La lucidità del solitario
Manlio Lo Presti – 7 gennaio 2020
L’Autore ci descrive un giovane privo in interessi e di ambizioni che lavora svogliatamente presso un’impresa.
Lascia il lavoro non appena viene in possesso di una cospicua eredità che lo libera dai condizionamenti sociali ma lo spinge ad una ulteriore solitudine. Conduce una vita ritirata andando e venendo dall’appartamento appena comprato in periferia e una trattoria vicina. Tenta di conversare con varie persone ma senza mai oltrepassare le convenienze minime per avere dialoghi brevi.
Ionesco ne descrive il processo psicologico che lo porta all’indifferenza nei confronti di una società lacerata da conflitti sociali che sfociano in scontri e guerriglia urbana le cui cause sono imprecisate.
Il protagonista giustifica l’inazione con la constatazione che ogni azione umana è fondata sull’ignoranza che è il punto di partenza delle conoscenze acquisite. L’ignoranza come fondamento è niente: l’umanità non si rende conto di agire secondo programmi importati dall’esterno. Si muove all’interno di un sogno dentro il quale l’umanità è incanalata, è agita invece di agire.
Il libro è scorrevole. La narrazione alterna momenti statici e introspettivi con scenari movimentati e coinvolgenti. Le riflessioni del protagonista adottano le tecniche teatrali o cinematografiche. Non a caso l’Autore è un drammaturgo.
Se il libro fosse un copione, sarebbe un testo che ricorderebbe autori come Truffaut e Rohmer.
Il Solitario è un bel libro intessuto di contenuti psicologici e filosofici tentando di capire il perché siamo qui …
Eugène Ionesco, Il solitario, Rusconi, 1974, Pag. 182