RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 21 maggio 2019

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RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI

21 maggio 2019

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Ogni nostra cognizione prencipia da sentimenti.

LEONARDO DA VINCI, Aforismi, novelle e profezie, Newton, 1993, pag. 25

 

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Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

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SOMMARIO

 

Carpeoro: il governo cade, arriva Draghi. E Salvini è finito. 1  

La posta in gioco

IL PRIMO “PUTSCH DEGLI ONESTI”. 1   

L’autismo va di moda

Dan Olmsted, una morte comoda per l’industria dei vaccini 1

Errore medico: terza causa di morte, dopo cuore e cancro 1   

La regia   

Konrad Krajewski

TRUMP CRITICA IL COMPLESSO MILITARE INDUSTRIALE – qualcosa cambia? 1

La locomotiva Usa della spesa militare mondiale 1

Leggere Dávila per abbattere la politica dei buoni sentimenti 1

L’Impero Anglo-Sionista: una iperpotenza microcefala senza nessuna credibilità. 1

NAVE DI ARMI A GENOVA. “Potrebbe essere uno sgambetto di Francia o Germania”. 1   

Immigrati, ecco le carte: una toga allertava Lucano

Lo spread, il bluff dei bari che nessuno va a vedere (Una demistificazione) 1

Viene da Enrico VIII d’Inghilterra la soluzione per il debito pubblico italiano. 1

C.e.t.a. (Comprehensive Economic and Trade Agreement) 1

Sergio Mattarella e le fake news contro la Siria. 1

LETTERA DI UN AMICO TEDESCO SULLA GERMANIA. 1

La trasparenza è una cosa utile 1

Sea Watch 3, Colle e manovra decidono il futuro del governo 1    

In Italia esiste anche una destra

Monsanto/Bayer colpita da un’altra decisione di giuria che conferma Roundup (glifosato) come causa del cancro di un uomo. 1

 

 

 

IN EVIDENZA

Carpeoro: il governo cade, arriva Draghi. E Salvini è finito

Scritto il 20/5/19

L’allarme di Carpeoro è coerente con le anticipazioni fornite nelle scorse settimane: in web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights” aveva annunciato la tempesta giudiziaria che si sarebbe abbattuta sulla Lega, di cui la vicenda di Armando Siri rappresenta soltanto l’ultimo, gravissimo episodio. Secondo Carpeoro – su YouTube con Frabetti il 19 maggio – ora Salvini è in trappola: se trionfa alle europee dovrà rompere con Di Maio e convergere sul centrodestra, ma accettando la premiership di Draghi appena “suggeritagli” da Berlusconi. «Per il Cavaliere è l’ultima zampata: poi si ritirerà, cedendo lo scettro a Tajani, con la scusa delle sue precarie condizioni di salute». Ridotto a ruota di scorta di Draghi, Salvini sarebbe finito. Anche perché il super-banchiere metterebbe in atto una politica di austerity come quella di Monti: rigore assoluto, contrazione della spesa pubblica, tagli alle pensioni e magari anche una patrimoniale. Addio ai sogni leghisti come la Flat Tax, per la quale aveva lavorato proprio Armando Siri, sottosegretario disarcionato da Conte e Di Maio nonostante sia tuttora soltanto indagato. Sarebbe davvero la fine, per una Lega decisa a proporsi come vettore dell’affrancamento dal “giogo” neoliberista di Bruxelles. Addio all’alfiere del sovranismo italiano, costretto al guinzaglio da Draghi.

Stessa musica, in ogni caso, se Salvini – per sua fortuna, si potrebbe dire – non dovesse andare così bene, il 26 maggio. Il governo gialloverde è comunque spacciato, secondo Carpeoro, avendo fallito nel suo obiettivo numero uno: risollevare l’economia. Carpeoro è un dirigente del Movimento Roosevelt, che – attraverso il presidente, Gioele Magaldi – ha accusato i gialloverdi di eccessiva timidezza, con Bruxelles, al momento di contrattare il deficit 2019. Gli investimesti strategici avrebbero fatto crescere il Pil, riducendo l’incidenza del debito pubblico e quindi la pressione dei signori della finanza (spread) e degli oligarchi di Bruxelles, ben rappresentati dallo stesso Draghi. Appena la crisi si è mostrata in tutta la sua durezza, come si è mosso Di Maio? Ha attaccato Salvini, omaggiato la Merkel e difeso la disciplina europea del rigore. Come se ne esce? «Solo con una mezza rivoluzione», sostiene Carpeoro, assai pessimista. «Salvini si può ribellare soltanto se capisce in che trappola lo hanno cacciato». L’altra carta, per Carpeoro, è virtualmente rappresentata dalla base dei 5 Stelle: a suo

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LA POSTA IN GIOCO

Giovanni Bernanrdini – 17 05 2019

Solo persone molto “diversamente intelligenti” o molto in mala fede possono pensare che la messa ai domiciliari di un sindaco leghista e la apertura di un fascicolo su Salvini per “voli di stato” non siano misure miranti a condizionare il voto di domenica prossima.

Ormai è chiaro. A meno di grosse sorprese il governo è destinato a cadere.

 

Cosa fare in questa eventualità? In un paese normale si tornerebbe a votare, ma l’Italia non è un paese normale, quindi cercheranno in tutti i modi di impedire al popolo bue di esprimersi.

Le scelte più probabili sono due: un governo tecnico o un governo PD M5S. La seconda mi sembra più probabile: difficilmente un governo tecnico troverebbe i numeri mentre un governo PD M5S i numeri li avrebbe.

Ed è immaginabile il programma di un simile governo:

 

riapertura dei porti,

ius soli,

assistenzialismo combinato con piena accettazione dei vincoli europei e finanziato con un

incremento della pressione fiscale,

giustizialismo forcaiolo.

Ma esiste una precondizione per una simile prospettiva: le elezioni europee dovrebbero segnare quanto meno una battuta di arresto della lega ed una discreta tenuta di PD e M5S.

Imporre un governo tecnico o un governo PD M5S alla maggioranza del paese ed alla

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IL PRIMO “PUTSCH DEGLI ONESTI”

Maurizio Blondet  20 Maggio 2019

E’ stato nel numero  del 3 febbraio 1993 di “L’Italia Settimanale”, direttore Marcello Veneziani, e per cui lavoravo anch’io. L’articolo rivelava per primo che meno di un anno prima, il 2 giugno 1992, “a bordo del regio yacht Britannia (che si trova “per caso” nelle nostre acque territoriali) dei rappresentanti della BZW (la ditta di brocheraggio della Barclay’s), della Baring   § Co., della S.G. Warburg , e  dai nostri rappresentanti dell’ENI, dell’AGIP, di Mario Draghi del  ministero del Tesoro, Riccardo Gallo dell’IRI, Giovani Bazoli dell’Ambroveneto, Antonio Pedone del Crediop e da alti funzionari della Comit, delle Generali e della Società Autostrade [danno] il via alla svendita dello Stato. Prime vittime annunciate, i patrimoni industriali e bancari più prestigiosi.  Il nome dell’operazione èprivatizzazione”. Formula magica presentata alla collettività come unica cura per risanare la nostra economia e che invece  nasconde un business di proporzioni incalcolabili […] fra le famiglie del capitalismo, banche e signori della moneta. Accordi e strategie politiche ben precise: scippare agli Stati,  considerati un inutile retaggio del passato e un odioso freno la globalizzazione del mercato, la sovranità monetaria”.

Che ve ne pare, come attualità, ora che Mario Draghi torna venerato a qualche massima carica che è stata approntata  per lui? Traggo queste righe  dal libretto di Michele Rallo, “La Crociera del Britannia”, Dino Grammatico Edizioni, per un buon motivo. Rallo, di Trapani, che è stato deputato di Alleanza Nazionale per due legislature dal 1994 al 2001, ebbe la dignità civile di fare quattro interrogazioni parlamentari per sapere cosa s’era deciso sul Britannia: quattro interrogazioni  al governo Amato, al governo Ciampi, al governo Berlusconi. Senza mai ottenere risposta.

Attenzione alle date, consiglia giustamente Rallo:   i media erano  pieni dello scandalo di Mani Pulite (cominciato a febbraio  ‘92)  delle ondate di arresti eccellenti, della crisi del governo democristian-socialista,  le elezioni di aprile avevano segnato la liquidazione politica di Craxi e di Andreotti e il vuoto di potere reale della classe dirigente  – il primo e originale Golpe degli Onesti –  con Giuliano Amato capo di un governo di emergenza. Come non  bastasse, il 23  maggio era stato ucciso il giudice Falcone nel famoso mega-attentato; i media   avevano le migliori scuse per non riferire che, all’orizzonte di Civitavecchia, era comparso il Britannia dove uno sconosciuto funzionario del Tesoro di nome Draghi era presente all’incontro  dove (precisa un’altra interrogazione di Rallo) “fu decisa  la dismissione delle aziende a partecipazione statale […] Le procedure di vendita sono a buon punto per Maccarese e Italstrade, e c’è la conferma della volontà di quotare in Borsa, scendendo sotto il  51%, anche le azioni della Società  Autostrade”  :  che sappiamo in quali mani  private è finita, a render lucri inverosimili ingiustificati.

Per di più, a settembre del ’92, ecco l’attacco di George Soros alla lira, che “obbliga”  Ciampi  a svalutare del 30% dopo una inutilmente ostinata  (e sospetta) difesa della nostra valuta,  che costò all’erario  una perdita valutaria di 48 miliardi di dollari,  facendo arricchire qualcun altro di altrettanto. Con la svalutazione, “calcolato in dollari, l’acquisto delle nostre imprese da privatizzare è diventato per gli acquirenti esteri meno costoso del 30%”.  Sarà certo una coincidenza  se Soros riceverà la laurea honoris causa dalla massonica università di Bologna, su indicazione(si dice) di Romano Prodi, uno degli artefici maggiori della esaltante stagione delle privatizzazioni.

A rivedere  il film di quei tempi che ho vissuto,  resto colpito dall’accumulo straordinario di eventi enormi che avvennero tutti in pochi mesi del 1992.  Il  7  febbraio, il Trattato di Maastricht:  17, arresto di Mario Chiesa e inizio della tempesta giudiziaria di Mani Pulite;  aprile, le elezioni disastrose per i vecchi partiti, e che vedono l’affermazione di Lega Nord e di Rete (Leoluca Orlando), i due “partiti degli Onesti” dell’epoca, con molti punti in comune con il grillismo odierno.  Il 27 aprile, le dimissioni anticipate di Cossiga, “perché ci vuole un presidente forte” per  reggere  il timone nella tempesta (e tenere a freno le procure) e lui, prossimo alla scadenza  e dunque al semestre bianco, non lo è. A maggio la morte di Falcone;  a giugno, l’arrivo del Britannia; a settembre Soros che attacca la lira. E in questi mesi Amato, Ciampi, Prodi, Andreatta che ci danno dentro  con le privatizzazioni delle aziende a partecipazione pubblica. Con un governo Ciampi  che  è il primo di uno  al di fuori del  parlamento (meglio: il secondo, il primo fu il governo Badoglio), e pieno di “tecnici”, ossia gente delle banche e della finanza.

Cronologia di Mario Draghi

Ciò  che non ricordavo è la provenienza di Draghi. Com’è che appare al Tesoro,  e come direttore generale? Dove stava, prima?

Era direttore esecutivo, ossia altissimo dirigente, della Banca Mondiale. Dal 1984 al 1990.  La Banca Mondiale, fondata nel ’45 dopo Bretton Woods come primo pilastro del futuro Governo Mondiale;  quello di cui il banchiere Warburg disse al Senato, nel 1950: “Avremo un governo mondiale, vi piaccia o no – o col consenso o  con la forza”.  E’ alla Banca Mondiale  che  Bush jr. ha messo il  suo complice-chiave del’11 Settembre, il Paul Wolfowitz dal doppio passaporto.

Dunque Draghi aveva alle spalle una eccelsa carriera nel mondo della finanza anglo, in corso dal 1984 al 1990.  Ma proprio nel 1990, per divina ispirazione, lascia l’America  e torna in Italia. Nel 1991, viene nominato al Tesoro: Direttore Generale. Da chi? Dal ministro di allora, Guido Carli,“co-autore con Giuliano Amato della legge delega che aveva avviato la privatizzazione” della Banca d’Italia.  In tempo per salire sul Britannia. Un “tecnico”. E’ possibile, ma non c’è prova, che ci fosse anche Andreatta.  Se fosse vero, era l’unico politico italiano invitato. Se si può chiamare “politico” quello che attuò il divorzio fra Tesoro e Bankitalia nell’81.

Torniamo a Draghi:

1984-1990 direttore della World Bank.

1991-2001 Direttore generale del Tesoro e – insieme  – Presidente del Comitato Privatizzazioni: carica in cui  si avvicendano altri liquidatori del patrimonio pubblico, fra cui Romano Prodi, successivamente presidente IRI (fino al ’94), capo del governo (1996-1998),  e come premio,  presidente della Commissione Europea (1999).

2002  – Draghi lascia e va a Goldman Sachs. “Non  da semplice manager, ma addirittura da vicepresidente con competenza dell’area europea, e membro del suo  Management Committee Worldwide”. Ossia della finanziaria  speculativa  che non soltanto aveva fatto la “consulente della privatizzazione di Credito Italiano e Fintecna,  ma aveva acquistato in prima persona consistenti pezzi del nostro patrimonio nazionale: fra cui l’intera proprietà immobiliare dell’ENI , più altri patrimoni immobiliari da Fondazione Cariplo,  RAS, Toro eccetera”.

Ah, se ci fossero stati i procuratori di Mani Pulite! Avrebbero potuto rilevare  come  possibile reato  il gigantesco conflitto d’interesse in capo a Draghi e incriminarlo! Ma  non c’erano. Solo trent’anni dopo,  una loro emulatrice avrebbe messo sotto intercettazione  il sindaco di Legnano. I conflitti d’interesse   diventano delitti solo a quel livello.

2006 – Draghi rientra in Italia e diventa Governatore della Banca d’Italia. Ah, peccato  che si fossero distratti i procuratori di Mani Pulite! E il partito degli Onesti non abbia eccepito l’inammissibilità che un dirigente di Goldman prendesse la più  importante carica pubblica monetaria  –    ah già, ora  Bankitalia era privata.

Chi ce l’ha messo?  “Male, molto male io feci ad appoggiarne, quasi a imporne la candidatura a Silvio Berlusconi”, esplose Cossiga  …. ”E’ il liquidatore,  dopo  la famosa crociera del Britannia,  dell’industria pubblica ..  la svendita dell’industria pubblica italiana quand’era Direttore generale del Tesoro” . E’ il celebre momento  del “vile  affarista”:

Un vile, vile affarista…non si può mettere a presidente del Consiglio [se ne parlava già allora] chi è stato socio di Goldman Sachs”. 
Ah ,  che bell’occasione per le Procure!   Prendere le parole dell’ex capo di Stato e usarle come notitia   criminis onde indagare Draghi, l’uomo di Goldman Sachs  –  per appurare,  con intercettazioni 24 ore  su 24  come  quelle che fanno adesso ai leghisti, di quali “vili affari” lo si potesse accusare. Niente. Davigo, l’occhiuto Procuratore Totale,  non raccolse.

2006-2011 Draghi resta dunque a governare Bankitalia.

2011 – spicca il grande balzo: governatore della Banca Centrale Europea.

….Adesso torna, tranquilli.  Capo di governo “tecnico” e poi presidente della Repubblica, come Ciampi –  a  completare l’opera e  applaudito dagli Onesti.

Fini dai Rothschild: entrò fascista uscì conservatore

La storia non sarebbe completa senza il finale comico che riguarda Gianfranco Fini, allora segretario di Alleanza Nazionale, presidente della Camera, alleato di Berlusconi nel governo e desideroso di sostituirlo. Una vicenda di cui Rallo, in quanto parlamentare di AN, conosce particolari a me sfuggiti.

Il Corriere della Sera del 21 gennaio 1995 titolava: “Fini a Londra:

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ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

L’autismo va di moda

Pubblicato il 11 maggio 2019

 

Eccovi servito il nuovo livello di rincoglionimento imposto: “l’autismo è un dono”, “l’autismo è una opportunità”, “l’autismo serve per lavorare”, “l’autismo è il futuro”. Ve lo strillano con prestigiosi convegni, dalle patinate riviste e compagnia cantante, tutti ben foraggiati dalle case farmaceutiche.

È la nuova frontiera:

stravaccinato e autistico,

con contorno di treccine bionde,

seduto a guardare serie TV mangiando insetti bolliti.

Il perfetto bimbo del radioso futuro che hanno in serbo per voi.

Vi hanno convinto che i bambini sani minaccino la salute pubblica.

Vi hanno convinto che la scienza consista nel credere ciecamente a qualsiasi cosa affermi uno stronzo arrogante in camice bianco alla TV, e che farsi domande quando i conti non tornano sia roba per matti.

Vi hanno convinto ad accettare come vere epidemie immaginarie, morti immaginari, e ad accettare la cancellazione dei diritti fondamentali per emergenze basate su un rischio venti volte inferiore a quello di venir colpiti dai fulmini.

Vi hanno convinto che sia normale distruggere l’identità sessuale nei bambini, per liberarli dagli stereotipi culturali.

Vi hanno convinto che serva a garantire la libertà di orientamento sessuale, a eliminare le discriminazioni, quando non c’entra un emerito niente con queste più che logiche e importanti battaglie – anzi – lavora esattamente nella direzione opposta. Quella di creare confusione ad ogni livello, di cancellare ogni tipo di riferimento, mentre è proprio dai riferimenti che si parte per prendere decisioni, per conoscere se stessi, per assumere il controllo della propria vita. Più che mai quando si parla di orientamento o di identità sessuale.

Vi hanno convinto che sia normale spingere milioni di persone a lasciare le loro terre, che deprediamo economicamente e fisicamente per le risorse prime, avviandole a viaggi infernali in cui vengono sfruttati, derubati e violentati per poi rischiare di affogare su gommoni di fortuna da cui – Alleluya! – i nostri eroici volontari delle ONG possono salvarli, per

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Dan Olmsted, una morte comoda per l’industria dei vaccini

Scritto il 10/3/17    RILETTURA

Una morte “comoda” per l’industriadei vaccini? Dan Olmsted si è spento il 23 gennaio nella sua casa di Falls Church, in Virginia, il giorno prima di un incontro cruciale: il 24 gennaio, secondo alcune fonti, Kennedy Jr, fondatore del World Mercury Project, lo avrebbe presentato a Trump nell’ambito della Commissione per la sicurezzadei vaccini da lui presieduta. Olmsted, ricorda Emanuela Lorenzi, era un grande giornalista investigativo formatosi a Yale, «uno di quelli che ancora scavano dentro e dietro la notizia per ottenere la verità e lo fanno ponendo domande». Per la “United Press International” denunciò l’insabbiamento da parte dell’esercito americano degli effetti neurotossici provocati dal farmaco antimalarico Lariam. Ma è soprattutto noto come fondatore di “The Age of Autism” e vero e proprio “detective dell’autismo”, cui ha consacrato gli ultimi anni della sua vita. Le sue relazioni sono state citate dall’avvocato ambientalista Robert Kennedy Jr, dalla “Columbia Journalism Review” e da David Kirby in una edizione del suo libro “Evidence of harm”.

Insieme a Mark Blaxill, padre di una bambina autistica, Dan Olmsted «ha investigato a lungo le cause dell’autismo, rintracciandone la storia ed il costante rapporto con l’esposizione al mercurio», scrive Lorenzi su “Come Don Chisciotte”. Il reporter ha indagato sulla recente epidemia «sovrapponibile all’intensificazione del calendario vaccinale», passando per l’anomalia degli Amish, che rifiutano i vaccini e sono immuni da “effetti collaterali”. Olmsted ha denunciato la “iatrogenicità” di alcuni vaccini, «opponendosi al dogma della teoria genetica e del fatalismo con cui si devono confrontare i genitori dei bambini che ricevono diagnosi di autismo». Per Emanuela Lorenzi, «il tabù dell’eziologia porta in sé l’altro tabù: la guarigione: non si può “guarire” dall’autismo, perché questo proverebbe che non si tratta di una malattia genetica bensì di una malattia causata dall’uomo». A partire dal 2005, Olmsted «aveva indagato attentamente il legame fra autismo e vaccinazioni», fondando “Age of Autism”.

In pratica, Olmsted «affermava senza mezzi termini quello che la letteratura scientifica seria (e i pensatori critici i cui neuroni non sono stati ancora totalmente demielinizzati dai vapori di mercurio) sostiene da tempo». E cioè che «con l’intento (apparente) di spazzare via ogni possibile infezione dal pianeta, il paradigma vaccinale ha causato assalti immunitari da iperstimolazione», oltre che «da introduzione di tossine come il mercurio», ma anche «alluminio, arsenico, squalene, formaldeide, polisorbato 80, neomicina, proteine e virus eterologi», nonché «materiale genetico da tessuti di pollo, vacca, cane, scimmia, coniglio, cellule di feti abortiti e virus a Dna ricombinante, endotossine batteriche, glutammato, nanoparticelle». Tutti elementi «che hanno slatentizzato malattie croniche nei nostri bambini, fra le quali l’autismo è solo la più nota», perché poi bisogna considerare «asma, Add, Adhd, diabete giovanile, malattie autoimmuni e molte altre». Il mercurio, osserva Lorenzi, è la sostanza più tossica del pianeta, seconda solo al plutonio: «E mai come per questo veleno è inapplicabile il motto paracelsiano sulla dose: il mercurio (ancora presente nei vaccini in tracce benché non sia obbligatorio riportarlo nel bugiardino) è tossico in quantità sub-micro e nano-molecolari».

La quantità di mercurio contenuta nei vaccini antinfluenzali, «incredibilmente raccomandata a neonati e donne in gravidanza (ed inoculata per via parenterale, mentre si sconsiglia agli stessi soggetti di consumare pesci di grossa taglia perché contenenti molto mercurio», bell’esempio di «schizofrenia istituzionale»), secondo Emanuela Lorenzi «è tale da causare danni irreparabili nel sistema immunitario di un feto». E il metilmercurio, forma organica derivata dalla “metilazione” del mercurio inorganico, è infinitamente più tossico. «Olmsted fa anche un cenno alla tossicità delle amalgame dentali che, pur avendo alla base mercurio inorganico, diventano molto pericolose emanando vapori di mercurio già a temperatura corporea», peggio ancora «se sottoposte al calore di una bevanda, allo spazzolamento, alla semplice masticazione, per non parlare del trapanamento del dentista». La morte di Olmsted, «le cui cause non sono state rese note ma il cui tempismo è davvero sospetto», suona come «un duro colpo alla ricerca della verità sull’“era dell’autismo”». Secondo la Lorenzi, «è singolare che si sia verificata proprio mentre “The Age of Autism” denunciava la censura del primo, innovativo e lungamente atteso studio sottoposto a “peer review” che confrontava la salute di vaccinati versus non vaccinati, ritirato a novembre proprio poco prima della pubblicazione».

Fra gli scienziati indipendenti non coinvolti nello studio, la dottoressa Stephanie Seneff, ricercatrice “senior” del laboratorio di informatica e intelligenza artificiale del Mit, ha dichiarato: «I risultati sono allarmanti, e ci obbligano a mettere seriamente in dubbio che i benefici dei vaccini prevalgano sui rischi». Su “HealthCare”, il 22 febbraio, il giornalista James Grundvig scrive: perché i centri di controllo e prevenzione non hanno mai finanziato uno studio del genere? L’agenzia sanitaria ha evitato di farlo di proposito? «Sembra che sia così», conclude Grundvig, «poiché andava contro il messaggio dei Cdc (Centers for Disease Control and Prevention) che recita

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Errore medico: terza causa di morte, dopo cuore e cancro

Scritto il 11/4/17

«Ce ne siamo già occupati altre volte in passato: gli errori medici sono la terza causa di morte nel mondo occidentale, dopo le malattie cardiovascolari e il cancro». Quello che esce da un recente studio pubblicato dal “British Medical Journal” ha però dell’incredibile: l’errore medico non è incluso nei certificati medici e nelle statistiche riguardanti le cause di morte. «Questo significa una sola cosa: i numeri delle morti che noi tutti conosciamo sono sottostimati», afferma il nutrizionista Marcello Pamio, autore di svariati saggi sullo stretto rapporto fra alimentazione e salute. Morte provocata dal medico che sbaglia? «Le cause iatrogene potrebbero risalire il podio diventando la seconda o addirittura la prima causa di morte al mondo». Ovviamente i media tacciono, accusa Pamio:

 

«Argomento tabù, gli sponsor sono sacri. Farmaci killer spietati? Assolutamente no, le droghe non si toccano, gli interessi economici sotterrano le morti che passano in secondo piano. Esattamente come i morti civili nelle guerre: danni collaterali. Oggi la realtà è la seguente: probabilmente i farmaci uccidono più delle guerre».

 

A fare un po’ di luce sono due importanti ricercatori, Martin Makary e Michael Daniel, che hanno cercato di stimare il contributo dell’errore medico sul tasso di mortalità americano. L’oncologo Makary, in forza al prestigioso John Hopkins Hospital di Baltimora, nel Maryland, ha pubblicato studi sull’importanza della trasparenza nella sanità, ed è lo sviluppatore della “checklist” post-operatoria, precursore della “checklist” chirurgica istituita dall’Oms. Daniel è un suo allievo, specializzato nella ricerca per la sicurezza del paziente, anche in relazione all’analisi dell’efficienza del servizio sanitario. La loro ricerca risale al 2016 ed è stata pubblicata il 3 maggio scorso dalla prestigiosa rivista britannica. La lista annuale delle cause più comuni di morte negli Stati Uniti, spiega Pamio su “Disinformazione.it”, è stilata dal Cdc, il Centro di controllo e prevenzione delle malattie: è un elenco composto dai certificati di morte compilati da medici, agenzie funebri e medici legali. Uno dei maggiori limiti del certificato di morte è che fa affidamento al codice Icd, quello dell’assegnazione internazionale della classificazione delle patologie mortali. «Ciò che ne risulta è che le cause di morte non associate ad un codice Icd, come ad esempio fattori legati a errori dell’uomo o del sistema, non vengono menzionati», sottolinea Pamio.

Dal Cdc sono comunque partiti i due ricercatori, che hanno analizzato la letteratura scientifica sugli errori medici, per identificare il loro “contributo” nella mortalità ai danni della popolazione negli Usa. L’errore medico? E’ stato definito «un atto inconsapevole», oppure «un processo che non raggiunge il risultato aspettato (errore di esecuzione)». O, ancora, un «errore di pianificazione» nella terapia, fino a «una deviazione del processo di cura». Il danno al paziente? «Può provenire da un errore medico a livello individuale o di sistema». Errare è umano, ovviamente. Ma, mentre molti sbagli non portano a conseguenze gravi, in altri casi invece una sola svista può bastare a determinare la morte dello sfortunato paziente. Pamio cita – tra i tantissimi – il caso di una giovane donna, inizialmente rimessa in sesto grazie a un delicato trapianto, ma poi morta (come appurato dall’autopsia) a causa di un ago che, durante un rilievo diagnostico profondo, le aveva lesionato il fegato. «Il certificato di morte riportò, però, che la causa del decesso era da ricondursi ad una patologia cardiovascolare della paziente».

Quindi, il fatale errore medico “scomparve” dalle statistiche.

Quanto è grande il problema? Negli Stati Uniti, spiega Pamio, la più comune fonte che riporta stime di decessi annuali causati da errori medici è un report datato 1999, «molto limitato e obsoleto», firmato dallo Iom, Istituto di Medicina.

 

Il report descrive una media tra i 44.000 e i 98.000 decessi annuali.

 

Le cifre però non si basano su una ricerca primaria condotta dall’istituto, ma su uno studio di pratica medica condotto ad Harvard nel lontano 1984, più uno secondo studio più recente, del 1992, condotto in Utah e in Colorado. Già nel 1993, Lucian Leape, un investigatore che si occupava dello studio di Harvard, pubblicò un articolo secondo il quale le stime riportate nel primo storico report

 

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BELPAESE DA SALVARE

LA REGIA

LO STABILE OKKUPATO “RIACCESO” DAL CARDINALE HA UN DEBITO DI 350.000 EURO SOLO DI ELETTRICITA’, MA SVOLGE ATTIVITA’ RICREATIVE E RICETTIVE A PAGAMENTO PER LA STESSA CIFRA, OGNI ANNO, SENZA CONTROLLI NE’ TASSE

Sisto Ceci – 15 05 2019 (dal Messaggero di Roma)

Chi tiene i fili di questa isola di illegalità, del resto, non ne ha mai fatto mistero. Anzi, rappresenta quasi un vanto, la dimostrazione che è possibile rendere remunerativa un’occupazione a costo zero. Che però garantisce a chi gestisce questo stabile ovvero Action un flusso di denaro superiore a 250mila euro l’anno, tra parte ludica e affitti versati dai 450 occupanti. Anche qui, tutto in nero.

Le attività della discoteca (capienza oltre 1000 persone: e poco importa che non ci siano uscite di emergenza o impianto antincendio) e del ristorante, ma anche della scuola per birrai, o ancora, dei corsi di milonga, della sala cinematografica, sono ampiamente pubblicizzate sui social.

Ecco Spin Eat, ovvero l’osteria: con una trentina di coperti, prezzi più bassi della media dei ristoratori per il cibo (fettuccine 6 euro, totani e patate a 8, braciole di maiale 6). La cantina è curata e i prezzi, qui, possono anche lievitare.

E poi c’è Spin Beer Lab, il laboratorio di birra, che offre corsi a pagamento. Bisogna pagare anche per imparare a ballare il tango (80 euro a persona per tutto il corso). Il ristorante è aperto dal martedì al sabato, dalle 19 alle 24: ovviamente qui non vengono osservate, in nessun modo, le leggi che, invece, devono rispettare i ristoranti tradizionali (dalle norme sulla conservazione dei cibi a quelle relative al loro trattamento).

Impossibile verificare la pulizia delle cucine: la polizia non è ammessa, neanche se l’ispezione avviene nell’interesse di chi quel cibo lo mangia. Quando sono in programma serate danzanti il venerdì e il sabato il ristorante fa registrare anche il tutto esaurito. Scontrini? Mai pervenuti. Si paga cash. Anche all’entrata della discoteca la cosiddetta sala L viene richiesto il

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https://www.facebook.com/sisto.ceci.94?__tn__=%2CdC-R-R&eid=ARDRH5HwvZfYDoAC8Mm3G3030geknw51f0XiiXoASS3pbdL7W_4rHlCjhse-JkEcS1dJqco0JhgAjnCd&hc_ref=ARSgi1sSAmeReOUDZNtsGbNXjqTftEEJVLxpl72GKJqe88lX_5HGwdqRtV9ZPgtJVKg&fref=nf

 

 

 

 

Konrad Krajewski,

Chiara Desiderio – 14 05 2019

elemosiniere del Vaticano, elettricista degli abusivi: il cardinale si è dichiarato responsabile per aver personalmente ricollegato la corrente elettrica nel palazzo occupato da 15 anni in via Santa Croce in Gerusalemme ad opera di alcuni immigrati e dall’associazione Action, uno dei più imponenti movimenti romani specializzato nell’assalto di case sfitte.

Un gesto di solidarietà, quello del cardinale verso 450 abusivi, che hanno deliberatamente evitato di pagare, oltre agli affitti, anche 300mila euro di bollette. Eppure, quel posto è diventato un business: oltre alla falegnameria e al cinema, ci sono una trattoria, una birreria e una discoteca.

I soldi circolano, non si sa quanti perché non vengono staccati scontrini, come non si sa come vengono spesi, di certo non per pagare la luce. Il cardinale non si è posto questa domanda e, quel che è peggio, quali possano essere le

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CONFLITTI GEOPOLITICI

TRUMP CRITICA IL COMPLESSO MILITARE INDUSTRIALE – qualcosa cambia?

Maurizio Blondet  21 Maggio 2019

“Il complesso militare-industriale ESISTE. E vuole guerre”: così Donald Trump in una lunga intervista  alla CNSN. E’ la prima volta che un presidente riconosce apertamente l’esistenza   del complesso militare-industriale e lo critica. La prima volta, s’intende, dal  17 gennaio 1961,   quando Eisenhower, nel suo messaggio di addio alla nazione,  metteva in guardia  da “ questa congiunzione di un immenso establishment militare e di una grande industria bellica”; essa “ è nuova nell’esperienza americana. La  sua influenza  – economica, politica, persino spirituale – si fa sentire in ogni città, in ogni casa e stato,  in ogni ufficio del governo federale. Totale.  [Anche se] riconosciamo la sua assoluta necessità ….Nell’attività di governo,dobbiamo guardarci dal  far acquisire un’influenza ingiustificata,  sia per inavvertenza o  volontariamente, al complesso militare-industriale.   Qui esiste ed esisterà  la possibilità  per  una crescita disastrosa del suo potere mal diretto. Non dobbiamo mai lasciare che il peso di questa combinazione metta in pericolo le nostre libertà o processi democratici. Non dovremmo dare nulla per scontato. Solo una cittadinanza  cosciente  e informata può costringere il corretto intreccio dell’enorme meccanismo di difesa industriale e militare con i nostri metodi e obiettivi pacifici, affinché la sicurezza e la libertà possano prosperare insieme”. [1]

Molto meno  solenne, Trump  ha raccontato che “in Siria, sai, ho eliminato il 100 per cento di  califfato […allora] Ho detto: voglio riportare truppe a casa – e quelli sono diventati matti.  Vogliono tenerli là — hai gente qui a Washington,   che non vogliono andarsene [dall’area]. Ho detto:  sai cosa farò, lascerò  un paio di centinaia di soldati  –  ma se dipendesse da loro ne  avrebbero mandati migliaia.  Beh, io sono  l’unico  che   dice che queste guerre durano da 19 anni, e il personale è sempre lì.  Non c’è da illudersi,  hai un complesso industriale militare.  A loro piace la guerra”.

“Non vogliono mai  finirla e partire, vogliono sempre   guerreggiare”.   Lui, ha detto,  con gli stati stranieri   ostili preferisce se possibile risolvere le tensioni con l’economia che con la soluzione  militare. “No, io non voglio guerreggiare;  ma hai situazioni come l’Iran. Non puoi lasciare che abbiano armi nucleari. Non puoi permettere che ciò accada”.

https://www.cnsnews.com/news/article/susan-jones/trump-you-do-have-military-industrial-complex-they-do-war

E’ un discorso anti-Establishment ed anti-Deep State che Trump affronta per la  prima volta   così apertamente –  lui che si è preso John Bolton come consigliere – perché sa che il suo pubblico lo ha votato perché ponesse fine  alle guerre eterne che dissanguano  tutti, e che questo elettorato, esasperato, guarda a Tulsi Gabbard, la sua possibile concorrente delle  prossime presidenziali.  In una video-intervista di due ore e mezzo, la Gabbard – colonnello, ha  prestato servizi in Irak nel 2005 – s’è scagliata contro “l’establishment della politica estera e il  complesso militare-industriale, che scatenano una guerra dopo l’altra di regime change   sotto pretesti umanitari  – guerre che aumentano le  sofferenze e le devastazioni in quei paesi, e rafforzano i jihadisti tipo Al Qaeda”.

L’intervista con Joe  Rogan,   realizzata il 13 maggio, ha avuto 1,6 milioni di visualizzazioni nella prima settimana,   e   il numero di quelli che scaricano i suoi discorsi sul  suo podcast  sono circa il doppio.   “Podcast” è il modo in cui la deputata democratica delle Hawaii comunica con i cittadini, perché da quando (nel 2017)  con grande sprezzo dell’impopolarità  è andata a trovare Assad a Damasco , dichiarando poi che  il presidente siriano non è una minaccia per gli Stati Uniti (e quindi non si capiva perché dovessimo fargli guerra),     la Gabbard è diventata una Non-Persona per i media mainstream.  Bollata come “amica di dittatori” e “di Putin”,  nessuno la intervistava, e raramente viene anche solo nominata. Adesso, dopo l’intervista, il numero dei  titoli di giornale che la nominano è passato da 1-2 al giorno (e spesso zero  al giorno) a 4-5; adesso è classificata al  quinto posto tra i candidati democratici nei media mainstream: insomma   con quella intervistona auto-prodotta   ha “bucato” e superato la congiura del silenzio,     fatto essenziale per avere qualche possibilità nella corsa alla Casa Bianca, che comincia con un truppone di aspiranti candidati presidenziali che per  lo più non riescono ad attrarre su di sé l’attenzione del pubblico, perché non ricevono  gli immani fondi necessari  dai miliardari dei poteri forti.

Adesso, il successo del video contro il “war party” segnala che qualcosa è cambiato   nel pubblico americano, sempre più esasperato-

Anche Oliver Stone  s’è aperto ad una speranza, ed ha twitato: “Sembra un sogno  che  @TulsiGabbard  possa diventare #President , ma mi piacerebbe ancora vederlo accadere. Tulsi vs Trump nel 2020 — che dibattito! E scommetto che la signora vincerebbe”

https://mobile.twitter.com/TheOliverStone/status/1129389026463571969?fbclid=IwAR02ZYsgr24Cm5A8Fx6V9y79_sDpw550YEtdTX-BOHPIHc_dcPQ32RggRgk

Farage e Tulsi Gabbard:  l’anti-Establishment nel cuore del potere anglo

Quale stato d’animo collettivo interpreta l’inopinato successo di Tulsi Gabbard? L’analista politico Tom Luongo appaia la bella  hawaiana  al  personaggio in ascesa stellare dall’altra parte dell’Atlantico, Nigel Farage:due campioni di una fase nuova e più energica ,  meglio preparata e massiccia di “populismo” e “sovranismo”, che travolge e minaccia direttamente l’Establishment anglo-americano  mondialista . Ossia quello che ancora conta davvero.

“E’ in arrivo un   riallineamento  nella politica nel  voto, che è iniziato con  Ron Paul nel 2008 e   quindi sta crescendo  da oltre un decennio.”. E’ una  volontà politica di “recupero della sovranità nazionale e anche di libertà personale che i  poteri  controllano spasmodicamente. Qualcosa  che sobbolle  sotto la superficie, e poi esplode”. L’esplosione  si vede “in  Gran Bretagna   dopo il tradimento della Brexit” .  In Usa, “è la risposta al tradimento di Trump della sua promessa di  porre fine alle guerre e ai cambi di regime  – Tulsi Gabbard raccoglierà un sacco di elettori nauseati  a morte della nostra politica estera che distrugge  la vita di milioni,

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https://www.maurizioblondet.it/trump-critica-il-complesso-militare-industriale-qualcosa-cambia/

 

 

 

 

La locomotiva Usa della spesa militare mondiale

di Manlio Dinucci

Secondo l’Istituto Internazionale di Ricerca per la Pace di Stoccolma (SIPRI), ogni mese dello scorso anno il governo federale degli Stati Uniti ha speso 250 $ pro-capite.

RETE VOLTAIRE | ROMA (ITALIA) | 7 MAGGIO 2019

La spesa militare mondiale – secondo le stime pubblicate dal Sipri il 29 aprile [1]– ha superato i 1800 miliardi di dollari nel 2018, con un aumento in termini reali del 76% rispetto al 1998. Secondo tale stima, ogni minuto di spendono nel mondo circa 3,5 milioni di dollari in armi ed eserciti. Al primo posto figurano gli Stati uniti con una spesa nel 2018 di 649 miliardi. Tale cifra rappresenta il budget del Pentagono, comprensivo delle operazioni belliche all’estero, non però l’intera spesa militare statunitense.

Si aggiungono infatti altre voci di carattere militare. Il Dipartimento per gli affari dei veterani, che si occupa dei militari a riposo, ha avuto nel 2018 un budget di 180 miliardi di dollari. La Comunità di intelligence, composta da 17 agenzie (tra cui la più nota è la Cia), dichiara un budget di 81,5 miliardi, che però è solo la punta dell’iceberg della spesa reale per operazioni segrete. Il Dipartimento per la sicurezza della patria ha speso nel 2018 70 miliardi, soprattutto per «proteggere con il servizio segreto la nostra infrastruttura finanziaria e i nostri più alti leader». Il Dipartimento dell’Energia ha speso 14 miliardi, corrispondenti a metà del suo budget, per mantenere e ammodernare l’arsenale nucleare.

Tenendo conto di queste e altre voci, la spesa militare degli Stati uniti ammonta, nel 2018, a circa 1000 miliardi di dollari. Come spesa procapite, essa equivale a 3 milioni di dollari per abitante degli Stati uniti. La spesa militare è la principale causa del deficit federale, salito a circa 1000 miliardi e in forte aumento. Insieme ad altri fattori, essa fa lievitare il debito pubblico statunitense, salito nel 2019 a oltre 22000 miliardi di dollari, con interessi annui di 390 miliardi che raddoppieranno nel 2025. Tale sistema si regge sulla egemonia del dollaro, il cui valore è determinato non dalla reale capacità economica statunitense, ma dal fatto che esso costituisce la principale moneta delle riserve valutarie e dei prezzi internazionali delle materie prime. Ciò permette alla Federal Reserve di stampare migliaia di miliardi di dollari

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https://www.voltairenet.org/article206442.html

 

 

 

 

 

CULTURA

Leggere Dávila per abbattere la politica dei buoni sentimenti

www.lintellettualedissidente.it

Siete stufi di buoni buoni sentimenti ed empatia? Non sopportate più i vizi, le miserie, le violenze degli esseri umani? Dubitate del liberalismo e pensate che la democrazia sia il regno della mediocrità? Bene, allora le Notas di Nicolás Gómez Dávila faranno al caso vostro: un monumentale viaggio, quello proposto da Gog Edizioni, con uno tra i più dissacratori della filosofia contemporanea.

Sfogliare le pagine delle novità editoriali o delle classifiche dei libri più venduti, per i frequentatori compulsivi di librerie, è una piccolo, settimanale, personale dramma. Da coloro che pretendono di essere baluardo di resistenza al dilagare di ignoranza e intolleranza non si ricevono che figurazioni desertiche in cui di oasi fatte di pensiero e libertà non v’è che il miraggio. Se sia colpa degli editori o dei lettori poco importa. Nelle cattedrali di paglia costruite su pagine, libri, autori, trovare spilli pungenti è impresa che richiede due considerazioni.

La prima, come insegna il Cioran dei Sillogismi dell’amarezza, è che il pubblico si getta perlopiù sugli autori cosiddetti “umani”, quelli da cui non ha nulla da temere, rimasti a metà strada, che non mettono in crisi con l’atrocità del dubbio credenze e certezze. La seconda, di André Gide, è che con i buoni sentimenti si fa cattiva letteratura. Si finisce travolti dall’orgia del banale. Nella superficie arida dell’editoria si trovano tuttavia le occasioni per ribaltare il tavolo.

 

È quanto ha fatto GOG Edizioni pubblicando nella sua collana di classici le Notas (2019, pp. 425) del reazionario Nicolás Gómez Dávila, con un saggio introduttivo del compianto Franco Volpi.

 

 

Introdurre il caos nell’ordine è la parola d’ordine che Adorno, in tempi ordinati, consegnò all’arte. Obiettivo dei reazionari è introdurre ordine nei tempi caotici che viviamo. Re dei paradossi, Dávila lo fa nella forma più disordinata, l’aforisma, il fendente di spada che in poche righe colpisce l’obiettivo. Il filosofo colombiano sgrana il rosario delle proprie riflessioni, inanellando aforismi che non sono mai soluzioni ideologiche, ma sempre occasioni di pensiero. Compito dell’aforista è stare in equilibrio tra letteratura e filosofia, e Dávila è maestro in quest’arte: come il saggista distilla il senso dell’essere dalle parole, come il poeta distilla parole dal senso dell’essere.

Il senso profondo del pensiero reazionario abita nella convinzione che l’uomo, con i suoi vizi, le sue violenze, le sue miserie, sia un problema. I maestri del pensiero reazionario, da de Maistre a de Bonald, grattano l’uomo e trovano il male. Lo spagnolo Donoso Cortés, tanto amato da Carl Schmitt, si spinge fino a dire che «il rettile che il mio piede schiaccia sarebbe meno spregevole di un uomo». Il senso profondo dell’essere reazionario di Nicolás Gómez Dávila, invece, è nella considerazione che tale problema, l’uomo, non ha alcuna soluzione umana. «La nostra vita» scrive Dávila «è un esperimento destinato al disastro». Non c’è salvezza all’interno dei prodotti della cultura umana: non ve n’è nell’arte, né nella filosofia, né nella letteratura. Vuota di salvezza è pure la religione, che le Notas innalzano a «insieme di problemi, non insieme di soluzioni», archiviando il pregiudizio ateistico del religioso come uomo che insegue facili credenze. In cosa dovrebbe aiutarci la religione, che ci strappa dalla dimensione terrena investendoci dell’«esperienza dell’insufficienza del mondo»? Non c’è salvezza, infine, nemmeno nella politica. Reazionario è innanzitutto chi rifiuta le tre ideologie della modernità – liberalismo, socialismo, fascismo – e le loro facili soluzioni a questioni complesse.

È contro ogni statalismo che Dávila si scaglia con maggiore violenza. Che lo Stato sia un mostro (e la politica sia «l’arte di debilitarlo») non è una sciocchezza borghese. L’individuo non trova la propria realizzazione in compagnia di uno Stato forte, perché «nella misura in cui lo Stato cresce, l’individuo si sminuisce». E se pronunciamo statalismo, diciamo soprattutto socialismo, la «filosofia della colpevolezza altrui», «la teoria di chi non osa accusare se stesso», secondo le parole di Dávila. Il reazionario non potrebbe che respingere chi predica la liberazione dell’uomo dalle proprie catene; sa che senza catene (sovrastrutturali, va da sé) l’uomo rimane una scimmia. I fatti dello spirito contano più della distribuzione del capitale o dei mezzi di produzione: «cosa ci importa chi debba essere il padrone della fabbrica, se la fabbrica deve continuare ad esistere?».

Non meno velenose sono le frecce scagliate contro democrazia, nazionalismo e liberalismo. Chi cerca di rivalutare Dávila con il beauty case del taglio selettivo, cercando di sedare il suo vigore antimoderno e di ammansire il suo spirito antiliberale per dare del filosofo un’immagine più facilmente spendibile nel circuito bigotto della cultura italiana, non ha capito lo spirito del colombiano o è in malafede. Come si può credere in un Dávila liberale, di fronte all’affermazione che «è certamente più importante la relazione fra l’uomo e il mondo che la relazione fra l’uomo e il diritto di proprietà»? Davvero si crede di poter democratizzare chi ritiene che l’errore del pensiero democratico sia «attribuire a ciascun individuo la totalità degli attributi propri del concetto di uomo»? Chi, più di Dávila, è capace con due aforismi di affondare il pugnale al cuore dei problemi? Per il colombiano la democrazia è il regno della mediocrità; più alto è il numero di minuscole volontà che sbraitano, più ampia è la partecipazione degli uomini al governo dello Stato, più ineluttabilmente si genera «una tirannia assoluta e una assoluta mediocrità».

Il Platone della Politèia avrebbe sottoscritto tali parole. Al di là di ogni afflato democratico, dicevamo, ma anche oltre ogni sciovinismo. Quanto più un popolo si rifugia nel nazionalismo, tanto più mette in mostra la propria artificialità. Gli aforismi delle Notas tradiscono un Dávila antiromantico, contro l’idea che si possa dedurre l’essenza di un popolo dai suoi caratteri (pensiamo agli italiani poeti, santi e navigatori), come se esistesse una “anima nazionale” e le sue proprietà spirituali migliori fossero la ricetta per la “grande nazione”. Non c’è niente di più fittizio di «un popolo che cerca la definizione del suo essere» prima ancora di agire, «incapace di operare per il timore di falsificarsi, quando la falsificazione è quello stesso timore» – chi vorrà, riconoscerà in queste parole la recente riproposizione in salsa teologica del nazionalismo ottocentesco italiano, che vuole uniti popoli profondamente diversi per lingua e modo di stare al mondo.

 

Nicolás Gómez Dávila

https://www.lintellettualedissidente.it/filosofia/nicolas-gomez-davila-notas-gog-edizioni/

All’opposto di ogni illusione della contemporaneità, Dávila non ritiene possibile la coesistenza della libertà e dell’uguaglianza, né gli importa il grado di libertà vigente in seno alla società. Di fatto, la condizione dell’uomo dei nostri giorni impone un sistema in cui per essere liberi gli uomini devono difendere la propria libertà «con l’esercizio dei loro più meschini ed egoisti diritti», come accade nelle società organizzate secondo i dettami del liberalismo.

Se non c’è salvezza nella politica, la necessità della rivoluzione scade. La storia è un cimitero di aristocrazie, di fianco al cimitero delle buone intenzioni. Il filosofo di Bogotà sa, forte del proprio realismo tucidideo, che «l’entusiasmo necessario per ribellarsi non basta per consolidare un governo». I Robespierre che ciclicamente esortano alla ribellione perdono la fede nei

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CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

L’Impero Anglo-Sionista: una iperpotenza microcefala senza nessuna credibilità

18 Maggio 2019 THE SAKER

La scorsa settimana ha visto quella che dovrebbe essere una iperpotenza minacciare, a causa delle sue imbarazzanti sconfitte, non solo il Venezuela, che aveva mandato all’aria i tentativi di golpe di Zio Shmuel, ma anche tutta una serie di altri paesi, tra cui Cuba, Russia, Cina e Iran. È uno spettacolo piuttosto patetico e, francamente, ai limiti del comico.

A Zio Shmuel, chiaramente, non è piaciuto essere diventato lo zimbello del pianeta.

E, come fa sempre, Zio Shmuel ha deciso di flettere un po ‘di muscoli e mostrare al mondo “chi è il capo”

… bloccando l’ambasciata venezuelana a Washington, DC.

Ma anche una cosa del genere era eccessiva per l’amministrazione MAGA, quindi hanno anche negato di averlo fatto (ma che razza di scusa è !?)

Il che non ha impedito agli attivisti statunitensi di entrare nell’ambasciata(legalmente, erano stati invitati) e confermare il tutto.

Ora il servizio segreto americano vuole far uscire con la forza le persone che si trovano all’interno dell’edificio.

Alla faccia della tanto decantata “plausibile negabilità” della CIA, che ora si è trasformata in “comica negabilità.”

Se pensate che tutto questo sia incredibilmente dilettantesco e stupido, avete ragione al 100%.

Con le bellissime parole di Sergei Lavrov, i diplomatici statunitensi hanno “perso il gusto per la diplomazia.”

Ma non è tutto.

Con un atto di incredibile coraggio, agli USA è stato detto (dagli Israeliani, ovviamente!) che gli Iraniani stavano per attaccare “da qualche parte,” così Zio Shmuel ha inviato due gruppi d’attacco con portaerei in Medio Oriente. Con una “audace” operazione, i fenomenali piloti dei bombardieri USA B-52 hanno sorvolato il Golfo Persico per “inviare un messaggio” ai “Mullah“: non fateci inc…are, altrimenti …

Sembra che i “Mullah” non si siano lasciati impressionare, e abbiano semplicemente dichiarato che “i vettori statunitensi non rappresentavano una minaccia, ma erano solo un bersaglio.

A quanto pare, gli Anglo-Sionisti hanno anche eseguito un’operazione false-flag per avere un pretesto per colpire l’Iran, ma finora questo sembra aver suscitato scarse reazioni in tutta la regione (la situazione però potrebbe cambiare).

Trascuriamo per adesso le “operazioni da asilo infantile” e proviamo a dare un senso a queste assurdità.

Prima cosa, mentre l’Americano medio può disprezzare gli Iraniani, chiamarli beduini, terroristi, mullah, negri del deserto, confonderli con gli Iracheni o addirittura pensare che gli Iraniani siano Arabi (come, a quanto pare, sono i Turchi, almeno secondo il comune standard di ignoranza statunitense), la verità è che gli Iraniani sono trai i più sofisticati giocatori di scacchi a livello mondiale, in particolare la loro superba comunità che si occupa di analisi geopolitiche. Sanno benissimo che un B-52 vicino allo spazio aereo iraniano è un’anatra zoppa e che se gli Americani stessero progettando di colpire l’Iran, avrebbero posizionato la loro portaerei lontano da ogni possibile attacco iraniano. Per quanto riguarda i B-52, questi dispongono di missili da crociera a lungo raggio e non hanno bisogno di avvicinarsi all’Iran per sganciare il loro carico bellico.

In effetti, penso che il modo giusto per convincere gli Iraniani che Zio Shmuel sta facendo sul serio sarebbe allontanare tutte le navi statunitensi dal Golfo Persico, dislocare i B-52 a Diego Garcia e posizionare i vettori alla massima distanza utile per poter mettre a segno un attacco con bombe o missili contro obiettivi iraniani. E potete scommettere che gli Iraniani tengono il conto esatto di quali aerei del Centcom sono schierati e dove. Per attaccare l’Iran, gli Stati Uniti avrebbero bisogno di raggiungere una specifica concentrazione di forze e di elementi di supporto, tutti tracciabili dagli Iraniani. La mia ipotesi è che gli Iraniani abbiano già un elenco completo di tutti gli ufficiali del CENTCOM fino a livello di colonnello (e forse anche per i gradi inferiori, per quanto riguarda i piloti) e che sappiano già esattamente quale aereo USAF/USN sia pronto a colpire. Potreste essere scusati se pensate che una cosa del genere sia difficile da realizzare, ma, in realtà, non lo è. L’ho visto fare personalmente.

Seconda cosa, gli Americani sanno che gli Iraniani lo sanno (beh, forse non il Sig. MAGA, ma la gente della DIA, dell’ONI, dell’NSA, ecc. lo sa). Quindi, tutto questo tintinnio di sciabole è stato pensato per far vedere che il Sig. MAGA ha un petto molto villoso, il tutto ad uso e consumo interno degli Stati Uniti. Per quanto riguarda gli Iraniani, hanno già sentito tutte le minacce possibili e immaginabili degli Stati Uniti, sono stati attaccati molte volte sia dagli Stati Uniti che da Israele (direttamente o per delega), e si stanno preparando ad un attacco degli Stati Uniti fin dai tempi gloriosi dell’Operazione Eagle Claw: più pronti di così non potrebbero essere, di questo potete esserne certi. Infine, l’attacco terroristico della marina statunitense contro un aereo di linea civile iraniano aveva di sicuro convinto gli Iraniani che i leader dell’Impero Anglo-Sionista non hanno nemmeno un minimo di decenza, non parliamo di onore. Figuriamoci poi la guerra chimica da parte dell’Iraq contro l’Iran, con sostanze chimiche gentilmente fornite da varie aziende statunitensi e dell’UE (con la piena benedizione dei loro governi). No, gli Iraniani non si fanno davvero illusioni su ciò che Shaytân-e Bozorg è capace nella sua rabbia.

In terzo luogo, “attaccare le ambasciate” è una palese ammissione di debolezza terminale. Questo era stato vero per il sequestro degli edifici consolari russi, ed è altrettanto vero per l’ambasciata venezuelana. Nel mondo reale (al di fuori della scuola materna) quando il paese A ha un contenzioso con il paese B, non sfoga la propria frustrazione contro la sua ambasciata. Azioni del genere non solo sono un’ammissione di debolezza, sono anche il segno di una fondamentale mancanza di civiltà.

[Nota a latere: la questione è fondamentale per la comprensione degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti sono un paese estremamente sviluppato, ma non civilizzato. Oscar Wilde (insieme a George Clemenceau) l’aveva capito bene: “L’America è l’unico paese che è passato dalla barbarie alla decadenza senza la civiltà in mezzo.” Ne esistono segni ovunque negli Stati Uniti: dalle leggi feudali sul lavoro, alla mancanza di assistenza sanitaria per tutti, alle condanne penali assolutamente e ridicolmente vincolanti (il codice penale sovietico sotto Stalin era MOLTO più ragionevole e civilizzato delle attuali leggi statunitensi!), alla pena di morte, alle torture socialmente accettate a GITMO e altrove, alle tensioni razziali, al disgustoso “cibo” che costituisce la tipica dieta “SAD,” alla barbarica “guerra alla droga,” al record mondiale di incarcerazioni, ad una enorme epidemia di aggressioni sessuali e stupri (1/5 di tutte le donne negli Stati Uniti!), all’omosessualità accettata come “variazione normale e positiva della sessualità umana,” al 98% di uomini che hanno ammesso di aver visitato siti porno su Internet negli ultimi sei mesi, … si potrebbe continuare con questo elenco fino alla nausea. Per favore, non fraintendermi: ci sono tante persone gentili, intelligenti, oneste, onorevoli, istruite e compassionevoli negli Stati Uniti come altrove. Non si tratta delle persone che vivono negli Stati Uniti: si tratta del tipo di società in cui vivono queste persone. In realtà, ribadisco una verità lapalissiana: gli Americani sono le prime vittime della mancanza di civiltà della propria società! Infine, la mancanza di civiltà non è sempre una cosa negativa e, a volte, può rendere una società molto più dinamica, flessibile e innovativa. Ma certamente, per lo più fa schifo …]

A proposito, gli Stati Uniti non sono affatto unici ad avere al potere degli imbecilli degenerati. Qualcuno ricorda in che stato era Chernenko quando era diventato segretario generale del PCUS? Che dire poi di gente come Jean-Bédel Bokassa o Mikheil Saakashvili (quest’ultimo caso è particolarmente doloroso perché si è verificato in un paese con una cultura veramente antica e peculiare!). E, anche se non ci piacciono i tipi come George Bush senior o James Baker, queste erano comunque persone superbamente istruite ed estremamente intelligenti. Paragonateli a degli ignoranti psicopatici come Pompeo, Bolton o lo stesso Trump!

Quindi, questo ultimo “attacco” USA al Venezuela è davvero un sintomo indicativo del crollo generalizzato della potenza statunitense, della bancarotta morale e intellettuale e della mancanza di civiltà dell’élite neoconservatrice al potere.

La domanda importante è ovvia: attaccheranno prima il Venezuela o l’Iran?

La cosiddetta vignetta “antisemitica” del NYT, abbastanza veritiera secondo me

 

Nel primissimo articolo che avevo scritto per il mio blog, nel lontano 2007, avevo previsto che gli Stati Uniti avrebbero attaccato l’Iran. Continuo a credere che gli Israeliani non smetteranno mai di cercare di convincere gli Stati Uniti a fare il lavoro sporco per loro (e lasciare che i goyim ne paghino il prezzo!). Quello di cui non sono sicuro è se gli Israeliani avranno veramente la forza di spingere gli Stati Uniti in una guerra così suicida (ricordate, se l’Iran non può “vincere” contro gli USA, neppure gli USA possono “vincere” contro l’Iran. L’Iran può vincere semplicemente sopravvivendo e resistendo (e farà entrambe le cose). La buona notizia è che la potenza degli Stati Uniti è in netto (e in accelerazione!) declino, almeno fin dai tempi di Clinton e della sua banda. Vorrei anche aggiungere che gli ultimi due idioti (Obama e Trump) hanno arrecato più danni alla potenza degli Stati Uniti di quanto abbiano fatto tutti i loro predecessori messi insieme. La cattiva notizia è che il QI collettivo dei leader statunitensi sta scendendo ancora più velocemente della potenza USA. Possiamo solo sperare che il primo arrivi a zero molto prima della seconda, ma non ci sono garanzie.

In realtà, nessuno sa se gli Stati Uniti attaccheranno o no l’Iran e/o il Venezuela come prossimo. I Neoconservatori lo vogliono di sicuro, ma se questa volta lo faranno o meno dipende da così tante variabili che anche i rappresentanti della Casa Bianca e del Pentagono probabilmente non lo sanno davvero.

Quello che è certo è che la reputazione degli Stati Uniti in tutto il mondo è praticamente defunta. Il fatto che alla maggior parte delle persone negli Stati Uniti non sia mai stato comunicato non rende la cosa meno reale. La coppia vincente Obama-Trump ha veramente causato danni irreparabili alla reputazione degli Stati Uniti (in entrambi i casi perché sono stati irrimediabilmente infettati e corrotti dai Neoconservatori). Gli attuali leader statunitensi sembrano aver capito, almeno in una certa misura, che questo è il motivo per cui bisogna prendersela sopratutto con obiettivi “facili,” come la libertà di parola (su Internet e altrove), Assange, l’ambasciata venezuelana, ecc. Il vero pericolo viene da uno di questi due fattori:

  1. I Neoconservatori si sentiranno umiliati dal fatto che tutte le loro minacce generano solo indifferenza, disgusto o risate
  2. I Neoconservatori si sentiranno sostenuti dal fatto che non è successo nulla di terribile (finora) quando hanno   attaccato un bersaglio indifeso

In entrambi i casi, il risultato è lo stesso: ogni “click!” ci avvicina sempre di più all’inevitabile “bang!”.

A proposito, penso che dovrei anche ricordare che l’attuale stato di paranoia avanzata, dove  tipi come Pompeo lanciano accuse a destra e a manca, è anche un sintomo di debolezza terminale: queste accuse servono non tanto a giustificare in modo credibile i costanti e sistematici fallimenti degli Israeliani e degli Americani nel realizzare effettivamente qualcosa, ma piuttosto per distrarre dalle vere ragioni dell’attuale, estrema debolezza degli Anglo-Sionisti.

Avevo concluso il mio ultimo articolo parlando dei terrorizzati Venezuelani che si erano rifiutati di avere paura.

Concluderò questo ricordando la prima volta che un (relativamente) piccolo avversario si era completamente rifiutato di farsi spaventare, anche se era stato sottoposto ad un attacco davvero terrificante: Hezbollah nel 2006. Anche se si erano trovati in minoranza numerica, peggio armati e circondati dagli Israeliani, i membri della Resistenza in Libano si erano semplicemente rifiutati di avere paura e, avendo perso la paura, a causa della quale molti Arabi si erano arresi prima del 2006, avevano inflitto agli Israeliani (sostenuti appieno dagli USA) la peggiore e più umiliante sconfitta della (certamente breve) storia del loro paese.

Vi esorto a leggere il famoso discorso “Vittoria Divina” di al-Sayyid Hassan (potete ancora trovare la trascrizione in inglese qui e qui, è uno dei discorsi più importanti del 20° secolo!) e a prestare attenzione a queste parole (corsivo aggiunto):

Sentiamo di aver vinto; il Libano ha vinto; la Palestina ha vinto; la nazione araba ha vinto, e anche tutti gli offesi e gli oppressi di questo mondo hanno vinto. La nostra vittoria non è la vittoria di un partito. Ripeterò quello che avevo detto a Bint Jubayl il 25 maggio 2000: non è la vittoria di un partito o di una comunità; è piuttosto una vittoria per il vero Libano, il vero popolo libanese e ogni persona libera nel mondo. Non fraintendete questa grande vittoria storica. Non fatene una questione di partito, confessionale, comunale o regionale. Questa vittoria è troppo grande per essere compresa da noi. Le prossime settimane, mesi ed anni lo confermeranno.

E, davvero, le settimane, i mesi e gli anni successivi lo hanno confermato!

Qualsiasi attacco americano all’Iran avrà risultati abbastanza simili, ma su una scala molto, molto più grande.

E gli Iraniani lo sanno. Come molti al Pentagono (la CIA e la Casa Bianca sono probabilmente casi ormai senza speranza).

Conclusione: buone notizie e cattive notizie

Prima la buona notizia: Pompeo e Lavrov hanno avuto quello che sembra essere stato un dialogo significativo. Questo è molto, molto buono, anche se del tutto insufficiente. Hanno anche annunciato di voler creare gruppi di studio per migliorare le relazioni (attualmente pessime) tra i due paesi. Questa è una notizia ancora migliore (se ciò dovesse veramente succedere). Ascoltando Pompeo e Lavrov, ho avuto la sensazione che gli Americani stiano lentamente realizzando che hanno un bisogno impellente di ristabilire un dialogo significativo con l’altra superpotenza nucleare. Bene.

Ma ci sono anche cattive notizie.

La voce secondo cui i geni strategici che circondano Trump stanno ora prendendo in considerazione l’invio di 120.000 uomini in Medio Oriente è davvero una brutta notizia. Se questo rimarrà solo un pettegolezzo, allora sarà la solita aria fritta che esce da Washington, sulla falsariga della potentissima “armada” di Trump inviata a terrorizzare la Corea del Nord (non c’era riuscita). La differenza qui è semplice: mandare vettori missilistici in Medio Oriente è unicamente un fatto di PR. Ma l’invio di vettori E di 120.000 uomini cambia completamente le cose ed ora questa minaccia, se portata a termine, diventerà molto reale. No, non penso che gli Stati Uniti tenteranno di invadere l’Iran, ma 120.000 uomini sono quasi tutti quelli che servirebbero per cercare di riaprire lo Stretto di Hormuz (presumendo che gli Iraniani lo chiudano), proteggendo nello stesso tempo tutte le (praticamente indifese) strutture e forze del CENTCOM della regione. In questo scenario, il viaggio di Pompeo in Russia potrebbe avere una ragione molto più sinistra: spiegare ai Russi cosa stanno preparando gli Stati Uniti e fornire garanzie di sicurezza che questa intera operazione non sarà rivolta contro le forze russe. Se gli USA avessero veramente l’intenzione di attaccare l’Iran, sarebbe perfettamente logico che Pompeo parlasse con Lavrov e aprisse canali di comunicazione tra le due forze armate per concordare procedure

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https://comedonchisciotte.org/limpero-anglo-sionista-una-iperpotenza-microcefala-senza-nessuna-credibilita/

 

 

 

 

NAVE DI ARMI A GENOVA. “Potrebbe essere uno sgambetto di Francia o Germania”

21.05.2019 – int. Stefano Piazza

Il mistero della nave araba dirottata dalla Francia al porto di Genova. Potrebbe essere una mossa elettorale

Non è assolutamente chiara la vicenda della nave della compagnia nazionale saudita Bahri Yanbu giunta a Genova dopo che i portuali francesi di Le Havre si erano rifiutati di scaricarne il contenuto. Motivo: qualcuno li aveva informati che il cargo trasportava materiale militare. Stessa azione è stata espressa dai colleghi genovesi che hanno scaricato il materiale civile e non un generatore elettrico che può essere usato sia per scopi civili che militari. Sulla nave poi anche otto cannoni usati nello Yemen, secondo la fonte misteriosa, che adesso sono stati dirottati via treno al porto militare di La Spezia. Secondo l’esperto di terrorismo internazionale Stefano Piazza “sono decenni che navi provenienti dal Golfo arabico fanno la spola con Italia, Francia e Germania, tutti paesi produttori e venditori di armi, lo sanno tutti. Questa volta qualcuno ha voluto mettere le cose in pubblico, per ragioni che ignoriamo, forse dovute al periodo che viviamo, la campagna elettorale europea”. Ma possiamo

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https://www.ilsussidiario.net/news/esteri/nave-di-armi-a-genova-potrebbe-essere-uno-sgambetto-di-francia-o-germania/1885032/

 

 

 

 

DIRITTI UMANI IMMIGRAZIONI

Immigrati, ecco le carte: una toga allertava Lucano

Scandalo accoglienza, un giudice dava suggerimenti all’ex sindaco di Riace eroe della sinistra: “Non parlare al telefono”

 

Luca Fazzo – Lun, 29/04/2019

 

Mimmo Lucano ha avuto molti amici al suo fianco, da quando è stato investito dall’indagine che l’ha portato prima agli arresti domiciliari e poi al divieto di risedere a Riace, nel Comune che ha trasformato in un simbolo planetario dell’accoglienza.

 

Ma uno di questi amici è stato più amico di altri, fornendogli sottobanco preziosi consigli su come togliersi dai guai. Erano consigli assai autorevoli, perché questo amico è un magistrato in servizio alla Corte d’appello di Catanzaro, ripetutamente intercettato dalla Guardia di finanza mentre parla con l’ex sindaco o gli manda messaggi e mail. Il tema è sempre quello: l’indagine in corso da parte della Procura di Locri, quella terminata l’11 aprile scorso con il rinvio a giudizio di Lucano e di altre ventisei persone per associazione a delinquere, truffa, corruzione e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il giudice dà i suoi consigli, insulta gli avversari di Lucano, e soprattutto dà all’amico un avvertimento prezioso: «Non parlare al telefono». In pratica, lo avvisa che può essere intercettato.

 

Il giudice si chiama Emilio Sirianni, e ha rischiato di pagare caro l’aiuto a Lucano. La Procura di Locri, dopo essersi imbattuta nelle sue intercettazioni, ha deciso di aprire un’inchiesta. Prima un fascicolo esplorativo, poi, di fronte alla mole di elementi che emergevano, iscrivendo Sirianni nel registro degli indagati per favoreggiamento. Al termine delle indagini preliminari, la Procura ha chiesto di archiviare l’indagine. Ma nel medesimo provvedimento gli inquirenti hanno parole pesanti per il collega: «Il contegno mantenuto – scrivono – è stato poco consono a una persona appartenente all’ordinamento giudiziario, la quale peraltro era consapevole di parlare con persona indagata»; e ricordano che «in svariate occasioni il dottor Sirianni ha allertato il Lucano a parlare di persona con lui evitando comunicazioni telefoniche».

 

«Permanente consiliori»: così il procuratore della Repubblica di Locri, Luigi D’Alessio, etichetta Sirianni nell’atto conclusivo dell’inchiesta. «Nel corso dell’indagine – scrive il procuratore – sono emersi costanti rapporti tra il principale indagato, Lucano Domenico, e Sirianni Emilio, magistrato in servizio presso la Corte d’appello di Catanzaro». Dopo la prima informativa della Gdf sui rapporti tra i due, sono stati «delegati approfondimenti finalizzati a verificare se nel materiale in sequestro, in particolare negli strumenti informatici in uso al Lucano, vi fossero tracce ulteriori degli stretti rapporti con Sirianni». Era lo stesso magistrato, d’altronde, a sollecitare Lucano a cancellare le mail che si scambiava con lui.

 

È Sirianni a indicare a Lucano come rispondere alla Prefettura di Reggio, che ha sollevato una serie di dubbi sulla gestione dei progetti di accoglienza. Il sindaco manda al giudice le carte che riceve, lui gli spiega come difendersi, prepara per lui le risposte da inviare al Prefetto, si occupa persino delle sue conferenze stampa «organizzando in favore dello stesso una base di consenso

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ECONOMIA

Lo spread, il bluff dei bari che nessuno va a vedere (Una demistificazione)

19 Maggio 2019 DI MARIO MONFORTE

E rieccoci con lo spread!

Su tutti i media (tv e stampa) ancora (ri-)rimbomba l’aumento dello spread delle obbligazioni statali italiane. (Si tratta del differenziale di tasso di rendimento, ossia degli interessi da versare, dei titoli di Stato italici in vendita rispetto al tasso dei titoli tedeschi, e l’aumento del differenziale significa che crescono gli interessi. Una prima domanda: perché il referente dei titoli tedeschi? E non quelli, che so, o Usa o russi o giapponesi, etc.? Risposta: non perché l’economia tedesca sia “inossidabile” e “centrale”, ma perché fu così deciso a suo tempo, Usa in prima fila.) Tale spread è (sarebbe) giunto a 290 poi 300 punti, dopo sceso a 284. (Seconda domanda: chi decide questo differenziale? La risposta mediatica corrente è: «i mercati», dei fumosi, vaghi, inafferrabili, «mercati» che considerano, valutano, attuano … È del tutto falso: tale differenziale viene deciso dalle centrali del grande capitale finanziario, tedesche, inglesi, statunitensi, etc.)

Tutti i media gridano che lo spread è aumentato, quindi gli interessi da pagare sui titoli di Stato sono aumentati, e la principale “colpa” è di Salvini, ma anche del governo di cui Salvini è vicepremier e ministro degli Interni. In realtà Salvini, nella sua campagna elettorale permanente, fra le sue boutades, alcune delle quali, be’ diciamo … almeno “opinabili”, ne ha sparata una valida: “se occorre si sforerà il 3% di deficit rispetto al Pil”. Si noti la moderazione: “se occorre”. Ma è (sarebbe) senz’altro giusto accrescere la spesa in deficit se si volesse condurre un massiccio intervento statale di sostegno e sviluppo sul piano economico (sono le politiche che si dicono keynesiane, e si badi bene che non si tratta dell’economia “in sé” e “per sé”, ma dell’economia capitalistica, ossia siamo sempre nell’ambito del capitalismo, solo reso più “resistente” e con maggiori sicurezze per le classi subalterne; questo va detto rispetto ai tanti, ai più, che confondono il keynesismo con misure socialiste). Però l’uscita di Salvini significa anche riservarsi di poter fare in barba all’Ue tale sforamento (eventuale, futuro, futuribile: da tenere presente la cura attenta del governo «giallo-verde» a non oltrepassare i parametri dell’Ue, per cui dichiarazioni affini in passato sono rimaste … discorsi). Comunque, le forze politiche di opposizione (cioè della reazione contro ogni cambiamento dello status quo precedente) e il 99% dei media battono e ribattono il tamburo: “il governo fa gravare altri costi sulle spalle degli italiani”, “il governo è incapace, è dannoso, deve cadere”, e via rimbombando. Sotteso: “come era bravo Monti, che salvò l’Italia, insieme alla Fornero”, “come andava bene il paese con i governi sostenuti da Pd e FI”, “come si andava bene con il governo piddino”, “come si andava bene con il rigore, l’austerità, l’obbedienza ai parametri Ue” …

Arriviamo alla sostanza: è tutta una balla colossale, una falsificazione immensa. E va scandito e ribadito e gridato con l’altoparlante il perché: 1) se vi fossero adesso delle aste, ossia se tale tasso maggiorato a 284 punti fosse effettivo e avesse ora una ricaduta, riguarderebbe solo una quota minima degli interessi da versare sul debito e, di piú, scaglionati dai dieci ai trent’anni prossimi; 2) ma soprattutto, e si badi bene che questo è fondamentale, non ci sono state altre aste di vendita di titoli di Stato, né ci saranno per circa altri tre

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https://comedonchisciotte.org/lo-spread-il-bluff-dei-bari-che-nessuno-va-a-vedere-una-demistificazione/

 

 

 

 

Viene da Enrico VIII d’Inghilterra la soluzione per il debito pubblico italiano

14/05/2019 Massimo Bordin

Non si sono ancora sopite le polemiche per la decisione dell’elemosiniere del Papa di pagare l’elettricità di un palazzo occupato a Roma.
Secondo una parte consistente dei commentatori politici, la decisione avrebbe chiari intenti polemici nei confronti dello Stato Italiano ed anche di Matteo Salvini (“Pagherò le bollette arretrate degli inquilini e anche quelle del ministro”, ha ironizzato l’elemosiniere del Pontefice). Insomma, dietro il pagamento di una bolletta, più che l’intento evangelico ci sarebbe quello politico. Papa Bergoglio sarebbe anche intenzionato non a punire, bensì a premiare il cardinale elemosiniere Krajewski conferendogli un ministero.

Con la fine del potere Universale della Chiesa cattolica nel medioevo, il papato ha inaugurato una nuova serie di sfide con le organizzazioni statali. La Chiesa è sopravvissuta, ma ha anche sempre sonoramente perso queste sfide, ridimensionandosi territorialmente fino a diventare lo stato sovrano più piccolo del mondo.

Tra le tante dispute, è degna di riflessione quella tra la Chiesa romana del Cinquecento e il Re d’Inghilterra, perché ripensarla oggi nei rapporti Stato italiano/Città del Vaticano potrebbe aiutare non poco a capire come “altri” risolsero il problema del debito pubblico.

Come molti ricorderanno dagli insegnamenti scolastici, l’allora sovrano d’Inghilterra, Enrico VIII pronunciò l’atto di supremazia sul cattolicesimo perchè le alte sfere pontificie non accettarono il divorzio tra il Re e la sua consorte Caterina d’Aragona. Non si trattò di uno scisma teologico e dottrinale, dunque, ma di una disputa personale del Re con il Papa ed il suo cardinale di riferimento, Reginald Pole. Quel che non viene mai detto con sufficiente enfasi, invece, è che la disputa tra le due organizzazioni, consentì all’Inghilterra di sanare il proprio debito pubblico. La dissoluzione dei monasteri, infatti, fu un processo che dal 1536 al 1540 permise ad Enrico VIII di confiscare le proprietà della Chiesa cattolica nell’isola. Grazie al possesso dei terreni d’oltremanica, infatti, la Chiesa vantava entrate 3 volte maggiori rispetto a quelle dello stato. A ben guardare, il ricavato delle vendite dei monasteri e dei terreni fu piuttosto deludente rispetto alle aspettative iniziali, ma consentì comunque all’Inghilterra di avere meno problemi economici di altri stati in quell’epoca.

Tornando all’attualità, e come si può ben immaginare, la Chiesa cattolica possiede in Italia e fuori dal Belpaese, immobili che per quantità e qualità farebbero impallidire 100 confische di Enrico VIII. Il 20 per cento del patrimonio immobiliare italiano è in mano alla Chiesa, ma se calcoliamo anche quanto c’è fuori dai confini italiani, il papato può contare sullo stesso numero di ospedali, scuole e università di un gigante come gli Stati Uniti d’America. A Roma, città dai prezzi esorbitanti al metro quadro, un quarto degli immobili presenti è di proprietà del Vaticano.

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http://micidial.it/2019/05/viene-da-enrico-viii-dinghilterra-la-soluzione-per-il-debito-pubblico-italiano/

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

C.e.t.a. (Comprehensive Economic and Trade Agreement)  

Via libera alle multinazionali: faranno causa agli Stati

Scritto il 18/5/19

La Corte di giustizia europea ha dato il via libera al sistema extragiudiziale Isds. Si tratta di uno dei più controversi aspetti del Ceta, l’accordo di libero scambio tra Ue e Canada: in caso di controversia – ricorda il “Salvagente” – una multinazionale potrà chiamare in causa uno Stato membro non presso un tribunale ordinario ma dinanzi a un arbitrato, una sorta di “corte” privata prevista dallo stesso Ceta. Secondo il parere appena diffuso dalla Corte di Strasburgo, la procedura di risoluzione delle controversie fra investitori e Stati prevista dall’accordo è compatibile col diritto dell’Unione. «Si tratta in sostanza di un meccanismo di risoluzione delle controversie – l’Investment court system, Ics – che permette alle aziende e alle multinazionali di fare causa agli Stati davanti a un tribunale arbitrale». A settembre del 2017, aggiunge il “Salvagente”, il Belgio ha chiesto il parere della Corte di giustizia sulla compatibilità di questa procedura di risoluzione delle controversie con il diritto primario dell’Unione, esprimendo di fatto dubbi sugli effetti della procedura in relazione alla competenza esclusiva della Corte nell’interpretare il diritto della Ue e sull’autonomia dell’ordinamento giuridico europeo. Nel parere espresso ora, la Corte di Giustizia di fatto dà via libera all’arbitrato.

Netta e preoccupata la presa di posizione del comitato Stop Ttip/Stop Ceta: «La sentenza legittima un sistema controverso, che consente alle multinazionali di fare causa agli Stati per scoraggiare l’approvazione di leggi che minacciano i loro profitti», affermano i membri del comitato. «Qualunque norma – anche se varata per proteggere l’interesse pubblico o l’ambiente – sarà impugnabile in opachi tribunali, che prestano il fianco a gravi conflitti di interessi». Secondo Monica Di Sisto, portavoce della campagna Stop

 

 

Ceta (una coalizione di 200 organizzazioni)

si tratta di un meccanismo

«costruito su misura per gli investitori esteri,

a scapito della sovranità degli Stati e dei diritti dei cittadini».

 

Aggiunge: «Nel recente rapporto “Diritti per le persone, regole per le multinazionali: Stop Isds”, abbiamo dimostrato che la creazione della Corte per gli investimenti inserita nel Ceta su proposta della Commissione Europea rappresenta una minaccia per la democrazia e l’ambiente». Il comitato chiede che il Parlamento Europeo «si attivi immediatamente per bocciare il trattato in blocco, così da aprire in tutta Europa un fronte critico verso il commercio senza regole e senza rispetto dei diritti».

L’arbitrato internazionale, prosegue la Di Sisto, è diventato «una macchina da soldi che si autoalimenta grazie al conflitto di interessi», in cui gli avvocati sono pagati a chiamata e possono approvare richieste di indennizzo imponenti, da parte delle imprese. «Rifiutiamo il principio stesso di un tribunale sovranazionale, che consente agli investitori esteri, e soltanto a loro,

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http://www.libreidee.org/2019/05/ceta-via-libera-alle-multinazionali-faranno-causa-agli-stati/

 

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Sergio Mattarella e le fake news contro la Siria

Omran Daqneesh 

 

Che a diffondere fake news fossero Repubblica e affini eravamo abituati – a proposito aspettiamo sempre che Facebook inizi un attento monitoraggio in linea con quanto affermato recentemente nella cosiddetta lotta alle pagine che diffondono bufale.
Che fosse il Presidente della Repubblica in modo così plateale meno, siamo onesti.

In occasione di una commemorazione per i 100 anni di Save The Children, in uno stralcio del discorso, Mattarella ha dichiarato, secondo quanto riportano AGI, ANSA e altre agenzie:

Credo che tutti rammentiamo l’immagine del bambino siriano in ospedale, coperto di polvere, dopo il bombardamento della sua abitazione: quell’immagine ha commosso tanti nel mondo. Ma occorre che la commozione, la sollecitazione che queste immagini determinano non sia effimera e non si dimentichi in poco tempo.

Sulle fake news che hanno giustificato i crimini contro la Siria,

Save the Children è esperta (come vi abbiamo spesso denunciato ad esempio qui e qui),

ma Mattarella ha proprio scelto la madre di tutte le bufale per elogiare la Ong oggi.

Non nominandolo direttamente il Presidente Mattarella, infatti, allude chiaramente alla storia di Omran Daqneesh, divenuta celebre in tutto il mondo perché strumentalizzata dai famigerati “Caschi Bianchi” durante la propaganda mondiale prima della liberazione di Aleppo da parte dell’esercito siriano e dei suoi alleati (in particolare Russia, Iran e Hezbollah). Vi ricordate le mani di Saviano, Boldrini e Volo davanti la bocca in quei momenti? Ecco Omran faceva parte di quella stessa strategia per impedire che gli abitanti di Aleppo tornassero a vivere in uno stato laico e moderno, dopo anni di torture sotto il giogo di quei terroristi che l’occidente ha finanziato, supportato e armato.

 

VIDEO QUI: https://youtu.be/NeoZyzT2khg

 

Qualcosa, tuttavia, si inceppò, nella macchina della propaganda. E proprio sul caso di Omran: l’autogol fu tanto clamoroso quanto censurato da tutti gli organi mainstream. Fu il padre stesso di Omran a denunciare la messa in scena e la Russia portò il caso al Consiglio dei diritti umani di Ginevra,

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https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-sergio_mattarella_e_le_fake_news_contro_la_siria/82_28403/

 

 

 

 

 

 

LETTERA DI UN AMICO TEDESCO SULLA GERMANIA

Maurizio Blondet  20 Maggio 2019

Stimabile Signor Blondet,
mi spiace sottrarLe del tempo, ma desideravo solo metterLa al corrente di certe informazioni. La seguo sempre leggendo avidamente i Suoi   articoli e, devo dire, le Sue critiche, espresse in molti di essi, alla classe politica e amministrativa del mio Paese sono in maggior
parte giustificate. Mi conceda però una puntualizzazione, che riguarda la relativa arretratezza del comparto di produzione tedesco
comparato a quello U.S.A., britannico e nippo-coreano. La Germania, all’ indomani della resa incondizionata e del successivo trattato di pace, si è dovuta di fatto privare dell’autonomia nei settori industriali più avanzati, di decisivo impatto strategico, in
particolare: settore aerospaziale, settore radiotecnico ed elettronico, cibernetico, atomico, fisica dei plasmi, ecc. . Il timore
era di un rapido riarmo, data la persistenza di frange naziste irriducibili, che comunque poi la pressante e capillare azione di
“denazificazione”, ha definitivamente eliminato. Le classi politiche, burocratiche e imprenditoriali, specie le più recenti, risentono di
tutto questo e ciò spiega almeno in parte la situazione paradossale della Germania, nazione industriale ma, sotto certi aspetti,
arretrata, con politici e burocrati meri esecutori di ordini assurdi, oramai incapaci di capire e reagire. Il mio Paese, prima della
catastrofica sconfitta patita con la Seconda Guerra Mondiale, era tra le prime nazioni nel campo della Scienza Pura e nel campo della
Tecnica, ad esempio in campo nucleare, della propulsione aero-spaziale, nell’ Aerodinamica, nelle Telecomunicazioni, nei
calcolatori digitali (Konrad Zuse, 1936), nella Chimica organica e non, ecc.  Ora, si distingue solo nei comparti tradizionali
(automobili, elettrodomestici, ecc.), il settore armamenti non può essere presente nei campi più avanzati e strategici  ( come armi
nucleari e ad irraggiamento), nei settori ad alto contenuto tecnico può solo compartecipare e sono principalmente in ambito civile; le
multinazionali tedesche sono oramai realtà lontane dalla nazione d’ origine e inserite pienamente nel Nuovo Ordine Globale post-bellico,
io mi spingo a dire che tra pochi decenni non si parlerà più tedesco puro ma un

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https://www.maurizioblondet.it/lettera-di-un-amico-tedesco-sulla-germania/

 

 

 

POLITICA

La trasparenza è una cosa utile

20 Maggio 2019 DI ANDREA ZHOK

facebook.com

La trasparenza è una cosa utile.
Ad esempio, ci permette di vedere chi sono i finanziatori del progetto politico di +Europa.

Ci troviamo:

  1. Sindona jr, figlio di Michele (il banchiere della P2),
  2. Lupo Rattazzi (nipote di Gianni Agnelli),
  3. l’ex direttrice generale della DG Salute e Consumatori (Sanco) Paola Testori Coggi, la compagna dell’imprenditore farmaceutico Dompé (ex fotomodella svedese), per arrivare poi ai carichi pesanti come
  4. George Soros,
  5. Guido Maria Brera (amministratore del gruppo di private banking Kairos), il milionario e filantropo americano
  6. Peter Baldwin, fondatore dell’Arcadia Fund, ecc. ecc.

Naturalmente non ci sono ragioni per non credere che siano tutte persone di specchiate virtù. Non è questo il punto.

L’unica cosa che merita una piccolissima riflessione è la seguente.

In un contesto dove il finanziamento alle forze politiche è stato integralmente

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https://www.facebook.com/andrea.zhok.5/posts/1220157354832328

 

 

 

 

Sea Watch 3, Colle e manovra decidono il futuro del governo

20.05.2019 – Anselmo Del Duca

Il caso Sea Watch 3, con Salvini che viene scavalcato dal Pm Patronaggio, apre l’ennesimo scontro nel giorno del Cdm decisivo

E se alla fine la montagna partorisse il topolino? Se il Consiglio dei ministri di oggi finisse con un nulla di fatto? Il dubbio è legittimo, dal momento che la convocazione tarda a essere diramata da Palazzo Chigi, e per di più il premier Conte annuncia una visita a sorpresa a Norcia e nelle zone terremotate del Centro Italia, che lo terrà lontano da Roma almeno sino a metà pomeriggio.

Per Matteo Salvini, che smania di mettere sul grande tavolo rotondo il decreto sicurezza bis, l’ora del redde rationem potrebbe essere rimandata. Sarebbe in fondo la soluzione più saggia, e anche la più prudente: un rinvio per evitare l’ennesimo scontro. Il tempo così guadagnato potrebbe servire anche per una messa a punto di un testo che per molti esperti appare frettoloso e raffazzonato.

In apparenza almeno le critiche aspre venute dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani alla politica sull’immigrazione hanno avuto l’effetto opposto a quello immaginabile. Hanno cioè ricompattato i giallo-verdi, che hanno respinto al mittente i rilievi, suggerendo polemicamente all’Onu di concentrarsi sul Venezuela, e non sull’Italia.

Sembra però solo una breve pausa nel braccio di ferro continuo fra i due partiti di governo. Se Giuseppe Conte dovesse davvero suonare la campanella del Consiglio dei ministri, di terreni di scontri se ne potrebbero aprire diversi: non solo l’immigrazione, ma anche le misure a favore della famiglia, annunciate da Di Maio, ma vissute come uno scippo e un’invasione di campo dalla Lega e dal ministro Lorenzo Fontana.

Difficile per Conte inserire nell’ordine del giorno solo due nomine urgenti e di peso come il nuovo comandante della Guardia di Finanza e il Ragioniere generale dello Stato. L’ideale sarebbe un rinvio di una settimana, così da scavallare il voto europeo, e confidare in un rasserenamento degli animi. Ma il caso Sea Watch 3, con il braccio di ferro fra Viminale e magistratura, ha gettato nuova benzina sul fuoco. Alla fine, Salvini potrebbe accontentarsi forse anche solo di un primo passaggio formale del testo, la famigerata ormai approvazione “salvo intese”. E il tempo guadagnato servirebbe per limare l’articolato, anche per prevenire le (prevedibili) critiche formali e sostanziali che è facile immaginare verranno mosse dagli uffici legislativi della Presidenza della Repubblica, come più volte accaduto negli ultimi mesi per

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https://www.ilsussidiario.net/news/politica/scenario-sea-watch-3-colle-e-manovra-decidono-il-futuro-del-governo/1884742/

 

 

 

 

IN ITALIA ESISTE ANCHE UNA DESTRA

ED E’ L’ORA CHE QUALCUNO SE NE FACCIA UNA RAGIONE

Danilo Bonelli 30 04 2019

 

Per capire quanto siano importanti le prossime elezioni europee del 26 maggio basta guardare la mobilitazione degli euroburocrati e dei loro tirapiedi, tutti protesi come sono a descriverci uno scenario sul quale – secondo loro – incombe la minaccia del fascismo.   Ed ora poi che la destra in Spagna è per la prima volta entrata nel parlamento nazionale stanno letteralmente perdendo la testa.

Ma come spesso accade qui da noi in Italia c’è sempre chi vuole strafare. Non basta partecipare alla diffusione di queste eurobaggianate, vogliamo essere i primi della classe ed andare oltre, fare un passo in più degli altri.

Ed allora ascolti un TG della RAI e senti che il fatto di deporre una corona di fiori sotto la lapide di un ragazzo di 19 anni assassinato 44 anni or sono a Milano da sicari rossi di Avanguardia Operaia viene di fatto raccontato come una sorta di nuova marcia su Roma.

Ma è andata davvero così?  Ma assolutamente no, perché appena lo sbarramento

 

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SCIENZE TECNOLOGIE

Monsanto/Bayer colpita da un’altra decisione di giuria che conferma Roundup (glifosato) come causa del cancro di un uomo

20 Maggio 2019 DI ISABELLE Z.

9.000 ulteriori cause legali sono pendenti, potrebbero mandare in bancarotta la Bayer

Per la seconda volta in un anno, una giuria ha deciso che il famoso erbicida al glifosato, Roundup, ha causato il cancro di un uomo. La vittoria potrebbe ispirare una marea di cause simili, in aggiunta alle migliaia che Monsanto, il produttore di Roundup, sta già affrontando, e il nuovo proprietario dell’azienda, Bayer, potrebbe ritrovarsi ad andare in fallimento.

Mercoledì [20 marzo], il prezzo delle azioni della Bayer è sceso di oltre il 13%, in seguito alla decisione unanime. Evidentemente gli investitori si sono messi paura, quando una giuria in una corte federale a San Francisco ha decretato che Roundup era un “fattore sostanziale” nello sviluppo del cancro di Edwin Hardeman.

Secondo i suoi rappresentanti legali, il 70enne ha sviluppato un linfoma non-Hodgkin, come conseguenza dell’uso regolare di Roundup nel corso di 26 anni, per affrontare le erbacce, la crescita eccessiva di piante e la rovere velenosa sulla sua proprietà.

La fase successiva è ora in corso e determinerà se Bayer è responsabile per la malattia del giardiniere amatoriale, e in tal caso, quanti soldi dovranno essere sborsati. I rappresentanti legali di Hardeman sosterranno che la Monsanto sapeva o avrebbe dovuto sapere che il prodotto può causare il cancro, e chiederanno alla giuria che faccia in modo che l’azienda paghi per le sue spese mediche, nonché per i danni.

Un avvocato per Hardeman, Jennifer Moore, ha dichiarato: “Ci sentiamo fiduciosi alla luce delle testimonianze, che una giuria, quando le saranno presentate tutte le prove, capirà che la Monsanto ha commesso 40 anni di malaffare aziendale”.

Documenti suggeriscono che Monsanto conosceva i rischi, in collusione con le autorità di controllo

Le e-mail interne tra le autorità di controllo federale e la Monsanto che sono state rese pubbliche, come parte del contenzioso suggeriscono, che l’azienda è stata autore della propria ricerca sul glifosato e poi l’abbia accreditata agli accademici. Ha anche mostrato come un alto funzionario dell’EPA (n.d.T. Environmental Protection Agency) abbia cercato di occultare uno studio federale sul glifosato, pianificato dall’U.S. Department of Health and Human Services.

Gli avvocati di Hardeman hanno detto che la Monsanto ha approfittato delle relazioni “amichevoli” con le autorità di controllo come l’EPA, la quale non ha richiesto che l’erbicida recasse un avvertimento sul rischio di cancro.

In agosto, i giurati in un processo giudiziario statale dello Stato della California hanno assegnato [un risarcimento] a un guardiano scolastico di 289 milioni di dollari, dopo aver sviluppato un linfoma non Hodgkin terminale. Anche se il risarcimento è stato successivamente ridotto, la colpevolezza della società rimane in evidenza; il giudice ha stabilito che la Monsanto ha intenzionalmente nascosto informazioni sui rischi dei suoi erbicidi,

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