NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 26 APRILE 2019 SPECIALE 25 APRILE DOPO IL 25 APRILE

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NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 26 APRILE 2019 SPECIALE 25 APRILE DOPO IL 25 APRILE

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

“Resistenza, un mito falso, una lotta fratricida tra i residuati fascisti e le forze partigiane,

di cui l’80 per cento si batteva (quasi mai contro i tedeschi)

sotto le bandiere d’un partito a sua volta al servizio d’una potenza straniera”
Indro Montanelli, un genio, acuto e realista.

Chi inneggia alla resistenza o ha studiato poco o è in malafede.

 

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Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

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SOMMARIO

I somali ed altri africani hanno partecipato alla resistenza!

Costanzo Preve. Il mio antifascismo 1

Il 25 aprile, per non dimenticare. Nessuno! 1

La Comunità ebraica all’Anpi- “No alle revisioni della storia” 1

La levatrice bruciata il 25 aprile

Jolanda Crivelli, uccisa dai partigiani e lasciata giorni appesa a un albero 1

CODEVIGO, UNA MEMORIA SCOMODA. 1

Ravenna: attacco a Boldrini, “è il boia di Codevigo” 1

Le marocchinate

Corteo 25 Aprile invoca più morti italiani: “10, 100, 1000 Nassirya” – VIDEO. 1

25 aprile, a Milano insulti alla Brigata ebraica: “Assassini e terroristi” 1

Modena devastata da manifestanti del 25 Aprile – FOTO CHOC. 1

L’antifascismo oggi: il declino grottesco di chi sa solo prendersela coi cadaveri 1

Non celebro il 25 aprile, minacce ad un sindaco

Ecco la storia delle ausiliarie di guerra stuprate ed uccise dai partigiani. 1

Perché non celebro il 25 aprile 1

La lezione del 25 aprile 1

Nordio: “Un nuovo fascismo alle porte? È una colossale sciocchezza” 1

Quelli che credono …

Malaparte e l’inferno umano de “La Pelle” 1

L’amnistia del 1946 e la doppiezza di Togliatti 1

L’amnistia di Togliatti, 70 anni fa 1

25 Aprile tra tradizione e polemiche 1

25 APRILE. QUALE LIBERAZIONE. 1

25 aprile e le menzogne   Qui sono riportate alcune delle stragi COMPIUTE DAI “LIBERATORI” NELLE “GLORIOSE” GIORNATE DEL 25 APRILE 1945

 

 

 

 

EDITORIALE

I somali ed altri africani hanno partecipato alla resistenza!!!

Ma la brigata ebraica viene insultata e schifata

Il Tg3 alle ore 19,30 del 25 aprile 2019 diffonde la notizia che i somali ed altre formazioni di africani hanno fatto parte della resistenza! Nel contempo, i pasdaran della verità storica del dopoguerra italiano decidono anche quest’anno di emarginare e schifare il contributo della Brigata ebraica alla resistenza.

Sono questi i miracoli del neomaccartismo quadrisex antifa imperante! Una bolla mediatica che nessuno ha il coraggio di estirpare con la giusta determinazione e decisione, forse perché ad impedirlo sussistono innominabili ed occulti ricatti incrociati fra le forze politiche?

La disinformazione di regime ci regala generosamente una estesa e collosa melassa retorica su eventi che non hanno ancora avuto la giusta trattazione al di fuori del blocco ideologico monopolista degli eredi della opzione Togliatti.

Il minuscolo drappello di storici e di giornalisti che hanno iniziato a farlo sono stati minacciati, sparati alle gambe, insultati, esclusi dal circo mediatico dominante, ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc.

Ancora permane la mano di ferro censoria sulla interpretazione dei fatti storici avvenuti nel nostro martoriato Paese dopo la fine del fascismo da parte di coloro che si sono arrogati – senza averne il permesso – la superiorità morale rispetto a tutti coloro che vanno sterminati perché non-la-pensano-come-loro.

Ancora sono accuratamente occultate le immense sofferenze inflitte alla popolazione inerme da parte dei marocchini dell’esercito francese, degli inglesi, degli USA che continuarono a sganciare bombe anche dopo l’armistizio. Sempre gli USA sono quelli che ci hanno “liberato” impiantando sul nostro territorio ben 164 basi militari e atomiche a cui si aggiungono le gigantesche parabole installate a Niscemi in Sicilia per la guerra elettronica contro l’area est dell’Europa.

Contrariamente alla vulgata appiccicosa e fuorviante della retorica diffusa con abilissima e martellante solerzia dalla pseudo classe intellettuale italiana, il 25 aprile è una data che genera fratture non unità nel Paese.  Le ferite non si rimarginano con l’oblio studiato a tavolino, con la retorica, le ferite guariscono con la ricerca della verità storica che dia voce alla vastissima parte del Paese che fu vittima delle atrocità dei cosiddetti “liberatori”, tenuto conto del fatto che il fascismo e le armate tedesche furono scalzate dalla “preponderante superiorità bellica degli Stati Uniti” (così disse all’incirca Badoglio in una drammatica comunicazione radiofonica).

Va notato tuttavia che ad ogni anno che passa, nei confronti di questa controversa “celebrazione” esiste una ostilità che nasce dalla crescente esigenza della popolazione di sapere come sono andate le vicende. Si sente l’urgenza di aprire i cassetti e discutere senza blocchi ideologici e oltre la censura criminale e vigliacca dei monopolisti delle verità storiche. Si rende necessario discutere delle sofferenze inflitte su coloro che stavano-dalla-parte-sbagliata: cioè di chi ha perso il conflitto. Qui a morale non è la determinante analitica.

Va detto a chiare lettere che, dopo la caduta del fascismo, è partita una lunga sequenza di violenze contro la popolazione il sui scopo è stato quello di arricchirsi sulle loro spoglie, di esercitare centinaia e migliaia di stupri come arma prima di guerra e di vendetta poi. Sarebbe molto interessante indagare sulla nascita di improvvise ricchezze emerse nel dopoguerra e a quale schieramento appartennero i fetidi avvoltoi.

Alto che riscatto ideologico! Altro che “liberazione”!

La guerra e il dopoguerra sono strumenti di rivoluzione sociale, non di giustizia.

Sulla liberazione dell’Italia infine, c’è molto da eccepire. Siamo diventati il satellite di una potenza mondiale che ha esercitato il suo potere attraverso la pressione militare prima e del golpismo come metodo di sovversione del pianeta.

Come nello stile italiano, sapremo qualcosa di decente fra 50-100 anni, come ancora accade con i fatti di Ustica, con la morte di Moro, con Enrico Mattei, con Gabriele Cagliari, con Borsellino, con il generale Dalla Chiesa, con le oscure vicende di Bruno Contrada, ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc.

VIVA LA EX-ITALIA “LIBERATA” E POI RIOCCUPATA!

 

Ne riparleremo noiosamente ma pervicacemente anche il prossimo anno …

 

 

 

IN EVIDENZA

Costanzo Preve. Il mio antifascismo

25 aprile 2013

 

La resistenza 1941-1945 fu un fenomeno europeo, e fu un fenomeno storicamente più che legittimo, perché se qualcuno ti invade, non importa con quale motivazione (esempio Afghanistan 2001, Iraq 2003) e ti invade con l’esercito, ti affama con la marina e ti bombarda con l’aviazione, il sacrosanto diritto internazionale dei popoli giustifica pienamente la resistenza. La ragione per cui io legittimo integralmente la resistenza armata dei popoli invasi militarmente dai Tedeschi e dagli Italiani (Francia, Norvegia, Belgio, Olanda, Albania, Grecia, Jugoslavia, Polonia, URSS e mi scuso se ho dimenticato qualcuno) è esattamente la stessa ragione per cui io legittimo integralmente la resistenza armata dei popoli invasi militarmente oggi dagli americani e dai loro fantocci NATO (Afghanistan, Iraq ecc.). Il fatto che l’estrema “destra” (non parlo di quella addomesticata e parlamentare) sia favorevole alla seconda e contraria alla prima, mentre la “sinistra” (intendo quella parlamentare-sarcastica do D’Alema e quella parlamentare-buonista di Veltroni) sia favorevole retroattivamente alla prima e contraria alla seconda riguarda non me, che non appartengo né all’una né all’altra tribù e me ne tengo lontano come i gatti dall’acqua, ma riguarda esclusivamente le due tribù sopraindicate.

L’Italia è una cosa diversa. L’Italia non era stata invasa e umiliata (come la Norvegia, la Grecia, l’Albania, la Jugoslavia ecc.). L’Italia fascista aveva invaso e umiliato. A partire però dalla fine del 1942 e dall’inizio del 1943 cominciarono i bombardamenti, e si fece strada l’idea che Mussolini avesse fatto un azzardo imprevidente ed avesse scelto non tanto l’alleato più “cattivo”, quanto l’alleato sbagliato, cioè il futuro “perdente”. A questo punto l’adesione passiva del 90% al regime fascista diventò l’adesione attiva ad esso del 20% (non sono uno storico, e sono costretto a fare queste valutazioni “ad occhio”). Ancora alla fine del 1942 Giorgio Bocca tuonava contro il complotto giudaico-massonico, mentre alla fine del 1943 era già partigiano sulle montagne di Cuneo. Solo un romanziere di fantapolitica potrebbe immaginare cosa sarebbe successo se Mussolini avesse firmato un trattato di pace da vincitore nel novembre 1940, con le sue poche “migliaia di morti” da gettare sul tavolo della pace. La resistenza italiana, quindi, è prima di tutto frutto dei bombardamenti e della sconfitta, e questo è un fatto che non ha nulla a che vedere con la valutazione delle motivazioni morali e politiche sia dei resistenti sia di coloro che si schierarono dalla parte dei “perdenti”.

Salandra e Sonnino avevano fatto un azzardo golpista ed extraparlamentare nel 1915, e gli era andata bene, perché si erano messi con i vincitori. Mussolini aveva fatto un azzardo analogo, che non era golpista ed extraparlamentare, perché il parlamento lo aveva già sciolto fra il 1925 e il 1926, e pagò questo azzardo con Piazzale Loreto. Per quanto mi riguarda, la storia della Seconda guerra mondiale in Italia si riduce a questo. Ficcarci dentro la libertà e il totalitarismo, l’umanità e la disumanità, la civiltà e la barbarie, la destra e la sinistra, il marxismo e il liberalismo ecc. ecc. è cosa che sinceramente non mi interessa. Perché tenersi il Kenia è libertà e tenersi l’Etiopia è totalitarismo? Perché tenersi il Vietnam e l’Algeria è libertà e tenersi la Libia e l’Eritrea è totalitarismo? Perché Auschwitz non si può fare ed invece Hiroshima si può fare?

È questa una catena dei perché (l’espressione è di Franco Fortini) che il Politicamente Corretto dell’ultimo mezzo secolo ha sistematicamente non solo rimosso, ma addirittura reso illegittimo. E questo non è un caso, perché il contenzioso ideologico-simbolico della Seconda guerra mondiale è servito anche per la terza, così come si può mangiare, riscaldandola, la minestra avanzata della sera prima.

Ripetiamolo, perché non ci siano equivoci. Chi scrive ritiene integralmente legittima la resistenza antifascista europea, ivi compresa quella italiana, così come ritiene sincere le motivazioni soggettive di coloro che scelsero il campo dei perdenti. E tuttavia ritiene chiuso questo episodio storico, e non chiuso in parte, ma chiuso del tutto. Oggi, e ripeto, oggi, mi interessa il modo in cui la gente si posiziona idealmente in questa quarta guerra mondiale in corso.

[…]

C’è in realtà una cosa, una cosa sola, che personalmente non perdono a Benito. Il fatto che abbia messo in divisa gli Italiani facendoli sfilare non mi fa né caldo né freddo, dal momento che gli Italiani sono stati d’accordo in maggioranza a farsi trattare in questo modo. È sempre possibile emigrare, e quando non è possibile per ragioni di famiglia, lavoro, salute ecc., è sempre possibile ripiegare in uno stato di esilio interno della coscienza, come è il mio caso soprattutto dopo il 1999 e la guerra assassina contro la Jugoslavia. In fondo, il mio rapporto con i miserabili faccioni dei politici televisivi non è poi molto diverso dal rapporto che gli antifascisti avevano negli anni Trenta con i cinegiornali, anche se ammetto apertamente che la libertà di espressone fa la differenza fra Prodi, Berlusconi e D’Alema, da un lato, e Starace, Baldo e Bottai dall’altro in favore dei primi. I primi peraltro mandano truppe a massacrare per conto terzi (USA in particolare) gli Jugoslavi, gli Afghani e gli Iracheni, mentre i secondi mandavano truppe per massacrare Libici, Etiopici, Greci e Jugoslavi. Ed è proprio questo che non sopporto nel

 

Continua qui: https://www.facebook.com/notes/costanzo-preve/costanzo-preve-il-mio-antifascismo/10151684589578646/

 

 

Il 25 aprile, per non dimenticare. Nessuno!

www.ilgiornaledelmolise.it

di Angelo Persichilli

Il 25 aprile è la Festa della Liberazione, festa importante per celebrare la liberazione dell’Italia dalla dittatura fascista. Ho sempre festeggiato tale ricorrenza e continuerò a farlo, ma credo che siano necessarie alcune puntualizzazioni.

Primo, bisogna smetterla di usare la Festa della Liberazione per fare politica partitica;

Secondo, bisogna evitare che alcune organizzazioni si approprino di tale ricorrenza storica ignorando TUTTI gli altri che si immolarono per difendere democrazia e libertà;

Terzo, la lotta per la Liberazione dell’Italia dal fascismo finì il 25 aprile del 1945, ma la lotta per mantenerla libera e democratica è continuata ancora per qualche decennio.

Questa seconda lotta, non militare ma politica, meno cruenta ma certamente non meno importante, è cominciata il 26 aprile e continuata per alcuni decenni al fine di evitare che l’Italia democratica rischiasse di finire dalla padella fascista nella brace comunista.

I partiti antifascisti, confluiti nel CNL (Comitato Nazionale di Liberazione), gestirono le fasi di transizione tra dittatura e democrazia per alcuni anni. Fu un periodo di attesa, confuso, ma i maggiori leader dell’epoca avevano le idee molto chiare: Alcide De Gasperi voleva mantenere l’Italia in quello che sarebbe diventato nel 1949 il Blocco della Nato, mentre Palmiro Togliatti voleva tirarla dentro quello che poi si è rivelato l’inferno sovietico.

Le elezioni più importanti della storia repubblicana italiana furono quelle del 18 aprile del 1948, le prime dopo l’approvazione della nuova costituzione. Se nelle elezioni del 1948 avesse vinto il partito di Togliatti, l’Italia avrebbe fatto la fine della Polonia, Ungheria, Germania comunista.

Celebriamo quindi il 25 aprile, la Festa della Liberazione dal fascismo, ma ho qualche riserva farlo insieme a persone e organizzazioni che hanno nei decenni successivi lavorato per difendere e supportare la dittatura criminale di Giuseppe Stalin riciclandosi oggi come difensori della libertà e della democrazia.

Non mi riferisco certo a quei comunisti alla Peppone di Giovannino Guareschi. Quelle sono brave persone che hanno sinceramente creduto e lottato per una Italia migliore. Non mi riferisco nemmeno al famoso Nicoletti, ovvero Giuseppe Di Vittorio, e tanti che come lui si batterono per difendere gli operai dagli eccessi del capitalismo che, di sicuro, non è una organizzazione di beneficenza gestita da Madre Teresa.

Mi riferisco invece ai leader del Partito Comunista, e in particolare a Palmiro Togliatti, che tentarono di usare il lavoro di queste persone per portare l’Italia dalla dittatura fascista a quella comunista. Bisogna aspettare l’arrivo di Enrico Berlinguer per fare uscire il Partito Comunista Italiano dall’orbita sovietica. Ma fu un lavoro che, purtroppo, fu lasciato a metà per la scomparsa del leader eurocomunista.

È il momento di completare l’opera iniziata da Berlinguer, prima che altri comincino a riciclare quella di Togliatti.

Se a distanza di tre quarti di secolo è giusto continuare a ricordare i crimini nazifascisti e celebrare la loro sconfitta, è giunto ora il momento di non ignorare più nemmeno coloro che in Italia appoggiarono e coprirono le stragi della dittatura sovietica e osannarono il criminale Giuseppe Stalin.

Ultimamente alcuni scendono in piazza usando l’antifascismo per mantenere in vita un ideale che li ha traditi. Sia ben chiaro, il comunismo è finito sotto il peso dei crimini commessi e soprattutto schiacciato dai fallimenti storici di carattere economico, sociale e politico ovunque si sia tentato di attuarlo (ma di questo ne riparleremo). Ma se è finito il comunismo, qualche nostalgico comunista è rimasto aggrappandosi a qualsiasi scusa per ricreare un movimento pre-Berlinguer, fallito per sempre.

I seguaci di Togliatti dell’altro secolo avevano l’attenuante di non sapere cosa succedesse oltre cortina. Non sapevano né dei crimini di Stalin, né del fallimento di una ideologia che non è riuscita ad andare al di la di slogan

Continua qui: http://www.ilgiornaledelmolise.it/2019/04/16/il-25-aprile-per-non-dimenticare-nessuno/

 

 

 

 

 

 

La Comunità ebraica all’Anpi- “No alle revisioni della storia”

Il 25 aprile tra divisioni e polemiche. Doppia manifestazione a Roma. La Boschi attacca l’Anpi: “Chi esclude la Brigata ebraica nega la storia”

Ginevra Spina – Mar, 25/04/2017

Una Festa della Liberazione sempre più divisa: da una parte la Comunità ebraica, dall’altra l’Anpi assieme ai palestinesi.

Quest’anno ebrei e partigiani non marceranno insieme. Una frattura già di per sé grave, che ora viene accentuata dalle parole della presidente della Comunità ebraica, Ruth Dureghello.

Il 25 aprile è una festa “di unità e condivisione di valori che non possiamo ammettere venga tradita da una ricostruzione pariale e impropria della storia”, ha affermato la Dureghello dal Museo della liberazione di via Tasso, dove si sta svolgendo la manifestazione della Brigata Ebraica.

“Non possiamo ammettere – ha aggiunto – che la storia venga rivista nei suoi valori fondamentali e nei principi che oggi vogliamo soltanto ribadire insieme a voi e a chi come noi di questo vuole fare il suo monito per il futuro”. Dureghello ha ringraziato i responsabili del Museo, “luogo di tortura, di sofferenza, ma anche di forte resistenza”, e ha ribadito: “La memoria è una sola e la rivendichiamo con orgoglio perchè siamo fieri di essere non solo ebrei ma in questo giorno soprattutto italiani”.

“Mai a Roma con i palestinesi”

La divisione è stata causata dall’adesione della rete romana di solidarietà con la Palestina, una delle organizzazioni che da anni si batte per la questione palestinese, alla marcia dell’Anpi. Per questo motivo la Comunità ebraica ha deciso di non sfilare affianco dei partigiani nella Capitale, ma di organizzare una propria manifestazione.

“Noi da qui gridiamo forti e uniti che vogliamo stare insieme, ma vogliamo starci nella verità e nella storia che fu. Gli ebrei della Brigata ebraica giunsero in Italia dall’allora Palestina e sconfissero le truppe nemiche e si organizzarono e aiutarono la Resistenza”, ha spiegato il presidente della Comunita Ebraica di Roma nel corso della celebrazione per la ricorrenza del 25 Aprile della Brigata ebraica presso l’Oratorio di San Sisto, dove è custodita una lapide che ricorda la formazione militare.

“Non è una scelta facile la scelta della verità – ha concluso – ma noi non vogliamo fare la scelta della revisione della storia. Chiediamo solo di fare una scelta: dire chi allora erano i liberatori e chi gli alleati di Hitler. Chiediamo loro di dire allora con chi sarebbero stati dalla parte dei liberatori o da quella del Gran Mufti di Gerusalemme, che era alleato con Hitler”.

Anche il Pd diserta

In risposta alla polemica sulla partecipazione della rappresentanza palestinese e la conseguente esclusione degli ebrei italiani, per la prima volta il Partito Democratico ha deciso di non festeggiare la Liberazione assieme all’Anpi. Al contrario, alcuni esponenti del pd e del governo, come Maria Elena Boschi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, hanno partecipato alla manifestazione indetta dalla Comunità ebraica per ricordare il sacrificio della Brigata ebraica.

Ieri, lo stesso Matteo Renzi ha affermato: “A Roma ha ragione la Brigata ebraica: se dobbiamo dire un grazie il 25 aprile lo dobbiamo dire agli italiani di religione ebraica che hanno subito la vergogna delle leggi razziali e hanno combattuto per liberare l’Italia. Dobbiamo dire scusa e grazie agli italiani di religione ebraica. Oggi gli eredi della Brigata ebraica sono messi all’angolo a Roma e questo è un errore. Ogni volta che si avvicina il 25 aprile rileggo qualche lettera dei Condannati a morte della Resistenza. E mi vengono i brividi”.

Maria Elena Boschi

“Noi siamo qui non contro qualcuno, ma per dire grazie a chi ha combattuto per la libertà. In tempi di post verità e fake news, la verità non è un optional ma un elemento fondamentale – ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi, parlando dal palco della celebrazione organizzata dalla Comunità ebraica di Roma di fronte all’Oratorio di Castro per ricordare la Brigata ebraica – Diciamo grazie alla Brigata ebraica per aver lottato per la libertà: il profeta Isaia dice che il Signore darà anche l’Egitto in

 

Continua qui: http://www.ilgiornale.it/news/cronache/brigata-ebraica-ammonisce-lanpi-non-permettiamo-revisione-1389575.html

 

 

 

 

STORIA

La levatrice bruciata il 25 aprile

Talina Zonne – 25 aprile 2019

 

A Trausella (TO) i Partigiani Rossi prelevarono la levatrice assassinandola tra tormenti atroci avendole tamponato i genitali con ovatta impregnata di benzina, a cui appiccarono il fuoco, rinnovando l’orrenda combustione con altri tamponi infiammati.

25 aprile

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Jolanda Crivelli, uccisa dai partigiani e lasciata giorni appesa a un albero

 

giovedì 27 aprile – di Antonio Pannullo

Il 25 aprile abbiamo assistito a centinaia di celebrazioni da parte delle istituzioni per la cosiddetta liberazione, celebrazioni sistematicamente riportate da tutte le tv e grandi giornali. Nemmeno una parola di ricordo o di pietà per tutti coloro che combatterono dall’altra parte, per coloro che tennero fede alla parola data, per coloro che liberamente fecero delle scelte. Scelte che poi pagheranno carissime.

Addirittura, abbiamo assistito a proibizioni da parte delle autorità di tenere celebrazioni in ricordo di quei caduti dalla parte sbagliata.

Finché si proseguirà con l’insegnamento e la propaganda di una storia a senso unico, manichea, nella quale tutti i buoni stanno da una parte e tutti i cattivi dall’altra, l’Italia non sarà mai veramente una nazione. E dopo il 25 aprile, vogliamo ricordare il 26 aprile, a guerra finita, a Italia liberata. Ecco cosa succedeva, ecco cosa facevano certi liberatori.

Jolanda Crivelli aveva vent’anni

La storia dell’ausiliaria della Saf (Servizio ausiliario femminile della Repubblica Sociale Italiana) Jolanda Crivelli. Aveva solo 20 anni ed era la giovanissima vedova di un ufficiale del Battaglione M, ucciso a Bologna durante la guerra civile, in un agguato dei “sapisti” (costola della banda comunista dei gap). Il 26 aprile Jolanda Crivelli raggiunse Cesena, la sua città natale, per tornare dalla madre, che viveva sola. Immediatamente, come capitava in quei terribili giorni, fu riconosciuta e additata da suoi concittadini ad alcuni partigiani comunisti: “È una fascista, moglie di fascista!”. Percossa a sangue, torturata, verosimilmente violentata, denudata, fu trascinata per le strade di Cesena tra gli sputi della gente. Davanti alle carceri fu legata a un albero e fucilata.

Il cadavere nudo rimase per due giorni esposto a tutti come ammonimento per tutti i fascisti. Poi fu permesso alla madre di seppellirla.

Non abbiamo altre notizie di questa sfortunata ed eroica ragazza né del suo giovane marito. Non esistono cifre certe sul numero delle ausiliarie e comunque delle donne fascista o presunte tali assassinate dai partigiani prima e dopo questo celebrato 25 aprile 1945. Alcune fonti parlano di circa mille donne uccise in quei mesi, tutte giovanissime, moltissime torturate e violentate prima di essere assassinate. La cifra si riferisce non solo alle impegnate politicamente o militarmente, ma anche figlie, mogli, madri di soldati della Repubblica Sociale, colpevoli solo di questo. E moltissime di loro sono rimaste per sempre senza nome, ingoiate dai meandri della storia.

La Crivelli fu solo una delle tante donne assassinate

Ad esempio, nell’archivio dell’obitorio di Torino il giornalista Giorgio Pisanò scrisse di aver ritrovato i verbali d’autopsia di sei ausiliarie sepolte come “sconosciute”, ma indossanti la divisa del Saf. Altre cinque ausiliarie non identificate furono assassinate a Nichelino il 30 aprile 1945 assieme a Lidia Fragiacomo e Laura Giolo. Al cimitero di Musocco poi, a Milano, sono sepolte 13 ausiliarie sconosciute nella fossa comune al Campo X. Inoltre, dicono altre fonti certe, un numero imprecisato di ausiliarie della X Mas in servizio presso i Comandi di Pola, Fiume e Zara, riuscite a

Continua qui: https://www.secoloditalia.it/2017/04/jolanda-assassinata-dai-partigiani-lasciata-giorni-appesa-un-albero/

 

 

 

 

CODEVIGO, UNA MEMORIA SCOMODA

Alessandro Mezzano – 8 maggio 2015

 

Codevigo (PD) fra il 28 Aprile ed il 15 Giugno 1945 e quindi DOPO la fine della guerra, i partigiani della 28° brigata Garibaldi torturano ed uccisero circa 130 persone massacrate in quanto fascisti o presunti tali.

 

Questi fatti risultano agli atti delle procure della repubblica che indagarono e sono anche state riportate nei libri che Pansa ha scritto in proposito delle stragi del dopoguerra.

A Novembre del 2014 doveva uscire nelle sale cinematografiche italiane il film “Il segreto di Italia” che ricostruiva quegli avvenimenti, per la regia di Antonio Belluco e con Romina Power come protagonista femminile.

Il film NON è uscito nelle sale cinematografiche e non ce n’è traccia nei circuiti di distribuzione il che, dato che i produttori VOLEVANO che fosse proiettato, dimostra un sabotaggio ed una intimidazione da parte di ignoti molto potenti che la logica rende   però abbastanza evidenti a chiunque!!

Nemmeno in forma di DVD il film è reperibile!

A qualcuno, anche dopo settanta anni da quei tragici avvenimenti, da fastidio che certe VERITA’ vengano ricordate agli italiani e che possano turbare l’immagine agiografica di una resistenza tutta luci e senza ombre!!!

Noi troviamo scandaloso, questo atteggiamento ed il boicottaggio intimidatorio

Continua qui: https://petacciatodidestra.myblog.it/2015/05/08/codevigo-memoria-scomoda/

 

 

 

Ravenna: attacco a Boldrini, “è il boia di Codevigo”

Redazione – 04 dicembre 2008

 

Arrigo Boldrini, storico comandante partigiano noto con l’appellativo di comandante Bulow, continua a far discutere. Nel giorno in cui Ravenna ne celebra il ricordo a pochi mesi dalla morte con l’inaugurazione di un monumento a lui dedicato e ricordando l’anniversario della Liberazione, fioccano le polemiche.

A gettare ulteriore benzina sul fuoco è il parere dello storico Gianfranco Stella, autore di “Ravennati contro”, del recente “Crimini partigiani” e di altri testi sulla Resistenza che hanno riaperto vecchie ferite. “Arrigo Boldrini è stato il boia di Codevigo”, sostiene Stella nel ricordare Bulow.

Parlando alla conferenza stampa organizzata dal Popolo della Libertà ravennate sulle ragioni della protesta contro il monumento a Bulow, Stella spiega: “E’ storia, non ho paura di querele”. A dargli ragione c’é una sentenza, riferisce, esito di un “processo lunghissimo e imbarazzante per i magistrati di Ravenna, Rimini e Forlì” che prova “oggettivamente” la strage. Si tratta di un massacro,

 

Continua qui: http://www.romagnaoggi.it/cronaca/ravenna-attacco-a-boldrini-e-il-boia-di-codevigo.html

 

 

 

Le marocchinate

Talinna Zonne – 25 aprile 2019

Le marocchinate, dopo 70 e passa anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, sono sempre una ferita aperta nella memoria degli Italiani.

Spesso riviste in modo approssimativo, se non addirittura usate come forma di rivalsa verso i “liberatori”, accusando autorità, storici, politici e i media di non trattare colpevolmente l’argomento delle violenze dei Goumiers marocchini fatte alle inermi popolazioni civili italiane.

VIDEO QUI: https://www.youtube.com/watch?v=yxTW50VA-TY

In parte è vero, ma negli ultimi anni sono parecchie le trasmissioni e i servizi televisivi che

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Corteo 25 Aprile invoca più morti italiani: “10, 100, 1000 Nassirya” – VIDEO

aprile 25, 2019

 

VIDEO QUI: https://streamable.com/ryj7j

 

Ecco il corteo del 25 Aprile a Modena: “10, 100, 1000 Nassirya”, così la

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25 aprile, a Milano insulti alla Brigata ebraica: “Assassini e terroristi”

Al corteo milanese del 25 aprile insulti alla Comunità ebraica. Bandiere della Palestina e grida: “Sionisti assassini”

Claudio Cartaldo –  25/04/2019

La Brigata Ebraica ancora nel mirino. Il corteo milanese per il 25 aprile riaccende le polemiche sulla partecipazione della comunità ebraica al corteo per la Liberazione.

Un gruppo di filopalestinesi, infatti, li ha contestati al grido di “assassini, assassini”.

Come ogni anno, l’episodio è avvenuto all’arrivo del corteo in piazza San Babila. Quella delle contestazioni antiebraiche al corteo del 25 aprile è una storia che, purtroppo, si ripete da tempo.

Era successo nel 2015, così come nel 2016 e nel 2018. Due anni fa fu necessario un cordone di sicurezza per la Brigata Ebraica. Non appena arrivati in piazza, una ventina di persona hanno accolto i manifestanti della Comunità urlando “Assassini”, “Palestina libera, Palestina rossa” e hanno mostrato uno striscione eloquente: “Contro l’imperialismo e il sionismo, con la resistenza palestinese. Al fianco dei popoli che lottano”. E ancora: “Fuori i sionisti dal corteo”, “Israele fascista stato terrorista”. I manifestanti della Brigata Ebraica hanno intonato in tutta risposta Bella Ciao.

Durante la resistenza molti ebrei provenienti dalla Palestina e sopravvissuti alla

 

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Modena devastata da manifestanti del 25 Aprile – FOTO CHOC

aprile 25, 2019

Non di un centinaio di ragazzi che espongono uno striscione. E la Digos passerebbe la giornata ad individuare chi vandalizza le città, non dietro a chi scrive qualcosa che altri ritengono sbagliato.

Perché lo sarà anche, ma ognuno deve avere il diritto di scrivere quello che vuole.

Dicono: “ma la nostra costituzione lo vieta”. Allora non siamo in democrazia, perché in una società libera nessuna idea è illegale. Gli atti, violenti come

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L’antifascismo oggi: il declino grottesco di chi sa solo prendersela coi cadaveri

Adriano Scianca – 25 Aprile 2019

 

Le ultime battaglie antifasciste, in ordine di tempo: innanzitutto quella contro la candidatura di Caio Mussolini alle elezioni per il reato di cognome apologetico, a 27 anni dall’entrata in Parlamento di un’altra Mussolini, discendente anche più stretta del Duce. E poi quella contro i fiori sulla tomba del sorvegliante del campo di transito di Bolzano, Michael Seifert (il custode del cimitero ha poi dovuto spiegare che si trattava di un bouquet di plastica posto… nella tomba a fianco).

Declino grottesco e comico

Tutto questo la dice già lunga sullo stato di salute dell’antifascismo. Il quale sarà sì trionfante, in termini di mentalità etica “diffusa” e implicita (lo spirito dell’8 settembre è più vivo che mai), ma decisamente avviato verso un declino grottesco e comico dal punto di vista delle sue espressioni politiche esplicite. Nei due casi citati, il fenomeno è particolarmente evidente: da una parte si invocano restrizioni alle libertà in virtù di un semplice cognome, cosa che nessuno si sognò di fare per i figli stessi del capo del fascismo, anche con le ferite della guerra ancora aperte, dall’altra si chiede, sfidando il senso del ridicolo, di improvvisarsi tombaroli, trafugare la tomba di un misconosciuto soldato tedesco e seppellirlo in un loculo anonimo affinché nessuno gli porti dei fiori. Proposte che si commentano da sole, ma che ben illustrano l’arrancare di un’ideologia ridotta a espressione micro-reazionaria, in un’eterna rincorsa su una realtà che le è già sfuggita di mano. Come abbiamo detto mille volte, l’antifascismo, in Italia, è stato un fenomeno d’élite, una fede minoritaria, pressoché inesistente a Regime trionfante, in parte resuscitato da un colpo di Stato di destra, con il 25 luglio, e solo localmente assurto al rango di reale passione popolare.

Ignorato, sopportato, considerato estraneo

Nel dopoguerra si è presto trasformato in stanca ideologia ufficiale della neonata repubblica, con funzioni per lo più ornamentali, consociative e carrieristiche. Solo negli anni ’70 si è trasformato in sanguinaria fede generazionale per una parte della gioventù, molto rumorosa, ma comunque minoranza nel Paese reale. Oggi, l’antifascismo è per lo più ignorato,

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Non celebra 25 aprile, minacce a un sindaco: “I partigiani non si contraddicono”

Di Alessandro Della Guglia – 24 Aprile 2019

Il sindaco di Lentate sul Seveso, in Brianza, è stato minacciato dai soliti democratici antifascisti. Uno striscione intimidatorio con su scritto: “Se il partigiano contraddirai, minacce riceverai” è stato appeso nel comune in provincia di Monza. Destinatario il primo cittadino, Laura Ferrari, di Forza Italia ma sposata con il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo.

I coraggiosi autori dello striscione hanno attaccato così il sindaco per la sua decisione di cancellare le celebrazioni del 25 aprile, sostituendole con una semplice deposizione di una corona d’alloro. Secondo il primo cittadino di Lentate la scelta

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Ecco la storia delle ausiliarie di guerra stuprate ed uccise dai partigiani.

 2 settembre 2013 ictumzone                RILETTURA

 

Probabilmente questa è una parte della storia d’Italia appena finita la II guerra che pochi conoscono. A fianco delle truppe regolari di Mussolini, cioè dell’esercito, principalmente, erano presenti diverse donne e giovani ragazze che prestavano il loro servizio come ausiliarie. Appena la guerra ebbe fine, Mussolini ucciso e le brigate partigiane presero più potere, molte di queste giovani donne vennero uccise dagli stessi partigiani, perché ritenute responsabili di aver aiutato i soldati dell’esercito e quindi fasciste da fucilare, nonostante le stesse si fossero arrese.

L’elenco è lungo e comprende diverse regioni del nord Italia. Ecco alcuni casi: era il 30 aprile del 1945 quando Batacchi Marcella e Spitz Jolanda, 17 anni, di Firenze, assegnate al Distretto militare di Cuneo altre 7 ausiliarie, pochi ufficiali, 20 soldati e 9 ausiliarie, si mettono in movimento per raggiungere il Nord, secondo gli ordini ricevuti. La colonna è però costretta ad arrendersi nel Biellese ai partigiani del comunista Moranino. Alcune di loro, seguendo il suggerimento dei militari, si dichiarano prostitute al seguito della colonna, ma Marcella e Jolanda non cedono a questa vergogna e si dichiarano volontarie della RSI.

Costrette con la forza più brutale, vengono violentate numerose volte. In fin di vita chiedono un prete. Il prete viene chiamato ma gli è impedito di avvicinare le ragazze. Prima di cadere sotto il plotone di esecuzione, sfigurate dalle botte dei partigiani, mormorano: “Mamma” e “Gesù”. Quando furono esumate, presentavano il volto tumefatto e sfigurato, ma il corpo bianco e intatto. Erano state sepolte nella stessa fossa, l’una sopra l’altra. Era il 3 maggio 1945. Buzzoni Adele, Buzzoni Maria, Mutti Luigia, Nassari Dosolina, Ottarana Rosetta facevano parte di un gruppo di otto ausiliarie, (di cui una sconosciuta), catturate all’interno dell’ospedale di Piacenza assieme a sei soldati di sanità. I prigionieri, trasportati a Casalpusterlengo, furono messi contro il muro dell’ospedale per essere fucilati. Adele Buzzoni supplicò che salvassero la sorella Maria, unico sostegno per la madre cieca. Un partigiano afferrò per un braccio la ragazza e la spostò dal

 

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Perché non celebro il 25 aprile

MARCELLO VENEZIANI, La Verità 24 aprile

 

Non celebro il 25 aprile per sette motivi. Uno, perché non è una festa inclusiva e nazionale, ma è sempre stata la festa delle bandiere rosse e del fossato d’odio tra due italie. Due, perché è una festa contro gli italiani del giorno prima, ovvero non considera che gli italiani fino allora erano stati in larga parte fascisti o comunque non antifascisti e dunque istiga alla doppiezza e all’ipocrisia. Tre, perché non rende onore al nemico ma nega dignità e memoria a tutti coloro che hanno dato la vita per la patria, solo per la patria, pur sapendo che si trattava di una guerra perduta. Quattro, perché l’antifascismo finisce quando finisce l’antagonista da cui prende il nome: il fascismo è morto e sepolto e non può sopravvivergli il suo antidoto, nato con l’esclusiva missione di abbatterlo. Cinque, perché quando una festa aumenta l’enfasi col passare degli anni anziché attenuarsi, come è legge naturale del tempo, allora regge sull’ipocrisia faziosa e viene usata per altri scopi; ieri per colpire Berlusconi, oggi Salvini. Sei, perché è solo celebrativa, a differenza delle altre ricorrenze nazionali, si pensi al 4 novembre in cui si ricordano infamie e orrori della Grande Guerra; invece nel 25 aprile è vietato ricordare le pagine sporche o sanguinarie che l’hanno accompagnata e distinguere tra chi combatteva per la libertà e chi voleva instaurare un’altra dittatura. Sette, perché celebrando sempre e solo il 25 aprile, unica festa civile in Italia, si riduce la storia millenaria di una patria, di una nazione, ai suoi ultimi tempi feroci e divisi. Troppo poco per l’Italia e per la sua antica civiltà.

Quando avremo una memoria condivisa? Quando riconosceremo che uccidere Mussolini fu una necessità storica e rituale per fondare l’avvenire, ma la macelleria di Piazzale Loreto fu un atto bestiale d’inciviltà e un marchio d’infamia sulla nascente democrazia. Quando riconosceremo che Salvo d’Acquisto fu un eroe, ma non fu un eroe ad esempio Rosario Bentivegna con la strage di via Rasella. Quando ricorderemo i sette fratelli Cervi, partigiani uccisi in una rappresaglia dopo un attentato, e porteremo un fiore ai sette fratelli Govoni, uccisi a guerra finita perché fascisti. Quando diremo che tra i partigiani c’era chi combatteva per la libertà e chi per instaurare la dittatura stalinista. Quando distingueremo i partigiani combattenti sia dai terroristi sanguinari che dai partigiani finti e postumi, che furono il triplo di quelli veri. Quando onoreremo con quei partigiani chiunque abbia combattuto lealmente, animato da amor patrio, senza dimenticare “il sangue dei vinti”. Quando celebrando le eroiche liberazioni, chiameremo infami certi suoi delitti come per esempio l’assassinio del filosofo Giovanni Gentile, dell’archeologo Pericle Ducati o del poeta cieco Carlo Borsani. Quando celebrando la Liberazione ricorderemo che nel ventennio nero furono uccisi più antifascisti italiani nella Russia comunista che nell’Italia fascista (lì centinaia di esuli, qui una ventina in vent’anni); che morirono più civili sotto i bombardamenti alleati che per le stragi naziste; che ha mietuto molte più vittime il comunismo in tempo di pace che il nazismo in tempo di guerra, shoah inclusa. Quando sapremo distinguere tra una Resistenza minoritaria che combatté per la patria e la libertà, cattolica, monarchica o liberale, come quella del Colonnello Cordero di Montezemolo o di Edgardo Sogno, e quella maggioritaria comunista, socialista radicale o azionista-

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La lezione del 25 aprile

25 Aprile 2019

DI TRUMAN

Comedonchisciotte.org

 

Anno dopo anno si ripete stancamente il rito del 25 aprile, con la sinistra che celebra fantasmi e la destra che cerca di glissare.

Qualcuno lo potrebbe vedere come la celebrazione di un mito usurato, basato su valori in cui

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Nordio: “Un nuovo fascismo alle porte? È una colossale sciocchezza”

L’ex magistrato Carlo Nordio fa a pezzi gli allarmi della sinistra: “Gli argomenti della critica politica sono così deboli e incerti”

Sergio Rame – Gio, 25/04/2019

“È una colossale sciocchezza. Il fascismo è morto è sepolto”. Carlo Nordio, ex procuratore aggiunto di Venezia, non tentenna mai.

 

E anche oggi, in una lunga intervista a ItaliaOggi, affronta gli allarmi della sinistra facendoli a pezzi dimostrando come “gli argomenti della critica politica” siano diventati tanto “deboli e incerti” da affidarsi “alle polemiche fondate su una foto”. Il riferimento è alla bagarre mediatica esplosa a Pasqua per lo scatto postato da Luca Morisi in cui si vede Matteo Salvini imbracciare un mitra. “È più che legittimo, e per certi aspetti doveroso, criticare il ministro – spiega – ma farlo in questo modo così puerile e banale è il modo migliore per portargli altri voti”.

Negli anni Ottanta Nordio ha a lungo indagato sulle Brigate Rosse venete, negli anni Novanta invece si è concentrato sullo scandalo di Tangentopoli. Oggi ha pubblicato il libro La stagione dell’ indulgenza e i suoi frutti avvelenati. Il cittadino tra sfiducia e paura. Nel suo ultimo lavoro, pubblicato da Guerini e associati, prende in analisi gli errori commessi sul fronte della sicurezza e della giustizia, del fisco e dei diritti del cittadino e non fa sconti a nessuno. A partire dalla sinistra secondo la quale l’emergenza di oggi è “il nuovo fascismo alle porte”. Per l’ex magistrato “è una colossale sciocchezza”. “Il fascismo è morto è sepolto – argomenta – ma ci sono altri rischi, a cominciare dall’ emotività incontrollata nel legiferare, che porta all’incertezza del diritto, madre di disordini”. In Italia è, infatti, diffuso un generalizzato senso di insicurezza. Questo perché la certezza della pena non esiste. “Se fosse veramente tale, basterebbe di per sé”, spiega. “Nel nostro sistema le sanzioni sono addirittura esagerate, ma quasi mai eseguite – continua nell’intervista a ItaliaOggi – chi ruba in una notte in tre case diverse rischia trent’ anni, come se avesse stuprato e ammazzato un bambino, visto che l’ergastolo è di fatto abolito: poi il giudice gliene dà uno e mezzo con la

 

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Quelli che credono

Talina Zonne – 25 aprile 2019

 

Quelli che credono che l’Italia sia stata liberata sono gli stessi che:

– NotreDame e’ bruciata per una sigaretta
– SriLanka i morti li ha fatti il Dalai Lama
– GretaThunberg e’ un’esperta di clima
– Salvini sa usare un mitra
– gli immigranti sono i nuovi partigiani

 

https://www.facebook.com/talina.zonne?__tn__=%2CdC-R-R&eid=ARA6RKIrgd0LDGLwkXR1bMyTWzJEE4fQ_pNZ14MYowpscaq502MwlGt3ANOXXIo7OombvIk5AxZ3gbZj&hc_ref=ARQOSFymeOv9nyBzr9pKcP3Z3aAfmHvG37F-OfKyJzPoWX2AoAg1KQX3f6G7RfQHdEI&fref=nf

 

 

 

 

 

Malaparte e l’inferno umano de “La Pelle”

23/01/2019 ~ Giuseppe Rizzi

Malaparte il maledetto. Malaparte il cattolico. Malaparte il fascista. Malaparte il comunista. Malaparte lo spietato. Malaparte il pietoso. Malaparte tutto e nessuno, voltagabbana, trasformista, camaleonte, convertito, abiurante. Se la letteratura italiana fosse un giardino, Malaparte sarebbe una rosa sgargiante ma decorosa, tronfia ma delicata, che svetta solitaria da un rovo di pruni: tanto bella quanto spinosa; dolcemente profumata ma irta d’aculei.

Non c’è forse autore della letteratura che abbia saputo rappresentare tutta la contraddizione degli opposti quanto il nostro Malaparte. Così vero e così artato, che ha mescolato la realtà storica con la più immaginifica menzogna, fino al punto in cui il loro confine non solo scompare, ma cessa d’essere necessario e previsto, e più non importa cosa sia avvenuto e cosa sia inventato: tutto il reale, ci insegna Malaparte, è un’unica, grande mistificazione.

La vita stessa di Malaparte è costellata di ibridazioni e contraddizioni.

Al secolo Kurt Erich Suckert: nato a Prato e fiero toscano da padre tedesco e madre lombarda. Convinto interventista nel 1915 e in seguito inclemente narratore delle atrocità della Guerra: pubblicherà nel ‘21 Viva Caporetto!, narrazione autobiografica censurata dal Fascismo. Quel Fascismo di cui auspicherà l’avvento sin dalla prima ora, partecipando alla Marcia su Roma, per poi diventarne un contestatore e oppositore, condannato anche al confino. Subito dopo l’Armistizio, simpatizzerà per il PCI e si arruolerà nelle truppe alleate (1), per liberare l’Italia dai tedeschi da cui aveva avuto origine, dai fascisti di cui aveva fatto parte.

Eppure, c’è un preciso ordine nella sua caotica esistenza; una coerenza nella sua inclinazione a contraddirsi. Il valzer degli opposti che Malaparte ha danzato per tutta la vita risuona nella sua opera, tra le vette più radiose e prominenti della letteratura italiana, ed europea, e mondiale. In particolare, si manifesta in quella che potrebbe essere definita la ‘summa malapartiana’: La Pelle, capolavoro della letteratura universale che il mondo ci ammira e noi italiani ancora fatichiamo a riconoscere.

L’opera è un ibrido già nella struttura: mescola insieme il romanzo e il reportage, l’invenzione del primo e la veridicità del secondo. Concepita come un naturale quanto autonomo seguito di Kaputt – pubblicato nel ’44 e divenuto in pochissimo tempo un caso editoriale – La pelle ne riprende l’impostazione strutturale: l’assenza di una trama vera e propria che possa far parlare di un romanzo a tutti gli effetti; la base autobiografica dell’esperienza in guerra. Se Kaputt racconta gli anni dal ’41 al ’43 che Malaparte ha trascorso nell’Europa del Nord e dell’Est, La Pelle ci proietta nell’Italia subito successiva all’8 settembre, in particolare a Napoli (l’occupazione alleata, l’eruzione del Vesuvio) e in misura minore a Cassino e poi a Roma (con la liberazione e l’arrivo trionfante degli anglo-americani), in Toscana (con episodi di Resistenza) e infine nella Milano dell’aprile ’45 (con l’esposizione di Mussolini in Piazzale Loreto).

Scritto a partire dal 1946 col titolo La pestecambiato forzatamente un anno più tardi, dopo l’uscita dell’omonimo romanzo di Camus – verrà pubblicato in Italia soltanto il 6 dicembre del 1949 per i tipi di Aria d’Italia, divenendo subito un caso: il ritardo fu dovuto ad alcuni screzi tra l’autore e Valentino Bompiani, al quale Malaparte revocò i diritti dopo che la pubblicazione dell’opera era già stata annunciata e pubblicizzata dalla casa editrice. (2)

Nell’unire romanzo e reportage, come già anticipato, si verifica la prima delle grandi opposizioni dell’opera: tra realismo e surrealismo, tra verità storica e mistificazione. Non si possono negare gli intenti documentaristici, finalizzati a illustrare la sofferenza e la miseria del popolo di Napoli nello specifico, e, di riflesso, dell’Italia intera; ma al tempo stesso Malaparte eccede quest’intento, recide la linea di demarcazione tra ciò che è vero e ciò che non lo è.

Tutto questo è strettamente intrecciato a un’altra peculiarità che differenza La Pelle dalle opere dei grandi nomi del neorealismo letterario e anche cinematografico (dalle pellicole drammatiche di Rossellini al monumentale La storia di Elsa Morante): ovvero la scelta unica di Malaparte di drammatizzare la realtà non attraverso il tragico, bensì mediante il turpe, l’esecrabile.

La Napoli qui descritta è un dantesco inferno di abiezione, abominio e infamità sullo sfondo demoniaco del Vesuvio in eruzione. Per la città dilaga la peste, un morbo che è qui morale e non fisico, presentatosi in concomitanza con l’arrivo degli americani.

La peste è un male che obnubila la ragione e il rispetto di sé. Chi ne viene affetto perde ogni decenza, pudore, virtù, cede alla corruzione d’animo e all’intemperanza, alla perversione e alla nefandezza. Le famiglie vendono persino i propri bambini per pochi soldi.

«Ed ecco che, per effetto di quella schifosa peste, che per prima corrompeva il senso dell’onore e della dignità femminile, la più spaventosa prostituzione aveva portato la vergogna in ogni tugurio e in ogni palazzo. Ma perché dir vergogna? Tanto era l’iniqua forza del contagio, che prostituirsi era diventato un atto degno di lode, quasi una prova di amor di patria, e tutti, uomini e donne, lungi dall’arrossire, parevano gloriarsi della propria e della universale abiezione.» (p. 37)

«Se tale era la sorte delle donne, non meno pietosa e orribile era la sorte degli uomini. Non appena contagiati, essi perdevano ogni rispetto di se medesimi: si davano ai più ignobili commerci, commettevano le più sudicie viltà, si trascinavano carponi nel fango baciando le scarpe dei loro “liberatori” […] per aver l’onore d’essere calpestati dai nuovi padroni; sputavano sulle bandiere della propria patria, vendevano pubblicamente la propria moglie, le proprie figlie, la propria madre.» (p.38)

Non è difficile capire perché Milan Kundera scriveva di Malaparte: «con le sue parole fa male a se stesso e agli altri; chi parla è un uomo che soffre. Non uno scrittore impegnato. Un poeta.» (3)

Da questi stralci può essere anche evidente il confine sottile e mai dichiarato tra verità e finzione. L’iperbole si mescola al reale. La tragedia è narrata nei suoi aspetti più turpi, disdicevoli, impuri, abietti al punto da sembrare eccedere la sfera del possibile. Pare quasi che Malaparte prenda il vero e lo tenda come una molla, lo dilati, lo esacerbi fino ai più terribili esiti.

Il paradosso, il surreale, il grottesco sono incastonati così accuratamente nello scenario storico che, procedendo nella lettura, smettiamo di chiederci cosa sia vero e cosa no, non perché tutto appaia irreale, ma perché anche l’evento più irreale finisce per apparire naturale. Ci sono dei passaggi in cui il surreale è esasperato oltremodo, e questi– due su tutti – sono anche i più terribili, atroci e memorabili passaggi dell’opera.

Il primo corrisponde alla scena in cui, a un grande pranzo tra generali e nobildonne angloamericani che risente di riverberi ‘guermanteschi’, dopo una serie di portate trimalcioniche, viene servito un pesce-sirena che non ha affatto l’aspetto di un pesce, bensì appare in tutto e per tutto come una bambina napoletana morta. È un’immagine di potentissimo significato simbolico, che spiazza e ferisce ancor di più con il lungo, assurdo e grottesco dialogo che segue tra i commensali: tra chi ritiene che sia giusto mangiarlo in quanto pesce e chi turbato invita a seppellirlo.

Il secondo lo troviamo sul finale, allorquando Malaparte, dopo aver vomitato alla scena dei fascisti appesi a Piazzale Loreto, viene ospitato a dormire da un amico ginecologo, e in particolare viene alloggiato nello studio di questi, che è arredato con numerosi feti dalle orrende fattezze: deformi, bicefali, tricefali. E qui, di notte, Malaparte ha la visione allucinata e terribile dei feti che prendono vita, che si uniscono in areopago pronti a un processo: appare l’imputato, un enorme, enfio, disgustoso feto, che gli parla con la voce infelice e sofferente del Mussolini ormai ammazzato e vilipeso. Anche in questo esempio, che più di tutti mostra l’ineguagliabile impeto immaginifico e visionario di Malaparte, la scena più assurda riesce ad apparire al lettore come del tutto naturale e plausibile.

Eppure, nonostante il ricorso al grottesco, al surreale, all’iperbole, Malaparte è un autore che al pari di pochi ha avuto il coraggio di scrivere la verità. Per farlo, per suggellare il vero, per restarvi fedele anche nell’artificio, serve il coraggio, la sfrontatezza, l’empatia, la forza che pochi autori hanno avuto – e ancor meno hanno al giorno d’oggi – nella letteratura italiana, allorché scrivere del vero spesso appare come produrre un’arte di rango inferiore.

Se finora si è detto dell’antinomia tra reale e surreale, tra verità e immaginazione – su cui lo stesso Malaparte ironizza con un dialogo metaletterario in cui i suoi commilitoni discutono di quanto di vero ci sia in Kaputt (pp.283 e ss) – resta ora da illustrare la seconda macro-contraddizione all’interno dell’opera: quella tra il cinismo e la pietà. Laddove s’intendono due poli opposti e antitetici, Malaparte riesce a farli convivere. Il suo è un cinismo pietoso. Nel narrare gli aspetti più turpi dell’umanità che la guerra ha prodotto, egli non manca affatto di provare compassione e sofferenza. Nel descrivere tutta l’abiezione della città e dei suoi abitanti, contemporaneamente Malaparte intona un inno di struggente amore: magniloquenti le descrizioni paesaggistiche, sincera la commiserazione per «…questo povero, infelice, meraviglioso popolo. Nessun popolo sulla terra ha mai tanto sofferto quanto il popolo napoletano. Soffre la fame e la schiavitù da venti secoli, e non si lamenta. Non maledice nessuno, non odia nessuno: neppure la sua miseria. Cristo era Napoletano» (p. 17)

Non saranno di questo stesso avviso i cittadini di Napoli, inorriditi dalla

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L’amnistia del 1946 e la doppiezza di Togliatti

L’amnistia del 1946 e la doppiezza di Togliatti

13 novembre 2011

Tutti a casa. O quasi. Il colpo di spugna con cui il ministro della Giustizia, Palmiro Togliatti,il 22 giugno 1946 firma l’amnistia per i detenuti politici, è di quelli epocali. In quei drammatici anni di ricostruzione post bellica c’era bisogno di fare piazza pulita del passato. Altri Paesi europei, Germania in testa, scelsero di fare i conti con la propria storia; l’Italia invece decise di nascondere la polvere sotto il tappeto. Le conseguenze di quella scelta scellerata le paghiamo ancor oggi, quando Mussolini viene definito «grande statista» o si dice che il fascismo «mandava la gente in vacanza» nelle isole.

L’atto, voluto dal comunista Togliatti, viene approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri e controfirmato dal presidente del Consiglio, il democristiano Alcide De Gasperi. Lo sforzo è quello di presentarlo come un fatto di giustizia di cui non avrebbero beneficiato quelli che si erano macchiati dei crimini più gravi. «È evidente che il legislatore ha voluto con questa formula negare giustamente i benefici dell’atto di clemenza a coloro che abbiano assunto le maggiori responsabilità politiche o si siano macchiati, nella sfera della collaborazione col tedesco invasore, dei più odiosi delitti o abbiano agito esclusivamente per un fine abietto di lucro. Ma, appunto perché la formula può dar luogo a discussioni e interpretazioni diverse, si attende che il legislatore precisi interpretazione più adeguata da dare a essa rispondente ai fini di generosa clemenza e, nel tempo stesso, di giustizia sodale ai quali il provvedimento è ispirato», scrive La Stampa del 23 giugno 1946.

Come si capisce già da queste parole, all’interno della norma si scorge la possibilità di far entrare dalla finestra ciò che si vuol tenere fuori dalla porta. Poche righe più in basso il medesimo giornale scrive che dall’amnistia restano esclusi i membri della banda Koch (il famigerato reparto di polizia speciale e informale della Repubblica sociale), il cui processo si stava aprendo in quei giorni, ma quattro torturatori della banda escono subito, assieme a un colonnello condannato all’ergastolo per l’omicidio dei fratelli Rosselli. Su questo fatto, ovvero sul colpo di spugna di cui hanno beneficiato anche gli autori di delitti gravi e odiosi, si è aperto un dibattito infinito.

Togliatti – che un ragioniere veneziano definì «ministro di Grazia, ma non di Giustizia» – tentò di accreditarsi come il padre nobile dell’amnistia e addossò alla Dc le colpe della sua scellerata applicazione.

In realtà le cose non stanno affatto così. A squarciare il velo delle menzogne è stato lo storico Mimmo Franzinelli che nel suo libro L’aministia Togliatti, pubblicato nel 2006, ovvero per il sessantesimo  anniversario dell’amnistia, rivela il contenuto delle carte dell’ex segretario comunista contenute nei fondi archivistici conservati nella Fondazione Istituto Gramsci. «Sono documenti dai quali la proverbiale “doppiezza” togliattiana emerge con un’evidenza quasi imbarazzante», scrive Sergio Luzzato, docente di storia all’Università di Torino, nella recensione che pubblica nel Corriere della Sera. In sostanza i comunisti, che uscivano da quindici anni di clandestinità, avevano bisogno di ritrovare i collegamenti persi all’interno della società italiana, il Pci «voleva trasformarsi in partito di massa, e aveva la necessità di rompere il ghiaccio con quei settori della società italiana che avevano servito il regime.

Ecco perché Togliatti, che in un primo momento era tutt’altro che entusiasta del provvedimento, si decise a varare l’amnistia», dichiarava Mimmo Franzinelli in un’intervista al Sole 24 Ore, che prosegue così: «Il segretario comunista aveva varato un’amnistia bipartisan, che avrebbe dovuto comprendere anche i reati commessi dai partigiani ed escludere i reati peggiori, ma in realtà pochissimi uomini della resistenza beneficiarono del condono, mentre moltissimi criminali furono liberati.

Il motivo? Togliatti, laureato in giurisprudenza, aveva scritto personalmente la legge, senza neanche farla correggere dagli specialisti. Questo errore di presunzione lasciò molto campo all’interpretazione estensiva della magistratura, perlopiù composta da uomini anziani e che avevano fatto carriera sotto il regime fascista». E infatti, come sottolinea Luzzato, nella Suprema corte siedono giudici che avevano fatto parte del Tribunale per la difesa della razza e «riconobbero ai criminali fascisti il diritto di venire amnistiati: quando tutta un’italica cultura da Azzeccagarbugli valse a mascherare con gli argomenti del giure le ingiustizie più flagranti. Chi aveva comandato i plotoni d’esecuzione di Salò venne assolto dall’accusa di omicidio perché non aveva personalmente imbracciato il fucile. Chi aveva stretto nelle morse i genitali degli antifascisti fu amnistiato perché la tortura non era durata particolarmente a lungo. Chi aveva promosso lo stupro di gruppo delle staffette partigiane venne giudicato colpevole di semplice offesa al pudore femminile».

«Togliatti scrisse personalmente la legge», dichiarava Franzinelli al Sole, «ma fece l’errore di sottovalutare il ruolo della magistratura e la forte reazione di protesta della base comunista. Ecco perché, appena venti giorni dopo il varo del provvedimento, Togliatti scaricò la patata bollente al compagno di partito Fausto Gullo, rinunciando all’incarico di ministro della

 

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L’amnistia di Togliatti, 70 anni fa

Voluta dall’allora leader del Partito Comunista, portò alla liberazione di migliaia di ex criminali fascisti subito dopo la guerra

22 giugno 2016

 

Il 22 giugno del 1946, esattamente 70 anni fa, entrò in vigore la cosiddetta “amnistia di Togliatti”, che portò alla cancellazione di tutti i reati commessi fino al 18 giugno di quell’anno tranne quelli più gravi. Migliaia di ex membri del partito fascista e loro collaboratori furono liberati dalle carceri o furono esonerati dai loro processi. L’amnistia aveva preso il nome dal leader del Partito Comunista Italiano, Palmiro Togliatti, all’epoca ministro della Giustizia. Lo storico Mimmo Franzinelli, nel suo libro “L’amnistia di Togliatti“, ha calcolato che circa 10 mila fascisti furono liberati.

Tra loro c’erano anche personaggi di primo piano del regime, i cosiddetti gerarchi che costituivano il cerchio ristretto di Benito Mussolini: alcuni, come Dino Grandi e Luigi Federzoni, erano rimasti fedeli a Mussolini soltanto fino al 1943, quando nella notte tra il 24 e il 25 luglio il Gran Consiglio del Fascismo sfiduciò Mussolini. Altri, come Renato Ricci e Junio Valerio Borghese, avevano combattuto nelle fila della Repubblica di Salò accanto all’esercito tedesco che all’epoca occupava il nord Italia. Ma l’amnistia riguardò anche centinaia e centinaia di funzionari minori del regime, agenti della polizia segreta, informatori e capi del partito locale.

Ci furono proteste e insurrezioni in diverse città quando i tribunali liberarono personaggi locali particolarmente odiati. A Casale, un gruppo di ex fascisti rischiò di essere linciato e il governo inviò l’esercito e 12 carri armati per mantenere la situazione sotto controllo. Negli archivi personali di Togliatti si trovano decine di lettere e petizioni con cui ex partigiani e membri del partito protestavano contro l’amnistia e minacciavano addirittura di fare propaganda contro il partito se l’amnistia non fosse stata ritirata. L’aspetto più curioso, infatti, fu che l’amnistia fu scritta e promossa proprio dal leader del partito che più di tutti era stato perseguitato dal fascismo e che più duramente aveva lottato contro il regime. In tutte le fasi della Resistenza, i partigiani comunisti non furono mai meno della metà del totale dei combattenti: furono loro e i loro leader a catturare e fucilare Benito Mussolini, e lo fecero in maniera sbrigativa (ancora oggi gli storici discutono su chi esattamente diede l’ordine di uccidere l’ex dittatore, catturato vivo mentre cercava di fuggire in Svizzera).

La decisione di approvare un’amnistia fu presa all’unanimità dal governo di allora, presieduto dal democristiano Alcide De Gasperi, ma Togliatti, scrive Franzinelli nel suo libro, scrisse il testo dell’amnistia quasi da solo. La legge prevedeva che venisse escluso dal provvedimento chi aveva commesso reati particolarmente efferati, ma era scritta in modo tale da permettere moltissime eccezioni. Pochi giorni dopo la pubblicazione della legge, per esempio, furono liberati quattro membri della banda Koch, un gruppo di torturatori fascisti che per mesi a Roma aveva fatto praticamente quello che voleva.

Negli anni successivi Togliatti si giustificò dicendo che furono i magistrati

 

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25 Aprile tra tradizione e polemiche

Una festa che oggi provoca molte diatribe

Giuseppe Capano – 25 04 2019

Il 25 Aprile, giorno fondamentale per la storia italiana, assume un notevole significato dal punto di vista politico e militare proprio perché simboleggia la vittoriosa lotta di resistenza militare e politica messa in atto dalle forze partigiane durante la seconda guerra mondiale, avviata l’8 settembre 1943 contro il governo fascista e l’assedio nazista.

Questo giorno, come ogni anno, viene ricordato in tutta Italia con eventi, concerti e manifestazioni proprio per rimembrare un passato orribile ormai lontano, risalente a 72 anni fa. Una festività particolarmente sentita dagli italiani, perché in questa occasione speciale continuano ad echeggiare quei concetti di libertà e democrazia tanto agognati dalla popolazione.

Eppure, oggi più che mai, questa celebrazione viene messa in discussione, svilendola a semplice battaglia partitica. In questi giorni svariati personaggi pubblici hanno dimostrato sentimenti contrastanti, da una parte i sostenitori e dall’altra gli obiettori.

Ha fatto discutere la posizione del Ministro degli Interni Matteo Salvini che non sarà presente come lui stesso ha dichiarato: la vera Liberazione è dalla mafia”. Pertanto il leader e i ministri leghisti si recheranno a Corleone per

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25 APRILE. QUALE LIBERAZIONE

L’altra faccia di una ricorrenza che divide ancora buona parte dell’Italia. Siamo l’unico Paese al mondo che festeggia una sconfitta

 24 Aprile 2018Giovanni Coscia

 

È possibile considerare questa ricorrenza come una festa nazionale? Francamente vorrei porre l’accento su qualche avvenimento, come ad esempio rammentare a tutti, che questo giorno vuole ricordare la vittoria dei partigiani, o meglio la liberazione dai tedeschi e da sua eccellenza il Duce, Benito Mussolini. E’ bene ricordare quindi che quella di oggi, semmai, è la definitiva consacrazione della sconfitta della guerra che l’Italia intraprese con il sogno di integrare i confini nazionali, rimasti ancora fuori dall’unificazione territoriale effettuata dal risorgimento, a suo tempo, e quelli territoriali successivi, con la prima guerra mondiale, presi dall’Austria, mancavano all’appello solo i territori sotto sovranità francese. La guerra andò oltre ogni previsione, portandoci alla sconfitta, ma qualunque politico dell’epoca avrebbe agito come Benito Mussolini, perché il rischio di sconfitta era quasi minimo e l’Italia avrebbe avuto quei territori e quei confini che riteneva di sua appartenenza, da sempre. Non è andata bene, purtroppo, per tanti motivi, ma la cosiddetta liberazione altro non è stata che la sconfitta di noi tutti Italiani e per la nostra Italia, che poi fosse o meno il regime fascista a guidare l’Italia è davvero irrilevante, perché alla guerra il consenso venne dato da tutti gli Italiani o almeno dalla stragrande maggioranza di essi.  Volendo, quindi, considerare la Liberazione come la sconfitta del regime fascista, in realtà si gioca su di un grandissimo equivoco, perché la grande maggioranza degli Italiani era fascista o monarchica se si vuole essere realisti e non di parte. E’ l’assoluta verità. Tra l’altro va considerato, dopo le dimissioni del Duce e l’arresto dello stesso, che il regime fascista era caduto, quindi non esisteva più in Italia e fu solo resuscitato dai tedeschi come governo fantoccio per il Nord Italia, ma il potere era ancora in mano tedesca. L’equivoco, di cui sopra, fu solo dovuto ad un disaccordo fra fascismo e monarchia, nel tipico casino degli italiani, quando esistono due fazioni diverse (lo abbiamo visto anche durante gli anni della repubblica attuale con i comunisti a fare il tifo per l’URSS contro di noi) quando ci fu la crisi che portò alle dimissioni di Mussolini e ad un diverso assetto dei rapporti con i tedeschi, da parte di ciascuna di questi due gruppi politici, che causò l’occupazione dei tedeschi dell’Italia. In pratica e per farla breve, fu solo un disaccordo interno fra queste due  forze politiche che causò l’inevitabile intervento tedesco e il desiderio di liberarsi da questa oppressione straniera da parte degli Italiani, che non pensavano in termini di fazioni politiche, ma in termini di sovranità nazionale. Il tutto si scontrò con il gruppo politico del fascismo, fedele ai patti con gli alleati, e a un senso dell’onore nazionale che sarebbe stato tradito da un loro comportamento diverso, e desideroso di non far scatenare i tedeschi nelle eventuali rappresaglie contro gli italiani del nord, che sarebbero state altrimenti molto più dure di quelle che furono, anche sapendo di essere un governo fantoccio. Parlare di liberazione è, quindi, anacronistico ed improprio, perché la lotta fu contro gli occupanti principalmente e inevitabilmente contro quella parte politica che continuava a sostenerli, cioè il fascismo. Il guaio fu causato dal comportamento dei monarchici, o per meglio dire, della monarchia, che subito dopo si defilarono, lasciando l’Italia senza difese. La liberazione, quindi, è da considerare come la sconfitta dell’Italia da parte degli alleati; furono loro a sconfiggere i tedeschi e non i partigiani che furono, dal punto di vista militare ininfluenti, mentre furono importanti i nostri militari che si unirono agli alleati, dal punto di vista della politica internazionale, perché ci permisero di non subire trattati di Pace troppo disastrosi e umilianti, ma anche così fu un mezzo disastro. Di conseguenza noi Italiani SIAMO L’UNICA NAZIONE AL MONDO CHE FESTEGGIA UNA SCONFITTA!. ANZI DUE SCONFITTE! Quella con i tedeschi e

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http://www.agropolinews.it/editoriale/25-aprile-quale-liberazionelaltra-faccia-di-una-ricorrenza-che-divide-ancora-buona-parte-dellitalia-siamo-lunico-paese-al-mondo-che-festeggia-una-sconfitta-di-giovanni/

 

 

 

 

 

25 APRILE E LE MENZOGNE

Christian Lenzini – 25 aprile 2019

La forza di invasione alleata guidata dal generale Eisenhower:

467.0000 SOLDATI

600 CARRI ARMATI

1.800 CANNONI

280 NAVI DA GUERRA

5.000 VELIVOLI

Quale buontempone invece pensa che l’Italia sia stata “liberata” da un sparuto gruppo di partigiani?????????

https://www.facebook.com/christian.lenzini?__tn__=%2CdC-R-R&eid=ARA6CN-usb3avnN0_3jHLgvJes9J4ZTaZUUQnKQlK6seKhwbtGUGjlanJ6VY4o20TUCDojOVGgTF_Yw9&hc_ref=ARTMu9T5Fcp5X4GOrYPn_7XGNHvqEBpBTxHa6Y5aDIQT3xyypN-XivHP2GbIT-Ob0LQ&fref=nf

 

 

 

 

QUI SONO RIPORTATE SOLAMENTE ALCUNI DELLE STRAGI COMPIUTE DAI “LIBERATORI” NELLE “GLORIOSE” GIORNATE DEL 25 APRILE 1945

9 dicembre 2018

 

 

Strage di Oderzo (Tv)

Negli ultimi giorni di aprile del 1945, esattamente il 28, 126 giovani militi dei Btg. “Bologna” e “Romagna” della GNR e 472 uomini della Scuola Allievi Ufficiali di Oderzo della R.S.I. (450 allievi più 22 ufficiali) si arresero al C.L.N. con la promessa di avere salva la vita. L’accordo fu sottoscritto nello studio del parroco abate mitrato Domenico Visentin, presenti il nuovo sindaco di Oderzo Plinio Fabrizio, Sergio Martin in rappresentanza del C.L.N., il Col, Giovanni Baccarani, comandante della Scuola di Oderzo e il maggiore Amerigo Ansaloni comandante del Btg. Romagna. Ma quando scesero i partigiani della Brigata Garibaldi “Cacciatori della pianura” comandati dal partigiano Bozambo l’accordo fu considerato carta straccia e il 30 aprile cominciarono a uccidere. Molti furono massacrati senza pietà fra il 30 aprile e il 15 maggio. La maggior parte, ben 113, fu uccisa al Ponte della Priula, frazione di Susegana e gettati nel Piave. Pare si trattasse di 50 uomini del “Bologna”, 23 del “Romagna”, 12 della Brigata Nera, 4 della X^ MAS, e gli altri di altri reparti fra cui gli allievi della scuola. Altri furono trucidati sul fiume Monticano.La banda di “Bozambo”, “boia di Montaner”, al matrimonio tra Adriano Venezian e Vittorina Arioli, entrambi partigiani, al banchetto di addio al celibato di Venezian uno della banda affermò :- Ti auguriamo che tu abbia ad avere dodici figli e perché questo augurio abbia ad essere consacrato domandiamo che siano uccisi, vittime di propiziazione, dodici fascisti -.Fu così che la mattina del 16 maggio scelsero tredici allievi ufficiali della Scuola di Oderzo e li assassinarono nei pressi del Ponte della Priula. (Particolare delle stragi di Oderzo). (Contributo di Francesco Fatica dell’ISSES Napoli) Vedi anche, qui appresso i caduti sulla corriera della morte. In totale le vittime fra gli ufficiali della scuola di Oderzo furono 144.

In alto da sinistra: il diciassettenne Guido Bacchetto, di Cornuda e Amedeo Clementini, figlio del segretario comunale di Oderzo, volontari di guerra, assassinati nella seconda strage a Ponte della Priula; Adolfo Zanusso e Renato Battista Nespolo fucilati dopo atroci sevizie nel primo eccidio di Monticano, Giuseppe Della Torre, di Camino di Oderzo. Questi prelevato a casa sua e incarcerato il 29 Aprile dal partigiano Rino De Luca (Ferro) era tra coloro che erano stati graziati dopo la vibrante protesta del clero e del sindaco do Oderzo, Tiziano Tonin, ventiquattrenne di Oderzo, volontario delle Brigate Nere

 

La strage di Concordia

Nel maggio 1945, a seguito dell’ultima offensiva alleata in Italia che portò alla caduta della Repubblica Sociale Italiana, molti civili e molti soldati origine meridionale del disciolto esercito fascista si trovarono quindi separati dalle proprie famiglie.  Il Vaticano, attraverso la Pontificia Opera di Assistenza, si adoperò per permettere il rientro a casa di tutti gli sfollati che si trovavano al nord e mise a disposizione diversi autocarri per renderne possibile il rientro. Su uno di questi autocarri in partenza da Brescia per Roma il 14 maggio 1945 trovarono posto 43 passeggeri  di cui numerosi ex Internati Militari Italiani provenienti dai campi in Germania e alcuni ex militi della RSI della scuola allievi ufficiali della GNR di Oderzo. Tutti i passeggeri erano muniti di un lasciapassare rilasciato dal CL]. Sul mezzo, prima della partenza fu issata la bandiera vaticana. L’autocarro, nel suo tragitto, fu fermato presso Concordia sulla Secchia dalla Polizia partigiana e i passeggeri furono costretti a scendere per effettuare controlli. Di costoro sedici furono trattenuti mentre gli altri poterono proseguire il viaggio fino a Modena dove il mezzo subì un cambio di programma e dovette rientrare a Brescia per effettuare un nuovo carico. I passeggeri lasciati a Modena tentarono poi di raggiungere le proprie abitazioni con mezzi di fortuna. I sedici fermati furono le prime vittime della cosiddetta “corriera fantasma”. Le notizie frammentarie che circolavano nel frattempo e la preoccupazione dei parenti degli scomparsi contribuirono alla diffusione di notizie erronee come la scomparsa dell’intero gruppo di passeggeri e dello stesso autocarro. Nel 1946 furono rinvenuti sei corpi appartenenti a un primo gruppo di vittime uccise presso Concordia sulla Secchia mentre nel novembre 1948 fu rinvenuto un secondo gruppo di dieci vittime che grazie agli effetti personali rinvenuti furono identificati per i passeggeri arrivati da Brescia. In base a ricostruzioni successive si scoprì che i sedici passeggeri furono dapprima condotti a Villa Medici di Concordia ove furono derubati e malmenati. Poi la notte tra il 16 e 17 maggio furono nuovamente prelevati e dopo essere stati condotti nel vicino podere furono uccisi. Solo dopo il processo tenuto corte d’Assise di Viterbo dal 15 dicembre 1950 al 15 gennaio 1951, si poté procedere ad una ricostruzione dell’accaduto. Ai partigiani di Concordia convenuti in veste di imputati furono contestati i seguenti reati: concorso nel reato di sequestro continuato ed aggravato di persona, concorso nel reato di omicidio aggravato continuato, concorso nel reato di malversazione continuata. Il processo, che lasciò insoluti alcuni punti come il numero delle vittime che in base alle testimonianze appariva più elevato, condannò il comandante e il vicecomandante della polizia partigiana locale Armando Forti e Giovanni Bernardi a 25 anni di prigione per il reato di “omicidio continuato”.

16 anni e sette mesi furono poi condonati a seguito di amnistie. In base agli atti processuali nel territorio di Concordia fu possibile identificare solo i resti di undici delle vittime mentre cinque rimasero ignote

In base agli atti processuali nel territorio di Concordia fu possibile identificare solo i resti di undici delle vittime mentre cinque rimasero ignote :

Enrico Serrelli-Guardia Nazionale Repubblicana di Lucca nato il 25 ottobre 1925  del Comando di Brescia

Cesare Augusto Jannoni-Sebastianini Guardia Nazionale Repubblicana di Roma nato               26 giugno 1924- Scuola allievi ufficiali di Oderzo

Marcello Calvani – Guardia Nazionale Repubblicana di Roma nato 23 febbraio 1923- Scuola allievi ufficiali di Oderzo

Roberto Lombardi-Guardia Nazionale Repubblicana    di Roma nato 28 febbraio 1926- Scuola allievi ufficiali di Oderzo

Marcello Cozzi -Guardia Nazionale Repubblicana di     Roma    nato 24 luglio 1926

 

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