NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI
23 GENNAIO 2019
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Non dobbiamo vendere la merce al consumatore
bensì dobbiamo vendere il consumatore alla merce
IGINO DOMANIN, Grand hotel abisso, Bompiani, 2014, pag. 14
https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/
Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.
Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com
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SOMMARIO
L’impero franco-tedesco e l’Italia isolata
L’Italia non può contare sull’Ue perché il modello Sophia è fallito 1
È vero, attraverso il Franco CFA la Francia sottomette e sfrutta le sue ex colonie 1
Ex colonie, la Francia governa con i colpi di stato. 1
Svezia: per le strade giovani stranieri armati di Kalashnikov 1
Siria: l’attacco israeliano e le asserite minacce iraniane 1
Ci hanno insegnato a vergognarci di noi. 1
EUNAVFOR MED Operation Sophia. 1
Dietro le partenze dei migranti il grande flop dell’Operazione Sophia 1
Sgarbo all’Italia, la Germania si ritira dalla missione “Sophia”. 1
Libia, portavoce Marina libic a “Nova”, non più di 50 migranti dispersi
Sbarchi, le ong ci riprovano. Ma Salvini: “Chiamate Soros”. 1
“Colpa dell’Italia”. Bomba Fmi 1
L’Oxfam e la tragica disuguaglianza globale 1
. 1Usbergo. 1
Il “Nuovo ordine” di Merkel e Macron. 1
La Francia e i suoi schiavi immigrati 1
14 paesi africani costretti a pagare tassa coloniale francese. 1
EDITORIALE
L’impero franco-tedesco e l’Italia isolata
Manlio Lo Presti – 23 gennaio 2018
Segnali di morte in avvicinamento per l’Italia
Senza giri di parole, sono i seguenti:
La dichiarazione del Fondo Monetario Internazionale a Davos dove l’Italia (trattata come uno stato canaglia da quinto mondo) è marchiata come un pericolo per il mondo a causa di un debito pubblico che non può gestire SENZA IL POSSESSO DI UNA MONETA NAZIONALE. Nessuno dice che il nostro Pese è più ricco di altri. Non si deve sapere perché sia possibile il prossimo saccheggio sanguinario delle eccellenze economiche e tecnologiche rimaste.
Un debito che viene criticato dai germanici per poi guadagnarci sopra in termini di titanici dividenti delle banche.
Un debito che è uno strumento di ricatto continuo per soggiogare la ex-italia e non farla diventare un valido terzo concorrente economico in europa.
Il siluro della Banca d’Italia che pone l’Italia in “recessione tecnica”, senza però evidenziare che i dati che portano a questa conclusione si riferiscono agli anni 2017 e 2018, periodo in cui i governi erano altri!
La Francia che convoca la nostra ambasciatrice e la minaccia in pieno stile mafioso e con comportamenti da SDECE applicati in Africa.
La Germania che unilateralmente esce dall’accordo SOPHIA con la scusa che l’Italia adotta politiche dure sulla immigrazione e non perché questo problema non frega una beata m..chia all’UE . Se tale decisione l’avesse presa l’Italia, SAREBBERO INIZIATI I BOMBARDAMENTI MEDIATICI STILE COLLINE DEL GOLAN, CON CAVALLETTE, SOSTITUZIONE ETNICA, 150 GIROTONDI, SCIOPERI A CATENA, MAGLIETTE ROSSE, CENTINAIA DI ROLEX, URLA SATANICHE DI ASSOCIAZIONI FEMMINISTE E QUADRISEX, STRACCIO DI VESTI DI BUONISTI NEOMACCARTISTI ANTIFA, ECC,. ECC. ECC. ECC. ECC. ECC. ECC. ECC. ECC. ECC.
Il comportamento dilatorio dei responsabili di Bruxelles in materia migratoria è leggibile con la speranza che in Italia salti per aria questo governo (anche con attentati, e secessioni varie) e che si insedi il quinto, sesto, settimo, ottavo GOVERNO DEI TECNICI DI SALUTE PUBBLICA reclamizzato dal notissimo mantra FATE PRESTO!
Il martellamento del Vaticano (come da cogenti direttive del DEEP STATE MONDIALE), dei buonisti magliette rosse con rolex, movimenti femministi e quadrisex, di 500 televisioni del mondo, il crescente SCHIFOSO E VIGLIACCO AUTORAZZISMO alimentato dai partiti del governo precedente, di oltre 300 giornali carta, del web perché l’Italia accolga i cosiddetti migranti:
- senza alcuna limitazione alcuna né preliminare regolazione dei flussi di ingresso. Il caos ha fruttato oltre 12.000.000.000 di euro: un ricavo superiore a quello del traffico di droga, e molti spingono per questi guadagni che i flussi ritornino con numeri anche maggiori!!!
- senza attenzione ai problemi di sicurezza nazionale (che viene invocata a singhiozzo, quando conviene),
- senza attenzione ai problemi di epidemie (i buonisti negano ma poi vanno sulle navi ONG foderati da tute protettive integrali dalla testa ai piedi),
- senza evidenziare la violenza sociale importata (furti, rapine, spaccio di stupefacenti, 500 violenze carnali al mese, randagismo di immigrati importanti
- senza un antecedente piano di collocamento lavorativo, come si fa in moltissimi Paesi),
- senza evidenziare che l’inclusione non si compie in tempi brevi (negli USA esistono ancora le molteplici CHINATOWN dove le etnie si stringono e non si integrano affatto. Gli italiani, dopo oltre un secolo di immigrazione, parlano un misto anglo italiano BROCCOLINO)
- senza evidenziare i costi monetari di questi ingressi caotici
- senza evidenziare quanti sono gli sbarchi notturni di africani con migliaia di barchette “private” su oltre 2.000 km di coste: un numero enorme di cui nessuno vuole parlare ma che sarà di oltre 1.000.000 di persone da tre anni a questa parte. Persone di cui non si ha traccia, alla faccia della sicurezza nazionale e del contrasto alla criminalità.
TUTTO CIÒ PREMESSO
Va detto senza infingimenti, doppiopesismi gesuitici, tatticismi dialettici e arditismi semantici, depistaggi e simili, che il nostro Paese è in serio pericolo, che ci sono forze autorazziste e antiitaliane interne (a libro paga dell’establishment mondiale e francese in particolare) che hanno avuto l’ordine di trasformare la ex-italia in un immenso deposito razziale che accoglierà indiscriminatamente e “umanitariamente” la prossima ondata di 5.000.000 di africani:
incaxxati,
- islamici,
- affamati,
- indisciplinati che non vogliono integrarsi ma affermare i propri diritti senza i correlati doveri.
La forte motivazione (VERA che si nasconde dietro quella edificante buonista) è la previsione di incassi futuri stratosferici che andranno nelle tasche dei soliti noti.
ALLA POPOLAZIONE ITALIANA INVECE RIMARRANNO DISORDINI, CAOS SOCIALE, MISERIA, CRIMINALITA’ IMPORTATA.
VIVA L’ITALIA!
EVENTO
IN EVIDENZA
L’Italia non può contare sull’Ue perché il modello Sophia è fallito
LORENZO VITA – 30 agosto 2018 RILETTURA
L’Europa si gioca il suo futuro nel Mediterraneo, in particolare fra Italia e Libia. È lì, dove operano i mezzi dell’operazione Sophia, che qualcuno o qualcosa devono capire che ci si gioca più di qualche sbarco. Se l’Unione europea ancora esiste, che batta un colpo. Altrimenti (e ci sono poche speranze che ciò avvenga) è inutile anche continuare a parlare di solidarietà europea.
Dai primi incontri a Vienna, la situazione per l’Italia non appare delle più rosee. Il governo italiano vuole cambiare le regole dell’operazione. Ed è giusto che sia così. Il regolamento di Sophia, o Eunavfor Med, rimanda infatti a quello della vecchia operazione Triton di Frontex, ormai terminata, in cui l’Italia era stata designata quale unico Paese di approdo. Una follia che ha consegnato all’Italia una situazione ingestibile, visto che siamo la frontiera esterna dell’Europa davanti alle coste libiche,
Il ministro della Difesa Elisabetta Trenta ha chiesto oggi ai suoi omologhi europei di fare qualcosa, di cambiare il piano operativo di Sophia. “Nel 2015 ci siamo assunti la responsabilità politica di far nascere la missione”, ha detto il ministro a Vienna. Allora, ha spiegato Trenta, “si riteneva che l’azione di Sophia in acque extra-territoriali sarebbe stata solo una prima fase. Le cose in Libia sono andate, purtroppo, diversamente e la presenza di Sophia in acque internazionali dura ormai da tre anni. Finora, come Italia, abbiamo da soli accolto tutti i migranti salvati dalle sue navi. Oggi questo non è più possibile, lo dico a nome del governo che rappresento. Occorre cambiare le regole della missione”.
Ma la strada appare decisamente in salita e lo dimostrano le parole di Federica Mogherini, rappresentante per la politica estera dell’Unione europea. “Finora, non è stato trovato un consenso” tra i Paesi membri dell’Ue sulle regole per lo sbarco dei migranti. Così come le parole di Trenta
E del resto non poteva essere altrimenti. Per cambiare le regole dell’operazione occorre il consenso unanime dei Paesi dell’Unione europea. Ed è difficile credere che qualcuno sia disposto a cambiare delle norme che assegnano all’Italia tutto il peso dei migranti provenienti dalle coste libiche.
Gli ultimi episodi che hanno vistolo scontro anche molto duro fra il governo italiano e gli altri Stati europei sono la dimostrazione che siamo soli. Nessuno sembra intenzionato a darci una mano e soprattutto con un governo che ha deciso di rompere con certe zavorre lasciate dagli esecutivi precedenti. In questa fase di transizione, siamo isolati. E nessuno tenderà la mano, sia per una vera sfida con l’Italia sia per motivi di politica interna.
I Paesi del Mediterraneo non sembrano interessati a considerare l’idea di una rotazione dei porti voluta dall’Italia. La Spagna ha i suoi problemi con la rotta che dal Marocco arriva alle coste andaluse. E tra Ceuta e Melilla la situazione è esplosiva. Con un governo fragile e con l’ombra delle elezioni in agguato, Pedro Sanchez ha già fatto asse con la Francia di Emmanuel Macron. Mentre i ministri del governo
Continua qui: http://www.occhidellaguerra.it/europa-sophia/
È vero, attraverso il Franco CFA la Francia sottomette e sfrutta le sue ex colonie
lunedì, 21, gennaio, 2019
INTERESSANTE VIDEO ESPLICATIVO QUI: https://youtu.be/0NBij13O14E
di Byoblu
Attraverso il Franco CFA, la Francia sottomette le sue ex colonie in Africa. Sono in pochi a saperlo, ma quasi nessuno sa che la Francia usa un sistema simile anche in altre zone del mondo.
Ad esempio, in Polinesia e Nuova Caledonia con il franco CFP e nei territori d’oltre mare dove emette addirittura euro per finanziare quei paesi.
Come funziona quello che a tutti gli effetti è un sistema di dominio ai più oscuro e inestricabile? Attraverso quali documenti viene concesso alla Francia il privilegio di controllare la moneta di vaste aree del mondo, e di trarne benefici per la sua Banca Centrale?
Moneta CFA, moneta CFP ed euro consentono al Tesoro francese e alle sue agenzie di
Continua qui: http://www.imolaoggi.it/2019/01/21/e-vero-attraverso-il-franco-cfa-la-francia-sottomette-e-sfrutta-le-sue-ex-colonie/
Ex colonie, la Francia governa con i colpi di stato
Sarkozy: «Le ex colonie francesi non avranno mai la loro moneta». Infatti, chi ci ha provato, è stato eliminato da killer e colpi di Stato
di Tino Oldani – 22 agosto 2018 RILETTURA
Nei 14 paesi dell’Africa subsahariana e del Centro Africa ai quali la Francia impone da oltre 70 anni l’uso del franco coloniale come strumento di rapina economica (vedi ItaliaOggi di ieri), la tentazione di uscire da questo giogo monetario si è affacciata più volte. Nel 1963 Sylvanus Olympio, primo presidente eletto della repubblica del Togo, ex colonia francese, si rifiutò di sottoscrivere il patto monetario con la Francia, avendo compreso molto bene che, se l’avesse fatto, il Togo sarebbe rimasto una colonia da sfruttare, qual era stato fino ad allora. Così il 10 gennaio 1963 ordinò di iniziare a stampare una moneta propria del suo paese. Tre giorni dopo, uno squadrone di soldati, appoggiati dalla Francia, lo assassinarono. L’ex legionario francese che lo uccise non fu mai punito, ma ricevette un compenso di 612 dollari dall’ambasciata francese locale. E il Togo dovette tenersi il franco Cfa come moneta.
La stessa sorte è toccata a Modiba Keita, primo presidente della repubblica del Mali, convinto pure lui che il franco Cfa sarebbe stato una trappola economica per il suo paese. Appena annunciò l’uscita dal franco coloniale, nel 1968 Keita fu vittima di un colpo di stato, guidato da un ex legionario francese, il luogotenente Moussa Traoré. Un classico della politica estera francese, che nel periodo immediatamente successivo alla fine del regime coloniale non esitò a servirsi di ex legionari per abbattere i presidenti riottosi, eletti democraticamente nelle ex colonie, per poi insediare al loro posto, come capi di governi fantoccio, gli stessi assassini, o qualche politico locale più malleabile e facile da comprare.
L’elenco dei colpi di stato compiuti in Africa, specie nelle ex colonie francesi, è impressionante. Cinque in Burkina Faso e nelle Comore. Quattro in Burundi, Repubblica Centrafricana, Niger e Mauritania. Tre in Congo e Ciad. Due in Algeria, Mali, Guinea Konakry. Almeno uno in Togo e Costa d’Avorio. Gli storici hanno calcolato che negli ultimi 50 anni vi sono stati 67 colpi di stato in 26 paesi africani, 16 dei quali erano ex colonie francesi. È la prova concreta che, dal 1945 in poi, la Francia ha fatto di tutto, con qualsiasi mezzo e a qualsiasi prezzo, pur di tenere sotto controllo economico le sue ex colonie, per continuare a sfruttarle, con ricavi ingenti (circa 500 miliardi di dollari l’anno). Non a caso, già nel 1957, François Mitterrand, prima ancora di diventare presidente della repubblica, profetizzava che «senza l’Africa, la Francia non avrà storia nel 21.mo secolo». Convinzione ribadita dal suo successore, Jacques Chirac: «Senza l’Africa, la Francia scivolerebbe al livello di una potenza del Terzo mondo».
Il più esplicito, fino alla brutalità, è stato l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy, che in un’intervista (poi rimossa da internet) è arrivato a dire: «La Francia non può permettere che le ex colonie creino una loro propria moneta per avere il controllo totale sulla loro banca centrale. Se questo avvenisse, sarebbe una catastrofe per il Tesoro pubblico, che potrebbe fare scendere la Francia al 20.mo posto nell’economia mondiale. Non possiamo permettere alle ex colonie francesi di avere le loro proprie monete».
Una minaccia che, a sentire Mohamed Konare, leader di un movimento panafricano che si batte per la fine del franco coloniale, non è rimasta senza seguito: «Tra i leader africani, il più deciso a porre fine al sistema del franco Cfa era Gheddafi, che aveva messo sul tavolo più di 40 miliardi di dollari per dare vita al Fondo monetario africano, come strumento di liberazione economica e monetaria dei vicini stati subsahariani, dei quali pensava di assumere la leadership politica. Nei suoi progetti, vi era anche la costruzione di una moderna autostrada per collegare Tripoli al subsahara, come grande direttrice di sviluppo economico autonomo. Uno scenario che l’allora presidente Sarkozy vide come un attentato per l’economia francese: per questo, più che per il petrolio, decise di attaccare militarmente la Libia e di uccidere Gheddafi. Con una fretta che pochi allora compresero, forse anche i suoli stessi alleati inglesi e americani».
Dietro al monopolio monetario francese, nonostante la fine delle colonie, è rimasto in vita anche quello militare. Lo confermano numerose clausole, incluse nel patto sull’uso del franco Cfa. La Francia si è infatti attribuita il diritto esclusivo per la formazione e
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Svezia: per le strade giovani stranieri armati di Kalashnikov
21 gennaio 2019
Il governo delle finte femministe ha distrutto la Svezia. La violenza è all’ordine del giorno. Giovani stranieri seminano il panico per le strade.
I commissariati polizia sono diventati il bersaglio delle ondate di violenza che stanno spazzando le notti della capitale svedese.
Drammatico video qui: https://twitter.com/ChristineEffe/status/1087095763988111360
http://www.imolaoggi.it/2019/01/21/svezia-per-le-strade-giovani-stranieri-armati-di-kalashnikov/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
“Aiutatemi o morirò”, invece di omaggiare Battisti o andare alle Comore i Radicali vadano negli Emirati
22, gennaio, 2019 di Cristiano Sanna – tiscali.it
Chiede di essere aiutato urgentemente o morirà in carcere a causa dei trattamenti disumani. E nega tutte le accuse che hanno portato al suo arresto lo scorso marzo. Massimo Sacco, imprenditore italiano, attraverso la compagna Monia Moscatelli ha fatto arrivare un audio alla trasmissione di Radio Due Rai I Lunatici in cui racconta il suo calvario. Sacco è stato arrestato a Dubai ed è accusato di traffico internazionale di stupefacenti. “Per soli dieci grammi di cocaina, senza nessuna prova oggettiva al riguardo” dice, leggendo un comunicato scritto dal suo legale. E ricordando come il giorno dell’arresto a Dubai, prima che lo trasferissero (dallo scorso agosto) nel carcere di Abu Dhabi, la stessa Moscatelli, sua compagna, fosse costretta a spogliarsi di fronte a dieci poliziotti emiratini, condotta in questa condizione in carcere e tenuta lì per tutta la notte in attesa che Sacco confessasse. Ma quella confessione non è arrivata.
Nell’audio trasmesso da Radio Rai, Massimo Sacco (“titolare di appalti milionari per la costruzione” di locali commerciali a Dubai) descrive le violenze subite in carcere da parte delle forze dell’ordine dell’emirato: “Contusioni in tutto il corpo, tre costole incrinate, torture di ogni tipo e scosse elettriche ai genitali” che gli rendono difficile camminare perché il “testicolo sinistro” è “grande quanto un’arancia”. A questo si aggiungerebbe la scelta dei medici arabi di rimetterlo in sesto con dosi di ferro, potenzialmente mortale per lui che è microcitemico. Poi in lacrime: “Fate presto, ho i giorni contati, sto morendo, torno a casa lungo“. Si parla di violazione dei diritti umani, al di là delle responsabilità tutte da chiarire con opportune indagini.
Non è la prima volta che si tenta di portare il caso di Sacco all’attenzione delle massime autorità italiane. Era già successo lo scorso dicembre, quando Monia Moscatelli, compagna dell’imprenditore in carcere ad Abu Dhabi, aveva scritto e fatto pubblicare dalla stampa una lettera aperta al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. In cui scriveva tra l’altro: “All’epoca dei fatti avevamo insieme una vita felice a Dubai: poi, una maledetta sera le nostre esistenze sono state stravolte. Con la presente vorrei informare tutte le autorità italiane che Massimo Sacco viene sottoposto a minacce. Per rispetto di Massimo e delle istituzioni e dei magistrati di Dubai non entro nel dettaglio. Lui sta però dimagrendo a vista d’occhio. Le condizioni fisiche sono al limite. È stato in ospedale perché si è sentito male: il medico gli ha riscontrato una forma di anemia e gli ha prescritto una cura a base di ferro. Massimo ha rifiutato perché è affetto da una malattia genetica chiamata microcitemia che comporta una eccessiva produzione di ferro: per regolare
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CONFLITTI GEOPOLITICI
Siria: l’attacco israeliano e le asserite minacce iraniane
Nuovi attacchi in Siria da parte israeliana, contro la presenza militare iraniana nel Paese limitrofo, che Teheran continua a derubricare a personale tecnico e dispositivi bellici.
22 gennaio 2019
È stato il più massiccio attacco registrato nell’ultimo anno, portato con aerei e missili.
Danni molto limitati secondo i siriani, che comunque piangono la perdita di quattro soldati. Danni ingenti secondo gli israeliani, che hanno elogiato l’efficacia del sistema difensivo Iron Dome, il quale ha intercettato un missile iraniano sul Golan.
Al di là dei poveri morti e dei danni, che pur se seri, sono riparabili e non minano il complesso difensivo siriano, il raid segnala la ferma intenzione di Tel Aviv di proseguire nelle sua offensiva-difensiva, azione che un tempo sarebbe stata annoverata nella categoria “guerre preventive“.
Perdura in Israele della linea strategica di contenimento dell’Iran. Ma si possono registrare due varianti.
Lo sfoggio di muscoli serve a Netanyahu per le elezioni di aprile: non può arrivarci come il premier che si è fatto imporre dai russi la fine dei raid in Siria.
Deve dimostrare che, anche dopo l’arrivo degli S-300 a Damasco, Israele ha ancora libertà manovra nei cieli siriani. Anche a costo di compiere attacchi inutili dal punto di vista militare.
La seconda variabile è il ritiro degli Stati Uniti dalla Siria, iniziato ma in via di definizione (via che può diventare permanente). Netanyahu è palesemente irritato per la mossa di Trump e cerca di contrastarla.
Martellare Damasco serve anche a questo: se questa rispondesse la partita sarebbe vinta, dato che provocherebbe l’immediata revoca dell’ordine presidenziale e un impegno ancora forte degli Usa.
Peraltro, l’immunità garantita da tale situazione consente a Israele di perseverare senza eccessivi rischi.
La guerra è anche verbale, con avvertimenti e minacce reciproche. Di interesse la dichiarazione del Comandante dell’aviazione iraniana, generale Aziz Nasirzadeh, riportata ieri da quasi tutti i media del mondo (Newsweek, Reuters, al Jazeera, Timesofisrael e tanti altri; in Italia, ovviamente, da Corriere della Sera, Repubblica, La Stampa).
Il generale avrebbe dichiarato che i giovani dell’esercito iraniano “sono impazienti di affrontare il regime sionista ed eliminarlo dalla faccia della Terra”.
La frase sarebbe stata riportata dal sito iraniano “Young Journalist Club, un sito web controllato dalla televisione di Stato” (citazione e sito precisato da Reuters, al Jazeera e altri; altrove la fonte non è specificata).
Bizzarro che una dichiarazione di una così alta autorità non sia stata riferita dalle
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CULTURA
Ci hanno insegnato a vergognarci di noi.
www.altreinfo.org – di Silvana De Mari
Il primo passo per distruggere la libertà di un popolo è distruggerne l’identità. Per abbattere un albero, tagliare le radici. Occorre ridicolizzare la religione di quel popolo, con uno stillicidio continuo di minuscoli gnomi, sedicenti intellettuali, cantanti, presentatori, attori, registi, fotografi, pubblicitari, artisti postmoderni, giornalisti, scrittori, eccetera con uno stillicidio continuo di odio e sarcasmo.
La storia di quella religione e la storia di quel popolo viene ridotta ai suoi episodi peggiori, ovviamente enfatizzati e i fiumi di gloria vengono cancellati. Questa Europa ogni istante più ridicola nega il cristianesimo e si apre all’islam più radicale, di cui cela la realtà.
La generazione Bataclan colora i marciapiedi con i gessetti e canta Imagine.
La nostra storia è infangata, ridotta al suo peggio, perché la generazione fiocco di neve, l’ultima, possa credere che è meglio vergognarsi della propria storia. Per abbattere un albero occorre sradicarlo. Dopo aver abbattuto la sua religione e infangato la sua storia, occorre recidere il legame con la terra. La terra non deve più essere coltivata: le quote latte hanno ammazzato le nostre vacche, buttiamo le arance perché quelle straniere costano meno, il 60% dei nostri pelati è
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DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI
L’European Union Naval Force in the South Central Mediterranean, EUNAVFOR Med – operation SOPHIA, è la prima operazione militare di sicurezza marittima europea che opera nel mediterraneo centrale.
L’operazione, condotta dall’Italia, ha quale scopo principale il contrasto al traffico illecito di esseri umani e s’inquadra nel più ampio impegno dell’UE volto ad assicurare, secondo un approccio comprensivo ed integrato, il ritorno della stabilità e della sicurezza in Libia.
Operazione SOPHIA è il primo esempio di elevata integrazione delle componenti militari e civili (forze di polizia) europee, capace di operare in un complesso scenario internazionale rappresentato da numerosissimi attori militari e civili, governativi e non governativi.
Genesi dell’operazione
La situazione di crisi nell’area del Mediterraneo centrale, causata dal perdurante conflitto interno in Libia e dal conseguente collasso del sistema statuale, ha tra le molteplici conseguenze il flusso migratorio che attraverso la Libia, raggiunge via mare l’Italia e gli altri paesi dell’Unione Europea.
Un flusso migratorio facilitato e, soprattutto, sfruttato economicamente, da trafficanti di esseri umani che hanno messo in piedi una rete atta a lucrare sulla disperazione degli uomini, donne e bambini che ogni giorno tentano di intraprendere questo viaggio. In tale contesto, l’impiego di mezzi fatiscenti, inadatti alla navigazione in alto mare e sovraccarichi ha portato al ripetersi di naufragi molto spesso drammatici con la morte di centinaia e probabilmente migliaia di migranti.
In particolare, dopo che lo scorso 18 aprile 2015 le acque del “nostro” Mediterraneo sono state teatro, secondo l’UNHCR, del più grande disastro della storia recente, con l’affondamento a Nord della Libia di un peschereccio con oltre 800 migranti, l’Unione Europea ha deciso di reagire con la massima urgenza. Così, solo due giorni dopo, su proposta dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e Politica di Sicurezza, Federica Mogherini, il Consiglio Europeo ha ribadito il forte impegno ad agire al fine di evitare tragedie umane derivanti dal traffico di essere umani attraverso il Mediterraneo definendo un Action Plan sulla migrazione fondato su 10 punti, tra i quali il secondo si è di fatto concretizzato in EUNAVFOR MED operazione Sophia.
Il 18 maggio 2015 il Consiglio Europeo definiva il quadro generale dell’operazione di gestione militare della crisi volta ad adottare misure sistematiche per individuare, fermare e mettere fuori uso imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati dai trafficanti di esseri umani nel pieno rispetto del diritto internazionale.
Poco più di un mese dopo, il 22 giugno 2015, il Consiglio Affari Esteri dell’Unione Europea avviava ufficialmente l’operazione.
Da quel momento è iniziata una vera e propria maratona che ha visto la Task Force composta dalla portarei Cavour, dalla nave idrografica inglese Enterprise e dalle unità tedesche Werra (nave ausiliaria) e Schleswig-Holstein (fregata), raggiungere la piena capacità operativa il 27 luglio.
Solo un mese dopo, l’Ammiraglio di Divisione Enrico Credendino, Operation Commander, annunciava al Political and Security Committee (P.S.C.) dell’Unione Europea il pieno successo della prima fase. Gli assetti navali ed aerei di EUNAVFOR MED operazione Sophia avevano, infatti, raggiunto tutti gli obiettivi prefissati, raccogliendo le informazioni necessarie a comprendere a pieno il modus operandi dei trafficanti e contrabbandieri di esseri umani al fine di essere pronti, una volta iniziata la seconda fase, a contrastare la loro attività in mare. Il 7 ottobre 2015, EUNAVFOR MED operazione Sophia è ufficialmente entrata nella sua seconda fase.
In aggiunta, sin dall’inizio dell’Operazione, le navi della Task Force europea hanno potuto contribuire allo sforzo che l’Italia, con l’Operazione Mare Sicuro, l’Europa con l’Operazione Triton dell’Agenzia Frontex e molte altre organizzazioni nazionali ed internazionali, con le quali EUNAVFOR MED è in stretto coordinamento, stanno portando avanti nel Mediterraneo Centrale per la salvaguardia della vita umana in mare. Un’attività, questa, che pur non rientrando nel mandato assegnato alla missione, è un obbligo ineludibile per il diritto internazionale, in adempimento al quale la missione EUNAVFOR MED si è prestata attivamente, prevedendo il soccorso anche nelle procedure operative. Ciò è avvenuto nel corso della prima fase e continuerà ad avvenire nel prosieguo della missione.
Il 26 ottobre 2015 l’Operazione ha ufficialmente assunto il nome di “EUNAVFOR MED operazione Sophia” dal nome dato alla bambina nata sulla nave dell’operazione che ha salvato la madre il 22 agosto 2015 al largo delle coste libiche.
Il 20 di giugno del 2016, la Commissione Europea ha esteso il mandato dell’operazione SOPHIA per un ulteriore anno, fino quindi al 27 luglio 2017, aggiungendo, altresì, due compiti integrativi al mandato della missione:
- l’addestramento della Guardia Costiera e della Marina libica;
- il contributo alle operazioni di embargo alle armi in accordo alla Risoluzione dalle Nazioni Unite nr. 2292 (2016), poi rinnovata con la Risoluzione 2357 (2017).
Il 23 del mese di agosto 2016 l’Ammiraglio Credendino firmava con il Comandante della Guardia Costiera e la Sicurezza portuale libica, il Commodoro Toumia, l’accordo tecnico (“Memorandum of Understanding”) con cui si delineavano le modalità dell’addestramento della Guardia Costiera e della Marina libica da parte della forza europea dell’operazione Sophia.
Il 30 agosto ed il 6 settembre 2016, il Comitato Politico e di Sicurezza (CPS) dell’Unione Europea ha formalmente autorizzato l’inizio dei due compiti aggiuntivi sopra menzionati.
Il 25 luglio 2017, in concomitanza con il rinnovo dell’operazione fino al 31 dicembre 2018, il Consiglio Europeo ha aggiunto al suo mandato tre nuovi compiti integrativi:
- istituire un meccanismo di controllo del personale in formazione per assicurare l’efficienza a lungo termine della formazione della Guardia Costiera e della Marina libica;
- svolgere nuove attività di sorveglianza e raccogliere informazioni sul traffico illecito delle esportazioni di petrolio dalla Libia, conformemente alle risoluzioni 2146 (2014) e 2362 (2017) del Consiglio di sicurezza dell’ONU;
- migliorare le possibilità per lo scambio di informazioni sulla tratta di esseri umani con le agenzie di contrasto degli Stati membri, FRONTEX ed EUROPOL.
In data 14 maggio 2018 il Consiglio dell’Unione Europea ha autorizzato l’avvio di un progetto finalizzato a sperimentare, per un periodo di sei mesi, la Crime Information Cell (CIC) a bordo della flaghship dell’Operazione Sophia.
La CIC, composta da un massimo di 10 unità (EUROPOL, Frontex, Forze di Polizia degli Stati membri e personale di EUNAVFOR MED) avrà lo scopo di migliorare la raccolta e la trattazione delle informazioni, compresi i dati personali, sul traffico della tratta di esseri umani, sull’embargo delle armi in Libia, sul traffico illecito nonché sui reati pertinenti per la sicurezza dell’operazione tra l’operazione Sophia, Frontex, EUROPOL
Continua qui: https://www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_intern_corso/eunavfor_med/Pagine/default.aspx
Dietro le partenze dei migranti il grande flop dell’Operazione Sophia
20 GENNAIO 2019
Il flusso di migranti dalla Libia è sicuramente diminuito rispetto al passato. Ma i barconi e i gommoni continuano a partire. E il Mediterraneo torna a essere un orrendo cimitero dove perdono la vita centinaia di persone. Un vero e proprio massacro che non si riesce a interrompere. E che sicuramente non si è riusciti a farlo anche a causa di errori fatali commessi dall’Unione europea, dai singoli Stati membri e dalla Libia. In particolare uno: l’Operazione Sophia.
L’Operazione Sophia nasce nel 2015 per contrastare il traffico di migranti. Prende il nome di Eunavfor Med ed è stata promossa dall’Unione europea per colpire il traffico di migranti provenienti dalla Libia. Il suo mandato è stato rinnovato di altre tre mesi alla fine di dicembre per evitare che terminasse senza un accordo fra gli Stati europei. Ma nonostante la sua operatività, la missione europea continua a non dare certezze. E soprattutto non ha dato alcuna risposta reale al contrasto del fenomeno migratorio. Quantomeno per fermare le partenze dalle coste nordafricane.
Istituita tra maggio e giugno del 2015, la missione prevede quattro fasi differenti il cui passaggio dall’una all’altra deve essere deciso all’unanimità da tutti gli Stati. Attualmente all’operazione partecipano 26 Stati europei su 28: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Regno Unito, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria. Ma a fronte dell’impegno di 26 Stati, in realtà i mezzi operativi sono otto: tre navi e cinque mezzi aerei.
L’Italia detiene il Comando in mare della Task Force tramite la nave Luigi Rizzo, flagshipdell’operazione dal 30 dicembre 2018. Ma a fronte di questo ruolo, confermato dopo quello della nave San Marco, Roma non ha alcuna capacità di cambiare i parametri della missione, poiché necessità di un accordo in sede europea e mondiale che nessuno ha dimostrato di voler raggiungere. Del resto, cambiare il mandato della missione e modificare le regole equivale a trovare un compromesso che non interessa a molti Stati europei. Soprattutto perché fino a questo momento, l’operazione Sophia ha mutuato dalla missione Triton di Frontex il fatto che l’Italia sia il Paese di approdo dei migranti. Ed è evidente che agli Stati europei non interessi cambiare questa regola.
C’è un poi un altro problema, che è legato alla fase dell’operazione. Nella fase due, quella in cui attualmente operano le navi e i mezzi aerei della missione, le forze operanti nel Mediterraneo centrale non hanno le possibilità di arrestare il flusso migratorio dalla Libia. Questa fase, come spiega il ministero della Difesa, prevede che “gli assetti della Task Force potranno procedere, nel rispetto del diritto internazionale, a fermi, ispezioni, sequestri e dirottamenti di imbarcazioni sospettate di essere usate per il traffico o la tratta di esseri umani. Tale fase è stata a sua volta suddivisa in una fase in alto mare, attualmente in corso, ed una in acque territoriali libiche, che potrà iniziare a seguito di una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e dell’invito del relativo Stato costiero”.
E la fase in alto mare è stata direttamente superata dal fatto che i naufragi così come il
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Sgarbo all’Italia, la Germania si ritira dalla missione “Sophia”
I tedeschi contestano la decisione di chiudere i porti. Fonti Ue però smentiscono
22 gennaio 2019
La decisione di Berlino di sospendere la partecipazione all’operazione Sophia sarebbe la conseguenza della riluttanza del governo italiano a permettere ai rifugiati di sbarcare.
È quanto riferisce la Dpa. Davanti alla Commissione Difesa ed Esteri, il generale Eberhard Zorn ha spiegato che la nave ’Augustà avrebbe dovuto essere sostituita all’inizio di febbraio dalla nave ’Berlin’, ma questo non
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Libia: portavoce Marina libica a “Nova”, “non più di 50 migranti dispersi”
Tripoli, 21 gen 18:35 – (Agenzia Nova)
Non più di 50 migranti risultano ancora dispersi al largo delle coste libiche. Lo ha detto ad “Agenzia Nova” il portavoce della Marina libica, Ayoub Qassem, il quale ha negato le notizie relative all’annegamento di 170 persone nel Mediterraneo. In precedenza, infatti, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) aveva espresso “profondo dolore” per le notizie relative a circa 170 persone che morte o disperse nel Mediterraneo a seguito di due differenti naufragi: nel primo, avvenuto nel Mare di Alboran, sarebbero morte 53 persone; nel secondo – in base alle testimonianze di tre sopravvissuti (due sudanesi e un gambiano) salvati dalla Marina militare italiana – sarebbero morte 117 persone partite dalla Libia.
Interpellato da “Agenzia Nova”, Qasem ha fornito la sua versione dei fatti in merito al secondo episodio. “Abbiamo inviato una nostra motovedetta ad effettuare quel salvataggio, ma abbiamo trovato soltanto dei gommoni sgonfi lasciati da un elicottero
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Sbarchi, le ong ci riprovano. Ma Salvini: “Chiamate Soros”
Sea Watch recupera al largo della Libia 47 migranti: “Chiediamo un porto”. Ma il vic premier: “Qui non vengono”
Giovanna Stella – Mar, 22/01/2019
A poche ore dal naufragio di 117 immigrati al largo della Libia, un altro barcone con a bordo 100 migranti ha chiesto aiuto ai volontari di Alarm Phone.
Dopo giorni di accuse, menzogne e “balle“, la guardia Costiera Libica è intervenuta e ha riportato indietro i migranti. Ora, però, ad agitare (ancora) gli animi è la solita Ong Sea Watch che tre giorni fa ha recuperato a largo della Libia 47 immigrati che si trovavano a bordo di un gommone.
“La nave Sea Watch 3 è ancora senza porto, quattro giorni dopo aver salvato nel Mediterraneo 47 persone – scrive su Twitter la ong che ora chiede un porto sicuro -. È il quarto giorno dal salvataggio di 47 persone in una situazione di pericolo in mare. Eppure, nessuno Stato ha risposto alle nostre richieste di un porto sicuro. L’Unione europea blocca l’ultima nave di salvataggio rimasta, mentre centinaia di
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ECONOMIA
“Colpa dell’Italia”. Bomba Fmi
Per il Fondo monetario frena l’economia globale
www.iltempo.it – 21 gennaio 2019
Dopo Bankitalia il Fondo monetario internazionale taglia allo 0,6%, dall’1% di ottobre, la previsione di crescita per l’Italia nel 2019, mantenendola allo 0,9% per l’anno successivo. Nell’aggiornamento al World Economic Outlook diffuso oggi, il Fmi stima una crescita del Pil italiano al ritmo del +1% nel 2018, del +0,6% nel 2019 e del +0,9% nel 2020. Il dato relativo al 2019 è rivisto al ribasso di 0,4 punti percentuali.
“All’interno dell’area euro revisioni significative riguardano la Germania, dove le difficoltà di produzione nel settore auto e la domanda esterna più bassa peseranno sulla crescita nel 2019, e per l’Italia, dove il rischio sovrano e quello finanziario, e i collegamenti tra i due, aggiungono venti contrari alla crescita”, spiega la capo economista del Fmi, Gita Gopinath. L’Italia è fra i maggiori rischi globali per il nodo spread-banche. Ma non si scherza nemmeno sui timori per la Brexit e il voto alle europee. “Gli spread italiani – si legge al primo punto della sezione sui rischi globali, che
L’Oxfam e la tragica disuguaglianza globale
“Da marzo 2017 a marzo 2018 la ricchezza dei quasi duemila miliardari del pianeta è aumentata di oltre 900 miliari di dollari mentre per la metà più povera del globo, circa 4 miliardi di persone si è ridotta dell’11 per cento”. Dati dell’ultimo rapporto Oxfam sulla distribuzione della ricchezza globale.
Inoltre, 26 multimiliardari posseggono la ricchezza della metà più povera del globo.
L’Oxfam e la predazione globale
Sono cifre che ritornano di anno in anno, con una forbice che si allarga sempre più. Dato che indica che la diseguaglianza si è fatta struttura e struttura predatoria.
Il rapporto spiega come essa sia determinata anche dalle politiche fiscali, che gravano sui poveri e non sui ricchi, che possono eludere tranquillamente il fisco.
Non solo: le tasse si concentrano su reddito e consumo e non su patrimonio, particolare che accresce lo squilibrio.
Tale tragica diseguaglianza non si è mai data nella storia. Neanche l’asserita notte del Medioevo ha conosciuto una tale concentrazione di ricchezza nelle mani di così pochi, dei quali il documento dell’Oxfam è solo un indizio, stante che tante sono le ricchezze nascoste, sempre dei pochi e non dei tanti, negli oscuri meandri della Finanza.
E se Ofxfam concentra il suo allarme sulle politiche fiscali, non fa che adombrare a una sola delle cause del decremento di ricchezza in alcune fasce di popolazione occidentale, dato che le politiche fiscali in Paesi con un’estrema povertà diffusa (come ad esempio in Africa e in Sud America), non incidono affatto.
Uno squilibrio strutturale. Meccanismo perverso e perfetto prodotto dalla globalizzazione, che incanala le ricchezze dal basso verso l’alto senza che sia prevista una qualche redistribuzione, seppur residuale.
Tale difetto strutturale non è neanche messo a tema dai cosiddetti “grandi” nei loro grandi vertici.
Tematiche dei summit, infatti, sono altre: la migrazione, il clima, il terrorismo o altre problematiche, pure importanti, ma con molta meno incidenza sul destino di miliardi di esseri umani, che il meccanismo di cui sopra consegna alla fame, alle malattie, alla migrazione, ai traffici illeciti e rende massa di interlocuzione del Terrore globale.
Peraltro, anche il guadagno dei traffici vari (di uomini, di droga, di armi, di organi etc.) passa necessariamente per istituti finanziari che lo rimettono in circolo e che il meccanismo di cui sopra finisce per incanalare verso l’alto, contribuendo non poco allo squilibrio.
Così il documento Oxfam fotografa un mondo squilibrato, ovvero impazzito. Dove
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LA LINGUA SALVATA
u-sbèr-go
SIGNArmatura in maglie o lamine metalliche in uso nel Basso Medioevo; corazza; difesa, protezione
dall’ipotetica voce francone halsberg ‘protezione del collo’.
Quello di questa parola è un caso curioso: nonostante si possa ormai classificare come letteraria, non è poi così rara. La desuetudine non è binaria, e nella sua scala l’usbergo non siede sui gradini delle parole sepolte – si continua a usare, poco, ma a ragione.
Il suo significato è semplice: l’usbergo è un tipo di armatura, un camicione a maglie o lamine di metallo – riedizione un po’ più sofisticata ed estesa delle cotte di maglia che spopolavano in Europa da prima di Cristo, il cui nome, per arrivare a noi, ha probabilmente cavalcato le canzoni di gesta francesi. Ben altre armature si preparavano a entrare in voga, ma l’usbergo è rimasto, eccellente, tanto da acquisire il significato generico di armatura, corazza.
Ora, non serve essere grandi poeti per intendere come è che figuratamente si possa usare questo termine. Non serve… per quanto la prima attestazione di rilievo di quest’uso sia giusto nel XXVIII dell’Inferno, la buona compagnia che l’uom francheggia/ sotto l’asbergo del sentirsi pura (la buona compagnia che rassicura con la corazza della sua purezza è, al verso precedente, la coscienza: Dante passa fra i seminatori di scismi
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PANORAMA INTERNAZIONALE
Il “Nuovo ordine” di Merkel e Macron
Andrea Indini – 22 gennaio 2019
Oggi Emmanuel Macron e Angela Merkel si sono trovati ad Aquisgrana per celebrare un funerale. Il trattato che hanno sottoscritto non solo rafforza le relazioni bilaterali tra la Germania e la Francia ma certifica anche il superamento dell’Unione europea. Non che fino a oggi non fossero francesi e tedeschi a fare il bello e il cattivo tempo a Bruxelles. Ma ora le due super potenze intendono portare questo asse di ferro “a un nuovo livello” che, di fatto, fa fuori il resto degli Stati membri.
I due predatori dell’Unione europea sono usciti allo scoperto. E lo hanno fatto in una delle città simbolo dell’Europa. Ad Aquisgrana, dove milleduecento anni fa Carlo Magno comandava l’intero continente. Qui hanno firmato un documento di 16 pagine che, aggiornando il Trattato dell’Eliseo sottoscritto il 22 gennaio 1963 dall’allora cancelliere Konrad Adenauer e dal presidente francese Charles De Gaulle, punta a rafforzare i rapporti tra Berlino e Parigi per prepararsi “alle sfide che stanno dinnanzi ai due Paesi e all’Europa nel ventunesimo secolo”. Non è dunque un caso che, a pochi mesi da una tornata elettorale che preannuncia profondi cambiamenti nel parlamento di Strasburgo, la Merkel e Macron (entrambi ai minimi storici nei sondaggi) abbiano taglio fuori il resto degli Stati membri per creare un nuovo “ordine internazionale fondato sulle regole e sul multilateralismo”.
Il nuovo “ordine internazionale” che i due intendono creare poggia proprio sull’alleanza
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La Francia e i suoi schiavi immigrati
Alessandro Bertirotti – 26 agosto 2018
È tutta questione di… miseria.
So che per alcuni di voi potrà risultare faticoso questo link, perché si tratta di un’intervista un po’ lunga. Però, penso anche che, se vogliamo davvero conoscere la situazione africana e il perché siamo in questa condizione generale, riferendomi all’immigrazione in Italia, e quindi in Europa, si debba ascoltare questo signore.
Qui, scopriremo una verità ben conosciuta a livello mondiale, accettata, voluta e perseguita dalla grande Francia illuminista, quella della fraternità, libertà e legalità. Certo, solo a parole. Perché la Francia, forse da sempre, è piena di parole e poverissima di fatti, specialmente nelle sue colonie storiche, nel suo rapporto con gli africani, pur presentandosi al mondo come esempio di civiltà e progresso.
La Francia sfrutta, sottomette e utilizza, senza nessuna remora civile, senza qualsiasi forma di rispetto per le persone, da secoli il continente africano e lo fa impunemente. Continua a farlo, e la Libia degli ultimi anni è il frutto della sua politica, alla quale è asservita, per giochi elettorali ed economici, questa fasulla Europa.
Come al solito, i soldi sono l’origine di tutto, e anche la fine di tutto. Alimentano presidenti africani asserviti ai colonialisti, e promettono al popolo la resurrezione in qualche Paese europeo, mentre l’importante è mantenere soggiogati economicamente gli africani, impoverendoli sempre più, e arricchirsi grazie alle loro materie prime. Questa è la realtà, e lo sanno tutti i governi, i quali, in misura diversa, sono tutti responsabili di questa situazione. Lo sa l’Onu e lo sa l’Unione Europea, come gli Stati Uniti e la Cina. Tutti, senza nessuna esclusione, e con la compiacenza di un livello di corruzione della politica africana inimmaginabile.
In tutto questo, ecco che si manifesta la “deficienza cognitiva” della nostra pseudo-sinistra italiana ed europea: una sorta di finti liberatori di quella schiavitù che alimentano economicamente da sempre, anche loro, come tutti noi, del resto e purtroppo. Allora, c’è chi prende i gommoni e conduce spedizioni liberatorie ridicole e patetiche; chi si va a fare il proprio funerale sotto forma di défilé in qualche nave
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STORIA
14 paesi africani costretti a pagare tassa coloniale francese.
di Mawuna Remarque Koutonin – 2 SETTEMBRE 2019 RILETTURA
Quando Sékou Touré della Guinea decise nel 1958 di uscire dall’impero coloniale francese, e optò per l’indipendenza del paese, l’elite coloniale francese a Parigi andò su tutte le furie e, con uno storico gesto, l’amministrazione francese della Guinea distrusse qualsiasi cosa che nel paese rappresentasse quelli che definivano i vantaggi della colonizzazione francese.
La schiavitù dell’Africa francofona, soffocata da oboli coloniali e franco CFA
Tremila francesi lasciarono il paese, prendendo tutte le proprietà e distruggendo qualsiasi cosa che non si muovesse: scuole, ambulatori, immobili dell’amministrazione pubblica furono distrutti; macchine, libri, strumenti degli istituti di ricerca, trattori furono sabotati; i cavalli e le mucche nelle fattorie furono uccisi, e le derrate alimentari nei magazzini furono bruciate o avvelenate.
L’obiettivo di questo gesto indegno era quello di mandare un messaggio chiaro a tutte le altre colonie che il costo di rigettare la Francia sarebbe stato molto alto.
Lentamente la paura serpeggiò tra le élite africane e nessuno dopo gli eventi della Guinea trovò mai il coraggio di seguire l’esempio di Sékou Touré, il cui slogan fu “Preferiamo la libertà in povertà all’opulenza nella schiavitù.”
Sylvanus Olympio, il primo presidente della Repubblica del Togo, un piccolo paese in Africa occidentale, trovò una soluzione a metà strada con i francesi. Non voleva che il suo paese continuasse ad essere un dominio francese, perciò rifiutò di siglare il patto di continuazione della colonizzazione proposto da De Gaulle, tuttavia si accordò per pagare un debito annuale alla Francia per i cosiddetti benefici ottenuti dal Togo grazie alla colonizzazione francese.
Era l’unica condizione affinché i francesi non distruggessero prima di lasciare.Tuttavia, l’ammontare chiesto dalla Francia era talmente elevato che il rimborso del cosiddetto “debito coloniale” si aggirava al 40% del debito del paese nel 1963. La situazione finanziaria del neo indipendente Togo era veramente instabile, così per risolvere la situazione, Olympio decise di uscire dalla moneta coloniale francese Franco CFA (il franco delle colonie africane francesi), e coniò la moneta del suo paese.
Il 13 gennaio 1963, tre giorni dopo aver iniziato a stampare la moneta del suo paese, uno squadrone di soldati analfabeti appoggiati dalla Francia uccise il primo presidente eletto della neo indipendente Africa. Olympio fu ucciso da un ex sergente della Legione Straniera di nome Etienne Gnassingbeche si suppone ricevette un compenso di $612 dalla locale ambasciata francese per il lavoro di assassino. Il sogno di Olympio era quello di costruire un paese indipendente e autosufficiente.
Tuttavia ai francesi non piaceva l’idea. Il 30 giugno 1962, Modiba Keita , il primo presidente della Repubblica del Mali, decise di uscire dalla moneta coloniale francese FCFA imposta a 12 neo indipendenti paesi africani. Per il presidente maliano, che era più incline ad un’economia socialista, era chiaro che il patto di continuazione della colonizzazione con la Francia era una trappola, un fardello per lo sviluppo del paese.
Il 19 novembre 1968, proprio come Olympio, Keita fu vittima di un colpo di stato guidato da un altro ex soldato della Legione Straniera francese, il luogotenente Moussa Traoré. Infatti durante quel turbolento periodo in cui gli africani lottavano per liberarsi dalla colonizzazione europea, la Francia usò ripetutamente molti ex legionari stranieri per guidare colpi di stato contro i presidente eletti:
- Il 1 gennaio 1966, Jean-Bédel Bokassa, un ex soldato francese della legione straniera, guidò un colpo di stato contro David Dacko, il primo presidente della Repubblica Centrafricana.
- Il 3 gennaio 1966, Maurice Yaméogo, il primo presidente della Repubblica dell’Alto Volta, oggi Burkina Faso, fu vittima di un colpo di stato condotto da Aboubacar Sangoulé Lamizana, un ex legionario francese che combatté con i francesi in Indonesia e Algeria contro le indipendenze di quei paesi.
- il 26 ottobre 1972, Mathieu Kérékou che era una guardia del corpo del presidente Hubert Maga, il primo presidente della Repubblica del Benin, guidò un colpo di stato contro il presidente, dopo aver frequentato le scuole militari francesi dal 1968 al 1970.
Negli ultimi 50 anni un totale di 67 colpi di stato si sono susseguiti in 26 paesi africani, 16 di quest’ultimi sono ex colonie francesi, il che significa che il 61% dei colpi di stato si sono verificati nell’Africa francofona.
Numero dei Colpi di stato in Africa per paese
Ex colonie francesi | Altri paesi africani | ||
Paese | Numero di colpi di stato | Paese | Numero di colpi di stato |
Togo | 1 | Egitto | 1 |
Tunisia | 1 | Libia | 1 |
Costa d’Avorio | 1 | Guinea Equatoriale | 1 |
Madagascar | 1 | Guinea Bissau | 2 |
Rwanda | 1 | Liberia | 2 |
Algeria | 2 | Nigeria | 3 |
Congo – RDC | 2 | Etiopia | 3 |
Mali | 2 | Uganda | 4 |
Guinea Conakry | 2 | Sudan | 5 |
SUB-TOTALE 1 | 13 | ||
Congo | 3 | ||
Ciad | 3 | ||
Burundi | 4 | ||
Repubblica centrafricana | 4 | ||
Niger | 4 | ||
Mauritania | 4 | ||
Burkina Faso | 5 | ||
Comores | 5 | ||
SUB-TOTAL 2 | 32 | ||
TOTAL (1 + 2) | 45 | TOTALE | 22 |
Come dimostrano questi numeri, la Francia è abbastanza disperata ma attiva nel tenere sotto controllo le sue colonie, a qualsiasi prezzo, a qualsiasi condizione.
Nel marzo del 2008, l’ex presidente francese Jacques Chirac disse:
“Senza l’Africa, la Francia scivolerebbe a livello di una potenza del terzo mondo”
Il predecessore di Chirac, François Mitterand già nel 1957 profetizzava che:
“Senza l’Africa, la Francia non avrà storia nel 21mo secolo”
Proprio in questo momento mentre scrivo quest’articolo, 14 paesi africani sono costretti dalla Francia, attraverso un patto coloniale, a depositare l’85% delle loro riserve di valute estere nella Banca centrale francese controllata dal ministero delle finanze di Parigi. Finora, 2014, il Togo e altri 13 paesi africani dovranno pagare un debito coloniale alla Francia. I leader africani che rifiutano vengono uccisi o restano vittime di colpi di stato. Coloro che obbediscono sono sostenuti e ricompensati dalla Francia con stili di vita faraonici mentre le loro popolazioni vivono in estrema povertà e disperazione.
E’ un sistema malvagio denunciato dall’Unione Europea, ma la Francia non è pronta a spostarsi da quel sistema coloniale che muove 500 miliardi di dollari dall’Africa al suo ministero del tesoro ogni anno.
Spesso accusiamo i leader africani di corruzione e di servire gli interessi delle nazioni occidentali, ma c’è una chiara spiegazione per questo comportamento. Si comportano così perché hanno paura di essere uccisi o di restare vittime di un colpo di stato. Vogliono una nazione potente che li difenda in caso di aggressione o di tumulti. Ma, contrariamente alla protezione di una nazione amica, la protezione dell’occidente spesso viene offerta in cambio della rinuncia, da parte di quei leader, di servire il loro stesso popolo e i suoi interessi.
I leader africani lavorerebbero nell’interesse dei loro popoli se non fossero continuamente inseguiti e provocati dai paesi colonialisti.
Nel 1958, spaventato dalle conseguenze di scegliere l’indipendenza dalla Francia, Leopold Sédar Senghor dichiarò: “La scelta del popolo senegalese è l’indipendenza; vogliono che ciò accada in amicizia con la Francia, non in disaccordo.”
Da quel momento in poi la Francia accettò soltanto un’ “indipendenza sulla carta” per le sue colonie, siglando “Accordi di Cooperazione”, specificando la natura delle loro relazioni con la Francia, in particolare i legami con la moneta coloniale francese (il Franco), il sistema educativo francese, le preferenze militari e commerciali.
Qui sotto ci sono le 11 principali componenti del patto di continuazione della colonizzazione dagli anni 50:
#1. Debito coloniale a vantaggio della colonizzazione francese
I neo “indipendenti” paesi dovrebbero pagare per l’infrastruttura costruita dalla Francia nel paese durante la colonizzazione.
Devo ancora trovare tutti i dati specifici circa le somme, la valutazione dei benefici della colonizzazione e i termini di pagamento imposti ai paesi africani, ma ci stiamo lavorando (aiutaci con più info).
#2. Confisca automatica delle riserve nazionali
I paesi africani devono depositare le loro riserve monetarie nazionali nella Banca centrale francese.
La Francia detiene le riserve nazionali di quattordici paesi africani dal 1961: Benin, Burkina Faso, Guinea-Bissau, Costa d’Avorio, Mali, Niger, Senegal, Togo, Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Congo-Brazzaville, Guinea Equatoriale e Gabon.
“La politica monetaria che governa un gruppo di paesi così diversi non è complicato perché, di fatto, è decisa dal ministero del Tesoro francese senza rendere conto a nessuna autorità fiscale di qualsiasi paese che sia della CEDEAO [la comunità degli stati dell’Africa occidentale] o del CEMAC [Comunità degli stati dell’Africa centrale]. In base alle clausole dell’accordo che ha fondato queste banche e il CFA, la Banca Centrale di ogni paese africano è obbligata a detenere almeno il 65% delle proprie riserve valutarie estere in un “operations account” registrato presso il ministero del Tesoro francese, più un altro 20% per coprire le passività finanziarie.
Le banche centrali del CFA impongono anche un tappo sul credito esteso ad ogni paese membro equivalente al 20% delle entrate pubbliche dell’anno precedente. Anche se la BEACe la BCEAO hanno un fido bancario col Tesoro francese, i prelievi da quel fido sono soggetti al consenso dello stesso ministero del Tesoro. L’ultima parola spetta al Tesoro francese che ha investito le riserve estere degli stati africani alla borsa di Parigi a proprio nome.
In breve, più dell’ 80% delle riserve valutarie straniere di questi paesi africani sono depositate in “operations accounts” controllati dal Tesoro francese. Le due banche CFA sono africane di nome, ma non hanno una politica monetaria propria. Gli stessi paesi non sanno, né viene detto loro, quanto del bacino delle riserve valutarie estere detenute presso il ministero del Tesoro a Parigi appartiene a loro come gruppo o individualmente.
Gli introiti degli investimenti di questi fondi presso il Tesoro francese dovrebbero essere aggiunti al conteggio ma non c’è nessuna notizia che venga fornita al riguardo né alle banche né ai paesi circa i dettagli di questi scambi. Al ristretto gruppo di alti ufficiali del ministero del Tesoro francese che conoscono le cifre detenute negli “operations accounts”, sanno dove vengono investiti questi fondi e se esiste un profitto a partire da quegli investimenti, viene impedito di parlare per comunicare queste informazioni alle banche CFA o alle banche centrali degli stati africani.” Scrive Dr. Gary K. Busch
Si stima che la Francia detenga all’incirca 500 miliardi di monete provenienti dagli stati africani, e farebbe qualsiasi cosa per combattere chiunque voglia fare luce su questo lato oscuro del vecchio impero.
Gli stati africani non hanno accesso a quel denaro.
La Francia permette loro di accedere soltanto al 15% di quel denaro all’anno. Se avessero bisogno di più, dovrebbero chiedere in prestito una cifra extra dal loro stesso 65% da Tesoro francese a tariffe commerciali.
Per rendere le cose ancora peggiori, la Francia impone un cappio sull’ammontare di denaro che i paesi possono chiedere in prestito da quella riserva. Il cappio è fissato al 20% delle entrate pubbliche dell’anno precedente. Se i paesi volessero prestare più del 20% dei loro stessi soldi, la Francia ha diritto di veto.
L’ex presidente francese Jacques Chirac ha detto recentemente qualcosa circa i soldi delle nazioni africane detenuti nelle banche francesi. Questo qui sotto è un video in cui parla dello schema di sfruttamento francese. Parla in francese, ma questo è un piccolo sunto: “Dobbiamo essere onesti e riconoscere che una gran parte dei soldi nelle nostre banche provengono dallo sfruttamento del continente africano.”
#3. Diritto di primo rifiuto su qualsiasi materia prima o risorsa naturale scoperta nel paese
La Francia ha il primo diritto di comprare qualsiasi risorsa naturale trovate nella terra delle sue ex colonie. Solo dopo un “Non sono interessata” della Francia, i paesi africani hanno il permesso di cercare altri partners.
#4. Priorità agli interessi francesi e alle società negli appalti pubblici
Nei contratti governativi, le società francesi devono essere prese in considerazione per prime e solo dopo questi paesi possono guardare altrove. Non importa se i paesi africani possono ottenere un miglior servizio ad un prezzo migliore altrove.
Di conseguenza, in molte delle ex colonie francesi, tutti i maggiori asset economici dei paesi sono nelle mani degli espatriati francesi. In Costa d’Avorio, per esempio, le società francesi possiedono e controllano le più importanti utilities – acqua, elettricità, telefoni, trasporti, porti e le più importanti banche. Lo stesso nel commercio, nelle costruzioni e in agricoltura.
Infine, come ho scritto in un precedente articolo, Africans now Live On A Continent Owned by Europeans! [Gli africani ora vivono in un continente di proprietà degli europei !]
#5. Diritto esclusivo a fornire equipaggiamento militare e formazione ai quadri militari del paese
Attraverso un sofisticato schema di borse di studio e “Accordi di Difesa” allegati al Patto Coloniale, gli africani devono inviare i loro quadri militari per la formazione in Francia o in strutture gestite dai francesi.
La situazione nel continente adesso è che la Francia ha formato centinaia, anche migliaia di traditori e li foraggia. Restano dormienti quando non c’è bisogno di loro, e vengono riattivati quando è necessario un colpo di stato o per qualsiasi altro scopo!
#6. Diritto della Francia di inviare le proprie truppe e intervenire militarmente nel paese per difendere i propri interessi
In base a qualcosa chiamato “Accordi di Difesa” allegati al Patto Coloniale, la Francia ha il diritto di intervenire militarmente negli stati africani e anche di stazionare truppe permanentemente nelle basi e nei presidi militari in quei paesi, gestiti interamente dai francesi.
Quando il presidente Laurent Gbagbo della Costa d’Avorio cercò di porre fine allo sfruttamento francese del paese, la Francia ha organizzato un colpo di stato. Durante il lungo processo per estromettere Gbagbo, i carri armati francesi, gli elicotteri d’attacco e le forze speciali intervennero direttamente nel conflitto sparando sui civili e uccidendone molti.
Per aggiungere gli insulti alle ingiurie, la Francia stima che la business community francese abbia perso diversi milioni di dollari quando, nella fretta di abbandonare Abidjan nel 2006, l’esercito francese massacrò 65 civili disarmati, ferendone altri 1200.
Dopo il successo della Francia con il colpo di stato, e il trasferimento di poteri ad Alassane Outtara,
Continua qui: http://www.africanews.it/14-paesi-africani-costretti-a-pagare-tassa-coloniale-francese/
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