NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI
21 NOVEMBRE 2019
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
La pubblicità è mangiare e bere,
andare in macchina a ballare, in gita,
innamorarsi e
fare tutto vedendolo solo con gli occhi
(ISA, dieci anni, Roma)
MARIA RITA PARSI, Il pensiero bambino, Mondadori, 1991, pa. 67
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SOMMARIO
“La cretinizzazione progressiva della gente rappresenta un vero problema”. 1
Quella volta che D’Alema fece bombardare la Serbia. 1
Clinton e D’Alema, impegno su Balcani e “nuova via”
Adriano Palozzi su Facebook «Cucchi era un tossico, Ilaria lo sfrutta per fare politica». 1
L’affondo del vicepresidente del consiglio regionale del Lazio di Cambiamo. 1
Terremoto, bloccati i 30 milioni degli sms solidali: 94 progetti, solo 8 realizzati 1
Travaglio: «Il disastro del Mose a Venezia ha nomi e cognomi a destra e sinistra». 1
Ponte Morandi, ministero Infrastrutture e Trasporti era a conoscenza dei rischi
Il segnale d’allarme per l’Italia in Libia. 1
Perché è ancora importante leggere Leonardo Sciascia. 1
Google e Facebook usano modelli di business che minacciano i diritti umani – Amnesty International
QUANDO DEUTSCHE BANK FALLISCE, COSA SUCCEDERA’ 1
Inchiesta sulla nuova criminalità, violenta e pericolosa, che sfrutta i migranti arrivati sui barconi
Sei progetti contraddittori per l’ordine mondiale. 1
5 BUONI MOTIVI PER VOTARE SUBITO
Una 23enne ha inventato una bioplastica con gli scarti del pesce: il sogno di rivoluzionare gli imballaggi monouso
Aldo Moro: “Il giorno di Piazza Fontana il Pci mi consigliò di non tornare a Roma” 1
I sette fratelli Govoni, uccisi dopo una notte di torture dai partigiani rossi 1
“Papa Luciani avvelenato con il cianuro da Marcinkus”. 1
IN EVIDENZA
“La cretinizzazione progressiva della gente rappresenta un vero problema”
18 Novembre 2019 DI SIMON BRUNFAUT DA LEGGERE CON ATTENZIONE!!!
Nel suo libro “Teoria della dittatura”, Michel Onfray presenta il lavoro di George Orwell come una grande prefigurazione del mondo contemporaneo. Il filosofo, che non teme polemiche, descrive la nuova forma di dittatura a che stiamo vivendo oggi …
Intervista con Michel Onfray:
Secondo lei, George Orwell fu un pensatore politico ad alto livello. Fu uno che prese le misure a quelli che poi sono stati i totalitarismi del ventesimo secolo e anticipò i nostri tempi. In che modo l’epoca in cui viviamo porta il segno del totalitarismo? Non le sembra una esagerazione? Siamo entrati davvero in una nuova forma di dittatura?
No, non c’è nessuna esagerazione, perché non ho detto che siamo tornati al nazismo o allo stalinismo. Quello che mi interessa non è il modo in cui funzionava il totalitarismo di una volta, ma come il totalitarismo funziona oggi, nell’era di Internet, dei dati e dei telefoni cellulari. Questo totalitarismo di oggi non porta né l’elmetto, né gli stivali. Noi viviamo solo in una società del controllo: il fatto che possiamo essere costantemente spiati, il fatto che stiano costantemente accumulando dati su di noi, ecc. Questa società del controllo è arrivata a un punto di incandescenza a cui non si era mai giunti.
Le nuove tecnologie quindi per lei non ci porteranno nessun vantaggio?
Viviamo in una specie di servitù volontaria nei confronti delle nuove tecnologie. Ma questo a volte è estremamente perverso. Ad esempio, per garantire la riservatezza, ci chiedono di accettare certe cose … Ma, accettandole, si passano certe informazioni ai G.A.F.A. chiaro che possiamo rifiutare ma, ovviamente, rifiutando non possiamo più viaggiare in treno, in aereo o fare quello che volevamo fare.
Ma questo è quello che ci aveva anticipato Orwell?
Orwell pensa come in un un romanzo. Usa la fiction. Ma la sua fantascienza ha smesso di essere immaginaria ed è diventata scienza. Quello schermo TV che controlla tutti permanentemente oggi esiste. Ormai noi siamo dentro quello schermo. Fu Orwell che inventò certe cose sul controllo delle persone e sull’invisibilità dei poteri ed è proprio questo che distingue il vecchio totalitarismo dal nuovo totalitarismo. Allora, il potere aveva una faccia che si poteva riconoscere, oggi chi è che decide? Chi sono e dove sono le persone che rendono possibile tutto questo? Secondo me, queste persone, sulla costa occidentale americana hanno un progetto di dominio sul mondo e non un progetto transumanista.
questo capitalismo senza regole che è responsabile di questa situazione?
Il capitalismo non scomparirà: è connaturato con l’uomo. Oggi non ha più nemici davanti a sé. Con la caduta del blocco sovietico, il capitalismo ha sentito che poteva trionfare. Qualcuno, come Fukuyama, addirittura sostenne che fosse la fine della storia, la completa vittoria del neoliberismo. Ma il mondo non è fatto solo di capitalisti e di comunisti. Ci sono anche dei poteri spirituali, come l’Islam. L’abbiamo visto l’11 settembre 2001.
Secondo lei, la democrazia rappresentativa è morta?
Sì. Il popolo e i suoi rappresentanti non coincidono affatto. Nelle assemblee e nei
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Quella volta che D’Alema fece bombardare la Serbia
Nel 1999 il governo presieduto da Massimo D’Alema autorizzò l’uso dello spazio aereo italiano per la guerra della Nato contro la Serbia di Milosevic, scoppiata per la crisi in Kosovo. Anche i nostri aerei andarono a bombardare
Orlando Sacchelli – Mar, 06/10/2015
Mentre si parla di un possibile intervento militare italiano contro l’Isis, in Iraq, torna alla memoria quella volta in cui un altro governo di sinistra mandò il nostro Paese in guerra.
Accadde nel 1999, con la guerra in Kosovo (ma sarebbe più corretto dire la seconda fase della guerra), che vide contrapposta le forze della Nato alla Serbia di Milosevic.
Nella seconda metà degli anni Novanta i separatisti albanesi dell’Uck iniziarono ad alzare sempre di più la voce, affiancando alla lotta politica per l’indipendenza una vera e propria azione militare contro i simboli dell’entità statale serba. Belgrado rispose con una dura repressione, dapprima con le proprie forze di polizia, poi impiegando forze paramilitari. Lo scontro divenne una vera e propria guerra di matrice etnica, sempre più sanguinosa, con gravissime conseguenze per la popolazione civile. Scoppiate nel 1996, le ostilità divennero particolarmente cruente e sanguinose nel 1998. Su pressione della comunità internazionale, l’Alleanza atlantica ottenne l’inizio dei negoziati di Rambouillet, che si conclusero bene. Ma poco dopo, a Parigi, quando si sarebbero dovuti decidere i dettagli tecnici dell’accordo, i serbi abbandonarono i lavori sbattendo la porta, dicendo che mai avrebbero accettato l’indipendenza stabilita in modo unilaterale dai kosovari. E fu la guerra: Nato contro Serbia. Il motivo ufficiale fu la difesa dei diritti umani violati dai serbi a scapito dei civili del Kosovo di etnia albanese.
Dalla base aerea Nato di Aviano si alzarono in volo i caccia bombardieri.
La guerra contro Belgrado fu (quasi) tutta aerea. Anche l’Italia prese parte al conflitto. Il governo presieduto da Massimo D’Alema autorizzò l’utilizzo dello spazio aereo. Dal nostro territorio, quindi, partirono i raid offensivi. Fu il secondo intervento bellico italiano dal Dopoguerra, il primo era stato nel 1991, con la Guerra del Golfo (la prima) e i Tornado dell’Aeronautica mandati a bombardare l’Iraq di Saddam Hussein, che da pochi mesi aveva invaso un paese libero, il Kuwait.
Come ammise in un’intervista a Repubblica il generale Mario Arpino, capo di stato maggiore della Difesa, anche l’Italia sganciò le sue bombe: “Di volta in volta sono i comandi Nato a decidere l’utilizzazione
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Continua qui: https://www.repubblica.it/online/politica/terzavia/cena/cena.html
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Adriano Palozzi su Facebook «Cucchi era un tossico, Ilaria lo sfrutta per fare politica».
L’affondo del vicepresidente del consiglio regionale del Lazio di Cambiamo.
«Stefano Cucchi era un tossico e la sorella sfrutta la sua morte per fare carriera politica».
la sintesi del post di Adriano Palozzi, vicepresidente del consiglio regionale del Lazio e tra i fondatori di Cambiamo, il movimento di Giovanni Toti.
Scrive Palozzi su Facebook: «Stefano cucchi ha avuto finalmente giustizia!
La sorella finalmente è soddisfatta e si lancia in una nuova e brillante carriera politica o nello spettacolo (insomma cerca un modo per guadagnare).
Stefano cucchi sarà anche stato maltrattato e per questo ci sono state delle condanne
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BELPAESE DA SALVARE
Terremoto, bloccati i 30 milioni degli sms solidali: 94 progetti, solo 8 realizzati
Mercoledì 4 Settembre 2019 di Ilaria Bosi e Italo Carmignani
Una telefonata salva la vita, un sms doveva aiutare la speranza di ricostruire una casa, una chiesa, una vita. Perciò all’indomani della ferocia della terra che tremava, seminando disperazione e morte nelle regioni del Centro Italia, milioni di italiani opposero la forza di un messaggio volatile nei mezzi, ma concreto negli effetti. E ora, a tre anni dalle scosse di agosto e dopo le tante polemiche sull’utilizzo degli oltre 34 milioni e mezzo di euro raccolti con gli sms solidali da due euro, ci sono solo i progetti. Quanto hanno versato gli italiani con la speranza di vedere una pietra o un mattone sopra all’altro declinati nel nome della ricostruzione è ancora congelato. Come gran parte del dopo-sisma. Colpa della burocrazia e di lungaggini considerate ormai un male cronico non solo dai terremotati, ma anche da quanti avevano sottoscritto con fiducia quel piccolo quanto importante contributo.
I DATI
A gestire la raccolta fondi è stata la protezione civile nazionale che, con decreto del capo dipartimento, ha anche istituito il Comitato dei garanti, sorto per supervisionare l’utilizzo dei fondi raccolti nelle tre diverse campagne avviate tra l’agosto 2016 e il febbraio del 2017. Complessivamente sono stati raccolti 34.537.834 euro, che sulla base delle indicazioni fornite dalle cabine di coordinamento regionali, d’intesa con i territori, sono stati ripartiti tra Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo. I progetti accolti dal Comitato dei garanti sono stati 94, che nelle quattro regioni si moltiplicano a loro volta in una serie di interventi più piccoli che superano complessivamente quota 150: ebbene, appena 8 sono stati ultimati.
GLI INTERVENTI
Strade, scuole, luoghi di aggregazione. Ma anche elisuperfici, beni culturali e reti wi-fi. Riguardano diverse aree di intervento, e mirano soprattutto alla ripresa dei territori, i progetti accolti nelle quattro regioni. Alcuni, come i 3 milioni previsti per la grotta sudatoria di Acquasanta Terme, hanno fatto anche discutere, scatenando la reazione di
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Travaglio: «Il disastro del Mose a Venezia ha nomi e cognomi a destra e sinistra»
16 NOVEMBRE 2019
Nel corso della puntata settimanale “Accordi&Disaccordi”, il talk politico in onda su Nove, Marco Travaglio ha parlato dello scandalo del Mose.
«Beh, uno in particolare non c’è, nel senso che ce ne sono tanti» – ha detto il direttore de Il Fatto Quotidiano – «Il Consorzio Venezia nuova era guidato all’epoca da Luigi Zanda e da Giovanni Mazzacurati, che adesso è morto, e Luigi Zanda è finito a fare il capo dei senatori del Pd. Poi ci sono stati i governi di centrodestra e centrosinistra: nel centrosinistra
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Ponte Morandi, ministero Infrastrutture e Trasporti era a conoscenza dei rischi
21.11.201
Secondo nuove indiscrezioni, sembrerebbe che il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti fosse a conoscenza del rischio di crollo del Ponte Morandi.
Emergono nuovi particolari sulla tragedia del Ponte Morandi, il cui crollo, poco più di due anni fa, il 14 agosto 2018, costò la vita a 43 persone e causò oltre 600 sfollati.
Il nuovo colpo di scena riguarda il documento rinvenuto nella sede di Atlantia e di Autostrade il quale, di fatto, dimostrerebbe che le due società erano pienamente consapevoli del rischio di crollo del viadotto genovese sin dal 2014, ma decisero di ignorarli.
Nuovi dettagli, emersi in mattinata, evidenziano però che anche i vertici del ministero delle Infrastrutture, nel 2015, sapevano tutto sulle condizioni del Morandi, come confermato dalla partecipazione di un rappresentante dello stesso Mit al consiglio di amministrazione di Autostrade per l’Italia.
La precisazione di Aspi
La concessionaria, in una nota, ha voluto precisare la propria posizione al riguardo, dichiarando di non essere mai stata “in alcun modo disponibile ad accettare rischi operativi sulle infrastrutture. Di conseguenza, l’indirizzo del cda alle strutture operative è di presidiare e gestire sempre tale tipologia di rischio con il massimo rigore, adottando
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CONFLITTI GEOPOLITICI
Il segnale d’allarme per l’Italia in Libia
Mauro Indelicato – 21 NOVEMBRE 2019
Un’ala con la coccarda tricolore ben evidenza, due miliziani libici che si fanno immortalare con armi in pugno esultanti davanti al “trofeo”: è questa l’immagine simbolo della giornata di mercoledì, caratterizzata dall’abbattimento di un drone italiano sui cieli di Tarhouna. Quest’ultima è una delle località più strategiche della Tripolitania: qui ha sede la Settima Brigata, ritenuta molto vicina al generale Khalifa Haftar e dunque vera e propria roccaforte del Libyan National Army (Lna). Una testa di ponte per l’uomo forte della Cirenaica, vitale da preservare per lui ed altrettanto fondamentale da controllare per il premier Al Sarraj ed alleati. Per questo la presenza del drone in quella zona ha suscitato non poco scalpore. Ma l’impressione è che l’episodio altro non rappresenti che il primo di una lunga scia di possibili nuovi “incidenti”: la guerra in Libia sta per entrare in una fase cruciale.
Lo spettro della conferenza di Berlino
La storia dal 2011 in poi lo insegna: quando nella Libia post Gheddafi si avvicinano avvenimenti organizzati per stabilizzare il Paese (conferenze internazionali od elezioni) puntualmente si assiste ad una più profonda e grave destabilizzazione. La stessa battaglia per la conquista di Tripoli ad esempio, è iniziata lo scorso 4 aprile ad appena dieci giorni dalla conferenza di Ghadames in cui i vari attori impegnati sul campo avrebbero dovuto confrontarsi per dare un ordine istituzionale al Paese. In quell’occasione il generale Haftar puntava a presentarsi a quell’appuntamento con in tasca il Fezzan, occupato nei mesi precedenti subito dopo un’altra conferenza, quella di Palermo, e la stessa capitale libica. In occasione delle elezioni del 2012 e del 2014 invece, altre forze ed altre milizie hanno provato a mettere le mani su porzioni di territorio libico. Risale proprio al periodo delle consultazioni del 2014 la distruzione dell’aeroporto internazionale di Tripoli, conteso dalle milizie di Zintan e da quelle guidate dall’islamista Salah Badi.
In queste settimane a tenere banco sotto il profilo politico, è la prospettiva di una nuova grande conferenza da organizzare questa volta a Berlino. La Germania nello scorso mese di settembre, si è fatta avanti sulla Libia dopo che per anni è sembrata più in disparte rispetto alle due principali protagoniste europee, ossia Italia e Francia. Dal governo di Angela Merkel è partita quindi la proposta di una conferenza a guida tedesca, da tenere entro novembre. In realtà sul piano concreto al di là della semplice proposta non si è mosso nulla: la conferenza non si farà a novembre, c’è già stato quindi uno slittamento e, soprattutto, al momento non è stata indicata una data precisa. Tuttavia, si sottolinea da giorni nei corridoi diplomatici, l’appuntamento
Continua qui: https://it.insideover.com/guerra/il-segnale-dallarme-per-litalia-in-libia.html
CULTURA
Perché è ancora importante leggere Leonardo Sciascia
Claudio Giunta, insegnante e saggista
2 aprile 2017 10.01
Adelphi sta ripubblicando le opere complete di Leonardo Sciascia, ma a fianco dei tre volumoni previsti (due già usciti) sta anche facendo uscire dei volumi più sottili: la bella raccolta di scritti letterari Fine del carabiniere a cavallo, all’inizio dell’anno scorso; e adesso l’ultimo libro uscito vivente Sciascia, A futura memoria (se la memoria ha un futuro). Curatore di tutti questi libri è Paolo Squillacioti, che è uno dei migliori filologi romanzi della sua generazione e si vede: nel senso che le sue annotazioni ai testi sono esemplari, e utilissime quando si tratta di saggi letterari, indispensabili addirittura quando si tratta degli articoli raccolti in A futura memoria, che fanno riferimento a cose e persone che molti possono aver dimenticato.
Questi trentuno articoli, usciti tra il 1979 e il 1988, riguardano soprattutto la mafia e il caso Tortora (ma Sciascia fa in tempo a reagire all’arresto di Sofri, nell’estate del 1988, e – in una nota sull’Espresso – a dirsi convinto della sua innocenza; e c’è nel libro anche un lungo articolo su Roberto Calvi: suicida, secondo Sciascia, non morto ammazzato). Tra gli articoli sulla mafia, sono noti quelli in polemica con Nando Dalla Chiesa, che non aveva gradito il fatto che Sciascia avesse criticato il modo in cui suo padre aveva vissuto a Palermo, “senza protezione e precauzione” (Dalla Chiesa, secondo Sciascia, “aveva di sé e dell’avversario immagini letterarie e comunque ‘arretrate’”); e sono celebri quelli sui “professionisti dell’antimafia”, con séguito di polemica con il Coordinamento antimafia e con i giornalisti Eugenio Scalfari e Giampaolo Pansa.
Ma non si legge o rilegge A futura memoria per ricordarsi che cosa è successo, in Italia, negli anni ottanta: la prospettiva di Sciascia è troppo parziale, e a chi non conosce o ricorda gli eventi per averli vissuti va consigliato, prima, un buon libro sulla storia italiana del secondo novecento. Né lo si legge per decidere, a distanza di trent’anni se e quando Sciascia aveva ragione, anche se è chiaro che aveva spesso ragione (certamente sulla persecuzione di Tortora; non meno certamente, ma è un’opinione personale, sull’antimafia e sul ruolo e la condotta della magistratura: “Spesso mi assale il sospetto che la macchina della giustizia si muova a vuoto o, peggio, arrotando chi, per distrazione propria o per spinta altrui, si trova a sfiorarla”). Perché allora?
Armature ideologiche
Per quelli che hanno letto tanti libri senza essere davvero esperti di
Continua qui: https://www.internazionale.it/opinione/claudio-giunta/2017/04/02/leonardo-sciascia
DIRITTI UMANIdi, da Bibbiano lo scandalo si allarga
A Genova altri casi analoghi e la Liguria si rivela la prima regione d’Italia per casi di minori “allontanati”
Simone Di Meo – 12 settembre 2019
Quando Laura, con la mano che le trema, sottoscrive il verbale dell’udienza conclusiva, è convinta che il peggio sia passato. Non le avrebbero più tolto il bambino di nemmeno due anni, nato da una burrascosa relazione con un marito col quale condivideva ormai solo i problemi di tossicodipendenza. Hanno già «perso» due figlie, andate in affidamento, il terzo bimbo è stato dichiarato adottabile dal Tribunale dei minori di Genova. È certa che non le toglieranno pure il piccolo S. quando i giudici della Corte d’appello le chiedono la disponibilità a «entrare in comunità con il minore seguendo le disposizioni dei giudici». È l’occasione che attende da mesi per dimostrare di voler cambiar vita. E lei, 28enne, con la speranza di uscire dall’aula col bambino abbracciato al collo, ha preso la penna e, con una grafia minuta e incerta, ha messo la propria firma. Quel che poi è successo, purtroppo, è stato molto diverso da ciò che aveva immaginato.
La stessa firma, dopo qualche giorno, Laura l’avrebbe apposta a una denuncia contro i cinque magistrati che hanno scelto di affidare il figlio ai servizi sociali del Comune di Genova. A tradimento, secondo la mamma. Perché la sentenza, sostiene, era già pronta, e la discussione finale sarebbe stata solo una finta. I giudici, secondo quanto riportato nell’esposto che Panorama ha avuto modo di visionare, non avrebbero voluto – per pigrizia – cambiarla. Assistita da un avvocato penalista, Laura ha depositato nei giorni scorsi in Procura, a Genova, una denuncia per falso ideologico e abuso d’ufficio.
Il ragionamento della mamma è semplice: la sentenza riporta la stessa data dell’udienza collegiale. In poche ore di camera di consiglio, dice la donna nell’esposto, i giudici non possono aver discusso e compilato le 14 pagine del verdetto, letto e valutato le oltre 120 pagine della consulenza tecnica d’ufficio (richiamandola 26 volte nel provvedimento), le «relazioni dei servizi sociali» e quella del direttore del dipartimento di Salute mentale dell’Asl 1 che ha in cura la giovane madre. Il verdetto menziona poi «quattro diverse sentenze della Cassazione» e le posizioni delle parti provenienti da altri due fascicoli paralleli – il papà e i nonni paterni si erano costituiti contro la conferma del giudizio di primo grado, sostenuto invece dagli assistenti
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Google e Facebook usano modelli di business che minacciano i diritti umani – Amnesty International
11:19 21.11.2019
Un’indagine condotta da Amnesty International ha messo in luce come il modello operativo di Google e Facebook vada apertamente a ledere i diritti della persona.
In un rapporto pubblicato nella giornata di ieri, Amnesty International ha accusato i giganti delle telecomunicazioni Google e Facebook di utilizzare “modelli di business basati sulla sorveglianza” che minacciano i diritti umani e erodono la privacy in tutto il mondo.
Nel resoconto, dall’eloquente titolo “I giganti della sorveglianza”, si delinea una situazione tale, nella quale Google e Facebook, così come le innumerevoli piattaforme a loro affiliate, operano con delle modalità decisamente poco compatibili con il diritto alla privacy, costituendo “una minaccia sistemica alla libera espressione su Internet”.
“A dispetto del reale valore dei servizi che forniscono, le piattaforme di Google e Facebook hanno un costo a livello sistemico. (…) Le compagnie che adottano modelli di business basati sulla sorveglianza, costringono le persone a stringere dei patti faustiani, che di fatto gli permettono di godere dei propri diritti umani online solo previa sottomissione ad un sistema concepito per abusare di quegli stessi diritti”, si legge nel rapporto.
Riconoscendo che anche altre compagnie dell’high-tech hanno ottenuto
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FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
QUANDO DEUTSCHE BANK FALLISCE, COSA SUCCEDERA’
20 Novembre 2019 DI MAURIZIO BLONDET
maurizioblondet.it
“La Deutsche fallirà e farà colare a picco l’Europa?”. E’ il titolo che dà al suo ultimo pezzo Charles Sannat: economista interessante perché “interno” al potere (piani alti di Paribas) e pratico della speculazione finanziaria, ma nello stesso tempo critico del sistema.
Ora, senza tacere l’ombra torreggiante della disastrata banca tedesca, Sannat cerca di dare risposte il più possibile oggettive sulla realtà del pericolo, da pratico.
Riporto le sue valutazioni.
“La Deutsche Bank in cifre – Il bilancio Deutsche è calato considerevolmente, passando da più o meno 1200 miliardi a più o meno 800. Le attività di trading per conto proprio sono gestite ad estinzione e passano da 600 a 300 miliardi di euro.
“Il rischio massimo per Deutsche è stimato in 1515 miliardi di €. E’ stata creata una struttura per alloggiarvi gli “attivi andati a male”… ossia 75 miliardi € nella prima fase. Ne seguiranno altri.
“Infine i prodotti derivati ammontano a – rataplan – 45 mila miliardi di euro : sì avete letto bene, 45 mila miliardi”.
“C’è di che essere inquieti, ma non terrorizzati”, dice Sannat. Perché se i 45 trilioni di derivati sono una quantità astronomica, “è un ammontare “nozionale” che (secondo lui) “non rappresenta il rischio finale finanziario incorso dalla banca”.
Per lui, “l’esposizione massima al rischio” resta “1515 miliardi di €: una somma che è alla portata della BCE, la Banca Centrale Europea, il cui bilancio è già [dopo tutti i quantitative easing] di 4 mila miliardi di euro. Data la situazione, nel caso peggiore, aggiungere a quel bilancio 1500 miliardi non cambierà strettamente niente della situazione macro-economica”.
Riporto il parere di Sannat, attenzione, non mio. Ma Sannat è un uomo di mondo (di quel mondo) e non si spaventa. Aggiungendo 1500 miliardi al bilancio BCE, dice
“L’euro calerà del 10 per cento sul dollaro. Donald Trump -o il suo successore – strillerà; domanderà alla Fed, la sua banca centrale, di produrre altri dollari per calarlo; le cose si aggiusteranno … continueranno ad andare nello stesso senso”:
Il senso in cui sono andate fino ad oggi, dopotutto. E dove porta
Continua qui: https://comedonchisciotte.org/quando-deutsche-bank-fallisce-cosa-succedera/
IMMIGRAZIONI
Inchiesta sulla nuova criminalità, violenta e pericolosa, che sfrutta i migranti arrivati sui barconi
Credits: ANSA / UFFICIO STAMPA POLIZIA DI STATO
Il «culto», o, per capirci, la cosca emergente sono i Black Cats: i Gatti neri. Hanno tatuato il felino su una spalla e le profonde cicatrici sull’addome sono il risultato del rituale di affiliazione. Sono l’evoluzione della mafia nigeriana, una delle «più pericolose, aggressive e pervasive tra le mafie transnazionali» come l’ha definita l’ex procuratore antimafia Franco Roberti. I Gatti neri, che vestono di giallo e di verde, sulla dorsale adriatica hanno in mano lo spaccio di droga, la prostituzione soprattutto minorile e la tratta delle bianche: italiane tossicodipendenti adescate con le dosi e poi segregate negli appartamenti. Ne affittano a centinaia, ora li comprano anche, soprattutto nelle zone terremotate, investono in attività commerciali e prestano a usura.
I Black Cats sono una derivazione «colta» dei Black Axe, la più aggressiva tra le mafie nere e hanno la loro cattedrale in Campania sulla costa domiziana a Castelvolturno: 20 mila italiani e 25 mila clandestini africani in un labirinto dove c’è una sola legge, la violenza.
I Black Cats hanno la loro centrale operativa a Padova e lì, a Cadoneghe, il 22 novembre scorso la Squadra mobile ha arrestato il capo dei capi, Fred Iyamu. Lo chiamano «Gran Ibaka». Ci sono arrivati con un’inchiesta partita a Cagliari dove hanno arrestato altri 15 nigeriani. La sua storia è comune a molti mafiosi neri. È arrivato nel 2006 col barcone. Si è sposato a Cadoneghe con una ragazza pugliese, ha ottenuto il permesso e ha sostituito al vertice della mafia il capo dei capi in Italia Osahenagharu Uwagboe, detto Sixco, arrestato nel 2016 a Zivio vicino a Verona. E, ancora, nella città del Santo nel corso dell’operazione che ha acceso la polemica tra l’allora procuratore di Torino Antonio Spataro e Matteo Salvini, accusato dal magistrato di aver favorito i nigeriani annunciando prematuramente l’arresto di 15 pericolosissimi componenti dei Black Axe il 5 dicembre del 2018, sono state messe le manette a Edoseghe Terry, un don (cioè un capo), a Ezuma Christian Onya e a una maman, che gestisce le prostitute, Franca Udeh.
Da Padova la mafia nera ha cominciato una nuova espansione, ma nessuno ne parla per evitare che passi l’idea che con l’immigrazione clandestina importiamo anche la malavita più pericolosa. A definirla così è il procuratore aggiunto di Palermo Leonardo Agueci. Dopo un’operazione condotta a Ballarò, il quartiere di Palermo concesso ai neri da Cosa nostra, che ha portato alle prime condanne per 416 bis di nigeriani, Aguici ha detto: «Questa mafia è più violenta di quella palermitana». Nelle
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PANORAMA INTERNAZIONALE
Sei progetti contraddittori per l’ordine mondiale
di Thierry Meyssan
Le sei maggiori potenze mondiali affrontano la riorganizzazione delle relazioni internazionali in maniera funzionale ai propri esperimenti e sogni. Con prudenza si adoperano per difendere i propri interessi prima di portare avanti la loro visione del mondo. Thierry Meyssan descrive le rispettive posizioni prima dello scontro.
RETE VOLTAIRE | DAMASCO (SIRIA) | 19 NOVEMBRE 2019
l ritiro degli Stati Uniti dalla Siria, benché immediatamente rettificato, indica che Washington vuole certamente smettere di essere il gendarme del mondo, l’impero da cui nessun Paese può prescindere. Senza esitazione ha sovvertito ogni principio che regola le relazioni internazionali. Siamo entrati in un periodo di transizione in cui ogni grande potenza persegue un nuovo programma. Ecco i principali.
Gli Stati Uniti d’America
Il crollo dell’Unione Sovietica avrebbe potuto causare anche quello degli Stati Uniti, giacché i due imperi si sorreggevano a vicenda. Non è accaduto. Con l’operazione “Tempesta del deserto” George Bush senior si assicurò che Washington diventasse leader mondiale incontrastato, indi smobilitò un milione di soldati e proclamò che il fine americano sarebbe stato la ricerca della prosperità.
Le società transnazionali suggellarono perciò un patto con Deng Xiaoping al fine di far produrre le merci agli operai cinesi, retribuiti un ventesimo di quelli statunitensi. Ne conseguirono un notevole sviluppo del trasporto internazionale delle merci e la progressiva scomparsa di posti di lavoro nonché delle classi medie statunitensi. Il capitalismo industriale fu soppiantato dal capitalismo finanziario.
Alla fine degli anni Novanta Igor Panarin, professore all’Accademia diplomatica russa, analizza il crollo economico e psicologico della società statunitense. Prevede la disintegrazione degli USA, sul modello di quanto avvenuto con l’insorgenza dei nuovi Stati in Unione Sovietica.
Per evitare il collasso, Bill Clinton svincolò il Paese dal diritto internazionale, facendo aggredire la Jugoslavia dalla NATO. Lo sforzo si rivelò insufficiente, sicché personalità statunitensi pensarono di adattare il Paese al capitalismo finanziario e organizzare con la forza gli scambi internazionali in modo tale che gli anni a venire fossero “un nuovo secolo americano”.
Con George Bush figlio, gli Stati Uniti abbandonarono la posizione di nazione leader per tentare di trasformarsi in potere unipolare assoluto. Lanciarono la “guerra senza fine”, o “guerra al terrorismo”, per distruggere, una a una, ogni struttura statale del Medio Oriente Allargato.
Barack Obama proseguì l’opera, associandovi una frotta di alleati.
Una politica che portò frutti, di cui però beneficiarono in pochissimi: i “super-ricchi”.
Gli statunitensi reagirono eleggendo Donald Trump alla presidenza dello Stato federale. Trump ruppe con i predecessori e, come Michail Gorbaciov in Unione Sovietica, tentò di salvare gli USA sgravandoli degli impegni più onerosi. Rilanciò l’economia, incoraggiando le industrie nazionali a discapito di quelle che avevano delocalizzato posti di lavoro. Sovvenzionò l’estrazione del petrolio di scisto e acquisì il controllo del mercato mondiale degli idrocarburi, nonostante il cartello di OPEP e Russia. Consapevole che le forze armate USA sono innanzitutto un’enorme burocrazia che
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POLITICA
5 buoni motivi per votare subito
di Riccardo Ruggeri – 21 novembre 2019
Chi mi legge da anni sa che, da apòta quale sono, i partiti e i movimenti politici, i loro leader e apparati, mi sono tutti indifferenti, seppur con motivazioni diverse. Verso costoro ho il rispetto che si deve a ogni cittadino, indipendentemente dal lavoro che fa. Molti lettori si chiedono perché da qualche tempo insisto per andare a nuove elezioni, il motivo è semplice. Noi cittadini comuni, non ideologizzati, il 4 marzo 2018 abbiamo votato (pardon, io non ho votato, non per scelta ma per problemi personali) per il cambiamento. Quindi “contro” un establishment che dal 2011 non ne aveva imbroccata una e ci aveva impoverito (il fatto che il loro modello abbia tolto dalla povertà un miliardo di cinesi e di indiani per arricchire mostruosamente quattro sociopatici californiani e una ghenga nazicomunista cinese, lascia piuttosto indifferenti i poveri nostrani: inventatevi qualche altra giustificazione).
Da 20 mesi il Paese è guidato da un Avvocato scelto dal M5s, prima con un’alleanza M5s-Lega, poi con una M5s-Pd, quindi con l’intero arco costituzionale. Ebbene lui e i suoi mandanti politici di entrambe le versioni (salvo che per certi aspetti delle tematiche sull’immigrazione), non ne hanno imbroccata una, così come i loro predecessori. In casi come questo, sarebbe opportuno cambiare, non solo gli uomini, ma anche il modello. Allora perché andare a nuove
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SCIENZE TECNOLOGIE
Una 23enne ha inventato una bioplastica con gli scarti del pesce: il sogno di rivoluzionare gli imballaggi monouso
Alessio Caprodossi – 21 NOVEMBRE 2019
Lucy Hughes ha sviluppato una bioplastica per la tesi di laurea
utilizzando i resti dell’industria del pesce
Trovare la soluzione a problemi, abusi o derive ad azioni e consumi dell’uomo è una delle attività che più mette a dura prova scienziati, ricercatori e ingegneri. Davanti alle necessità, succede talvolta che le scoperte siano considerate oltre il loro reale potenziale e pompate dai media, per poi sgonfiarsi e finire magari nel dimenticatoio. Per tale motivo, è meglio andarci piano nel lodare MarinaTex, la bioplastica ottenuta con i resti dell’industria del pesce da una 24enne inglese, che ha approfondito e poi illustrato nella tesi di laurea in Product Design presso l’Università del Sussex la sua intuizione che potrebbe frenare una grande crepa della società attuale, ossia l’uso (e abuso) della plastica monouso e, allo stesso tempo, l’inefficienza di alcuni processi di smaltimento.
Partita per comprendere come utilizzare le parti di pesce eliminato nel corso dei passaggi dalla pesca in acqua al post vendita, Lucy Hughes ha spiegato che ha cambiato presto obiettivo dopo aver toccato con
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STORIA
Aldo Moro: “Il giorno di Piazza Fontana il Pci mi consigliò di non tornare a Roma”
Mentre si avvicina il cinquantenario della strage milanese, ecco quel che nel 1978 il leader Dc rivelava nel memoriale consegnato alle Brigate Rosse
Foto: La strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969:
Delle Chiaie fuggirà in occasione di un’udienza nel quale era testimone.
– Credits: Ansa
Maurizio Tortorella – 20 novembre 2019
Manca meno di un mese al cupo anniversario della strage di Piazza Fontana, con i suoi 17 poveri morti causati dai candelotti di gelignite piazzati dai neonazisti di Ordine Nuovo il 12 dicembre 1969.
Mentre stanno per partire celebrazioni e manifestazioni per il cinquantenario della prima grande strage italiana, va ricordato un particolare importante, ma del tutto ignorato dalle cronache di questi ultimi anni. E cioè che anche Aldo Moro, che nel 1969 è ministro degli Esteri del governo Rumor, e quel 12 dicembre si trova a Parigi, scrive di piazza Fontana. E si convince presto che sia una strage “nera”.
Moro lo dichiara con estrema chiarezza nel memoriale che affida alle Brigate Rosse durante la sua prigionia del marzo-maggio 1978: “Personalmente ed intuitivamente”, annota il presidente del Consiglio, poche settimane prima di essere ucciso dai suoi carcerieri, “io non ebbi mai dubbi e continuai a ritenere (…) che questi e altri fatti che si andavano sgranando fossero di chiara matrice di destra e avessero l’obiettivo di scatenare un’offensiva di terrore indiscriminato (…) allo scopo di bloccare certi sviluppi politici che si erano fatti evidenti a partire dall’autunno caldo e di ricondurre le cose, attraverso il morso della paura, a una gestione moderata del potere”.
Poco più in là, sempre nel suo memoriale, Moro offre alle Br una rivelazione interessante, che dimostra come già nel dicembre 1969 gli stessi potenti apparati d’intelligence del Partito comunista italiano avessero presente il rischio di una svolta autoritaria collegata alla bomba di Milano. Moro scrive che “Tullio Ancora, un alto funzionario
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I sette fratelli Govoni, uccisi dopo una notte di torture dai partigiani rossi
venerdì 12 maggio 13:38 – di Antonio Pannullo
I sette fratelli Govoni
Ida, 20 anni, Primo, 22 anni, Augusto, 27 anni, Giuseppe 30 anni, Emo, 31 anni, Marino 33 anni, Dino, 41 anni. Sono tutti morti l’11 maggio 1945. E tutti facevano di cognome Govoni. Li hanno assassinati a guerra finita dopo averli torturati per una intera notte, i partigiani comunisti delle brigate Garibaldi ad Argelato, in comune di Pieve di Cento nel Bolognese. Ma se chiedete oggi agli studenti chi erano questi fratelli Govoni, forse uno su mille saprà darvi la risposta, mentre la percentuale è altissima se chiedete chi erano i fratelli Cervi. E quale studente, o giornalista, o storico, sa chi era Jolanda Crivelli, la giovane ventenne rapita, percossa a sangue, violentata, assassinata e lasciata appesa per un piede a un albero per due giorni a Cesena solo perché moglie di un combattente della Repubblica Sociale? A guerra finita? Pochi, o forse nessuno. Questa è la prova che ancora oggi, sin da dopo la guerra, le vicende della guerra civile italiana sono state rappresentate e raccontate in maniera falsa, omettendo tutto ciò che di male avevano commesso i partigiani ed esaltando tutto ciò che avevano fatto i combattenti della Repubblica Sociale italiana. A scuola non si insegna che pochi eroi con scarsi mezzi si levavano ogni giorno in volo contro nemici anche cento o duecento volte superiori di numero, per difendere la popolazione civile italiana dai bombardamenti terroristi dei cosiddetti “alleati”, alleati che rifornivano anche i partigiani di tutte le risorse affinché potessero compiere i loro attentati, come quello di via Rasella. A scuola non si insegna che una donna incinta è stata assassinata per strada dai partigiani perché colpevole di essere fidanzata con un marò della Decima Mas. A scuola non si insegna delle centinaia di ausiliarie della Rsi torturate, stuprate e assassinate dai partigiani rossi. Ma si insegna che i partigiani erano tutti eroi e i combattenti della Rsi mostri. Non è così. Sono pochissimi anni, dopo una cortina di silenzio e di omertà voluta dai comunisti e attuata dai democristiani, che la verità storica lentamente sta emergendo, e forse ci vorranno altri decenni per capire che in una guerra non ci sono buoni e cattivi. La interpretazione manichea della tragedia
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“Papa Luciani avvelenato con il cianuro da Marcinkus”.
Il racconto del nipote del boss Lucky Luciano in un libro di memorie
La ricostruzione sulla morte di Giovanni Paolo I è contenuta nel libro intitolato When the Bullet Hits the Bone. L’uomo rivela che l’arcivescovo suo cugino, lo aveva fatto andare a Roma per eliminare il pontefice. Una versione respinta totalmente dal Vaticano
di Francesco Antonio Grana | 21 OTTOBRE 2019
Sono trascorsi 41 anni dalla morte di Papa Luciani. Eppure, non è stata ancora messa la parola finale a quel lungo e oscuro mistero, alimentato da continue rivelazioni. L’ultima, sicuramente da valutare con tutte le dovute precauzioni del caso, arriva dal gangster della famiglia mafiosa americana dei Colombo, Anthony Luciano Raimondi. Giovanni Paolo I sarebbe stato avvelenato con il cianuro in una congiura di palazzo ordita da monsignor Paul Marcinkus, l’allora presidente dello Ior, la banca vaticana. La morte di Luciani sarebbe stata decisa, appena 33 giorni dopo la sua elezione al pontificato, perché il Papa voleva denunciare frodi azionarie compiute nei sacri palazzi. Raimondi, 69 anni, nipote del padrino Lucky Luciano legato alla cosiddetta “Cosa nostra statunitense”, è entrato nella mafia subito dopo il servizio miliare in Vietnam.
La ricostruzione sulla morte di Luciani è contenuta nel suo libro di memorie intitolato When the Bullet Hits the Bone, appena pubblicato negli Stati Uniti dalla casa editrice Page Publishing. Raimondi rivela che quando aveva 28 anni l’arcivescovo Marcinkus, suo cugino, lo aveva fatto andare a Roma per eliminare Giovanni Paolo I. Il Papa aveva scoperto che un gruppo di truffatori falsificava in Vaticano le azioni di grandi compagnie americane come Ibm, Coca Cola e Sunoco e voleva denunciarli. Marcinkus era parte della frode e aveva deciso di eliminarlo. Raimondi era stato chiamato a Roma per preparare il complotto studiando le abitudini di Luciani e quando l’operazione era scattata si trovava davanti alla stanza del Pontefice.
Sempre secondo la ricostruzione del mafioso, Marcinkus fece mettere il valium nella tazza di tè che Giovanni Paolo I beveva la sera in modo da farlo addormentare profondamente. Quindi aveva usato un contagocce per mettergli il cianuro in bocca. Quando la morte del Papa era stata scoperta, Marcinkus e i suoi complici erano corsi nella stanza fingendo stupore. Raimondi sostiene, inoltre, che anche Giovanni Paolo II aveva rischiato di fare la stessa fine, ma poi aveva
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