NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 28 MARZO 2019 SPECIALE NEOMACCARTISMO

http://www.sconfinare.net/la-purga-anticomunista-negli-usa-origini-diffusione-del-maccartismo/

NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

28 MARZO 2019

SPECIALE NEOMACCARTISMO

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Lyndon Johnson? È un uomo politico!

Conosciamo la morale di quella gente:

è un gradino più giù

di quelli che si inchiappettano i bambini

(Woody Allen nel film “Io e Annie”)

In: Suonala ancora Sam, Bompiani 2001, pag. 265

 

http://www.dettiescritti.com/

https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/

 

Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

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SOMMARIO

Neomaccartismo, guerre locali, finanza liberale

Occhio ai custodi della democrazia non eletti da nessuno

Cina, Global Times: le élite statunitensi vogliono il neo-maccartismo?. 1

Fuori i Rossi da Hollywood. 1

Con “Sweet Democracy” Diomà denuncia a New York la “censura subdola” in Italia. 1

Lista nera di attori pacifisti, «maccartismo» a Hollywood. 1

Il Neopuritanesimo neomaccartista proprio a Hollywood….. 1

Quando la caccia alle streghe c’era anche nel cinema italiano. 1

Oliver Stone e la russofobia: “Sto lavorando per evidenziare la vergogna che i media mainstream sono diventati”. 1

Il maccartismo sessuale che colpisce l’America

Assange: “I democratici hanno montato un’isteria stile neo-maccartismo sulla Russia”. 1

Maccartismo 2.0: un think tank britannico fa la lista nera dei paesi pro-Russia. 1

La solita misericordia a senso unico. Nuovo maccartismo?

Il caso Allam e il maccartismo all’italiana

Caso Skripal: infuria il neo-maccartismo. 1

Trump, Obama e il maccartismo di ritorno

Il Washington Post e la lista nera di siti indipendenti 1

Maccartismo. 1

Neo-maccartismo negli USA. 1

Preoccupante stretta di Obama sulla “propaganda” online. 1

Germania nel panico: perché la Russia di Putin non interferisce nelle nostre elezioni?  1

La leopolda partorisce la politica della “fake news”

Elena Gentile chiede lo “scalpo” di Iaia. “Neo maccartismo male da estirpare nel Pd”  1

Se questo è un eroe della libertà. 1

Prove di censura di massa? il caso di InfoWars VS social media. 1

La purga anticomunista negli USA: origine e diffusione del maccartismo. 1

Il caso Rosenberg e la paranoia collettiva negli USA: ieri e oggi 1

Il Maccartismo

 

 

EDITORIALE

Neomaccartismo, guerre locali, finanza liberale, terrorismo informativo: i quattro cavalieri dell’apocalisse

L’odio e il rancore come difesa contro l’ipocrisia, il buonismo, il politicamente corretto, le disuguaglianze.

Manlio Lo Presti – 28 marzo 2019

Da molto tempo imperversa una follia collettiva sovragestita dalla cupola mondialista delle élite democratiche nordamericane coadiuvata dalla meticolosa e zelante distribuzione di oltre 26 conflitti regionali che alimentano il riciclaggio di denaro e il mercato delle armi con la finanziarizzazione liberal che ha letteralmente sovrastato e quasi eliminato l’economia “reale” di produzione di beni e servizi.

Neomaccartismo, guerre di teatro, finanza liberale e terrorismo informativo sono strumenti che dispiegano la loro efficacia in quanto intrecciati fra loro.

Il neomaccartismo viene usato scientificamente dagli strateghi della geopolitica a trazione USA per il controllo del pianeta. Il caos che ne deriva viene utilizzato per stritolare e demolire gli Stati-nazione, la loro identità culturale e etnica, i loro confini, i loro diritti in quanto ostacolano la “democrazia” veicolata dalla fluidità dei mercati finanziari.

Le guerre di teatro (locali) sono utilizzate per destabilizzare aree del pianeta che si oppongono alla politica imperiale USA e soprattutto sono attuate dove non esiste la presenza di succursali delle banche Rothschild, Goldman Sachs, ecc.

Il predominio finanziario mediante politiche di prestiti facili che incravattano i Paesi prestatari costretti poi a smantellare il loro stato sociale in nome del c.d. “libero mercato”. È un efficacissimo mezzo di controllo dei Paesi-bersaglio verso i quali non si ritiene – all’inizio – di scatenare un conflitto militare interno.

Il terrorismo informativo, costituito dalla creazione di una valanga di informazioni false distribuite da catene televisive, giornali e dalla rete. È lo strumento maggiormente utilizzato dai servizi segreti per diffondere nelle popolazioni-bersaglio una percezione distorta della realtà che ha lo scopo di rendere inevitabili le decisioni prese dagli USA: crea il problema, fallo marcire per un certo tempo e poi fornisci la soluzione-fate-presto. La politica del “soft power”, cioè la creazione di centinaia di istituzioni culturali in tutto il mondo (i cosiddetti think tank) e vari enti benefici propulsori delle charity invece dei diritti sociali, sostiene il progetto di deformazione della realtà, favorisce il consenso alle politiche neomaccartiste USA nel mondo. Sono istituzioni che ricevono ingenti finanziamenti, hanno una struttura gerarchica che necessita di anni per essere scalata, hanno una teologia interna costituita da regole artificiali create a tavolino per impegnare gli affiliati a studiarle con fatica per anni (caso classico sono le oltre 200 religioni fiscalmente facilitate e le “organizzazioni esoteriche” sfornate dagli USA ed estese in tutto il mondo, ma che siano sempre in conflitto reciproco perché non sia loro possibile aggregarsi e diventare uno strumento fuori controllo).

Il capolavoro degli spin doctor USA è stato appunto quello di aver creato ed aggiornato continuamente questi strumenti del totalitarismo percettivo che sta imprigionando gran parte del pianeta in una gigantesca bolla cognitiva stile Matrix.

Le aree del pianeta che ancora si oppongono alla sottomissione di tale progetto iperliberista neomaccartista sono bersaglio delle pressioni esercitate dal Sacro Occidentale Impero Tecnetronico USA che vanno dalla lobbying del soft power fino all’opzione terroristico-militare esercitata con milizie private (contractors) capeggiate solitamente da ex generalissimi dell’esercito e dal Pentagono, che pompano decine di miliardi di dollari al giorno rivenienti dal governo ma soprattutto da un vorticoso flusso di bonifici di denaro riciclato mediante le banche-ombra e adesso con il sistema blockchain e bitcoin. Mi riferisco alle aree del Medioriente, alla Russia, alla Cina, ad alcuni Paesi sudamericani che non hanno – ripeto – agenzie operative delle maggiori banche nordamericane ed europee.

Questo mondo parzialmente condizionato dalle “dottrine geopolitiche” tempo per tempo dominanti negli USA trova ostacoli sempre più duri da parte di coloro che oppongo resistenza per legittima difesa, per affermare la legittimità della propria esistenza costituita da una propria scala di valori etnici, culturali, economici.

Si tratta di salvaguardare le differenze intese come patrimonio dell’umanità.

Si tratta di tutelare il multiculturalismo che va confuso con l’integrazione a marce forzate di masse di c.d. immigrati pilotati da occulte agenzie del terrore e miranti alla destabilizzazione geopolitica delle aree e nazioni colpite da tali flussi disordinati.

Multiculturalismo non è quindi integrazione

L’accoglienza e l’integrazione sono fondate sulla accettazione della scala dei valori del Paese di arrivo. Un processo quasi impossibile perché, diciamocelo senza ipocrisie, le popolazioni che migrano non si integrano nel Paese ospitante che invece finiscono per odiare profondamente con rancore e rabbia.

Si creano quindi gruppi umani fondati sull’odio, chiusi nei propri valori antropo-culturali usati come difesa della propria identità: si veda il caso delle miriadi di quartieri stile Chinatown esistenti negli USA da oltre un secolo. Abbiamo i quartieri cinesi (Chinatown), italiani (Little Italy), gli irlandesi, i polacchi, i russi, ecc. Si tratta di entità sociali spesso importanti, con ampi mezzi finanziari e addirittura, in grado di condizionare le elezioni di sindaci, senatori e presidenti USA. Entità che nessun politico nordamericano si è mai sognato di eliminare, pena l’esplosione di una vera e propria guerra-civile-razziale!

Il liberismo neomaccartista iperliberista intende eliminare qualsiasi ostacolo di natura economica, statuale, etnica, sociale ma si tiene in casa queste minoranze.

Il modello iperliberista USA promuove scientificamente la repressione delle resistenze con l’uso della detenzione indiscriminata in prigioni a gestione privata generando una marea di ricavi. Non a caso gli USA hanno il maggiore numero di detenuti del mondo superando anche le dittature euroasiatiche ed asiatiche!

Un bel modello di democrazia a trazione finanziaria speculativa da esportare nel mondo…

L’uso indiscriminato di questi quattro cavalieri dell’apocalisse incontra una crescente resistenza da parte del resto del mondo dove esistono da anni, troppi per non essere voluti, conflitti sanguinosi e con sterminio di civili contro ogni regolamentazione umanitaria che l’Onu ed agenzie simili dovrebbe arginare mostrando invece la loro palese inutilità.

Aggiungo un aspetto spesso sottovalutato perché scambiato per debolezza. Parlo dell’inquietante silenzio della Russia, dell’India e della Cina. Sono entità nazionali importanti e molto pericolose in termini militari ed economici. Mi preoccupano le loro eventuali reazioni ad un incremento di aggressività sostenuta dalla attuale classe politica USA orientata al predominio bancario/finanziario e militare del globo.

Non si fanno i conti senza l’oste, malgrado molti politologi ipotizzino l’esistenza di un accordo sottobanco delle maggiori potenze che fingono di litigarsi ma che poi detengono il potere in coabitazione. Si tratta di una tesi accomodante e rassicurante a cui non credo.

Ritengo, più realisticamente, che esista attualmente una strategia condizionata dal “dilemma del prigioniero” (*): il primo che abbassa la guardia viene massacrato e sterminato dagli altri.

Tutti i contendenti sono d’accordo nel mantenere una abissale distanza tecnologica con il resto del mondo affinché questo “resto” non sia mai in grado di assaltare il fortino dei dominatori mediante la terrificante spinta di masse di miliardi di esclusi e di insoddisfatti che premono alle porte della cittadella per impadronirsene e poi distruggerla.

Non crediamo alla favola della inclusione e dell’accoglienza che altro non è che un rinnovato cavallo di Troia 2.0.

Il mondo è dominato da un odio insondabile delle masse escluse che a tutto pensano tranne che ad integrarsi in un mondo che li tiene in feroce sottomissione. L’élite superglobalista sa benissimo che il sentimento predominante da secoli è l’odio titanico e ossessivo degli esclusi contro i dominatori, del servo contro il padrone …

Esiste l’odio come combustibile dei dominati contro i dominanti che si legittimano con la persuasione e la violenza assoluta.

Oggi non vedo perché debba essere diverso laddove le tecnologie della dominazione planetaria hanno esasperato le disuguaglianze e accresciuto il controllo delle risorse (acqua, materie prime, fonti energetiche) con l’esclusivo e prevalente scopo di tenere a bada l’urlo distruttivo e l’insanabile odio delle masse escluse dal banchetto e sottomesse con brutalità e ferocia indiscriminata.

 

Sotto il velo ipocrita e soporifero del buonismo esiste l’odio il rancore! Questa è la realtà.

 

Coloro che fanno passare informazioni melliflue, buoniste, fraterne “ad usum delphini”, sono dei veri e propri ipocriti untori dell’informazione in malafede!

Ne riparleremo …

 

Nota

(*) cfr: http://utenti.quipo.it/base5/logica/dilemmaprig.htm

 

 

 

IN EVIDENZA

Occhio ai “custodi” della democrazia non eletti da nessuno

Scritto il 06/9/18

Dopo il summit Salvini-Orbán (e gli scontri etnici in Germania), Paolo Mieli ha ripetuto sul “Corriere della Sera” che i partiti populisti a caccia di leadership definitiva in Europa sono nulla più che sovversivi «barbari alle porte». Sulle stesse colonne, Sabino Cassese continua a vedere la coalizione di governo italiana come uno scivolo verso la «democrazia illiberale». L’immagine di fondo, cioè la sintesi storico-politica degli argomenti, rimanda puntualmente agli anni Venti e Trenta del secolo scorso in Italia, Germania, Ungheria e Austria, scrive Nicola Berti sul “Sussidiario”. La dittatura (“fascista” e prodromica alla guerra) è sempre in agguato, e si può fare strada senza difficoltà anche fra le urne: ogni suo simulacro più o meno presunto va quindi respinto e combattuto in via pregiudiziale, assoluta, dalla “democrazia legittima”.

«E’ lo stesso atteggiamento dei politici, intellettuali e media Usa che da due anni osteggiano “a prescindere” la presidenza di Donald Trump», osserva Berti: l’establishment la dipinge infatti «come un incidente della storia, un pericolo mortale per la democrazia americana», un “mostro” «da annientare al più presto con ogni mezzo (a cominciare dalla via giudiziaria, rispolverando esplicitamente il modello italiano di Mani Pulite)».

 

Paolo Mieli giornalista e storico

 

Salvini e Orbán, nondimeno, hanno dato ennesima sintesi alla loro polemica sull’Europa, incarnandola in un “barbaro” da combattere, anzi da espellere: si tratta del supermassone neo-aristocratico George Soros, finanziere di origine ungherese, noto fra l’altro per il devastante attacco speculativo alla lira italiana del 1992. E’ lui, scrive Berti, ad apparire un attendibile “cosmocrate” dei nostri tempi: un europeo trapiantato a Wall Street per lanciare dalla trincea americana la “guerra mondiale” della globalizzazione finanziaria, «quella che avrebbe brutalmente sostituito – principalmente in Europa – la politica con la tecnocrazia, finendo con l’assegnare all’oligopolio bancario apolide (travestito da “libero mercato”) le leve ultime sui destini degli ex Stati nazionali». Gestore di mega-hedge fund, nonché filosofo e mecenate di fondazioni politico-culturali mondialiste, rivestirebbe dunque con speciale verosimiglianza i panni del “dittatore” contemporaneo: il Grande Fratello di un capitalismo finanziario globalizzato «che non avrebbe più bisogno, come cent’anni fa, di un Hitler o di un Mussolini», dal momento che gli bastano un Obama truccato da progressista e l’ideologia politically correct

 

Continua qui: http://www.libreidee.org/2018/09/occhio-ai-custodi-della-democrazia-non-eletti-da-nessuno/

 

 

 

 

Cina, Global Times: le élite statunitensi vogliono il neo-maccartismo?

di Li Qingqing – Global Times – 18 DICEMBRE 2018

Il noto economista e professore della Columbia University, Jeffrey D Sachs, ha suscitato un vespaio definendo gli Stati Uniti come una minaccia allo stato di diritto internazionale. Gli studiosi statunitensi si sono scagliati contro l’accademico che ha scritto un articolo sul caso riguardante il CFO di Huawei Meng Wanzhou, intitolato: “Gli Stati Uniti, non la Cina, sono la vera minaccia allo stato di diritto internazionale”.

 

Apparentemente irritato dalla scorrettezza politica dell’articolo, Isaac Stone Fish, giornalista e opinionista collaboratore di The Washington Post Global Opinion, ha contestato aggressivamente Sachs su Twitter: “Huawei ti ha pagato per questo?” Inoltre, ha anche chiesto a Sachs di dichiarare la sua posizione sul governo cinese dello Xinjiang: “Le dispiacerebbe spiegarmi come condanna i campi di concentramento nello Xinjiang?”

 

Isaac non è l’unico a criticare Sachs che è stato attaccato in maniera accesa su Twitter dagli studiosi statunitensi che lo accusano di essere una “testa parlante pagata dalla Cina” o “notevolmente naïve”. È abbastanza sorprendente. Questi accademici non stanno davvero discutendo l’opinione di Sachs, ma utilizzano accuse infondate per attaccare il professore. I circoli accademici statunitensi sono in prima fila

 

Continua qui: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-cina_global_times_le_lite_statunitensi_vogliono_il_neomaccartismo/82_26471/

 

 

 

 

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

Fuori i Rossi da Hollywood

  • 9 Giugno, 2015 – Oliviero Diliberto

Vi propongo un viaggio indietro nel tempo, in un passato mai tanto attuale. Un viaggio nell’America maccartista del 1947, nella quale una delle professioni di grido era il venditore porta a porta di rifugi antiatomici. Gli Stati Uniti della guerra fredda, raccontati attraverso i verbali inediti per l’Italia delle udienze tenute dalla Commissione per le attività antiamericane a Hollywood, davanti a cui sfilarono – tra gli altri – nomi come Walt Disney, Ronald Reagan, Gary Cooper, Bertolt Brecht e Edward Dmytrik.

 

 

Dalla prefazione di Oliviero Diliberto:

Zero Mostel danza da solo in una stanza d’albergo. Sorride. Ha una coppa di champagne in mano. Brinda verso un interlocutore inesistente. Sale sul davanzale della finestra. Si butta nel vuoto. È un ricordo vivissimo. The Front (in Italia, Il prestanome) di Martin Ritt: storia di maccartismo e dell’impossibilità di lavorare nel cinema e nello spettacolo per chi era di sinistra o, semplicemente, per quanti si opponevano alla caccia alle streghe, credevano nella libertà di espressione, nella democrazia. Ci fu chi affrontò il carcere, chi rimase disoccupato, chi – come Mostel nel film di Ritt – si uccise. (…)

Torniamo a Zero Mostel e alla struggente scena finale del film, nella quale Woody Allen si rifiuta di fornire alla Commissione sulle attività antiamericane anche il solo nome di un morto. Diventa un eroe, lui che era, appunto, solo un prestanome. L’America si interrogava su se stessa, come tre anni prima aveva fatto Sindney Pollack (Come eravamo). Il cinema indagava sul cinema, sulla vigliaccheria e sul coraggio. Ferite ancora aperte, se si pensa alle recentissime polemiche sull’Oscar alla carriera attribuito a Elia Kazan, accusatore di amici e colleghi – come tanti altri – per farla franca. Sono, in fondo, i momenti nei quali ciascuno di noi si confronta con se stesso, prima ancora che con gli altri. Uno il coraggio, direbbe Manzoni, non se lo può dare. Ma la dignità, sì.

Il maccartismo – come spiega benissimo questo libro intelligente, colto e raffinato, ricco di materiali inediti – nasce nel quadro del mondo diviso in due, nasce dal blocco di Berlino (1948), dall’incubo dell’atomica sganciata pochi anni prima su Hiroshima e Nagasaki ed appena sperimentata per la prima volta in Urss (1949), dalla paura del comunismo che vince in Cina (sempre nel 1949), dall’inizio

 

Continua qui: https://www.sciltiangastaldi.com/index.php/it/libri/fuori-i-rossi-da-hollywood

 

 

 

 

 

 

 

Con “Sweet Democracy” Diomà denuncia a New York la “censura subdola” in Italia

Intervista al regista napoletano Michele Diomà, protagonista con il suo film, che vede tra i protagonisti Dario Fo, della rassegna Italy On Screen Today

di Davide Mamone

30 Ott 2017

Nella pellicola “Sweet Democracy” presentata a New York, che racconta le vicissitudini di un giovane primo ministro italiano, Michele Diomà denuncia “un sistema di produzione cinematografico non basato sul merito ma sulle clientele” e un “sistema di censura al 98%” che in Italia limita la libertà d’espressione più che in passato

In Italia è tra gli ultimi registi ad aver lavorato con il premio Nobel per la Letteratura, Dario Fo. Negli Stati Uniti, invece, è stato il protagonista della rassegna “Italy on Screen Today 2017”. Stiamo parlando di Michele Diomà, 34 anni e una vita divisa tra Napoli, Roma e l’Europa, che nel corso della Settimana della Lingua italiana ha presentato a New York il suo ultimo film, Sweet Democracy. Una pellicola che ha visto tra i protagonisti proprio Dario Fo, che è stata co-finanziata da Donald Ranvaud, e che si pone l’obiettivo di denunciare “il sistema di censura che vige oggi in Italia”. Un sistema basato su una “sorta di neo-maccartismo autoritario, ma solo verso certi registi”, in un contesto in cui la produzione cinematografica non è quasi mai basata sul merito, “ma sulle clientele”, limitando così in modo subdolo la libertà d’espressione.

La prima americana di Sweet Democracy, che in Italia era stato presentato nel 2016 a Taranto, ha avuto luogo giovedì 20 ottobre 2017 presso la Casa Italiana Zerilli-Marimò della New York University. E nel corso della sua settimana newyorkese, Diomà è stato protagonista anche alla La Guardia High School di New York per un Q&A organizzato dal professor Mario Costa, improntato proprio sul concetto di libertà d’espressione e di stampa in Italia (“Un’occasione preziosa per confrontarsi con gli studenti americani”).

 

VIDEO QUI: https://youtu.be/fIKkfYSBZjY

Michele Diomà, il suo film parla proprio di questo: di libertà d’espressione e censura. Come si sviluppa la pellicola?

“Il film racconta delle vicissitudini di un giovane primo ministro italiano ed è costruito su due binari: uno di pura fiction e uno di documentaristica. È una pellicola auto-prodotta, senza uso di denaro pubblico, e che si pone l’obiettivo di far capire quanto le maglie della censura si stiano restringendo in modo subdolo e silenzioso, nel nostro Paese. In particolare, il giovane primo ministro protagonista della mia storia è il tipico politico che prende il potere e cambia qualcosa superficialmente, senza però cambiare mai nulla nel concreto”.

Un richiamo all’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi?

“Per più di un certo verso non posso negare che ci sia eccome”.

Quali sono i cambiamenti che non sarebbero stati fatti?

“Glieli riassumo tutti in una scena, che per me è l’essenza della pellicola e di quello che sta succedendo in Italia oggi. Una scena nella quale un assistente dice al primo ministro: ‘Presidente, lei ha cambiato l’Italia’. Lui ci pensa su e risponde: ‘Ma no, che ho cambiato? Sono solo il primo Presidente che sa dire la parola ketchup nel modo corretto e che non ha problemi di prostata. Questo ho cambiato’. E l’assistente controbatte: ‘Beh, per l’Italia è un grosso passo avanti’ “.

Lei ha lavorato con Dario Fo, protagonista del film nel filone di documentaristica. Ci racconta com’è stato collaborare con una personalità così?

 “Non penso di essermi mai trovato davanti a un giovane della mia età con la potenza di Dario Fo. Ci pensi: lui da premio Nobel quasi 90enne se ne sarebbe potuto completamente disinteressare, di fare un film con me, non gli veniva in tasca nulla. E invece da

 

Continua qui: https://www.lavocedinewyork.com/arts/spettacolo/2017/10/30/con-sweet-democracy-dioma-denuncia-a-new-york-la-censura-subdola-in-italia/

 

 

 

 

 

 

 

 

Lista nera di attori pacifisti, «maccartismo» a Hollywood

WASHINGTON – 20 marzo 2003

 

La guerra contro l’Iraq ha già fatto scattare ondate di neo-maccartismo in America con la pubblicazione di «liste nere» degli artisti che si oppongono da tempo al conflitto contro il regime di Baghdad.

Il quotidiano «New York Post» ha infatti pubblicato ieri un lungo elenco dei «pacifisti di Hollywood» con un invito a boicottare i film e i concerti «delle stelle che si oppongono alla liberazione dell’Iraq dall’assassino di massa Saddam Hussein e dai suoi accoliti stupratori».
La «lista nera» pubblicata dal quotidiano è capeggiata dall’intero cast del film «Mystic River»: gli attori Tim Robbins, Sean Penn e Laurence Fishburn, tutti «colpevoli» di opporsi alla guerra (Sean Penn si è recato addirittura in visita a Baghdad).

Un boicottaggio viene sollecitato anche per i nuovi film «Basic» (con Samuel Jackson),

 

Continua qui: http://ricerca.gelocal.it/iltirreno/archivio/iltirreno/2003/03/20/LA2PO_LA204.html?refresh_ce

 

 

 

 

 

 

 

Il Neopuritanesimo neomaccartista proprio a Hollywood…

Propone l’aberrante idea che si sia colpevoli solo perché qualcuno ti diffama… Noi stiamo dalla parte di coloro che hanno diritto ad essere giudicati innocenti, sino a prova contraria

31 Gennaio 2018 – Gioele Magaldi

 

«Solidarietà a chi davvero è stato molestato o ha subito violenze di natura sessuale. Ma tali atti vanno accertati ed eventualmente sanzionati in tribunale e in nessun’altra sede. Invece, c’è uno strano e sospetto Neo-puritanesimo diffuso world-wide, che ha assunto proprio i toni da caccia alle streghe che ebbe a suo tempo il Maccartismo…

E’ sospetto il modo in cui è stata distrutta l’immagine e la carriera di Kevin Spacey proprio nel momento in cui questo grande artista (grande come interprete, a prescindere dai suoi comportamenti da molestatore o meno, che andrebbero determinati in tribunale a posteriori e non mediaticamente a priori), protagonista della serie “House of Cards”, introduceva per la prima volta sullo schermo il tema del back-office del potere e delle associazioni paramassoniche mondialiste, paravento e longa manus di specifiche Ur-Lodges neoaristocratiche. E’ sospetta la campagna mediatica globale che ha reso ogni cittadino/a vulnerabile e passibile di demonizzazione aprioristica, non appena qualcuno si metta a gettare fango sulla sua reputazione, magari citando fatti di anni orsono, del tutto inverificabili. Uno dei presupposti fondamentali di una società moderna, laica, aperta, democratica, liberale, pluralista e fondata sullo stato di diritto è che ciascuno è innocente sino a prova contraria. Il Neo-puritanesimo neo-maccartista che proprio a Hollywood ha

Continua qui:

https://blog.movimentoroosevelt.com/home/1384-il-neo-puritanesimo-neo-maccartista-proprio-a-hollywood-propone-l-aberrante-idea-che-si-sia-colpevoli-solo-perche-qualcuno-ti-diffama-noi-stiamo-dalla-parte-di-coloro-che-hanno-diritto-ad-essere-giudicati-innocenti-sino-a-prova-contraria.html

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando la caccia alle streghe c’era anche nel cinema italiano

DI ANGELO TANTARO · 26 AGOSTO 2017

 

Nel numero di settembre di “Diari di Cineclub” la black list del cinema italiano pubblicata nel famigerato “Libro rosso” del 1952. Una lunga lista di proscrizione coi nomi dei rappresentanti della Federazione Italiana dei Circoli del Cinema (FICC) colpevoli di appartenere o simpatizzare col Pci. Articoli di Cecilia Mangini e Marco Asunis…

Antonio Pietrangeli, Callisto Cosulich, Umberto Barbaro. Non sono che alcuni dei “pericolosi sovversivi” messi all’indice dal potere democristiano negli anni Cinquanta. E sì una sorta di blacklist, alla stregua di quella che negli stessi anni, anni di guerra fredda, il maccartismo impose ad Hollywood allontanando dagli studios registi, sceneggiatori, attori tra i più celebri “rei” di essere comunisti.

Nell’Italia di Scelba, delle feroci cariche della “sua” celere contro ogni espressione di dissenso, accadeva insomma la stessa cosa contro il “culturame” di sinistra. Lo testimonia un testo storico, ritrovato di recente negli archivi della Federazione Italiana dei Circoli del Cinema (FICC) e che sarà pubblicato nel numero di settembre di Diari di Cineclub.

È il Libro rosso – Documentazione sulla situazione della Federazione italiana dei circoli del cinema pubblicato nel 1952 dall’Unione italiana dei Circoli del Cinema (UICC), quando, consumata la scissione con la FICC, la nuova sigla dell’associazionismo cinematografico si collocava come inequivocabile espressione del potere democristiano, scatenando la “caccia alle streghe”.

Nelle settanta pagine del libro, che espongono le ragioni della scissione interna

 

Continua qui: http://www.bookciakmagazine.it/la-caccia-alle-streghe-cera-anche-nel-cinema-italiano/

 

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Oliver Stone e la russofobia: “Sto lavorando per evidenziare la vergogna che i media mainstream sono diventati”

 

30 dicembre 2016

 

“I russi stanno arrivando”. Con questo titolo, in un lungo post facebook il noto regista statunitense, Oliver Stone, ha commentato la caccia alle streghe e il neomaccartismo in corso che ha visto come suo ultimo atto l’isteria infantile con cui Obama ha applicato nuove sanzioni contro la Federazione russa.

 

Un paese che non è in grado, si domanda Stone, di garantire lavoro e sicurezza interna può essere il poliziotto del mondo? Un paese, prosegue il regista, in cui il New York Times e il Washington post hanno ricreato la stagnante visione di guerra fredda degli anni 50 con i russi da incolpare per tutto – la sconfitta di Hillary, il caos nel mondo, la destabilizzazione dell’Europa… – “il Times ha aggiunto il carico delle ‘notizie false’ per riaffermare il suo ruolo problematico.

 

Sugli ‘hacker’ russi che hanno determinato l’esito delle elezioni del 2016, Stone sottolinea come uno dei principali accusatori (senza nemmeno una prova), insieme agli altri “patrioti” come Obama e la Cia, sia il guerrafondaio per eccellenza, John McCain, colui che ha definito il presidente Putin un “delinquente, bullo e un assassino e chiunque altro che lo descrive come qualsiasi altra cosa sta mentendo. Ha detto proprio questo – l’uomo il cui sano giudizio lo aveva portato a scegliere Sarah Palin come suo candidato Vicepresidente nel 2008”.

 

I media mainstream, prosegue Stone, hanno sorprendentemente evitato prove contrarie alla versione ufficiale, come quella presentata da Craig Murray, ex ambasciatore e portavoce di Wikileaks, che dichiara di aver avuto l’informazione da un “insider” di Washington disgustato dal comportamento del DNC; Murray poi ha dato a Wikileaks.

 

E poi una riflessione che deve essere analizzata con attenzione per comprendere la direzione drammatica intrapresa dall’occidente: “Ricordo bene nel 1950 quando i russi dovevano entrare nelle nostre scuole, nel Congresso, nel Dipartimento di Stato – e secondo molti sostenitori di Eisenhower / Nixon – prendere in consegna il nostro paese senza una seria opposizione (e loro mi chiamano paranoico!). E ‘stato questa stessa psicosi che insisteva sul nostro bisogno di andare in Vietnam per difendere le nostre libertà contro i comunisti a 6.000 miglia di distanza. E dopo che

Continua qui:

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-oliver_stone_e_la_russofobia_sto_lavorando_per_evidenziare_la_vergogna_che_i_media_mainstream_sono_diventati/82_18414/

 

 

 

Il maccartismo sessuale che colpisce l’America

www.ilfoglio.it

Tre bibbie liberal si dimostrano poco liberali sulle opinioni diverse. E cento scrittori difendono Buruma, cacciato dal New York Review of Books per aver ospitato una opinione critica del #metoo

Roma. Sette anni fa Robert B. Silvers, fondatore di quella cittadella della cultura che è stata la New York Review of Books, scrisse su quella rivista un articolo in cui si domandava se il caso Dominique Strauss-Kahn, politico socialista francese accusato di aver assaltato sessualmente una cameriera in un hotel di Manhattan, non fosse un complotto. Se Silvers lo avesse scritto oggi quell’articolo la sua testa avrebbe fatto la fine di quella di Ian Buruma, cacciato da direttore della stessa New York Review of Books per aver ospitato una opinione critica del #metoo. Perché sette anni dopo, come ha scritto Brendan O’Neill sulla rivista inglese Spiked, il giornalismo liberal americano è travolto da una ondata di “maccartismo sessuale”.

Dalla ricca platea di firme illustri della New York Review of Books in cento, fra cui Joyce Carol Oates e Ian McEwan, si sono f