NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI
10 APRILE 2019
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Scava nella tua interiorità.
Dentro di te sta la fonte del bene,
suscettibile poi di zampillare sempre in su,
qualora sempre tu proceda in questo lavoro di scavo.
MARCO AURELIO ANTONINO, Ricordi, Rizzoli, 1993, pag. 118
https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/
Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.
Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com
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Le donne rivendicano un aumento delle razioni alimentari
in una dimostrazione lungo la Prospettiva Nevskii
dopo la Giornata Internazionale della Donna, 23 febbraio 1917
SOMMARIO
Perché la Benemerita è nel mirino?
Quando il blocco navale lo facevano Prodi e Clinton. 1
CURANO PER CAMBIO DI SESSO BAMBINI DI TRE ANNI 1
L’ipocrisia del femminismo contemporaneo. 1
1.400 BAMBINE STUPRATE DA IMMIGRATI: COPERTI IN CAMBIO DI VOTI ALLA SINISTRA.. 1
Bilancio fallimentare
I pensatori sono in via d’estinzione
Smettiamola di parlare di psiche. 1
Quante Torre Maura ci sono in Italia?
Migranti!? Migranti!? Migranti!? Di Anna Bono. 1
Scandalo Euribor, condannato l’ ex trader italiano della Barclays
Giuristi, legali e giudici: «La nostra Carta è sana e ancora robusta». 1
Diseguaglianze, la ricetta di Barca. 1
Dall’Islam
Ma alla fine cosa significa “sovranismo”?. 1
EDITORIALE
Perché la Benemerita è nel mirino?
Manlio Lo Presti – 10 aprile 2019
L’inferenza statistica degli abusi delle forze dell’ordine è presente in tutte le strutture che garantiscono la sicurezza nel nostro Paese. Per la naturale predisposizione umana a far risaltare una notizia negativa rispetto a quella buona, assistiamo da tempo ad una sequenza di azioni contro la Benemerita.
Le contestazioni, sebbene negative in ogni caso – presentano fattispecie presenti in tutte le armi, sia pure con percentuali diverse.
Perché allora assistiamo ad una sovraesposizione mediatica ai danni dell’Arma?
Perché continuano alla chetichella ad emergere vicende di abusi e violenze a carico dell’Arma con il metodo del profluvio carsico?
Perché prosegue l’operazione di delegittimazione dell’Arma per fatti che allora dovrebbero colpire in eguale misura anche altri settori della sicurezza nazionale?
Questi interrogativi emergono in presenza di una crescente concentrazione delle notizie negative. Si tratta di una tecnica strisciante che non usa i clamori ma il logoramento e la diffusione di notizie vere ma sparate a grappolo per realizzare l’operazione di disinformazione e di delegittimazione. Una tecnica molto ben conosciuta dagli strapagatissimi spin doctors reclutati dai centri di ricerca ed istituzioni universitarie, nascosti pretoriani della sovversione sociale.
Non si tratta qui di esperire una difesa dell’Arma in quanto tale. Si tratta di avanzare più di un dubbio sui motivi VERI che sottendono questa lunga COVERT OPERATION basata su denunce di fatti ed abusi di ufficio che, ripeto, sono presenti anche in altre strutture della sicurezza ma che non hanno questa esposizione mediatica.
Pensare male è peccato, ma difficilmente ci si sbaglia (Andreotti docet) e anche in questo caso va applicato il retropensiero. Un sospetto che aleggia, che in molti sanno ma che, come al solito, non viene evidenziato dagli organi di informazione.
Il nostro Paese è letteralmente dissanguato dal parassitismo delle otto mafie attualmente operanti. Si tratta di un giro d’affari titanico e che va ben oltre lo spaccio di stupefacenti che ne sono la motivazione apparente da dare in pasto alla cosiddetta “pubblica opinione”.
I “motivi VERI” sono altri e li possiamo desumere esaminando la storia della penisola. La storia del patto Stato-mafia come una delle determinanti della progressiva frenata dello sviluppo democratico del nostro Paese. Sul tema controverso abbiamo una ragguardevole pubblicistica che sta tentando, con qualche successo, di trova nuove ipotesi di lavoro sulla storia recente dell’Italia.
Leggere con occhi diversi i coinvolgimenti delle mafie sulle vicende italiane dallo sbarco americano ad oggi è una chiave di lettura interessante. Le mafie, relegate dalla vulgata letteraria contemporanea allo spaccio di stupefacenti e a reati contro il patrimonio (motivo apparente), da qualche decennio sono state utilizzate dagli apparati politici italiani per lo svolgimento di operazioni sporche coperte. Hanno assunto in sostanza, il ruolo di sterminio e di violenza che i mercenari (eufemisticamente contractors) svolgono per gli USA nel mondo.
Potremmo ipotizzare un elenco – indicativo ma non esaustivo – di “operazioni sporche” svolte per conto dello Stato, che non può esporsi direttamente, e delle alleanze internazionali che tuttora vincolato il nostro Paese/servo e ne dettano brutalmente le linee guida:
- Eliminazione di personaggi scomodi tramite attentati
- Importazione/esportazione di agenti e/o esperti della sovversione da e per l’Italia
- Controllo dei flussi migratori con eliminazione degli elementi stranieri che sul territorio possono costituire pericolo imminente
- Traffico di armi e dei rispettivi pezzi di ricambio
- Traffico di tecnologie letali di cui non dare notizia per non allarmare la popolazione
- Riciclaggio di immense somme di denaro necessario per finanziarie operazioni coperte geopolitiche all’estero sia di ordine militare che di tutela delle nostre multinazionali dell’energia sparse per il mondo.
- Recupero con mezzi sbrigativi di gente rapita in Africa ed in genere nelle zone di guerra e che operano con ruoli di copertura spesso innocenti come quelli del volontariato, ecc.
Leggendo questo elenchino ripeto non esaustivo, è facile dedurre che il traffico di droga è una copertura che fa buon gioco al circo mediatico ufficiale, quello in particolare finanziato ancora dalla Presidenza del Consiglio, che elargisce pacchetti preconfezionati per ridurre la popolazione in coma cognitivo a bassa intensità.
Per questi “servizi” resi, le mafie chiedono contropartite oltre a quelle classiche che si conoscono dai serial televisivi:
- Immunità varie per gli esponenti delle strutture criminali
- Collateralismo con le forze dell’ordine
Manca il “convitato di pietra”. Tutti ci girano intorno, tutti lo sanno perfettamente, tutti fanno finta di niente, tutti hanno ricevuto l’ordine di sviare con la diffusione di notizie ipnopediche.
Perché quindi l’avvoltoio continua a fare voli concentrici intorno alla carcassa ma non scende a divorarla?
TUTTO CIO’ PREMESSO
Avanzerei il sospetto che la lunga e felpata covert operation contro l’Arma nasconde (motivo VERO) una delle contropartite.
Le operazioni di contrasto
alle agrimafie,
allo stoccaggio abusivo di materiale chimico e radioattivo,
all’inquinamento,
alla pesante e vessatoria catena distributiva,
agli abusi farmaceutici,
alla contraffazione del made in Italy,
al traffico di tecnologie,
alla tutela ambientale zoologica e forestale,
alla difesa del patrimonio artistico con il ritrovamento ed il recupero di opere d’arte ed altre meritorie funzioni,
ecc. ecc.
costituiscono un elenco parziale delle funzioni che l’Arma ha nel proprio organigramma. Si tratta di una importantissima concentrazione di competenze tecniche che non sono presenti in così vasto numero nelle altre forze dell’ordine.
Le operazioni di contrasto svolte da queste importanti strutture infliggono danni notevoli alle organizzazioni criminali per cifre che superano diverse decine di miliardi di euro l’anno.
Eliminare queste funzioni che raccolgono il meglio dell’alta tecnologia sarebbe una interessante contropartita in favore delle organizzazioni criminali. Nella migliore manifestazione del retropensiero, emerge il sospetto che l’operazione di delegittimazione dell’Arma sia la premessa per il suo assorbimento e trasformazione in gendarmeria europea (*) che sarebbe sotto il controllo di catene di comando esogene. Il passo successivo alla fusione sarebbe immediatamente quello di eliminare le strutture tecnologiche di contrasto alle mafie.
Il gioco è fatto …
P.Q.M.
Non vorrei che questo sospetto fosse la motivazione VERA che sottende alla COVERT OPERATION di demolizione della Benemerita, sostenuta dal prontissimo, solerte, servile, strisciante contributo dei mezzi di (dis)informazione controllati notoriamente in gran parte dagli eredi dell’operazione Togliatti e non ancora (misteriosamente) scalzati dalle loro funzioni!
Come sempre, è questione di tempo, ma il coniglio sarà estratto dal cilindro …
Ne riparleremo!
SITOGRAFIA:
(*)
http://www.ilcambiamento.it/articoli/carabinieri_addio_arriva_eurogendfor_forza_gendarmeria_europea
http://contropiano.org/news/politica-news/2017/09/16/la-caduta-del-dio-carabiniere-095643
IN EVIDENZA
Quando il blocco navale lo facevano Prodi e Clinton
www.lintellettualedissidente.it –
Basta dare un’occhiata ad un passato neppure troppo lontano per rendersi conto come due dei governi più apprezzati dai progressisti di casa nostra, in Italia quello degli ulivisti di Prodi del 96 e negli USA quello dem di Bill Clinton, in termini di politiche migratorie adottarono misure di pattugliamento dei mari in grado di determinare un vero e proprio blocco navale.
Nico Spuntoni – 9 aprile 2019
In Italia il cosiddetto blocco navale è diventato il cavallo di battaglia di Fratelli d’Italia in materia di politiche migratorie. La drastica misura non è sconosciuta nella storia recente del Bel paese: come molti hanno ricordato nei giorni delle polemiche roventi per l’affaire Sea Watch, nel 1997 fu l’allora governo Prodi – con Giorgio Napolitano al Viminale – a decretare un “blocco navale” de facto, concordato con Tirana in virtù di una Convenzione firmata il 25 marzo ‘97, per rispondere all’ondata giudicata emergenziale di migranti albanesi che, riconquistata la libertà dopo anni di regime, attraversavano l’Adriatico alla ricerca del “Lamerica” conosciuta tramite la televisione.
L’accordo siglato dall’esecutivo di centrosinistra andò incontro alle critiche dell’Alto commissario delle Nazioni unite per i rifugiati, Fazlum Karim, ma venne ugualmente confermato, passando sopra anche ai mal di pancia di Verdi e Rifondazione Comunista, all’epoca forze gravitanti nell’area di maggioranza. In questo contesto maturò il drammatico naufragio del 28 marzo 1997 passato alla storia come la tragedia del Venerdì Santo.
Quel giorno, infatti, una motovedetta arrugginita con a bordo 120 persone cercò di sbarcare sulle coste di Otranto. La nave della Marina militare “Sibilla”, dopo il tentativo non riuscito operato dai colleghi della “Zeffiro” di convincere gli scafisti a tornare indietro, nell’atto di dissuaderli dallo sbarco, speronò per errore l’imbarcazione. La Kater I Rades – questo il nome della motovedetta – s’inabissò nelle acque del canale di Otranto provocando la morte di almeno 108 persone (altre fonti parlano di 81 decessi).
L’episodio creò un caso diplomatico con Tirana: manifestazioni con slogan antiitaliani si svolsero nei giorni successivi nelle strade del Paese balcanico, mentre alcuni ministri albanesi dichiararono che i nostri connazionali non sarebbero stati più graditi a Valona, la città da cui era partita l’imbarcazione affondata. Ma i focolai antiitaliani non si verificarono solo nel Paese coinvolto direttamente dalla tragedia: in Norvegia, infatti, l’ambasciata tricolore fu oggetto di un assalto al grido di “italiani assassini”. La tragedia finì per diventare anche argomento di polemica politica, con la visita di Berlusconi in lacrime a Brindisi e l’interrogazione parlamentare sull’accaduto presentata da Rifondazione Comunista.
Ma il governo Prodi era in buona compagnia nell’adozione di una “linea muscolare” sull’immigrazione; una politica simile, infatti, era stata adottata anche dall’amministrazione dem di Bill Clinton di fronte ai flussi di haitiani e cubani verso gli States. L’operazione bandiere bianche di Prodi – questo il nome dell’insieme di attività di pattugliamento di cui erano incaricate le navi militari italiane nell’Adriatico – presentava non pochi elementi in comune con la Operation Distant Shore che l’amministrazione Clinton era pronta a far scattare nel caso in cui gli approdi da Cuba avessero raggiunto dimensioni emergenziali come accaduto nel 1980.
Nel 1994, infatti, gli sbarchi di cubani sulle coste della Florida s’intensificarono al punto tale da costringere il governatore locale a chiedere lo stato d’emergenza. L’amministrazione Clinton temette di trovarsi di fronte ad un nuovo caso Mariel: nel 1980 una straordinaria ondata migratoria dall’isola dei Caraibi portò all’approdo di 125mila persone sulle coste statunitensi. Si trattò di una vera e propria mossa politica di Castro che, per smascherare la debolezza del “vicino” a stelle e strisce, agevolò la partenza di quei connazionali
Continua qui: https://www.lintellettualedissidente.it/italia-2/blocco-navale-romano-prodi-bill-clinton/
CURANO PER CAMBIO DI SESSO BAMBINI DI TRE ANNI
Maurizio Blondet 8 Aprile 2019
Scandalo a Londra. Dal Daily Mail:
Fine dell’esperimento transgender sui bambini “dicono i lavoratori che hanno dato l’allarme dopo essersi licenziati dalla clinica, che trattano pazienti di appena tre anni
Cinque dipendenti i della clinica GID (Gender Identity Development Service) si sono dimessi
I medici hanno riferito che i bambini stanno ricevendo una terapia per il cambio di genere inutile
Un informatore rimase in servizio solo per impedire a più bambini di farsi curare
Il numero di giovani indirizzati al servizio è passato da 94 nel 2010 a 2.519 l’anno scorso
Cinque lavoratori denunciano irregolarità presso l’unica clinica transgender del Servizio Sanitario Nazionale in Gran Bretagna si sono dimessi perché impauriti dal fatto che bambini di tre anni stanno subendo senza necessità il trattamento di cambiamento di sesso.
I medici della clinica GID (Gender Identity Development Service) con sede a Londra e Leeds hanno dubbi sui bambini che sono stati diagnosticati erroneamente con disforia di genere.Si temeva che alcuni bambini gay che hanno problemi con la loro identità sessuale vengano erroneamente diagnosticati come transgender. Gli specialisti temono anche che alcuni dei giovani che hanno subito aggressioni da bulli di tipo omofobico, vengano sottoposti a pressioni per accettare un trattamento di cambiamento di genere. Tutti e cinque gli ex membri dello staff facevano parte della squadra che decideva se ai giovani dovevano essere somministrati bloccanti ormonali per interrompere il loro sviluppo prima della pubertà, secondo il Times .I pazienti sono sottoposti a un ciclo di ormoni cross-sessuali all’età di 16 anni a seconda che si vogliano sviluppare come maschi o femmine. Almeno 18 membri dello staff hanno lasciato la controversa clinica negli ultimi tre anni, a causa, hanno detto, del timore che non siano stati effettuati sufficienti controlli per diagnosticare correttamente i bambini. Uno dei cinque informatori ha anche affermato che l’unico motivo per cui molti sono rimasti nel loro incarico è stato quello di evitare che altri bambini ricevessero il trattamento.
Un professore di Oxford ha detto che
i trattamenti erano “esperimenti in vivo non autorizzati sui bambini”
con più di una diagnosi non supportata da alcuna evidenza.
Carl Heneghan, direttore del Center of Evidence-based Medicine dell’Università di Oxford, ha dichiarato al Times: “Data la scarsità di prove, l’uso off-label di farmaci [ossia per terapie non indicate nel foglietto illustrativo] nel trattamento della disforia di genere significa in gran parte un esperimento dal vivo non regolamentato sui bambini. ‘GIDS, che fa parte del Trust Foundation della Fondazione NHS di Tavistock e Portman, ha negato queste affermazioni e ha insistito che in questi casi complessi sono state fatte diagnosi accurate. Un portavoce ha dichiarato al Times: “È solo negli ultimi anni che il numero di giovani che frequentano servizi specializzati in tutto il mondo è aumentato drasticamente. “Prima di questo, i numeri erano piccoli e quindi è stato difficile raccogliere prove sufficienti per valutare appieno i percorsi terapeutici.
I pazienti di questo genere che hanno bussato alla clinica, erano 94 nel 2010
Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/curano-per-cambio-di-sesso-bambini-di-tre-anni/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Maurizio Blondet 8 Aprile 2019
Nebraska, a 61 anni partorisce per il figlio gay. “Un dono di una madre”
Elliott Dougherty, Matthew Eledge sua madre Cecile, e la piccola Uma (reuters)
“Nello stato del Midwest, di cultura conservatrice, l’uomo e il coniuge avrebbero avuto problemi nell’adozione. Aveva anche perso il lavoro dopo il matrimonio”
(Immagine di Marcello Pamio)
(Repubblica la racconta come trionfo dell’amore senza limiti in una famiglia felicemente aperta. Chissà se racconta allo stesso modo la storia qui sotto:)
COPPIA LESBICA ABUSA I 6 FIGLI ADOTTIVI E POI LI UCCIDE
Le autorità californiane hanno confermato, al termine delle indagini, che
Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/il-mostruoso-senza-limiti-della-sodomia/
L’ipocrisia del femminismo contemporaneo
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Arianna Cavigioli – 8 aprile 2019
L’emancipazione femminile non si ottiene con l’ostilità verso l’uomo né con l’aspirazione ad assumere posizioni di comando all’interno del sistema capitalista, ma solo con un radicale stravolgimento degli attuali meccanismi produttivi. Per questo le battaglie del femminismo contemporaneo sono fuorvianti e improduttive: perché dimenticano la lotta di classe e non considerano i rapporti di forza nel sistema internazionale; perché strillando su depilazioni, questioni di genere e libertà di acconciare il proprio corpo, si finisce per condannare ogni essere umano per il solo fatto di non possedere una vagina, relegano il femminismo ad una dimensione settaria e parcellizzata.
L’8 marzo non è il dono di una mimosa per sopperire al mancato riconoscimento del sesso femminile durante il resto dell’anno, ma soprattutto non è una semplice celebrazione di genere. Questa data fu scelta durante la Seconda Conferenza Internazionale delle Donne Comuniste (14 giugno 1921) dal rivoluzionario Lenin e dalla delegata del Partito Socialdemocratico Tedesco Clara Zetkin (1857-1933), per ricordare la rivolta femminile dell’8 marzo 1917 (pari al 23 febbraio secondo il calendario giuliano allora in vigore nell’Impero Russo).
Pace, Pane e Libertà era lo slogan con cui le donne di San Pietroburgo reclamavano il ritorno dei mariti dalla guerra, l’abbassamento del prezzo del pane e l’emancipazione dall’autocrazia dello Zar. L’esercito sottovalutò lo sciopero additandolo a un flebile prurito libertario, facilitando così l’allargamento della protesta a 200 mila lavoratori. Furono proprio queste grandi contestazioni sociali, grazie all’avvio e alla partecipazione da parte delle donne, a sfociare nella Rivoluzione di febbraio e nel conseguente spodestamento di Nicola II (1868-1918).
Le donne rivendicano un aumento delle razioni alimentari in una dimostrazione lungo la Prospettiva Nevskii dopo la Giornata Internazionale della Donna, 23 febbraio 1917
Sebbene il ricordo di questi episodi, spesso elusi di proposito dalla narrazione ufficiale, sembri sempre più sfumato nell’immaginario popolare, il carattere di protesta dell’8 marzo, permane nelle nuove generazioni. Tale data ancora oggi ha un’accentuata dimensione politica e comunitaria, che poche altre ricorrenze detengono. In Italia come nel resto del mondo, sono state tantissime le donne – oltre alle varie soggettività – che hanno sfilato per le vie delle città denunciando un sistema discriminatorio e sessista volto a favorire il genere maschile. Tra le varie metodologie di protesta una di quelle che ha riscosso più attenzione mediatica è avvenuta a Milano: al grido di “body revolution” un gruppo di ragazze del centro sociale MACAO, affiliate al movimento femminista Non Una Di Meno, ha alzato la gonna, mostrando la vagina alle telecamere dei giornalisti.
L’atto è stato definito dalle esecutrici un atto politico, diverso sicuramente da quello eseguito delle donne russe circa cent’anni fa – sia per metodologia che per contenuto – ma appare più di tutto un atto performativo.
Storicamente il movimento femminista italiano nasce proprio dal mondo dell’Arte, o meglio dalla sua rinuncia al fine di attuare in modo più efficace una lotta politica. È il luglio 1970 quando, nel pieno della sua carriera, la critica d’Arte Carla Lonzi (1931-1982) decide di abbandonare il sistema culturale, a suo avviso liberista e patriarcale, per fondare il collettivo-rivista Rivolta Femminile. Militanza e Autocoscienza sono i punti focali di questo nuovo spazio d’azione intellettuale e politica che lotta contro l’illegalità dell’aborto, la discriminazione delle donne gravide a livello lavorativo e lo squilibrio salariale. Un movimento che non è, come più volte specifica la Lonzi, figlio del ’68, ma si oppone ad esso a causa del suo carattere borghese ma soprattutto per l’assenza della figura femminile all’interno degli organi decisionali delle proteste.
Rivendicazioni, dunque, poco civili e molto sociali, poiché l’emancipazione della donna, così come la sua sottomissione, hanno un carattere storico e sono legati ai meccanismi di produzione. Per questo, come faceva notare Simone De Beauvoir (1908-1986) in La condizione della donna (1972), il cambiamento dello status femminile può avvenire solo attraverso uno sconvolgimento dei meccanismi produttivi.
In che misura è auspicabile e praticabile tale sconvolgimento con le forze attuali? Il gesto messo in scena dal gruppo femminista di MACAO durante la manifestazione organizzata da Non Una Di Meno a Milano ha una caratura rivoluzionaria in questo senso? A molti spettatori e spettatrici è sembrato che la svestizione delle donne e l’esposizione della loro vagina, non abbia fatto altro che soddisfare i desideri dello stesso stereotipo maschile voyeurista che si voleva contestare, spostando l’attenzione dalle lotte per l’uguaglianza sociale verso una questione di genere. Atteggiamenti simili erano stati assunti negli anni ‘70 da quella parte del movimento artistico femminile della Body Art che tentava di sradicare lo sguardo patriarcale attraverso la sua mera messa in scena, soffocando o rendendo autoreferenziale la
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BELPAESE DA SALVARE
1.400 BAMBINE STUPRATE DA IMMIGRATI: COPERTI IN CAMBIO DI VOTI ALLA SINISTRA
In un paese celebrato dai radical chic per il suo multiculturalismo, i ripetuti stupri di 1.400 bambine bianche tra il 1997 e il 2013, avvenuti nella città di Rotterdam, da parte di pakistani con cittadinanza britannica, mostrano il grado di perversione cui arrivano le società multietniche.
La perversione peggiore, in questi casi, è l’omertà della polizia e dei funzionari timorosi di essere accusati di ‘razzismo: è durata più di quindici anni. Durante i quali le denunce delle bambine sono state coperte, su pressione dei locali politici della sinistra. Perché i pakistani votavano in massa il Pd locale, non andavano turbati.
I predatori di Rotterdam, come quelli delle città circostanti, Bradford, Sheffield, Rochdale o Derby, hanno una cosa in comune: sono tutti pakistani. Le vittime sono bambine e ragazzine bianche, più di un terzo delle quali erano note ai servizi sociali. Avevano 12, 13 o 14 anni.
Il peggio, se il peggio è possibile: per sedici anni, la polizia e i servizi sociali sapevano. E non fecero nulla. Lo rivela un rapporto pubblicato nell’agosto 2014 dall’autorità nazionale per gli affari sociali guidata da Alexis Jay. E Rotherham è la punta dell’iceberg, sono migliaia i casi identici in tutta l’Inghilterra.
Spostata come un pacco da una città all’altra, percossa, torturata, minacciata, violentata. Questo raccontano tutte le vittime.
Secondo il professor Jay, il numero dei casi accertati è sicuramente inferiore alla realtà. In un primo momento violentate da coloro che si spacciavano per loro fidanzati, sono state “passate” ad altri uomini, fratelli, cugini o
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CONFLITTI GEOPOLITICI
BILANCIO FALLIMENTARE
Sisto Ceci 4 aprile 2019
Se su un editoriale di un giornale moderato come la Stampa di Torino, 4 aprile 2015. il giornalista arriva a scrivere, commentando le gesta del terrorismo genocida islamico ” Vanno messi in discussione alcuni tabù politici. Innanzitutto, è necessario ristabilire il controllo (sui territori occupati da ISIS, Boko Haram, Al Shabab, etc.) di autorità statali responsabili.Può darsi che questo avvenga anche AD OPERA DI REGIMI AUTORITARI E ILLIBERALI. È UNA TRISTE CONSTATAZIONE MA LA BARBARIE DEL CALIFFATO E’ UNA ALTERNATIVA INFINITAMENTE PEGGIORE ”
una sconfessione totale senza appello della strategia di OBAMA,
L’ ESPORTAZIONE DELLA DEMOCRAZIA
l’aver abbattuto i regimi di Gheddafi , Mubarak , il tentativo di far cadere Assad in Siria , è stata l’operazione politica più fallimentare del dopoguerra , ha destabilizzato l’intero Oriente, l’Africa del nord, il centro Africa e aperto le porte alle bande di massacratori che sotto l’egida della purificazione dagli infedeli, decapitano, violentano, impiccano, lapidano, impalano, crocifiggono, bruciano, seppelliscono persone vive, mutilano decine di migliaia di persone, un regime del terrore e un incubo terrificante che sta dilagando in Africa , in Oriente,
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CULTURA
I pensatori sono in via d’estinzione, soppiantati dai professionisti dell’autocitazione via selfie
Marcello Veneziani – 20 febbraio 2019
Dove sono finiti i Maestri? Ci sono ancora, cosa dicono, dove si annidano? E come chiamarli, oggi, Influencer, come Chiara Ferragni o la Madonna secondo il Papa? Facile dire che mancando un pensiero, dispersi gli intellettuali, sparito ogni orizzonte di attesa, i Maestri sono finiti insieme ai loro insegnamenti.
Sono finiti pure i Cattivi Maestri che come angeli ribelli all’ordine divino si fecero demoni, insegnando la via dell’inferno come riscatto degli oppressi. Spariti pure loro. Non a caso, l’unico italiano riconosciuto tra i cento pensatori globali che hanno lasciato un segno, secondo la rivista Foreign Policy, non è un filosofo, ma un fisico, Carlo Rovelli. Allora, è proprio finita, dobbiamo rassegnarci a scegliere tra Fabrizio e Mauro Corona? No, ragioniamoci su.
Innanzitutto, definiamo una buona volta il Maestro, anche nella variante di Guru, Ideologo, Vate. Chi è maestro? Non solo chi trasmette un sapere ma chi diventa un punto di riferimento, un modello a cui ispirarsi, un faro che non esprime solo una teoria o a compiere una ricerca ma rischiara una via.
Maestro è uno che ti cambia la vita o almeno lo sguardo con cui vedi la vita. Uno che leggendolo, ascoltandolo, trasforma il tuo modo di pensare e di vedere le cose. Era facile al tempo delle ideologie e dell’Intellettuale organico, trovare Maestri e maestrini. Oggi di quel ramo ne sono rimasti forse un paio, ma sono ai margini.
Uno è il Cattivo Maestro per eccellenza, Toni Negri, pensatore e latitante, teorico di Autonomia operaia e del comunismo, autore di un’opera che ha sfondato nel mondo, Impero seguito poi da Moltitudine, due opere no global di un internazionalista che sogna ancora la rivoluzione del proletariato.
L’altro, più defilato e meno distruttivo, è Mario Tronti, di cui è uscito ora Il popolo perduto (ed. Nutrimenti), che piange il divorzio tra la sinistra e il popolo e la perdita di quel mondo comunista legato alle sezioni e alle assemblee.
È ormai su un pianeta diverso un loro antico sodale, Massimo Cacciari, che in tv si è sgarbizzato e in filosofia si è ritirato in una sfera mistica & catastrofica. Parallelo il cammino di un altro non-Maestro, Giorgio Agamben. Restano sullo sfondo i Vecchi Maestri Globali, ovvero quei pensatori che fanno filosofia per le masse partendo dall’antropologia e dalla sociologia, come Edgar Morin e Marc Augé, Hans Magnus Enzensberger e Serge Latouche, fino a ieri, Zigmunt Bauman e Umberto Eco. Non-luogo, Terra-Patria, Modernità liquida, Decrescita felice, Perdente radicale, Ur-fascismo, sono paroline-mantra entrate nel gergo corrente e nel minimo alfabeto degli Acculturati aggiornati.
Per il resto, l’era dei social offre a ciascuno la possibilità di un selfie e di eleggersi a maestri di se stessi per auto-acclamazione, facendo zapping nella rete, cogliendo qua e là spunti e citazioni.
Maestri riconosciuti in senso religioso ormai sono solo in ambito
Continua qui: https://www.panorama.it/news/politica/influencer-vita-maestri-modelli/
Smettiamola di parlare di psiche
Intervista a Umberto Galimberti
intervista di Federica Biolzi
Da sempre la conoscenza si pone domande sull’essere umano, sulla sua natura e sul senso dell’esistenza.
In questo contesto, ancora oggi, la filosofia, la scienza, la tecnica, incrociano l’anima e il corpo e di questo presunto dualismo. Umberto Galimberti, in quest’intervista affronta questi temi e, con un’analisi approfondita, ci rende partecipi e forse consapevoli, di un cambiamento che stiamo tutti vivendo.
– Professore, lei si è variamente interessato ai temi del corpo e dell’anima in diversi suoi lavori, ha ancora senso oggi parlare della dualità corpo e anima?
– Anima e corpo è un dualismo inventato da Platone, comodo da pensare. Seguendo questa impostazione, non si discute: del corpo si occupano i medici e dell’anima si occupa la Chiesa con i suoi ministri.
Ma l’anima non esiste, è un’invenzione di Platone, giustificata dal fatto che lui stesso ci dice che con il nostro corpo, noi, non possiamo costruire un sapere universale valido per tutti, perché le sensazioni corporee variano da individuo a individuo. Per costruire un sapere universale bisogna ricorrere a idee, numeri, misure, quantità, regole e quindi tutto ciò viene da lui collocato in uno scenario extracorporeo, l’iperuranio[1]. E’ in esso che Platone assegna a questo mondo un organo nuovo: l’anima.
L’anima per Platone è uno strumento attraverso cui riferiamo dell’essenza delle cose, a prescindere dalla percezione che ne abbiamo. Facendo un esempio: questa sedia, che è diversa da una sedia di plastica, ha però la stessa funzione, io né colgo l’essenza di sedia, a prescindere dalle sue differenze e dalle sue caratteristiche.
La tradizione giudaico-cristiana non considera l’idea dell’anima, anche se la parola che ha il suono in aramaico: nèfesh, fu interpretata, quando la Bibbia fu tradotta in greco dai 70, con la parola Psyché (ψυχή).
L’anima- Psyché, ha trascinato con sè tutta la cultura greca, organizzata da Platone, nel dualismo: anima e corpo.
Quando si traduce è necessario fare molta attenzione, perché la traduzione può anche essere giusta, ma quello che sta dietro alla parola Psyché, non ha lo stesso significato di ciò che sta dietro alla parola nèfesh. Nel salmo 105[2] : “legarono in ceppo i suoi piedi e in catene venne la sua nèfesh”, si indica come parte del corpo, il collo e non l’anima. L’occhio per occhio è nèfesh per nèfesh, non anima per anima ma vita per vita. Chi si appresta a diventare sacerdote non deve toccare la nèfesh, l’anima morta degli animali, quindi il cadavere.
La religione cristiana non ha nessun rapporto con l’anima, perché è una religione del corpo, dell’incarnazione. Nel cristianesimo, Dio si fa uomo e quindi la trascendenza viene accantonata, a differenza dell’islamismo o dell’ebraismo, cioè delle altre religioni monoteiste.
Per questo motivo, nelle chiese cristiane troviamo l’iconografia dei corpi, mentre nelle moschee e nelle sinagoghe troviamo le scritte bibliche o coraniche, ma non le immagini.
– E il corpo?
– Il corpo[3] costituisce lo strumento della redenzione, crocifissione, resurrezione, tutto quanto è corporeo. Quando Paolo di Tarso va ad Atene dopo la Resurrezione di Cristo, ad annunciare ai cristiani che sarebbero risorti, si legge, negli Atti degli Apostoli al cap. 17, che : “alcuni risero, altri gli dissero: questa storia non la crediamo, la racconterai un’altra volta”[4]. Agostino, furbacchione, ha rubato a Platone il dualismo anima e corpo, che lo stesso Platone aveva introdotto per garantire una conoscenza universale valida per tutti, cioè la scienza. Iscrivendola nella categoria della salvezza, che aveva studiato bene, e ha stabilito che l’anima è il luogo (in interioritate e inimatae habitat deus, habitat Christus, habitat veritas) in cui senti la parola di Dio[5].
Per cui i corpi degradano, ma le anime rimangono. Contraddicendo l’atto di fede cattolica, i cristiani non dicono: credo nella mortalità dell’anima, ma dicono: credo nella resurrezione del corpo.
Saltando mille anni arriviamo a Cartesio, che dice che la conoscenza del corpo, non deriva dal fatto che noi lo sentiamo, lo viviamo, ma deriva dalla descrizione che la res-cogitans e le sue idee chiare e distinte fanno del suo corpo. Queste idee chiare e distinte sono le leggi della fisica, in cui il corpo va descritto nella modalità della fisica. In questo modo, Cartesio, produce un’idea del corpo che noi possiamo qualificare come idea dell’organismo. Questo modo di pensare costituisce poi, il fondamento della scienza medica, alla quale non interessa il corpo, ma la sommatoria dei suoi organi.
– Si può recuperare una nozione di corpo? E in quali termini?
Noi abbiamo incominciato a pensare che il corpo fosse quello indicato da Cartesio e dai medici, cioè il corpo come organismo. Dobbiamo aspettare la fenomenologia, corrente filosofica del ‘900, con Husserl che sostiene che l’organismo non è il corpo. Il mio corpo appartiene al mondo della vita, vive degli stimoli che riceve dall’esterno, risponde a questi stimoli ed è impegnato in un mondo. E’ al mondo, avendo un mondo, questo è il nostro corpo.
Le persone però continuano a pensare che il corpo sia l’organismo, in realtà il linguaggio potrebbe essere anche una spia semantica che contraddice questa dimensione perché io non dico: “ho un corpo stanco”, ma dico “sono stanco”, perfetta coincidenza tra io e corpo. Quando ci si ammala, avviene però una scissione. Mentre nella condizione di salute c’è un ottimo rapporto tra corpo e mondo, il mondo è il mio referente corporeo, quando ci si ammala il mondo sparisce ed il suo posto viene occupato dal proprio organismo, con una scissione similare a quella dello schizofrenico. Il quale sente il suo corpo come una cosa separata dal suo io. Si può recuperare una nozione di corpo? Sì, però a condizione che la psicologia smetta di parlare di psiche. La psiche non è altro che il rapporto corpo-mondo. Enfatizzarla, fa comodo a tutti ed è difficile estirparla.
– Mito e logos sono strumenti della conoscenza sin dall’antichità. Secondo lei, sono ancora attuali e ci possono essere di aiuto ?
Il mito è una conoscenza attraverso immagini e quindi i miti sono molto persuasivi, più di quanto non siano i concetti. Il logos invece è una struttura razionale che non cattura i sottofondi della nostra anima, nel senso che la nostra psiche si nutre di immagini non di concetti. Sotto questo profilo più che ai trattati di psicologia ci dobbiamo riferire, ad esempio, ai romanzieri e ai poeti. Io non posso esprimermi concettualmente in ambito psichico. Nell’ambito psichico ho bisogno di immagini, di miti, di figure e di scenari che non sono concettuali. I concetti catturano la parte razionale, tralasciando tutta l’altra parte.
– Dall’antichità le cose sono cambiate, gli scenari che abbiamo davanti sono molto diversi. Tecnica e neuroscienze sono questi i nuovi miti?
Le neuroscienze sono una ripresa di Cartesio, trovare l’anima nel cervello. Esse possono dire in generale che cos’è una depressione, ma non possono dire nulla della mia depressione che è diversa dalla tua e da quella dell’altro. Ci può arrivare la parola, non la neuroscienza.
Per quanto riguarda la tecnica, qui dobbiamo distinguere. La tecnica non è
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DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI
Quante Torre Maura ci sono in Italia?
Federica Francesconi – 4 aprile 2019
Centinaia. Ogni volta è messo in scena lo stesso copione: minoranze etniche poco o per nulla integrate (per colpa loro o della politica fa poca differenza relativamente agli effetti) vengono spostate come pacchi postali in quartieri popolari come una bomba atomica che va a disarticolare l’equilibrio, già di per sé fragile, di quartieri difficili, abbandonati dallo Stato. Certo, i nostri politicanti se ne guardano bene dal trasferire queste persone disagiate nei quartierini luccicanti della media e grande borghesia, per non impensierire i residenti, già stressati dal fancazzismo e dal perbenismo quotidiano con cui riempiono le loro vuote vite.
Non giustifico i gesti dei residenti, come quello di pestare il pane destinato ai Rom residenti nel centro di accoglienza. Ne comprendo tuttavia le ragioni, la rabbia soprattutto, derivante dal vedere che a rimetterci è sempre la povera gente. Perché le problematiche derivanti da cattive politiche di integrazione devono ricadere sempre sulle fasce deboli della popolazione italiana?
Non si può vivere con la paura e con la quasi certezza che la magistratura non
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Migranti!? Migranti!? Migranti!? Di Anna Bono
Nicola Porro, Il Giornale 16 luglio 2017
Oggi vi consigliamo un libro che non può mancare a chi ancora abbia voglia di discutere.
Sì, a chi non abbia perso – e sono molti – la voglia di smentire i più banali luoghi comuni. Si chiama Migranti!? Migranti!? Migranti!? (ed. Segno) ed è scritto dalla coraggiosa Anna Bono, docente di Storia e Istituzioni dell’Africa dell’Università di Torino.
Scrive bene Stefano Fontana nella prefazione: «Osservare la realtà e descriverla oggi significa andare controcorrente… Abbiamo bisogno di conoscere l’attuale grande fenomeno migratorio, nelle sue cause prossime e remote, in quelle palesi ed occulte, in quelle subite e volute, fino a quelle pianificate. Abbiamo bisogno di conoscenza non per negare la necessità di risposte di aiuto, ma proprio per poterle permettere in modo seriamente umano».
La Bono parte dai dati, non dai miti appunto. Ci spiega, senza giri di parole, che siamo di fronte a un fenomeno di immigrazione «clandestina», che gran parte di questi clandestini non sono «rifugiati politici» e che in Europa non arrivano i più poveri del Continente africano, ma una sorta di classe media alla ricerca di fortuna economica.
Nulla di male, per carità. Ma tutto diverso da quanto il pensiero unico ci sta raccontando.
L’immigrazione irregolare, per di più, è diventato un fenomeno prettamente italiano: «Nel 2015 sono entrate illegalmente in Europa, via mare e via terra, 1.012.275 persone.
Nel 2016 in totale gli arrivi sono stati 503.700, 363.348 dei quali via mare, con un calo di oltre il 50% rispetto al 2015.
Invece gli emigranti irregolari approdati in Italia nel 2016 sono stati 181.045, quasi il 18% in più rispetto al 2015 quando sulle coste italiane ne erano sbarcati 153.842».
La Bono spiega nel dettaglio come gli altri Paesi europei abbiano reso sempre più difficile l’ingresso di irregolari. E chiosa: «Il messaggio è stato recepito. Decine di migliaia di emigranti, sebbene a malincuore, si rassegnano a restare in Italia.
D’altra parte, quasi tutti sanno di non possedere i requisiti necessari per ottenere lo status di rifugiato».
Si passa poi all’indispensabile distinzione, che non è solo linguistica, tra profugo, emigrante e rifugiato. Gli arrivi sulle nostre coste «provengono in gran parte dall’Africa e sono per lo più dei maschi giovani. Il 90% dei richiedenti
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FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
Scandalo Euribor, condannato l’ex trader italiano della banca Barclays
di Simone Filippetti – 01 aprile 2019
LONDRA – A 10 anni dallo Scandalo Euribor, la manipolazione del tasso di interesse dell’area Euro, che scoppiò nel 2008 travolgendo le grandi banche europee, il Tribunale di Londra ha condannato Carlo Palombo, l’ex trader italiano della banca inglese Barclays, a 4 anni di prigione per la truffa che ha visto coinvolto il colosso britannico e altri istituti europei, tra cui la tedesca Deutsche Bank, un suo banchiere era pure stato arrestato in Italia a fine dello scorso anno, e la francese SocGen.
Da enfant prodige a carcerato
Laureato alla Bocconi, a soli 23 anni, fresco di diploma, Palombo già guadagnava 1 milione di sterline, ed era considerato una sorta di enfant prodige della finanza. Durante il processo-lampo, appena 12 settimane (tempi impensabili per l’Italia), l’ex trader ha smontato tutta la sua fama e distrutto l’aurea che circonda i banchieri d’affari, paragonando il lavoro di un vicepresident, ossia un vice-direttore generale, da Barclays, un ruolo sulla carta molto importante, all’uomo che frigge le patatine da McDonald’s: dunque lui sarebbe stata solo la rotella di un ingranaggio e la banca sarebbe solo una catena di montaggio dove si lavora a quantità, come appunto in un fast-food.
La Southwark Crown Court di Londra, a due passi dal futuristico grattacielo Shard di Renzo Piano, dove i giudici ancora leggono le sentenze indossando la toga e la tradizionale parrucca (whig) del 1700, ha emesso una condanna per Palombo e per il collega Colin Bermingham, condannato a 5 anni, in quanto responsabili del trading floor, la sala operativa, della banca inglese. Palombo si è alzato da dentro la gabbia vetrata, si è girato verso la moglie incinta mandandole un plateale bacio. È stato subito preso in custodia dagli agenti. Entrambi i banchieri sono stati ritenuti colpevoli di una truffa che ha speculato sui tassi di interesse interbancari (il mercato dell’Euribor vale circa 1150mila miliardi di dollari ed è la base per calcolare i mutui delle famiglie). Palombo e Colingham erano gli unici due imputati rimasti di un processo lunghissimo, celebrato due volte e che ha visto anche la banca Barclays punita con una multa da 400 milioni di euro.
Storia di una truffa
Il primo processo sullo Scandalo Euribor contro gli ex banchieri di Barclays era partito nell’estate del 2018. In sei erano finiti alla sbarra: l’imputato principale era Philippe Moryoussef, il director (responsabile) dell’area derivati sui tassi Euribos (Euro Swap), che era stato assunto nel 2005 da Barclays proprio per sviluppare il business dei derivati. Lo aveva sviluppato fin troppo bene mettendo in piedi una truffa per lucrare sui tassi Euribor.
Dei 6 imputati, Moryoussef è stato condannato in absentia, uno ha patteggiato e due sono stati scagionati: erano rimasti solo Palombo e Bermingham, che si sono sempre dichiarati innocenti e hanno chiesto un secondo processo che è partito a inizio 2019 e concluso oggi. Il tribunale ha creduto solo in parte alle contro-accuse di Palombo sulla “friggitoria” Barclays: dal 2005 al 2007
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GIUSTIZIA E NORME
Giuristi, legali e giudici: «La nostra Carta è sana e ancora robusta»
X Salone della Giustizia a Roma. Il presidente del Cnf, Mascherin: «la Carta mostra che gli equilibri di una società si basano sul rispetto reciproco. Oggi invece il compromesso è considerato in modo negativo»
Giulia Merlo – 10 aprile 2019
La Costituzione è sana e robusta, come dice il titolo del convegno. Lo certificano tutti interventi, ieri a Roma, al Salone della Giustizia, che ha dato spazio a una sessione inaugurale ricca di nomi illustri. Presentata dal vicedirettore del Correre della Sera,Nicola Polito, la relazione introduttiva è stata affidata al presidente della Corte costituzionale, Giorgio Lattanzi: «La Costituzione è giovane nei suoi principi e valori e la Consulta è garante dei modi attraverso i quali i valori costituzionali vengono riconosciuti nella società». Eppure, la Costituzione «non può essere il frutto solo di tecnica giuridica, ma è il prodotto di eventi storici: nel nostro caso, la guerra e il fascismo. In un anno e mezzo i costituenti superando contrasti e divisioni, e hanno approvato a grande maggioranza un testo complesso e bello, nonostante fossero anni divisi da profonde ideologie». Secondo il presidente, «i costituenti hanno costruito un sistema che garantisse tutti, forti del comune intento di dare un futuro di democrazia e libertà». Proprio per questa ragione, «l’agire politico contingente non deve toccare la trama costituzionale: il popolo si identifica coi valori costituzionali perchè ne percepiscono la stabilità. La Carta non deve essere mai percepita come una componente ondivaga dell’ordinamento» . La Costituzione, tuttavia, non è solo frutto di valori condivisi, ma anche «di grande lungimiranza dei costituenti, dimostrata dal fatto che tutt’oggi – offre stimoli e garanzie ancora attuali», ha chiosato la vicepresidente dell’Università Luiss ed ex ministro della Giustizia, Paola Severino.
«Si sono sapute coniugare rigidità ed elasticità di sistema, come dimostra il grande lavoro dei giudici costituzionali, che hanno instaurato uno straordinario dialogo con le corti europee, usando un linguaggio nuovo di applicazione di principi sostanziali, come dimostrano le sentenze Taricco, Contrada e Coppola». Infine, Severino ha citato «la piena efficacia del principio di rieducazione della pena carceraria come una tappa del cammino che la nostra costituzione saprà compiere». Concorde anche il presidente aggiunto della Corte di cassazione, Domenico Carcano, il quale ha sottolineato come «la nostra Costituzione non è immobile: ha dei punti fermi ma si apre verso le vie dell’avvenire e dei nuovi valori da tutelare». Più centrato sull’attualità è stato invece l’intervento dell’avvocato Gian Domenico Caiazza,presidente dell’Unione camere penali italiane. «Il fatto che tre corti, Lecce Napoli e Venezia, abbiano potuto rinviare al vaglio della Corte costituzionale la legge Spazzacorrotti dimostra come il nostro ordinamento abbia una regime di tutela vivissimo», ha ricordato il presidente, sottolineando – a proposito delle modifiche apportate alla Carta – come «la riforma dell’articolo 111 ha dato forza al giusto processo, davanti a giudice terzo ed equidistante. L’evoluzione ha funzionato perchè è stata una modificazione del testo coerente come naturale evoluzione dei principi fondamentali».
Il presidente del Consiglio Nazionale Forense, Andrea Mascherin ha invece ricordato il «viaggio della Corte fuori dal palazzo, consapevole di un ruolo che non può essere meramente tecnico. Non a caso si è recata nelle carceri e nelle
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
Diseguaglianze, la ricetta di Barca
27 Marzo 2019 | Sezione: primo piano, Società
Dal salario minimo orario alla dotazione di 15 mila euro agli studenti fino alle nuove norme per le fabbriche rigenerate dagli operai: sono 15 in tutto le proposte del ForumDD in due anni di elaborazione per “invertire la rotta”.
Parte dall’insopportabilità delle diseguaglianze, non tanto etica, in questo caso, quanto piuttosto sociale, economica e persino istituzionale, visto che la democrazia stessa viene messa a rischio dalla brusca frenata delle opportunità di miglioramento di vita delle persone, il nuovo lavoro condotto dall’economista Fabrizio Barca. Un lavoro in verità collettivo, anzi collegiale, che ha visto coinvolti circa cento tra professori universitari, ricercatori e attivisti delle associazioni attraverso un percorso durato oltre due anni, dall’ottobre 2017 a marzo 2019.
La discussione e l’elaborazione è avvenuta dall’interno di un Forum Diversità Diseguaglianze (o ForumDD), a partire da una piattaforma condivisa, e alla fine ha prodotto 15 proposte per “invertire la rotta”, cioè per ridare corpo alla giustizia sociale affrontando i nodi più attuali, dalla gig-economy al vivere all’epoca dei Big data e della profilazione sempre più totale delle persone, con le nuove diseguaglianze ed esclusioni sociali condotte ora anche attraverso algoritmi e customizzazione dei servizi offerti o negati, e poi ancora dalla de-industrializzazione al cambiamento climatico, dalla riduzione del peso dei corpi intermedi al diffondersi di modelli politici e sociali sostanzialmente autoritari e di iper-sorveglianza, che riducono la povertà a una negligenza dell’individuo e riservano l’accesso alle professioni ai figli di professionisti, con ciò paralizzando l’ascensore sociale e svuotando la scuola e l’università di funzioni pubbliche di valorizzazione del merito.
Il rapporto del ForumDD, pubblicato a fine marzo (integrale qui), ha seguito come fari la Costituzione, in particolare l’articolo 3 della Carta, e il recente libro dell’economista britannico Antony Atkinsons “Inequality. What can be done?”
Oltre a dati e analisi della situazione italiana e mondiale, il lavoro del ForumDD si incardina su 15 proposte ( incluso un salario minimo orario di almeno 10 euro e una “eredità. universale” o dotazione di 15 mila euro a studente) che ora vengono lanciate per essere sottoposte al confronto con la società italiana e nei territori, per tentare di trovare soluzioni concrete e riagganciare la dinamica che per trent’anni, dopo la Seconda guerra mondiale, ha ridotto il divario sociale senza opprimere le differenze, senza bisogno di capri espiatori per come ora vengono usati i migranti, “mantenendo un equilibrio dei poteri”.
La sintesi delle 15 proposte:
Proposta n. 1 La conoscenza come bene pubblico globale: modificare gli accordi internazionali e intanto farmaci più accessibili
Si propongono tre azioni che mirano ad accrescere l’accesso alla conoscenza. La prima azione riguarda la promozione, attraverso l’UE, di una modifica di due principi dell’Accordo TRIPS che incentivi la produzione e l’utilizzo della conoscenza come bene pubblico globale. Le altre due azioni riguardano il campo farmaceutico e biomedico; si propone, sempre attraverso l’UE, di arrivare a un nuovo accordo per la Ricerca e Sviluppo, in sede di Organizzazione Mondiale della Sanità, che consenta di soddisfare l’obiettivo del “più alto livello di salute raggiungibile” e, contemporaneamente di rafforzare l’iniziativa negoziale e strategica affinché i prezzi dei farmaci siano alla portata dei sistemi sanitari nazionali e venga assicurata la produzione di quelli per le malattie neglette.
Proposta n. 2. Il “modello Ginevra” per un’Europa più giusta
Si propone di promuovere a livello europeo degli “hub tecnologici sovranazionali di imprese” che si occupino di produrre beni e servizi che mirino al benessere collettivo, partendo dalle infrastrutture pubbliche di ricerca esistenti ed estendendo il loro ambito di azione dalla fase iniziale della catena di creazione di valore a quelle successive. L’obiettivo è quello di sfruttare il successo di forme complesse e autonome di organizzazione per rendere accessibili a tutti i frutti del progresso scientifico e affrontare il paradosso attuale per cui un patrimonio di open science prodotto con fondi pubblici viene di fatto appropriato privatamente da pochi grandi monopoli.
Proposta n. 3 Missioni di medio-lungo termine per le imprese pubbliche italiane
Si propone di assegnare alle imprese pubbliche italiane missioni strategiche di medio lungo periodo che ne orientino le scelte, in particolare tecnologiche, verso obiettivi di competitività, giustizia ambientale e giustizia sociale. I punti di forza della pro- posta sono: l’identificazione di un presidio tecnico; la trasparenza della responsabilità politica; il monitoraggio dei risultati; la garanzia della natura di medio-lungo termine degli obiettivi; e il rafforzamento delle regole a tutela dell’autonomia del management.
Proposta n. 4 Promuovere la giustizia sociale nelle missioni delle Università italiane
Si propongono quattro interventi integrati per riequilibrare gli attuali meccanismi che inducono le Università a essere disattente all’impatto della ricerca e dell’insegnamento sulla giustizia sociale: introdurre la giustizia sociale nella valutazione della terza missione delle Università; istituire un premio per progetti di ricerca che accrescono la giustizia sociale; indire un bando per progetti di
http://sbilanciamoci.info/abbattere-le-diseguaglianze-la-ricetta-di-barca/
PANORAMA INTERNAZIONALE
Dall’islam
DA NIRAM FERRETTI
Dall’Islam spira un’aria di novità, di fascinazione irresistibile. In passato esso era un afrodisiaco, un viagra psicologico per gli amanti della forza, dell’ordine, del sacro istituzionalizzato. Hitler ne apprezzava le virtù guerriere molto più vicine allo spirito delle Mannerbubde teutoniche, rispetto a ciò che egli poteva rinvenire in qualsiasi altra religione. Ed è un paradosso della storia, uno dei tanti, che non siano più le destre antimoderniste, se non in sacche di testimonialità criogenica, o in sporadici casi individuali, a subirne l’allure, ma la sinistra, soprattutto quella più radicalizzata.
La vocazione sistemica e totalitaria islamica ha convertito Roger Garaudy, ex comunista duro e puro e Ilich (in onore di Lenin) Ramírez Sánchez meglio conosciuto come Carlos lo Sciacallo. Garaudy, autore di Les Mythes fondateurs de la politique israélienne, in cui ripropose le immarcesicibili tesi dei Protocolli dei Savi di Sion, condendole con tesi negazioniste che gli costarono cinque procedimenti penali, si convertì all’Islam nel 1982. Carlos lo Sciacallo, pluriassassino condannato all’ergastolo, e membro attivo del FPLP, Fronte Popolare Per La Liberazione della Palestina, organizzazione che rivendicava nel marxismo-leninismo la propria matrice ideologica, a seguito della sua conversione all’Islam redasse insieme al giornalista francese Jean Michel Vernochet, L’Islam rivoluzionario.
Dispositivo combinato di indubbia efficacia quello tra lotta armata, revolucionaria, Islam e virulento antisionismo e antiamericanismo. Quando si identifica nell’Occidente e nei suoi derivati, democrazia, liberalismo e capitalismo, il nemico da abbattere avendolo trasformato in una rapace entità imperialista e colonizzatrice, è difficile non trovarsi uniti da un afflato molto simile. Maometto e Che Guevara che danzano a braccetto.
Il fatto che l’Occidente sia da abbattere, purgandolo dalla propria decadenza attraverso una buona e severa profilassi coranica, oppure sia da sovvertire politicamente nelle sue strutture economiche imperanti in virtù di un socialismo di stato talebano, non modifica di un’oncia il comune intento. Soprattutto quando si è in grado di identificare chiaramente i propri nemici dichiarati, gli Stati Uniti e Israele,
Continua qui: https://ildubbio.news/ildubbio/2019/04/10/giuristi-legali-e-giudici-la-nostra-carta-e-sana-e-ancora-robusta/
POLITICA
Ma alla fine cosa significa “sovranismo”?
Dino Cofrancesco – 4 aprile 2019
Nei dialoghi socratici di Platone ricorre come un tormentone, si direbbe oggi, la domanda: «ti estì?», (che cosa significa?). Guido Calogero, che non era un filosofo analitico, riteneva che fosse la questione fondamentale: intendersi sul significato che diamo ai termini impiegati, era per lui la regola aurea del ‘dialogo’ e il principio stesso di ogni convivenza civile. Purtroppo, nel nostro paese, siamo sempre più lontani dal mondo di Calogero (chi si ricorda più del filosofo della Sapienza, tra i più insigni del suo tempo?): il dibattito etico-politico sui grandi problemi del nostro tempo pare sempre più sottratto all’uso critico delle parole e sempre più simile a un duello mortale ideologico, senza esclusione di colpi.
Capita, così, di imbattersi in termini come populismo, nazionalismo, sovranismo, usati quasi sempre come armi contundenti dai pennaioli che imperversano sui mass media, mai disposti a rispondere alla domanda: ti estì? Tutto cominciò col fascismo e col comunismo: poiché i relativi regimi erano il male assoluto per quanti ad essi erano fieramente avversi (e certo con qualche buona ragione), bastò dire che una proposta di legge era comunista o che una posizione politica era fascista per squalificarle. L’etichetta non descriveva il ‘nemico’ ma era un pugno sul suo stomaco: se uno interveniva in un’assemblea studentesca, politica sindacale e veniva definito fascista perdeva il diritto alla parola, giacché come aveva detto (infelicemente) in una lezione un rispettabile filosofo del diritto (e poi della politica) torinese: «coi fascisti non si discute ma si fanno i conti a Piazzale Loreto!». (Nel ‘Quaderno laico’, Calogero elogiò il direttore neofascista di un periodico altoatesino per una proposta sulla scuola che gli era sembrata molto ragionevole; ma Calogero era l’azionista che riteneva che senza partiti politici, di destra e di sinistra, e senza proprietà e iniziativa privata non fosse possibile nessuna democrazia liberale).
La guerra delle etichette, soprattutto da quando è al governo la coalizione gialloverde (per la quale, lo confesso, non ho nessun debole) col passare dei giorni e dei mesi, si fa sempre più virulenta – un fenomeno, a mio avviso, che può considerarsi il segno più inequivocabile della «crisi di civiltà» in cui siamo precipitati. Se si leggono certi articoli e certe interviste – anche della rispettabile(!) area di centro – ci si imbatte in un fuoco di fila di gratuita retorica che, tra le fiamme e il rumore dei ‘giudizi di valore’, nasconde e cancella i
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SCIENZE TECNOLOGIE
2 marzo 2013 Silvia Lazzaris
Hilary Putnam – non ci si lasci ingannare dal nome riguardo il genere di appartenenza sessuale – è un filosofo e matematico statunitense.
L’ambiguità del suo nome deve avergli creato qualche turba, tanto che il filosofo, trattando del problema della disputa filosofica tra realismo ed antirealismo ha proposto un esperimento mentale che è divenuto piuttosto celebre: ha ipotizzato di ammettere che esista uno scienziato pazzo che decide di creare un laboratorio sofisticatissimo tale per cui le credenze in realtà siano indotte artificialmente attraverso impulsi sensoriali simulati. Insomma, come se tutto ciò che noi vediamo fosse una sofisticatissima finzione che ci induce a credere in quello che percepiamo e vediamo, ingannandoci. Ciò che noi percepiamo è una realtà indotta, la realtà che conosciamo è la realtà che immagina un cervello in una vasca per infusione di uno scienziato.
Dopo aver sorriso, ci si rifletta: ciò che Putnam metaforicamente insinua è che all’interno del nostro mondo noi possiamo effettivamente conoscere la realtà, nel senso che il livello ‘virtuale’, quello in cui noi viviamo e in cui crediamo di vivere è a noi accessibile e possiamo giustificarne gli eventi razionalmente. A patto però che si resti sul piano virtuale.
Insomma, saremmo chiusi in un compartimento stagno di cui possiamo senz’altro giustificare gli eventi ma non possiamo spingerci oltre perché non possiamo neanche concepire ciò che esiste al di fuori del nostro sistema. Curioso è che l’esperimento mentale di Putnam può essere senza errore applicato nella pratica della quotidianità, se al termine ‘scienziato’ si sostituisce la perifrasi ‘disinformazione mediatica’.
Non si può forse dire che tale parallelismo sia più che appropriato?
In fondo, in che cosa consiste la cosiddetta disinformazione mediatica?
Non è ciò che si definisce come informazione falsa o inesatta, diffusa DELIBERATAMENTE e strumento per raggiungere uno scopo? (Non è infatti da confondere come affermazioni fornite inesatte ma non intenzionalmente).
Come lo scienziato può decidere se infondere nei cervelli che stanno nelle vasche una verità che si rifà al modello della realtà oppure una verità totalmente fantasiosa, allo stesso modo la disinformazione agisce o coprendo ed offuscando una informazione potenzialmente pericolosa – che potrebbe nuocere in quanto a opinione pubblica a qualche personalità o ente che gode di largo consenso o popolarità – oppure concentrando l’attenzione su informazioni di cronaca che non richiederebbero necessariamente un’analisi tanto profonda, per creare una distrazione che aumenta o diminuisce a seconda dell’accanimento dei media. Accanimento dei media che per riflesso comporta un accanimento dell’individuo sulla notizia e sul capro espiatorio che ne è protagonista.
E’ qui il pericolo, nella manipolazione mentale da parte della stessa notizia. Prendiamo un esempio piuttosto recente ed emblematico, che conosciamo bene, come la vicenda di Sarah Scazzi. Tale notizia aveva creato un fanatismo, una curiosità, un accanimento del tutto fuori dalla norma. Gli appassionati a questa vicenda si sono recati in pellegrinaggio di fronte alla casa dove è avvenuto il delitto, si organizzavano pullman per Avetrana. IN PELLEGRINAGGIO. SI ORGANIZZAVANO PULLMAN.
Ora, tutto questo non è vergognosamente esagerato?
E tutto questo da cosa deriva?
Non è una manipolazione mentale?
Lenin – e non lo cito volentieri, perché le conseguenze del suo pensiero sono state tutt’altro che positive – diceva che “La libertà di stampa nella società borghese consiste nella possibilità per i ricchi di pervertire e ingannare sistematicamente, incessantemente, tutti i giorni, attraverso milioni di copie, le masse sfruttate e oppresse, i poveri. Libertà di stampa significa in realtà che tutte le opinioni, di tutti i cittadini, possono essere espresse senza limitazioni. Eppure, qual è la situazione attuale? Oggi il monopolio di questa libertà appartiene esclusivamente ai ricchi e ai grandi partiti”.
E’ una verità che riporta al giornalismo odierno, che si è trasformato gradualmente
Continua qui: http://fascinointellettuali.larionews.com/i-cervelli-in-una-vasca/
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