RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
2 APRILE 2019
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Ricordate: anche i vinti partecipano attivamente alla vittoria!
STANISLAW J. LEC, Pensieri spettinati, Bompiani, 2006, pag. 244
https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/
Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.
Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com
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SOMMARIO
Violenza politica: ci stanno girando intorno per farla esplodere
I populisti? Sono tristi e pazzi. E per loro scatta la ricetta Breznev. 1
Michele Santoro perde la testa: “Offro congrua ricompensa a un killer” 1
“Se dovessi uccidere qualcuno ucciderei Salvini” e scoppia il caos in studio. 1
CartaBianca, Mario Giordano insultato da Gino Strada: la risposta con cui lo distrugge. 1
Razzista!”. È lite tra il sindaco Pd e Meluzzi su rom e migranti 1
«Crepa, bastardo!»: quando a incitare all’odio sono politici e giornalisti 1
Il nuovo mantra politicamente corretto: “stiamo tornando al Medioevo” 1
Morte Desirèe. Test Dna incastra i 3 stupratori africani
Cirinnà (Pd): il concetto di famiglia tradizionale è fascista 1
L’intervista. Alain de Benoist: “L’identità nazionale è indiscutibile e si fonda sui confini”. 1
Juncker va da Fazio e colleziona fake news 1
Omicidio Stefano Leo. Marocchino si costituisce: l’ho sgozzato io
Cabras: è la lotta contro il Deep State a unire Lega e M5S. 1
Mafia nigeriana, la rete che operava dai centri d’accoglienza 1
Come l’Italia conquisto’ lo «status di grande paese». 1
Guaido esegue le operazioni di cambio del regime degli Stati Uniti 1
Ospedale bombardato, morti 4 bimbi: Rai e Ansa non scrivono chi è stato. 1
Malta, dirottarono mercantile. Tre migranti incriminati per terrorismo. 1
Identificato l’agente della CIA che guidò l’incursione all’ambasciata nordcoreana in Spagna 1
Il Papa sull’immigrazione: “Chi costruisce muri vi rimane prigioniero” 1
La nuova Grande Strategia degli Stati Uniti 1
MACRON: “PRIVATIZZO QUIA ABSURDUM”. 1
Quando la narrazione del Potere diventa eterna 1
Prima che il mondo fosse. Alle radici del decisionismo novecentesco. 1
L’antisionismo non è antisemitismo, follia proibirlo per legge. 1
QUANDO CRAXI SVUOTO’ IL SACCO CONTRO NAPOLITANO….. 1
Genocidio nascosto: come il Regno Unito torturò ed uccise 300000 keniani 1
I dieci anni che sconvolsero il mondo. 1
EDITORIALE
Violenza politica: ci stanno girando intorno per farla esplodere
Manlio Lo Presti – 2 aprile 2019
Sarà forse per il clima preelettorale per la votazione al Parlamento europeo, ma i toni della contesa politica in Italia stanno veramente scivolando nella barbarie più cieca e, soprattutto, più stupida.
Peraltro, stanno lottando per avere un lucroso posto nell’unico parlamento al mondo che non può legiferare, funzione demandata ai pochi commissari europei non eletti da nessuno.
Considerato
1) il livello culturale decrescente dei parlamentari,
2) l’assenza di un disegno politico riassunto in una agenda credibile da parte dei raggruppamenti politici onesti
3) la palese assenza di argomenti e crassa ignoranza a tutti i livelli
la contesa politica sta scivolando nella melma delle offese e delle minacce.
Si allarga la tassonomia delle ingiurie, con un lento e progressivo scivolamento verso la ricerca della violenza fisica e perfino dell’assassinio, per ora auspicati a parole.
Ma si sa, storicamente il passo è breve.
A grandi linee abbiamo:
- Offese sull’aspetto fisico (il giornalista Giordano per la sua voce)
- Offese sulla stabilità mentale da sanare con campi di rieducazione (dito sulla tempia contro il criminologo Meluzzi)
- Istigazione all’assassinio, con giornalisti che pubblicamente dichiarano di voler assoldare un killer. Si tratta di un reato penale che rende imbarazzante la palese inattività dei giudici sul tema! (Esortazione a mirare bene su Salvini).
- Minacciano la rieducazione di massa dei figli dei populisti demmerda che solerti e scatenate sacerdotesse PD della superiorità morale irrogata dall’alto, andranno a prelevare casa per casa!
Da tempo gli storici avvertono, inascoltati, che un clima di odio del genere è l’anticamera delle vie di fatto, delle azioni fisiche, della guerra civile.
L’ampiezza del fenomeno e la rapidità della sua espansione fa crescere il sospetto che tutto questo caos sia proprio l’obiettivo di potentissimi interessi – soprattutto esterni all’Italia. Un Paese immerso nel caos non è un concorrente valido, è debole economicamente e paga gli interessi alle grandi banche centroeuropee ed atlantiche che da una parte bacchettano l’Italia demmerda che ha il debito, ma dall’altra sperano di non averlo MAI rimborsato per ricevere interessi eterni sui quali costruire i loro dividendi.
A colpi di mano, questi cekisti gestori della sovversione sospinti dall’aura della loro “superiorità morale post-togliattiana”, continuano ad alimentare un clima d’odio con il loro atteggiamento di sufficienza e di degnazione per il fatto di parlare con dei subumani che non “hanno votato nel modo giusto” e che meritano di essere sodomizzati da ondate di immigrati nordafricani.
Vediamo tutti i giorni le facce dei giornalisti che-hanno-sempre-ragione sdegnate da tanta pochezza. Fanno sapere ad ogni occasione che hanno studiato in prestigiose università americane e ce lo sbattono in faccia. Le terroriste del buonismo si atteggiano ad eterne scocciate con mimiche disgustate, ecc. ecc. ecc.
Questo indecoroso siparietto ha allargato il razzismo, da loro fintamente combattuto, fra la popolazione italiana sempre più esasperata da una gravissima ed artificialmente prolungata crisi economica.
Ha incattivito tutti coloro che sono stati espulsi dai cicli produttivi o licenziati in massa, soprattutto quando costoro vanno in televisione a filosofeggiare su quello che questo governo dovrebbe fare e che loro in tanti anni non hanno voluto fare perché telecomandati da oltre un secolo da enormi interessi atlantici che li ha letteralmente affogati di soldi fino al midollo. Non a caso il nostro Paese è fra i più corrotti del pianeta.
L’OSTILITA’ DI TUTTO L’APPARATO COMUNITARIO, LA PRESSIONE USA, LA DOPPIEZZA INGLESE, sono fattori che rendono impossibile un riscatto dell’Italia.
P.Q.M.
Non credo che ci siano vie d’uscita a breve.
Non credo che si potranno evitare per molto tempo attentati CON MIGLIAIA DI MORTI E FERITI e disordini sociali aggravati dalla presenza di c.d. immigrati importati per i ricavi miliardari.
Nessuno ha pensato di creare posti di lavoro PRIMA DI IMPORTARE STRANIERI e non dopo, creando manovalanza per il crimine e neoschiavi per i cantieri irregolari e per la raccolta nei campi ortofrutticoli.
Non credo che possa esserci un ricambio pacifico e scorrevole di una classe politica stritolata da ricatti reciproci e che ha bruciato, escluso, gambizzato tutte le possibili intelligenze che potrebbero salvare il nostro Paese e che continuano ad andare via dall’Italia verso Paesi che li ricevono a costo zero!
Terra bruciata crea altra terra bruciata …
Prepariamoci al prossimo ciclone con violenza superiore agli tsunami.
Ne riparleremo
IN EVIDENZA
I populisti? Sono tristi e pazzi. E per loro scatta la ricetta Breznev
Marco Gervasoni – 2 aprile 2019
Negli anni di Breznev formalmente i gulag non esistevano più. Erano stati però sostituiti da ospedali psichiatrici in cui venivano reclusi gli oppositori politici del regime o meglio quelli semplicemente sospettati di esserlo – gli ultimi veri oppositori erano finiti sterminati negli anni Trenta da Stalin. Poiché secondo la propaganda l’Urss era il regno della felicità, chiunque non fosse soddisfatto doveva per forza essere psichicamente malato. Dall’avversario politico come criminale, tipico degli anni dello stalinismo, si era passati all’avversario politico come matto da internare.
Breznev è morto da un pezzo, l’Urss e il sistema comunista non ci sono più, ma la tendenza a trattare chi contesta l’esistente come un folle non è sparita, anzi ha abbracciato tutto l’Occidente. Da un certo punto di vista, è comprensibile: chiamare folle il nemico ci esula dal chiederci quali siano le motivazioni che lo muovono, e se nel sistema esistente per caso qualcosa non funzioni: insomma priva di politicità la questione.
Per questo abbiamo visto negli anni precedenti, e anche oggi ogni volta la cronaca li ripresenta, terroristi islamisti trattati da folli, lupi solitari, invasati, gente disturbata, con infanzia difficile. Si nega loro la dignità di rappresentare una posizione religiosa-politica e al tempo stesso però si evita di pensare che nelle nostre società occidentali vi sia un potenziale esercito di martiri di Allah.
Ma oggi per il mainstream globalista e per la sua voce, il Pum (Partito unico dei media) il pericolo non è certo l’Islam, figuriamoci. Sono i populisti. Che sono più difficili da riconoscere degli islamici. Ma per il Pum non c’è problema: populisti sono tutti coloro che votano o sostengono i partiti o i movimenti che il Pum stesso chiama «populisti». E ci dice anche che i populisti sarebbero psichicamente turbati e infelici.
Possibile che più del 50% degli italiani (sommando le intenzioni di voto a Lega e 5 stelle), più del 20% dei francesi (elettori Le Pen) la maggioranza degli inglesi (pro Brexit), il 15% dei tedeschi (Afd), la maggioranza relativa di ungheresi, polacchi e soprattutto americani
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Michele Santoro perde la testa: “Offro congrua ricompensa a un killer”
Domenica, 31 marzo 2019
Santoro perde la testa: certe cose non si dicono nemmeno per scherzo
Stavolta Michele Santoro ha davvero perso la testa. “Cercasi killer: ancora una volta Matteo Salvini aggredisce con espressioni ingiuriose, assolutamente in contrasto col ruolo che ricopre, per aizzare le legioni dei suoi fans tra i quali sul web si contano non pochi squadristi che non esiteranno a pronunciare minacce serie all’incolumità di uno dei più famosi e apprezzati autori di satira”.
“Al fine di liberarci da un ministro dell’Interno squallidamente ignorante, che dovrebbe
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“Se dovessi uccidere qualcuno ucciderei Salvini” e scoppia il caos in studio
29/03/2019 – di Ilaria Paoletti
Immigrato dichiara: “Ucciderei Salvini”. E Vauro lo giustifica (Video) Milano, 27 mar – Durante la trasmissione Quarta Repubblica, condotta da Nicola Porro su Retequattro il fumettista Vauro Senesi ci ha ricordato a cosa può arrivare la faziosità dei sinistrorsi.
Le interviste agli immigrati. La redazione di Porro confeziona un servizio in cui l’inviata si aggira per la periferia di Torino e domanda ad alcuni immigrati cosa pensano della faccenda dell’autobus sequestrato dal senegalese Ousseynou Sy che ha messo in pericolo le esistenze di 51 bambini innocenti. Vauro giustifica le parole dell’intervistato
Le risposte delle “risorse” sono a dir poco sconfortanti. C’è chi nicchia, chi comprende la “frustrazione” dell’autista e chi, infine, si spinge a dire: “Se dovessi uccidere qualcuno ucciderei Salvini”.
Appena il servizio termina, il vignettista ideologo della sinistra italiana, ospite in studio, si lascia andare a delle giustificazioni nei confronti dei soggetti ritratti nell’inchiesta, dicendo: “Io cerco di capire perché dicano così”.
Ma Porro non ci sta. E’ proprio il conduttore di Quarta Repubblica che prende in mano la situazione e rimbrotta Vauro: “Io lo trovo agghiacciante. Non si spara a Salvini, non si pensa. E se c’è un caz*one che prende in ostaggio 51 persone
Continua qui: https://informarexresistere.fr/vauro-giustifica-immigrato-porro/
CartaBianca, Mario Giordano insultato da Gino Strada: la risposta con cui lo distrugge
13 FEBBRAIO 2019
Duro scontro, costellato di insulti, ieri 12 febbraio a CartaBianca tra il capo di Emergency Gino Strada e Mario Giordano. Si parlava di migranti, sbarchi e ong. “Lei pensa che gli africani vogliano tutti venire in Italia? Pensa che vogliano quello? Ma che idea si è fatto? Ciascuno ha la sua storia”, dice Strada. “Adesso i nostri giovani migrano dall’Italia, se li immagina se venissero espatriati”, aggiunge il dottore, evidentemente scollegato da ogni logica. Mario Giordano replica: “In tutti gli stati del mondo esistono regole d’accesso. Altrimenti teorizziamo l’abolizione dei confini. Finché esiste uno stato, può decidere”.
Interviene la conduttrice Bianca Berlinguer che dice che effettivamente l’Italia non si può fare carico di tutto. Parla Gino Strada: “La migrazione è un valore. Nel passato pensiamo a Freud, Einstein, quanti ne perdiamo in fondo al mare per la nostra ottusità mentale. Se uno chiede aiuto è disumano e criminoso non darglielo. Il clima si surriscalda.
Giordano incalza: “Non possiamo accogliere tutti”. “Tanti hanno fatto soldi
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Razzista!”. È lite tra il sindaco Pd e Meluzzi su rom e migranti
Nicola Porro – febbraio 2019
VIDEO QUI: https://www.nicolaporro.it/razzista-e-lite-tra-il-sindaco-pd-e-meluzzi-su-rom-e-migranti/
Decreto sicurezza, immigrazione e rom ancora una volta oggetto di dibattito in studio, a Quarta Repubblica. E ancora una volta l’atmosfera si scalda.
Protagonisti lo psichiatra Alessandro Meluzzi e il sindaco di Pesaro Matteo Ricci.
Durante il suo discorso, Meluzzi si scalda contro l’ipocrisia buonista, che
Continua qui: https://www.nicolaporro.it/razzista-e-lite-tra-il-sindaco-pd-e-meluzzi-su-rom-e-migranti/
«Crepa, bastardo!»: quando a incitare all’odio sono politici e giornalisti
Auspici di morte, irrisioni e ingiurie sessuali. Dalla “patata bollente” della Raggi agli insulti antisemiti a Fiano, passando per tweet e prime pagine scandalose: non c’è solo il web a fomentare rancore e violenza
DI SUSANNA TURCO – 26 dicembre 2017
Testate, aggressioni, insulti, finte decapitazioni, bavagli e fotomontaggi. Violenze, non solo verbali. E meno remore. Pillole incivili dall’Italia che ci avviluppa, con l’orizzonte aspro della campagna elettorale. Antologia di piccoli orrori in crescendo: eccoli.
TESTE
«Le sopracciglia le porta così per coprire i segni della circoncisione». Lo scrive su Facebook a luglio il deputato di Direzione Italia Massimo Corsaro , sopra una foto del dem Emanuele Fiano, firmatario e relatore del ddl sull’apologia del fascismo. Sommerso di critiche, si difende così: «Nessuna volontà di antisemitismo, ho piuttosto inteso dargli del testa di cazzo».
MALARIA
«Morire di malaria non è normale. La infezione viene da lontano, dall’Africa nera. Basta accoglienza». (Tweet di Vittorio Feltri)
BAVAGLI
«Incredibile. Questa è vera violenza. Non mi fanno paura, mi danno ancora più forza: andiamo a governare!». Così il segretario della Lega Matteo Salvini, dopo aver postato una foto che lo ritraeva imbavagliato, alla Moro, davanti al simbolo delle Brigate rosse con il commento «ho un sogno». La minaccia era stata pubblicata sulla pagina facebook “Vento ribelle”: gruppo seguito da 113 mila persone che si definisce antifascista, antirazzista, anticapitalista, antimilitarista, anticolonialista e antiimperialista, il cui sottotitolo è: «Disprezzo assoluto al sistema e al suo governo, né omertà né padroni su questa terra». Tra i membri, un Davide Codenotti che espone nel suo profilo il simbolo del Movimento 5 Stelle. Il giorno dopo, come “provocazione” per la scarsa solidarietà offerta a Salvini, il Tempo pubblica lo stesso fotomontaggio ma con la presidente della Camera Laura Boldrini al posto di Salvini. Vittorio Feltri si complimenta caldamente col direttore Gian Marco Chiocci per l’iniziativa.
FACCE
«Non abbiamo paura di sparire, noi! Ma di avere un parlamento con le solite facce di cazzo!» (il senatore Sergio Puglia, segretario di gruppo dei M5S, in Aula al Senato)
MAIALI
In estate la pagina Facebook Club Luigi Di Maio pubblica una foto di Emanuele Fiano accanto all’immagine di un suino. Di Maio si dissocia subito. Dei 72 mila del club, scrive la Stampa, fa parte almeno un suo amico di sempre: Dario De Falco, già compagno di liceo e di università, oggi nel comitato elettorale ristretto che si occuperà di raccogliere i fondi per la corsa dei Cinque stelle verso le politiche.
ASSASSINI
«Il treno di Renzi non ha ucciso nessuno perché Renzi non ha un treno. La macchina di Grillo invece una famiglia l’ha davvero sterminata». Così recita una card postata dalla pagina facebook Per Matteo Renzi insieme, pro-Pd ma (come per i Cinque stelle) non ufficialmente collegata alla comunicazione dem. Il riferimento è all’incidente che a fine novembre aveva coinvolto una quarantatreenne di Civita Castellana, investita dal treno noleggiato per la campagna elettorale di Renzi, contrapposto all’incidente stradale per il quale il fondatore del M5S è stato condannato per omicidio colposo in Cassazione.
VOLONTÀ PORCA
«Criminali dalla volontà porca, direi genetica, figli del Porcellum. Vi riproducete con le porcate, fate ammucchiate elettorali per grufolare voti. Ma se vi ripugna il parallelo, torno a chiamarvi cri-mi-na-li» (il senatore M5S Sergio Endrizzi, in aula al senato).
VIVI
«Rosato facciamo un patto, se questa legge sarà cassata dalla Consulta, noi ti bruceremo vivo, ok?». (Tweet contro il Pd, Ettore Rosato, scritto da Angelo Parisi, M5S ).
DECAPITATI
A settembre, Torino, i manifestanti anti G7 decapitano due fantocci: uno col volto di Matteo Renzi, l’altro con quello del Ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Sempre a Torino, ma a maggio, durante la Cannabis Parade, si esibiscono manichini di poliziotti investiti da un furgone. A Rho, fine ottobre, il fantoccio del ministro dell’Interno Marco Minniti, in giacca e cravatta, gli abiti riempiti come quelli di uno spaventapasseri, sul volto la sua foto, e quello del leader della Lega Matteo Salvini, in felpa verde e pantaloni di una tuta, vengono trovati davanti le sedi di Pd e Lega accanto a un cartello firmato “Brigate moleste”. Accanto al fantoccio del titolare del Viminale la scritta in stampatello «Minniti fascista- Fate leggi contro il fascismo, ma avete il Duce come ministro degli interni».
CAPOCCIATE
In piena campagna elettorale a Ostia Roberto Spada, incensurato dell’omonimo clan, in favore di telecamera spacca con una testata il setto nasale al giornalista di Nemo Davide Piervincenzi.
Daniele Piervincenzi, inviato del programma di Rai2 Nemo, è stato colpito al volto
Continua qui: http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/12/19/news/crepa-bastardo-1.316258
Il nuovo mantra politicamente corretto: “stiamo tornando al Medioevo”
Di Francesco Giubilei – 30 marzo 2019
Tra i tanti cliché, luoghi comuni ed etichette proposte dalla vulgata politico-mediatica progressista, riprendendo il concetto di egemonia culturale teorizzato da Gramsci che si è concretizzato fino a pochi anni fa nello strapotere della sinistra nella cultura ed è oggi rappresentato dalla narrazione politicamente corretta, uno dei più insopportabili è senza dubbio l’affermazione “stiamo tornando al medioevo”
Utilizzata come un mantra da giornalisti, commentatori, politici e personalità allineate all’intellighenzia nostrana, ripetuta pedissequamente da pseudo intellettuali e solerti critici da social network, nasconde in realtà un equivoco di fondo e una scarsa conoscenza di ciò di cui si sta parlando che è lo specchio della nostra epoca.
Al netto di pochissimi commentatori animati da una nemmeno troppo celata cattiva fede e consapevoli dell’imprescindibile contributo che l’epoca medievale ha dayo all’Occidente (e non solo) ma, nonostante ciò, in prima linea nell’accusa di essere tornati al Medioevo, la maggioranza delle persone che utilizzano questo slogan (perché questo è ormai diventato), lo fanno senza conoscere che cosa è davvero stato il Medioevo.
Eppure, basterebbe leggere qualche buon libro per capire la grandezza dell’epoca medioevale ma, si sa, per alcuni raffinati radical-chic i libri è meglio esporli nei propri salotti e fare sfoggio di pregiati coffee table books piuttosto che leggerli. Non dico di conoscere una brillante storica come Régine Pernoud, autrice di due opere straordinarie come Luce del medioevo (magistralmente curato da Marco Respinti) o Medioevo. Un secolare pregiudizio, ma per lo meno approfondire il periodo storico con Franco Cardini e il suo L’apogeo del Medioevo.
L’epoca che convenzionalmente va dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C. alla scoperta dell’America nel 1492, ha posto le basi culturali per la nostra civiltà e, insieme all’Antica Roma, ha rappresentato l’anticamera per la nascita dell’identità dell’Italia che, se politicamente si sarebbe unita solo nel XIX secolo, culturalmente nasceva in questi anni.
Grazie all’instancabile attività dei monaci benedettini, fedeli alla regola dell’ora et labora, si sono conservati e sono giunti fino a noi i grandi classici della letteratura latina e durante il Medioevo è nata la nostra letteratura con Dante, Boccaccio, Petrarca. In quest’epoca sono vissute alcune straordinarie donne come Santa Chiara e Santa Rita da Cascia animate da autentica fede, immensi pensatori
Continua qui: https://www.nicolaporro.it/il-nuovo-mantra-politicamente-corretto-stiamo-tornando-al-medioevo/2/
Morte Desireè, test dna incastra i 3 stupratori africani
Di Cristina Gauri – 2 Aprile 2019
Il Dna incastra tre dei quattro immigrati africani accusati dello stupro e omicidio di Desireè Mariottini. Il corpo senza vita della 16enne di Cisterna di Latina venne trovato tra il 18 e il 19 ottobre scorso, seminudo, abbandonato su un materasso dentro un container posto dello stabile in via dei Lucani 22, nel quartiere San Lorenzo.
Le indagini
Repubblica diffonde oggi la notizia che il materiale genetico di Alinno Chima, Mamadou Gara e Yusif Salia è stato ritrovato sul cadavere: per Salia e Gara conferma anche l’avvenuto stupro, mentre non sono stati riscontrate tracce del seme di Chima, ma questo elemento non fa cadere le accuse nei suoi confronti. Le testimonianze e altri elementi raccolti dagli inquirenti lo inchioderebbero comunque alle sue responsabilità. Il 15 novembre scorso il Tribunale del Riesame aveva riconosciuto il reato di omicidio solo a Gara, 26enne di origine senegalese
Continua qui: https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/morte-desiree-dna-incastra-3-stupratori-africani-111193/
Cirinnà (Pd): il concetto di famiglia tradizionale è fascista
1, aprile, 2019
Secondo Monica Cirinnà (Pd) il concetto di famiglia tradizionale è fascista ed i figli degli italiani ”oscurantisti”
Continua qui:
L’intervista. Alain de Benoist: “L’identità nazionale è indiscutibile e si fonda sui confini”
30 Marzo 2019 da Claudio Chaves
In un’intervista esclusiva con La Prensa, il pensatore Alain de Benoist mette in discussione la continuità dei partiti tradizionali: stanno per scomparire, dice. Analizza anche la controversa ideologia attuale sui diritti umani e gli affari correnti politici in Brasile, Francia e Spagna. Offre anche la sua opinione sull’Unione europea, Papa Francesco e il peronismo.
Alain de Benoist è un filosofo e un pensatore francese del più raffinato livello intellettuale. È nato a Tours nel 1943 ed è autore di centocinque libri e più di tremila articoli. Praticamente nulla che ha a che fare con il pensiero occidentale è stato escluso dalla sua analisi, sempre incisiva e controcorrente. Ha visitato il nostro paese (l’Argentina, ndr) quattro volte e durante la sua ultima visita ho condiviso un pranzo con un piccolo gruppo di intellettuali politicamente scorretti. Come per tutti i creativi, è molto difficile incasellarne il loro orientamento ideologico.
Ritenuto erroneamente come il creatore della nuova destra francese, Benoist sfugge a qualsiasi ingombro dogmatico. Si può dire di lui, come caratteristica centrale del suo pensiero, che è un difensore schietto della diversità culturale oggi travolta da una globalizzazione che profuma di Wall Street e Hollywood.
Può spiegare al lettore argentino qual è la “Metapolítica”?
“La metapolitica non è una disciplina scientifica, ma un metodo. Consiste nel dare priorità al lavoro sulle idee e nel situarsi come osservatore e non come attore nella vita politica”.
L’attuale società francese sta attraversando una crisi politica come evidenziato dalle mobilitazioni dei “gilet gialli”. Oltre ogni luogo comune, quali sono le cause principali del malessere francese? Queste mobilitazioni sono collegate con le rivolte delle banlieue di Parigi nel 2005?
“La causa principale di questa rivolta popolare è l’enorme divario che si è aperto tra la maggioranza dei cittadini francesi e le élite politiche, finanziarie o dei media che operano secondo i propri interessi. Da un lato c’è quella che viene definita “Francia periferica”, e dall’altro ci sono le grandi città globalizzate e incorporate nell’ideologia dominante, che è anche, come sempre, l’ideologia della classe dominante. Questa rivolta non è legato ai malesseri dei quartieri periferici o ad altre dimostrazioni tipiche. Il movimento dei gilet gialli è apparso al di fuori della linea di demarcazione destra-sinistra, al di fuori dei sindacati e dei partiti. Per trovare precedenti, sarebbe opportuno tornare alla rivoluzione del 1848 o a quella della Comune di Parigi del 1871″.
Si parla molto dell’identità nazionale. Esiste, è identificabile? In tal caso, quali sarebbero i valori fondamentali di tale identità in un momento in cui lil pensiero univo culturale viene imposto con grande forza e i media hanno uniformato il messaggio ?.
“L’identità nazionale è una realtà indiscutibile, ma complessa. È associata a elementi storici, culturali e religiosi che hanno prodotto una specifica mentalità e socialità, un modo particolare di abitare il mondo. Per definirla, è necessario tenere conto delle persone, allo stesso tempo di “ethnos” e di “demos”. In democrazia, implica anche un confine territoriale, che consente di distinguere tra cittadini e non cittadini”.
Anni fa, nel campo delle scienze politiche e sociali, il concetto di “popolo” o collettività sociale è stato svalutato. L’idea di salvezza per tutti sembra essere sprofondata nella palude di un passato oscuro.
“Margaret Thatcher ha affermato che “la società non esiste”. Dal punto di vista liberale, i popoli, le culture, le comunità non esistono come tali: sono semplici aggregati di individui desiderosi di massimizzare il loro migliore interesse. L’idea dello scopo dell’esistenza (telos) è estranea al liberalismo, così come l’idea del bene comune. Tale concezione è completamente contraria alla realtà: nessuna società può essere ridotta a un confronto di interessi regolati dal contratto legale e dallo scambio commerciale”.
La politica sui diritti umani è oggi una dottrina che abbraccia tutto l’Occidente. E’ da ritenere un pensiero positivo o negativo? Per quali motivi è diventata una idoelogia globale?
“L’ideologia dei diritti dell’uomo è diventata la nuova religione civile del nostro tempo. Si basa sull’idea dei diritti soggettivi: il diritto sarebbe un attributo della persona nella misura in cui è una persona. Nell’antichità, al contrario, il diritto era esterno alle persone: era definito come l’uguaglianza nella relazione. Attualmente, invocando contraddittoriamente “diritti umani” rispetto ad alcuni altri, in continua evoluzione, ha l’effetto di rompere il legame sociale e sminuire la politica in materia di diritto e morale”.
In questo quadro dei diritti umani, l’emergere e la valorizzazione delle minoranze altera l’ordine democratico o lo consolida? E d’altra parte, come si rende coese una società dove i diritti sono più importanti degli obblighi?
“Da un punto di vista liberale, è logico che i diritti precedano i doveri, dal momento che non hanno bisogno della presenza di altri per esistere. Le affermazioni delle minoranze possono essere legittime, ma la dittatura delle minoranze è persino peggiore della dittatura della maggioranza”.
Per alcuni dei suoi scritti si comprende che l’Occidente è in una crisi di transizione: da un lato ci sono i governanti e le élite, dall’altro il popolo che non si fida più di loro. Come si supera questa condizione?
“In effetti, viviamo in un momento di transizione. L’ondata di sfiducia diffusa, frutto di una crisi di rappresentanza, mostra che il tempo delle democrazie liberali parlamentari e rappresentative sta per finire. Queste democrazie liberali sono diventate semplici oligarchie finanziarie. In tutto il mondo, le vecchie feste tradizionali stanno scomparendo. C’è una demarcazione verticale che vede il popolo opporsi alle élite, e sta sostituendo la separazione orizzontale sinistra-destra, che era il vettore del vecchio sistema. La democrazia “illiberale” organica e partecipativa comincia ad affermarsi. Saremo completamente fuori dal vecchio mondo quando questo processo sarà compiuto.
Pensa che il modello politico cinese o altri autoritarismi orientali siano più vicini ai bisogni della gente?
“Non esiste un modello politico universale. Il modello politico cinese è eccellente se si addice ai cinesi, ma ciò non significa che sia adatto agli altri popoli. Al massimo, dovremmo sottolineare che questo sistema indica il percorso di una modernizzazione senza occidentalizzazione”.
Lei è un critico del liberalismo perché attribuisce a questa ideologia, tra le altre cose, la sopravvalutazione dell’individuo sulla comunità sociale o nazionale. Che cosa è successo al liberalismo delle origini che, in particolare in Francia, è stato l’asse su cui è stata fondata la nazione? Luigi XVI fu accusato di alto tradimento, accusa che non è stata avanzata per la rivoluzione che ha introdotto il concetto di Fratellanza?
“Il titolo del mio ultimo libro è “Against Liberalism” (Contro il liberalismo), e risponde alla sua domanda. In esso analizzo estesamente le critiche che possono essere fatti a questa ideologia derivata dalla filosofia dei Lumi. La Rivoluzione francese ha attribuito alla nazione prerogative che precedentemente erano del re, ma è ben lungi dall’essere ispirata solo dagli scrittori liberali come Diderot o di Condorcet. È stata anche influenzata dalla filosofia di Rousseau, che non era liberale, così come dall’esempio dell’antichità romana. Per quanto riguarda la fratellanza
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ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Juncker va da Fazio e colleziona fake news
In pochi secondi il presidente della Commissione europea ne ha sparate talmente tante e talmente grosse che non credevamo alle nostre orecchie, pur abituate a tutto
2 aprile 2019notav.com
di notav.com.
Domenica sera è andato in onda un’intervista a Jean Claude Juncker nel programma televisivo Che tempo che fa. In pochi secondi il presidente della Commissione europea ne ha sparate talmente tante e talmente grosse che non credevamo alle nostre orecchie, pur abituate a tutto dopo le bestialità degli improvvisati esperti sitav degli ultimi mesi. Juncker ha affermato tra le altre cose:
– La seconda TAV Torino-Lione “è l’anello mancante tra Portogallo e Ungheria”: il presidente della commissione UE pensa che il TAV faccia parte del leggendario corridoio 5 ma il progetto è stato cancellato da anni visto che il Portogallo si è ritirato nel 2012 perché la linea non è economicamente conveniente.
– “L’Unione europea, concede 888 milioni”. I fondi approvati sono di 813,8 mln di euro. Juncker tra l’altro smentisce anche che ci sarà lo strombazzato aumento del co-finanziamento dal 40% al 50% millantato da Chiamparino e dato per certo da tutti i giornali sitav. Fazio chiede se sono stati stanziati “fondi UE ulteriori” e Juncker conferma che i fondi sono sempre gli stessi, anzi che sono stati stanziati meno di un quarto dei 3,32 miliardi promessi visto che i fondi ogni volta dovranno essere negoziati in sede di bilancio.
– Con il TAV “il 40% delle merci sarebbero trasportate su ferro”. Neanche nei sogni bagnati di TELT e dell’Osservatorio (un organo che ha ammesso nel marzo dell’anno scorso che le previsioni di traffico su cui si basa il progetto “sono state smentite dai fatti”) la proporzione di merci tra Italia e Francia su rotaia si sposterebbe dal 8% al 40%. Il TAV è stato progettato nel 1994 quando
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Omicidio Stefano Leo, marocchino si costituisce: “L’ho sgozzato io”.
Di Cristina Gauri – 1 Aprile 2019
Si è costituito l’assassino di Stefano Leo, il 33enne Biellese sgozzato in pieno centro a Torino lo scorso 23 febbraio. Said Mechaout – questo il nome dell’omicida – è il marocchino di 27 anni che si è macchiato del delitto. Come riporta il Corriere l’uomo, che nella giornata di ieri si era recato in Questura per confessare il gesto, è stato poi trasferito nella caserma dei carabinieri dove è stato sottoposto a un lungo interrogatorio. «L’ho visto, mi ha guardato e ho pensato che dovesse soffrire come sto facendo io», ha raccontato l’immigrato, che ha aggiunto: «L’ho sgozzato con il mio coltello, venite e ve lo faccio trovare». Dopo l’ammissione, è scattata la ricerca dei carabinieri che hanno ritrovato l’arma in una cabina elettrica in Piazza d’Armi e l’hanno sequestrata. Said aveva ucciso Stefano con un solo fendente inferto alla gola, in profondità e con decisione. Il marocchino, che ha dei piccoli precedenti, ha raccontato la sua storia alle forze dell’ordine: «Ero sposato ma mia moglie mi ha lasciato. La mia vita fa schifo, va tutto male, ho anche
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BELPAESE DA SALVARE
Cabras: è la lotta contro il Deep State a unire Lega e M5S
Scritto il 01/4/19
«E’ vero, nella maggioranza siamo in due, 5 Stelle e Lega, ma al governo c’è anche un terzo incomodo: lo “Stato profondo”». Ricompare a Londra, il fantasma del Deep State, nelle parole di Pino Cabras, neodeputato grillino. Platea: il forum economico del Movimento Roosevelt per un New Deal europeo, che rottami l’austerity rispolverando Keynes. Tra i presenti Nino Galloni e Ilaria Bifarini, l’ex banchiere Guido Grossi, imprenditori come Danilo Broggi e Fabio Zoffi. Ammette Cabras: «Noi e la Lega siamo divisi su tutto, tranne che sul Deep State: siamo consapevoli di dover scardinare quel meccanismo». Paradosso: «Senza lo “Stato profondo”, il governo gialloverde non sarebbe neppure nato. Però era un’occasione irripetibile». In altre parole: Di Maio e Salvini hanno accettato di salpare con a bordo i controllori del potere-ombra. Altra possibilità non c’era. Del resto, sostiene Cabras, questo è l’unico governo che può provare a smontare il paradigma del rigore neoliberista: «Certo non può farlo il Pd di Zingaretti, di cui ho osservato con sgomento i primi dieci giorni da segretario: è allucinante che si sia mantenuto fedele al peggio del verbo di Renzi, cioè allo schema che ha imprigionato l’Italia in questi anni». In compenso, il Deep State non molla i gialloverdi: «Non avete idea delle pressioni a cui Di Maio e Salvini vengono sottoposti».
Il convitato di pietra ha un nome preciso: si chiama supermassoneria reazionaria. «Se i gialloverdi fossero meno ipocriti sulla massoneria, la parte progressista di quel Deep State (che non è un monolite) li potrebbe aiutare», sostiene Gioele Magaldi. «A dire il vero l’ha anche già fatto: la rivolta francese dei Gilet Gialli contro Macron, proprio mentre il governo Conte affrontava Bruxelles sulla questione del deficit, è stato un regalo della massoneria progressista. Regalo di cui, incredibilmente, i gialloverdi non hanno saputo approfittare, per portare a casa almeno il loro iniziale 2,4%», comunque modestamente inferiore al 3% di Maastricht e, a maggior ragione, al 3,5% ora concesso all’Eliseo. Il guaio? «Con un atteggiamento discriminatorio, i 5 Stelle proclamano di non volere massoni tra le loro fila, ignorando che era massone lo stesso Gianroberto Casaleggio». Peggio: «Il governo Conte pullula di massoni. Per questo, fingere di non saperlo è ipocrisia pura». Tradotto: sacrosanta la denuncia contro il Deep State. Ma perché non chiamare le cose con il loro nome? Inoltre: se nello “Stato profondo” ci sono anche massoni contrari al dominio oligarchico, sparare a casaccio sulla
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Mafia nigeriana, la rete che operava dai centri d’accoglienza
Daniele Capezzone – 28 marzo 2019
Era solo questione di tempo, e (lo suggerisce il buonsenso, non servono chissà quali informazioni privilegiate) è la prima notizia di una serie destinata ad allungarsi moltissimo. Nel fine settimana, un’efficace indagine antimafia ha smantellato una rete (una decina di arresti, da sommare ai 18 disposti un paio di mesi fa) dedita in Sicilia a traffico di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione e altri reati tra cui violenza sessuale di gruppo. Gli ultimi latitanti sono stati arrestati tra Francia e Germania, dove l’organizzazione andava ramificandosi.
E fin qui, purtroppo, c’è poco da stupirsi: ordinaria amministrazione criminale. Ma le novità sono quattro.
- Primo: si tratta di esponenti della mafia nigeriana, con tanto di riti tribali di iniziazione (bere il sangue dei confratelli, tanto per capire di che – e di chi – stiamo parlando).
- Secondo: eccezionali livelli di violenza e efferatezza, con liti tra bande rivali risolte a colpi di machete.
- Terzo: come base operativa, questi gentiluomini avevano il Cara di Mineo, cioè
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CONFLITTI GEOPOLITICI
Come l’Italia conquisto’ lo «status di grande paese»
di Manlio Dinucci
Massimo d’Alema è entrato nella storia per aver fatto partecipare il proprio Paese, l’Italia, all’aggressione criminale della NATO alla ex Jugoslavia. Il mondo era tornato unipolare e in Occidente più nessuno si preoccupava di violare il diritto internazionale e di fare una guerra contro il parere del Consiglio di Sicurezza. Lo stesso D’Alema è oggi coinvolto nella creazione di una Grande Albania, che includa l’attuale Kosovo.
RETE VOLTAIRE | ROMA (ITALIA) | 25 MARZO 2019
l 24 marzo 1999, la seduta del Senato riprende alle 20,35 con una comunicazione dell’on. Sergio Mattarella, allora vice-presidente del governo D’Alema (Ulivo – Pdci – Udeur): «Onorevoli senatori, come le agenzie hanno informato, alle ore 18,45 sono iniziate le operazioni della Nato».
In quel momento, le bombe degli F-16 del 31° stormo Usa, decollati da Aviano, hanno già colpito Pristina e Belgrado. E stanno arrivando nuove ondate di cacciabombardieri Usa e alleati, partiti da altre basi italiane.
In tal modo, violando la Costituzione (artt. 11, 78 e 87), l’Italia viene trascinata in una guerra, di cui il governo informa il parlamento dopo le agenzie di stampa, quando ormai è iniziata.
Venti giorni prima dell’attacco alla Jugoslavia, Massimo d’Alema – come racconterà lui stesso in un‘intervista a Il Riformista (24 marzo 2009) – era stato convocato a Washington dove il presidente Clinton gli aveva proposto: «L’Italia è talmente prossima allo scenario di guerra che non vi chiediamo di partecipare alle operazioni militari, è sufficiente che mettiate a disposizione le basi».
D’Alema gli aveva orgogliosamente risposto «ci prenderemo le nostre responsabilità al pari degli altri paesi dell’Alleanza», ossia che l’Italia avrebbe messo a disposizione non solo le basi ma anche i propri cacciabombardieri per la guerra alla Jugoslavia. Ai bombardamenti parteciperanno infatti 54 aerei italiani, attaccando gli obiettivi indicati dal comando Usa.
«Era moralmente giusto ed era anche il modo di esercitare pienamente il nostro ruolo», spiega D’Alema nell’intervista. «Per numero di aerei siamo stati secondi solo agli Usa. L’Italia è un grande paese e non ci si deve stupire dell’impegno dimostrato in questa guerra», aveva dichiarato nel giugno 1999 in veste di presidente del consiglio, sottolineando che, per i piloti, era stata «una grande esperienza umana e professionale».
L’Italia assume così un ruolo di primaria importanza nella guerra alla Jugoslavia. Dalle basi in Italia decolla la maggior parte dei 1.100 aerei che, in 78 giorni, effettuano 38 mila sortite, sganciando 23 mila bombe e missili (molte a uranio impoverito) sulla Serbia e il Kosovo.
Viene in tal modo attivato e testato l’intero sistema delle basi Usa/Nato in Italia, preparando il suo potenziamento per le guerre future. La successiva sarà quella contro la Libia nel 2011.
Mentre è ancora in corso la guerra contro la Jugoslavia, il governo D’Alema partecipa a Washington al vertice Nato del 23-25 aprile 1999, che rende operativo il «nuovo concetto strategico»: la Nato viene trasformata in alleanza che impegna i
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Guaido esegue le operazioni di cambio del regime degli Stati Uniti
Whitney Webb, Mint Press 29 marzo 2019
Con le mani legate nel caso d’intervento militare, solo le azioni segrete, come quelle descritte nel documento del Team RED, saranno probabilmente emanate dal governo degli Stati Uniti, almeno in questa fase del continuo sforzo di “cambio di regime” in Venezuela .
Juan Guaidó, l’autoproclamato “presidente ad interim del Venezuela” sostenuto dal governo degli Stati Uniti, recentemente annunciava “azioni tattiche” che verranno prese dai suoi seguaci dal 6 aprile, nell’”Operazione Libertà”, presunto sforzo per rovesciare il Presidente Nicolás Maduro. Questa operazione, secondo Guaidó, sarà guidata dai “Freedom and Aid Committees” che a loro volta creeranno “cellule di libertà” in tutto il Paese, che entreranno in azione quando Guaidó darà il segnale lanciando su larga scala proteste nella comunità. Il piano di Guaidó prevede che i militari venezuelani si schierino dalla sua parte, ma l’insistenza sul fatto che “tutte le opzioni sono ancora sul tavolo” (cioè l’intervento militare straniero) ne rivela l’impazienza con l’esercito, che continua a rimanere con Maduro contro la “presidenza provvisoria” di Guaidó. Tuttavia, un documento pubblicato dall’Agenzia USA per lo sviluppo internazionale (USAID) a febbraio, e messo in evidenza il mese scorso in un rapporto di Devex, descrive la creazione di reti di piccole squadre, o cellule, che opererebbero in modo simile a quello che Guaidó descrive nel suo piano “Operazione Libertà”. Dato che Guaidó fu addestrato da un gruppo finanziato dall’organizzazione sorella di USAID, National Endowment for Democracy (NED), ed è noto prendere ordini da Washington, compresa l’auto-proclamazione a “presidente ad interim” e ritorno in Venezuela dopo la resa dei conti degli “aiuti umanitari”, va considerato che questo documento USAID potrebbe servire da una tabella di marcia per le “azioni tattiche” guidate da Guaidó nell’ambito dell’”Operazione Libertà”.
Squadre RED
Intitolato “Rapid Expeditionary Development (RED) Teams: Demand and Feasibility Assessment”, il documento di 75 pagine fu prodotto dal Global Development Lab statunitense, filiale dell’USAID, nell’ambito dello sforzo sul “sentimento diffuso” tra molti ufficiali militari, dell’intelligence e dello sviluppo che gli autori del rapporto avrebbero intervistato, “secondo cui l’USG [governo degli Stati Uniti] degrada tristemente in ambienti non permissivi ed esclusivi”, come il Venezuela. In particolare, alcuni militari e funzionari dell’intelligence e dello sviluppo intervistati dagli autori del rapporto ebbero esperienze segrete in Venezuela. L’approccio presentato in questo rapporto prevede la creazione di team di sviluppo rapido (RED), che sarebbero “schierati come team di due persone e piazzati con partner dell’USAID non tradizionali” eseguendo un mix di operazioni offensive, difensive e di stabilità in condizioni estreme. “Il rapporto rileva in seguito che tali partner “non tradizionali” sono le Forze Speciali USA (SF) e la CIA. Il rapporto prosegue affermando che “i membri del RED Team sarebbero attori catalitici, svolgendo attività di sviluppo a fianco delle comunità locali e coordinandosi coi partner interagenzie”. Inoltre afferma che “è previsto che la competenza prioritaria dei funzionari di sviluppo dei Team RED proposti sarebbe la teoria del movimento sociale (SMT)” e che “i membri del team RED sarebbero “super-abilitatori”, osservando le situazioni sul campo e rispondendo immediatamente progettando, finanziando e implementando azioni su piccola scala”. In altre parole, tali squadre di personale combinato di intelligence, militari e/o che promuovono la democrazia lavorerebbero come “super abilitanti” di “attività su piccola scala” incentrate sulla “teoria del movimento sociale” e le mobilitazioni della comunità, come le proteste. La natura decentralizzata delle squadre RED e la loro attenzione all’ingegneria di “movimenti sociali” e “mobilitazioni” è molto simile al piano di Guaidó per l’”Operazione Libertà”, che dovrebbe iniziare coi “Comitati libertà e aiuti” che coltivano cellule “libere” decentralizzate “in tutto il paese e che creano mobilitazioni di massa quando Guaidó darà il via il 6 aprile. L’obiettivo dell’Operazione Libertà è di far convergere le proteste generate dalle “cellule della libertà” nel palazzo presidenziale del Venezuela, dove risiede Nicolás Maduro. Data la mancanza di slancio e popolarità di Guaidó in Venezuela, sembra molto probabile che gli “attori catalitici” del governo nordamericano possano essere fondamentali nell’imminente piano per rovesciare Maduro in poco più di una settimana. Inoltre, un’appendice inclusa nel rapporto afferma che i membri dei Team RED, oltre ad essere addestrati alla teoria del movimento sociale e alle tecniche di mobilitazione della comunità, sarebbero anche addestrati a “gestione e uso di armi”, suggerendo che il loro ruolo di “attori catalitici” potrebbe anche al comportamento di Maidan. Questa è una chiara possibilità sollevata dall’affermazione del rapporto secondo cui i membri delle squadre RED devono essere addestrati all’uso di armi “offensive” e “difensive”. Inoltre, un’altra appendice afferma che i membri dei Team RED “identificherebbero gli alleati e mobiliterebbero piccole somme di denaro per stabilire relazionu di comunità”, cioè tangenti, particolarmente utili alla CIA offrendo un modo per “passare all’azione segreta” nelle attività per coinvolgere la comunità”.
Sentendo l’alito di Bolsonaro sul collo
Solleva lo spettro di un legame col Venezuela anche il fatto che il documento suggerisce che il Brasile potrebbe essere un potenziale luogo per un test dei Team RED. Molti intervistati dal rapporto affermavano che “i Paesi sudamericani erano maturi per i test” del programma Team RED, aggiungendo che “Questi [Paesi] erano trascurati, dal basso profilo con posizioni a prova di idiota, dove l’accesso dei civile dell’USG è sfrenato grazie alla DS [Sicurezza diplomatica] e dove c’è una relazione positiva col governo ospitante”. Questo gennaio, in Brasile giurava Jair Bolsonaro a presidente, un fascista che dichiarava l’intenzione di allineare il Paese agli interessi di Washington. Durante la sua visita a Washington, divenne il primo presidente del Paese a visitare il quartier generale della CIA a Langley, in Virginia. Il presidente Donald Trump dichiarò durante l’incontro con Bolsonaro: “Abbiamo una grande alleanza col Brasile, meglio di quanto mai avuto prima” e parlò a favore del fatto che il Brasile aderisse alla NATO. Sebbene il governo di Bolsonaro abbia dichiarato a fine febbraio che non avrebbe permesso agli Stati Uniti di avviare l’intervento militare dal suo territorio, il figlio di Bolsonaro, Eduardo, consigliere di suo padre e membro del Congresso brasiliano, aveva detto la settimana prima che “l’uso della forza sarà necessario” in Venezuela “ad un certo punto”, facendo eco all’amministrazione Trump aggiungeva che “tutte le opzioni sono sul tavolo”. Se il governo di Bolsonaro consente l’uso della forza, ma non un vero e proprio intervento militare, la vicinanza all’amministrazione Trump e alla CIA suggerisce che azioni segrete, come quelle svolte dai Teams RED, sono una possibilità.
Frontier Design Group
Il rapporto RED Team fu steso dal Frontier Design Group (FDG) per il Global Development Lab dell’USAID. FDG è un appaltatore della sicurezza nazionale e la sua dichiarazione di missione sul sito web è abbastanza rivelatrice: “Sin dalla fondazione, Frontier si è concentrata su sfide e opportunità che riguardano le “3D” di Difesa, Sviluppo e Diplomazia, ed intersezioni critiche con la comunità dei servizi segreti. Il nostro lavoro si è incentrato sui malvagi e talvolta sovrapposti problemi di fragilità, estremismo violento, terrorismo, guerra civile ed insurrezione. Il nostro lavoro su tali complesse questioni ha incluso progetti con i dipartimenti di Stato e Difesa degli Stati Uniti, USAID, Centro antiterrorismo nazionale e l’Istituto americano per la pace”. FDG afferma anche che il sito funziona regolarmente anche per Council on Foreign Relations e il gruppo Omidyar, controllato da Pierre Omidyar miliardario con profondi legami con la sicurezza nazionale statunitense ed oggetto di una indagine di MintPress. Secondo il giornalista Tim Shorrock, che menziona il documento in una recente indagine incentrata su Pierre Omidyar per Washington Babylon, FDG fu “l’unico appaltatore” assunto dall’USAID per creare una “nuova dottrina controinsurrezionale per l’amministrazione Trump” e il frutto di tale sforzo è il documento “RED Team” sopra descritto. Uno dei coautori del documento è Alexa Courtney, fondatrice del FDG ed ex-ufficiale di collegamento dell’USAID
Continua qui: http://aurorasito.altervista.org/?p=6361
Ospedale bombardato, morti 4 bimbi: Rai e Ansa non scrivono chi è stato
27/03/2019
Yemen, i sauditi bombardano un ospedale. Sette morti, tra cui quattro bambini – di Davide Di Stefano
Sana’a, 27 mar – La coalizione a guida saudita – di cui fanno parte tra gli altri anche Usa e Gran Bretagna – ha bombardato un ospedale civile in Yemen sostenuto da Save The Children.
Il raid aereo ha causato sette morti, di cui quattro sono bambini. Altre due persone risultano disperse, altre otto ferite.
Stando alla nota diffusa dall’organizzazione umanitaria il missile avrebbe colpito un distributore di carburante vicino all’ospedale rurale di Ritaf, a circa 100 km di distanza dalla città di Saada nel nord ovest del Paese controllato dal governo di Sana’a.
L’attacco all’ospedale
L’attacco è arrivato proprio nel quarto anniversario della guerra civile in Yemen, anche se sarebbe più corretto parlare di una “guerra privata” che i Saud stanno conducendo contro la minoranza sciita nel quasi totale silenzio dei media
Continua qui: https://informarexresistere.fr/missile-ospedale-yemen-bambini/
Malta, dirottarono mercantile. Tre migranti incriminati per terrorismo
Tre degli immigrati che hanno dirottato il mercantile El Hiblu 1 verso Malta sono stati incriminati per terrorismo dal tribunale della Valletta
Giovanna Stella – Sab, 30/03/2019
Tre dei migranti che si trovavano a bordo della nave mercantile El Hiblu 1, sequestrata e dirottata verso Malta, sono stati incriminati per terrorismo dal tribunale della Valletta
I tre di 15 e 16 anni (provenienti dalla Guinea) e di 19 anni (dalla Costa D’Avorio) facevano parte di un gruppo di 108 migranti recuperati in mare a sei miglia al largo della Libia il 28 marzo scorso.
Una volta saliti a bordo del mercantile, però, gli immigrati hanno inscenato una vera e propria rivolta per non tornare in Libia tanto che “il capitano ha ripetutamente dichiarato di non avere il controllo della nave e che lui e il suo equipaggio erano stati costretti e minacciati da un certo numero di migranti a procedere verso Malta”. Così l’unità della Marina maltese ha bloccato la nave a trenta
Continua qui:
CULTURA
Rosanna 2 Aprile 2019 DI MARCO GIANNINI
comedonchisciotte.org
Luogo.
Lev Semënovič Vygotskij (in figura 1) affermò che “una parola senza significato non è una parola” [1], bensì “un suono vuoto” e brillantemente aggiunse che il significato di un termine “è soltanto una pietra nell’edificio del senso”. [2]
(Fig. 1) – Lev Vygotskij
La citazione dello psicologo russo è una eccezionale premessa per quanto riguarda la terminologia di “luogo antropologico”. L’antropologia, infatti, non si limita a studiare gli influssi dell’ambiente sulla cultura ma fa luce su implicazioni profonde di tipo simbolico.
La parola greca “oikos” significa “casa” e rappresenta una vera e propria categoria, uno dei principali cardini della cultura e dell’identità; questo termine può assumere un senso più profondo come quello di luogo natio (a cui ad esempio tornare), quello di famiglia, quello di stirpe. La casa come luogo antropologico quindi è fortemente legata al concetto di tradizione e restituisce, costruisce, una identità, sia individuale che collettiva, connotata da intense relazioni emotive (tra persone e luogo e tra le persone che di quel luogo diventano parte integrante).
L’antropologo ed etnologo francese Marc Augé (in figura 2) nell’opera “Non-Lieux. Introduction à une anthropologie de la surmodernité” ha attribuito al concetto di luogo antropologico tre caratteristiche:
- l’essere “identitario”in quanto sono presenti in esso delle particolarità, delle unicità e perciò delle differenze rispetto ad altri luoghi.
- l’essere “relazionale”poiché sede dei rapporti umani che si instaurano tra chi lo abita e partecipa.
- l’essere “storico” visto che conserva la memoria degli accadimenti, degli eventi.
(Fig. 2) – Marc Augé
Lo studio delle società non può che rimandare al concetto di luogo quindi e rintraccia in esse quel procedimento (e bisogno) che tende a fondare e marcare gli spazi in cui esse si riconoscono ed aggregano.
L’epoca attuale massicciamente/volutamente indirizzata verso una globalizzazione apparentemente irreversibile ed interessata da cospicui fenomeni migratori che in Europa sono provenienti in primo luogo dal cosiddetto “Terzo mondo” (caratterizzata dalle strutture multinazionali che delocalizzano le fasi produttive in ogni angolo del mondo) rimette in discussione molti di questi fattori e contemporaneamente pone in risalto quel meccanismo interno ad essi, evidenziato da Marc Augé, di una alterità interna che si contrappone a quelle esterne; su questo terreno c’è il forte rischio di una strumentalizzazione dei temi in-group out-group (così definiti nella Teoria dell’identità sociale) [3] e quando ciò avviene al centro di questa dinamica non c’è un legittimo interesse verso le importanti esigenze identitarie (e storico-relazionali) dei popoli ma un mero interesse di parte finalizzato al conquistare fette di potere politico. Le semplificazioni sono perciò deleterie e quandosi manifestano sotto forma di stereotipo comportano fenomeni di estremizzazione (vedremo successivamente il percorso dallo stigma allo stereotipo, fino al pregiudizio).
Ben diversa nei contenuti e nel senso la critica di Augé, secondo il quale, esistono sempre più “non luoghi” e sempre meno luoghi antropologici. A causa di questa direzione si genera una società (e quindi individui) spersonalizzante, vuota ed inumana che rischia di rimanere scarna dopo essersi massificata ed omologata. Questa critica di Augé è riferita in prima istanza alla sfera del consumismo sfrenato e del “gigantismo” della struttura produttiva visto che egli chiama in causa in primis i grossi centri commerciali, i supermercati, le grandi sale giochi, gli aereoporti internazionali ecc. ecc., tutti ambienti dove seppur tra migliaia di persone, regna la solitudine.
E’ da ricercarsi quanto prima quindi un rafforzamento del “Pilastro del luogo”.
Stigma.
Secondo illustri ricercatori come G. Mead il contatto con un ambiente culturale e collettivo contribuisce all’elaborazione di una identità sociale e forma, modula, un proprio regime di condotta e di pensiero. Proprio come il marchio che anticamente veniva impresso sul corpo degli schiavi, considerati malfattori [4], con il termine “stigma” ci si riferisce a caratteristiche (che, si noti, possono anche essere fisiche) che vengono considerate riprovevoli a priori, secondo i canoni di una comunità. Ogni società (su larga scala possiamo definire come società la nazione di appartenenza, la classe sociale, l’etnia, la religione) infatti stabilisce, anche distinguendosi dalle altre, quali siano e quali non siano le caratteristiche che un membro debba possedere per poter essere considerato parte di essa: ne viene così come stimata la propria “identità sociale”.
Secondo E. Goffman [5] spesso si assegna alle persone una identità sociale virtuale che non corrisponde alla realtà e può accadere che, ad esempio sugli estranei (si pensi agli stranieri), vengano proiettati sentimenti di diffidenza e di timore perché distanti da certi canoni (vengono cioè “stigmatizzati”).
I membri di una società (in-group) possono percepirsi come simili, stimarsi, essere tra loro attratti ed in cooperazione ma al contempo possono percepirsi diversi da chi delle loro società non fa parte associando alle differenze (out-group) un giudizio di valore cioè un pregiudizio (anticamera del razzismo). In queste situazioni c’è il forte rischio che il senso critico dei singoli lasci il posto al pensiero di gruppo e si generino fenomeni discriminatori, di esclusione e da branco (ad esempio il cosiddetto “bullismo”) quando non veri e propri scontri tra gruppi etnici.
Se è chiaro il legame tra stigma e pregiudizio altrettanto chiaro deve essere quello tra questi concetti e quello di “stereotipo sociale”. Lo stereotipo sociale è una percezione generalizzata e semplificata, perciò distorta, di un aspetto della realtà (ad esempio di qualcuno): le persone si servono di stereotipi per economizzare il pensiero, mantenere il proprio sistema di valori ed orientarsi in modo più agevole ma, spesso in conseguenza della stigmatizzazione, tendono a catalogare qualcuno (anche interi gruppi umani) dentro ad uno stereotipo, il quale, è premessa e “contorno” del pregiudizio e dell’esclusione sociale.
Da questo punto di vista appare sensata e molto chiara l’evoluzione del pregiudizio
Continua qui: https://comedonchisciotte.org/la-cultura-della-dignita/
31 Marzo 2019 di FLORES TOVO
Comedonchisciotte
L’etimologia della parola “nichilismo” è chiara, poiché deriva dalla parola latina “nihil “, che significa appunto nulla. Tuttavia dissertare sul nichilismo in senso filosofico è complicato, poiché si tratta del tema più discusso della filosofia attuale e quindi le interpretazioni sono molteplici, e, in quanto tali, esprimono spesso conclusioni e risultati teorici diversi. Il compito che qui ci prefiggiamo è allora quello di individuare almeno una connessione fra i principali pensatori che si sono occupati di questo argomento.
La prima completa ed autentica elaborazione in epoca moderna sul nichilismo si ha con il filosofo tedesco Max Stirner, che nella sua opera “L’unico e la sua proprietà” diede la prima ed esatta definizione di questa parola. Egli, infatti, pone a mo’ di suo emblema il detto: “Io ho riposto la mia causa nel nulla” (1). Con ciò egli intendeva dire che l’unico, cioè il singolo umano, nega e rifiuta ogni forma di trascendenza sia etica che religiosa o politica ideale, in quanto egli fonda tutto il senso dell’esistere solo in se stesso, tant’è che egli afferma:
“Io non sono nulla nel senso della vuotezza, bensì il nulla creatore, il nulla dal quale io stesso, in quanto creatore, creo tutto” (2). Ciò significa che l’uomo-nichilista diventa il padrone di se stesso, abbandonando di fatto qualsiasi riferimento a Dio o al sacro, che appunto rappresentano ciò che è trascendente, che è al di là del mondo naturale e che è coglibile solo con la mente, o, per essere più precisi, con una intuizione intellettuale. La figura simbolica di questo atteggiamento esistenziale viene genialmente descritta da Dostojevskij in un suo famoso romanzo, “I demoni ”, in cui si trova un personaggio, Kirillov, che si suicida senza nessun motivo, se non quello di dimostrare di essere del tutto il signore della sua vita e della sua morte e perciò di essere il nullo fondamento di sé.
Comunque, senza alcun dubbio, il più grande nichilista dei nostri tempi è stato Nietzsche, che ebbe a dire di se stesso di essere il primo perfetto nichilista d’Europa, che ha già vissuto in sé fino in fondo il nichilismo, dato che lo ha vissuto dietro di sé, sotto di sé, fuori di sé.
Egli, quando si riferisce al nichilismo dietro di sé, sicuramente indica, secondo la sua prospettiva, la volontà del nulla propria del platonismo e del cristianesimo. In Platone (che Nietzsche, in realtà, amava) egli critica il fatto che egli poneva le ragioni prime dell’Essere (le Idee) fuori dal mondo terrestre, un mondo considerato crudele ed ingannevole. Ma il vero nemico filosofico di Nietzsche è sempre stato il cristianesimo, poiché i valori supremi da esso propugnati sono, secondo il suo sentire, valori contro la vita o meglio contro il vitalismo amante della terra, come la compassione, la redenzione, la fuga da questo mondo, l’umiltà, il perdono, il pentimento; valori vituperati, come sottolineava il filosofo olandese Spinoza, poiché deprimevano il “conatus”, la forza vitale conservatrice, mentre per Nietzsche rappresentavano la volontà di potenza della plebe, l’istinto dei sofferenti e dei mediocri contro i ben riusciti e i forti. Questo nichilismo, tuttavia, pur negando i valori vitali quali il coraggio, la forza, la bellezza del corpo, la sessualità felice, la lotta, la distinzione, la generosità spontanea, riguardava soprattutto la dimensione etica ed esistenziale degli uomini. In realtà, sia il platonismo che il cristianesimo non sono in sé vedute onto-teologiche nichiliste, poiché rivelano che il fondamento sia l’Essere supremo (il Sommo Bene o Dio), un Principio unico, trascendente, divino o ideale. Una unità principiale che non stava perciò nella finitudine umana, ma in un aldilà eterno e infinito.
Si può allora affermare che il nichilismo del cristianesimo (sul platonismo si apriranno altre considerazioni) è solo etico-esistenziale, ma non religioso, poiché l’uomo finito non ha il fondamento in sé in quanto finito, ma nell’infinito, in Dio.
Nietzsche è contro questo nichilismo, ma nonostante ciò egli si dichiara un perfetto nichilista.
Come dobbiamo allora intendere il nichilismo nicciano? La risposta che egli ci dà è chiara: il perfetto nichilista è colui che fa propria la morte di Dio, che accetta l’eterno ritorno dell’uguale, che si arma della propria volontà di potenza: ovvero il superuomo. Costui rifiuta ogni trascendenza, ama la vita così come essa è, con tutte le sue gioie e nei suoi dolori, con sua innocenza a volte feroce e dura. Egli ama l’ “eternità ” dell’attimo all’interno del divenire, non l’eternità (che è la vera eternità) dell’immutabile trascendente. Il nichilista perfetto corrisponde perciò ad una figura di superuomo neo-pagano che esalta la vita terrena in sé e per sé. Egli non abbraccia ideologie, non si professa seguace dei surrogati di Dio, come possono essere le nuove “fedi ” politiche, ma diventa il creatore di un mondo, del suo mondo.
Sulla scia di questa riflessione nicciana sul nichilismo troviamo le profonde indagini di due grandi filosofi del Novecento, Jünger ed Heidegger, espresse sinteticamente in un memorabile libro dal titolo di “Oltre la linea” (3). In particolare Heidegger parte da presupposti teorici del tutto diversi rispetto a Nietzsche. Egli ritiene sì che Platone sia stato il fondatore teorico del nichilismo, non tanto per motivi etico-esistenziali, ma per essere stato il fondatore della metafisica, poiché per il filosofo greco la ragione umana (il mondo delle Idee), può cogliere la verità assoluta. Per Platone, infatti, attraverso l’intuizione intellettuale e lo strumento logico della dialettica discorsiva si era in grado di conoscere perfettamente tale mondo ideale (si veda, a tal proposito, “La lettera sull’umanesimo” di Heidegger). La verità assoluta era quindi accessibile all’uomo-filosofo. Vi è quindi, storicamente, uno stravolgimento del concetto di verità, che prima di Platone era intesa come “alètheia”, ossia come un dis-velamento che l’Essere “donava” all’esserci umano. Il filosofo può accedere al vero: la metafisica diventa una fisica. In Platone vi è allora la nascita della veduta antropocentrica, che comporta, dice Heidegger, l’oblio dell’Essere, in quanto l’ente-uomo si sostituisce all’Essere. Si tenga presente, ironia della sorte, che tutta la filosofia di Platone aveva lo scopo di combattere il relativismo tragico e nichilistico dei Sofisti e in particolare di Gorgia, il quale riteneva che la vita fosse preda del caso e quindi del caos. Ebbene dopo più di due mila anni Platone sarà “incolpato” da un altro grande filosofo di essere il responsabile del vero nichilismo che, secondo lui, è quello della metafisica che oblia l’Essere. Ma perché “questa” metafisica per Heidegger è nichilismo?
A tal riguardo è necessario soffermarsi sulla concezione del filosofo sulla verità, la quale ha il significato autentico, come si scriveva, di “alètheia”, che ha origine nel pensiero dei primissimi sapienti quali Anassimandro, Eraclito e Parmenide, che la definivano appunto come dis-velamento, o come ri-velazione.
In quanto tale, la verità ha in sè un doppio aspetto: quello svelato, e che è posto in luce, e quello velato, che sta nascosto. Ma la luce da dove proviene? Essa non può provenire originariamente dall’uomo in quanto ente finito, ma da un luogo indefinibile che concede all’ente finito umano, che Heidegger chiama esserci, di aprirsi alla verità. Questo luogo è l’Essere stesso che rende possibile all’esserci di essere. Per Heidegger l’Essere è di per sé indefinibile (come lo era per Hegel del resto), in quanto tale, anche se, pur nel suo mistero, esso può essere compreso principalmente o come svelatezza che accade (Lichtung) ( da Licht che in tedesco significa luce), cioè come radura luminosa entro cui gli enti si manifestano (l’Essere è anche il principio di manifestazione), oppure come linguaggio, in quanto il linguaggio è quell’evento attraverso il quale l’Essere si eventualizza, oppure ancora come coappartenenza fra Essere stesso ed esserci, poiché costui ha il privilegio di domandarsi cos’è l’Essere.
Proprio perché l’Essere è ciò che entifica l’ente (per ente si intendono tutti gli esseri viventi e le cose) e lo lascia essere, si viene a constatare una evidente subordinazione dell’esserci umano, che è ente rispetto all’Essere. Tale subordinazione viene altresì chiamata da Heidegger differenza ontologica, cioè una differenza di esistenza. L’esserci si caratterizza per la sua assenza di fondamento (Abgrund), mentre l’Essere, pur non risolvendosi interamente nell’ente, tende a configurarsi come “Lichtung” per l’ente stesso.
E’ chiaro, in questo contesto, l’implicito riferimento a S. Agostino e a Lutero, quando costoro affermavano che l’uomo è aperto alla verità, ma non è la verità.
Ma la verità, che è “alètheia”, non è mai del tutto svelata all’esserci, perché ogni rivelazione dell’Essere nell’ente (nell’esserci) risulta accompagnata da un parallelo nascondimento dell’Essere in se stesso. In altre parole tutto ciò che è luminoso è tale perché proviene da una zona oscura. L’Essere ha quindi un profondo legame con ciò che è di per sé oscuro, ossia il non-essere. Ciò significa che in Heidegger Essere e Non-essere coincidono, rispettivamente come principi di manifestazione anche sensibile e di non-manifestazione. Anzi il nulla per Heidegger esiste ed è esperito come la negazione completa della totalità dell’ente, ossia come l’esperienza dell’angoscia, che è la situazione emotiva di una vita autentica, di una vita per la morte. Il nulla fa: esso discostandosi permette all’essere di entificarsi. Senza l’attività del nulla l’Essere non potrebbe essere, cioè non potrebbe manifestarsi. L’essere sta al non-essere e quindi sta al tempo che è l’evento che fa essere presenti gli enti.
L’uomo, l’esserci, non è quindi la verità, anche se la può possedere parzialmente, in base alla sua capacità di comprendere l’Essere a seconda delle epoche. Per esempio nel mondo romano la veduta generale dell’Essere era politica, nel medioevo religiosa, nell’epoca moderna fisico-matematica e tecnica. Tuttavia mai all’ente umano è consentito la totale comprensione dell’Essere proprio per la sua differenza ontologica. Tutto questo spiega perché Heidegger considerava Platone il responsabile iniziatore di quell’evento che egli chiama “seinvergessenheit” (oblio o dimenticanza dell’Essere). L’oblio dell’Essere segna infatti l’inizio della metafisica razionale e perciò del nichilismo, perché per Heidegger metafisica e nichilismo sono la stessa cosa. Platone scambia l’Essere per l’ente. Egli riteneva, dicevamo, che l’intelletto umano sia in grado di conoscere le Idee, che per lui costituivano la visione eterna della verità. L’ente (l’esserci, il filosofo) pretende di conoscere perfettamente l’Essere, ottenendo una assoluta “adaequatio rei et intellectus” , cioè una corrispondenza perfetta fra la nostra mente e quella dell’Essere. E sulle orme di Platone troviamo, sia pure in forme di pensiero molto differenziate, Aristotele, Tommaso, Cartesio, e il razionalismo scientifico dell’Occidente moderno. Tale pretesa è l’atto di superbia più grande, anzi, possiamo aggiungere noi, è il vero peccato originale, perché si innalza l’ente all’Essere, sostituendo l’Essere con il soggetto umano. Platone ha affermato, insomma, che il vero è ciò che risulta visibile agli occhi dell’intelletto (alle Idee), e con ciò egli ha finito per ridurre la verità alla correttezza del pensare e del volere, esaltando di fatto l’uomo ponendolo al pari dell’Essere e di Dio e quindi di fatto sostituendoli. Heidegger, nella sopracitata “Lettera sull’umanesimo”, ribadisce con forza che l’antropocentrismo è nichilismo (tema poi ripreso e sviluppato dai suoi ex-allievi Hans Jonas e Günther Anders).
Infatti per Heidegger l’esserci non ha fondamento: o meglio il suo fondamento, che egli chiama la Cura (Die Sorge), è un nullo fondamento. L’esserci viene dal nulla e finisce nel nulla. Egli è temporalmente soltanto perché il nulla si è momentaneamente ritirato acconsentendo all’essere di entizzarsi. Ecco che si spiega perché per Heidegger oblio dell’Essere, metafisica razionalistica, antropocentrismo rappresentano il destino storico dell’Occidente, ossia della terra del tramonto (dell’Essere).
E Nietzsche, il nemico di Platone e del Cristianesimo (il platonismo dei poveri, come egli lo definisce), non è in realtà il distruttore delle certezze metafisiche: anzi, per Heidegger (che gli ha dedicato un’opera enorme per dimensioni e profondità intellettuale) egli è l’ultimo dei metafisici (4).
Infatti costui riduce l’Essere a volontà di potenza, e quindi alla volontà creatrice dell’uomo,
innalzando l’esserci addirittura a superuomo, che diviene con ciò la regola e la misura delle cose. Una volontà che è concepita come la vera essenza dell’ente, come cosa in sé o principio universale, e che è una dionisiaca volontà di volontà, che non riconosce altro essere oltre se stessa e che si celebra superomisticamente nell’eterno ritorno di sé. Possiamo dire che con Nietzsche, secondo Heidegger, abbiamo “l’apoteosi del nichilismo”. Abbiamo cioè il trionfo definitivo del soggettivismo e lo smarrimento completo della differenza fra Essere ed ente.
Una volontà di potenza, che secondo il filosofo Ernest Jünger, trova la sua incarnazione concreta nella tecnica contemporanea. Nel suo libro “L’operaio” (5) questo filosofo vede il nichilismo eroico nell’azione tecnica, e quindi il superuomo diventava di fatto il tecnico, anche se nelle opere successive, in particolare nel “Trattato del ribelle” (6), egli considera la tecnica, soprattutto nel suo attuarsi politico, come un moderno Leviatano, come un pericolo planetario , che si rivela con tutta la sua forza terrifica grazie alla potenza che può diventare insieme demoniaca e automatizzata. Un tiranno moderno che non ha più bisogno di ideologie forti, ma di pensieri deboli e quietistici che gli consentano di uniformare in tutti gli aspetti del vivere, perché in effetti l’omologazione risponde ad una razionalità semplice e funzionale.
La tendenza della tecnica è infatti quella di ottenere un unico consumatore, un unico pensiero, un’unica religione, un unico mercato, un’unica morale, un’unica legislazione e infine, perché no, un’unica razza (il meticcio universale).
La tecnica vuole la semplificazione. Heidegger comprese la profonda verità delle analisi jüngeriane, approfondendone gli aspetti ontologici, riguardanti cioè il rapporto Essere-esserci, scrivendo un saggio fondamentale per la comprensione del mondo attuale, che s’intitola “La questione della tecnica” (7). In questo scritto egli ritiene che la tecnica moderna non si dispiega nella forma di una semplice produzione ( o meglio pro-duzione, cioè condurre a favore della natura rendendo manifesto qualcosa che prima risultava assente, come per esempio un ponte), ma si profonde come pro-vocazione, che agisce come una supermacchina che trae fuori dalla natura energia da impiegare e da accumulare per creare un fondo (Bestand) in cui ogni cosa trova la sua precisa collocazione. La tecnica moderna, inoltre, è strettamente connessa con la scienza e tale interdipendenza ne costituisce l’ “essenza”. Un’essenza che viene definita come “das Gestell” (scaffale, dispositivo), che però per Heidegger ha il significato di impianto o imposizione, ovvero come totalità del porre tecnico. Il “Gestell” è, in altre parole, la configurazione tecnica dell’essere dell’ente che si rivela come pro-vocazione, ossia come sfruttamento generale della natura sulla quale viene imposto il tallone di ferro della meccanizzazione più implacabile. Una provocazione, sottolineamo noi, al servizio del grande capitale.
La tecnica moderna è allora il compimento ultimo della metafisica, intesa come oblio dell’Essere. L’esserci perde completamente il senso della verità, credendo di essere lui la verità e da pastore dell’essere quale era nei tempi antichi si trasforma, o meglio crede di trasformarsi, in padrone dell’Essere. La natura viene perciò piegata, ingabbiata, saccheggiata. Gli dei che vivevano nei boschi, nei campi o sui monti fuggono via come già annunciava il poeta romantico Hölderlin, e il mondo “…si trasforma in una foresta pietrificata entro cui si muove il caos”
Continua qui: https://comedonchisciotte.org/riflessioni-sul-nichilismo/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Identificato l’agente della CIA che guidò l’incursione all’ambasciata nordcoreana in Spagna
Moon of Alabama, 27 marzo 2019
Un giudice spagnolo ha rilasciato nuove informazioni sul raid all’ambasciata della Corea democratica in Spagna. Il capo del raid era un losco attivista degli Stati Uniti che in precedenza la Spagna riportava associato alla CIA. Il 13 marzo il quotidiano El Pais riferiva che le autorità spagnole identificavano due persone collegate alla CIA che parteciparono all’incursione dell’ambasciata nordcoreana a Madrid. Il raid avvenne il 22 febbraio, pochi giorni prima del summit Trump-Kim ad Hanoi, e sembrava volto ad influenzarlo. Abbiamo chiesto chi ordinò alla CIA di assaltare l’ambasciata della Corea democratica in Spagna? “Il raid dell’ambasciata non era un normale furto. C’erano otto persone all’ambasciata quando fu perquisita alle 15:00. Erano legati, borse messe sulle loro teste e alcuni furono interrogati. I ladri se ne andarono con computer e cellulari del personale”. La versione spagnola del pezzo di El Pais includeva questo dettaglio: “Dopo aver analizzato le registrazioni delle telecamere di sicurezza nella zona, interrogando gli ostaggi e analizzando i veicoli diplomatici utilizzati nel furto, fu possibile identificare alcuni assalitori. Sebbene la maggioranza fossero coreani, almeno due furono riconosciuti dai servizi d’informazione spagnoli per i loro legami con la CIA. Le indicazioni che puntano al servizio spionistico nordamericano, in probabile cooperazione con quello della Corea del Sud, sono così forti che gli interlocutori spagnoli contattavano la CIA per chiedere spiegazioni. La risposta fu negativa, ma “poco convincente”, secondo fonti governative”. Due giorni dopo l’articolo di El Pais, il reporter sulla sicurezza nazionale del Washington Post affermava che il raid fu di un losco gruppo di rivoluzionari nordcoreani. Il rapporto era basato su fonti anonime e un “ex”-analista della CIA. Il gruppo fu identificato nel Cheollima Civil Defense o Free Jaseon. Mentre il gruppo e il suo sito web avevano i segni di un cambio di regime della CIA, Moon of Alabama intitolava: “La CIA incolpa suoi agenti del suo raid all’ambasciata della Corea democratica in Spagna”. Notammo anche che il Sun collegava il gruppo al servizio spionistico sudcoreano, essenzialmente controllato dalla CIA.
Un giudice spagnolo deliberava sul caso ed emetteva mandati di arresto contro due persone coinvolte nel raid: “De la Mata ha identificato cittadini di Messico, Stati Uniti e Corea del Sud come principali sospettati indagati per accuse su lesioni, minacce e furto con scasso. Chiamò Adrian Hong Chang, cittadino messicano che viveva negli Stati Uniti, capo dell’irruzione. Hong Chang volò negli Stati Uniti il 23 febbraio, entrando in contatto coll’FBI e si offrì di condividere materiale e video con investigatori federali, secondo il tribunale… Mentre a Madrid, Hong Chang fece domanda per un nuovo passaporto presso l’ambasciata messicana, l’inchiesta trovava che usò il nome “Oswaldo Trump” per registrarsi nell’app Uber ride-hailing… Altri identificati nel gruppo degli assalitori erano Sam Ryu, statunitense, e Woo Ran Lee, sudcoreano. La loro ubicazione e città natale
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L’intelligence Vista Dall’intelligence: La “Storia Dei Servizi Segreti Italiani” Di Vilasi Farà Discutere
Pubblicato il 26 Mag 2013
È il primo libro sull’intelligence scritto da una donna, Antonella Colonna Vilasi, presidente del Centro Studi sull’intelligence (UNI), insegnante in numerose agenzie ed università nonché professore ordinario americano e visiting professor di intelligence a Atene, Bucarest, Londra, Madrid, Malta, Parigi e Tirana. L’abbiamo intervistata. Vilasi è una che sa il fatto suo e che legge la storia degli 007 nostrani con gli occhi di un insider: ecco perché oltre cento anni di fatti e accadimenti vengono raccontati in un modo che farà sicuramente discutere.
di Andrea Succi
“Il centro Studi di cui sono Presidente si occupa di sviluppo della cultura dell’intelligence a 360° gradi, organizzando seminari, convegni e workshop”. Cultura dell’intelligence. Sono queste le prime tre paroline che ci fanno sobbalzare, abituati come siamo a vedere i servizi come deviati, cospiratori dello Stato e manovratori occulti delle peggiori nefandezze italiane.
Antonella Colonna Vilasi ci porta, invece, subito nel suo mondo, da studiosa ed esperta di intelligence internazionale e nazionale.
L’ultimo suo libro, “Storia dei Servizi Segreti italiani” (ed. Città del Sole), racconta l’evoluzione della sicurezza nostrana, sviluppando fatti e accadimenti che vanno dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri, con ben 13 interviste, realizzate dall’autrice, ad illustri protagonisti dei servizi d’informazione del nostro paese: ex direttori d’intelligence, tra cui Mario Mori (per il quale, proprio ieri, sono stati chiesti 9 anni di reclusione per favoreggiamento alla mafia , ndr), ex capi di Stato Maggiore e generali d’Armata, come Vincenzo Camporini, e infine politici ed esperti internazionali d’intelligence, Carlo Jean e Giuseppe De Lutiis in primis.
Abbiamo chiesto a Vilasi cosa pensa del caso, ad esempio, di Abu Omar e la risposta ricevuta è la quintessenza dell’Intelligence stessa: “Io dico che non si tratta di servizi segreti deviati: in quel momento storico l’America tutta era concentrata su un contrattacco alla minaccia terroristica scoppiata con l’11 settembre. Il caso di Abu Omar faceva parte di questa mission di limitare quelle che erano le eventuali possibilità di minacce terroristiche, visto che vi erano in Italia degli Imam che apertamente, a Milano in Viale Jenner come tutti sappiamo, propagandavano una missione contro l’Occidente. Quindi leextraordinary rendition, cioè operazioni che indubbiamente sono contrarie alle norme fondamentali di uno stato di diritto, erano però dettate da esigenze di sicurezza internazionali, da tenere al riparo dall’opinione pubblica e da attività giudiziaria in tal senso. Quindi io penso che tutto ciò che è successo faceva parte di un’esigenza di sicurezza che partiva dagli Stati Uniti ma interessava anche gli stati europei, tra cui l’Italia.”
Si può discutere o meno sull’aspetto etico e/o morale di questa risposta ma può
DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI
Il Papa sull’immigrazione: “Chi costruisce muri vi rimane prigioniero”
Sul volo di ritorno dal Marocco, il Papa è tornato sul tema delle migrazioni: “Bisogna costruire ponti, non muri”
Francesca Bernasconi – Lun, 01/04/2019
Un filo spinato, con lame taglienti, separa la Spagna dal Marocco. Un campione di quel filo è stato mostrato da un giornalista a Papa Francesco, durante il suo viaggio in Marocco: “Confesso che mi sono commosso e poi, quando se n’è andato, ho pianto”.
Il Santo Padre risponde alle domande dei giornalisti sul volo di ritorno dal Marocco, tornando sui temi dell’immigrazione e della solidarietà. “Ho pianto perché non entra nella mia testa e nel mio cuore tanta crudeltà. Non entra nella mia testa e nel mio cuore vedere affogare nel Mediterraneo“, ha detto ancora Bergoglio, condannando la chiusura dei porti e la costruzione di muri da parte di quei Paesi che cercano di risolvere così il problema dell’immigrazione. Ma, “non è questo il modo“. Già in passato, il Papa aveva condannato l’innalzamento di muri, per fermare i migranti.
“Ci vogliono ponti, non muri“, ribadisce con forza Papa Francesco, che confessa
Continua qui:
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/papa-sullimmigrazione-chi-costruisce-muri-vi-rimane-1672052.html?fbclid=IwAR3CezAt-5wLkmC62SOWd-pga2l54HOTREjh6t9ZSAfgNahkz4vMr0K35Y4
PANORAMA INTERNAZIONALE
La nuova Grande Strategia degli Stati Uniti
di Thierry Meyssan
Molti pensano che gli Stati Uniti siano molto intraprendenti ma non ottengano grandi risultati. Le guerre in Medio Oriente Allargato, per esempio, sono una sequela di fallimenti. Secondo Thierry Meyssan invece la strategia militare, commerciale e diplomatica degli USA è coerente. Rispetto agli obiettivi progredisce con pazienza ed è coronata da successo.
RETE VOLTAIRE | DAMASCO (SIRIA) | 26 MARZO 2019
egli Stati Uniti è usanza credere che il Paese, dalla fine della guerra fredda, non abbia più avuto una Grande Strategia.
Una Grande Strategia è una visione del mondo che mira a imporsi e a farsi rispettare da tutti i governi. Perciò, se si è in scacco in un determinato teatro operativo ci si sposta in un altro, e così via fino al trionfo. Alla fine della seconda guerra mondiale Washington scelse di seguire le direttive enunciate dall’ambasciatore George Keennan nel suo celebre telegramma diplomatico: il regime sovietico è espansionista, quindi l’influenza dell’URSS deve essere contenuta (containment). Benché persero le guerre di Corea e Vietnam, gli Stati Uniti finirono per trionfare.
Accade raramente che i politici riescano a concepire una Grande Strategia, sebbene nel medesimo periodo ce ne siano state altre, in particolare quella di Charles De Gaulle in Francia.
Negli ultimi diciotto anni Washington è riuscita gradualmente a darsi nuovi obiettivi e a studiare nuove tattiche per conseguirli.
1991–2001: un periodo di incertezza
Con il crollo dell’Unione Sovietica, il 25 dicembre 1991, gli Stati Uniti di Bush padre hanno ritenuto di non aver più rivali. Il presidente, vincitore a causa del venir meno del nemico, ha smobilitato un milione di soldati e immaginato un mondo di pace e prosperità. Ha liberalizzato il trasferimento dei capitali per impinguare i capitalisti e consentire, almeno così credeva, anche ai concittadini di arricchirsi.
Il capitalismo non è però un progetto politico, è solo un mezzo per far soldi. Le grandi imprese USA – non lo Stato Federale ¬– non esitarono quindi ad allearsi con il partito comunista cinese (da qui il famoso “viaggio verso il Sud” di Deng Xiaoping). Delocalizzarono le imprese di scarso valore aggiunto dall’Occidente alla Cina, dove i lavoratori erano poco preparati, ma i salari erano in media 20 volte inferiori. Ebbe inizio il lungo processo di deindustrializzazione dell’Occidente.
Per gestire gli affari transnazionali il Grande capitale spostò le ricchezze in Paesi a fiscalità ridotta, dove aveva scoperto di potersi sottrarre alle responsabilità sociali. Questi Paesi, la cui fiscalità derogatoria e la cui discrezione sono indispensabili al commercio internazionale, si trovarono improvvisamente coinvolti in una gigantesca ottimizzazione fiscale, per non dire in una massiccia frode, di cui beneficiarono tacitamente dei vantaggi. Ebbe così inizio il regno della Finanza sull’Economia.
Nel 2001 il segretario alla Difesa, nonché membro permanente del “governo di continuità” [1], Donald Rumsfeld, creò l’Ufficio per la Trasformazione della Forza (Office of Force Transformation) e lo affidò all’ammiraglio Arthur Cebrowski. Questi, che già aveva informatizzato le forze armate, doveva ora modificarne la missione.
Il mondo senza Unione Sovietica era diventato unipolare, era governato non più dal Consiglio di Sicurezza, ma dai soli Stati Uniti che, per conservare la posizione di dominio, dovevano “fare la parte del fuoco”, ossia dividere l’umanità in due: da una parte gli Stati stabili (i membri del G8, Russia inclusa, e i loro alleati), dall’altra il resto del mondo, considerato alla stregua di una semplice riserva di risorse naturali. Washington non riteneva più vitale per sé l’accesso a queste risorse, ma voleva che fossero a disposizione esclusivamente degli Stati stabili, purché per tramite suo. Occorreva perciò distruggere preventivamente le strutture statali della riserva di risorse, in modo che nessuno potesse un giorno opporsi alla volontà della prima potenza mondiale, né prescindere da essa [2].
Questa strategia è stata messa in atto in continuazione. Ha esordito nel Medio Oriente Allargato (Afghanistan, Iraq, Libano, Libia, Siria, Yemen), ma, contrariamente a quanto annunciato dalla segretaria di Stato Hillary Clinton (Pivot to Asia), non ha potuto estendersi all’Estremo Oriente, a causa dello sviluppo militare cinese. Si è perciò dispiegata nel Bacino dei Caraibi (Venezuela, Nicaragua).
Nel 2012 il presidente Barack Obama riprese il leitmotiv del Partito Repubblicano e fece dello sfruttamento per frantumazione idraulica di petrolio e gas di scisto una priorità nazionale. In pochi anni gli Stati Uniti moltiplicarono gli investimenti e divennero primo produttore mondiale d’idrocarburi, ribaltando i paradigmi delle relazioni internazionali. Nel 2018 Mike Pompeo, ex direttore di Sentry International, fabbrica di componenti petroliferi, divenne direttore della CIA e poi segretario di Stato. Creò un Ufficio per le Risorse Energetiche (Bureau of Energy Resources), simmetrico a quel che era stato l’Ufficio per la Trasformazione della Forza al Pentagono, e lo affidò a Francis Fannon. Pompeo attuò una politica interamente indirizzata alla conquista del controllo del mercato mondiale degli idrocarburi [3], immaginando un nuovo tipo di alleanze come quella della Regione Indo-pacifica Libera e Aperta (Free and Open Indo-Pacific): non più blocchi militari, come i Quad [alleanza anticinese, formata da Stati Uniti, Giappone, India e Australia, attiva dal 2007 al 2010, ndt], bensì alleanze attorno a obiettivi di crescita economica, fondati sull’accesso garantito alle fonti di energia.
Questo concetto si integra con la strategia Rumsfel/Cebrowski: non è necessario appropriarsi degli idrocarburi del resto del mondo (Washington non ne ha più bisogno), ma di decidere chi vi potrà accedere e chi no. È rottura totale con la dottrina della penuria di petrolio, promossa dagli anni Sessanta dai Rockefeller e dal Club di Roma e in seguito dal Gruppo per lo Sviluppo della Politica Energetica Nazionale (National Energy Policy Development Group) del vicepresidente Dick Cheney. Gli Stati Uniti constatano che il petrolio non solo non si è esaurito, ma nonostante l’aumento drastico della domanda basterà all’umanità per almeno un secolo.
Con vari pretesti, Pompeo ha recentemente bloccato l’accesso al mercato mondiale degli idrocarburi prima dell’Iran, poi del Venezuela, e ha deciso la permanenza nella Siria orientale delle truppe USA per impedire lo sfruttamento
Continua qui: https://www.voltairenet.org/article205767.html
MACRON: “PRIVATIZZO QUIA ABSURDUM”
Maurizio Blondet 2 Aprile 2019 9 commenti
Se volete vedere un ritorno al Medio Evo, guardate le privatizzazioni di Macron: vuol dare in concessione ai privati non solo le autostrade (l’ha già fatto) ma le strade secondarie di tutta la Francia. Lo ha scoperto France Inter, rivelando parti dell’accordo segreto sulla cessione delle autostrade – segreto ! – firmato nel 2015 tra lo Stato e i concessionari. Nella pratica, firmato da Emmanuel Macron e Segolène Royal, allora rispettivamente ministri dell’Economia e dell’Ecologia (sic) sotto la presidenza Hollande. E’ il documento – che ora il Consiglio di Stato sta ordinando al governo di rivelare – in cui i due ministri autorizzavano i concessionari ad aumentare annualmente i pedaggi fino al 2023, in cambio di un congelamento delle tariffe in quel 2015: perché quell’anno c’erano le elezioni, e il partito di Hollande temeva di perdere – come infatti è accaduto, tanto che i burattinai (Attali, Rotschild?) hanno dovuto inventare il “movimento nuovo” di Macron per restare al potere.
Privatizzare le strade nazionali. Come ai tempi di Colbert
Il che la dice già lunga sulle collusioni fra socialisti privatizzatori e i grandi privati, il cosiddetto “mercato”. Ma questo non è tutto. Nel documento, si ricava che le grandi società per azioni che attualmente gestiscono le autostrade, hanno proposto anche la privatizzazione delle strade nazionali, 10 mila chilometri. Una nota dell’ASFA (Association des Sociétés Francaises d’Autoroutes) dichiara: “Questo modello virtuoso[la privatizzazione delle autostrade] potrebbe essere esteso al complesso della rete viaria nazionale […] per continuare a sviluppare e modernizzare le infrastrutture stradali necessarie alla mobilità sostenibile e allo sviluppo economico del paese, contribuendo in modo positivo al rilancio economico […] Il trasferimento di tutta o parte la rete stradale è di natura tale da provocare un benefico shock del bilancio pubblico, alleviano la spese della Stato e rendendo perenne la capacità di manutenzione della rete”.
Qui si vede esposto con comica evidenza l’argomento a favore delle privatizzazioni: lo Stato non ha i soldi per la manutenzione, dunque i privati, generosamente, si accollano la spesa, così il debito pubblico liberato da questo peso, diminuirà. “Ogni volta che lo Stato deciderà di adeguare la sua rete di strade nazionali e trasformarle in autostrade in concessione, le società risponderanno: presente!”, ha dichiarato, la mano sul cuore, Harnaud Hary, presidente dell’ASFA, in un empito patriottico.
Ponte a pedaggio – il bello del privato
Naturalmente, tanto generoso patriottismo si compenserà mettendo a pedaggio le migliori (più redditizie) strade nazionali; non tutte s’intende, perché ce n’è che non rendono. Quelle saranno lasciate a carico dello Stato.
Questo sì che sarebbe il ritorno al Medio Evo: come già aveva notato il ministro del Re Sole Jean Baptiste Colbert nel 1664, le manifatture erano aggravate dal dazi che ogni città e provincia (indebitatissime) levava sulle merci in transito; pedaggi da pagare su ogni ponte, su ogni canale, su ogni strada per quanto deplorevolmente tenuti; il dazio di Valence, tuonava Colbert, estrae fino al 5% su ogni merce proveniente dal Meridione; su ogni passaggio di merci da una provincia l’altra gravano fino a venti balzelli. Va detto che nemmeno lui, Colbert, riuscì ridurre i dazi interni ad uno solo; bisognò aspettare la Rivoluzione.
Uno dei dazi sulla strada che portava a Parigi le aringhe pescate in Normandia.
Che questo speciale ritorno al Medio Evo sia nei progetti del governo e partito progressista, lo ha confermato Alain Vidalies, che è stato segretario ai Trasporti sotto il governo Valls. “Vedevo già arrivare sulla mia scrivanie rapporti dell’alta amministrazione che mi spiegavano che il bilancio dello Stato non aveva più i mezzi per la manutenzione della rete stradale nazionale, mi si domandava di rifare con le strade nazionali quel che si era fatto per le autostrade”.
Gli aeroporti rendono profitti allo Stato: perché li vende?
Macron sta recuperando il tempo perduto – la Francia, “statalista” per tradizione è rimasta un po’ indietro nella privatizzazioni, e sono queste le “riforme” che l’Unione Europea (ed Attali) gli chiedono di fare: e lui esegue con un dogmatismo ideologico che appare fuori tempo massimo, mentre nel paese l’ideologia (pseudo) liberista è contestata nella sua razionalità stessa. Per esempio, vuole privatizzare gli Aeroporti di Parigi (ADP) l’ente statale che gestisce quasi tutti gli aeroporti di Francia: ma perché, gli ha domandato la giornalista Coralie Delaume, visto che gli aeroporti non solo non sono in perdita, ma fanno profitti – 130 milioni – che retrocedono allo Stato? Stessa obiezione vale per le due altre entità che Macron vuole privatizzare: l’ente giochi (Francaise des Jeux) che allo Stato dà 100 milioni, e Engie, il gigante dell’energia
Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/macron-privatizzo-quia-absurdum/
POLITICA
Quando la narrazione del Potere diventa eterna
DI RAFFAELE IANNUZZI – 1aprile 2019
ilsussidiario.net
Ieri Juncker, presidente della Commissione, è stato ospite di Fazio a “Che tempo che fa”. L’ennesimo capitolo di una narrazione di regime
Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, che oggi incontrerà il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e domani il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e l’ex presidente Napolitano, è sempre uguale a se stesso. Fabio Fazio, uno specialista di “incontri ravvicinati del terzo tipo” con i pesi massimi dell’Europa, dopo essersi cimentato con Macron si è speso anche per Juncker. Un’intervista magistrale per densità politica, tanto da richiamare la filosofia di Emanuele Severino: il divenire non esiste, c’è solo l’eternità degli accadimenti. Ecco, l’intervista a Juncker rimanda a questo: ieri, oggi, domani, sempre il presidente della Commissione europea è eternamente se stesso. E, dunque, eternamente identico alla sua funzione, al suo ruolo, al suo posto.
Impeccabilmente se stesso e con questa aura severiniana a far da cornice a un volto espressivo come le maschere teatrali giapponesi, Juncker ha sciorinato, con pacata indifferenza, le ragioni della forza burocratico-formalistica dell’Ue.
Non è vero, afferma Juncker, che l’Italia sia un pericolo per il resto del mondo, come afferma il Fmi, certo che no, ha solo un debito pubblico insostenibile, ci vogliono adeguati “strumenti” per rilanciare la crescita italiana. Che cosa ha detto? Niente, naturalmente: è quell’ovvio, però, che sa di parziale de profundis per il sistema-Italia. L’Italia non è nemica del mondo, ma solo di se stessa; a buon intenditor, poche parole.
Per la cronaca: Fazio approva.
Da questa prima dirompente dichiarazione, di chiaro sapore “eversivo”, Juncker prende le mosse per allargare lo scenario, un vero grandangolo: la previsione del livello di crescita dell’Italia allo 0,2%, molto imprecisa, loro lo sapevano già, perché loro sanno sempre tutto, e sanno anche che questo significa stagnazione. Ma ovviamente l’Italia non è un pericolo per il mondo e il Fmi sbaglia.
Ancora una volta, sempre per la cronaca: Fazio approva, con un linguaggio del corpo non molto dissimile da quello largamente usato con Macron.
D’altra parte, chi l’ha detto che Juncker non abbia un cuore? Ce l’ha, eccome, ha perfino provato tristezza per i greci, sa anche che molti greci sono poveri, forse ha assaggiato anche lo yogurt di quelle parti, e insomma, quello che ha fatto il Fmi proprio non va. Ma come? Parla oggi, a distanza di un ciclo di crisi socio-economica? Non facciamo troppo i puntigliosi, seguiamo la linea di Fazio, che anche stavolta ha approvato, aggiungendo alla commovente dissertazione di Juncker un velo di malinconia. Ma dopo entrambi si sono ripresi e via con le questioni pesanti: come la vuole questa Europa, eccellentissimo presidente della Commissione europea, Juncker?
La risposta non è di quelle che possano lasciare indifferenti gli uomini dabbene: l’Europa deve essere più “sociale”. I greci ringraziano.
Fazio qui non ha avuto il tempo di sfoggiare un eccellente linguaggio del corpo perché sono troppi i nodi drammatici da sciogliere: la Cina, la Via della Seta.
Approvo, ha sentenziato Juncker. Solo che i singoli Paesi sono pregati di non decidere le alleanze strategiche per contro proprio, possono al massimo deliberare sull’ora legale. Ma, naturalmente, l’Italia ha fatto bene a sancire accordi con la Cina (tradotto nel duro lessico tattico-militare: sfàsciati pure da sola, così poi arriverai a più miti consigli e con perdite economiche e sistemiche di non poco momento).
E la Brexit? Incalza il prode Fazio. “Quanta pazienza abbiamo avuto con i britannici, ma ora si sta esaurendo” (ma non è una minaccia, sia chiaro; Juncker, lo ha dichiarato espressamente, è un uomo di “pace”). La Gran Bretagna è come la Sfinge, anzi quest’ultima è più chiara nei suoi intenti della prima. Amen to that. Fazio, europeista entusiasta, approva, of course, è il caso di dire, e sospira. Ma non può mica fermarsi qui, c’è molta altra carne al fuoco: come la mettiamo col “sovranismo”?
Su questo punto, Juncker è stato magistrale nell’esercizio del potere della retorica del comando. Ecco l’argomento: 1)l’Europa è il continente più piccolo, mica siamo eurocentrici, noi, non vogliamo farla da padroni o fare avventure neocoloniali (svalutazione); 2) l’Europa perde, tra l’altro, peso economico, lo sappiamo tutti (principio di realtà); 3) ergo, come possiamo creare un’Europa più solida ed autorevole con le nazioni che vanno “in ordine sparso” (ritorna il gergo militare: e siamo all’intimidazione, bingo).
Non male, presidente, la retorica del comando è smascherabile, ma decisamente funzionante. Fazio che fa? Ok, ormai lo sapete già.
Indefesso, il nostro intervistatore insiste: ma Orbán che fa? Campagna politica contro di lei? Juncker è uno tosto e non ci pensa due volte nel dare il meglio di sé: “Me ne frego alla grande”. Gli xenofobi non fanno paura a noi, uomini distinti e operosi nella costruzione della “pace” (un vero kantiano), che vadano pure al diavolo, li tolleriamo perché sono perdenti. E così sia.
Altre mirabili incursioni sul leggendario tetto del 3%, il clima, che assilla le
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Prima che il mondo fosse. Alle radici del decisionismo novecentesco
Scritto da Aldo Giannuli. Postato in Le analisi
È un libro potente quello di Orazio Maria Gnerre, studioso di storia del pensiero politico ormai da tempo impegnato nella ricerca di nuovi paradigmi di pensiero alternativi tanto al filone liberaldemocratico occidentalista che a certo ribellismo della sinistra dirittoumanista e all’illiberalismo piccolo-borghese delle destre cosiddette “sovraniste”.
È un libro potente perché in così poche pagine riesce a restituire un affresco di ampio respiro del pensiero politico e metapolitico degli ultimi tre secoli. Scrivo degli ultimi tre secoli perché limitarsi a parlare di Novecento significherebbe non aver compreso a fondo la densità del saggio. De Maistre, Marx, Rousseau, Ortega Y Gasset, Juenger, Schmitt, Kelsen e tanti altri: i pensatori politici della modernità – intesa appunto come quella fase antropologica prima ancora che storia che inizia con il XVIII secolo della scienza, della tecnica e delle rivoluzioni politiche – sono tutti letti attraverso la filigrana del macrotema del “decisionismo”: del rapporto tra società di massa moderna e stato, diritto e polis in cui la società chiede alla polis cogente azione politica.
L’uomo moderno, l’uomo che ha abitato il pianeta negli ultimi duecentocinquanta anni, è antropologicamente – quindi spiritualmente e metapoliticamente – diverso dall’uomo che lo ha preceduto nel Rinascimento, nel Medio Evo, negli evi antichi. È per la prima volta – se escludiamo le poleis greche e la civitas romana repubblicana, fenomeni storico-politici comunque limitatissimi nel tempo e nello spazio – un “uomo società”, un uomo che è cosciente non solo del e nel rapporto con sé e con il Divino ma che è cosciente soprattutto del e nel rapporto con la complessità sociale e con i suoi prodotti – in primis la scienza, la tecnica, il capitalismo. Divenuto uomo-società, l’uomo moderno diviene quindi uomo-disagio, il disagio dell’incompletezza: è un uomo che non può e non sa più bastarsi e idealizzarsi come fece l’uomo greco o rinascimentale e che non può e non sa esaltarsi nel rapporto col Divino e il Sacro trascendente come l’uomo del Medio Evo e comunque come l’uomo della Tradizione.
Ecco il vero distillato dell’opera di Gnerre: l’uomo moderno presenta alla politica e alla polis, il proprio luogo sociale, il conto della propria insoddisfazione. Da qui l’eterno ritorno dei totalitarismi e degli autoritarismi letti – qui la vera rivoluzione copernicana insita nel pensiero dell’autore – non come errori della modernità, ma come suo sbocco naturale, come risultante dello smarrimento politico ma ancor più metapolitico e pre-politico dell’uomo moderno.
Cosa cerca quindi questo uomo della modernità, non trovandolo e volendolo quindi surrogato dal politico? Come accennavamo, il rapporto con il sé e il rapporto con il Divino: in una parola, il rapporto con il sacro, con il “Sacer” inteso come separato dalla polis, dalla civitas. L’uomo dell’agorà vive ogni giorno la nostalgia dello Spirito, la nostalgia dell’Acropoli a causa della “macchinalità” (indovinato termine che l’autore usa e ripete nel testo). Vi è nostalgia di sacro tanto nelle ideologie progressiste quanto in quelle reazionarie. La politica diviene, nel desiderio e nelle aspirazioni dell’uomo moderno, una teologia – che si scopre però sempre essere una teologia monca, secolarizzata, atea. Il sacro posticcio della modernità, il sacro surrogato, diviene quindi immancabilmente non un sacro religioso e presente, ma un sacro dell’altrove, un sacro teleologico, un sol dell’avvenire cui la politica dovrà condurci.
Non ha la pretesa di fornire soluzioni al disagio della modernità, Orazio Gnerre: compie già un immane lavoro intellettuale nel proporre la lettura davvero innovativa di cui parlavamo poc’anzi. Una cosa ci sentiamo di aggiungere e di chiederli, possibilmente da distillarsi in un prossimo studio: è possibile che allo smarrimento dell’uomo moderno sia succeduto l’ancor peggiore smarrimento
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L’antisionismo non è antisemitismo, follia proibirlo per legge
Scritto il 02/4/19
I vecchi tabù di carattere sessuale e morale, nelle società occidentali, sono caduti e ne sono sorti di nuovi, il più inviolabile dei quali riguarda la questione israelo-palestinese. Il solo chiedere di parlarne, viene visto dai grandi media come una provocazione e quelli che conducono programmi di informazione politica, alla proposta di affrontarlo, reagiscono con un misto di timore e di costernazione di fronte a una richiesta tanto osé, similmente a come avrebbero reagito, al tempo della televisione di Bernabei, all’idea di un programma sui piaceri della pornografia. La parola d’ordine è “evitate l’argomento”. Non si tratta di censura, piuttosto di elusione. Quando poi in rarissime occasioni, per distrazione, se ne parla, si evita accuratamente di far sentire le opinioni e le argomentazioni di coloro che criticano aspramente la politica del governo israeliano e la definiscono colonialismo, oppressione di un intero popolo, segregazionismo e razzismo. Gli oppositori di tale politica, se si esprimono con schiettezza, vengono immediatamente apostrofati e classificati con l’insultante epiteto di antisemita (!). I sedicenti amici di Israele hanno accolto l’equazione “critico del governo di Israele uguale antisionista, uguale antisemita”. Altrettali sono definiti quelli che chiedono piena dignità e diritt iper il popolo palestinese.
I meno accaniti di questa eletta schiera di sostenitori del sionismo e amici di Israele accusano i sostenitori delle legittime rivendicazioni palestinesi di diffondere l’antisemitismo perché le critiche allo Stato ebraico portano la pandemia antisemita. Falso! Il climax del veleno antisemita si manifestò quando Israele non esisteva e gli ebrei vivevano in diaspora. In Israele, peraltro, alcuni giornalisti coraggiosi e di altissimo profilo si esprimono senza alcun timore, apertis verbis et ore rotundo. Gideon Levy su “Haaretz” (quotidiano israeliano pubblicato in Israele, da un editore israeliano, letto da lettori israeliani) in un suo articolo dal titolo palmare, “In U.S. Media, Israelis Untouchable”, scrive: «You can attack the Palestinians in America uninterrupted, call to expel them and deny their existence. Just don’t dare say a bad word about Israel, the holy of holies». E a proposito della proliferazione dei sentimenti antisemiti nota: «Jews are not as hated as Israel would like: only 10 percent said they had any negative feelings about them». La mia opinione, come quella di autorevoli esponenti della società israeliana, è che le classi dirigenti e il governo Netanyahu utilizzino strumentalmente l’accusa di antisemitismo al solo scopo di ricattare i paesi dell’Occidente per legittimare l’occupazione e la colonizzazione delle terre palestinesi e per annettere terre che la legalità internazionale assegna al popolo palestinese.
Così, a proposito dell’equiparazione di antisionismo e antisemitismo, scrive lo storico israeliano Shlomo Sand: «Il tentativo del presidente francese Emmanuel Macron e del suo partito di criminalizzare oggi l’antisionismo come una forma di antisemitismo mostra di essere una manovra cinica e manipolatoria. Se l’antisionismo diventa un crimine, mi sento di raccomandare a Macron di
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STORIA
QUANDO CRAXI SVUOTO’ IL SACCO CONTRO NAPOLITANO…
Gianmarco 31 marzo 2019
VIDEO QUI : https://www.facebook.com/IncazzatiControLaCasta/videos/1634369606596544/
Genocidio nascosto: come il Regno Unito torturò ed uccise 300000 keniani
da aurorasito
Tortura di migliaia di Kikuyu in Kenya e grande insabbiatura inglese
Tatenda Gwaambuka, African Exponent 17 dicembre 2018
In Kenya, gli inglesi versavano pepe nei genitali delle donne, schiacciavano i testicoli degli uomini, li strappavano e glieli facevano mangiare, sodomizzavano i prigionieri con bottiglie e ginestre. Nel 1960, 300000 kikuyu furono dispersi o uccisi.
Alcuni inglesi delirano, altri sono ignoranti, altri entrambi, ma nessuno ha il coraggio di affrontare la verità. Qual è la verità dell’impero inglese in Kenya? La verità è che il sangue dei Kikuyu inondò la terra rubatagli dai bianchi che giocavano un elaborato nascondino commissionato dai monarchi inglesi. Le verità è che il Regno Unito moderna non ha le palle per accettare che schiacciava e strappava testicoli agli uomini kikuyu, mutilati il seno delle donne così come tagliavano orecchie e dita. I beneficiari dell’imperialismo erano accecati dal privilegio di cavare gli occhi ai kikuyu colla macchina colonialista ed erano troppo occupati dal fare soldi facili col colonialismo per accorgersi che in Kenya gli uomini venivano trascinati dalle landrover finché non si disintegravano in pezzi di cibo spazzatura. Queste sono le verità che il Regno Unito moderno nascose fin quando non fu costretta ad accettarle, e anche quando lo fece, molti tentano di minimizzare la spietatezza del meccanismo imperialista inglese.
Nel 2012, il Foreign Office inglese fu umiliato dalla propria disonestà durata per decenni. Si scoprì che il Regno Unito sistematicamente distrusse le prove che avrebbero svelato al mondo il male della sua macchina imperialista. The Guardian riferì: “I documenti sopravvissuti alla purga arrivarono di soppiatto nel Regno Unito dove furono nascosti per 50 anni in un archivio segreto del Ministero degli Esteri, al di fuori della portata di storici e pubblico, in violazione degli obblighi legali d’essere resi pubblici”. Furono disonesti e sfortunati, ma la verità si rivelò un segreto troppo grande per nasconderla. I documenti dimostrano che i ministri a Londra sapevano che i kikuyu venivano torturati e uccisi in Kenya, e scelsero il silenzio. Ed anche dimostrano che Iain Macleod, segretario di Stato per le colonie, ordinò che i governi indipendenti non ottenessero alcun materiale che “possa mettere in imbarazzo il governo di Sua Maestà”. Tutto ciò che il Regno Unito voleva era salvare la faccia, ma il sangue dei kikuyu raccontava una storia diversa sfuggendo al labirinto delle menzogne ??e degli inganni inglesi. Una richiesta di risarcimento presentata nel 2009 da cinque vittime delle torture inglesi (caso Mutua) scosse le poltrone e costrinse il Ministero degli Esteri a mettersi in imbarazzo rilasciando documenti dannosi. Anni dopo, il governo inglese riconobbe pubblicamente i crimini commessi in Kenya.
La storia della brutalità inglese in Kenya ebbe una macabra svolta il 20 ottobre 1952,
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I dieci anni che sconvolsero il mondo.
Crisi globale e geopolitica dei neopopulismi nell’ultimo libro di Raffaele Sciortino, di prossima uscita per i tipi di Asterios.
1 febbraio 2019 di Raffaele Sciortino
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Quella che segue è l’introduzione del libro di Raffaele Sciortino, I dieci anni che sconvolsero il mondo. Crisi globale e geopolitica dei neopopulismi, di prossima uscita per i tipi di Asterios. Raffaele Sciortino è dottore di ricerca in Studi Politici e Relazioni Internazionali presso l’Università Statale di Milano dove collabora con il Dipartimento di Studi Politici. I suoi interessi di ricerca vertono sulle teorie della globalizzazione, mutamenti nella politica internazionale tra stato-nazione e tendenze sovranazionali, politica economica internazionale. Editorialista del magazine online Infoaut.org, ha scritto di globalizzazione e sociologia dei movimenti sociali con diverse pubblicazioni in Germania, migrazioni, politica internazionale con particolare riferimento alla politica estera statunitense (contributi per riviste, settimanali e siti web). Principali pubblicazioni: L’organizzazione degli immigrati in Italia, in P. Basso, F. Perocco, Gli immigrati in Europa, F. Angeli, Milano 2003; (inseme a E. Armano), No global und soziale Kaempfe. Ambivalenzen im Umbau des Sozialstaats in Italien, in AA.VV. “Prekaere Bewegungen”, GNN Verlag, Hamburg 2004; Prove di Grand Strategy, Guerre&Pace, 148, aprile 2008, 8-10; Il dibattito sulla globalizzazione: dagli anni Novanta ai segnali di crisi, working paper, maggio 2008; Obama nella crisi globale. Dal we can al we can’t, Asterios, Trieste 2010; Eurocrisi eurobond lotta sul debito, Asterios, Trieste 2011.
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A un libro obiettivamente denso si addice un’introduzione la più possibile asciutta. Il lettore non troverà qui, dunque, un riassunto del contenuto ma qualche indicazione del quadro nel quale questo lavoro si inserisce, della sua articolazione, delle questioni di fondo che punta a sollevare.
Il quadro. I dieci anni che hanno scosso, se non ancora sconvolto, il mondo sono gli anni della prima crisi effettivamente globale del sistema capitalistico: scoppiata tra il 2007 e il 2008, essa ha investito a cascata i meccanismi della globalizzazione finanziaria, gli assetti geopolitici mondiali, le dinamiche soggettive delle classi sociali fin dentro un Occidente che sembrava bloccato per sempre sul mantra neoliberista. Dieci anni possono essere poca cosa a scala storica ma sono un periodo già discretamente lungo a scala generazionale, tanto più se forieri di trasformazioni significative. Poco per fare un bilancio storico ma non per tentare un primo bilancio del presente inteso come un passaggio della storia. Questo libro, allora, non è un lavoro storiografico canonico – pur basandosi su fonti rigorosamente vagliate – ma è un lavoro politico come figlio di questo decennio. Non solo perché per una sua parte rielabora, sistematizza e fornisce una cornice teorica ad articoli da me scritti in tempo reale man mano che la crisi globale e i suoi risvolti venivano a delinearsi. Ma soprattutto nel senso che è il tentativo di mettere in prospettiva questi dieci anni a partire dalla convinzione che sono in corso mutazioni importanti, per certi versi veri e propri punti di non ritorno.
La dinamica degli ultimi decenni – già esito della peculiare controrivoluzione succeduta al lungo Sessantotto e segnata dal sempre eguale dello Spettacolo mercantile lubrificato dal circuito del debito – si è rimessa in moto. E lo ha fatto, finalmente, a partire da sconquassi che originano non dalla periferia ma dal centro dell’impero del capitale, scuotendo il consenso neoliberista diffuso e il suo pilastro, il soft power statunitense, rimettendo in campo l’interventismo statale a salvataggio dei mercati, riaccendendo il conflitto inter-capitalistico, suscitando anche in Occidente reazioni sociali e politiche esterne e contrarie ai dettati dell’ortodossia liberale. Certo, questi sviluppi e queste reazioni possono sembrare a molti ancora poca cosa o andare senz’altro nella direzione sbagliata. Questa ricerca – in questo senso, critica militante nel suo corpo a corpo con il presente – parte invece dall’assunto che proprio per poter discutere delle direzioni possibili del cambiamento, si tratta innanzitutto di captare l’innesco di una nuova qualità della dinamica storica. È questa nuova qualità che a determinate condizioni potrà produrre anche la quantità del cambiamento, e non viceversa, con diversi esiti possibili ad oggi non ancora predeterminati, da giocare in campo aperto senza rinunce a priori all’opzione per una trasformazione radicale, per quanto remota oggi questa possa apparire.
L’articolazione di questo lavoro, ora. Essa è insieme cronologica e tematica: una struttura a spirale – ogni singola parte tocca una dimensione diversa ma a partire dagli sviluppi di quella precedente – che punta a render conto dello sviluppo a ondate della crisi globale, in una successione serrata che ha investito ambiti e geografie via via più ampi. La crisi economico-finanziaria con epicentro nel cuore del sistema, gli Stati Uniti, si è dapprima riversata in Europa mettendo a serio rischio l’euro e minando per la prima volta in profondità la relazione transatlantica. Si è quindi fatta esplicitamente geopolitica sconvolgendo gli assetti mediorientali e poi andando da un lato ad acuire le già precarie relazioni tra Washington e Mosca e, dall’altro, a scuotere quelle con Pechino, che fin qui avevano retto l’equilibrio sbilanciato della globalizzazione. Infine, è intervenuta la mutazione socio-politica, annunciata dalla Primavera Araba e sfociata nel cosiddetto momento populista interno ai paesi occidentali.
Questi slittamenti hanno intaccato la stabilità sia del triangolo geoeconomico tra Stati Uniti, Unione Europea e Cina – oggetto della prima parte di questo lavoro – sia del triangolo strategico Washington-Mosca-Pechino – oggetto della seconda parte – vale a dire i due pilastri del sistema internazionale attuale. Intaccando altresì il compromesso sociale dell’ultimo quarantennio e dando luogo in Occidente al fenomeno emergente – analizzato nella terza parte – del neopopulismo.
Il tentativo che il lettore ha sotto gli occhi è quello di dare una visione d’insieme di questi smottamenti e delle loro interrelazioni, indicandone i passaggi più significativi. Ma l’intento di fondo non è descrittivo, così come la sequenza presentata non vuole essere meramente cronologica. Questa rimanda, crediamo, alla logica intrinseca al meccanismo di fondo del capitalismo nella sua fase più recente. Dietro la genesi degli assetti globali – se ne veda l’abbozzo di ricostruzione nel paragrafo Assemblaggi della globalizzazione – e la loro attuale crisi fanno capolino il capitale fittizio – figura estrema della presa del capitale sull’intero spettro della vita sociale: si veda l’excursus nella prima parte – e la sua concrezione storica nella finanziarizzazione incentrata sul dominio mondiale del dollaro. La tenuta di questo dominio è niente meno che la posta in palio della crisi attuale e della sua evoluzione futura. Esso, del resto, non si identifica semplicemente con l’egemonia statunitense, perché rappresenta la sintesi che a tutt’oggi tiene
Continua qui: https://megachip.globalist.it/libri-consigliati/2019/02/01/i-dieci-anni-che-sconvolsero-il-mondo-2036826.html
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