NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI
26 FEBBRAIO 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Se solo ieri la maggior parte dei cittadini europei
riteneva che la globalizzazione
avrebbe avuto un impatto favorevole sulla loro vita,
oggi è sconvolta dall’idea di un mondo futuro globalizzato.
IVAN KRASTEV, Gli ultimi giorni dell’Unione, Luiss, 2019, pag. 30
https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/
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SOMMARIO
Altro che navi in quarantena: 194 migranti verso Messina
Usa e Germania ci vendevano il programma con cui spiarci
Scioccanti registrazioni dell’Eurogruppo: lasciateli morire di fame purché paghino
Coronavirus, perché scegliere di non avere paura
Berlinale 2020 – Volevo nascondermi: recensione del film con Elio Germano
Svuotare i supermercati. Perché si
LE VERITA’ CHE PORTA LA PESTE
Questionario choc a scuola: “Faresti sesso con un marocchino?”
Scuola elementare, compito in classe: “uccideresti prima tuo padre o tua madre?”
DAL CORONAVIRUS ALLA EGREGORA
“Le mappe della disuguaglianza” di Lelo, Monni e Tomassi
La nuova arte della guerra
Mai sprecare un’arma: la guerra ibrida degli Stati Uniti contro la Cina
Viaggio nell’Italia che fu (con Dante come guida)
Che deve fare l’Italia della sua intelligence
PERIMETRO NAZIONALE DI SICUREZZA CIBERNETICA
Philip Haney: un Informatore e un Guerriero Felice
I segreti militari americani sono stati rivelati da un semplice analista
LA CONCENTRAZIONE DELL’ORO CREA LA SCHIAVITÙ DEI POPOLI
Perché le nomine pubbliche sono importanti?
Airbnb, da Bologna a Napoli gli affitti brevi “sfrattano” famiglie e studenti.
Banche pubbliche: rivoluzione, nella culla del neoliberismo
La bufala del Target2 e l’incredibile approccio truffaldino di Berlino
Intercettazioni, un miliardo in 5 anni per spiare 600mila bersagli
Tutto il potere ai Pm. Ecco cosa dice il nuovo testo sulle intercettazioni
La “dittatura della vittima” e il medioevo del diritto nel “processo penale totale”
Il Viminale assegna il porto di Messina ai 73 migranti della Sea Watch
Cardinale Danneels confessa: “11 cardinali hanno lavorato per costringere Benedetto XVI a dimettersi”
Come lo Swift (banche) ricattò Benedetto XVI per costringerlo a dimettersi
“Ecco come vogliono far diventare Draghi premier”
Forse possibile “manipolare” il cervello per cancellare i brutti ricordi
“Burioni? Lasciamolo alla sua gloria, io mi occupo di scienza e dico: non siamo in guerra”
IN EVIDENZA
Altro che navi in quarantena: 194 migranti verso Messina
L’Ong Sea Watch esulta: “Felici di portare le persone a terra”. Ma Musumeci si appella a Conte: “Quarantena a bordo o la nave vada altrove”
Luca Sablone – Mer, 26/02/2020
I porti italiani restano aperti nonostante l’emergenza Coronavirus che sta colpendo il nostro Paese. La Sea Watch 3, con a bordo 194 migranti salvati in 3 operazioni, si sta dirigendo verso Messina.
Il copione messo in atto dall’Ong tedesca è ormai un classico: premere lungo le acque di competenza italiane chiedendo a Roma e a La Valletta di poter entrare, forte della linea morbida del governo giallorosso e del recente sbarco della Ocean Viking a Pozzallo.
Missione riuscita: dopo l’assegnazione del porto sicuro, la nave dovrebbe arrivare
Continua qui: https://www.ilgiornale.it/news/cronache/i-porti-italiani-restano-aperti-194-migranti-verso-messina-1832158.html
Usa e Germania ci vendevano il programma con cui spiarci
Scritto il 21/2/20
Quando nel 1986 Ronald Reagan ordinò di bombardare Tripoli, come rappresaglia per l’attentato terroristico alla discoteca berlinese La Belle dov’erano stati uccisi due soldati americani, il presidente annunciando l’attacco disse che gli Stati Uniti avevano prove «precise, dirette e irrefutabili» della responsabilità dei servizi libici. L’ambasciata di Gheddafi a Berlino Est aveva ricevuto l’ordine per l’attacco una settimana prima. E il giorno dopo l’esplosione della bomba, la stessa ambasciata «aveva informato Tripoli del successo della missione». Era chiaro che gli Usa avevano intercettato e decrittato le comunicazioni tra la Libia e la stazione tedesca. Ma quella di Reagan «fu una gaffe madornale, che mise a rischio e in parte danneggiò la più vasta e intrusiva operazione di spionaggio mai messa in campo dalla Cia, il servizio segreto americano». Lo scrive Paolo Valentino sul “Corriere della Sera”: «Per oltre cinquant’anni, una sola compagnia svizzera fornì a oltre cento paesi di tutto il mondo gli strumenti per gestire le loro comunicazioni riservate con spie, militari e missioni diplomatiche». La Crypto Ag, questo il suo nome, aveva iniziato a costruire “macchine cifranti” per gli Usa già durante la Seconda Guerra Mondiale, diventando poi leader del mercato e compiendo con successo negli anni la transizione dalla meccanica all’elettronica.
Tra i suoi clienti, nazioni democratiche e dittature: l’Iran prima e dopo la rivoluzione khomeinista, paesi del Terzo Mondo o Stati rivali fra di loro come India e Pakistan, e perfino il Vaticano. «Quello che nessuno ha mai saputo fino ad oggi – scrive Valentino – è che la Crypto Ag era segretamente di proprietà della Cia in società con la Bnd, i servizi segreti tedesco-occidentali». Gli 007 di Bonn «manipolavano sistematicamente le apparecchiature, in modo da poter poi facilmente rompere i codici usati dai vari paesi per mandare i loro messaggi segreti e leggerli». Negli Anni ‘80, aggiunge il “Corriere”, gli strumenti di Crypto consentivano di decodificare il 40% di tutti i cablo diplomatici e le altre comunicazioni intercettate dai servizi Usa. A rivelarlo, scrive sempre Valentino, è uno straordinario pezzo di giornalismo investigativo, realizzato insieme dal “Washington Post” e dalla “Zdf”, la seconda rete televisiva pubblica tedesca, basato su documenti interni sia della Cia che del Bnd, che raccontano sin dalle origini tutti i dettagli dell’operazione, all’inizio denominata Thesaurus e poi ribattezzata Rubicon.
«E’ stato il colpo d’intelligence del secolo», si legge negli atti americani: «I governi stranieri pagavano senza saperlo milioni di dollari agli Stati Uniti e alla Germania Ovest per il privilegio di avere le loro più segrete comunicazioni lette dai nostri servizi». Non tutti però abboccavano alle lusinghe di Crypto Ag: «Nel clima di sospetto della Guerra Fredda, i paesi leader del campo rivale, l’Urss e la Cina, non furono mai clienti della premiata compagnia, svizzera solo di nome». Ma la lista di chi usava le apparecchiature truccate, «pagandole milioni di dollari e facendo fare grassi profitti alle due intelligence», comprendeva anche i più stretti alleati occidentali e membri della
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Scioccanti registrazioni dell’Eurogruppo: lasciateli morire di fame purché paghino
20, febbraio, 2020
Distruggere i popoli, togliere le pensioni agli anziani
e lasciarli morire di fame purché paghino.
Questo è l’Eurogruppo in mano a pugno di gente senza umanità.
VIDEO QUI: https://youtu.be/6OrSEYFMFJI
video di Francesco Amodeo
A far circolare gli audio è stato l’ex ministro delle Finanze ellenico, Yanis Varoufakis, che ha consegnato le buste con il materiale segreto al Parlamento greco, affinché venga distribuito ai deputati.
Le registrazioni risalgono alla prima metà del 2015, quando l’allora ministro
Continua qui: https://www.imolaoggi.it/2020/02/20/scioccanti-registrazioni-eurogruppo-lasciateli-morire-di-fame/
Coronavirus, perché scegliere di non avere paura
Gioia Locati – 25 febbraio 2020
Con l’emergenza coronavirus (Sars-CoV-2) i governi stanno dimostrando un’efficace organizzazione. Scattato l’allarme infettivo, la risposta è stata pronta. È cosa buona. È segno di unità. In tempi brevi si sono eretti i cordoni sanitari, si è valutato di chiudere le scuole, le università, i centri sportivi e di fermare alcuni mezzi di trasporto.
Le direttive arrivano dall’alto, come si suol dire. Davanti a un’ordinanza del sindaco o del ministero “chi sta sotto” obbedisce. Così, anche quei presidi o quei medici che valutino i provvedimenti eccessivi o inutili, li rispettano. Sono le regole delle comunità. E la misura è dettata dalla prudenza, quella che ci fa pensare: “Meglio non rischiare”.
Si capisce allora che tutto ciò ha una finalità burocratica. Se potessimo raccontare questa impresa con un’immagine, diremmo che l’Italia sta costruendo una fortezza e che i telegiornali ne descrivono minuziosamente i mattoncini.
Ma la malattia è altro.
Vero è che in ogni roccaforte compaiono piccole falle: c’è chi è stato a Wuhan nei mesi antecedenti la scoperta del primo caso; sono stati bloccati i voli dalla Cina ma non i passeggeri; i negozi e i ristoranti restano aperti e i virus viaggiano
Continua qui: http://blog.ilgiornale.it/locati/2020/02/25/coronavirus-perche-scegliere-di-non-avere-paura/
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
Berlinale 2020 – Volevo nascondermi: recensione del film con Elio Germano
Elio Germano è il pittore Antonio Ligabue nel film di Giorgio Diritti Volevo nascondermi, in concorso alla Berlinale 70
In concorso alla 70esima edizione del Festival Internazionale del cinema di Berlino Volevo Nascondermi, il nuovo film di Giorgio Diritti con protagonista Elio Germano nei panni del pittore Antonio Ligabue. Prodotto da Palomar con Rai Cinema il film sarà nelle sale dal 27 febbraio distribuito da 01 Distribution.
Un’anima disgraziata, una vita piena di sofferenza, trascorsa da un manicomio all’altro sin da piccolo, intervallata da periodi in famiglie adottive che non sapevano amarlo veramente: Antonio Ligabue (1899- 1965) è uno dei pittori più controversi del panorama italiano e anche uno dei più apprezzati. “El Tudesc” lo chiamavano, figlio di un’emigrante italiana, respinto dalla Svizzera in Italia per i suoi problemi psichici, le sue intemperanze, i suoi comportamenti anomali nel periodo fascista in cui tutto doveva essere ordine e disciplina.
Volevo nascondermi esordisce con l’immagine di Ligabue nascosto sotto una coperta scura in un manicomio, impaurito come un bambino solo. L’improvviso flashback mostra i ricordi angoscianti della sua infanzia e adolescenza, maltrattato, deriso, umiliato, considerato “vittima” di demoni insinuatisi nell’anima. Traumi che si porta appresso per tutta la sua esistenza, cercando di nascondersi dagli altri. La narrazione ci porta poi, infatti, al presente da adulto di Ligabue a Gualtieri in Emilia e Romagna dove vive nei boschi sulle rive del Po, immerso totalmente nella natura, lontano dalla “civiltà” che lo considera un matto pericoloso da vessare o ignorare perché strano, brutto e rachitico. L’incontro proprio nel bosco con l’artista Marino Mazzacurati che lo accoglie in casa sua gli permetterà presto di rivelare il suo
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ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Svuotare i supermercati. Perché si
Com’è noto, da quando il coronavirus è arrivato in Italia con un numero importante di contagi c’è stato l’assalto ai supermercati. Nel nord del Paese di registra il maggior numero di consumatori spaventati.
La reazione più comune a tale comportamento di massa è la derisione di chi si sente superiore. Non c’è media tradizionale che non abbia bollato queste paure come irrazionali. E nemmeno blogger e youtuber si sono tirati indietro, stigmatizzando la fobia. In effetti, non c’è alcuna vera pandemia, i casi sono circoscritti e limitati e, ad ogni buon conto, non sarà certo la pur spiacevole e prematura scomparsa di qualche anziano a togliere le derrate alimentari dagli scaffali dell’Esselunga.
La derisione verso la corsa ai supermercati, tuttavia, non è meno superficiale, e merita alcune considerazioni in più.
In primo luogo, anche se il modello della dispensa è fuori moda da diversi lustri, ciò non significa affatto che non sia valido.
Le nuove generazioni Erasmus non ci saranno granché abituate perché prediligono il cibo portato a casa dai nuovi schiavi in bicicletta pagati una miseria con contratti precari. Tuttavia, la dispensa non ci contagia con virus e batteri, non ammazza e preda nessuno e consente di inquinare di meno grazie ad una logistica meglio impiegata e di risparmiare anche parecchio denaro visto che i beni acquistati in grandi quantità hanno sempre un prezzo inferiore alla media. Spesso anche notevolmente inferiore.
In secondo luogo, l’accumulo di merci finalizzato al consumo in periodi di crisi ha tutta una sua letteratura, ricercata e dignitosa. In Italia esistono almeno tre siti che se ne occupano con continuità – prepper.it, portalesopravvivenza.it e sopravvivere.net, ed anche micidial ha una rubrica apposita.
Il genere catastrofista (non in senso cinematografico) merita attenzione perché la storia umana è caratterizzata da cicliche crisi che puntualmente mettono alla prova le nostre capacità. Ripeto le sintetiche ma efficaci parole di prepper.it che definiscono questa disciplina:
“si definisce Prepper (dall’inglese “to Prepare”) chi valuta la possibilità che si
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LE VERITA’ CHE PORTA LA PESTE
Maurizio Blondet 25 Febbraio 2020
https://www.maurizioblondet.it/le-verita-che-porta-la-peste/?utm_medium=push&utm_source=onesignal
Questionario choc a scuola: “Faresti sesso con un marocchino?”
Fbio Franchini – 24 febbraio 2020
Il trionfo del politicamente (s)corretto. In una scuola superiore di Clusone, in provincia di Bergamo, è stato diffuso un test che chiede agli studenti cosa ne pensino dei “marocchini”, con domande (trabocchetto) di tutti i tipi e che definire fuori luogo è dire poco.
Per esempio, eccone un assaggio:
“Secondo te è vero che il comportamento criminale dei marocchini è dovuto alle differenze culturali di questo popolo?”,
“I marocchini discendono da popolazioni che possiedono abilità meno sviluppate”,
“Sarei disposto ad avere rapporti sessuali con un marocchino”.
La scuola teatro della vicenda è l’Istituto d’Istruzione Superiore Statale Andrea Fantoni che ha pensato bene di consegnare ai ragazzi e alle ragazze che lo frequentano due fogli: un questionario e una cosiddetta scala di atteggiamenti sulla quale si chiede di esprimere “il tuo grado di accordo riguardo alle seguenti affermazioni” con un range di risposte possibili
Continua qui: https://www.imolaoggi.it/2020/02/21/scuola-elementare-compito-in-classe-uccideresti-prima-tuo-padre-o-tua-madre/
BELPAESE DA SALVARE
DAL CORONAVIRUS ALLA EGREGORA
24 Febbraio 2020 – Marcello Pamio
Cosa sta succedendo realmente in Italia? Siamo di fronte ad una vera emergenza sanitaria, o ci stanno prendendo ancora una volta per il didietro?Siamo veramente ad un passo dalla fine della civiltà umana, o il virus dagli occhietti a mandorla rientra nella classica manovra di controllo economico e sociale?Una cosa è certa: sono bastati pochi casi qua e là per innescare, come un effetto domino, la paura più recondita dell’essere umano. Per essere onesti, il “qua e là” non è proprio corretto, visto che stranamente ne sono state interessate le due locomotive economiche del Paese: la Lombardia con 47 casi e il Veneto con 12.L’analisi della distribuzione dei focolai indica che le comunità cinesi si sono stanziate solo al Nord. Ma se sono i cinesi (e le persone andate in viaggio in Asia) a portare il virus, è molto strano che non ci siano casi a Roma o in altre grandi città ben compartecipate da lavoratori cinesi e/o viaggiatori…La gente è letteralmente terrorizzata dagli avvoltoi che lavorano nei media mainstream, squallidi esseri abituati a sguazzare nella melma emotiva ogni giorno. Ma altri problemi si affacciano all’orizzonte per l’uomo moderno: i social e gli smartphone. Basta infatti accedere a Facebook o avere un semplice account Whatsapp per essere letteralmente infettati da messaggi terroristici della peggiore specie. Quello che sta girando sotto forma di byte è sicuramente molto più pericoloso del virus stesso! A buttare benzina sul fuoco e alimentare la paura ci hanno pensato le amministrazioni comunali e regionali facendo chiudere attività commerciali, negozi e addirittura scuole.
PENSIERI ED EGREGORA
Quando molti pensieri si focalizzano in una unica direzione, e quando questi pensieri sono associati e potenziati da forti emozioni, come per esempio la paura, si viene a generare una “forma-pensiero” che va sotto il nome di “Egregora” o “Eggregora”.
L’Egregora è assai ben conosciuta sia dalla massoneria che da tutte le religioni e i movimenti spiritualisti del globo. E’ una specie di “creatura immateriale” che può crescere se viene alimentata costantemente dall’attività
Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/dal-coronavirus-alla-egregora/
“Le mappe della disuguaglianza” di Lelo, Monni e Tomassi
Recensione a: Keti Lelo, Salvatore Monni e Federico Tomassi, Le mappe della disuguaglianza. Una geografia sociale metropolitana, postfazione di Walter Tocci, Roma, Donzelli Editore, pp. XVIII-206, 22 euro (scheda libro)
Scritto da Enrico Cerrini
Roma si dispiega in un territorio vasto e complesso, nel quale, percorrendo poche centinaia di metri, si possono riscontrare insanabili contraddizioni. Gli autori del libro Le mappe della disuguaglianza forniscono le chiavi di lettura necessarie a comprendere e approfondire le contraddizioni e le specificità che presentano i 15 municipi e le 155 zone urbanistiche che compongono la capitale. In realtà, l’idea di Keti Lelo, ricercatrice all’Università di Roma Tre, Salvatore Monni, professore associato di economia dello sviluppo alla stessa università, e Federico Tomassi, funzionario dell’Agenzia per la coesione territoriale, è più ampia.
Il libro edito da Donzelli è infatti parte del più vasto progetto #Mapparoma, nato nel 2016, le informazioni in merito al quale sono disponibili sulla pagina web www.mapparoma.info. Gli autori recuperano open data relativi alla città di Roma per renderli pienamente fruibili al pubblico, evidenziando le differenze che emergono tra le zone urbanistiche. I dataset sono raccolti da fonti pubbliche fra cui i censimenti Istat, l’anagrafe comunale, i risultati elettorali e le indagini commissionate dalla provincia.
Il libro si articola in 26 capitoli che corrispondono a ciascuna #mapparoma apparsa sulla pagina web. Ogni capitolo include due o quattro mappe dettagliate a livello di quartiere (solo in due casi i dati sono disponibili solo a livello municipale).[1] Un QR-code, posto a fianco del titolo di ogni capitolo, permette al lettore di collegarsi al blog e scaricare su smartphone i dati e le mappe in formato aperto. Quando disponibili, gli autori presentano il confronto tra i dati dei quartieri e dei comuni che compongono le città metropolitane di Roma, Milano, Torino e Napoli.[2]
Le mappe della disuguaglianza
Le mappe illustrano il patrimonio sociale della capitale, talmente variegato che gli autori parlano di almeno due città, il centro benestante e la periferia disagiata. In realtà, Roma raccoglie molteplici città al suo interno, come si evince indagando la realtà della capitale, che si espande lungo una superficie enorme per il contesto italiano[3], risultando scarsamente popolata nel suo complesso, presentando nuclei abitativi isolati.
Il censimento Istat 2011 permette agli autori di indagare il capitale umano dei quartieri romani. La #mapparoma1 mostra la tendenza all’aumento della proporzione dei laureati in relazione alla vicinanza al centro. Nel quartiere di Parioli il 42% degli abitanti risulta laureato, mentre solo il 5% a Tor Cervara, distretto della periferia Nord-Est interna al Grande raccordo anulare. La media statistica che ne scaturisce è complessivamente del 23%, ampiamente sotto il dato di numerose metropoli europee, come Madrid (47%) e Berlino (37%).
L’indagine di Provinciaattiva del 2010 consente di illustrare nelle #mapparoma9 e #16 come
Continua qui: https://www.pandorarivista.it/articoli/le-mappe-della-disuguaglianza-di-lelo-monni-e-tomassi/
CONFLITTI GEOPOLITICI
La nuova arte della guerra
22 Febbraio 2020 di Costantino Ceoldo
Tradurre in italiano l’opera dello scienziato politico russo Leonid Savin Couching & conflicts è stata per me un’esperienza che ha suscitato emozioni contrastanti. Se da un lato infatti uno deve necessariamente affrontare opere simili per arricchire il bagaglio delle proprie conoscenze e la propria capacità di capire il mondo che lo circonda, dall’altro si espone al rischio, tutt’altro che meramente potenziale, del disincanto nello scoprirsi gabbato da coloro in cui riponeva fiducia: questo è quello che mi è successo, quando le miserevoli vicende della politica italiana si sono mescolate nello scorso agosto 2019 ai miei sforzi di tradurre il capitolo dedicato al Maidan ucraino.
Couching & conflicts tratta della teoria che attiene alla “nuova arte della guerra”, che è anche il titolo dell’edizione italiana [1]: non solo informazione e disinformazione come vengono generalmente intese ma anche, tra l’altro, l’insieme dei metodi con i quali una Nazione può essere colpita economicamente e socialmente attraverso la manipolazione della sua economia sui mercati internazionali, così da favorire un cambio di governo (o “regime”, per usare un termine che fa tanto cattivi antidemokratici…). Da tali manipolazioni alle tristemente note rivoluzioni colorate, magari seguite da un intervento militare esterno, il passo può non essere proprio immediato ma permane comunque tragico: Libia docet, direbbero i latini, e così pure la Siria anche se proprio contro i leoni di Damasco il meccanismo si è inceppato mostrando i suoi inevitabili limiti.
Leggendo e traducendo il libro di Savin mi sono fatto l’idea che i grandi burattinai del nostro tempo, gli Stati Uniti d’America ottusamente fermi nella loro illusione di vivere ancora in un mondo squisitamente unipolare, siano riusciti nel compito al contempo folle e visionario di trasformare le idee generiche sulla guerra di Sun Tzu in un manuale operativo da campo. Il mondo di Sun Tzu è bidimensionale, come lo sono tutti quelli agricoli e atecnologici: in esso non esiste un’arma aerea che possa essere dispiegata contro il nemico né sono possibili ricognizioni nei cieli di uno Stato nemico per ottenere informazioni preziose o disturbare le sue comunicazioni. In un tale mondo non esistono nemmeno i computer, internet e le reti informatiche che hanno permesso la diffusione di un diverso tipo di reti, quelle sociali, che trovano ai giorni nostri ampia applicazione nel contesto di cui si parla.
Sun Tzu riteneva che il miglior guerriero sia quello che vince una battaglia senza doverla combattere per davvero. Ma questa convinzione, che oggi si è così tanto ben radicata in certi ambienti da generare addirittura concetti come quello di guerra neocorticale, proveniva da una persona che aveva comunque combattuto con la spada in pugno e quindi conosceva la guerra non solo per sentito dire ma anche nel fetore del sangue versato, nelle mutilazioni e nelle ferite infette, nelle grida di rabbia e disperazione, negli uomini che si sporcano per la paura e il terrore.
Sun Tzu cercava di vincere senza arrivare allo scontro aperto ma non rifiutava la necessità di brandire le armi e porsi alla testa di un esercito.
Gli americani che, per abbattere governi che a loro non piacciono perché non obbediscono ai loro voleri, fanno un uso disinvolto di certe teorie sociali (il gender e le politiche identitarie) e di certe pratiche belliche (l’impiego di miliziani islamici imbevuti di odio religioso come fanteria sacrificabile sul campo) finiscono inevitabilmente per pagare il prezzo delle loro scelte scellerate nel momento in cui la loro società e l’intero Occidente manifestano sempre di più i segni di una evidente decadenza morale, umana e materiale, che lascia presagire più una fine tipo Sodoma e Gomorra che un futuro radioso di pace e prosperità.
Non posso che condividere l’auspicio di Savin che il suo libro possa costituire una “cassetta degli attrezzi” per tutti coloro che vogliono davvero capire i mutamenti del nostro tempo e magari dotarsi di quegli strumenti utili non solo per resistere ma anche per invertire il processo distruttivo o almeno lenirlo in parte.
È stato quindi un piacere trovare nella piccola ma coraggiosa Idrovolante Edizioni [2] e nel loro responsabile per l’editoria, Daniele Dell’Orco, una sponda sensibile a queste speranze: quella che segue è la
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Mai sprecare un’arma: la guerra ibrida degli Stati Uniti contro la Cina
23 Febbraio 2020 – Pepe Escobar
strategic-culture.org
La politica delle nuove vie della seta, o Belt and Road Initiative (BRI), era iniziata con il Presidente Xi Jinping nel 2013, prima in Asia centrale (Nur-Sultan) e poi nel sud-est asiatico (Jakarta).
Un anno dopo, l’economia cinese, a parità di potere di acquisto, aveva superato quella degli Stati Uniti. Inesorabilmente, anno dopo anno dall’inizio del millennio, la quota statunitense dell’economia globale si è andata riducendo, mentre quella della Cina è in costante ascesa.
La Cina è già il centro nevralgico dell’economia globale e il principale partner commerciale di quasi 130 nazioni.
Mentre l’economia degli Stati Uniti è un guscio vuoto e il modo, tipico dei giocatori d’azzardo, con cui il governo degli Stati Uniti si autofinanzia (i mercati dei pronti contro termine e tutto il resto) viene visto come un incubo distopico, lo stato della civiltà avanza in una miriade di aree della ricerca tecnologica, anche grazie al Made in China 2025.
La Cina supera di gran lunga gli Stati Uniti nel numero dei brevetti registrati e produce almeno otto volte più laureati STEM [Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica] all’anno rispetto agli Stati Uniti, guadagnandosi lo status di miglior contributore alla scienza globale.
Una vasta gamma di nazioni in tutto il Sud globale ha sottoscritto accordi per entrare a far parte della BRI, che dovrebbe essere completata nel 2049. Solo l’anno scorso, le aziende cinesi hanno firmato contratti per un valore di 128 miliardi di dollari per progetti di infrastrutture su larga scala in decine di nazioni.
L’unico concorrente economico degli Stati Uniti è impegnato a ricollegare la maggior parte del mondo con la versione del 21° secolo, completamente interconnessa, di un sistema commerciale che era stato al suo apice per oltre un millennio: le vie della seta eurasiatiche.
Inevitabilmente, questa è una cosa che la classe dirigente statunitense non è
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CULTURA
Viaggio nell’Italia che fu (con Dante come guida)
Giulio Ferroni racconta i nostri borghi e le città muovendosi sulle tracce del grande poeta
Paolo Bianchi – Mer, 26/02/2020
Quando ho preso in mano il tomo di un accademico fra i massimi esperti di Dante, Giulio Ferroni, L’Italia di Dante – Viaggio nel paese della Commedia (La Nave di Teseo, pagg. 1.234, euro 30) ho mentalmente reso grazie ad Aurora, la sfolgorante allenatrice della palestra, per avermi così tanto incalzato negli ultimi mesi.
Mi ha reso capace non solo di aprirlo, ma anche di spostarlo qua e là per la scrivania.
Ammetto che in un primo tempo avevo temuto la mattonata sulle gonadi, poi mi sono immerso nella lettura e ho cambiato idea, a tu per tu con quello che, credo, sia stato lo spirito dell’impresa: aiutarci a rileggere la Divina Commedia attraverso i luoghi geografici evocati da Dante, e poi mettendone il testo a confronto con l’oggi, giocando a ping pong con i segni del paesaggio com’erano e come li vedeva il poeta e come sono adesso, visti da Ferroni.
In settecento anni e con l’unificazione dell’Italia in un solo Stato dotato di una lingua nazionale ormai unica, che pure ha in comune con l’allora vulgaris eloquentia decine di migliaia di termini, non solo lo scenario, ma anche il modo di descriverlo è cambiato.
Essendo il libro un diario così corposo su viaggi e spostamenti compiuti da Ferroni nel corso degli anni 2014, 2015, 2016, e per quanto ordinato in ordine cronologico, può essere divertente da consultare anche saltando di qua e di là, o andando a cercare i posti che già si conoscono, giusto per metterli a confronto con la versione ferroniana, oppure lasciandosi semplicemente incuriosire dalla forza evocativa dei toponimi. Eccone qualcuno preso a caso fra migliaia: Pomarance, Pietramala, Diamante, Fluminimaggiore, Zappolino. Solo a leggerli, vien voglia di andarci.
La ricchezza storico-artistica-culturale e paesaggistica del nostro Paese è capillarmente dissezionata in questa Baedeker densa di particolari, di aneddoti, di considerazioni anche personali dell’autore. Il tutto in equilibrio «tra persistenti
Continua qui: https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/viaggio-nellitalia-che-fu-dante-guida-1832110.html
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Che deve fare l’Italia della sua intelligence
Francesco Sidoti – Dike, n. 1, anno 2001 |
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L’occasione di segnalare un articolo del Prof. Sidoti, come sempre stimolante, ricco di riferimenti storici e dati significativi, in qualche modo appassionato, si associa questa volta al piacere di conoscere una nuova Rivista, Dike appunto, bimestrale dell’Eurispes sulla giustizia e la società. Il periodico – che si presenta con una veste grafica assai agile e gradevole e con un’ambiziosa citazione di Montesquieu in apertura – si propone di costituire “un punto di incontro, di confronto, di elaborazione e di ricerca, senza tesi precostituite” e non v’è dubbio che, data l’autorevolezza di coloro che sono parte del progetto, il panorama culturale del nostro Paese possa considerarsi arricchito di un foro di discussione di livello alto e straordinariamente qualificato. Tornando al lavoro di Sidoti, che Per Aspera ad Veritatem vanta tra i suoi più preziosi collaboratori, c’è da dire che esso costituisce una riflessione assai approfondita sul tema, assai caro all’Autore, della cultura dell’intelligence, o meglio di una “nuova” cultura dell’intelligence. Il lettore sa quanto questa Rivista consideri essenziale e strategico il punto in questione, ed è pertanto con grande convinzione che consigliamo di leggere l’excursus documentato di Sidoti, che lo porta a conclusioni ed esemplificazioni talvolta molto personali, non di rado invece largamente condivisibili. è quest’ultimo il caso, ad esempio, dell’analisi che l’Autore rivolge al dopo guerra fredda, e alla contestuale “esplosione” della domanda di sicurezza, in relazione alla “crescita enorme della vulnerabilità”, che viene riferita a grandi temi come il collasso finanziario, il disastro ecologico, l’apocalisse nucleare, la bomba demografica, tipici del mondo globalizzato. L’espansione della domanda di sicurezza si sviluppa in parallelo, è l’opinione dell’Autore, con la necessità dell’intelligence, evidentemente calata in contesti e problematiche nuove rispetto a un passato così recente ma per molti versi così lontano, immaginata con un ruolo ed una funzione sempre più internazionale. Non meno interessante è l’opinione di Sidoti in merito alla necessità di tenere ben distinto lo spionaggio dall’intelligence. Mentre il primo “può essere sommariamente definito come un traffico di informazioni riservate”, dunque |
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PERIMETRO NAZIONALE DI SICUREZZA CIBERNETICA
Il 18 novembre 2019 è stata emanata la Legge n. 133 sul perimetro cibernetico, che vuole contribuire ad innalzare la sicurezza del sistema Paese verso le minacce cyber, individuando, da un lato, alcuni obblighi in capo a coloro che gestiscono infrastrutture
essenziali per il Paese e, dall’altro, definendo un’architettura in grado di valutare ex-ante l’adeguatezza dei diversi componenti informatici che andranno ad essere utilizzati da tali gestori.
L’obbiettivo della legge n. 133 del 18 novembre 2019, che ha convertito il Decreto legge “recante disposizioni urgenti in materia di perimetro di sicurezza cibernetica”, è quello di tracciare il perimetro di sicurezza cibernetica nazionale per garantire un elevato livello di sicurezza delle reti, dei sistemi informativi e dei servizi informatici per tutti quei soggetti, pubblici o privati, esecutivi nel campo dei servizi essenziali. La nuova normativa rappresenta il frutto delle riflessioni riguardo la rilevanza e l’urgenza della minaccia cibernetica che, risultando sempre più significativa, impone il passaggio da strategie meramente di contrasto a un approccio proattivo. Tale approccio, riconoscendo il legame ormai imprescindibile tra cybersecurity, benessere della popolazione e sicurezza nazionale, si muove in una cornice di partecipazione pubblico-privata per depotenziare la minaccia cyber attraverso l’adozione di policy e verifiche ex-ante in grado di ridurre l’esposizione e la vulnerabilità del sistema Paese.
Il titolo della norma è stato leggermente modificato nel corso del dibattito parlamentare con l’ aggiunta, dopo la parola “cibernetica”, della seguente frase “e di disciplina dei poteri speciali nei settori di rilevanza strategica”. Tale inserimento mette ulteriormente in luce il focus della norma che, come evidenziato già dai considerata presenti nel testo del Decreto legge, risulta suddiviso in due ambiti: il perimetro cibernetico (artt. 1, 2 e 5) e gli aspetti legati alla disciplina dei poteri speciali, leggasi 5G, a cui sono dedicati gli artt. 3 e 4. Nel prosieguo di questo articolo ci soffermeremo sugli aspetti connessi con il solo perimetro cibernetico.
- Definizione del perimetro cibernetico
La necessità della norma è chiarita nelle premesse che evidenziano l’urgenza di “disporre per le finalità di sicurezza nazionale, di un sistema di organi, procedure e misure, che consenta una efficace valutazione sotto il profilo tecnico della sicurezza degli apparati e dei prodotti” informatici utilizzati da tutti quei soggetti, pubblici o privati, “da cui dipende l’esercizio di una funzione essenziale dello Stato, ovvero la prestazione di un servizio essenziale per il mantenimento di attività civili, sociali o economiche fondamentali per gli interessi dello Stato” (art. 1, comma 1).
Tale locuzione, che richiama in parte la definizione di Operatore di Servizi Essenziali
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Philip Haney: un Informatore e un Guerriero Felice
23 Febbraio 2020 di Franco Leaf
“Avete dei nemici? Bene.
Questo significa che in un qualche momento della vostra vita
vi siete battuti per qualcosa”
Winston Churchill
Redazione: Fonti di Polizia riferiscono che Philip Haney si sia suicidato. Gli amici negano quest’eventualità segnalando diversi fatti a supporto della tesi dell’omicidio.
Negli Stati Uniti, a mettersi contro gli Obama o i Clinton si va incontro, qualche volta, ad un destino assai triste.
Per chi volesse approfondire, la rete è veramente piena di articoli. Nei prossimi giorni, superata l’emozione del momento, potremo saperne di più.
Ma possiamo concludere fin d’ora che, sullo sfondo del fallimento del Partito Democratico, “il gioco”, in America, si sta facendo davvero duro e che va, forse, al di là di quest’orribile omicidio malamente mascherato.
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Joe Martin per Red State
Ci incontrammo ad una conferenza qui, a Washington DC, diversi anni fa.
Lo conoscevo per la sua reputazione: aveva informato il Congresso sugli illeciti del “Dipartimento della Sicurezza Nazionale” [DHS] sotto l’Amministrazione Obama.
Fece un’apparizione come se fosse una specie di Dott. Emmett Brown [Ritorno al Futuro] — e la sua esposizione non fu diversa da quella dell’insegnante di economia Ben Stein in Ferris Bueller’s Day Off.
Il suo aspetto, il suo modo di porsi, il suo senso dell’umorismo e la sua allegria erano disarmanti e rendevano ingannevolmente facile il sottovalutarlo.
Etimologo e autoproclamato nerd, Phil era implacabile nella ricerca degli
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I segreti militari americani sono stati rivelati da un semplice analista
© CC BY 2.0 / Cpl. Reece Lodder / Marine Corps Base Hawaii
25.02.2020
Esecuzioni sommarie, fucilazioni di civili, ingerenze sull’operato di governi stranieri e tortura di prigionieri: dieci anni fa il mondo intero ha appreso gli spiacevoli dettagli che hanno caratterizzato la politica estera statunitense.
Chi ha rivelato queste informazioni è stato mandato in carcere per la seconda volta, mentre le autorità statunitensi ancora non hanno risposto di tale presunti crimini di guerra.
Un periodo difficile
“Non c’erano alternative, si poteva solo chiedere aiuto agli Stati Uniti. Ma nonostante le richieste, non avremmo fatto nulla. Mi sembrava di poter correggere questa ingiustizia pubblicando quei documenti”, così Chelsea Manning ha spiegato il motivo per cui i documenti segreti della corrispondenza diplomatica americana divennero pubblici dieci anni fa.
Il 18 febbraio 2010 il sito web di WikiLeaks pubblicò la prima parte dei documenti ricevuti da Manning. Le rivelazioni presero l’avvio con i file denominati Reykjavik 13.
L’universalmente noto Bradley Manning, che nel tempo ha cambiato sesso e nome (Chelsea), era un’analista di intelligence. Prestò servizio in una base americana in Iraq ed ebbene accesso a un gran numero di materiali segretati, tra cui il sistema di rete informatica del Dipartimento della Difesa e del Dipartimento di Stato, nonché la rete di comunicazione congiunta di intelligence del Dipartimento di Sicurezza Nazionale e del Dipartimento di Giustizia.
L’infanzia e la giovinezza di Manning non si possono di certo definire felici. La sua non era una famiglia agiati, i genitori abusavano di alcol e poi divorziarono. Il bambino crebbe debole e durante l’adolescenza fu spesso vittima di bullismo da parte dei coetanei. Ciononostante, stando ai suoi conoscenti, si è sempre distinto per la sua curiosità e il suo giudizio scevro da preconcetti.
Non riuscì ad accedere all’università dopo il liceo. Il padre gli consigliò
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ECONOMIA
La concentrazione dell’oro crea la schiavitù dei popoli
di Ruggiero Capone – 24 febbraio 2020
Una crisi senza fine, un lungo tunnel senza luce, ha trasformato l’Italia in un Paese triste e con scarsa capacità di confidare nel futuro. L’uomo di strada, malconcio e sdrucito come i protagonisti di “Furore” (il romanzo sulla depressione americana di John Steinbeck che folgorò Bompiani) si chiede chi coordini ed a chi rispondano i vari “compro oro”. Botteghe capillarmente sparse sul territorio, fanno incetta del prezioso metallo che le famiglie hanno accumulato, tesaurizzato, in anni forse in secoli. Prima della crisi del 2008 c’era una polverizzazione tesaurizzativa: ogni donnina o vecchietta aveva in casa, nel più recondito luogo, qualche collanina o anello. L’ultima crisi ha privato d’oro la gente, il popolo. I “compro oro” sono l’anello più piccolo d’un sistema che mira a concentrare in pochissime mani il prezioso metallo, perché molteplici sono i suoi usi. Poiché, forse empiricamente, i potenti finiscono tutti convinti che esserne circondati influenzi le facoltà fisiche e mentali, incrementando le difese, la percezione della vita. Oggi che la “povertà irreversibile” ha segnato circa due milioni d’italiani (non sortiranno più dalla povertà per motivi bancari, fiscali, giudiziari, e tributari a vario titolo) e che si parla di “povertà sostenibile” a livello mondiale (reddito mondiale di cittadinanza), pare certo che qualcuno abbia volutamente bloccato i fenomeni tesaurizzativi, forse per rendere la maggior parte degli uomini egualitariamente poveri.
Che bella l’età aurea, quel tempo mitico di prosperità e abbondanza. Il sogno e la narrazione dell’aurea aetas (specifichiamo per i 5 Stelle che è latino) non veniva un tempo negato a plebe, liberti e cavalieri, e c’era la speranza d’un eterno ritorno a quell’età che per certi indigeni lontani corrisponderebbe al cinghiale bianco cantato da Franco Battiato.
Durante l’età dell’oro gli esseri umani vivevano senza bisogno di leggi, non c’era odio tra gli individui e le guerre non flagellavano il mondo. Più l’età dell’oro s’allontana e maggiormente aumentano le catene e le prigioni, e con esse il novero delle leggi. Ma perché il sistema economico stia privando l’uomo di strada della capacità tesaurizzativa è presto detto. L’uso del metallo prezioso trova impiego nei circuiti stampati (dai computer ai telefonini: più c’è oro e maggiore è la qualità del prodotto), nei connettori elettrici placcati in oro come nelle tute spaziali e negli elmetti totalmente ricoperti d’oro per proteggere gli astronauti dalle radiazioni solari. Le multinazionali della comunicazione ne fanno incetta per apparecchiature cibernetiche, le aziende aerospaziali per i motori dei jet e per applicazioni industriali coperte sempre da segreto. La lamina d’oro contenuta nei visori delle tute spaziali consente la protezione dalla luce solare, assicurando la schermatura necessaria non solo alla luce visibile e ultravioletta ma anche all’infrarosso. E non dimentichiamo che i potenti della terra, quando s’ammalano di tumore, si sottopongono all’unica chemioterapia che non avveleni, quella a base d’oro, per i poveracci la sanità passa i trattamenti a base di metalli pesanti (piombo, nichel, leghe di ferro…) cioè l’avvelenamento. L’oro colloidale viene utilizzato in un particolare tipo di elettroforesi, metodica diagnostica medica. E non dimentichiamo le otturazioni dei denti e i ponti in odontoiatria. In sospensione colloidale, trova impiego nella pittura delle
Perché le nomine pubbliche sono importanti?
Scritto da Alessandro Aresu (*)
Tutti hanno più o meno sentito evocare sui media il momento delle nomine delle società a partecipazione pubblica. È un appuntamento che accompagna la vita di numerosi governi, con una prolungata discussione che si concentra sui seguenti punti: i profili degli amministratori delegati uscenti di Eni, Enel, Leonardo, Poste e le altre società coinvolte; la loro supposta vicinanza ad alcune personalità politiche; il ruolo delle nomine nella vita del governo di turno.
Poi la curiosità passa, le nomine avvengono e si passa alla prossima puntata. I governi passano, le nomine restano.
Tuttavia, al di là di alcune indiscrezioni, quello che colpisce è il ridotto approfondimento attorno al momento in cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze comunica il deposito delle liste per il rinnovo degli organi sociali[1]. Ancor più delle modalità di decisione, il punto dirimente riguarda il merito e il futuro delle società in questione. In alcuni casi, i vertici uscenti delle principali aziende a partecipazione pubblica sono sentiti a livello parlamentare, per esempio presso le commissioni su attività produttive e industria. In altri casi, ciò non accade. Comunque, le audizioni non danno forma a un dibattito chiaro sul ruolo di tali società nel nostro Paese, nelle sue capacità tecnologiche e occupazionali, nella sua proiezione internazionale. E si tratta di un ruolo di primo piano. Pertanto, è utile capire perché le società a partecipazione pubblica siano importanti e quale sia la vera posta in gioco, provando a ovviare – almeno in parte – a questa grave carenza del nostro dibattito pubblico, evitando di fare i nomi degli attuali vertici delle aziende e dei principali nuovi candidati. Perché dobbiamo imparare a guardare il merito della questione, anche al di là delle singole personalità.
Anzitutto, perché le società a partecipazione pubblica contano, nell’economia e nella politica italiana? È un punto che ho toccato spesso su Limes[2]. Se non lo affrontiamo, non è possibile capire il nostro Paese.
Tra i presupposti della stagione delle privatizzazioni, negli anni Novanta, vi era la “depoliticizzazione”. Lo cita direttamente lo stesso discorso di Mario Draghi sul panfilo Britannia, il 2 giugno 1992, di recente pubblicato con mia traduzione e mio commento[3]. In sintesi, la depoliticizzazione era l’idea che fosse necessario ridurre il potere di condizionamento politico nell’economia, che aveva creato dinamiche corruttive, inefficienti e di intermediazione impropria. Fino, eventualmente, a un’uscita totale dello Stato dalla maggior parte delle aziende.
Trent’anni dopo, cosa è successo? Occorre ammettere, con sincerità e al di là delle varie opinioni politiche, che l’importanza delle nomine delle società pubbliche e para-pubbliche nella vita del Paese non è diminuita. È aumentata. Anche perché le società controllate dal Ministero dell’Economia e dalla Cassa Depositi e Prestiti dominano Piazza Affari, una borsa rimasta piccola rispetto alle omologhe europee per via dello scarso numero di grandi e medie imprese quotate. Ecco dunque il paradosso delle privatizzazioni: il sistema dei partiti non esiste più ma le nomine continuano ad esistere. Non solo: sono diventate molto più importanti.
Da un lato perché il “potere di nomina” ha riempito i vuoti di altre forme di potere, che chi è al governo non esercita più, o esercita in termini condizionali o limitati. Dall’altro lato perché, come ha notato Ugo Pagano[4] in un recente e brillante articolo su L’Industria, le privatizzazioni hanno confermato e rafforzato il ruolo delle imprese pubbliche, rispetto a un capitalismo privato italiano che da un lato non riesce a generare grandi imprese adeguate ad affrontare la competizione internazionale e dall’altro – in sintesi brutale – ha gestito peggio dello Stato le imprese pubbliche privatizzate, se consideriamo investimenti, ricerca e sviluppo. È difficile sostenere che le grandi imprese a
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Airbnb, da Bologna a Napoli gli affitti brevi “sfrattano” famiglie e studenti. “Il padrone di casa triplica il canone, andiamo in periferia”
LE STORIE – In un palazzo di Firenze c’è chi si è trovato in soggiorno turisti che avevano sbagliato scala. E i residenti lamentano costi condominiali aumentati del 50%. Tanti si trasferiscono a Figline Valdarno o Empoli, chi resta spende tutto per l’affitto. A Napoli i bassi vengono trasformati in camere per chi vuole “un’esperienza autentica”. Con tanto di irruzione della polizia, perché nel business “investe anche la camorra”. A Venezia nella città antica ci sono 53mila ormai posti letto per turisti e 53mila residenti. E a guadagnarci sono in pochi
Firenze, Piazza della Stazione. Al civico 1 c’è un palazzo dove fino a pochi anni fa vivevano decine di famiglie. Oggi molti condomini hanno perso il dirimpettaio di pianerottolo: alle chiacchiere sulle scale si è sostituto il rumore dei trolley, trascinati da turisti provenienti da ogni parte del mondo e in cerca dell’appartamento giusto. Una ricerca che a volte devono fare da soli, perché le grandi agenzie che gestiscono appartamenti su Airbnb spesso non vanno ad accogliere di persona l’ospite. Il check-in è affidato a sistemi digitali, con un codice inviato sullo smartphone che permette di aprire un box di sicurezza e prelevare le chiavi. Poi però rimane da trovare la casa giusta, e non sempre ci si riesce al primo colpo: “Ormai è diventato normale avere persone fuori dalla porta che armeggiano con la propria serratura”, racconta Nicola D’Angelo, un inquilino del palazzo. “Qualcuno di noi, per una strana coincidenza delle chiavi, si è anche trovato in soggiorno turisti che avevano sbagliato scala”.
Storie di vita vissuta in una città italiane a cui il fenomeno degli affitti brevi sta cambiando volto. Se il giro d’affari arricchisce i pochi – non a caso il governo sta mettendo a punto un decreto che punta a mettere paletti – l’impatto è devastante per tanti. A Bologna gli studenti finiscono in periferia, i Quartieri spagnoli di Napoli diventano vetrine per le “esperienze” spacciate ai turisti come autentiche, mentre nelle città dove il fenomeno è in atto da tempo, come Firenze e Roma, il tessuto urbano è stravolto. Il commercio di vicinato scompare a vantaggio dei ristoranti turistici.
Guadagni per pochi – Nicola è uno dei pochi residenti rimasti nel condominio, ma a Firenze gli appartamenti prenotabili tramite la piattaforma sono oggi 11.262. A riportare il dato è Inside Airbnb, sito fondato nel 2014 dal giornalista australiano Murray Cox in cui sono mappati tutti gli annunci su Airbnb in molte città del mondo. Il numero di Firenze contribuisce a fare della Toscana la regina di questo mercato in Italia, con un totale di 66mila alloggi disponibili, più che raddoppiati in soli tre anni. L’Italia, dietro solo a Stati Uniti e Francia, conta in tutto 460mila alloggi: l’ultimo anno, come dichiarato da Airbnb, si è chiuso con 11 milioni di persone ospitate, per un giro di affari da 2 miliardi di euro. Una montagna di soldi che finisce nelle mani di pochissimi: a Firenze, secondo Inside Airbnb, il 65% degli annunci è riconducibile a multihost, ovvero utenti che gestiscono più di un appartamento, con 15 di questi che controllano il 10% degli alloggi totali. Si tratta di agenzie strutturate, che però sulla piattaforma si presentano con nomi di persona: “Bettina”, ad esempio, gestisce 155 appartamenti a Firenze, 147 a Roma, 61 a Bologna. A Venezia la concentrazione è simile: due terzi degli annunci appartengono a profili che ne hanno pubblicato almeno un altro. E anche qua a guadagnarci sono in pochi: “C’è un 5% di host a cui va un terzo dei ricavi totali”, racconta Alice Corona, ricercatrice che ha collaborato
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FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
Banche pubbliche: rivoluzione, nella culla del neoliberismo
Scritto il 19/2/20
Il 2019 ha segnato un punto di svolta in un crescente movimento di banche pubbliche che ha preso slancio negli Stati Uniti. Tra le conquiste del movimento troviamo il passaggio del Public Banking Act (Ab-857) in California, l’istituzione di una banca pubblica statale nel New Jersey e l’apertura della Banca territoriale delle Samoa americane. Dopo che i legislatori della California hanno emanato il Public Banking Act dello Stato, San Francisco e Los Angeles hanno annunciato piani per l’istituzione di banche pubbliche. E ora ci sono più di 25 leggi per l’apertura di banche pubbliche in esame in altri stati. Perché il settore bancario pubblico? Perché ora? Dalla crisi bancaria del 2008, l’opinione pubblica ha espresso preoccupazioni per le banche commerciali e la natura del sistema bancario. Ogni anno miliardi di dollari di fondi pubblici vengono depositati in banche private (Wall Street). Non è il governo che conserva i nostri soldi, sono le banche private. In genere, questi fondi pubblici non sono investiti in comunità o Stati locali. Questi fondi finiscono in investimenti ad alto rendimento come l’industria dei combustibili fossili, condutture, prigioni private.
Un movimento di disinvestimento in crescita si concentra ora sulla cessione di programmi governativi, come i fondi pensione dei dipendenti pubblici ad esempio, togliendoli alle grandi banche. La domanda quindi è dove metterli. Gli attivisti della giustizia economica affermano che la risposta è il settore bancario pubblico. Le banche pubbliche sono servizi pubblici, di proprietà delle persone con la missione di servire il bene pubblico e i valori della comunità. Secondo i sostenitori, le banche pubbliche possono offrire prestiti a basso tasso d’interesse per studenti e agenzie pubbliche e capitali per piccole imprese e organizzazioni no profit. In tal caso, il sistema bancario pubblico consentirebbe alle città, alle contee o agli Stati di ottenere di più per i loro fondi limitati e di gestire efficacemente il proprio denaro per fornire più servizi ai propri cittadini. Vale a dire alloggi a prezzi accessibili, servizi per i senzatetto, istruzione, energie rinnovabili, strutture sanitarie comunitarie, trasporto pubblico.
Il 2019 è stato anche il centesimo anniversario della prima banca statale di proprietà pubblica americana, la Bank of North Dakota (Bnd), un’eredità vivente che fa prestiti al di sotto del mercato per le comunità locali e le imprese, generando allo stesso tempo un profitto per lo Stato. La Bank of North Dakota è stata fondata in risposta a una rivolta degli agricoltori contro le banche private che stavano ingiustamente pignorando le loro fattorie. Da allora la Bnd si è evoluta in una banca da 7,4 miliardi di dollari, che risulta essere ancora più redditizia rispetto a Jp Morgan Chase e Goldman Sachs, sebbene il suo mandato non sia effettivamente quello di generare profitti ma di servire
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La bufala del Target2 e l’incredibile approccio truffaldino di Berlino
14 Novembre 2018 di mittdolcino
Inizio la nuova saga riprendendo da dove avevo lasciato. Dopo tanti anni su scenarieconomici.it ho voluto creare questo mio piccolo blog per condividere coi i lettori interessati alcune analisi, senza tema di creare scombussolamenti ad ambizioni politiche di chicchessia. Questa è la prima traccia Che propongo ai lettori, che approfondirò nei prossimi tempi: la truffa del Target2 da parte dell’EU ed in particolare della Germania.
Purtroppo nessuno pensa alla possibilità che il Target2 sia un metodo costruito con fini non esclusivamente tecnici ma anche – e forse soprattutto – per “far male” a soggetti specifici essendo uno strumento non necessariamente neutro. Basti ricordare che il Target2 PRIMA del 2011, ossia prima del golpe finanziario contro l’Italia, era praticamente prossimo a zero tra Italia e Germania o comunque risibile. Perchè successivamente è esploso? Semplice, perché c’è stata una modifica, voluta dall’EU e che il sistema Italia con Mario Monti al comando ha oltre che approvato perfettamente taciuto al grande pubblico. Dunque – domandatevi – e se il Target2 non fosse così grave come vogliono farci credere ed anzi fosse una sorta di bufala creata ad arte dall’EU per inguaiare l’unico Paese che può realmente essere certo di guadagnarci uscendo dall’euro?
Vi svelerò l’arcano nei prossimi giorni. Certo, non a caso Berlino sostiene che l’Italia in caso di uscita dall’euro dovrebbe pagare il saldo negativo Target2, che poi significherebbe pagare tale saldo negativo moltiplicato per la percentuale di svalutazione della nuova lira. Vi anticipo che tale conclusione non è scontata ed anzi potrebbe essere facilmente “smontata” fattualmente. Ma non nei termini che su scenarieconomici.it si è usi proporre, no, in modo molto diverso: semplicemente perché il meccanismo è non va discusso in quanto truffaldino.
Starà a me dimostrarlo.
Per adesso vi lascio con un bell’interrogativo, in questo primo intervento: cosa succederebbe se l’Italia decidesse, con il fine di essere “liberata” dal giogo del debito estero come viatico per uscire dalla moneta unica – ossia per evitare che qualcuno possa accampare qualsiasi genere di scusa e/o lamentarsi per eventuali danni derivanti dalla svalutazione del debito precedentemente acquistato in euro, ndr -, di acquistare le proprie obbligazioni detenute dagli stranieri? Ad esempio applicando la proposta della Bundesbank della scorsa settimana – che equivale quasi perfettamente, 20% degli attivi finanziari delle famiglie italiane, al debito nazionale detenuto dagli stranieri – ossia fare una patrimoniale a carico degli italiani per ridurre il debito nazionale, un caso generale che viene incluso nel caso più globale – che è quello che interessa ai tedeschi – di ridurre il debito italiano in mano agli stranieri in quanto, si sa, i tedeschi non vogliono pagare per gli italiani.
Or dunque, ipotizzando che gli italiani versino 600 miliardi di patrimoniale, più o meno il 20% dei propri risparmi finanziari, tali soldi servirebbero per comprare i BTP in mano agli stranieri.
Operativamente bisognerebbe dunque trasferire i soldi italiani che i cittadini italiani hanno pagato con la patrimoniale al Governo prima e poi alla Banca d’Italia che li verserebbe ai detentori esteri delle nostre obbligazioni, che verrebbero restituite per la distruzione. Per un ammontare, appunto, di 600 miliardi.
In tale meccanismo si nasconde però un dettaglio incredibile: così facendo – ossia saldando il pagamento dei denari necessari per acquistare tale debito estero in mano agli stranieri – l’Italia peggiorerebbe il suo saldo Target2 con l’estero precisamente di 600 miliardi di euro estero in quanto tali denari verrebbero trasferiti – un flusso verso l’estero – ad altri paesi.
Dunque, secondo tali insulse regole l’Italia dopo aver pagato il debito estero dovrebbe anche pagare il saldo negativo del Target2. Che logica ha tutto questo?
Vi risolvo l’enigma semplicemente: l’unica logica sottostante è che si vuol cercare in tutti i modi di evitare che l’Italia esca dall’euro, anche con meccanismi scorretti.
Appunto, scorrettezza interessata da parte di chi dall’euro ha tratto più profitti che da una guerra vinta. E per giunta senza sparare un colpo di fucile (almeno fino ad ora). Che sono poi gli stessi che detengono il nostro debito e guarda caso che impongono anche mortale austerità.
Chi scrive ritiene che ormai il rischio più grande per l’Italia non si più quello finanziario ma quello militare: e se qualcuno in EUropa fosse disposto a tutto pur di evitare che l’Italia esca dall’euro?
Anche non rispettare i confini italici o istigare un golpe?
https://www.mittdolcino.com/2018/11/14/la-bufala-del-target2/#comment-3
GIUSTIZIA E NORME
Intercettazioni, un miliardo in 5 anni per spiare 600mila bersagli
Ecco quanto ci sono costate fin qui le intercettazioni. Costi che con la nuova legge sono destinati ad aumentare
Simona Musco 26 febbraio 2020
Negli ultimi cinque anni, il costo delle intercettazioni è stato di oltre un miliardo e 100mila euro. È quanto si evince dall’ultima Relazione sull’amministrazione della giustizia, che dà conto di tutte le spese di via Arenula. Un report che dà conto anche del numero di intercettazioni disposte ogni anno dalle procure d’Italia: circa 600mila bersagli, un dato parziale se si considera che la relazione è aggiornata ai primi sei mesi del 2019.
Stando al rapporto, i fondi per le intercettazioni sono sempre anticipati dall’erario, «salvo l’eventuale recupero a carico del condannato», ma tale settore rappresenta anche la parte più corposa del contenzioso della giustizia: è il mancato pagamento delle spese connesse al noleggio di apparecchiature per intercettazioni telefoniche/ ambientali, causato dall’insufficienza dei fondi sui capitoli per spese di giustizia, a rappresentare uno dei pesi maggiori – e costanti – per l’amministrazione dello Stato. La spesa, in ogni caso, ha subito nel corso degli anni una lenta ma costante diminuzione, fatta eccezione per il 2017. Nel 2019, dunque, lo stanziamento di bilancio per il settore è stato di 218.718.734, a fronte di una spesa che, «su base previsionale, può essere quantificata in linea con lo stanziamento di bilancio». Si è passati dai 300/ 280 milioni di euro relativi, rispettivamente, agli anni 2009 e 2010 ad una spesa di circa 245 milioni di euro per il 2015 (anno in cui sono state effettuate, complessivamente, circa 132mila intercettazioni), vicina ai 205 milioni di euro nel 2016 (131mila intercettazioni circa) e attorno ai 230 milioni di euro nel solo anno 2017 (quando sono state collezionate grosso modo 127mila intercettazioni). Nel 2018, invece, è stata registrata una spesa di circa 205 milioni di euro, a fronte di uno stanziamento di circa 230milioni di euro, per un totale di 120mila intercettazioni.
Complessivamente, ad aumentare sono le captazioni classificate sotto la
Continua qui: https://www.ildubbio.news/2020/02/26/intercettazioni-un-miliardo-5-anni-per-spiare-600mila-bersagli/
Tutto il potere ai Pm. Ecco cosa dice il nuovo testo sulle intercettazioni
La legge voluta dai 5Stelle approvata anche alla Camera
Giovanni M.Jacobazzi – 26 FEBBRAIO 2020
Maggiori poteri ai Pm, forte estensione dell’utilizzo dei “captatori informatici”, sanzioni pressoché simboliche per chi viola il divieto di pubblicazione fuori dai casi consentiti. In estrema sintesi, sono questi i punti centrali della riforma delle intercettazioni telefoniche che troverà applicazione per i procedimenti penali iscritti a partire dal prossimo mese di maggio. Per tutti i procedimenti in corso continuerà ad applicarsi la disciplina attuale.
La norma stravolge completamente la disciplina del 2017, voluta dall’allora ministro Andrea Orlando (Pd), e mai entrata in vigore in quanto oggetto di numerose proroghe. La novità più rilevante riguarda, come detto, l’incremento dei poteri dei pm. Saranno loro, e non più la polizia giudiziaria come previsto nella riforma Orlando, a determinare e scegliere cosa è rilevante per le indagini e cosa non lo è. Sarà consentita, poi, la possibilità di usare i risultati delle intercettazioni in procedimenti penali diversi rispetto a quello nel quale l’intercettazione è stata autorizzata.
Oltre che per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza, tale possibilità è prevista anche per l’accertamento dei reati indicati nell’art. 266 del cpp qualora le intercettazioni siano ritenute “indispensabili e rilevanti” per l’accertamento della responsabilità penale. Questo in dettaglio. Per quanto attiene l’esecuzione delle intercettazioni, il testo ripropone sostanzialmente la formulazione antecedente la riforma del 2017 per la trasmissione dei verbali delle intercettazioni, la comunicazione ai difensori (che avranno facoltà di esaminare gli atti e di ascoltare le registrazioni), il procedimento incidentale finalizzato alla cernita ed alla selezione del materiale probatorio nell’ambito di una apposita udienza.
Lo stralcio potrà riguardare, oltre alle registrazioni di cui è vietata l’utilizzazione, anche quelle che riguardano dati personali, sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza. Vengono ripristinate le disposizioni relative alla possibilità che alle operazioni di stralcio partecipi il pm ed il difensore; quest’ultimo potrà estrarre copia delle trascrizioni integrali delle registrazioni disposte dal giudice e potrà far eseguire copia. Come in passato, il gip disporrà la trascrizione integrale delle registrazioni, o la stampa delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche, da acquisire poi con le forme della perizia tecnica.
I verbali e le registrazioni, e ogni altro, saranno conservati integralmente nell’apposito “archivio delle intercettazioni” gestito e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del procuratore della Repubblica. Non sarà, comunque, un archivio “riservato”.
Le attività di intercettazione ambientale mediante utilizzo dei cd virus Trojan,
Continua qui: https://www.ildubbio.news/2020/02/26/tutto-il-potere-ai-pm-ecco-cosa-dice-il-nuovo-testo-sulle-intercettazioni/
La “dittatura della vittima” e il medioevo del diritto nel “processo penale totale”
Il libro di Sgubbi: duro, tagliente e senza sconti
Davide Varì – 23 febbraio 2020
“La vittima è l’eroe moderno, ormai santificato. L’abuso del paradigma vittimario, frutto del diritto penale emozionale e compassionevole, ha fatto sì che lo stato di vittima sia diventato desiderabile nello stato di oggi”.
È solo uno dei passaggi, e forse neanche il più duro e diretto, del libro di Filippo Sgubbi: “Il diritto penale totale”, edizioni Il Mulino.
Un testo che non fa alcuno sconto, che mira dritto al cuore del problema senza timori né riguardi. E la chiave di volta del testo di Sgubbi, avvocato e professore nelle università di Cagliari, Bologna e Roma, è proprio quel termine: “totale”. “Totale perché ogni spazio della vita individuale e sociale è penetrato dall’intervento punitivo che vi si insinua”. Totale, inoltre, perché da anni, decenni, la politica e la società civile sono convinte che ingiustizie e mali sociali possano trovare una soluzione solo ed esclusivamente nel diritto penale.
Ed è questo il motivo per cui la giustizia è diventata il centro della vita politica e l’epicentro delle scosse che di volta in volta minano la tenuta di governi e maggioranze: vedi il recente scontro sulla prescrizione e sulla riforma del processo penale. E così Filippo Sgubbi ci aiuta a mettere a fuoco il vero nodo, quel groviglio tra politica e giustizia che è più di un’osmosi: non un confronto dialettico tra pari, quanto una sottomissione della prima nei confronti della seconda.
Perché quel grido “vogliamo giustizia”, (e torniamo alla teoria del “paradigma vittimario) urlato nelle aule dei nostri tribunali e usato come arma contundente contro quei giudici che si permettono di assolvere o non infliggere “pene esemplari”, riecheggia nelle stanze dei palazzi della politica e diventa centro, manifesto e proclama di gran parte dei partiti. E così accade che il processo “sia chiamato a cercare colpe prim’ancora che cause”.
Nasce in questo modo “una nuova forma di ricerca processuale del capro
Continua qui: https://www.ildubbio.news/2020/02/23/la-dittatura-della-vittima-e-il-medioevo-del-diritto-nel-processo-penale-totale/
IMMIGRAZIONI
Il Viminale assegna il porto di Messina ai 73 migranti della Sea Watch
CronacaMessina Feb 25,2020 Nonostante il cosiddetto coronavirus
“Navighiamo ora verso Messina, felici di portare le persone soccorse a terra”.
Così Sea Watch, che ieri aveva soccorso 73 persone al largo della Libia, con un tweet fa sapere di aver avuto l’indicazione della città siciliana come porto sicuro.
PANORAMA INTERNAZIONALE
Cardinale Danneels confessa: “11 cardinali hanno lavorato per costringere Benedetto XVI a dimettersi”
25, maggio, 2019 RILETTURA
Il cardinale Godfried Danneels confessa prima di morire:”11 cardinali hanno lavorato nell’ombra per costringere papa Benedetto XVI a dimettersi”. Undici cardinali scomunicati (Bergoglio è uno di loro): non c’era nessuna successione.
Il cardinale Godfried Danneels prima di morire confessa che lui e altri cardinali hanno pianificato è architettato costretto papa Benedetto XVI a dare le dimissioni, e lasciare il posto a Bergoglio. Secondo il diritto canonico, questo gruppo, che lui stesso definisce una “mafia”, viene scomunicato dalla latae sententiae.
Nell’ultima settimana di settembre 2015, il Cardinale Daneels ha presentato la sua biografia a Bruxelles, e ha riconosciuto l’esistenza di un gruppo di Cardinali che hanno lavorato insieme per controllare la successione di Giovanni Paolo II e impedire il Cardinale Joseph Ratzinger, che allora era Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, di ascendere alla cattedra di Pietro. Nella presentazione, Danneels ha rivelato di aver fatto parte di una “mafia” (con i cardinali Kasper, Silvestrini, Van Luyn, Martini, Murphy O’Connor, Lehman, da Cruz, Husar e Hume) e che hanno lavorato nell’ombra per costringere papa Benedetto XVI a dimettersi e ad abilitare Jorge Mario Bergoglio per diventare Papa.
Va sottolineato che questa “mafia”, conosciuta tra loro come “Il gruppo di San Gallo”, a causa del monastero svizzero in cui si sono tenuti i loro incontri, si è auto-scomunicata dalla Chiesa, come promulgata la costituzione apostolica Universi Domenici Gregis di Giovanni Paolo II, che proibisce le trame e gli accordi tra cardinali per influenzare l’elezione di un papa.
L’articolo 79 dice: “Confermando le prescrizioni dei miei predecessori, proibisco anche a chiunque, anche se è un cardinale, durante la vita del Papa e senza averlo consultato, di fare piani riguardanti l’elezione del suo successore, o di promettere voti, o prendere decisioni al riguardo in incontri privati ”.
E nell’articolo 81 si stabilisce che questi accordi sono puniti con la scomunica latae
Continua qui: https://intuajustitia.blogspot.com/2019/04/il-cardinale-godfried-danneels-confessa.html
Come lo Swift (banche) ricattò Benedetto XVI per costringerlo a dimettersi
29, settembre, 2015 di Maurizio Blondet >>> RILETTURA NECESSARIA, PER NON DIMENTICARE
Devo cominciare riconoscendo un mio errore. Nel precedente articolo ho riferito che l’elezione di Bergoglio è stata “il frutto delle riunioni segrete che cardinali e vescovi, organizzati da Carlo Maria Martini, hanno tenuto per anni a San Gallo, in Svizzera”, come ha dichiarato vantandosene uno dei congiurati, il cardinal Dannnels. Mi son detto che una tale congiura modernista invalida la elezione di Bergoglio.
Un lettore, canonista, mi dà giustamente torto: “… Le convenzioni che si compiono fra gli elettori del conclave non producono nullità dell’elezione. A maggior ragione, se fatte prima del conclave. Esistono numerosi precedenti, molti nel tardo medio evo e nel rinascimento, almeno i meglio noti. Anche eventuali vizi procedurali dell’elezione, dei quali si è occupato il Socci, possono avere rilievo solo se qualche interessato (ovvero elettore) li abbia fatti valere. Il che è positivamente escluso, non esistendo rifiuti di prestare obbedienza da parte di alcun porporato. Questo, naturalmente, non vale a rendere i fatti di cui si dice moralmente degni, ma è altra materia”
Segue la firma.
Quindi è un Papa che non possiamo stimare – visto che s’è fatto eleggere con questi trucchi e complicità – ma è legittimo. Tuttavia, un altro lettore, stimolato dallo stesso articolo, mi rimbalza un blog con una notizia notevole.
http://sauraplesio.blogspot.it/2015/09/giallo-vaticano.html
Quando, nel febbraio 2013, Papa Benedetto XVI si è dimesso improvvisamente e inspiegabilmente, lo IOR era stato escluso da SWIFT; con ciò, tutti i pagamenti del Vaticano erano resi impossibili, e la Chiesa era trattata alla stregua di uno stato-terrorista (secondum America), come l’Iran. Era la rovina economica, ben preparata da una violenta campagna contro lo IOR, confermata dall’apertura di inchieste penali della magistratura italiana (che non manca mai di obbedire a certi ordini internazionali).
Pochi sanno che cosa è lo SWIFT (la sigla sta per Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication – Società per le telecomunicazioni finanziarie interbancarie): in teoria, è una “camere di compensazione” (clearing, in gergo) mondiale, che unisce 10500 banche in 215 paesi. Di fatto, è il più occulto e insindacabile centro del potere finanziario americano-globalista, il bastone di ricatto su cui si basa l’egemonia del dollaro, il mezzo più potente di spionaggio economico e politico (a danno specialmente di noi europei) e il mezzo più temibile con cui il la finanza globale stronca le gambe agli stati che non obbediscono.
La banca centrale dell’Iran ad esempio, per volontà giudaica, è stata esclusa dalla rete SWIFT per ritorsione contro il preteso programma nucleare. Ciò significa che l’Iran non può più vendere in dollari il suo greggio, che le sue carte di credito non valgono all’estero, e che nessuna transazione finanziaria internazionale può essere condotta da Teheran se non in contanti e in clandestinità, in forme illegali secondo l’ordine internazionale: nel 2014 la banca francese BNP Paribas è stata condanna dalla “giustizia” Usa a pagare (agli Usa) 8,8 miliardi di dollari per aver aiutato Teheran ad aggirare il blocco di Swift.
Sono state le minacce ventilate contro Mosca di escluderla dalla rete SWIFT come ritorsione per la cosiddetta annessione della Crimea – un danno enorme all’economia del paese – ad accelerare la messa in opera, da parte dei BRICS egemonizzati da Cina e Russia, di un proprio circuito di clearing alternativo a SWIFT, e operante in yuan e rubli, e non in dollari. Per sottrarsi al ricatto che fa pendere sugli stati sovrani lo Swift.
Il sito belga Media-Presse (lo SWIFT è basato in Belgio) nel dare la notizia dello SWIFT alternativo lanciato da Pechino e Mosca, il 5 aprile, raccontava come esempio:
Quando una banca o un territorio è escluso dal Sistema, come lo fu nel caso del Vaticano nei giorni che precedettero le dimissioni di Benedetto XVI nel febbraio 2013, tutte le transazioni sono bloccate.
Senza aspettare l’elezione di papa Bergoglio, il sistema Swift
è stato sbloccato all’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI.
“C’è stato un ricatto venuto da non si sa dove, per il tramite di Swift, esercitato su Benedetto XVI. Le ragioni profonde di questa storia non sono state chiarite, ma è chiaro che SWIFT è intervenuto direttamente nella direzione degli affari della Chiesa.
Ciò spiega e giustifica le inaudite dimissioni di Ratzinger, che tanti di noi hanno potuto scambiare per un atto di viltà; la Chiesa era trattata come uno stato “terrorista”, anzi peggio – perché si noti che la dozzina di banche cadute nelle mani dello Stato Islamico in Iraq e Siria “non sono state escluse da SWIFT” e continuano a poter fare transazioni internazionali – e la finanza vaticana non poteva più pagare le nunziature, far giungere mezzi alle missioni – anzi, gli stessi bancomat di Città del Vaticano erano di fatto stati bloccati. La Chiesa di Benedetto non poteva più “né vendere né comprare”, la sua vita economica aveva le ore contate.
Dimissioni sotto costrizione
Non resta che sottoscrivere quel che dice Saura Plesio: Ratzinger “mai, proprio lui che lottò contro il Relativismo imperante, avrebbe accettato “aperture” sul mondo gay e sulle politiche gender. Mai si sarebbe prosternato al “mondo” (e al mondialismo) come questo papa, il quale gareggia con il laicismo imperante della Ue nel creare una forma di “divorzio sacramentale”, attraverso “l’annullamento breve”. Mai si sarebbe prestato a fare la grande pagliacciata di Lampedusa fatta dal suo successore, che oltretutto
Continua qui: http://www.imolaoggi.it/2015/09/29/come-lo-swift-banche-ricatto-benedetto-xvi-per-costringerlo-a-dimettersi/
POLITICA
“Ecco come vogliono far diventare Draghi premier”
(Video di Marco Mori)
Alessandro Cipolla – 17 Febbraio 2020
Il governo non durerà a lungo e vendendo agli italiani la solita situazione di emergenza potrebbe nascere una nuova maggioranza con Mario Draghi premier: il pensiero di Marco Mori raccontato durante la puntata del 14 febbraio di Memento Mori.
Già ne parlano come una sorta di “governo di salvezza nazionale”, con la politica nostrana che da tempo si starebbe interrogando su cosa possa mai accadere se, visti i venti di crisi che spirano sui giallorossi, dovesse cadere il Conte bis.
Tra le tante ipotesi circolate negli ultimi giorni, ce n’è una che secondo Marco Mori sarebbe un assoluto “pericolo” ovvero un possibile governo guidato ma Mario Draghi, figlio del recente abboccamento tra Matteo Salvini e Matteo Renzi.
Una prospettiva questa dell’ex numero uno della BCE a Palazzo Chigi che
Continua qui: https://www.money.it/Come-vogliono-Draghi-premier-Marco-Mori-video
SCIENZE TECNOLOGIE
Forse possibile “manipolare” il cervello per cancellare i brutti ricordi
Esperimento Usa condotto sui topi, ma promettente per future applicazioni sull’uomo nella terapia di depressione, ansia e stress post traumatico
Pubblicato il 07 Giugno 2019
Manipolare il cervello per cancellare l’angoscia di un brutto ricordo. È lo scenario che si apre grazie a uno studio americano. Un esperimento condotto sui topi, ma definito promettente per future applicazioni sull’uomo nella terapia di depressione, ansia e stress post traumatico.
Il neuroscienziato della Boston University Steve Ramirez, autore senior del lavoro, e Brian Chen, primo autore, oggi alla Columbia University, hanno scoperto che nell’ippocampo – una piccola porzione cerebrale a forma di anacardo che immagazzina le informazioni sensoriali ed emotive di cui sono fatti i ricordi – si nasconde una sorta di ’interruttore della memoria’. Un interruttore flessibile, che cambia funzione a seconda di dove si trova.
Dopo avere identificato le cellule che partecipano alla costruzione dei ricordi, i test hanno infatti dimostrato che, stimolando artificialmente le cellule della memoria situate nella parte superiore dell’ippocampo, il trauma collegato ai cattivi ricordi si attenua; al contrario, stimolando le cellule della parte inferiore la paura che si prova richiamando alla mente memorie negative aumenta, a indicare che quest’area potrebbe essere iperattiva quando un ricordo diventa talmente angosciante da scatenare una malattia. Almeno in teoria, dunque,
“Burioni? Lasciamolo alla sua gloria, io mi occupo di scienza e dico: non siamo in guerra”
La dottoressa Gismondo, direttrice del centro di virolgia dell’ospedale Sacco attaccata da Burioni, spiega che gli allarmi peggiorano la situazione
“Burioni? Laciamolo alla sua gloria”. Risponde così la dottoressa Maria Gismondo, la direttrice di Virologia dell’ospedale Sacco di Milano che, nei giorni scorsi, aveva dovuto subire una ramanzina social da parte del noto divulgatore scientifico. La colpa della dottoressa Sacco, secondo Burioni, è stata quella di aver sottovalutato il virus relegandolo a normale “influenza”.
Apriti cielo: Burioni a quel punto ha usato tutta la sua forza mediatica per rimproverare la dottoressa Sacco la quale, invece di reagire, era tornata in corsia a lavorare h24: “In queste settimane sono andata a casa a dormire, due-tre ore a notte. La mia famiglia sono due figlie e una nipotina di 9 anni. E un cane femmina Nala, quella del Re Leone”
E la dottoressa Gismondo oggi, in un’intervista a Repubblica, continua sulla sua
Continua qui: https://www.ildubbio.news/2020/02/26/burioni-lasciamolo-alla-sua-gloria-io-mi-occupo-di-scienza-e-dico-non-siamo-guerra/
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