilite sulla base della dichiarazione Isee e del conto in banca – e ai disoccupati che si impegnano a trovare lavoro, sono per ora definiti in una bozza del decreto attuativo che verrà discusso a metà gennaio.
La relazione tecnica allegata alla bozza del decreto identifica 1 milione 375 mila nuclei familiari come possibili beneficiari, secondo i requisiti fissati, del reddito di cittadinanza. Tra queste famiglie, quelle composte da stranieri regolari in Italia da più di cinque anni sono circa 200 mila, circa un sesto. Non sono spiccioli, insomma.
Vedremo se Di Maio e Salvini torneranno sui loro passi, escludendo gli stranieri nel decreto attuativo su cui si stanno confrontando (i soldi sono pochi e c’è da coprire anche quota 100, misura-bandiera del Carroccio) o se alla fine il reddito andrà a tutti.
PANORAMA INTERNAZIONALE
Mustafa Kemal Atatürk
DA LUCIANO PELLICANI:
Come non dare ragione a Vladimir Putin quando, parlando dell’attuale Turchia, dice che Mustafa Kemal Atatürk si sta rivoltando nella tomba. In effetti, non pochi sono i sintomi che indicano che Recep Tayyip Erdogan sta tradendo l’eredità politica e culturale del grande fondatore della Turchia moderna. Una eredità centrata sull’idea che il popolo turco doveva mostrarsi degno di far parte della civiltà occidentale adottando le sue istituzioni cardinali. La prima delle quali era la rigorosa laicità dello Stato. Di qui l’abolizione, nel 1923, del Califfato, e la proclamazione della libertà religiosa.
Appena un anno dopo, l’egiziano Al Bannah replicò alla decisione di Atatürk creando quella che è stata giustamente definita la “madre di tutti i fondamentalismi”: l’associazione dei Fratelli musulmani. Obiettivo dichiarato: restaurare la piena vigenza normativa della sharia – la Via di Allah – espellendo dal Dar al-Islam tutto ciò che sapeva di laicità e lanciando contro la civiltà occidentale – pagana e miscredente – una guerra santa di dimensioni planetarie. Sul punto, la prosa di Sayyid Qutb — il massimo teorico della Fratellanza islamica — non lascia dubbi di sorta: “L’islam è chiamato per necessità al combattimento, se vuole assumere il comando e la guida del genere umano… Essere musulmano significa essere un guerriero (mujahid), una comunità di guerrieri permanente in armi, pronti a mettersi a disposizione della volontà di Dio, ogniqualvolta lo richieda , poiché egli solo è il vero capo in battaglia. Beninteso, l’islam aspira alla pace, ma a causa dell’aggressione che esso subisce si trova costretto a scendere sul terreno della guerra e a utilizzare la forza militare”. Pertanto, il jihad era una guerra difensiva; più precisamente, una guerra imposta dall’aggressione occidentale. La quale non era solo politico-militare; era, prima di tutto e soprattutto, culturale. Essa – la civiltà occidentale – con le sue tecniche, le sue merci, le sue idee e le sue istituzioni sottoponeva la Umma – la comunità dei veri credenti – a una aggressione permanente, la quale, iniettando il bacillo della miscredenza, minacciava la purezza della fede. Di qui l’imperativo assoluto di lanciare una dichiarazione di guerra contro l’Occidente e i suoi falsi valori.
Secondo Franco Cardini, i fondamentalisti “non ci odiano perché siamo liberi; ci odiano perché presentiamo come libertà e progresso una realtà basata sull’ingiustizia e sull’immoralità”. Nulla di più lontano dalla realtà. Ci odiano – i fondamentalisti – perché siamo una civiltà secolarizzata, frutto della rivoluzione culturale operata dall’Illuminismo. E’ quanto ha dichiarato con la massima chiarezza Abbasi Madani, leader del Fronte islamico di salvezza (Fis), durante una intervista concessa a un giornalista francese: il peccato capitale dell’Occidente sta nel fatto che esso “ha rinnegato la Rivelazione, venerato la Ragione e adorato la Materia”. Di qui la richiesta, da parte dello stesso Madani, di elevare un’impenetrabile cortina per impedire la penetrazione della cultura laica nella Umma.
In effetti, tutto accade come se i popoli musulmani si sentissero aggrediti dalla smisurata potenza radioattiva della civiltà occidentale, la quale non conosce confini di sorta. Essa investe, con le sue molteplici radiazioni culturali, le culture-altre e le costringe a ideare una adeguata “risposta”. Quella di Atatürk fu tipicamente “erodiana”, quella di Khomeini, altrettanto tipicamente, “zelota”. E, infatti, è l’idea di separare il sacro dal profano che Khomeini non poteva tollerare. Dal momento che, per la Rivelazione coranica, la religione e lo Stato – din wa dawlah – sono un’unica realtà, ogni tentativo di separare il potere religioso dal potere secolare non può non essere considerato come un empio allontanamento Legge divina. Di qui la formula con la quale Khomeini sintetizzò il suo programma di restaurazione della purezza della sharia: “L’islam o è politico o non è”. Ciò significa che c’è una incompatibilità di principio fra l’islam e la Città secolare. Ed essa è così radicale da indurre Fatima Mernissi ad affermare che l’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani – “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione” – “è l’esatta definizione della Jahiliyya , il caotico mondo pagano precedente l’islam. Di qui il fatto che, ai nostri giorni, la libertà nel mondo arabo è sinonimo di disordine”.
Tutto ciò indica chiaramente che la reazione islamista contro l’Occidente non ha nulla a che vedere con l’ipocrisia dell’Occidente e le sue inadempienze. E’ strettamente legata al fatto che la nostra civiltà ha assunto marcati caratteri pagani. Ed è precisamente contro il neopaganesimo – id est, contro i valori della Città secolare – che i jihadisti sono scesi sul sentiero di guerra.
Ci troviamo di fronte a una guerra culturale fra due modelli di civiltà assolutamente inconciliabili: quello (ierocratico) della Città sacra e quello (laico) della Città secolare. E la superiorità di quest’ultima non va cercata nella potenza tecnologica, come ritiene – ancora una volta sbagliando – Cardini. Va cercata nella superiorità etico-politica dell’individualismo sul collettivismo liberticida dell’islam. Che è esattamente ciò che percepì con la massima chiarezza un giovane diplomatico turco davanti alla Esposizione che si tenne a Parigi nel 1878: “Quando alzate gli occhi verso questa affascinante esibizione del progresso umano, non dimenticate che tutte queste riuscite sono opera della libertà. E’ sotto la protezione della libertà che i popoli e le nazioni raggiungono la felicità. Senza libertà, non ci può essere sicurezza; senza sicurezza, non c’è sforzo; senza sforzo non c’è prosperità; senza prosperità, non c’è felicità”.
<< >> Chiara Desiderio 31 12 2018
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Per i (veri) sopravvissuti all’Olocausto, oltre il danno la beffa
Maurizio Blondet 28 Dicembre 2018
Paolo Sensini
In Israele c’è un problemino. Dalla fine della Seconda Guerra mondiale la Germania ha versato per i sopravvissuti ebrei dell’Olocausto circa 100 miliardi di dollari.
Una cifra esorbitante. Ora però questi sopravvissuti, che assommano ancora nel 2018 a un numero di circa 200mila persone, contestano allo Stato d’Israele di aver visto poco o nulla di quel fiume di soldi destinati loro dai tedeschi per oltre 70 anni.
In quali tasche sono dunque finiti e continuano a finire tale montagna di quattrini?
E perché la Germania sborsa ancora fondi se poi non giungono a coloro cui, in teoria, sarebbero destinati?
Misteri della fede.
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Belgio, fuorilegge le macellazioni religiose. Ebrei e islamici insorgono
Cristina Gauri – 2 gennaio 2019
Giro di vite sulle macellazioni kosher e halal in Belgio. Dal primo gennaio, macellare il bestiame senza prima stordirlo sarà severamente vietato. Questo provvedimento avrà, come ovvio, un serio impatto sulle produzioni di carne destinate al consumo di ebrei e musulmani, dal momento che entrambe le religioni prevedono che i fedeli mangino esclusivamente carne proveniente da bestiame sgozzato e dissanguato fino all’ultima goccia mentre esso è ancora cosciente.
Queste pratiche hanno da sempre comprensibilmente provocato l’indignazione degli animalisti, preoccupati per la sofferenza delle bestie sottoposte a questi riti. Il provvedimento, votato all’unanimità dai parlamenti regionali nel 2017, entra in vigore quest’anno. Come prevedibile, ha suscitato lo sdegno tra i membri delle varie comunità ebraiche e musulmane sparse per il paese. Il capo dell’Associazione dei Rabbini Europei, Pinchas Goldsmidth, ha stigmatizzato l’accaduto come “un triste giorno per gli ebrei d’Europa, un triste giorno per la libertà religiosa”.
Nei primi mesi del 2018 il governo regionale della Bassa Austria passò sotto le forche caudine, in patria e all’estero, in seguito alla proposta di limitare l’accesso alle carni kosher e halal: si parlò di istituire una sorta di “registro” degli acquirenti di dette carni e molti vi videro una sorta di revival delle leggi razziali. In Germania i metodi di macellazione religiosi sono generalmente proibiti, a parte qualche rara eccezione.
Il dibattito sulla restrizione di queste pratiche è attualmente in corso in Polonia, Olanda e Svizzera.
In Italia, la Lega ha presentato l’ottobre scorso due Ddl per annullare le eccezioni, di natura religiosa, che fino ad oggi hanno permesso ai musulmani di sgozzare senza stordimento gli animali destinati al macello.
Cristina Gauri
POLITICA
IL PAPA E IL PRESIDENTE: MESSAGGI INVERTITI
2 gennaio 2019
Boni!! State boni! … Questo il succo prevalente, sconcertante per la sua evasiva ovvietà, del messaggio augurale del Presidente Mattarella dopo un anno in cui le Istituzioni della Repubblica sono state sottoposte per le distorsioni gravissime operate nella crisi peggiore della storia della Repubblica a durissime umilianti prove. Del resto, una più forte denunzia, un più adeguato allarme avrebbe dovuto essere anche una denunzia di sé stessa.
Al contempo, l’anno nuovo è stato salutato da Papa Francesco, il “Papa di strada”, che già con il suo populismo “interreligioso” aveva dato motivo a chi avesse voluto fare oggetto di analisi critica il suo pontificato, si sarebbe dovuto far notare per il suo neotemporalismo, lo ha fatto lanciando segnali di una certa tendenza di nuovo (cioè di nuovissimo ed al contempo di vecchio) conio, alla chiamata a raccolta dei Cattolici per assumere un ruolo particolare nella vita politica del nostro Paese, quasi a voler cominciare a dar corpo ed ufficialità che del piano delle voci correnti e delle particolarità, sintomo di un simile ritorno ad un abbastanza recente passato, sono corse di recente e delle quali abbiamo dato notizia, facendone oggetto della nostra troppo poco autorevole attenzione.
Non sono certo in grado di dar lezioni sui sommi principi della politica, tanto più a chi ne fa (o dice di farne) oggetto di una identificazione con l’etica.
È quindi del messaggio del Presidente, della sua stucchevole morbidezza, della mancanza in esso di quel grido di allarme e di quella necessità di giustificarsi per avere, bene o male, condiviso le peggiori malefatte che intendo dire qualcosa. Questo per me è un dovere.
Mattarella, cui nessuno può negare che si sia trovato alla suprema magistratura del Paese in un momento di gravissima e grottesca crisi, la peggiore tra quelle che in vario modo hanno tormentato la vita della nostra Repubblica, ha cercato di uscirne con il minimo clamore.
La stessa gestione della crisi per la formazione del nuovo governo è stata tale da comportare la confusione totale dei ruoli, ufficializzando ed anteponendo quello dei partiti (e che partiti…!!!) proprio nel momento in cui quella che sarebbe stata la maggioranza si proponeva come arena di uno scontro dissennato al suo interno, con la Costituzione e con le Istituzioni Europee. Il fatto che “bene o male” così operando sia riuscito a far venire fuori un governo checchessia, è il peggiore dei tentativi di giustificazione, perché è la giustificazione della negazione della funzione del diritto e dello Stato di diritto.
Le traversie della disgraziata “manovra” di bilancio sono troppo recenti per dover essere ricordate. E’ sperabile che in tale più recente occasione il ruolo del Presidente sia stato più incisivo e corretto di quanto non sia apparso. Ma, in tal caso a maggior ragione, voler fare di quel gran fascio di violazioni delle funzioni del Presidente e di ogni dovere di chiarezza e di serietà qualcosa da dimenticare, nel senso di volerne far venia a sé stessi ed agli altri, è una forma di complicità a posteriori con gli sciagurati responsabili di queste traversie dell’Italia.
No. Non sono cose da dimenticare. E non è da dimenticare il fatto che unica preoccupazione di Mattarella sembra in buona sostanza oggi quella di dimenticarle e di dirci “state buoni”!
Siamo fatti del nostro passato quanto e più che delle speranze e delle visioni dell’avvenire.
Anzi se il passato si vuole semplicemente dimenticare si cade nell’antipolitica e nella sentina populista della vita politica che tutto copre e travolge.
E non si riesce ad uscirne.
Mauro Mellini
http://www.lavalledeitempli.net/2019/01/02/papa-presidente-messaggi-invertiti/
E COSI’ LA CAMERA SAREBBE DIVENTATA L’AULA SORDA E GRIGIA DI MUSSOLINIANA MEMORIA???
MA PER FAVORE….NON FACCIAMO RIDERE I POLLI !
Danilo Bonelli 31 12 2018
Quando ho visto i deputati del PD che al momento di votare la manovra sono usciti dall’aula per protesta non mi è tornato in mente lo storico Aventino bensì quei bambini dispettosi e stronzi che quando stanno per perdere la partita scappano a casa con la palla per impedire agli altri di giocare.
Ma dobbiamo capirli poveretti e giustificare la loro rabbia velenosa …. perché hanno perso prima, durante e dopo.
Prima hanno chiesto ed ottenuto dai loro complici europei di prorogare al massimo le trattative per l’approvazione da parte della Commissione Europea, poi avrebbero voluto un dibattito parlamentare lungo, minuzioso e con una valanga di interventi….e tutto al solo scopo di far scadere i termini di tempo per l’approvazione della legge di bilancio così da far scattare l’esercizio provvisorio e poter dire agli italiani : “avete visto che razza di incompetenti abbiamo al governo….non sono riusciti nemmeno a presentare uno straccio di legge di bilancio”.
E invece il loro disegno è miseramente fallito …e loro schiumano rabbia annunciando la mobilitazione della piazza al canto di Bella ciao e con quel buffone di Fiano che si atteggia a novello Giacomo Matteotti …. pagliacci dalla memoria corta che si sono dimenticati che i conti dello Stato sono esattamente quelli che hanno lasciato loro dopo cinque anni di governi PD con Letta, Renzi e Gentiloni.
Ma in questo non sono soli perché alla loro sinistra hanno gli sbandati di LEU e sul fianco destro la soldataglia berlusconiana che – tentando di emulare la protesta francese – ha indossato il gilet azzurro come segno distintivo.
E si capisce anche il perché di quel colore ….i dipendenti a libro paga di Berlusconi mica potevano mettersi il gilet giallo… quello lo indossano le persone del popolo che non arrivano a fine mese e che chiedono un cambio di marcia sia all’Europa che al governo di Macron ….i gilet gialli non sono capeggiati da un evasore fiscale che mandava il suo ragioniere di fiducia a comprare il silenzio delle Olgettine o della presunta nipote di Mubarak pagandolo milioni di euro….né si può dire che i gilet gialli abbiano arruolato nelle loro fila uno che è diventato Presidente del Parlamento europeo per aver fatto lo zerbino di Juncker e della Merkel.
Mai nel passato si era vista Forza Italia fare una simile feroce opposizione?
Anzi, all’occorrenza hanno perfino salvato i governi Renzi e Gentiloni raccontandoci di farlo “nel superiore interesse del popolo italiano”…..fanno quindi bene a mettersi il gilet azzurro come ultima messinscena della triste saga del rantolante berlusconismo.
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Opportunisti sul carro dei vincitori
Francesco Erspamer 31 12 2019
Quando un partito diventa importante e ha la possibilità di andare al potere, immediatamente gli opportunisti saltano sul suo carro. Non solo per avvantaggiarsi personalmente; anche per impedire che quel partito possa costituire una vera minaccia alla casta dominante, maestra di trasformismo e corruzione.
Più in generale, gli opportunisti sono i germi che, se non stroncati per tempo, indeboliscono e poi uccidono la politica. Per questo vanno espulsi immediatamente, al primo sospetto, accettando come danno minore il rafforzamento degli avversari, ai quali si aggregheranno, e la campagna denigratoria dei liberisti e delle loro stampelle liberal. Chiarendo che la democrazia è solo quella regolamentata e gestita in modo imparziale dallo Stato: i partiti invece sono e devono essere di parte, come indica il loro nome, e chi non è interamente di quella parte (partigiano, diceva Gramsci) deve andarsene altrove.
I cittadini hanno il diritto costituzionale di aggregarsi in partiti e di scegliere i loro rappresentanti fra partiti diversi fra loro, non di pretendere che tale diversità esista all’interno di ciascun partito, ovviamente al fine di rendere tutti i partiti uguali e indistinti, come piace al potere finanziario.
Per cui, complimenti al M5S per le coraggiose e rigorose scelte dei suoi probiviri; anche in questo mi ricorda il PCI di quando i mulini erano bianchi e le sue bandiere rosse: un’intransigenza che ovviamente spaventa o indispone gli italiani (tanti purtroppo) che ormai si sono abituati all’illegalità, al permissivismo e all’approssimazione; ma non ci sono alternative, mai si uscirà dalla palude con il loro aiuto o il loro consenso.
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