NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 18 APRILE 2019

https://www.vanillamagazine.it/scandalosa-lola-montez-la-ballerina-che-fece-abdicare-ludwig-i-di-baviera/

NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

18 APRILE 2019

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

La tirannia consiste nel desiderio di dominio,

desiderio universale e fuori dal suo ordine.

BLAISE PASCAL, Pensieri, Einaudi, 2004, pag. 51

 

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Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

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Joseph_Karl_Stieler-Lola_Montez – 1847

https://it.wikipedia.org/wiki/Lola_Montez

SOMMARIO

Politicamente corretto. Storia di un’ideologia

Greta s’è montata la testa e straparla su Notre Dame ed emergenza climatica. 1

ESSI VIVONO e ci renderanno schiavi finché non li scopriremo. 1

Bamiyan, Babilonia, Palmira, Notre-Dame 1

In balia di 800mila profughi (e dei Pm) 1

Dopo le dichiarazioni di Gotti Tedeschi a Le Iene, la sorella di Pecorelli: “La procura lo senta”. 1

13 “DIPLOMATICI FRANCESI ARMATI” ARRESTATI fra Libia e Tunisia. 1

Lettera aperta al presidente Trump sulle conseguenze dell’11 Settembre 2001. 1

CREATIVITÀ: KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETÀ DELL’UOMO A “UNA” DIMENSIONE. Una sollecitazione a svegliarsi dal sonno dogmatico. 1

I 10 scandali rivelati da Assange su Bush, Obama e Hillary. 1

LA MONETA: VALORE CONVENZIONALE O CREDITIZIO?. 1

Cacciari: «Il giustizialismo dei dem è iniziato con Tangentopoli». 1

Licenziata per aver rifiutato il vaccino (e aveva fatto la malattia!) 1

Tanfo. 1

Il Regno Unito guida la classifica dei crimini d’odio Sono 95mila all’anno. 1

16 anni fa contribuì alla distruzione dell’Iraq, ora Londra raccoglie i frutti con il business della ricostruzione  1

Al Sisi sfila l’Egitto dalla Nato araba. 1

CONTROSTORIA DI SADDAM HUSSEIN. 1

STORIA E DEMOCRAZIA. 1

Scandalosa Lola Montez: la Ballerina che fece abdicare Ludwig I di Baviera. 1

 

 

IN EVIDENZA

Politicamente corretto. Storia di un’ideologia

Nicola Porro, Il Giornale 10 febbraio 2019

Perché leggere un libro sul politicamente corretto? Per rimanere nella propria filter bubble come si dice oggi: insomma per leggere ciò che ci si vuole sentir dire. In fondo a molti di noi è bastato Tom Wolfe e il suo Radical Chic, condito da un Sergio Ricossa, che in tempi non sospetti ci hanno spiegato che un certo conformismo culturale era proprio di ricche classi sociali, che evidentemente dovevano farsi perdonare qualcosa. Poi prendi in mano il nuovo libro di Eugenio Capozzi, che si intitola senza tanti fronzoli, Politicamente corretto, e capisci che una sistematizzazione delle proprie intuizioni era necessaria. Più che necessaria.

Il libro è bellissimo. L’autore parte dalla nostra domanda e si chiede più o meno per quale motivo si debba parlare ancora del “PolCor” se i suoi limiti oggi sono più evidenti che mai. La prima ragione è di tipo metodologico: lo scienziato sociale non può non interrogarsi su un fenomeno che è durato tanto a lungo e che ha goduto di tanto successo. Ma “la seconda è di carattere ideologico, più insidiosa: spesso quando si da per scontata la critica ad alcuni aspetti di quella retorica, quando essa appare screditata dal suo stesso strapotere, dal suo moralismo straripante, in realtà non si fa altro che perpetuarne la sua egemonia, la sua centralità come se essa fosse un dato naturale”. Dunque, il punto cruciale è studiare il “PolCor” in chiave storica.

La tesi di fondo di Capozzi è che “la retorica politicamente corretta – con la sua impostazione di catechismo sociale e la sua strutturale tendenza alla censura – non è una degenerazione del linguaggio, un tic del discorso pubblico, o una moda delle classi colte: rappresenta l’espressione di una ideologia impostasi in Occidente nell’ultimo mezzo secolo, paradossalmente mentre il luogo comune dominante sosteneva la morte delle ideologie”. Fantastico.

E l’Autore ripercorre questo filo ideologico, in cui a suo avviso sono caduti anche molti liberali, che sotto le mentite spoglie del progressismo, intende una “marcia verso la perfezione che deve essere guidata attraverso un percorso politico, secondo un programma ideato e gestito da un leader o un partito, coadiuvato da un ceto intellettuale organico”. Tratto comune è combattere le disuguaglianze e ingiustizie ereditate dal passato per condurci tutti verso un futuro radioso. Già sentito. È così che l’Occidente risulta sempre colpevole, così nascono i miti del multiculturalismo, fino ad arrivare all’irrilevanza dell’uomo, alle nostre follie ambientaliste, all’Utopia, come lo chiama il nostro

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Greta s’è montata la testa e straparla su Notre Dame ed emergenza climatica

martedì 16 aprile 16:41 – di Carmine Crocco

Non è certo facile gestire  le proprio emozioni quando, da un giorno all’altro, si diventa un’icona mondiale. Ma stavolta la piccola Greta Thunberg ha proprio esagerato e comincia a dire scemenze.

E si poteva francamente risparmiare il fatto di minimizzare il disastro della cattedrale di Notre Dame al fine di sensibilizzare il parlamento europeo sulla questione dei cambiamenti climatici di cui è diventata la paladina mondiale. “Il mondo ha assistito con orrore e enorme dolore all’incendio di Notre Dame ma questa sarà ricostruita.

Spero che le nostre fondamenta siano ancora più solide ma temo non lo siano”. Così la piccola pasionaria ha detto davanti agli eurodeputati.  “La nostra casa sta crollando e il tempo stringe – ha aggiunto imperterrita- e niente sta succedendo. Bisogna pensare come se dovessimo costruire una cattedrale, vi prego di non fallire”.

Va bene, ma che c’entra Notre Dame?

«Dovete essere presi dal panico»

“Mi chiamo Greta Thunberg e voglio che voi siate presi dal panico e

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ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

ESSI VIVONO e ci renderanno schiavi finché non li scopriremo.

 

MARTEDÌ 24 APRILE 2018

 

Ci stanno alle calcagna come ombre! Stanno riempiendo di amarezza le vostre viscere! Il miele che vi offrono vi avvelenerà come il morso dello scorpione e in quel tempo cercherete la morte ma non la troverete! Bramerete morire, ma la morte vi fuggirà! La potenza dei cavalli sta nelle loro bocche e nelle loro code… Si mimetizzano tra di noi come serpenti! Hanno teste e code, e con esse nuocciono! …E quando il serpente vomiterà dalla sua bocca, sarete travolti dal fiume del suo assenzio!

 

Fonte: http://www.elcajondesastre.com/wp-content/uploads/2014/04/selfieghvghghghgg.jpg.jpg

 

A loro si sono prostituiti tutti i governanti e la Terra è diventata un covo di corpi pieni di spiriti immondi perché le nazioni stanno bevendo il vino della loro sfrenata concupiscenza e i governanti si sono prostituiti con loro! E i mercanti si sono arricchiti del loro lusso sfrenato! Svegliatevi! Hanno preso il posto di Dio!

– Dal Film “Essi Vivono” di John Carpenter – (Scena del discorso del Predicatore cieco)

 

Ci rendono schiavi delle forze oscure, della materia corporale e con la vanità, l’ansia e l’indolenza ci anestetizzano la mente. […]

Queste manipolazioni sulla psiche sono state identificate otto mesi fa da un ristretto numero di scienziati i quali scoprirono incidentalmente che questi segnali provenivano da… […] La nostra natura umana si è lasciata sopraffare dalle istituzioni esistenti, crediamo di essere ricchi e invece siamo precipitati nell’abisso dell’aridità e della miseria, privandoci di ogni aspirazione espressione e valore umano.

Questi artifici ci mantengono in uno stato di banalità elevata impedendoci di vedere la degradazione con la quale abbiamo schiacciato il mistero di Dio che è in noi, e se continueremo a vegetare nella vigliaccheria, nella cecità e nel mutismo sarà la

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Bamiyan, Babilonia, Palmira, Notre-Dame

17 Aprile 2019 – PEPE ESCOBAR

I Budda di Bamiyan erano stati distrutti da una setta intollerante che si dichiarava seguace dell’Islam. I Buddisti in tutta l’Asia avevano pianto. L’Occidente non se ne era quasi neanche accorto.

Quello che restava delle rovine di Babilonia e il museo annesso erano stati occupati, saccheggiati e vandalizzati dall’installazione di una base dei Marines americani durante l’operazione Shock and Awe, nel 2003. L’Occidente non ci aveva fatto caso.

Una vasta area di Palmira, la leggendaria oasi sulla Via della Seta, era stata distrutta da un’altra setta intollerante, che fingeva di seguire l’Islam mentre veniva protetta, a più livelli, dall’”intelligence” occidentale. L’Occidente aveva fatto finta di non vedere.

In Siria, decine di chiese cattoliche e ortodosse erano state rase al suolo dalla stessa setta intollerante che fingeva di seguire l’Islam, sponsorizzata e armata, tra gli altri, dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dalla Francia. L’Occidente non ci aveva neanche fatto caso.

Notre-Dame, che per più aspetti può essere considerata il simbolo dell’Occidente, è stata parzialmente consumata da un fuoco teoricamente cieco.

In modo particolare il tetto, centinaia di travi di quercia, alcune risalenti al 13° secolo. Metaforicamente, questo potrebbe essere interpretato come l’incendio del tetto sulla collegialità dell’Occidente.

Cattivo karma? Finalmente?

Ed ora veniamo al sodo.

Notre-Dame appartiene allo stato francese, che aveva prestato poca o nessuna attenzione ad un gioiello gotico sopravvissuto per otto secoli.

Frammenti di arcate, chimere, rilievi, gargoyle cadevano in continuazione a terra e venivano conservati in un deposito improvvisato nella parte posteriore della cattedrale.

Solo l’anno scorso, Notre-Dame aveva ottenuto un finanziamento di 2 milioni di euro per il restauro della guglia, che ieri è bruciata fino a crollare.

Il ripristino dell’intera cattedrale sarebbe costato 150 milioni di euro, secondo il massimo esperto mondiale di Notre-Dame, che sembrerebbe essere un americano, Andrew Tallon.

Recentemente, i custodi della cattedrale e lo stato francese erano arrivati ai ferri corti.

Lo stato francese incassava almeno 4 milioni di euro l’anno, facendo pagare ai turisti il biglietto per l’ingresso ai campanili gemelli, reinvestendo però solo 2 milioni di euro per il mantenimento di Notre-Dame.

Il rettore di Notre-Dame si era rifiutato di far pagare il biglietto d’ingresso alla cattedrale, come succede, per esempio, nel duomo di Milano.

Notre-Dame sopravvive, essenzialmente, grazie alle donazioni, che

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BELPAESE DA SALVARE

In balia di 800mila profughi (e dei Pm)

Alessandro Sallusti – Mar, 16/04/2019

Nelle ultime ore la magistratura italiana ha messo a segno tre colpi da prima pagina. Il primo: ha indagato metà governo (Conte, Salvini, Di Maio e Toninelli) per la vicenda della nave ong Sea Watch bloccata con il suo carico di immigrati; il secondo: ha lasciato colpevolmente libero un delinquente patentato già condannato che ha visto bene di sparare alla testa di un carabiniere; il terzo: hanno arrestato, e buttato letteralmente in galera, una preside sorpresa a usare l’auto di servizio della scuola per questioni private.

Se vivessimo in un Paese normale, con una giustizia appena decente, la sequenza tra fatti e atti avrebbe dovuto essere diversa: in prigione ci doveva andare non la preside, ma il fetente; indagato non il governo, ma la preside; tranquilli, a piede libero, dovrebbero starci non l’assassino ma i ministri.

La magistratura, invece, preferisce dare le carte a caso o, secondo alcuni, distribuirle con il trucco. Il bilancio è terrificante: un morto (il carabiniere), una drammatica e, al tempo stesso, ridicola ingiustizia (la preside al gabbio per una scemenza), uno sputtanamento della politica (i ministri indagati) proprio in ore in cui sull’immigrazione servirebbe la massima compattezza per trattare con mezzo mondo il da farsi sugli ottocentomila profughi in fuga dalla guerra civile libica che potrebbero arrivarci addosso, questa volta con

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Dopo le dichiarazioni di Gotti Tedeschi a Le Iene, la sorella di Pecorelli: “La procura lo senta”

28 marzo 2019

Video qui: https://static3.mediasetplay.mediaset.it/f28330a8-5b62-47d9-96ca-c0af8db61d01

La sorella di Mino Pecorelli, il giornalista ucciso il 20 marzo 1979 in circostanze ancora oscure, chiederà alla Procura di Roma tramite il suo avvocato che venga sentito l’ex presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, dopo le dichiarazioni che ha rilasciato a Le Iene sul giornalista

Rosita Pecorelli, sorella del giornalista Mino Pecorelli, ucciso il 20 marzo 1979 in circostanze ancora oggi oscure, chiederà alla Procura di Roma, tramite il suo avvocato Walter Biscotti, di sentire Ettore Gotti Tedeschi dopo le dichiarazioni che ha fatto a Antonino Monteleone nell’ultimo servizio de Le Iene sul caso David Rossi, che potete vedere qui sopra. A inizio marzo la Procura ha avviato una nuova indagine sulla morte di Mino Pecorelli.

Nel primo incontro della Iena con l’ex presidente dello Ior, Monteleone gli ha chiesto dei quattro conti correnti che sarebbero stati aperti presso la banca del Vaticano e che sarebbero riconducibili a uomini della Fondazione Mps. “Credo che fosse vero”, ha risposto Gotti Tedeschi. “Sono tangenti mi pare evidente”, ha detto, come avete visto nella sesta parte dello speciale “Caso David Rossi: suicidio o omicidio?”, andato in onda giovedì 21 marzo. 

“Mi sono sempre rifiutato di vedere i conti”, ha detto Gotti Tedeschi alla Iena nella seconda intervista, andata in onda martedì 26 marzo. “Io non ho mai voluto vederli. Non era il mio compito. Il mio incarico era di attuare le necessarie procedure per fare trasparenza, e mi fu anche detto: ‘lascia proprio stare la curiosità naturale di guardare di chi sono i conti’, infatti io non volli mai sapere”.

E perché non ha mai voluto sapere? “Se tu hai visto i conti e dici al giudice di chi erano i conti, quelli veri, la tua famiglia dove la metti?”, dice Gotti Tedeschi alla Iena. “A proteggerla, ci vuole il più

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CONFLITTI GEOPOLITICI

13 “DIPLOMATICI FRANCESI ARMATI” ARRESTATI fra Libia e Tunisia

Maurizio Blondet  17 Aprile 2019

 

Lo ha dichiarato il ministro tunisino della Difesa: precisando che ai tredici “diplomatici armati” erano state sequestrate “delle munizioni”.   I tredici “provenivano dalla Libia” su un convoglio di sei 4×4,  ed  hanno rifiutato di consegnare le armi.

https://fr.sputniknews.com/afrique/201904171040781837-diplomates-francais-armes-arretes-frontiere-libye-tunisie/

  •  In precedenza, le autorità tunisine avevano precisato che un primo gruppo “composto di  11 persone munite di passaporto diplomatico e  provenienti dalla Libia” avevano cercato di entrare “per via marittima”  a bordo di due Zodiac. Il gruppo è stato intercettato dalla marina di Tunisi che “ha sequestrato le loro armi”.

Piacerebbe che questo genere di notizie apparisse con rilievo nei tg RAI e nei notiziari radiofonici.  Invece i tg e radio  sono pieni degli strilli dello Stato Maggiore  dell’esercito che è sceso in guerra  (finalmente una guerra!) contro Matteo Salvini perché ha ordinato  la chiusura dei porti; spalleggiato dalla ministra  Trenta (che  ha il suo daffare a organizzare corsi gender alla guardia libica, nobile compito) e sotto sotto da Mattarella, a cui i generali si sono appellati perché punisca Salvini.

https://www.huffingtonpost.it/2019/04/16/lira-dei-vertici-militari-contro-la-circolare-sui-migranti-di-salvini-ingerenza-roba-da-regime-il-retroscena-delladnkronos_a_23712770/

Ora, l’insufficienza culturale di Salvini,  e la sua nullità strategica,   sono più che evidenti. Lo dimostra il fatto stesso  che – al suo solito –  contrasta Macron a parole sulla Libia, come un bauscia milanés da osteria, senza poi poter far seguire alcun fatto. E riesce ad aver torto anche quando ha ragione, come nell’accusa  Macron di fregarci in Libia.

Ma come giudicare questi generali: irresponsabili? Ottosettembristi?  Aspiranti alla Legion d’Honneur?  Mentre “diplomatici armati” francesi  vanno e vengono dalla Libia con gipponi e gommoni, che fanno?  Magari aspettano un cenno dalla NATO?  DaTrump?

Nei giorni sorsi, i nostri media si sono profusi a sparare sul governo (un governicchio, non lo nego) che con l’apertura alla  Via della Seta  della  Cina  si sarebbe giocato l’appoggio degli USA in Libia.  S’è detto che per “aiutarci

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Lettera aperta al presidente Trump sulle conseguenze dell’11 Settembre 2001

di Thierry Meyssan

RETE VOLTAIRE | DAMASCO (SIRIA) | 31 AGOSTO 2018   RILETTURA NECESSARIA

Signor Presidente,

i crimini dell’11 Settembre 2001 non sono mai stati giudicati nel suo Paese.

Le scrivo in quanto cittadino francese che ha denunciato per primo le incongruenze della versione ufficiale, aprendo un dibattito a livello mondiale su chi siano i veri colpevoli.

Se fossimo giurati in un tribunale penale dovremmo decidere della colpevolezza o dell’innocenza del sospettato ed eventualmente stabilire la pena. Dopo i fatti dell’11 Settembre, l’amministrazione Bush Jr. ci ha detto che il colpevole era Al Qaeda e che la punizione sarebbe stata il rovesciamento di chi l’aveva aiutata: i Talebani afgani, poi il regime iracheno di Saddam Hussein.

Tuttavia, c’è una grande quantità d’indizi che attesta l’insostenibilità di simile tesi. Se fossimo giurati, con obiettività decideremmo che i Talebani e Saddam Hussein sono innocenti. Naturalmente, questo non basterebbe a farci conoscere il vero colpevole e ne saremmo frustrati. Ma è per noi inconcepibile che degli innocenti vengano condannati solo perché non abbiamo saputo, o potuto, trovare i colpevoli.

Noi tutti abbiamo capito che alte personalità istituzionali stavano mentendo quando il segretario di Stato per la Giustizia e il direttore dell’FBI, Robert Mueller, hanno rivelato i nomi dei 19 presunti pirati dell’aria: avevamo già sotto gli occhi le liste dei passeggeri imbarcati, diffuse dalle compagnie aeree, e su queste liste non figurava alcuno dei sospettati.

Da allora abbiamo cominciato a dubitare fortemente del «governo di continuità», l’istanza incaricata di sostituirsi alle autorità elette, qualora queste perissero in un attacco nucleare. Abbiamo formulato l’ipotesi che gli attentati mascherassero un colpo di Stato conforme al metodo ideato da Edward Luttwak: conservare un esecutivo di facciata, imponendogli però tutt’altra politica.

Nei giorni successivi l’11 Settembre l’amministrazione Bush prese diverse decisioni.

Fu istituito l’Office of Homeland Security e adottato un voluminoso Codice Antiterrorismo, pronto però già da molto tempo, l’USA Patriot Act. Per fatti che l’amministrazione stessa giudica «di terrorismo», questo testo sospende la Bill of Rights, che è stata, signor presidente, la gloria del suo Paese. L’USA Patriot Act destabilizza le vostre istituzioni. Due secoli dopo ha sancito il trionfo dei grandi proprietari che stesero la Constitution e la sconfitta degli eroi della guerra d’indipendenza che pretesero che vi fosse aggiunta la Bill of Rights.

Il segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, creò l’Office of Force Transformation, al comando dell’ammiraglio Arthur Cebrowski, che presentò immediatamente un piano, pronto già da molto tempo, per il controllo delle risorse naturali dei Paesi del Sud attraverso la distruzione delle strutture statali e della vita sociale della metà del mondo non ancora globalizzata. Simultaneamente, il direttore della CIA lanciò la «Matrice dell’Attacco Mondiale», un insieme di operazioni segrete nelle 85 nazioni dove Rumsfeld e Cebrowski volevano distruggere le strutture statali. Ritenendo che soltanto quei Paesi le cui economie erano globalizzate si sarebbero mantenuti stabili, mentre gli altri sarebbero stati distrutti, gli uomini dell’11 Settembre misero le Forze armate statunitensi al servizio di interessi finanziari transnazionali. Tradirono gli Stati Uniti e li trasformarono nel braccio armato di siffatti predatori.

Da 17 anni vediamo cosa porta ai suoi concittadini il governo dei successori di quelli che redassero la Constitution e si opposero, all’epoca senza successo, alla Bill of Rights: i ricchi sono diventati super-ricchi, la classe media è stata ridotta a un quinto e la povertà è aumentata.

Vediamo anche i risultati della messa in atto della strategia Rumsfeld-Cebrowski: conflitti – le cosiddette «guerre civili» – che hanno devastato quasi per intero il Medio Oriente Allargato; intere città cancellate dalla carta geografica, dall’Afghanistan alla Libia, passando per l’Arabia Saudita e la Turchia, che tuttavia non erano in guerra.

Nel 2001 soltato due cittadini statunitensi denunciarono le incoerenze della

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CULTURA

CREATIVITÀ: KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETÀ DELL’UOMO A “UNA” DIMENSIONE. Una sollecitazione a svegliarsi dal sonno dogmatico.

ESTETICA (E NON SOLO) E DEMOCRAZIA. PER LA CRITICA DELLA FACOLTÀ DI GIUDIZIO E DELLA CREATIVITÀ DELL’ “UOMO SUPREMO” (KANT).

(…) È solo con Kant – scrive Hogrebe – che emerse veramente ciò che può essere definito un problema della costituzione; il problema cioè di fornire una serie di regole e di definirle come il quadro nell’ambito del quale sono in generale empiricamente possibili le operazioni cognitive (…)

 

martedì 9 aprile 2019 – Una nota di Federico La Sala

Ormai è più che evidente: siamo sempre più intelligenti e sempre più creativi, ma anche sempre più stupidi e cretini – pericolosamente! Come mai?!, come è possibile?! Forse vale la pena svegliarsi dal “sonno dogmatico”, e cercare di raccapezzarci un poco sul problema. Una grande opportunità per cominciare (o ricominciare) a pensarci, è leggere (o rileggere) un importante contributo di Emilio Garroni, intitolato “Creatività”: questo testo, apparso per la prima volta nel 1978 all’interno della “Enciclopedia” Einaudi, è stato ora ripreso in volumetto autonomo, con prefazione di Paolo Virno, dalle edizioni “Quodlibet” di Macerata. In tale saggio, Garroni (morto nel 2005) fornisce alcune indicazioni di straordinaria produttività, che ancora non sono state ben soppesate, e che meritano di essere riconsiderate con grande attenzione.

E, cosa originale e degna di rilievo, è che, al centro del suo discorso al fine di impostare meglio il problema della creatività, emerge in posizione chiave non solo l’indicazione di una sorprendente ipotesi di rilettura di Kant ma anche la ripresa e il rilancio del programma illuministico kantiano dell’uscita dallo stato di minorità. E per questo, oggi più di ieri, abbiamo bisogno non solo di una critica delle idee tradizionali – ancora dominanti e diffuse – sulla “creatività” ma anche e soprattutto della nostra (di esseri umani) decisiva e fondamentale facoltà di giudizio.

Per cominciare, e contribuire a capire tutta la portata del contributo di Emilio Garroni, è da dire che della creatività – la questione di tutte le questioni di tutta l’umanità (non – come la nostra millenaria tradizione vuole – solo del genio, dell’artista, del poeta, del visionario o del metafisico), noi (esseri umani) – ancora oggi – non abbiamo trovato risposte soddisfacenti e siamo ancora incapaci di formularla e rispondervi in modo critico (a tutti i livelli). E così, con una facoltà di giudizio e con un’idea confusa di creatività (e, con essa, di creazione), continuiamo a vivere come sudditi ciechi e zoppi di un’antichissima antropologia (con i suoi riflessi cosmologici e teologici) indegna della nostra stessa umanità (cosmicità e ‘divinità’).

Incapaci di prendere la giusta distanza da noi stessi, di portare noi stessi al di là noi stessi, non sappiamo ancora nulla né di noi, né del nostro mondo, né di Dio. Detto altrimenti, e semplicemente: siamo ancora ignoti a noi stessi (Nietzsche). E la ragione è presto detta: abbiamo preferito e preferiamo più le tenebre che la luce, e, anzi, siamo stati e siamo ancora ben intenti a spegnere in tutti i modi possibili e immaginabili la lampada kantiana del “Sàpere aude!”, del coraggio di servirsi della propria intelligenza! Avendo paura della morte e del nulla, stiamo ancora a trastullarci con l’amletica domanda(“essere o non essere?”) e non sappiamo nulla (dell’“Essere”) di “Fortebraccio” (Shakespeare, Amleto)!

Si è preferito e si preferisce affidarsi e obbedire al “grande codice” della “creatività” della tradizione occidentale (atea e devota), essere governati dalle sue regole – negare le domande che vengono a noi stessi da noi stessi e seguire noncuranti la corrente, come cadaveri o come robot – senza più alcuna consapevolezza e libertà!

Amici di Platone e di Aristotele, più che amici della verità e di noi stessi, continuiamo da secoli e secoli a risolvere i nostri problemi con le regole da loro concepite con la loro grande creatività e abilità! Bisogna riconoscerlo: grazie alla loro creatività, essi hanno codificato regole potentissime per risolvere i problemi del loro mondo e noi siamo stati e siamo così bravi ad applicarle che, facendo esercizi su esercizi, abbiamo saputo estenderle a tutta la Terra (all’intero universo e all’intero aldilà).

Ma ora sta succedendo che il loro mondo – e la loro creatività (basata sul riconoscimento e sul ritrovamento dei loro “modelli” pre-registrati e pre-esistenti, codificati per la eternizzazione del loro mondo e della loro memoria) – ci sta scoppiando intorno, sopra, e dentro la testa, e non sappiamo più che cosa fare. Sempre più ci rendiamo conto che le loro regole per risolvere i nostri problemi sono inadeguate e inadatte per noi stessi e per la nostra stessa sopravvivenza, ma noi insistiamo ad affrontarli – e sempre più stupidamente – come se fossero esercizi da risolvere, con le loro regole – quelle fondate sul codice della creatività del mondo di Platone e Aristotele!

Noi della creatività nel senso pieno del termine – così come di noi stessi, della nostra facoltà di giudizio, e della nostra libertà! – non sappiamo più nulla e ovviamente, non sapendo nulla, ricadiamo continuamente nella loro soluzione e nelle braccia del loro re-filosofo (il visioniario-metafisico di turno). Questo il problema e questa l’urgenza: sapere della creazione, della produzione del nuovo, della creatività del comportamento di tutti gli esseri umani e a tutti i livelli, non limitatamente alla sola “creatività” esecutiva – all’abile intelligenza di sudditi o di animali in trappola – nella “caverna” universale (‘cattolica’) di Platone.

Bisogna pensare in modo nuovo, e in altro modo – e tenere presente che, se pure tutto viene dall’esperienza, non tutto si riduce all’esperienza. Cominciamo da noi stessi, esseri umani dotati di due mani, di due piedi, due occhi, due orecchi, una testa (con due emisferi cerebrali), una bocca …

Limitiamoci a considerare la questione partendo dagli organi della vista, dagli occhi. E’ esperienza comune vedere, ma non è affatto comune – né nella vita culturale né nella vita quotidiana degli esseri umani – pensare nel pieno senso della parola che noi vediamo ciò che vediamo grazie all’azione unitaria e combinata di tutti e due gli occhi; e continuiamo a vedere e a pensare come se – avendo una sola testa (e una sola bocca) – avessimo un solo occhio (un solo orecchio, una sola mano e un solo piede)!

Ci illudiamo di essere tutti e tutte delle grandi ‘volpi’, degli eroi (Ulisse) e delle eroine (Penelope), ma in fondo stiamo solo illudendoci sulla nostra condizione: in verità, siamo solo e ancora degli esseri umani ‘preistorici’, con un solo occhio, un solo orecchio, una sola mano, un solo piede, una sola bocca, una sola testa, e … un solo genere sessuale – degli esseri ciclopici, che hanno paura di aprire tutti e due gli occhi e pensare davvero con una sola testa – all’altezza del nostro presente storico! Nutriti da ‘bibliche’ e ‘platoniche’ illusioni, continuiamo a vivere come dei bambini e delle bambine che non vogliono crescere e, da millenni, a cantare il ritornello di questa ‘visione’ ballando su un solo piede (non solo a livello del senso comune, ma anche e soprattutto della scienza e della filosofia).

Dopo Copernico, e dopo la rivoluzione copernicana di Kant, ancora non ci siamo imbarcati e ancora non sappiamo nulla dell’esperienza della nave (cfr.: G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi) e, ovviamente, pensiamo e crediamo che ciò (dall’essere più piccolo al più grande – in terra, in cielo, e in ogni luogo e in ogni tempo) che noi vediamo davanti a nostri occhi sia l’“oggetto” e che noi, esseri umani (dal più piccolo al più grande – in terra, in cielo, e in ogni luogo e in ogni tempo), siamo il “soggetto” e il “fondamento” di ciò che vediamo, segniamo e nominiamo, con la nostra testa con un solo occhio, con un solo orecchio, con una sola mano, e con la nostra mono-tona bocca e … con il nostro unico genere sessuale – quella dell’Adamo terrestre e dell’Adamo celeste, del “dio” in terra e del “Dio” in cielo!

In questo orizzonte sacrale (ateo e devoto), in cui “un uomo più una donna – come ha scritto Franca Ongaro Basaglia – ha prodotto, per secoli, un uomo”, s’inscrive il potere della “creatività” e della “dignità dell’uomo” (Pico della Mirandola) – quella dell’Homo sapiens sapiens (Linneo, 1758), dell’“uomo supremo” e del “dio supremo”! E questa è la “verità” del geocentrico e antropocentrico (ma più correttamente si dovrebbe dire ‘andropocentrico’, perché qui si parla appunto di “andro-pologia”, e di “andr-agathia”, cioè della comunità e del dio degli “uomini valorosi”, degli “uomini virtuosi”) dello Spirito Assoluto occidentale: dell’”Io che è Noi, e Noi che è Io” (Hegel)!

Ora, per capire meglio quanto premesso e, al contempo, la novità del discorso portato avanti da Garroni, conviene partire da questa sua considerazione: “Kant è sicuramente più noto come il filosofo delle “condizioni a priori dell’esperienza”, che non come il teorico della “creatività”: e, anzi, per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, svolto soprattutto nella terza Critica e negli scritti adiacenti, egli è stato più volte non del tutto correttamente interpretato o addirittura frainteso”.

Questo il cuore del problema: qui, sotto le vesti di una normale e attenta precisazione filologica, in verità, c’è una dichiarazione di portata enorme: una assunzione di coscienza e di responsabilità decisiva per restituire a Kant tutta la sua grandezza e a noi stessi e a noi stesse la possibilità di diventare esseri umani maggiorenni – uscire da interi millenni di labirinto e da uno stato di minorità di lunghissima durata. E cominciare a capire, infine, quanto questa incomprensione sia stata e sia all’origine della nostra passata e presente catastrofe culturale – la catastrofe dell’intera cultura europea.

Ciò che la considerazione di Garroni mette in evidenza è qualcosa che generazioni e generazioni di studiosi e studiose dell’opera di Kant non hanno ancora colto nel suo pieno senso: l’aver egli inaugurato “un apriorismo di tipo nuovo, caratterizzato dall’istanza di risalire dal condizionato, dai fatti stessi, in un certo senso alle loro condizioni, adeguate e necessarie, di possibilità”, non è un divertimento scolastico di un bravo filosofo, ma l’anima e la premessa del suo progetto illuministico-critico, della sua volontà di restituire alla nostra (di ogni essere umano) “facoltà di giudizio” tutta l’autonomia e tutta la libertà sua propria.

Ciò che traspare dal lavoro di Garroni è, in generale, non solo una certezza, ma anche e più una salutare sollecitazione a svegliarsi e a pensare nuovamente il senso della rivoluzione copernicana di Kant. A ben rifletterci, invero, ciò significa che noi – ancora oggi – non abbiamo affatto capito che i “prolegomeni ad ogni metafisica futura che si vuole come scienza” o, che è

Continua qui: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=4977

 

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

I 10 scandali rivelati da Assange su Bush, Obama e Hillary

Scritto il 18/4/19

Nei suoi quasi 15 anni di attività, Wikileaks ha diffuso oltre 10 milioni di documenti classificati. Tra questi, la maggior parte ha a che fare con piani segreti del governo degli Stati Uniti nei suoi programmi di intelligence, sicurezza e guerra. La fondazione guidata dal detenuto Julian Assange è stata l’avanguardia in termini di informazioni classificate per anni. Tanto che i suoi principali portavoce sono stati perseguitati da governi alleati con Washington come Svezia e Gran Bretagna. Assange stesso è stato rifugiato dal 2012 in una piccola stanza dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, fino a quando il governo di Lenin Moreno ha smesso di concedergli questo status.

  1. Gli archivi di Guantanamo. Nel 2007, hanno pubblicato migliaia di documenti sotto forma di manuali e informazioni sul carcere inaugurato dall’amministrazione Bush nel 2002 a Guantánamo Bay, a Cuba. Gli archivi sono pieni di dettagli sui prigionieri e sui metodi di tortura utilizzati quotidianamente contro di loro nell’ambito di un programma di procedure per il trattamento di persone sospettate di essere terroristi. La Croce Rossa ha confermato che non tutti i prigionieri di Guantanamo sono terroristi e le critiche al funzionamento di questa struttura sono aumentate nel corso degli anni.
  2. Notizie segrete sulle guerre all’Afghanistan e all’Iraq. War Diaries è stato lanciato nel 2010 con quasi 400 mila resoconti riguardanti la guerra in Iraq dal 2004 al 2009. Possiamo trovare tutto, dalle attrezzature militari utilizzate dall’esercito Usa in dettaglio, alle informazioni sugli obiettivi militari e civili uccisi, più abusi e torture di prigionieri di guerra nei rapporti.
  3. Cablegate: una lente d’ingrandimento sulla diplomazia statunitense. Nel 2010, WikiLeaks ha lanciato milioni di cable diplomatici scritti tra il 1966 e il 2010 e pubblicati in diversi media internazionali che mostrano le opinioni dei capi della diplomazia di Washington (tra cui Henry Kissinger) e le istruzioni ai loro diplomatici per spiare politici stranieri, meglio noti come CableGate. I cable confermano la battuta: «Perché non ci sono golpe negli Stati Uniti? Perché non c’è un’ambasciata statunitense».
  4. Collateral Murder. Gli archivi filtrati grazie a Chelsea Manning, nel 2010 WikiLeaks hanno portato alla luce un video dal titolo Collateral Murder che mostra come le forze armate statunitensi sparano dagli elicotteri Apache contro obiettivi civili a Baghdad (capitale dell’Iraq), tra cui un giornalista della Reuters, che cadono fulminati al suolo. La registrazione risale al 2007.
  5. I documenti di Stratfor. Tra il 2012 e il 2013, oltre 5 milioni di e-mail sono trapelate dall’intelligence statunitense Stratfor. I Global Intelligence Files hanno rilasciato numerosi documenti in cui abbiamo appreso alcuni dettagli della rete interna di sorveglianza di massa negli Stati Uniti con la Nsa come protagonista, nonché le operazioni segrete svolte da Washington in Siria, tutte tra il 2004 e il 2011, lasciando anche a nudo l’intimo legame che esiste tra l’intelligence americana e la comunità di sicurezza e alcune aziende che funzionano come carri armati e organizzazioni non governative al servizio delle loro élite.
  6. Svelati Tpp, Ttip, Tisa. Dal 2013 al 2016, WikiLeaks ha pubblicato documenti successivi denunciando che il governo degli Stati Uniti stava segretamente negoziando accordi di libero scambio noti come Transpacific of Economic Cooperation (Tpp, il suo acronimo in inglese), Transatlantic Trade and Investment (Ttip, il suo acronimo in inglese) e l’Accordo sugli scambi di servizi (Tisa, il suo acronimo in inglese). Prima dell’ascesa di Donald Trump, Washington aveva come strategia un nuovo sistema economico e legale in cui persino i diritti civili sarebbero stati profondamente calpestati in quasi tutto il mondo, sulla base di quegli accordi che non furono mai annunciati fino a quando non ci furono i leak.
  7. Alcune corporation a nudo. Dalla sua fondazione nel 2006, WikiLeaks ha pubblicato diversi file declassificati di società multinazionali che contengono informazioni segrete, come le conseguenze della fuoriuscita tossica in Costa d’Avorio da parte della compagnia energetica Trafigura che ha colpito più di 100 mila persone; allo stesso tempo, è stato scoperto che i media britannici erano complici di ciò quando falsificavano gli eventi. Inoltre, le attività off-shore della banca svizzera Julius Bär Group e le

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FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

LA MONETA: VALORE CONVENZIONALE O CREDITIZIO?

La moneta. Valore convenzionale o creditizio?

Luigi Copertino  17 Aprile 2019

da www.theglobal.review

ABSTRACT

Giacinto Auriti ha insegnato che la moneta è innanzitutto una fattispecie giuridica fondata sulla “fiducia”. La riprova storica l’abbiamo avuta nella disputa tra John Maynard Keynes ed Harry White durante i lavori della Conferenza di Bretton Woods. Ma la domanda che si pone, posta la quale tutto il pensiero auritiano o cade o trova buoni argomenti storici per rispondere, è la seguente: perché mai devo fidarmi del prossimo? Chi mi garantisce che il prossimo stia ai patti e si comporti, nell’accettare i simboli monetari, come me? In altri termini chi è il Garante Ultimo della “previsione del comportamento altrui come condizione del proprio” ossia della “fonte del valore convenzionale monetario”? Esiste una rilevanza giuridica della convenzione monetaria che non è meramente orizzontale ma che necessita di una dimensione verticale, statuale. Le origini della monetazione sono sacrali e la sua più autentica dimensione è politica perché è sempre necessaria l’Autorità Politica quale garante della fiducia, del valore convenzionale monetario. Che è gradualmente emerso a partire dal riuscito esperimento della Banca d’Inghilterra, ma a scopi speculativi. Successivamente c’è stato un percorso storico di raddrizzamento con la subordinazione delle banche di emissione agli Stati. Ma a partire dagli anni ’80 del XX secolo il potere finanziario ha riconquistato una illegittima egemonia. Tra l’Autorità politica ed il potere finanziario da sempre sussiste un rapporto complesso e controverso nel quadro di un kosmos sovente tradito. C’è tuttavia ancora la possibilità, mediante un artificio contabile, di ristabilire il valore convenzionale della moneta ed emetterla senza il gravame del debito e degli interessi.

Continua qui:

https://www.maurizioblondet.it/la-moneta-valore-convenzionale-o-creditizio-di-luigi-copertino/

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

Cacciari: «Il giustizialismo dei dem è iniziato con Tangentopoli»

Intervista al filosofo: «Zingaretti sfidi i grillini sul loro terreno con proposte vere non demagogiche, inizi dal lavoro»

Riccardo Tripepi – 18 Apr 2019

Lo scandalo che ha azzerato la giunta regionale dell’Umbra pone nuovamente al centro dell’attenzione la difficoltà per le amministrazioni pubbliche, di ogni livello, di rimare immuni da infiltrazioni e corruzione. Un tema cavalcato dalle forze populiste e giustizialiste, che hanno trascinato anche i partiti tradizionali all’interno dello stesso solco. Il presidente della Regione Catiuscia Marini si è dimessa anche perché abbandonata dal suo partito. Il Pd, tramite il silenzio del segretario nazionale Nicola Zingaretti e gli affondi di altri suoi componenti, come Carlo Calenda, ha consegnato un messaggio chiaro alla Marini che ha parlato di una sorta di deriva giustizialista alla quale i democrat si sarebbero abbandonati. Il filosofo Massimo Cacciari offre la sua visione dell’attuale fase politica provando ad allargare lo sguardo oltre la mera cronaca.

«Quanto avvenuto in Umbria non cambia niente nella sostanza. Scandali di questo genere sono all’ordine del giorno in Italia, ma ci si ostina a non capire che non è una questione di corrotti, ma una questione di sistema. Fino a quando non lo capiremo, saremo sempre lì ogni giorno a commentare questo o quell’altro malaffare. E’ truccato il sistema dei concorsi, così come quello sanitario. I corrotti ci sono sempre stati e qualche corrotto non ha mai rovinato nessun sistema. Quando è il sistema corrotto, invece, i corrotti proliferano e diventano il tutto. E nessuno fa nulla per cambiare le cose».

Perché ciò avviene? Perché nessuno si oppone a questo stato di cose?

È evidente che il Paese non intende assolutamente cambiare. Esiste un ceto politico, una elite politica, anche questo governo, che si rifiuta di mettere mano alle vere riforme di sistema che contano. Pertanto, non si mette mano alla riforma della pubblica amministrazione, del sistema sanitario, di quello universitario, del sistema degli appalti, così come non si fa nulla per la qualificazione dei pubblici amministratori. Si tratta di quelle riforme che nessuno affronta e che nessuno ha mai affrontato oppure che quando sono state affrontate, ciò è avvenuto dall’alto e non dal basso. Partendo dai Senati e dalle Camere e non dall’osservazione di quello che non funziona. Questo è un sistema corrotto nel senso di rotto, è un sistema che non funziona più.

Crede che il Pd abbia affrontato male la vicenda umbra?

Non si tratta del Pd. Una volta è un partito e un’altra volta un altro. E un rincorrersi

Continua qui: https://ildubbio.news/ildubbio/2019/04/18/cacciari-il-giustizialismo-dei-dem-e-iniziato-con-tangentopoli/

 

 

 

LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

Licenziata per aver rifiutato il vaccino (e aveva fatto la malattia!)

Gioia Locati – 16 aprile 2019

Una storia da cui trarre esempio, che molti di voi in parte già conoscono. Riguarda l’ostetrica marchigiana licenziata in tronco nel novembre scorso perché – così hanno liquidato il caso giornali e televisioni – “rifiutava di vaccinarsi”.

Vedremo che la donna:

1) Non ha rifiutato le vaccinazioni ma, anzi, ha cercato in tutti i modi di fare il vaccino contro la parotite (che esiste all’estero ma è difficile da reperire).

2) Avendo 57 anni, ha anticorpi per tutte le malattie esantematiche contratte da bambina: alte le protezioni da morbillo, varicella, rosolia e appena sotto la soglia quella per la parotite; perciò – come previsto dalla legge 119/17 sull’obbligo vaccinale – ha declinato l’offerta del trivalente.

3) Rivoltasi a un perito, ha ripetuto tre volte il test sierologico in laboratori certificati: in uno è risultata appena sotto la soglia (negativo), negli altri due gli anticorpi erano sopra il limite di positività (francamente positivi, dunque). Come possibile? Si è visto che “non esiste un limite riconosciuto per gli anticorpi da parotite”, lo ammettono esplicitamente l’Ema (Agenzia del farmaco europea) e testi specialistici. [Fonte: Ema (Query ASK-32116, dell’ 11 luglio 2017)]. Si legge nella perizia: “I limiti di positività e negatività dei test (di tutti i test per la parotite) sono arbitrari. Infatti, si sono verificate numerose ed estese epidemie anche in comunità altamente vaccinate. La malattia può colpire non solo chi è già vaccinato, ma anche chi è vaccinato ed ha titoli anticorpali molto alti. Del tutto diversa è la situazione nel caso della malattia naturale che conferisce, all’opposto del vaccino, protezione duratura”.

Fra le poche certezze della Medicina oggi, vi è quella che le malattie esantematiche sono come Paganini, non si ripetono.

Pur tuttavia, M. G. ostetrica di 57 anni, a pochi mesi dalla pensione, è stata licenziata. Lei sola su 3.400 dipendenti della Asur Vasta 3 di Macerata per effetto di una determina del direttore generale dell’ottobre 2017 che obbliga chi lavora nei reparti a rischio (oncologia, ematologia, neonatologia, rianimazione) a vaccinarsi contro le malattie esantematiche.

Si dirà che è un provvedimento sacrosanto. Ma se fino al 2017 se ne è fatto a meno, e nessun neonato è stato infettato durante il parto, qualche riflessione occorre farla.

La prima: se una persona di 57 anni ha contratto tutte quelle malattie nell’infanzia (e M.G. ha potuto dimostrarlo) e, come la stragrande maggioranza degli italiani di quell’età, ne è immune, la politica che vara un provvedimento simile oggi dovrebbe considerare questo contesto. Negli Usa, infatti, le persone nate prima del 1957 sono considerate “protette” per le infezioni dei bambini.

Una volta era considerato normale ammalarsi di morbillo, rosolia e orecchioni da piccoli, “così non ci si pensa più”; perfino nei Baci Perugina si trova ancora il bigliettino con scritto “il matrimonio è come una malattia esantematica, prima o poi tocca tutti”. (In fotografia la versione dedicata al morbillo).

Poici si chiede: i 3.400 dipendenti dei tre ospedali, Civitanova, Macerata e Camerino, erano tutti in regola con le vaccinazioni quando M.G. è stata licenziata? Ricordiamo che il rapporto di lavoro dell’ostetrica è stato brutalmente troncato in due mesi: a settembre la richiesta di vaccinarsi, a novembre lo stop.

Si dirà che non tutti sono pediatri, infermieri o ostetriche e che gli impiegati non entrano in contatto con le partorienti. Mica vero. L’ambiente è lo stesso e i virus non si fermano davanti a una porta chiusa: una neomamma si serve di documenti, bar, ristoranti, toilette, rivendite di libri e giornali e cammina pure per i corridoi. Ci si chiede, poi, se chi ha deciso le sorti dell’ostetrica è vaccinato per tutte quelle malattie. Si sa che i medici, bravi a prescrivere le punture per gli altri, sono assai restii a farlo per se stessi.

Eppure, solo sull’ostetrica è calata la mannaia: licenziata in tronco nonostante abbia dimostrato di aver già contratto la malattia. Non solo. Non è stato considerato neppure un cambio mansioni per quei pochi mesi che restavano fino alla pensione. Intanto, su giornali e tivù, rimbalzava l’accusa: “Ha rifiutato i vaccini, perciò è una criminale”.

Il mobbing.

“Quando mi è stato richiesto di vaccinarmi ho presentato in direzione i miei esami; valutati gli anticorpi della parotite appena sotto la soglia, avevo manifestato la volontà di rifare il test (ero certa di aver contratto la malattia in passato), l’azienda rifiutò e mi segnò in ferie per un mese. Usai quel tempo per trovare un vaccino monocomponente. – racconta M.G. – Ho cercato ovunque: alle farmacie Vaticane, a San Marino, in Svizzera. Perfino in Paesi europei dove ho parenti. Alla fine, mi è stato detto che il vaccino esiste in Inghilterra e a San Pietroburgo ma che occorre una particolare procedura d’acquisto (il singolo non può farla); la mia azienda si è però rifiutata dicendo che esiste il trivalente…”.

Che lei ha scelto di non fare.

“Ho chiesto ai miei superiori di assumersi loro la responsabilità se, dati i miei anticorpi alti, aggiungerne di nuovi sarebbe stato come bere un bicchier d’acqua, ma non lo hanno fatto, la salute è mia”.

All’epoca aveva letto i documenti che stabiliscono che non esiste un limite di anticorpi per stabilire la protezione dalla parotite?

“No, ma ero certa di aver avuto la malattia e avrei portato mia madre e mio fratello a testimoniarlo. I medici della commissione avrebbero dovuto sapere che la malattia dà una protezione immunitaria efficace che non si limita alla presenza di anticorpi. E poi, ho avuto anche recentemente uno stretto contatto con un soggetto affetto da parotite e, guarda caso, non l’ho presa”.

Come è avvenuto il licenziamento?

“L’ho appreso dai giornali la mattina del 15 novembre. Il mio avvocato ha ricevuto la comunicazione ufficiale tramite Pec alle 9:40 dello stesso giorno. I media erano sicuramente stati informati con dovizia di particolari, qualcuno aveva svelato loro la mia identità e le mie vicissitudini perché la pubblicazione del licenziamento sull’albo pretorio dell’azienda, apparsa 12 ore prima della spedizione della Pec, era anonima e senza dettagli”.

Cosa hanno scritto i giornali?

“Titoli grandi così. Qualcuno mi ha dato della ‘criminale’ paragonandomi a un ‘camionista che guida ubriaco’. Dopo decenni di lavoro svolto con cura e coscienza, immagini cosa è stato per me leggere quelle parole. Ho fatto pochissime assenze per malattie, sono sanissima e ho sempre svolto con passione il mio lavoro, bella riconoscenza…”

La carriera.

La scrittrice marchigiana Lucia Tancredi è intervenuta su Cronache maceratesi in difesa dell’ostetrica che “l’ha sostenuta nel periodo più delicato” e che “ha insegnato il parto naturale a migliaia di donne”. Leggete qui. M. G. ci mostra le lettere di solidarietà delle mamme che ha assistito. In una leggiamo: “Quando ho dato alla luce mio figlio, in ospedale sono stati commessi non pochi errori, questa donna si è presa cura di noi con dedizione e profondo rispetto delle tappe del bambino e della madre. Sono passati tre

Continua qui: http://blog.ilgiornale.it/locati/2019/04/16/licenziata-per-aver-rifiutato-il-vaccino-e-aveva-fatto-la-malattia/

 

 

 

LA LINGUA SALVATA

Tanfo

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tàn-fo SIGN Odore pesante e sgradevole

dal longobardo thampf ‘vapore’.

Nella galassia di parole esatte che la nostra lingua ci apparecchia per gli odori sgradevoli, il tanfo è uno degli astri più luminosi.

‘Tanfo’ è una delle parole portate all’italiano dai Longobardi, nella lingua dei quali il suo omologo aveva il signficato di ‘vapore’ (peraltro dalla stessa radice trae origine il tedesco moderno Dampf, con questo stesso significato). Ora, usare il significato di vapore per intendere il puzzo è piuttosto intelligente e molto calzante: comunica in modo incisivo la natura di effluvio del puzzo, di esalazione, un passaggio di sostanze nell’aria che promanano da una fonte malsana. Ma resta da capire quale peculiare tipo di puzzo sia il tanfo (purtroppo non sarà una passeggiata fra i glicini).

Il tanfo è pesante, stagnante. Non è un odore sottile e tagliente, ma grosso, grasso, che occupa e ammorba l’aria; non è mobile e volatile, ma fermo, quasi solido – hai voglia ad aprire le finestre. Accettando e seguendo la suggestione

 

Continua qui: https://unaparolaalgiorno.it/significato/T/tanfo

 

 

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Il Regno Unito guida la classifica dei crimini d’odio Sono 95mila all’anno

Quelli denunciati in Italia sono meno di quelli di Francia, Germania e persino Finlandia

Stefano Filippi – Mer, 17/04/2019

Secondo le statistiche dell’Odihr, l’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), nel 2017 in Italia sono stati denunciati alle forze dell’ordine 1.048 «hate crimes», cioè crimini d’odio.

Il fenomeno è in crescita: erano 472 nel 2013 e sono saliti anno dopo anno. La stessa fonte registra per lo stesso anno 7.913 denunce in Germania, 2.073 in Canada, 1.505 in Francia, 1.497 in Finlandia, 8.437 negli Stati Uniti e addirittura 95.552 nel Regno Unito. E saremmo noi il Paese degli odiatori?

Presentare gli italiani come un popolo di livorosi, razzisti e nostalgici dell’uomo forte è uno dei cavalli di battaglia della sinistra intellettuale del nostro Paese. Uno degli ultimi numeri del settimanale L’Espresso presenta un «Ritratto dell’odiatore seriale su Facebook». Esso contiene un campionario degli insulti contenuti sul più famoso social network per dimostrare che la violenza verbale s’intreccia con estremismo politico (ovviamente a destra) e tradizionalismo religioso, visto che alcuni di questi «hater» riempiono di «like» associazioni dedicate al Sacro Cuore di Gesù o a Padre Pio. Sotto la censura del settimanale finiscono pure pagine come «Rialzati Italia», «Io sto con Salvini», «Prima gli italiani», «Forconi» e altre ancora. Tutto inserito nel pentolone del sovranismo e dell’intolleranza e montato come si fa con la panna.

Da tempo una fetta delle élite culturali di casa nostra fa a gara per presentare l’Italia come la patria dell’omofobia e della discriminazione, un Paese di gente che odia le donne e chiude gli occhi davanti ai femminicidi, una nazione di qualunquisti

Continua qui: http://www.ilgiornale.it/news/regno-unito-guida-classifica-dei-crimini-dodio-sono-95mila-1680135.html?mobile_detect=false

 

 

 

 

16 anni fa contribuì alla distruzione dell’Iraq, ora Londra raccoglie i frutti con il business della ricostruzione

Notizia del: 17/04/2019

 

Nella prima visita in Iraq da parte di un ministro del Regno Unito dopo oltre un anno, Liam Fox ha annunciato un aumento degli investimenti per un totale di 2 miliardi di sterline – 16 anni dopo che il Londra si è unita all’invasione e la distruzione della nazione mediorientale guidata dagli Stati Uniti.

Un altro miliardo sarà stanziato da Londra per finanziare il sostegno alle imprese britanniche che operano in Iraq, sostenendo le esportazioni britanniche nel paese, ha dichiarato il ministro del Commercio Liam Fox.
“Il governo britannico, che lavora a stretto contatto con il settore privato del Regno Unito e i nostri partner iracheni, ha un ruolo chiave nella prosperità a lungo termine del paese: il miliardo di sterline che abbiamo annunciato oggi rafforzerà significativamente la nostra capacità di fare proprio questo”, ha spiegato Fox.

Siemens UK ha ricevuto finanziamenti da UK Export Finance (UKEF), dopo aver beneficiato di 30,2 milioni di euro (26 milioni di sterline) in un contratto per il rinnovamento della centrale elettrica Al Mussaib da 320 megawatt nel sud dell’Iraq.
“Siemens ha già beneficiato del sostegno UKEF per il lavoro di ristrutturazione della centrale elettrica di Al Mussaib, che sarà di vitale importanza per il popolo iracheno che beneficerà sia della potenza che dei posti di lavoro che creerà. affari, sta anche aiutando a garantire posti di lavoro nel Regno Unito “, ha affermato Steve Scrimshaw, Country Lead, Gas and Power UK e Ireland, Siemens UK.

Le infrastrutture per le acque reflue (35 milioni di dollari USA (26 milioni di sterline) e il rinnovamento di centrali elettriche e di gas (965 milioni di sterline in totale) e la loro costruzione sono tra gli altri beneficiari degli aiuti stranieri del Regno

 

Continua qui:

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-16_anni_fa_contribu_alla_distruzione_delliraq_ora_londra_raccoglie_i_frutti_con_il_business_della_ricostruzione/82_28025/

 

 

 

 

Al Sisi sfila l’Egitto dalla Nato araba

17 aprile 2019

Il Parlamento egiziano decide di prolungare il mandato del presidente fino al 2030. Di fatto un mandato a vita per al Sisi. Il Cairo ha così il suo nuovo faraone, al quale ha affidato il destino del Paese.

Uno sviluppo che segue la decisione improvvisa e imprevista di al Sisi di abbandonare la cosiddetta Nato araba, da tempo inseguita dall’amministrazione Usa per creare un fronte unitario anti-iraniano.

La Mesa (Middle East Strategic Alliance) dovrebbe essere guidata dall’Arabia Saudita, in stretto contatto con gli Emirati Arabi Uniti, e prevede la partecipazione di un ampio fronte di Paesi sunniti (eccetto il Qatar, legato alla Turchia), anche se finora non ha raccolto la partecipazione entusiastica sperata.

La defezione dell’Egitto è un colpo ferale per la Mesa, data la sua influenza regionale e la forza del suo apparato militare.

Al Sisi si sfila, prendendo le distanze da Washington, anche se con la prudenza del caso. Sembra seguire, in forme più attenuate, l’esempio turco, dove Erdogan si è ritagliato un ruolo da sultano e, insieme, una nuova libertà di manovra nello scacchiere geopolitico globale a scapito del rapporto con Washington.

Classico esempio di una convergenza tra opposti, dato che I due capi di Stato non potrebbero essere più

 

Continua qui: http://piccolenote.ilgiornale.it/40075/al-sisi-sfila-egitto-dalla-nato-araba

 

 

 

 

CONTROSTORIA DI SADDAM HUSSEIN

Di Leonardo Olivetti – 12 agosto 2014                 RILETTURA

Quando si parla dell’Iraq contemporaneo non si può fare a meno di pensare alla controversa figura di Saddam Hussein. Il Raìs iracheno è uno dei massimi oggetti di demonizzazione dell’Occidente, accusato di ogni sorta di crimine e usato come archetipo della tirannide. Ma alle costruzioni propagandistiche degli agiografi dell’imperialismo americano, non corrispondono i fatti; Saddam Hussein fu uno dei più geniali e lungimiranti leader mediorientali degli ultimi anni, capace di guidare un paese dalla rovina alla prosperità, di non arrendersi alle minacce e all’arroganza stranieri, per nulla responsabile di quelle “atrocità” tanto vilmente accostate alla sua figura.

Quando Saddam Hussein prese in mano le redini del paese mediorientale, aveva di fronte a sé una situazione molto deteriorata, insicura e sottosviluppata economicamente, culturalmente e socialmente. Il Raìs iracheno risollevò l’Iraq dalla miseria, creando un regime prospero e culturalmente avanzato. L’alfabetizzazione, nel 1973, era solo il 35%; solo nove anni più tardi, le Nazioni Unite dichiararono l’Iraq “libero dall’analfabetismo”, con una popolazione alfabetizzata superiore al 90%, ed una percentuale del 100% di giovani che andavano a scuola. Due anni dopo, nel 1984, le stesse Nazioni Unite ammisero che “il sistema educativo dell’Iraq è il migliore mai visto in un paese in via di sviluppo”. Il sistema scolastico iracheno era anche tra i migliori al mondo per qualità; il tasso di studenti promossi era maggiore che negli altri paesi arabi, e il governo di Saddam, dal 1970 al 1984, spese solo per l’educazione il 6% del PIL, pari al 20% del reddito annuo del paese. In pratica, il governo di Baghdad spese per ogni singolo studente circa 620$, una cifra altissima per un paese in via di sviluppo. E questo dopo che Saddam Hussein era l’uomo forte di Baghdad da solo un decennio. Più tardi, dal 1976 al 1986, gli studenti delle scuole elementari crebbero del 30%, le studentesse femmine del 45%, sintomo della crescente emancipazione femminile, e il numero delle ragazze che studiavano era il 44% del totale, quasi in parità con il sesso maschile. Un altro risultato del fervore culturale importante nell’Iraq di Saddam Hussein è quello ottenuto nell’ambito universitario; l’Università di Baghdad, fondata nel 1957, ebbe oltre 33 mila studenti tra il 1983 e il 1984, l’Istituto Tecnico oltre 34 mila, l’Università di Mustansirya oltre 11 mila. Queste cifre altissime, che manifestano la fioritura culturale dell’Iraq ba’athista, portarono il New York Times, nel 1987, a battezzare Baghdad come “la Parigi del Medio Oriente”.

Dal 1973 al 1990 furono costruiti migliaia di chilometri di strade, si completò l’elettrificazione, e si istituirono un sistema sanitario ed un sistema scolastico completamente gratuiti. Le infrastrutture in Iraq sono tutte opera della leadership di Saddam Hussein; la maggior parte degli aeroporti ora operanti in Iraq sono stati costruiti da Saddam Hussein (l’aeroporto internazionale di Basra, quello internazionale di Erbil, quello di Baghdad), la maggiore autostrada del paese (la cosiddetta “Freeway 1”, lunga 1.200 chilometri) fu costruita a partire dal 1990. Saddam Hussein si è reso molto popolare in Iraq anche per i suoi continui viaggi, negli anni ‛70, in tutto il paese, per assicurarsi che ogni cittadino avesse a disposizione un frigorifero e l’elettricità, una delle basi ed una delle più grandi vittorie del Partito Ba’ath in Iraq. La sanità irachena era tra le migliori nella regione; la mortalità infantile passò da 80 persone ogni 1.000 abitanti nel 1974, a 60 ogni 1.000 nel 1982, fino a 40 ogni 1.000 nel 1989. La mortalità al di sotto dei cinque anni calò da 120 bambini ogni 1.000 nel 1974, a 60 ogni 1.000 nel 1989. Il sistema sanitario iracheno era anche tra i migliori qualitativamente: dicono l’UNICEF e l’Organizzazione Mondiale della Sanità che “a differenza di altri paesi più poveri, l’Iraq ha sviluppato un sistema occidentale di ospedali all’avanguardia che usa procedure mediche avanzate, e ha prodotto fisici specialisti”. Prima del 1990, sempre secondo i rapporti dell’OMS, avevano accesso a cure mediche gratuite e di alta qualità il 97% dei residenti urbani e oltre il 70% di quelli rurali, percentuali infinitamente alte se confrontate con quelle di altri paesi in via di sviluppo.

La distruzione dell’Iraq fu decisa al Pentagono e cominciò con le sanzioni economiche del 1990. Poco si parla degli effetti di queste sanzioni sul popolo iracheno. Parlando a livello di morti, si potrebbe dire che si trattò di un vero e proprio genocidio. Nel periodo 1991-1998, a causa delle fortissime limitazioni imposte dagli Stati Uniti e del conseguente fallimento dell’economia irachena, morirono circa mezzo milione di bambini, stima l’UNICEF. E non solo: sempre secondo l’UNICEF a causa delle sanzioni degli anni ‛90, la mortalità nei primi cinque anni di vita raddoppiò e raddoppiò anche quella infantile. Bellamy, funzionaria dell’organizzazione, ha constatato che “se la riduzione della mortalità infantile che si era verificata negli anni ‛80 fosse proseguita anche negli anni ‛90, ci sarebbero state mezzo milione di morti in meno”. Può essere certamente plausibile quanto scrissero John e Karl Müller nel 1999, cioè che le sanzioni economiche “possono aver contribuito a causare più morti durante il periodo post Guerra Fredda che tutte le armi di distruzione di massa nel corso della storia”. La sanità irachena calò in qualità, dicono sempre Müller, dato che, a causa delle sanzioni, “l’importazione di alcuni materiali disperatamente necessari era stata ritardata o negata a causa delle preoccupazioni che avrebbero potuto contribuire ai programmi di armamento di distruzione di massa dell’Iraq. Forniture di siringhe sospese a causa delle paure legate alle spore di antrace”. Sempre nel campo medico “le tecniche medico-diagnostiche che utilizzano le particelle radioattive, una volta comuni in Iraq, erano vietate per effetto delle sanzioni e i sacchetti di plastica necessari alle trasfusioni di sangue ristretti”. A definire queste tremende sanzioni come un “genocidio di fatto” ci ha pensato anche Denis Halliday, coordinatore umanitario delle Nazioni Unite in Iraq.

Questa gravissima tragedia, voluta dall’amministrazione americana, fu successivamente, anche considerata “giusta” da Madeleine Albright.

Nella sua più controversa intervista, il 12 maggio 1996, il Segretario di Stato è intervistato da Lesley Stahl al programma 60 minutes:

– «Abbiamo saputo che mezzo milione di bambini sono morti. Intendo dire, più bambini di quelli che morirono ad Hiroshima. E, pensa ne sia valsa la pena?»

– «Pensiamo che sia stato un prezzo giusto da pagare

Non contenta dell’apologia di un crimine contro l’umanità, Albright ha poi accusato l’intervistatrice di “fare propaganda irachena”. E tutti questi morti e questa miseria per delle armi che Saddam Hussein non aveva mai avuto. Il primo passo per distruggere il più progredito stato mediorientale si concluse con un prezzo di vite altissimo, ma non fece crollare l’Iraq ba’athista.

Saddam Hussein aveva ancora una forte base di potere e godeva di un ampio sostegno, anche se si è cercato di far credere che fosse “odiato dal popolo e prossimo al collasso”. Il leader iracheno sapeva bene che con l’inizio delle sanzioni “era iniziata la madre di tutte le battaglie”, come egli stesso proclamò al mondo il 17 gennaio 1991. Infatti, senza cedere alle pressioni americane, egli proseguì la sua battaglia per un Iraq indipendente fino a che l’America non fu costretta ad intervenire direttamente. Dopo la creazione della fasulla “Asse del male” iniziò una delle più grandi operazioni di false flag che la storia ricordi: George W. Bush inventò di sana pianta la storia dei legami con al-Qaida e delle armi di distruzione di massa, e mentre lanciava assurdi slogan bellici («Saddam merita questo!»), si creava anche la storia dei “massacri” attribuiti ai ba’athisti iracheni. Mentre la notizia delle armi di distruzioni di massa si è oramai rivelata una falsità, diverso è il caso per le notizie dei “massacri” e dell’uso di armi chimiche di Saddam, che ancora riscuotono un gran successo mediatico.

Si disse che Saddam Hussein perseguitò i curdi, e, nella sola città di Halabja, ne fece uccidere 5.000 o più, nel marzo del 1988. Tuttavia furono ritrovati solo 300 corpi, e la cosa è tutt’altro che sicura; si pensa che la storia dell’attacco chimico a Halabja sia “ormai appurata”, eppure è l’America stessa a fornire le prove che scagionano Saddam.

Il Dipartimento di Stato americano ha mostrato vari rapporti che mostrano che l’Iraq non ha mai posseduto quel gas, a base di cianuro; in tanti anni, la CIA non aveva mai reperito questa arma tra gli arsenali iracheni, mentre era presente nell’esercito iraniano. Il mondo non è mai stato convinto della storia: la CIA, l’US Army War CollegeGreenpeace, Stephen Pelletiere (principale analista della CIA del 1988), Jude Waniski (giornalista e prestigioso commentatore di notizie economiche), l’Historical Report del corpo dei Marines hanno tutti accusato l’Iran, ed hanno tutti ritenuto “infondata” l’accusa rivolta a Saddam Hussein.

Stephen Pelletiere scrisse a tal proposito: «Per quanto ne sappiamo noi, tutti i casi in cui il gas fu usato corrispondono ad una battaglia. Queste sono tragedie di guerra. Forse possono esserci giustificazioni per l’invasione dell’Iraq, ma Halabja non è tra queste», ed ebbe cura di precisare, nello stesso articolo, che apparve sul New York Times:

«…la verità è che tutto quello che sappiamo è che i curdi quel giorno ad Halabja furono bombardati con gas velenoso. Non possiamo dire con assoluta certezza che furono armi chimiche irachene ad uccidere i curdi. Questa non è la sola stortura della storia di Halabja.

Io lo so perché, come capo analista politico della CIA sull’Iraq durante la guerra Iran-Iraq, e come professore al Collegio Militare di Guerra dal 1988 al 2000, ero a conoscenza di molto del materiale segreto che fluiva attraverso Washington e che aveva a che vedere con il Golfo Persico. Inoltre, ero a capo di una investigazione militare del 1991 sul come gli iracheni avrebbero combattuto una guerra contro gli Stati Uniti; la versione segreta di quel dossier esplorava con dovizia di dettagli l’affare Halabja.

Quello di cui siamo sicuri circa l’uso del gas ad Halabja è che successe durante una battaglia tra le truppe irachene ed iraniane. L’Iraq usò armi chimiche per ammazzare gli iraniani che avevano preso la città, che si trova nell’Iraq settentrionale, non lontano dal confine iraniano. I civili curdi che morirono ebbero la sfortuna di essere presi in quello scambio. Ma non erano loro il bersaglio degli iracheni.

Ma la storia si intorbidisce. Immediatamente dopo la battaglia la DIA investigò e produsse un resoconto segreto, che circolò per conoscenza tra la comunità dell’intelligence. Quello studio accertò che era stato il gas iraniano ad uccidere i curdi, non quello iracheno.

L’agenzia trovò che ambedue le parti usarono armi chimiche l’una contro l’altra nella battaglia di Halabja. Tuttavia lo stato in cui furono trovati i corpi dei curdi indicava che furono uccisi con un veleno che agiva sul sangue, cioè un gas a base di cianuro, che si sapeva veniva usato dalle truppe iraniane. Gli iracheni, che si pensa usassero l’iprite in battaglia, non erano soliti usare gas che agiva sul sangue, in quel periodo.

È da molto tempo che questi fatti sono di pubblico dominio, ma, stranamente, ogniqualvolta il caso Halabja è citato, di questo non se ne parla. Un articolo controverso apparso sul New Yorker lo scorso marzo non faceva alcun riferimento al resoconto della DIA, né considerava che potesse essere stato gas iraniano ad aver ucciso i curdi. Nelle rare occasioni in cui se ne parla, ci si specula sopra, senza prova alcuna, che fosse per favoritismo politico dell’America verso l’Iraq nella guerra contro l’Iran.»

Secondo la versione suggerita dal New Yorker, e data per vera da Bush, il generale Alì Hassan al-Majid avrebbe ordinato all’aviazione irachena di sganciare bombe chimiche su Halabja. Ma Patrick Lang, uno dei maggiori analisti della DIA (la Defense Intelligence Agency americana), confermò che i due schieramenti che si contendevano la città, quello iracheno e quello iraniano, si scambiano bombe chimiche con mortai, e che l’aviazione non fu mai chiamata in causa. All’inizio, l’intera amministrazione americana accusò l’Iran

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POLITICA

STORIA E DEMOCRAZIA

 

17 APRILE 2019

 

  1. Mi rendo conto che ci sono questioni più drammatiche sul tappeto.

Tuttavia, anche la cultura, magari per una volta non ridotta a svago per turisti, non è indegna di una considerazione attenta per forze politiche e civili che ritengono la democrazia costituzionale abbia ancora le sue buone ragioni.

 

 

  1. Non solo infatti la cultura costituisce un bene costituzionalmente protetto (art. 33), ma rappresenta anche un fondamentale contesto di analisi e interpretazione della Costituzione, secondo plausibili argomentazioni avanzate da un autorevole filone della giuspubblicista, prima di tutto tedesca, legata all’ermeneutica, ossia la c.d. “scienza della cultura”.

Il punto fondamentale, in fondo abbastanza banale, è questo: “La cultura costituzionale esige piuttosto un minimo di continuità e di chances di oggettivazione, è l’esito del lavoro costituente di più generazioni. Quanto alla sostanza, il concetto (ancora da chiarire) della “cultura politica” ha un più marcato riferimento al processo politico, intendendo le basi culturali del comportamento democratico. La cultura costituzionale è più ampia e include tutte le basi culturali di una comunità costituita che sono rilevanti per la sua costituzione, anche in quelle parti che non si riferiscono ai meccanismi di investitura, esercizio e controllo del potere politico.” (P. Häberle, Per una dottrina della costituzione come scienza della cultura, Carocci, Roma, 2001, pag. 39).

Ossia le costituzioni democratiche non spuntano come funghi nel bosco, ma sono il frutto di un impegno autoriflessivo, talvolta assai conflittuale, che si estende su un arco di tempo comprendente più generazioni di una comunità, che è a sua volta calata in una civiltà con alcuni secoli di storia, anche giuridica, alle spalle. Questa profondità storica fornisce i materiali per una altrettanto profonda autoriflessione collettiva, purché ovviamente essi vengano conservati e criticamente studiati.

 

2.1. Di nuovo, e non casualmente, il riferimento agli antichi può fornirci qualche spunto utile:

La creazione di un tempo pubblico non è meno importante d’una simile creazione di uno spazio pubblico. Per tempo pubblico non intendo l’istituzione d’un calendario, d’un tempo “sociale”, d’un sistema di riferimenti temporali sociali – cosa che, naturalmente, esiste dovunque – ma l’emergere di una dimensione in cui la collettività possa esplorare il suo passato in quanto risultato delle proprie azioni, e in cui si apra un avvenire indeterminato come campo delle sue attività. Questo e davvero il senso della creazione della storiografia in Grecia. E sorprendente che, rigorosamente parlando, la storiografia non sia esistita che in due soli momenti della storia dell’umanità: in Grecia antica e nell’Europa moderna, cioè nelle due società dove si e sviluppato un movimento di messa in discussione delle istituzioni esistenti. Le altre società non conoscono che il regno incontrastato della tradizione e/o la semplice “consegna per iscritto degli avvenimenti” effettuata dai sacerdoti o dai cronisti dei re. Erodoto, al contrario, dichiara che le tradizioni dei greci non sono degne di fede. Il gesto dello scrollarsi di dosso la tradizione e la ricerca critica delle “vere cause” vanno naturalmente di pari passo. E questa conoscenza del passato e aperta a tutti: Erodoto, si narra, leggeva le sue Storie ai greci riuniti in occasione dei Giochi olimpici (se non e vero è ben trovato). E la “Orazione funebre” di Pericle contiene una carrellata sulla storia degli ateniesi dal punto di vista dello spirito delle generazioni successive – sintesi che arriva fino al tempo presente e che indica con chiarezza nuovi compiti per l’avvenire.” (C. Castoriadis, L’enigma del soggetto, Edizioni Dedalo, Bari, 1998, pag. 214).

Si tratta a ben vedere di un aspetto particolare di quel concetto generale, apparentemente un po’ oscuro, che l’idealismo tedesco e Marx definivano Gattungswesen, ossia “vita di specie”, e che Rawls (Lezioni di storia della filosofia politica, Feltrinelli, Milano, 2009, s.p.) mi pare sia riuscito spiegare con apprezzabile chiarezza: “gli esseri umani sono un genere – o specie – naturale particolare nel senso che essi producono e riproducono collettivamente le condizioni della loro vita sociale nel corso del tempo. Ma, allo stesso tempo, le loro forme sociali si evolvono storicamente secondo una certa sequenza fino a che alla fine si sviluppa una forma sociale che è più o meno adeguata alla loro natura di esseri attivi e razionali, i quali, per così dire, creano, operando assieme alle forze della natura, le condizioni della loro completa auto-realizzazione sociale. L’attività attraverso la quale si realizza questa espressione è un’attività di specie: cioè, è l’opera cooperativa di molte generazioni ed è portata a termine solo dopo un lungo periodo di tempo. In breve: è il lavoro della specie nel corso della sua storia.

 

 

  1. Se la privazione della storia costituisce quindi una forma di alienazione, la notiziadi una sua diminutio nelle tracce della prima prova scritta dell’esame di maturità (comunque recuperabile nelle tracce della tipologia B, il saggio argomentativo) non può che dispiacere, ma l’enfasi di cui è stata fatta oggetto rischia di minimizzare la gravità di una situazione di emarginazione che è l’effetto di scelte pluridecennali.

I dati relativi alla presenza di storici nell’Università lasciano spazio a pochi dubbi: “Tra docenti e ricercatori, negli ultimi due decenni c’è stato un tracollo di insegnamenti storici. I medievisti sono oggi 156: erano 240 nel 2001. I modernisti scendono da 368 a 225, mentre nello stesso periodo la storia contemporanea ha perso 89 professori (da 462 a 373). «Ci siamo ridotti a una riserva indiana», sintetizza Emilio Gentile, uno dei grandi maestri di storia ora in pensione.” Manca il dato degli antichisti, ma ho il sospetto che sia se possibile ancora più allarmante.

Non so se negli ultimi anni abbiate avuto occasione di parlare con ragazzi delle superiori. Nel caso, avrete forse avuto occasione di verificarne la spaventosa ignoranza della storia, nazionale e non: il passato viene percepito come una sfocata e inintelligibile melassa in cui vagano Costantino, Napoleone e Mussolini, in disordine sparso.

Non è un caso che il tema storico sia stato negli anni il meno scelto dagli studenti: “solo lo 0,6% ha affrontato il tema sulle foibe nel 2010; il 4,7% si è cimentato su Hannah Arendt e lo sterminio degli ebrei nel 2012; l’1,3% dei candidati nel 2013 ha scelto il tema sui Brics e il 3,8% nel 2014 ha affrontato la comparazione tra l’Europa del 1914 e quella del 2014.” (sulla predominanza della memoria, piuttosto che sulla vera e propria storia, nei titoli, dovremo tornare).

Difficile pensare che fenomeni del genere non si inquadrino in un disegno più ampio.

Indizi vanno come sempre cercati prima di tutto nell’avamposto del neoliberismo, ossia gli Stati Uniti.

 

 

  1. Questo articolodi Patrick Deneen, docente di political theory presso la prestigiosa University of Notre Dame, mi pare offra spunti di riflessione preziosi. L’autore è un conservatore, ma questo non toglie nulla alla pertinenza della sua analisi, anzi: la provenienza sociale e ideologica conferiscono una particolare credibilità alla critica di un economicismo senza politica perché senza storia.

Ve ne traduco alcuni brani: “I miei studenti sono degli ignoranti. Sono assai simpatici, piacevoli, affidabili, per lo più onesti, benintenzionati e senz’altro per bene. Ma i loro cervelli sono in gran parte vuoti, privi di qualsiasi conoscenza sostanziale che possa considerarsi il frutto di un’eredità o di un dono delle generazioni precedenti. Sono il culmine della civiltà occidentale, una civiltà che ha dimenticato le sue origini e i suoi obiettivi e, di conseguenza, ha raggiunto un’indifferenza quasi totale riguardo a se stessa.

E’ difficile essere ammessi nelle scuole dove ho insegnato, Princeton, Georgetown e ora Notre Dame. Gli studenti di queste istituzioni fanno ciò che è loro richiesto: sono eccellenti risolutori di test, sanno perfettamente cosa bisogna fare per ottenere una A in ogni corso (ossia raramente si appassionato e si applicano a una qualsiasi materia), costruiscono curricula perfetti. Sono rispettosi e cordiali con gli adulti, accomodanti, anche se rozzi (come rivelano frammenti di conversazioni), con i loro pari. Rispettano la diversità (senza avere la minima idea di cosa sia) e sono esperti nell’arte del non giudicare (almeno in pubblico). Sono la crema della loro generazione, i signori dell’universo, una generazione che aspetta di dirigere l’America e il mondo.

Provate però a far loro qualche domanda sulla civiltà che erediteranno e preparatevi a sguardi sfuggenti e preoccupati. Chi ha combattuto le guerre persiane? Qual era la posta in gioco nella battaglia di Salamina? Chi fu il maestro di Platone e chi i suoi allievi? Come è morto Socrate? Alzi la mano chi ha letto sia l’Iliade che l’Odissea. I racconti di Canterbury? Paradiso perduto? L’Inferno?

Chi era Paolo di Tarso? Cos’erano le 95 tesi, chi le aveva scritte e quale ne fu l’effetto? Qual è l’importanza della Magna Carta? Dove e come morì Thomas Becket? Cosa accadde a Carlo I? Chi era Guy Fawkes e perché esiste un giorno a lui dedicato? Cosa accadde a Yorktown nel 1781? Cosa disse Lincoln nel suo secondo discorso di insediamento? Nel primo? Chi sa menzionarmi uno o due argomenti avanzati nel n. 10 del Federalista? Chi l’ha letto? Che cos’è il Federalista?

E’ possibile che alcuni studenti, grazie a casuali scelte dei corsi o a qualche eccentrico insegnante all’antica, conosca la risposta ad alcune di queste domande; ma molti studenti no, e nemmeno a domande simili, perché non sono stati formati per conoscerle. Nella migliore delle ipotesi possiedono conoscenze casuali, ma altrimenti sguazzano nell’ignoranza sistematica. Non vanno incolpati per la loro profonda ignoranza di storia, politica, arte e letteratura americana e occidentale: è il marchio distintivo della loro formazione. Hanno imparato esattamente ciò che è stato richiesto loro: essere come efemere, vivi per caso in un presente fugace.

L’ignoranza dei nostri studenti non è un difetto del nostro sistema educativo: è il suo coronamento. Gli sforzi di diverse generazioni di filosofi e riformatori ed esperti di politiche pubbliche di cui i nostri studenti (e molti di noi) non sanno nulla si sono combinati per produrre una generazione di ignoranti. La pervasiva ignoranza dei nostri studenti non è un semplice accidente o un risultato sfortunato ma correggibile, solo che assumessimo migliori insegnanti o variassimo la lista di letture al liceo. 

Abbiamo preso la brutta e acritica abitudine di ritenere che il nostro sistema educativo sia guasto, ma in realtà marcia a tutto vapore: ciò che intende produrre è amnesia culturale, una totale mancanza di curiosità, agenti indipendenti privi di storia e obiettivi educativi organizzati come processi senza contenuto, con un uso acritico di parole chiave come “pensiero critico”, “diversità”, “modi di conoscere”, “giustizia sociale” e “competenza culturale”. I nostri studenti costituiscono il risultato di un impegno sistematico a produrre individui senza un passato, per cui il futuro è terra straniera, numeri senza cultura in grado di vivere ovunque e svolgere qualsiasi tipo di lavoro, senza farsi domandi sui suoi scopi o fini, strumenti perfetti per un sistema economico che esalta la “flessibilità” (geografica, interpersonale, etica). In un mondo del genere, possedere una cultura, una storia, un’eredità, un impegno verso un luogo e persone particolari, forme specifiche di gratitudine e di riconoscenza (piuttosto che un impegno generalizzato e senza radici verso la “giustizia sociale”), un forte insieme di principi etici e norme morali che affermano limiti definiti a ciò che si dovrebbe o si dovrebbe non fare (a parte “non giudicare”) sono ostacoli e handicap. Indipendentemente dall’indirizzo o corso di studi, il principale obiettivo della moderna educazione è di piallar via ogni residuo di specificità e identità culturale o storica che potrebbe ancora restare attaccata ai nostri studenti, per renderli perfetti impiegati per una politica ed economia moderne che penalizzano impegni profondi. Gli sforzi volti in primo luogo a promuovere l’apprezzamento per il “multiculturalismo” sono sintomo di un impegno a svuotare qualsiasi particolare identità culturale, mentre l’attuale moda della “differenza” segnala un impegno totale alla deculturazione e omogeneizzazione.

[…]

Con la percezione che un sistema economico globalizzato richiedeva lavoratori sradicati che potessero vivere ovunque e svolgere qualsiasi compito senza porsi domande sui relativi obiettivi ed effetti, il compito principale dell’istruzione divenne instillare certe disposizioni, piuttosto che una cultura ben fondata: flessibilità, tolleranza, “competenze” prive di contenuto, astratte “forme di apprendimento”, elogio per la “giustizia sociale”, anche nel contesto di un’economia in cui “il vincitore si prende tutto” [winner-take-all economy], e un feticismo per la differenza che lasciava senza risposta il perché tutti ricevessero la stessa educazione in istituzioni indistinguibili. All’inizio questo ha significato lo svuotamento delle peculiarità locali, regionali e religiose in nome dell’identità nazionale; ora quella delle specificità nazionali in nome di un cosmopolitismo globalizzato che richiede il deliberato oblio di ogni trattato culturalmente caratterizzante. L’incapacità di rispondere a domande banali sull’America o l’Occidente non è la conseguenza di una cattiva educazione, ma il segno di un successo educativo.

Soprattutto l’unica lezione che gli studenti ricevono è quella di considerare se stessi individui radicalmente autonomi in un sistema globale fondato su un comune impegno alla reciproca indifferenza. E’ questo impegno che ci lega come popolo globale. Ogni residuo di cultura comune interferirebbe con questo imperativo primario: una cultura comune implicherebbe che condividiamo qualcosa di più denso, un’eredità che non abbiamo creato e un insieme di impegni che implicano limiti e lealtà particolari. La prassi e la filosofia antiche hanno elogiato la “res publica”, una devozione verso gli affari pubblici, ciò che condividiamo; noi abbiamo invece creato la prima “res idiotica” mondiale, dal termine greco “idiotés”, ossia individuo.

Si conferma così l’osservazione di Castoriadis: la cancellazione della storia è del tutto funzionale alla obliterazione della politica, alla possibilità di pensare il futuro in una dimensione collettiva che trascenda l’appiattimento

 

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STORIA

AGO 9, 2018

Scandalosa Lola Montez: la Ballerina che fece abdicare Ludwig I di Baviera

di ANNALISA LO MONACO

Fu ben chiaro dai suoi primi anni di vita che Eliza Gilbert non avrebbe preso ordini da nessuno. Ribelle, indisciplinata e incorreggibilmente bugiarda: la futura Lola Montez dimostrò la pasta di cui era fatta da quando era solo una bambina.

Il ritratto di Lola Montez commissionato da Ludwig I

https://www.vanillamagazine.it/scandalosa-lola-montez-la-ballerina-che-fece-abdicare-ludwig-i-di-baviera/

 

Eliza Rosanna Gilbert era nata in Irlanda nel 1821, da un ufficiale britannico, Edward Gilbert, e dalla figlia illegittima di un ricco irlandese, Elizabeth Oliver. Come Lola Montez, Eliza amava raccontare di essere nata nel 1818, da una ballerina spagnola, mentre il padre era un torero, o talvolta addirittura Lord Byron.

Prima di diventare una delle cortigiane più famose d’Europa, Eliza aveva dimostrato tutto il suo spirito d’indipendenza. I genitori si trasferirono in India nel 1823, dove il padre morì quasi subito di colera. La giovanissima vedova si risposò poco dopo con un altro ufficiale, che faticava ad accettare il carattere indocile di Eliza. La bambina fu quindi rispedita, sola, in patria, ad appena sei anni, per essere educata dai genitori del patrigno, che non ne vennero a capo. A 16 anni, dopo aver cambiato diverse scuole, la madre pensò bene di organizzarle un matrimonio con “un vecchio furbo gottoso di sessant’anni”, ma lei scappò con un tenente, Thomas James, che si rivelò violento e infedele. Il matrimonio finì dopo cinque anni, e il marito accusò Eliza di adulterio, consumato con un uomo durante il viaggio di ritorno da Calcutta in Inghilterra.

Tornò a Londra da sola per reinventarsi una vita:

debuttò nel 1843 come Lola Montez, ballerina spagnola

 

Qualcuno però la riconobbe come la signora James, e lei fu costretta a lasciare l’Inghilterra, accusata di frode. L’aspettava Parigi e il resto d’Europa, dove la sua carriera di ballerina non decollava, nonostante la scandalosa “danza del ragno”, mentre cresceva il numero dei suoi amanti: da Franz Liszt a (pare) Alexandre Dumas, e poi Chopin e lo scrittore Mérimée.

Quando però morì, ucciso in un duello, il suo grande amore Alexandre Dujarrier, Lola decise di trasferirsi in Germania. Ed è a Monaco di Baviera che Lola fece il colpo grosso: incantò il Re Ludwig I di Baviera, che ne fece la sua amante. Lei aveva 25 anni, lui 60. In breve tempo, l’influenza di Lola sul sovrano rese entrambi impopolari: lui la fece diventare contessa, e attuò delle riforme suggerite da lei. Ma i bavaresi si ribellarono e alla fine costrinsero Ludwig a espellerla.

Il risultato fu che il Re abdicò poco dopo in favore del figlio

 

Intanto Lola era tornata a Londra, dove si sposò con un ufficiale di cavalleria che aveva da poco ricevuto un’eredità. I due furono costretti a fuggire, perché Lola risultò essere bigama: il divorzio da James aveva come clausola l’impegno a non risposarsi. La relazione si concluse nel giro di due anni, e il povero George Heald morì in circostanze mai chiarite, forse annegato.

Nel 1851 Lola, che in Europa aveva ormai esaurito il suo fascino, decise di ricominciare nuovamente da capo: nel 1851 partì per gli Stati Uniti, dove la sua scandalosa “danza del ragno” (si sollevava le gonne cercando di schiacciare

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