RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
7 APRILE 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Calma la tua brama del mondo e vivi contento di poco,
Taglia i legami tutti col Bene e col Male del Tempo;
In mano prendi una coppa e la treccia d’amica gentile;
Ché passa, passa e non resta, questa tua vita d’un giorno.
OMAR KHAYYAM, Quartine, Einaudi, 1965, pag. 30 n. 83
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Precisazioni
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La redazione provvederà doverosamente ed immediatamente alla loro rimozione dal blog.
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SOMMARIO
Badoglio 2.0 poderoso eppur vetusto
E’ tutto un grande inganno. Intervista al Generale dei Carabinieri (r) Antonio Pappalardo
L’Istat: nel marzo 2019, morti di polmonite 15.000 italiani
L’uso militare nascosto della tecnologia 5G
PSICOPOLIZIA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS!
Privacy e sicurezza, come gestire i dati nell’app per il tracciamento dei contatti
Coronavirus, come il deep web sfrutta le catastrofi
Quando Grillo diceva: “Odio l’Europa. Abbiamo delegato la nostra vita a dei malati mentali”
Virus informatici, tamponi porta a porta e finti farmaci: tutte le truffe sul Coronavirus
LA NASCITA DELLA CIVILTÀ
“Senza Mes, disordini sociali in Italia”: l’analisi impietosa della banca tedesca
Coronavirus, Oms accusata dal Wall Street Journal: “Ha aiutato la Cina a coprire le informazioni”
L’Istat: “A marzo 2017 oltre 15 mila morti per malattie respiratorie. Lavoriamo per stanare parte sommersa di Covid-19”
Nessuna condanna per terrorismo e “guerre sante”
Antielogio della follia
Fare indigestione di vento
Coronavirus, l’Istituto Superiore di Sanità: “Solo 12 le persone decedute senza patologie pregresse”
Coronavirus: in Cina stanno cremando migliaia di corpi? Ecco una possibile risposta
Coronavirus: natura, incidente o arma?
INPS?… LO HACKER, CHE BONTÀ
Sono 9.400 i minori scomparsi in Italia nel 2018. Più della metà non sono stati trovati
PRONTI, ARRIVA LA PATRIMONIALE!
Krugman mette in guardia sulle conseguenze di far ripartire troppo presto l’economia
BANCHE: LA CHIAVE DI VOLTA
EMERGENZA CORONAVIRUS? ONG TEDESCA VERSO L’ITALIA CON 68 MIGRANTI A BORDO
Migranti, 34 sbarcati a Lampedusa
Migranti: in 260 assaltano barriera di Melilla
Belluria
Una lingua, una patria, una nazione: l’identità nazionale da Manzoni a Fichte
CONTROLLANO TUTTO QUELLO CHE POSTO X USARLO CONTRO DI ME?
Trump invita l’Italia a uscire dall’Unione europea
Il report sulle violazioni dei diritti umani negli Stati Uniti nel 2019
MAFIA E GERMANIA RINGRAZIANO
5G E CORONAVIRUS: PREOCCUPATEVI DELLA RESPIRAZIONE, NON DELLA COSPIRAZIONE
Barnard: nessuna certezza da tamponi e test sierologici
Al Capone, il simbolo del gangsterismo negli Stati Uniti
EDITORIALE
Badoglio 2.0 poderoso eppur vetusto
Manlio Lo Presti – 7 aprile 2020
L’ennesimo dispaccio del Badoglio 2.0 a reti unificate di terra, di mare, di aria trionfalmente annuncia 400 miliardi di euro. Il trionfalismo è più semantico che reale grazie all’uso indiscriminato della parola “poderoso“.
Ripetendo l’eterno gioco del gatto e della volpe, del poliziotto cattivo e quello buono, abbiamo visto il contraltare minimalista della solerte ministra ritmare il suo intervento – a chiamata di Badoglio 2.0 – inanellando ripetutamente il termine “vetusto“.
Fatto gravissimo, la ministra dell’istruzione ITALIANA, nel dichiarare (poi verranno forse i fatti) la dotazione di strumentazioni elettroniche alle scuole ha definito queste “DEVICE” un vocabolo anglosassone che significa “dispositivo”. Ancora la pessima sudditanza servile. Un ministro dell’istruzione italiana che usa UN TERMINE INGLESE: una vera bestemmia imperdonabile!!!!!
In attesa di una comunicazione ufficiale su Gazzetta del provvedimento DPCM, veniamo alle questioni trattate a volo d’angelo dall’attuale primo ministro (non uso la parola premier) :
Le banche
Come al solito, è il settore su cui si scaricano le secolari inefficienze della elefantiaca burocrazia italiana. Le banche hanno dovuto sostenere i gravosi costi della gestione:
- Basilea 1,2,3, per n. → ∞ , con relativi costi sui bilanci bancari;
- Procedure di verifiche antiriciclaggio con varianti successive, con relativi costi sui bilanci bancari;
- Procedure di gestione della riservatezza dei dati sensibili personali (con il solito inglese:privacy) e sue numerose varianti, con relativi costi sui bilanci bancari;
- I problemi enormi del passaggio dalla lira all’euro, con relativi costi sui bilanci bancari
- implementazioni operative con le disposizioni di cooperazione con Agenzia delle entrate, la Consob, ecc., con relativi costi sui bilanci bancari;
- gli adempimenti di sicurezza dello Stato da parte delle 7 polizie che caricano il peso delle ricerche sulle banche, con relativi costi sui bilanci bancari.
L’elenco sopra riportato è per difetto.
Ad eccezione di facilitazioni fiscali tempo per tempo applicate al settore creditizio, va detto che gran parte di questi costi non è stato mai rimborsato dallo Stato che avrebbe in libro paga milioni di dipendenti centrali e periferici per eseguire in proprio questi adempimenti.
Anche in questa emergenza (chiamiamolo quindi Punto 6) le banche saranno caricate di tutto il peso organizzativo della erogazione di milioni di linee di credito di cui fare, una per una, le opportune indagini se il cliente merita o meno il finanziamento, con relativi costi sui bilanci bancari e un carico di operatività notevole.
Il bollettino televisivo di Badoglio 2.o nella serata del 6 aprile 2020 ha accennato che i crediti saranno interamente coperti da garanzie emesse dalla SACE. per ogni finanziamento a soggetti economici di cui fornirà un elenco scritto.
Sulle garanzie sarà necessario chiarire immediatamente:
- che la garanzia è attivata a semplice richiesta, cioè non si attiva solo in via sussidiaria. A questo punto la domanda chiave è: la “semplice richiesta” , in caso di insolvenza del finanziato, evita l’obbligo per la banca della dimostrazione che ha fatto tutto il possibile per recuperare il credito erogato e che ha operato secondo le regole FORMALI riportate nei regolamenti SACE? Faccio riferimento a RISERVATEZZA DEI DATI, ANTIRICICLAGGIO, LEGGE BANCARIA, ACCERTAMENTI ANTIMAFIA, MODULI E CORRISPONDENZA DEBITAMENTE FIRMATA IN TUTTE LE SUE PARTI, SE LE DOMANDE DI FINANZIAMENTO SONO STATE GESTITE A REGOLA D’ARTE, ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc.; Insomma, la garanzia si attiva all’emergere dello stato di insolvenza del finanziato rimuovendo preventive azioni di responsabilità verso le banche? Non lo credo affatto. Le responsabilità saranno le stese di sempre…
- determinazione del tasso di interesse: fisso o variabile legato a quali parametri europei, in crescita o in diminuzione in relazione alla durata del finanziamento;
- rateizzazione mensile, trimestrale, semestrale, annuale della restituzione dei soldi erogati precisando che i finanziamenti non sono gratuiti né banconote che piovono dal cielo, come talvolta qualcuno immagina sentendo parlare di helicopter money.
La SACE – Sezione Autonoma Credito all’Esportazione
Si tratta della struttura che emette le garanzie, a semplice richiesta, per i finanziamenti effettuati dalle banche sul territorio, anche in gran parte per il finanziamento delle esportazioni.
VA CHIARITO CHE LA SACE NON FA ALTRO CHE EMETTERE GARANZIE E SOLO DOPO AVER RICEVUTO DALLE BANCHE L’INDAGINE COMPLETA CON TUTTO L’INCARTAMENTO.
Pertanto, la “semplice richiesta” scatta se tutti i pezzi di carta sono a posto prima della erogazione del credito!
Il loro funzionamento è simile in tutto alla operatività dei CONSORZI DI GARANZIA.
TUTTO CIÒ PREMESSO
Fare comunicati troppo trionfalistici ponendo in ombra la complessità degli adempimenti giuridici, di tutela dei dati personali, di regime delle garanzie, è una operazione scorretta e pericolosa sia per gli effetti distorsivi che produce sulle valutazione dei tanto conclamati “mercati”, sia sulla entità delle aspettative di una popolazione bisognosa ma in gran parte prontissima a trarre vantaggio dalla montagna di denaro che dovrebbe arrivare (il famoso detto CHIAGNE E FOTTE).
Nulla si è detto delle azioni che faranno le 8 mafie per prendersi la fetta maggiore di questi miliardi. Nessuno ha parlato di come prevenire.
Non è un argomento importante …
P.Q.M.
Con una adeguata dose di scetticismo e senza aspettative, aspettiamo di leggere i contenuti trionfalistici e poderosi dell’ennesimo provvedimento entro oggi quando saranno pubblicati in forma di DPCM sulla Gazzetta ufficiale…
IN EVIDENZA
E’ tutto un grande inganno. Intervista al Generale dei Carabinieri (r) Antonio Pappalardo
4 APRILE 2020 – Leonardo Leone
VIDEO QUI:https://youtu.be/zO5o–XnssE
In questa Intervista al Generale dei Carabinieri (r) Antonio Pappalardo, andiamo ad analizzare tutte le incongruenze del nostro sistema politico ed economico circa la situazione di emergenza nazionale che stiamo vivendo.
Il Generale Pappalardo afferma: è tutto un grande inganno. Pertanto ha presentato denuncia al NAS, circa la gestione di questa crisi da parte del governo e il sistema sanitario.
FONTE:https://www.youtube.com/watch?v=zO5o–XnssE
Magaldi: l’Oms cinese e il nuovissimo Ministero della Verità
Taci, il nemico ti ascolta. Siamo arrivati al Minculpop all’amatriciana del sempre più sconcertante “avvocato del popolo”, capace di chiudere gli italiani in casa lasciandoli anche senza soldi? Di male in peggio: ora sarà l’orwelliano Ministero della Verità a vigilare sulle notizie somministrabili ai sudditi, in tema di coronavirus. Nella nuova “Unità per il monitoraggio delle notizie false”, voluta dal sottosegretario Andrea Martella (Pd, ovviamente) monteranno la guardia «specialisti della comunicazione e del fact-checking», spiega “Repubblica”, quotidiano di proprietà di John Elkann (Fiat-Fca). Nomi del calibro di Riccardo Luna, editorialista di “Repubblica”, nonché Francesco Piccinini (direttore di “Fanpage”) e David Puente, “responsabile fact-checking” per il giornale online “Open”, fondato da Enrico Mentana (firmatario, con Grillo e Renzi, del “Patto per la Scienza” guidato da Roberto Burioni, che ha appena chiesto alla magistratura di spegnere “ByoBly”, il video-blog di informazione indipendente più amato e seguito dagli italiani). La task force messa in piedi da Martella a Palazzo Chigi? «Ridicola e grottesca, oltre che preoccupante», la definisce Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt.
«Stiamo ancora aspettando – dice Magaldi – che i grandi media (quelli che secondo il governo sarebbero depositari della verità unica) facciano ammenda per le tante fake news ufficiali spacciate in queste anni, a partire da quella sulle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein». Quanto al cosiddetto complottismo, Magaldi accusa: «Spesso, alimentare tesi vistosamente strampalate è funzionale a chi detiene il potere, per screditare in partenza qualsiasi voce alternativa». Magaldi è allarmato per la folle situazione in cui versa l’Italia: libertà drasticamente azzerata ed economia prossima al coma, «grazie a un governo che prende per il naso lavoratori, famiglie e aziende, senza fornire precise garanzie sulla ripresa». Un “suicidio” di massa, scandaloso: «Ancora non è stato dato un concreto aiuto materiale a chi è stato costretto a restare a casa e non ha risorse per far fronte alle necessità anche solo alimentari della famiglia». L’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, ha le idee chiarissime: «Non resta che emettere moneta sovrana: moneta di Stato, “non a debito”, non convertibile in euro e spendibile solo in Italia, fondamentale per impedire che la nostra economia crolli».
A insospettire Magaldi è anche l’incredibile confusione cui stiamo assistendo: «Fa pensare al motto massonico “ordo ab chao”: il caos è quello che purtroppo stiamo già vivendo, e temo che il “nuovo ordine” che si prepara possa rivelarsi inquietante, cioè senza un ritorno alla piena libertà di prima. Troppe voci continuano a prefigurare un futuro in cui dovremo rinunciare alle possibilità di movimento a cui, da sempre, eravamo abituati». Un sospetto che viene dalla Cina, o meglio dall’Oms, il cui presidente – il politico etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus – è ora accusato dal “Wall Street Journal” di aver “coperto” il grave ritardo con cui le autorità di Pechino hanno diffuso le notizie sulla iniziale diffusione del Covid-19, salvo poi raccomandare (anche all’Italia) il modello-Wuhan, cioè il “coprifuoco”, come unica possibile strategia antivirus. «L’Etiopia ha strettissimi legami con la Cina: è uno snodo centrale, strategico, per l’egemonia cinese sull’Africa». Anche per questo, secondo Magaldi, è ben poco rassicurante la longa manus protesa dall’Oms, che è presente anche nel governo italiano (con Walter Ricciardi, ingaggiato in qualità di super-consulente del ministro della sanità Roberto Speranza).
«Noi comunque non staremo con le mani in mano – avverte Magaldi – specie se poi la riapertura dell’Italia dovesse essere ulteriormente rinviata». Il Movimento Roosevelt, che sta attrezzando uno “sportello legale” per assistere i cittadini alle prese coi decreti dello stato d’emergenza, ha inoltre in cantiere una “task force costituzionale” per «difendere i cittadini da eventuali abusi, accuse e vessazioni civili e penali di palese natura antidemocratica, liberticida e anticostituzionale». Magaldi prevede un ampio ricorso, appena possibile, in tutte le sedi giudiziarie, a maggior ragione «se qualcuno tentasse, come già si ventila, di rafforzare ulteriormente i poteri straordinari dell’esecutivo, approfittando sciaguratamente della situazione emergenziale». Non è tutto: «A giorni – conclude Magaldi – presenteremo al governo le nostre proposte per cominciare finalmente ad assistere gli italiani, sul piano economico. Se venissero ignorate – avverte – potremmo anche decidere di violare la legge, in modo nonviolento e democratico, con azioni dimostrative nelle piazze».
FONTE:https://www.libreidee.org/2020/04/magaldi-loms-cinese-e-il-nuovissimo-ministero-della-verita/
L’Istat: nel marzo 2019, morti di polmonite 15.000 italiani
Numeri alla mano, nello stesso periodo di tempo, l’anno scorso, sono morte più persone per malattie respiratorie che quest’anno per Covid-19. La parte sommersa dell’iceberg è formata anche dai morti che nessuno ha mai censito, questo ormai lo ammette anche l’Istituto Superiore di Sanità.
Riusciremo a capire quanti sono? Noi ci esprimiamo con i numeri che riusciamo a raccogliere e a validare. Quando affermiamo che nei primi 21 giorni di marzo al Nord i decessi sono più che raddoppiati rispetto alla media 2015-19 non è una impressione, ma un dato. Quando scriviamo che a Bergamo i decessi sono quasi quadruplicati passando da una media di 91 casi nel 2015-2019 a 398 nel 2020, riferiamo delle evidenze. Idem quando denunciamo «situazioni particolarmente allarmanti» nel Bresciano oppure un maggiore incremento dei decessi degli uomini e delle persone maggiori di 74 anni di età. Lavoriamo per ampliare queste conoscenza, ma dobbiamo tenere conto del fatto che la trasmissione dei dati è più lenta e complicata di quel che si vorrebbe in condizioni ordinarie, figuriamoci in un’emergenza sanitaria. Quando l’Istat fornisce un valore, quello è stato trattato secondo standard europei.
Quanti morti erano già malati? Abbiamo tre tipi di morti: quelli che ricollegabili soprattutto al Covid, con o senza altre patologie; coloro che non muoiono di Covid ma per Covid, cioè ad esempio infartuati che in condizioni normali sisalverebbero; i morti che non hanno contratto Covid. Noi siamo in grado di dare elementi sui decessi, distinguerli per 21 fasce d’età e farlo estraendo questi numeri dall’anagrafe centralizzata, in modo da dare ai decisori preziosi elementi di valutazione. Per l’approfondimento delle schede di morte c’è l’Istituto Superiore di Sanità. Questo, comunque, è un virus per vecchi. I dati che stanno emergendo circa la mortalità dicono chiaramente che colpisce in maniera molto prevalente persone anziane: è quasi un terribile processo di selezione naturale che elimina i soggetti deboli. Terribile. Ma ancor più terribile perché appare in qualche modo facilitato dalla nostra capacità di curarli. La chiamo “la maledizione degli anni pari”. Il 2019, come tutti gli anni dispari, ha visto una regressione dei decessi. L’anno pari inizia bene, ma poi arriva marzo, con un virus che falcia coloro che la morte aveva risparmiato.
Dal 21 febbraio al 31 marzo sono morte 12.428 persone per Covid-19. Quanti sono i morti di influenza nel mese di marzo (nel quale, quest’anno, si sono concentrati i decessi di coronavirus) degli anni scorsi? Più che i morti per influenza, che è più difficile da attribuire come effettiva causa di morte, conviene ricordare i dati sui certificati di morte per malattie respiratorie. Nel marzo 2019 sono state 15.189 e l’anno prima erano state 16.220. Incidentalmente si rileva che sono più del corrispondente numero di decessi per Covid (12.352) dichiarati nel marzo 2020. Quale impatto economico stimiamo per il lockdown? Stiamo valutandolo. I dati economici relativi ai settori che hanno subito la sospensione delle attività mostrano come il lockdown coinvolga 2,2 milioni di imprese (il 48,8% del totale), oltre 7 milioni di addetti (il 42,8%), con un valore aggiunto annuo di poco meno di 300 miliardi. È ancora presto per definire scenari, anche se c’è poco da stare allegri, visto che, come abbiamo comunicato in questi giorni, l’epidemia Covid-19 è intervenuta in un momento in cui in Italia la fase di ripresa ciclica perdeva vigore, per via della Brexit, dei dazi statunitensi e del rallentamento della domanda tedesca.
(Gian Carlo Blangiardo, dichiarazioni rilasciate a Paolo Viana per l’intervista “Nel 2019 a marzo 15mila morti per polmoniti varie”, pubblicata da “Avvenire” il 2 aprile 2020. Blangiardo è il presidente dell’Istat, istituto nazionale di statistica).
FONTE:https://www.libreidee.org/2020/04/listat-nel-marzo-2019-morti-di-polmonite-15-000-italiani/
L’uso militare nascosto della tecnologia 5G
Manlio Dinucci-10 12 2019 RILETTURA
L’Arte della guerra. Le implicazioni militari del 5G sono quasi del tutto ignorate poiché anche i critici di tale tecnologia, compresi diversi scienziati, concentrano la loro attenzione sugli effetti nocivi per la salute e l’ambiente a causa dell’esposizione a campi elettromagnetici a bassa frequenza. Impegno questo della massima importanza, che deve però essere unito a quello contro l’uso militare di tale tecnologia, finanziato indirettamente dai comuni utenti
Al Summit di Londra i 29 paesi della Nato si sono impegnati a «garantire la sicurezza delle nostre comunicazioni, incluso il 5G».
Perché questa tecnologia di quinta generazione della trasmissione mobile di dati è così importante per la Nato?
Mentre le tecnologie precedenti erano finalizzate a realizzare smartphone sempre più avanzati, il 5G è concepito non solo per migliorare le loro prestazioni, ma principalmente per collegare sistemi digitali che hanno bisogno di enormi quantità di dati per funzionare in modo automatico.
Le più importanti applicazioni del 5G saranno realizzate non in campo civile ma in campo militare.
Quali siano le possibilità offerte da questa nuova tecnologia lo spiega il rapporto Defense Applications of 5G Network Technology, pubblicato dal Defense Science Board, comitato federale che fornisce consulenza scientifica al Pentagono: «L’emergente tecnologia 5G, commercialmente disponibile, offre al Dipartimento della Difesa l’opportunità di usufruire a costi minori dei benefici di tale sistema per le proprie esigenze operative».
In altre parole, la rete commerciale del 5G, realizzata da società private, sarà usata dalle forze armate statunitensi con una spesa molto più bassa di quella che sarebbe necessaria se la rete fosse realizzata unicamente a scopo militare.
Gli esperti militari prevedono che il 5G avrà un ruolo determinante nell’uso delle armi ipersoniche: missili, armati anche di testate nucleari, che viaggiano a velocità superiore a Mach 5 (5 volte la velocità del suono). Per guidarli su traiettorie variabili, cambiando rotta in una frazione di secondo per sfuggire ai missili intercettori, occorre raccogliere, elaborare e trasmettere enormi quantità di dati in tempi rapidissimi. Lo stesso è necessario per attivate le difese in caso di attacco con tali armi: non essendoci il tempo per prendere una decisione, l’unica possibilità è quella di affidarsi a sistemi automatici 5G.
La nuova tecnologia avrà un ruolo chiave anche nella battle network (rete di battaglia). Essendo in grado di collegare contemporaneamente in un’area circoscritta milioni di apparecchiature ricetrasmittenti, essa permetterà ai reparti e ai singoli militari di trasmettere l’uno all’altro, praticamente in tempo reale, carte, foto e altre informazioni sull’operazione in corso.
Estremamente importante sarà il 5G anche per i servizi segreti e le forze speciali. Renderà possibili sistemi di controllo e spionaggio molto più efficaci di quelli attuali. Accrescerà la letalità dei droni-killer e dei robot da guerra, dando loro la capacità di individuare, seguire e colpire determinate persone in base al riconoscimento facciale e altre caratteristiche.
La rete 5G, essendo uno strumento di guerra ad alta tecnologia, diverrà automaticamente anche bersaglio di ciberattacchi e azioni belliche effettuate con armi di nuova generazione. Oltre che dagli Stati uniti, tale tecnologia viene sviluppata dalla Cina e altri paesi.
Il contenzioso internazionale sul 5G non è quindi solo commerciale. Le implicazioni militari del 5G sono quasi del tutto ignorate poiché anche i critici di tale tecnologia, compresi diversi scienziati, concentrano la loro attenzione sugli effetti nocivi per la salute e l’ambiente a causa dell’esposizione a campi elettromagnetici a bassa frequenza. Impegno questo della massima importanza, che deve però essere unito a quello contro l’uso militare di tale tecnologia, finanziato indirettamente dai comuni utenti.
Una delle maggiori attrattive, che favorirà la diffusione degli smartphone 5G, sarà quella di poter partecipare, pagando un abbonamento, a war games di impressionante realismo in streaming con giocatori di tutto il mondo.
In tal modo, senza rendersene conto, i giocatori finanzieranno la preparazione della guerra, quella reale.
FONTE:https://ilmanifesto.it/luso-militare-nascosto-della-tecnologia-5g/?fbclid=IwAR2bIK49z7WUzJSP7mFox_B5CiFvzHN54wB6s9ji6Q67qqQ_0DWJX1jh5oE
PSICOPOLIZIA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS!
6 aprile 2020
«L’ignoranza è forza, la libertà è schiavitù”: ecco i dogmi del bispensiero orwelliano all’opera in Italia. Evocare Godot, il teatro di Ionesco, è davvero poco assai nella stagione della demenzialità sociale e della stupidità istituzionale. Chissà cosa avrebbe detto il maestro Andrea Camilleri di questo regime italopiteco in onda senza interruzioni pubblicitarie. Dalla paura iniettata a piene mani dai televirologi domenicali alla Burioni (bocciato agli esami a cattedra in 3 università, in compenso pompato dai mass media telecomandati), al panico alimentato dal governo italidiota del Conte bis, dalla strategia coercitiva del trattamento sanitario obbligatorio per grandi e piccini, oltre i 14 giorni d incubazione del virus a corona che hanno scontato abbondantemente la quarantena (scaduta il 24 marzo 2020, in base al regolamento sanitario internazionale), al quasi obbligo di portare sempre le mascherine di Carnevale. Insomma, un delirio collettivo di portata internazionale.
Il problema sono i runner che corrono liberamente e in giro potrebbero vedere o filmare qualcosa che non si deve sapere, oppure le donne straniere ancora e sempre costrette a prostituirsi ai margini delle periferie urbane?
In Italia, ormai dal 2020 è praticamente vietato intrattenere rapporti sessuali al chiaro di luna o alla luce del sole, a meno che le donne non siano sfruttate abitualmente dalle organizzazioni criminali legalmente riconosciute, anche senza formale decreto grulpiddino. E poi le autorità di ogni ordine e grado si lamentano del calo demografico nel belpaese. Poveri ragazzi che si sono trovati questi Militi Fedeli nei Secoli armati di tutto punto che come dei simil rambo della domenica, che invece di dare la caccia ai latitanti mafiosi, setacciano la campagna alla ricerca di coppiette intente ad amarsi. Ecco come si usano le forze dell’ordine nello Stivale, dove lo spietato agente virale scarcera oltre 6 mila delinquenti, ma al contempo imprigiona grandi e piccini a tempo indeterminato. Eppure, a Gioia Tauro, in Calabria, si continuano a scaricare tonnellate di cocaina come sempre, dai tempi di Lucky Luciano.
E che dire di quella coppia in centro a Rimini denunciata – reato demenziale ora depenalizzato col nuovo decreto, ma la multa pecuniaria è rimasta,solo perché usciti per recarsi in farmacia a comprare profilattici? Tre mesi di galera era la pena prevista.
Privacy e sicurezza, come gestire i dati nell’app per il tracciamento dei contatti
Il ministero dell’Innovazione sta per presentare al governo i risultati della sua selezione: ecco come dovrebbe funzionare e chi dovrebbe tutelare l’applicazione
Il modello europeo
Mettiamo da parte gli esempi di Cina e anche Corea del Sud che in queste settimane abbiamo studiato alla ricerca di un modello. L’Italia, l’Europa intera, ha adesso la contezza necessaria per creare il suo modello, nel rispetto delle sue regole sulla privacy e dei suoi valori. L’esperto di Big Data e professore emerito di fisica del Politecnico di Torino Mario Rasetti si è detto preoccupato del fatto che il dibattito «ci spinga verso la mancata preoccupazione della tutela della riservatezza» con la stessa convinzione con cui ha spiegato «l’importanza di mettere insieme dati sui malati e abbinarli con dati di provenienza diversa per costruire algoritmi predittivi sull’andamento e la localizzazione dei contagi».
I dati
L’app con cui (forse) lo faremo è solo la punta dell’iceberg. Il tappo del barattolo: dentro ci sono i dati. Dobbiamo capire come raccoglierli ed elaborarli. Ci sono governi, come quello francese, che se ne occupano anche in tempo di pace. Il ministero per l’Innovazione ha messo in piedi una task force «monstre» per capire come farlo in tempo di guerra (sanitaria). Non era prioritario nell’emergenza, ma utile lo è e lo diventerà in un «dopo» che non è solo un post lockdown o un post Covid-19. È un dopo che investe una quota di futuro più ampia. Occorre prepararsi, dicono gli esperti. Come? Distinguendo fra l’uso di dati anonimi e aggregati e quello dei dati personali e in grado di identificare gli individui e i loro spostamenti. I primi sono già stati messi a disposizione dagli operatori di telecomunicazioni o da piattaforme come Facebook o Google: si continui a vigilare sul loro ruolo. Con un’applicazione ad hoc si possono invece raccogliere i dati dei singoli e dei loro incontri. Discorso diverso è quello dello sfruttamento di telecamere di sorveglianza o acquisti tramite Pos o carta di credito: vorrebbe dire attivare una sorveglianza da considerare nei termini della proporzionalità richiesta dal Garante per la privacy.
PER APPROFONDIRE
- Lo speciale di Corriere Salute: la parola alla scienza per spiegare Covid-19
- La mappa del contagio nel mondo: ecco come si sta diffondendo il virus
- La mappa del contagio in Italia: regione per regione e provincia per provincia
- I grafici sull’andamento giornaliero dei casi positivi in Italia
- I dati della Lombardia Comune per Comune
- Come si legge il bollettino della Protezione civile
- Tutti i bollettini della Protezione civile
L’app
Come dev’essere l’app? L’adesione in Lombardia di più di mezzo milione di persone dice che si può provare a proporre il download volontario, anche se il 60% di adesioni fissato da Oxford rasenta l’utopia. Una funzione utile è quella dell’autodiagnosi, per dire alle persone come comportarsi nel caso in cui compaiano i sintomi. Chi contattare (nodo da sciogliere offline) e come, sfruttando l’app per stare in contatto con i medici. Quindi c’è il tema del tracciamento dei contatti: se sarà applicato dovrebbe essere relativo agli incroci fra le persone sfruttando tecnologie che «anonimizzino» e criptino i dati. Il Bluetooth pare favorito sul Gps, anche per l’iniziativa Pan-European Privacy Preserving Proximity Tracing e per Privacy International. Quando usciremo, l’app potrà salvare una lista di codici corrispondenti a chi abbiamo incontrato e che, in caso di successiva positività, andrà avvisato con la notifica. I punti da chiarire Restano punti da chiarire: quanti dati vengono elaborati sul dispositivo e quanti, invece, vengono gestiti centralmente; dove i dati vengono conservati, in che forma e chi vi ha accesso. E soprattutto: per quanto tempo. E a quale fine scientifico preciso. Deve essere chiarito al cittadino cosa può condividere ed eliminare in autonomia e va adeguata la cyber-sicurezza. Oltre che ponderato il ruolo dell’app: cosa può decidere? Può imporre la quarantena? Può verificare che venga rispettata? Diventerà una «patente» per poter circolare? Come ha spiegato il project manager della berlinese AlgorithmWatch Fabio Chiusi, «i cittadini devono essere in grado di presentare ricorso contro qualsiasi decisione presa da un sistema automatizzato».
L’usabilità
Poi c’è l’usabilità. Qualunque sarà la app, va pensata per tutti. I deboli, gli anziani che non possono farsi aiutare dai figli e dai nipoti, le persone con disabilità, quelle che vivono in aree con una scarsa connettività. Nessuno deve rimanere tagliato fuori e tutti devono avere il controllo delle loro informazioni. E delle loro vite. È per questo che stiamo lottando, in fondo.
FONTE:https://www.corriere.it/tecnologia/20_aprile_07/privacy-sicurezza-come-gestire-dati-nell-app-il-tracciamento-contatti-55ea1c04-7890-11ea-ab65-4f14b5300fbb.shtml
Coronavirus, come il deep web sfrutta le catastrofi
Merci contraffatte, vaccini falsi, frodi finanziarie. In tempo di crisi i criminali informatici tessono la rete nell’oscurità del web
I criminali amano il buio, ma soprattutto amano le crisi. Cercano da bravi venditori di sfruttare la paura ed il panico a loro vantaggio. Quello che sta creando il Coronavirus è l’ambiente ideale per far proliferare le truffe. Non dobbiamo meravigliarci se nelle oscurità del deep web si stiano diffondendo tentativi di frode sia finanziaria sia riguardo la vendita di cure e farmaci contraffatti.
Il data center del Webhose Cyber API relativa alla crisi da COVID-19 riporta i principali esempi di criminalità informatica:
Merci contraffatte. Medici ed ospedali di tutto il mondo stanno segnalando gravissime carenze di attrezzature mediche, partendo dai respiratori, gli indumenti protettivi, i guanti, e le celeberrime mascherine.
I paesi che non hanno ancora raggiunto il picco della diffusione del virus, come gli Stati Uniti, stanno raggiungendo e doppiando quelli che hanno già superato il peggio, come la Corea del Sud. Questo è il momento perfetto per fare il “Big money” con merce di provenienza sconosciuta. Un venditore di nome UKvendorpills247 segnala enormi quantità di camici da laboratorio, dichiarati impermeabili, completamente protettivi e ovviamente anti-coronavirus. Nello stesso post pubblicizzava la vendita di occhiali protettivi ed una termocamera funzionante per la rilevazione della febbre.
Vaccini falsi. Tutta la comunità scientifica internazionale si è mobilita per trovare un vaccino. Gli esperti stimano che passerà almeno un anno prima che un vaccino contro il virus sia disponibile al pubblico.
Fino ad allora i paesi dovranno utilizzare come difesa il distanziamento sociale e le chiusure delle frontiere per impedire la diffusione. Non sorprende quindi trovare vaccini falsi in vendita nei report.
Frodi finanziarie. L’attività preferita dei criminali informatici resta sempre quella dei falsi enti benefici per raccogliere fondi, per poi appropriarsi delle donazioni. Tutte le catastrofi sono state vittime di questo sciacallaggio. Per arginare l’aumento delle truffe legate al COVID-19, negli Stati Uniti la Cyber Infrastructure Agency (CISA) ha diffuso un’informativa al pubblico volta a prestare attenzione quando si ricevono comunicazioni online relative al virus, che prevedono apertura di mail, di allegati o di un semplice link di collegamento.
Ora che le persone lavorano da casa, il che le rende maggiormente esposte, sono stati segnalati molti siti web e forum che trattano di Coronavirus ma che nascondono al loro interno caratteristiche potenzialmente dannose per l’utente.
Durante una crisi di questa portata, bisogna essere vigili e consapevoli, perché i criminali informatici sguazzano nelle nostre insicurezze. Sono indispensabili soluzioni informatiche per le organizzazioni di sicurezza come le forze dell’ordine, al fine di mitigare i danni causati da queste attività. Monitorare costantemente il deep web consente di individuare prontamente le condotte fraudolente così da poter comunicare al pubblico per proteggerlo.
FONTE:https://www.infosec.news/2020/04/07/speciale-coronavirus/coronavirus-come-il-deep-web-sfrutta-le-catastrofi/
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
Quando Grillo diceva: “Odio l’Europa. Abbiamo delegato la nostra vita a dei malati mentali”
NEWS, POLITICAmartedì, 31, dicembre, 2019
VIDEO QUI:https://twitter.com/i/status/1212054426678153217
“io odio profondamente l’Europa perché è disgustosa…..abbiamo delegato la nostra vita a dei malati mentali ”
Bei tempi Beppe…
FONTE:http://www.imolaoggi.it/2019/12/31/quando-grillo-diceva-odio-leuropa-abbiamo-delegato-la-nostra-vita-a-dei-malati-mentali/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Virus informatici, tamponi porta a porta e finti farmaci: tutte le truffe sul Coronavirus
16 MARZO 2020
Mail, telefonate, social e truffatori porta a porta. sono tanti e diversi i tentativi di estorsioni legati alla diffusione della malattia. occhio ai finti vaccini e agli allegati dei messaggi
1 “Posso uscire?”, “Posso fare la spesa?”: tutto ciò che possiamo fare nell’ Italia del Coronavirus 2 Coronavirus, primi due decessi nel ravennate: e i nuovi infetti sono 14 3 Falsa autocertificazione, “Sto andando a un colloquio”: ma era alla guida ubriaco 4 Supermercati aperti solo per i prodotti autorizzati, stabilimenti balneari chiusi: nuova ordinanza Video del giorno Il tuo browser non può riprodurre il video. Devi disattivare ad-block per riprodurre il video. Spot Il video non può essere riprodotto: riprova più tardi. Attendi solo un istante , dopo che avrai attivato javascript . . . Forse potrebbe interessarti , dopo che avrai attivato javascript . . . Devi attivare javascript per riprodurre il video. Approfondimenti Due donne tentano di spacciare finti prodotti contro il virus: tre tentativi di truffa 7 marzo 2020 Coronavirus, la bufala corre via Whatsapp: “Si cura con la vitamina C” 11 marzo 2020 Coronavirus, nuova bufala via Whatsapp: “Disinfestazione notturna fatta con elicotteri” 12 marzo 2020 Farmaci “anticoronavirus” al telefono: truffatori in agguato 12 marzo 2020 Mentre ogni cittadino e ogni famiglia cerca di fare del proprio meglio restando a casa per evitare che il contagio da Coronavirus continui a diffondersi, c’ è chi invece cerca di approfittarsi di questo momento di difficoltà per truffare gli altri. Non bastavano le molteplici bufale diffuse sui vari social (da quella della vitamina C alle disinfestazioni notturne ): sono arrivati anche gli sciacalli con vari tentativi di estorisione. Un altro tipo di “virus”, quello delle truffe, che ora approfitta di questo lungo periodo di fragilità e isolamento per svuotare le tasche degli ignari cittadini. Social, mail, telefonate e finti medici che si presentano a casa: le truffe al tempo del Coronavirus non perdono la creatività e hanno già messo in difficoltà tante persone anche nella provincia di Ravenna, dove già si sono registate varie segnalazioni. Ma quali sono le truffe e gli inganni più diffusi durante l’ emergenza Coronavirus? Farmaci anti-Coronavirus – Molti anziani di Ravenna hanno ricevuto una telefonata durante la quale una voce femminile spiegava di essere stata incaricata da un’ azienda farmaceutica a proporre un farmaco speciale contro il Coronavirus . I truffatori, poi, si offrivano di recarsi presso l’ abitazione della vittima per portare il farmaco. E’ bene ricordare che a oggi non ci sono cure definite, né un vaccino contro il virus. Ossigenatore antivirus – Il Codacons ha posto all’ attenzione delle forze dell’ ordine la vendita di un ossigenatore pubblicizzato sul come “kit di prevenzione” per contrastare il Covid-19, del valore di 995,70 euro. Tamponi porta a porta – Non potevano mancare le truffe porta a porta, con finti medici che grazie alla scusa di finti tamponi tentano di introdursi nelle case degli anziani per commettere furti o chiedere denaro. Multata perchè senza mascherina – Segnalato anche un inganno portato a termine da finti agenti di Polizia che, senza mostrare alcun tesserino, hanno multato una donna che aveva la colpa di non indossare la mascherina. Non portare la mascherina, però, non è assolutamente reato. La mail della “dottoressa Marchetti” – Tra le frodi informatiche compare anche la e-mail firmata dalla sedicente dottoressa Penelope Marchetti, presunta “esperta” dell’ Oms in Italia. Il messaggio chiede poi agli autenti di aprire un allegato infetto, contenente presunte precauzioni per evitare l’ infezione da Coronavirus. Questa, come molte altre truffe via posta elettronica, mirano a lanciare un virus informatico (malware) che cerca di carpire i dati sensibili degli utenti. Vaccino antivirus vendesi – Avviene via telefono la truffa del vaccino contro il Coronavirus. In queste telefonate al malcapitato viene chiesto di dare un contributo (di circa 50 euro) per poter ricevere un vaccino efficace per il Covid-19 direttamente a casa. Il centro medico giapponese – E’ stato segnalato dal Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche (Cnaipic), organo della polizia postale, la campagna di e-mail di un falso centro medico e redatte in lingua giapponese che, con il pretesto di dare aggiornamenti sulla diffusione del Coronavirus, invitava ad aprire un allegato infetto per impossessarsi delle credenziali bancarie e dei dati personali della vittima. Guida per difendersi dal Coronavirus – Ha raggiunto un grande numero di persone la “Guida utile per difendersi dal Coronavirus”, una mail con un fle pdf allegato contenente consigli e misure di sicurezza. La mail però non è stata duffusa dalle autorità, e questo finto comunicato porta al suo interno un virus che, una volta scaricato, è in grado di rubare tutti i dati dell’ utente. Questa truffa si è diffusa, con alcune varianti, sia attraverso le e-mail che tramite WhatsApp o Messenger. Il tuo browser non può riprodurre il video. Devi disattivare ad-block per riprodurre il video. Spot Il video non può essere riprodotto: riprova più tardi. Attendi solo un istante , dopo che avrai attivato javascript . . . Forse potrebbe interessarti , dopo che avrai attivato javascript . . . Devi attivare javascript per riprodurre il video. Soprattutto in questo momento si sa che prevenire è meglio che curare . Così in seguito alla raccolta fondi per l’ ospedale di Ravenna anche la Direzione aziendale dell’ Ausl Romagna aveva rivolto ai cittadini un invito a stare attenti alle false raccolte fondi. L’ azienda sanitaria locale ha precisato di non aver mai inviato persone al domicilio per richiedere donazioni e ha invitato a diffidare di altri soggetti che, anche online, sostengono di raccogliere denaro a favore degli ospedali per il Coronavirus.
FONTE:https://codacons.it/virus-informatici-tamponi-porta-a-porta-e-finti-farmaci-tutte-le-truffe-sul-coronavirus/
BELPAESE DA SALVARE
“Senza Mes, disordini sociali in Italia”: l’analisi impietosa della banca tedesca
Le indiscrezioni stampa dei giorni scorsi trovano conferma: Commerzbank invita indirettamente gli investitori a liberarsi dei titoli italiani per via dei contraccolpi che la crisi del coronavirus avrà sulla nostra economia. Il 17% del suo capitale è detenuto dal governo di Berlino
Dario Prestigiacomo – 04 aprile 2020
Se l’Italia non richiederà l’attivazione del Mes, si ritroverà dopo l’estate con le casse vuote e disordini sociali. Mentre i buoni del Tesoro perderanno valore. E’ questo il quadro che sembra dipingere il rapporto della Commerzbank, la seconda banca di Germania, le cui azioni sono detenute per il 17% dallo Stato tedesco. Un rapporto le cui anticipazioni avevano già sollevato un vespaio di polemiche in Italia. Perché il corollario del ragionamento dei tecnici tedeschi è che i Btp tricolore potrebbero diventare ‘spazzatura’ e, chi li possiede, farebbe bene a liberarsene.
Una “scorrettezza” secondo la definizione meno caustica circolata tra le forze politiche italiane. Già, perché Commerzbank non è certo una banca qualunque, visti i legami stretti con il governo tedesco, e la Germania è quella che detiene la fetta più grande dei 700 miliardi di euro di Btp italiani in mano a stranieri (di cui 9,3 miliardi in mano proprio alla Commerzbank). Ai più critici con Berlino, il rapporto è sembrato un’arma di ricatto per portare verso più miti consigli il nostro governo, che continua a opporsi all’attivazione del Mes e che, al contrario, chiede la creazione degli eurobond invisi ai falchi tedeschi.
Dell’ipotesi sugli eurobond non sembra esservi traccia nel rapporto pubblicato il 4 aprile. Secondo Commerzbank, scrive l’Agi, “l’azione della Bce con il suo programma di acquisto titoli (Pandemic Emergency Purchase Programme, Pepp) non è sufficiente a tenere sotto controllo lo spread italiano e dei paesi Periferici dell’Eurozona”. Dopo due giorni di acquisti iniziati giovedi’ scorso, la Bce ha speso 15,6 miliardi di euro. Continuando cosi’ i 750 miliardi di euro messi in campo dall’Eurotower dureranno solo per l’estate con lo spread che in Italia continua ad allargarsi. Con il rating sul debito e i rischi socio-politici destinati a diventare sempre più pressanti, gli investitori si chiedono se l’Italia puo’ farcela da sola. Anche se gli acquisti della Bce riuscissero a coprire il nuovo debito emesso durante la crisi, non basterebbero a sostituire quello già esistente.
Commerzbank ricorda come abbia già chiuso le posizioni lunghe sui Btp in vista di un’eventuale declassamento dell’Italia da parte delle agenzie di rating e spiega come potrebbe aggiornare ancora il rischio sull’Italia dopo le decisioni nel lungo termine dell’Ue. Secondo Commerzabank infatti il rapporto debito/Pil nel 2020 dovrebbe balzare al 150% per poi scendere al 145% nel 2021. Questo tuttavia potrebbe non bastare per evitare un declassamento da parte delle agenzie di rating, spiega Commerzbank con perdita dell’investment grade quasi inevitabile.
Inoltre, l’Italia difficilmente “potrà fare appello alla benevolenza”, alla luce del peggioramento fiscale degli ultimi anni, fattore chiave che ha dato luogo al declassamento dell’Italia nel 2018. In altre parole, per Commerzbank sarà difficile che Germania e Olanda cedano alle richieste del nostro governo su misure come i coronabond, meno rischiosi per noi anche da un punto di vista politico. L’unica strada che la banca tedesca vede praticabile è quella che porta al Mes. Ma anche qualora l’Italia la imboccasse, il rischio è di mettere a repentaglio la stabilità politica, “vista la impopolarità dell’idea di richiedere strumenti di aiuto europei anche con una condizionalità leggera”, scrive l’Agi.
FONTE:https://europa.today.it/lavoro/mes-disordini-sociali-italia.html
Coronavirus, Oms accusata dal Wall Street Journal: “Ha aiutato la Cina a coprire le informazioni”
Dagli Stati Uniti arriva il fuoco contro l’Organizzazione mondiale della sanità, al punto che un senatore ha chiesto un’indagine del Congresso sui presunti aiuti ricevuti dalla Cina per coprire le informazioni riguardanti dal coronavirus. Inoltre è stata avanzata un’istanza per sospendere i finanziamenti all’Oms, seguita da un editoriale durissimo del Wall Street Jornal. “”La pandemia di coronavirus offrirà molte lezioni su cosa fare meglio per salvare più vite e fare meno danni economici la prossima volta. Ma una cosa è già certa – si legge sul Wsj – per far sì che le future pandemie siano meno letali bisogna riformare l’Oms”.
In particolare la stampa americana punta il dito contro “il marciume all’Oms” e “la ‘combutta’ con Pechino”. Il coronavirus è nato in Cina, a Wuhan, in autunno e ha poi accelerato nel mese di dicembre, eppure l’agenzia dell’Onu non ha dichiarato l’emergenza sanitaria globale prima del 30 gennaio, perdendo tanto tempo prezioso.
Il Wsj ha ricostruito tutte le incongruenze che alimentano la tesi secondo cui l’Oms non ha agito correttamente: “I laboratori cinesi avevano sequenziato il genoma del coronavirus entro la fine di dicembre, ma i funzionari cinesi hanno ordinato di distruggere i campioni e non pubblicare le loro ricerche”.
FONTE:https://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/21818845/coronavirus_oms_marciume_combutta_cina_accusa_wsj_informazioni_coperte.html
L’Istat: “A marzo 2017 oltre 15 mila morti per malattie respiratorie. Lavoriamo per stanare parte sommersa di Covid-19”
Il presidente: “Temo effetto Chernobyl sulle nascite”
“I dati sui certificati di morte per malattie respiratorie” mostrano che “nel marzo 2017 sono state 15.189 e l’anno prima erano state 16.220. Incidentalmente si rileva che sono più del corrispondente numero di decessi per Covid (12.352) dichiarati nel marzo 2020″. A dirlo il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo in un’intervista ad Avvenire in cui spiega che l’istituto sta collaborando con il ministero della Salute “per costruire indagini sul campo che ci aiutino a vedere la parte sommersa dell’iceberg Covid”, cioè gli asintomatici e i paucisintomatici.
“Stiamo costruendo l’indagine, ma la procedura sarà diversa da quella tradizionale”, spiega. “Si tratterà di cogliere un campione molto ampio e rappresentativo della popolazione italiana, che sarà analizzato con procedure sanitarie: tamponi, esami del sangue. Cercheremo di capire anche il cosiddetto effetto gregge”.
La Covid-19 “colpisce in maniera molto prevalente persone anziane: è quasi un terribile processo di selezione naturale che elimina i soggetti deboli”, afferma Biangiardo, secondo cui ”è ancor più terribile perché appare in qualche modo facilitato dalla nostra capacità di curarli. La chiamo la maledizione degli anni pari. Il 2019, come tutti gli anni dispari, ha visto una regressione dei decessi. L’anno pari inizia bene, ma poi arriva marzo, con un virus che falcia coloro che la morte aveva risparmiato”.
Blangiardo dichiara di temere “un effetto Chernobyl, una preoccupazione che disincentiva la natalità. Ma qui parla il demografo, non il presidente dell’Istat, perché dati statistici ancora non ce ne sono”, dichiara.
Tra le principali malattie del gruppo delle respiratorie vi sono, oltre alla polmonite, l’influenza, l’insufficienza respiratoria, le malattie croniche delle basse vie respiratorie (quali asma, bronchite cronica, broncopatia cronica ostruttiva, enfisema), sottolinea l’Istat.
FONTE:https://www.huffingtonpost.it/entry/istat-a-marzo-2019-15mila-morti-per-polmoniti-piu-del-covid-19-lavoriamo-per-stanare-parte-sommersa_it_5e85a8adc5b60bbd734f7d34
CONFLITTI GEOPOLITICI
Nessuna condanna per terrorismo e “guerre sante”
L’allarme Coronavirus a livello mondiale rischia di far perdere di vista altre emergenze da tempo latenti in aree geopoliticamente critiche, come quella islamica. Pericolo viceversa rilanciato dalle cronache dei giorni scorsi, riportando purtroppo tutti alla triste realtà, come dimostra, ad esempio, il discorso tenuto pubblicamente a Istanbul lo scorso 8 marzo dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
(Mauro Faverzani) In esso ha chiarito come la crisi di migranti, scatenata al confine con la Grecia poco prima che la pandemia prendesse piede, fosse da intendersi come un atto ostile nei confronti dell’Europa, anzi una sorta di “guerra santa” islamica e, quindi, anche un tentativo di ristabilire l’impero ottomano e non semplicemente, come dichiarato all’inizio, una forma passiva di pressione su Nato ed Unione Europea per una redistribuzione dei rifugiati in fuga dalla Siria. «Questa tempesta, che sta scoppiando, è l’orda turca, o Signore! Conduci alla vittoria, perché questo è l’ultimo esercito islamico. Sì, questa tempesta, che si scatena, è il nostro esercito! Allah lo sostiene assieme alle preghiere di milioni di nostri amici. Questa tempesta è il cuore della nostra nazione. Tutti vedono e vedranno di cosa sia capace» ha, tra l’altro, dichiarato Erdogan. Parole, dunque, ben più minacciose della richiesta di una sorta di “corridoio umanitario” internazionale. Erdogan ha, tra l’altro, iniziato – non a caso – il suo intervento, citando una poesia di Yahya Kemal Beyath dal titolo 26 agosto 1922, con riferimento al giorno in cui la «Grande Offensiva», scatenata nel quadro della guerra d’indipendenza turca, schiacciò l’esercito greco, sbaragliandolo ed ammazzando o facendo prigioniera la metà dei soldati ellenici.
In effetti, secondo molti osservatori, il ruolo svolto anche nei giorni scorsi dalla Turchia nella crisi con la Grecia sarebbe stato molto più attivo di quanto si sia voluto far credere. L’emittente televisiva bulgara bTV ha accusato il governo di Ankara di aver spostato torme di immigrati al confine, dotandoli di gas lacrimogeni per inscenare la guerriglia, cui il mondo intero ha assistito. Alcuni video mostrerebbero stranieri costretti dai militari a scendere con la forza e sotto la minaccia di armi dagli autobus. Il che conferma l’analisi fatta da alcuni leader politici europei, tra i quali il primo ministro ungherese Viktor Orbán, che ha parlato espressamente di «un’invasione».
Siamo di fronte ad un chiaro segnale, certo, ma non al solo. L’università islamica egiziana d’al-Azhar, una tra le più antiche ed autorevoli al mondo, si è rifiutata di bollare i miliziani dell’Isis come «eretici». Lo ha rivelato un rapporto presentato lo scorso 20 marzo dal Memri-Middle East Media Research Institute. La decisione di astenersi in merito e di non emettere alcuna fatwa dipenderebbe dal fatto di non volersi scontrare con le organizzazioni più estremiste ovvero Isis, Fratelli Musulmani ed altri movimenti analoghi. Secondo il rettore del prestigioso ateneo, Muhammad Ahmad al-Tayyib, «se decidessi che sono eretici, sarei come loro», ha dichiarato, rispondendo alla questione posta da un gruppo di studenti dell’Università del Cairo. Il vicerettore, Abbas Shuman, ha quindi aggiunto: «Per quel che ne so, in tutta la storia di al-Azhar, mai nessuno, persona o movimento, è stato da essa accusato di eresia. Non è questa la missione di al-Azhar». Sei anni fa Abbas Shuman era giunto a dichiarare «terroristiche le azioni dell’Isis» (si noti: le azioni, non coloro che le compiono-NdR), definendole «incompatibili con il buon islam. Il male provocato da quest’organizzazione dev’essere combattuto» (si noti: il male provocato, non l’organizzazione in quanto tale-NdR), anche «col ricorso alla forza», ma – ed ecco la vera conclusione di tutto questo arzigogolato discorso – «i suoi membri non devono mai essere dichiarati eretici».
La laconica posizione espressa da al-Azhar è stata duramente criticata dai media egiziani e percepita come una forma di reticenza nel cooperare alla lotta contro il terrorismo islamico. Secondo quanto scritto dal poeta egiziano Fatma Na’out sul quotidiano al-Masri al-Yawm, sarebbe ora che «al-Azhar si rendesse conto» di avere tra le mani la «bacchetta magica», per seppellire il terrorismo in Egitto e per sconfiggere l’Isis nel mondo: l’emissione di «una fatwa chiara e decisiva, che proclami eretico l’Isis» priverebbe di qualsiasi difesa «questi mostri», ha concluso. Da qui l’invito a non trasformarli in «fratelli nell’islam», che sarebbe «pertanto doveroso aiutare, anche quando pecchino, senza condizioni né riserve, in quanto musulmani».
I media egiziani accusano gli stessi programmi accademici di al-Azhar di promuovere l’estremismo ed il terrorismo. L’ex-ministro della Cultura, Gaber ‘Asfour, ha definito il sistema educativo della celebre università islamica «atrofizzato ed arretrato», stagnante e retrogrado. Tutte accuse respinte dai diretti interessati, che hanno accusato la stampa d’aver scatenato contro di loro una campagna denigratoria e scorretta. Ma le accuse loro rivolte restano. E sono pesanti. Per smontarle, non bastano le chiacchiere, occorrono i fatti. In Turchia come in Egitto ed altrove, ovunque cioè scorra del sangue per mano delle sigle terroristiche islamiche.
FONTE:https://www.corrispondenzaromana.it/nessuna-condanna-per-terrorismo-e-guerre-sante/
CULTURA
Antielogio della follia
La quarantena ha consentito a molti di dedicarsi alla rilettura di grandi classici. Come il capolavoro di Erasmo da Rotterdam
L’isolamento forzato dettato dall’epidemia di coronavirus porta molti di noi a dedicarsi, con maggiore calma e concentrazione del consueto, alla riscoperta dei libri come forma di intrattenimento e di elevazione spirituale. Alcuni di noi riscoprono in particolare i classici, quei libri immortali che non durano lo spazio di una stagione, ma che per la loro profondità e valenza culturale attraversano i secoli e le generazioni.
In una ideale hit parade dei più gettonati, il lettore appassionato di classici – l’equivalente del nerd prima dell’emersione dell’informatica – privilegia su tutti il Decamerone di Boccaccio ed il suo gruppo di gentiluomini e gentildonne isolati dalla peste del Trecento; e poi la storia della peste del 1600 narrata nei Promessi Sposi; e poi ancora, saltando narrativamente in avanti di qualche secolo, vaga con i protagonisti nelle strade di Orano ai tempi della Peste di Albert Camus.
Non di pestilenza, ma della natura dell’uomo parla un altro caposaldo della cultura occidentale: l’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam. Questo saggio satirico, scritto nel giro di una settimana e dedicato all’amico Thomas More, fu composto durante una breve malattia del suo autore, e non era inizialmente diretto ad essere pubblicato. Riscosse invece un successo immediato e strabiliante per lo stesso Erasmo, conquistandogli definitivamente un posto nell’empireo dei pensatori di tutti i tempi.
L’argomento dell’Elogio è piuttosto semplice, ma penetrante: la Follia parla di sé stessa, ricordando di essere stata allevata dall’Ignoranza e dall’Ubriachezza. Durante il suo cammino per il mondo, la Follia è affiancata dai suoi degni compagni, e su tutti dalla Vanità o Philautia; dall’Adulazione o Kolakia; dalla Dimenticanza o Lethe; dall’Accidia o Misoponia; dalla Demenza o Anoia.
Lasciato per un attimo il dito indice tra le pagine del libro, il mio pensiero è andato a tutti quei personaggi del nostro mondo pronti ad essere succubi dell’Adulazione qualunque cosa essi propongano; affetti magari da Misoponia quando ci sia da svolgere compiti per i quali si è stati eletti; o talmente dediti alla promozione di sé stessi qualunque cosa accada, in ossequio alla Philautia, da far sorgere il sospetto di essere guidati dalla Anoia per la qualità delle loro esternazioni.
Forse il buon Erasmo avrebbe dovuto essere letto e meditato da quagli esponenti del governo iberico che, dimentichi della lezione impartita cento anni fa dall’influenza rimasta famosa come “spagnola”, hanno ceduto alla Vanità ed alla Adulazione, lasciando che si svolgessero oceaniche manifestazioni per l’8 marzo. La Follia di quella decisione si è manifestata dopo poco quando il morbo si è violentissimamente diffuso in quel paese che come italiani sentiamo fratello, lasciandoci orripilati a guardare le immagini di decine di pazienti stesi a terra nei corridoi degli ospedali madrileni. Nel momento in cui scriviamo, a distanza di solo due settimane, in Spagna si registrano 131.000 contagiati e quasi 13.000 morti – quasi mille morti al giorno.
E che cosa dovremmo pensare come italiani di chi, pur essendo consapevole di tutto ciò, si è inserito con passo felpato nell’agenda delle notizie nazionali proponendo che per la domenica di Pasqua le chiese siano aperte e che accolgano il loro tradizionale carico di fedeli? Non salta forse immediatamente alla mente l’immagine terribile degli assembramenti spagnoli? E non si manifesta nello stomaco e nel cuore la paura di vedere stesi nei corridoi dei nostri ospedali migliaia di moribondi, ancora con il rosario in mano?
Non siamo certi che l’Elogio della follia rientri tra le letture di chi ha formulato questa proposta. Avendo tuttavia più volte pubblicamente manifestata la propria fede di buon cattolico, siamo certi che conosca il testo del Terzo Segreto di Fatima, secondo il quale si vedrà “un vescovo vestito di bianco, altri vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c’era una grande Croce di tronchi grezzi, come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo, con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino”.
Ecco, forse leggendo queste parole ammonitrici sarebbe il momento di formulare un antielogio della follia, invitando ad una maggiore ponderazione, se non al silenzio. La Demenza in tempi di epidemia conduce a tragici risultati, e rischiare di giocare con la vita del Paese dando ascolto alla Philautia è l’ultima cosa che ci serve.
FONTE:https://www.infosec.news/2020/04/06/speciale-coronavirus/antielogio-della-follia/
Fare indigestione di vento
Giuseppe Selvaggi
Volti della metropoli – 30 03 2020
Fare indigestione di vento. Prendere un caffè al bar con un amico. Il silenzio, non è poi male, oggi somiglia a un respiro profondo come di chi gioca a nascondino. Il silenzio è musica, e la musica, sosteneva Schopenhauer, unisce l’uomo a Dio.
Nella frenesia della moderna quotidianità ho provato a sentire il battito del mio cuore, sono stato per lungo tempo costretto a ignorarlo non riconoscendolo tra i tanti altri suoni. Musica classica, da una finestra del piano inferiore al mio appartamento giunge un suono che spinge i miei pensieri oltre la cortina delle riflessioni ordinarie. Torquato Tasso sosteneva che la musica è una delle tre vie per le quali l’anima ritorna al Cielo.
Cambia il genere musicale, ne sono piacevolmente trasportato, non amo il ballo ma un per me innaturale movimento mi porta ad accennare qualche passo di danza prestando attenzione a non essere visto da occhi giudicanti, Albert Einstein in “Pensieri di un uomo curioso” aveva scritto che : “Tutti danziamo al ritmo di una musica misteriosa, suonata in lontananza da un pifferaio invisibile.”
Ma, quante cose dovrò recuperare, le avversità fanno riscoprire il piacere delle semplici piccole cose. Imparerò a danzare, danzerò anche senza musica, una sabbiosa spiaggia farà da palcoscenico.
FONTE:https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=3208579952487793&id=1198952540117221
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Coronavirus, l’Istituto Superiore di Sanità: “Solo 12 le persone decedute senza patologie pregresse”
Il dato riportato dall’agenzia Nova fornisce una nuova lettura sui contagi
VIDEO QUI:blob:https://video.lastampa.it/40e88e70-0ee4-4649-8655-99de679fc84d
ROMA. Sono «soltanto» 12 le persone morte in Italia dopo esse stati colpiti dal coronavirus che non presentavano patologie pregresse che ne spieghino la fine.
E’ quanto ha chiarito l’Istituto Superiore di Sanità, nel report sulle caratteristiche dei decessi dei pazienti affetti da Covid-19. Lo riporta l’agenzia Nova.
“Io e mio padre affetti da Covid-19, io sono vivo per miracolo e lui è morto. Questo non è un gioco”
VIDEO QUI:blob:https://video.lastampa.it/2bb09ebb-be8b-462f-847a-23d29f8f2e30
Questo dato – specifica sempre l’agenzia – è stato ottenuto su 355 cartelle, rispetto al totale di 2.003 pervenute: il 17,7 per cento del campione complessivo. Il numero medio di patologie osservate in questa popolazione è di 2,7. Complessivamente, 12 pazienti, pari al 3,4 per cento del campione, non presentava alcuna patologia. Sono 84 le vittime (il 23,7 per cento) che presentava una sola patologia; 90 presentavano due patologie (il 25,4 per cento); e ben 169 (il 47,6 per cento) eran affette da tre o più patologie.
Perché in Italia la mortalità da coronavirus è così alta e le malattie letali per chi contrae il virus
VIDEO QUI:blob:https://video.lastampa.it/a69738bb-34c9-454b-b1b2-b725f2741b8c
Il dato può contribuire a dare una nuova lettura all’aggressività del virus, mentre il governa rinnova in ogni caso l’appello a non abbassare la guardia.
FONTE:https://www.lastampa.it/cronaca/2020/03/18/news/coronavirus-l-istituto-superiore-di-sanita-solo-12-le-persone-decedute-senza-patologie-pregresse-1.38605276
Coronavirus: in Cina stanno cremando migliaia di corpi? Ecco una possibile risposta
Coronavirus: natura, incidente o arma?
19 marzo 2020 – di Mirko Molteni
“Anche quando sono molto inefficaci, con pochi morti, come nel caso delle lettere all’antrace negli USA, le armi biologiche sono considerabili come armi di ‘rottura’ di massa poichè possono gettare un’intera nazione nel caos. Le armi biologiche influenzeranno molti aspetti della nostra vita di routine, mandandoli fuori schema. Porteranno il terrorismo sulla soglia di casa di ognuno di noi”. Così scriveva nel 2004 l’ufficiale indiano Sharad S. Chauhan nell’introduzione del suo libro “Biological Weapons”, tracciando un affresco che parrebbe realizzarsi oggi, sebbene il virus SARS-CoV-2, meglio noto al pubblico col nome della malattia, Covid-19, venga considerato dai più di origine naturale. E vogliamo comunque pensare che lo sia, anche perchè, storicamente, dalla Cina e in genere dall’Asia, si sono sempre diffuse pandemie che hanno raggiunto l’Europa per via di terra o di mare. E’ chiaro però che in sede di riflessioni geopolitiche non ci si può esimere perlomeno dal rilevare alcuni fatti quantomeno curiosi, lasciando il beneficio del dubbio. E del mistero.
Non è facile tracciare una, peraltro parziale, interpretazione dell’attuale pandemia di virus Covid-19 dal punto di vista dei suoi possibili aspetti strategici e militari. Le informazioni liberamente disponibili possono spesso essere intossicate dalle cosiddette “fake news”, o come preferiremmo dire noi “fandonie”, e da ipotesi complottistiche di ogni tipo.
Per ora l’unica certezza assodata è che lo sconvolgimento causato sugli assetti economici mondiali rischia di essere molto duraturo, e forse di mettere pesantemente in discussione il processo di globalizzazione degli ultimi trent’anni, che ha avuto uno dei suoi epicentri proprio nel delegare alla Cina la funzione di “manifattura universale”, attirandovi per decenni investimenti stranieri e delocalizzazioni produttive di ogni risma.
L’emergenza è reale, forse più ancora nelle sue ricadute psicologiche in economia, che nella pur drammatica mortalità, la quale, per fortuna, non è per il momento paragonabile a quella delle grandi pandemie dei secoli passati.
La Peste Nera del XIV secolo uccise nella sola Europa un terzo degli abitanti in appena tre anni, dal 1347 al 1350, mietendo secondo le stime degli storici 25 milioni di morti su un totale di circa 75 milioni di persone che allora vivevano nel nostro continente.
Bilancio terribile fu anche quello, in tempi più recenti, della celebre influenza Spagnola, quella che furoreggiò dal 1918 al 1920, segnando gli ultimi mesi della Prima Guerra Mondiale e i primi mesi del caotico dopoguerra, e che prese il nome non dalla sua origine, in realtà localizzata negli Stati Uniti, ma dal semplice fatto che a darne notizia per prima fu la stampa della Spagna neutrale, non soggetta a censura bellica.
Nel caso della spagnola, che essendo dovuta a un virus influenzale è simile nelle modalità di trasmissione all’odierna epidemia, i morti furono almeno 50 milioni in tutto il mondo, di cui 600.000 in Italia (pari suppergiù al numero dei militari caduti al fronte!), anche se c’è chi propende per i 100 milioni.
Al momento attuale il Covid-19 sembra avere un decorso tragico in una parte minoritaria, seppur cospicua, dei contagiati e le problematiche più critiche nello specifico dell’Italia sono il congestionamento e il rischio di collasso del sistema sanitario nazionale per carenza di posti letto di terapia intensiva, complici gli scriteriati tagli finanziari alla sanità pubblica susseguitisi negli ultimi anni. La guardia non va però abbassata nemmeno sotto l’aspetto della pura mortalità, perchè il virus, nelle sue infinite replicazioni, potrebbe mutare in forme ancor più aggressive, sebbene gli scenari peggiori restino per il momento un’ipotesi degli specialisti in biochimica.
La Cina indebolita
Dal canto nostro possiamo rilevare che l’emergenza si annuncia prolungata nel tempo, avendo anche gli altri Stati dell’Unione Europea varato misure di blocco della vita socio-economica paragonabili a quelle italiane e, prima ancora, cinesi. Poichè la Cina è stato il paese dove prima di ogni altro il virus si è manifestato, e dove l’arginamento registratosi attorno al 15 marzo del 2020 sembra avere avuto un relativo successo, i dati divulgati il 16 marzo dalle autorità di Pechino circa le conseguenze dell’epidemia nei primi due mesi dell’anno possono già dare una vaga idea dello sconquasso.
A parte i lutti, che comunque non hanno prezzo dati gli aspetti spirituali ed emozionali irriducibili alle catene del livello economico, la Cina, come “sistema”, ha subìto un crollo del 13,5 % della produzione industriale e un calo del 20,5 % della domanda interna, cioè i consumi dei cinesi, mentre gli investimenti sono affondati del 24 %.
Nelle stesse ore la Banca Centrale Cinese ha stabilito un intervento di sostegno da 100 miliardi di yuan, oltre 14 miliardi di dollari, per le banche commerciali del paese in modo da assicurare crediti alle aziende in crisi.
E’ presto per dire che la “locomotiva” del mondo sia deragliata, ma non c’è dubbio che l’epidemia sia calata come una mannaia su una Cina che già aveva chiuso il 2019 all’insegna di svariate preoccupazioni strutturali.
Il 17 gennaio 2020, quando ancora l’epidemia era agli inizi, il responsabile dell’Ufficio Nazionale di Statistica di Pechino, Ning Jizhe, divulgava i dati aggiornati a fine 2019 che davano la popolazione del paese a 1,435 miliardi di persone, lamentando tuttavia il continuo calo delle nascite, indizio di un invecchiamento del paese. Rispetto alla gran massa cinese, nel 2019 sono nati “solo” 14,65 milioni di bambini, pari a un tasso di natalità di 10,48 ogni mille persone.
E’ il terzo anno consecutivo di calo delle nascite, dopo che nel 2017 queste erano calate a 17,23 milioni (tasso del 12,43) rispetto alle 17,86 milioni (tasso 12,95) del 2016. Nel 2018 erano poi scese a 15,23 milioni (tasso 10,94), per poi, appunto calare ancora di 580.000 “culle vuote”. Da quando Mao Zedong fondò la Repubblica Popolare nel 1949, non sono mai nati così “pochi” bambini in Cina come nel 2019, e alla luce degli sconvolgimenti che il Covid-19 si lascerà dietro è presumibile che anche nel 2020 e forse negli anni successivi potrebbe consolidarsi un’ulteriore diminuzione di natalità.
E’ chiaro che gli effetti pratici in fatto di calo della manodopera si avranno fra una ventina d’anni, quando i nuovi nati entreranno nell’età adulta, ma la prospettiva di un invecchiamento della società cinese analogo, fatte le debite proporzioni, a quello dei paesi occidentali spaventa già adesso una classe dirigente, quella di Pechino, che già di per sè tende a fare programmi a lunga scadenza.
L’Ufficio Nazionale di Statistica ha anche lanciato l’allarme sul fatto che il rallentamento demografico si sta abbinando a un rallentamento della crescita del Prodotto Interno Lordo. Il 2019 è stato per la Cina non solo l’anno col più basso tasso di natalità degli ultimi 70 anni, ma anche quello con la crescita del PIL più bassa, il 6,1 % contro il 6,6 % del 2018. Il PIL cinese cresce sempre meno per vari fattori, registrati dagli economisti, come il calo dei consumi interni, indice di una minor fiducia nel futuro, e una stagnazione delle esportazioni, che nel 2019 sono aumentate solo dello 0,5 %, come riflesso del braccio di ferro con l’America sui dazi.
Come se non bastasse, incombe il crescente indebitamento della Cina a tutti i livelli, privato e pubblico, arrivato al 155 % del PIL. Le insolvenze dei debiti societari sono arrivate a 130 miliardi di yuan (18,7 miliardi di dollari) nel 2019, rispetto ai 121,9 miliardi di yuan del 2018, quando c’era stato un balzo rispetto ai soli 26,6 miliardi di yuan del 2017.
E’ quindi su una nazione già in affanno che si è abbattuta la “piaga biblica” del Covid-19, questo microscopico essere che minaccia di affossare quello che avrebbe dovuto essere “il secolo cinese”. Al diretto impatto del virus sul tessuto industriale e commerciale cinese, a causa del blocco totale di gigantesche aree come quella dell’Hubei, ma anche altri distretti nevralgici, vanno aggiunte infatti le conseguenze che potrebbe portare sul commercio internazionale.
Cina a parte, se l’emergenza nel resto del mondo dovesse durare troppo tempo, potrebbero levarsi dubbi crescenti sull’opportunità di proseguire con una globalizzazione spinta.
Già di per sè le epidemie pongono ostacoli alla libera circolazione internazionale delle persone, ma in senso indiretto possono coinvolgere anche le merci e la divisione internazionale del lavoro. Prendiamo ad esempio il problema delle mascherine sanitarie di cui si è registrata carenza in Italia, poichè venivano tutte importate dall’estero, tanto che si è iniziato a invocarne una produzione nazionale, leggi “autarchica”.
Discorso simile lo si potrebbe fare per l’arresto della filiera industriale, specie automobilistica, in molti paesi europei per l’interruzione dell’arrivo di parti meccaniche dall’Asia.
E’ plausibile che, per estensione, e per proteggere i posti di lavoro minacciati dalla nuova crisi, col tempo le nazioni occidentali possano ripensare la delocalizzazione, anche con decisi diktat degli Stati, preferendo aumentare la quota di prodotti fabbricati, o almeno “trasformati”, all’interno dei propri confini, a discapito dei prodotti finiti importati dall’estero, e nello specifico dalla Cina (ma lo stesso discorso, almeno in linea di principio, potrebbe valere anche per il “made in Turkey, Bangladesh, India”, eccetera). La tendenza a ritornare, almeno parzialmente, a fabbricarci in patria molti prodotti finiti, a bassa, ma forse anche ad alta tecnologia, finora demandati al “made in China” potrebbe essere devastante per il Dragone, che proprio sulle esportazioni di massa ha fondato la sua uscita dalla povertà, a partire dai timidi esperimenti avviati da Deng Xiao Ping nel 1979 con le prime Zone Economiche Speciali.
In ogni senso, quindi, la Cina potrebbe essere la nazione che più di tutte paga “dazio”, è il caso di dirlo, al virus, nel senso che gran parte dei danni subiti dalle economie occidentali potrebbero, almeno teoricamente, essere ancora “scaricati” sulla stessa Cina invertendo, a poco a poco, la tendenza a far costruire ai cinesi un mucchio di merci, dai cacciavite ai cellulari, che qualsiasi paese occidentale è in grado di produrre sul suo territorio.
In effetti, il gioco dei cambi valutari fra le varie monete che finora ha reso redditizia la delocalizzazione potrebbe entrare in crisi risentendo delle perturbazioni a cascata a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane, sempre a causa dell’epidemia.
Il concomitante scenario saudita
Le perdite delle maggiori borse, sia in Europa, sia negli Stati Uniti, e il bisogno di liquidità hanno già spinto il 15 marzo la Federal Reserve a ridurre i tassi d’interesse del dollaro fra 0 e 0,25 %, quasi nulla, e a impegnarsi a comprare ben 700 miliardi di dollari in titoli.
Ma poche ore dopo, il 16 marzo, le borse mondiali seguitavano nonostante ciò a perdere terreno, spingendo il Fondo Monetario Internazionale a impegnarsi per 1.000 miliardi di dollari. Una tempesta del genere è aggravata dalla sovrapproduzione di petrolio che a causa della guerra al ribasso fra Russia e Arabia Saudita, non esclusi gli USA che sgomitano con il loro “shale oil”, ha fatto segnare il 16 marzo un record di soli 29 dollari al barile, dopo una continua discesa. Il brusco calo della domanda di greggio a causa dell’arresto dell’economia e dei trasporti, specie quelli aerei, in tutto il mondo rischia di far collassare il mercato dell’oro nero ponendo in difficoltà soprattutto l’Arabia Saudita, che per pareggiare il suo deficit di bilancio ha bisogno di un prezzo di ben 80 dollari al barile, mentre la Russia inizia a “perderci” solo da quando il prezzo scende sotto i 40 dollari.
E ciò senza contare il fatto che l’economia dell’Arabia Saudita è assai poco diversificata, mentre la sua stabilità politica è un’incognita se si considerano i nuovi arresti ordinati dall’uomo forte del paese, il principe ereditario Mohammed Bin Salman, vicepremier e ministro della Difesa. Il 7 marzo 2020 Bin Salman ha fatto arrestare con l’accusa di preparare un colpo di stato tre suoi parenti della famiglia reale, cioè suo fratello principe Ahmed, l’ex-principe ereditario Mohammed Bin Nayaf, che era designato alla successione dell’anziano re Salman fra il 2015 e il 2017, quando fu “scavalcato” dall’ambizioso Bin Salman, e il di lui fratello Nawaf Bin Nayef.
Non pago, il 16 marzo il principe ereditario ha anche sbattuto in gattabuia, tramite la Nazaha, la Commissione anticorruzione nazionale saudita, ben 298 funzionari governativi, militari, giudici, insomma la “crema” dell’apparato statale saudita, accusati di “corruzione, abuso di ufficio e dell’appropriazione indebita”.
Una simile purga, che ricorda quella attuata da Bin Salman nell’autunno 2017, conferma che a Riad il clima è torbido e che la posizione dell’ambizioso principe è insicura. I contraccolpi economici causati dal virus stanno mandando in rosso i bilanci sauditi mettendo a rischio i sogni di riforma e modernizzazione del paese che Bin Salman pronosticava entro il 2030.
Mentre l’85enne re Salman, suo padre, si avvia al tramonto, il principe e i suoi avversari sono impegnati in una lotta senza esclusione di colpi che potrebbe portare il paese petrolifero a una difficilissima situazione, già aggravata dal crollo dei prezzi del barile.
E’ chiaro che se l’Arabia Saudita, già impegolata nella lunga guerra in Yemen, “saltasse”, in termini di rivolte, golpe, tentati golpe o guerra civile, ci sarebbero fortissimi contraccolpi sul valore del dollaro, la cui forza come massima moneta internazionale è dovuta in gran parte allo status di petroldollaro basato sull’asse fra Washington e Riad. In caso contrario infatti la Federal Reserve non potrebbe stampare montagne di biglietti verdi senza il rischio che il loro valore cali troppo bruscamente. Ecco quindi che, mettendo da parte lo specifico teatro del Medio Oriente, che in questa sede non ci interessa approfondire, per vie indirette, il virus può danneggiare la Cina anche mettendo potenzialmente in discussione (almeno in parte) gli assetti valutari e quelle differenze di valore monetario che avevano fin qui avvantaggiato gli investimenti produttivi nel colosso asiatico.
Attacco biologico?
Fin dal suo erompere alla fine del 2019 nella città cinese di Wuhan e nella relativa provincia dell’Hubei, l’epidemia di Covid-19 ha portato al proliferare di voci non confermabili che, da un lato parlavano di una “fuga”, per errore umano, del virus dal laboratorio virologico della città-epicentro, noto come Istituto di Virologia di Wuahn dell’Accademia delle Scienze Cinese, in cinese Zhōngguó Kēxuéyuàn Wǔhàn Bìngdú Yánjiūsuǒ, che da anni è fra i principali centri di ricerca della Cina, dall’altro insinuavano che alla base dell’evento ci fosse stato un vero e proprio attacco di guerra biologica ai danni della Cina, poi sfuggito di mano e dilagato in tutto il mondo.
Voci che non meriterebbero più di tanto credito, se non fosse che il 12 marzo 2020 perfino un pezzo grosso del Ministero degli Esteri di Pechino ha accusato apertamente gli americani di essere all’origine dell’epidemia. Zhao Lijian, portavoce del ministero e vicecapo del dipartimento informativo del medesimo, ha dichiarato pubblicamente su Twitter che “il virus potrebbe essere stato portato a Wuhan da un soldato americano durante i Giochi Militari”. E a ribadire un’origine statunitense del virus, postava un intervento video dello scienziato americano Robert Redfield, in cui egli sosteneva che alcune morti di polmonite verificatesi in America nelle settimane precedenti erano state a posteriori confermate esser dovute al Covid-19.
Zhao si riferiva a un preciso evento sportivo internazionale tenutosi proprio nella città-epicentro del morbo lo scorso autunno, ovvero la settima edizione dei Military World Games, che fra l’altro era ospitata per la prima volta dalla Cina.
I giochi si sono svolti dal 18 al 27 ottobre 2019 e hanno visto arrivare a Wuhan ben 9300 atleti militari da 140 nazioni diverse. Per inciso, anche le Forze Armate italiane vi hanno partecipato, con una squadra di 165 elementi, fra atleti e staff, che hanno totalizzato buoni risultati, con un bottino di 28 medaglie, fra cui 4 ori, 12 argenti e 12 bronzi.
All’edizione di Wuahn è stato dato particolare significato in quanto doveva contribuire ad abbattere la diffidenza militare fra la Cina e i paesi del campo egemonico americano, perciò verso la fine dei giochi il presidente del Consiglio Internazionale dello Sport Militare (CISM), il colonnello francese Hervé Piccirillo, fra l’altro arbitro di calcio, dichiarava il 25 ottobre: “Questi sono giochi che segneranno la storia delle competizioni militari e svilupperanno nuove pratiche in futuro”.
Piccirillo rilevava che, oltre a essere la prima edizione ospitata in Cina, quella di Wuhan è stata la prima olimpiade militare in grande stile in cui i cinesi hanno investito in notevoli infrastrutture: “E’ il messaggio che viene portato da un intero popolo, perché al di là dei giochi, sono tutti i cinesi a diffondere questo messaggio di solidarietà e di pace, che corrisponde all’amicizia attraverso lo sport”. La squadra degli atleti militari americani, composta da 300 elementi, è arrivata all’aeroporto Tianhe di Wuhan nell’arco di due giorni, fra il 15 e il 17 ottobre, andando ad alloggiare nell’attrezzato villaggio olimpico.
La presenza per diversi giorni di qualche centinaio di militari americani, ancorchè in veste sportiva, in una città ospitante non solo i Giochi Militari, ma anche uno dei maggiori laboratori di virologia della Cina e del mondo, è sicuramente degna di nota, anche solo come curiosa coincidenza, se non di più, considerando poi l’apparire dell’epidemia.
E se l’evento sportivo può aver offerto una copertura perfetta a qualche operazione occulta, a voler dar retta alle accuse di Zhao Lijian, anche la concomitanza della presenza nella città dell’importante laboratorio rappresenta un ideale “alibi” consentendo di incolpare facilmente gli stessi scienziati cinesi per una (vera o presunta) negligenza.
Un regime come quello cinese difficilmente lascerebbe spazio a un alto funzionario di esprimere accuse od opinioni a livello personale e pertanto è probabile che quello del portavoce Zhao non fosse un semplice sfogo, ma una precisa accusa agli Stati Uniti che il governo di Pechino ha voluto affidare a un sottoposto del ministro degli Esteri Wang Yi, per non esporre direttamente il ministro e lanciare a Washington un monito più sommesso: “Noi sappiamo”.
Le accuse circa un militare americano “untore” sono state sufficienti perchè il 13 marzo il Dipartimento di Stato USA convocasse l’ambasciatore cinese a Washington, Cui Tiankai, affinchè David Stilwell, sottosegretario di Stato per lo scacchiere Asia-Pacifico, nonchè ex-ufficiale dell’US Air Force, gli esprimesse “una severa rimostranza”.
Altre fonti del Dipartimento di Stato USA, rimaste anonime, hanno fatto sapere alla stampa che, con l’affondo del portavoce Zhao, “la Cina sta cercando di deviare le critiche per aver dato origine a una pandemia non dicendolo al mondo”. Anche a voler considerare una semplice casualità il passaggio in ottobre di militari stranieri per i giochi di Wuhan, v’è però da considerare un’altra inquietante coincidenza.
Esattamente un mese prima dell’inizio dei Giochi Militari, ovvero il 18 settembre 2019, l’aeroporto Tianhe di Wuhan è stato teatro di un’esercitazione di contenimento biomedico, riguardante, come ipotesi di lavoro, “l’arrivo di un passeggero affetto da coronavirus”.
La notizia di questa esercitazione è passata in sordina, ma fra le poche testimonianze reperibili in rete che la confermerebbero oltre a svariate immagini, c’è un resoconto di Hubei TV che narra: “Nel pomeriggio del 18 settembre le dogane del Wuhan Tianhe Airport hanno ricevuto un rapporto da una linea aerea secondo cui ‘un passeggero non si sentiva bene, avendo difficoltà a respirare, e i suoi parametri vitali erano instabili’.
Immediatamente, le dogane dell’aeroporto hanno iniziato un piano di contenimento e hanno iniziato a trasferire il passeggero in ospedale. Due ore più tardi, il Centro Medico di Wuhan ha reso noto che al passeggero è stata clinicamente diagnosticata una infezione da Coronavirus”.
Il reportage citava anche un secondo tema di esercitazione, che era “un eccesso di radiazioni” dovuto a un passeggero che tentava di trafugare “un minerale dalla Birmania”. E concludeva inquadrando l’esercitazione nella preparazione delle misure di sicurezza proprio in previsione dei Giochi Militari: “A 30 giorni dall’inizio dei giochi, le dogane di Wuhan hanno fatto ogni sforzo per garantire la sicurezza degli scali e salvaguardare i giochi”.
E’ legittima la domanda del perché i cinesi possano aver pensato al rischio di un coronavirus proprio poche settimane prima dell’arrivo di militari stranieri, e nella fattispecie americani.
Ammesso, e non concesso, che i loro servizi segreti si aspettassero qualche contaminazione dall’esterno, potrebbero essere stati preavvertiti? Ed è forse per questo motivo che il governo cinese ha inizialmente tenuto una condotta riservata sull’esplodere dell’epidemia?
Pechino sostiene che il “paziente zero” di Wuhan deve aver contratto il virus per non meglio determinato “salto di specie” da un pipistrello o da un pangolino all’uomo, verificatosi forse per via alimentare al mercato di Wuhan intorno al 17 novembre 2019.
La nuova specie di virus sarebbe stata ufficialmente isolata e classificata nei primi malati gravi di polmonite virale registrati nell’Hubei solo il 31 dicembre come SARS-CoV-2, poi sintetizzato in Covid-19.
Subito è emersa la parentela genetica del nuovo virus con quello della SARS che aveva suscitato paure, per poi essere arginato, a cavallo fra 2002 e 2003, avendo in comune l’appartenenza alla famiglia dei coronavirus.
Il superiore tasso di mortalità, inizialmente calcolato attorno al 2,5 %, e i tempi lunghi di incubazione, che facilitano la diffusione per via degli ignari contagiati asintomatici, hanno fatto capire subito alla sanità cinese che la malattia non era da sottovalutare.
Ma le direttive del regime volte inizialmente a minimizzare, nonchè il fatto che a Wuhan fosse presente il famoso laboratorio virologico hanno indotto a credere il virus si fosse diffuso a partire proprio dall’Istituto per un incidente.
E’ stato assodato ad esempio, poichè confermato il 16 febbraio dalla rivista del Partito Comunista Cinese “Qiushi”, che il presidente cinese Xi Jinping conosceva la gravità della situazione fin dal 7 gennaio 2020, quando nel corso di una riunione a porte chiuse del Politburo del partito ordinò di fermare a ogni costo l’infezione.
Cioè 13 giorni prima che, il 20 gennaio, egli parlasse in pubblico del virus. L’indomani, 21 gennaio, le autorità cinesi ammettevano per la prima volta che era confermata la trasmissione da umano a umano del virus.
Dopo che fin dall’8 dicembre alcuni medici di Wuhan cercavano di dare l’allarme, salvo esser messi a tacere dal regime. Inoltre nel medesimo periodo veniva messo agli arresti domiciliari, per tenerlo lontano dalla scena, l’anziano medico che nel 2003 aveva rivelato i dati reali sull’epidemia di SARS, e che forse Pechino temeva potesse far altrettanto col coronavirus.
E’ il medico militare Jiang Yanyong, 88 anni, in pensione col grado di generale, la cui moglie Hua Zhongwei ha dichiarato il 9 febbraio: “Non è autorizzato a contatti col mondo esterno.
È a casa, la sua salute non è buona. E non sta bene neanche mentalmente. Non sta bene. Scusate, non è opportuno dire di più”. A rincarare la dose, parte della stampa americana pompava sulla possibilità della fuga del virus dai laboratori di Wuhan, specie dopo che il 24 gennaio il “Washington Times” ebbe vagheggiato un “programma cinese di armi biologiche” portato avanti nel centro ricerche di Wuhan e sfuggito al controllo. In verità ciò pare poco probabile per vari motivi.
Il centro virologico di Wuhan, fondato fin dal 1956, si è dotato fin dal 2015 di nuovi laboratori a cui è stato riconosciuto lo standard di sicurezza internazionale BSL-4, del quale si fregiano solo una cinquantina di istituti in tutto il mondo. Inoltre utilizzare un virus di tipo influenzale, per quanto con l’aggressività del ceppo SARS, per caricare testate belliche è militarmente insignificante data la mortalità comunque bassa, non paragonabile a quella di germi ben più letali, come il virus Marburg o il batterio del Botulino.
E allora perchè il governo cinese voleva minimizzare? Solo per prestigio nazionale? Forse solo per non mostrarsi vulnerabile a quello che potrebbe essere stato un attacco “lieve” portato in segreto.
Un duello segreto
Immaginiamo, pur senza dar loro eccessivo credito, che siano verosimili le accuse nei confronti dell’America. Se nel settembre 2019 i cinesi già conducevano un’esercitazione per fermare un ipotetico contagio da “coronavirus” arrivato dall’esterno all’aeroporto di Wuhan, è probabile che si aspettassero qualcosa.
Qualcuno della loro fitta rete di spionaggio negli Stati Uniti potrebbe averli avvisati di un qualche piano per sconvolgere l’economia cinese proprio nel pieno della battaglia commerciale dei dazi.
A riprova della quantità di “antenne” che la Cina mantiene in Nordamerica, non è forse un caso che proprio nel periodo dell’irrompere dell’epidemia il Dipartimento della Giustizia USA si sia mosso in tre direzioni diverse. Il 10 dicembre 2019 è stato arrestato da agenti dell’FBI all’aeroporto Logan di Boston il giovane cinese Zheng Zaosong, che tentava di trafugare in Cina “21 fialette di ricerche biologiche” nascoste in un calzino.
Zheng era entrato negli USA con una visa nell’agosto 2018, poi ha lavorato come ricercatore a Boston, al Beth Israel Deaconess Medical Center, dal 4 settembre 2018 al 9 dicembre 2019, quando ha rubato le fiale venendo però “pizzicato” in aeroporto. In galera già da varie settimane è stato formalmente accusato di contrabbando e frode il 21 gennaio 2020.
Una settimana dopo, il 28 gennaio, è stata accusata pure di frode e spionaggio una ragazza cinese, Ye Yanqing, che entrata negli USA quasi tre anni fa spacciandosi per studente, ha frequentato dall’ottobre 2017 all’aprile 2019 il Dipartimento di Fisica, Chimica e Ingegneria Biomedica dell’Università di Boston.
Solo il 20 aprile 2019, interrogata dall’FBI all’aeroporto Logan, Ye ha ammesso di essere tuttora un tenente dell’Armata Popolare Cinese, nonchè membro del PCC.
Attualmente si trova in Cina. Sempre il 28 gennaio è stato arrestato perfino un “guru” dell’Università di Harvard, il dottor Charles Lieber, preside del Dipartimento di Chimica e Biochimica, nonchè mago delle nanotecnologie, per contatti poco chiari con la Cina, segnatamente per “conflitto d’interessi” avendo collaborato, dietro lauti compensi, dal 2012 al 2017 con l’Università della Tecnologia di Wuhan (ed ecco rispuntare Wuhan!) senza informare adeguatamente Harvard.
Chiaramente non è assolutamente provato che questi tre personaggi abbiano a che fare con le ipotesi relative al Covid-19, ma le loro vicende sono emblematiche della presumibile rete di studenti e accademici cinesi, o prezzolati da Pechino, che sorveglia l’attività scientifica, e dunque anche biochimica, degli americani. E senz’altro la sorveglianza è reciproca.
Per i cinesi, cercare di far finta di nulla nei primi tempi del contagio potrebbe essere stato un modo di lasciare gli americani nell’incertezza circa l’esito di una qualche operazione segreta. E il riserbo potrebbe anche essere dovuto alla cautela necessaria a non dare indizi che porterebbero allo scoperto preziosi informatori negli USA. Ricordate cosa avevamo scritto nelle prime righe di questo scritto, citando le parole di Chaunan?
“Anche quando sono molto inefficaci, con pochi morti, come nel caso delle lettere all’antrace negli USA, le armi biologiche sono considerabili come armi di ‘rottura’ di massa poichè possono gettare un’intera nazione nel caos. Le armi biologiche influenzeranno molti aspetti della nostra vita di routine, mandandoli fuori schema. Porteranno il terrorismo sulla soglia di casa di ognuno di noi”.
Detto in altri termini, seminare una forte polmonite in un paese avversario può sconvolgere quel tanto che basta il tessuto socio-economico nemico, lasciando gli avversari in un eterno dubbio, se si sia trattato cioè di un evento di origine naturale oppure artificiale. Ben difficilmente ci potrà essere infatti una prova definitiva dell’origine di questo virus. Il fatto che la pandemia si sia poi diffusa in tutto il mondo e che stia facendo breccia anche negli Stati Uniti potrebbe essere la riprova che, in realtà, si tratta solo di complottismo.
Il “fronte” europeo
E’ vero però che gli eventi di questi ultimi mesi stanno mettendo in ginocchio anche un altro importante concorrente economico degli USA, ovvero l’Unione Europea, i cui paesi stanno andando in ordine sparso, rischiando peraltro di sovraccaricare la Banca Centrale Europea con richieste di liquidità d’emergenza. Quanto agli Stati Uniti, se anche la paura dilaga e si annuncia uno stato d’emergenza, non va dimenticato che oltreoceano la sanità pubblica è una chimera e la salute in senso generale tende a essere considerata un fatto più privato che collettivo.
Trattandosi di una influenza più aggressiva del normale, la cui mortalità non è catastrofica, potrebbe esistere la possibilità, per quanto remota, che le élites che governano gli Stati Uniti, per certi aspetti paragonabili al patriziato dell’Impero Romano, possano aver pensato che rischiare il trabocco del Covid-19 anche nei propri confini potesse essere un prezzo adeguato per azzoppare Cina e Unione Europea, contando sul diverso approccio, anche come mentalità, che cinesi ed europei hanno in relazione alla salute pubblica.
Quanto ai suddetti rischi economici per l’Arabia Saudita, si tratterebbe di un rischioso effetto collaterale dovuto a volontà indipendenti da Washington, cioè la “lotta” al ribasso fra Riad e i russi, che probabilmente gli stessi americani potevano non aver previsto nella loro portata.
La prova del nove la si avrà osservando i rimedi che Washington potrà eventualmente attuare per salvare il proprio mercato azionario e petrolifero, oltre all’eventuale comparsa di un vaccino proprio in America, e magari in tempi brevi. Diversamente, apparirebbe invece plausibile un’origine naturale, o per incidente, della pandemia.
Certo, l’ipotesi naturale, che contempla il passaggio del Covid-19 alla specie umana per un fenomeno di “zoonosi”, da pipistrello o altro vertebrato, complice la diffusa abitudine alimentare cinese, e in genere orientale, di “mangiare tutto ciò che si muove”, resta a prima vista la più credibile per una serie di fattori. Anzitutto gioverà ricordare che la diffusione di epidemie influenzali a partire dalla Cina è un fatto storico di lungo periodo, basti pensare all’influenza detta “asiatica” del 1957 e a quella “di Hong Kong” del 1968 giunta in Europa nell’inverno del 1969. In genere, poi, dall’Asia sono venute anche pandemie assai più distruttive.
Citavamo all’inizio la Peste Nera che arrivò in Europa nel 1347 dopo essere scoppiata in Asia Centrale e trasmessa ai genovesi della base di Caffa, in Crimea, dai cavalieri mongoli che l’assediavano.
Si potrebbe anche citare il colera, che partì lentamente dall’India attorno al 1816, ma si diffuse in tutto il mondo fra il 1840 e il 1870, quando l’introduzione della navigazione a vapore e delle prime ferrovie, in un periodo in cui le città europee ed americane non avevano ancora fogne efficienti, formò una combinazione esplosiva, paragonabile nel caso odierno alla potenzialità del trasporto aereo di massa nella trasmissione di virus e batteri.
Nello specifico della zoonosi, peraltro, è interessante notare che, per fare un singolo esempio, il batterio della peste, lo Yersinia Pestis, era in origine endemico nei roditori della steppa chiamati dai tartari “tarabagan” e che Marco Polo, nel Milione, chiamava “ratti del faraone”.
Si tratta della specie oggi classificata Marmota Sibirica, una specie di marmotta steppica cacciata e mangiata dai cavalieri nomadi, oltre che infestata di pulci che potevano contaminare gli esseri umani col loro morso. L’apertura di grandi vie carovaniere nell’Eurasia a causa del consolidamento dell’Impero Mongolo, a partire dal 1206 a opera di Gengis Khan e dei suoi successori, aprì vere e proprie corsie preferenziali alla diffusione della peste nel secolo successivo, tantopiù che la Yersinia Pestis, a un certo punto cominciò a esser trasmessa sia attraverso la puntura delle pulci, che saltavano dai roditori all’uomo, sia, nella forma polmonare, da uomo a uomo, in modo simile a quello influenzale.
Il primissimo focolaio di Peste Nera si sarebbe registrato, pare, presso una comunità di tartari nestoriani presso il lago Issyk Kul nel 1339, per poi diffondersi in Cina, dove pure fece sfracelli, e ai mongoli che assediavano Caffa, i quali, peraltro, catapultarono cadaveri infettati oltre le mura come una vera “arma biologica”.
Secondo la ricostruzione più accreditata, i genovesi fuggiaschi da Caffa sulle loro galee diffusero poi la peste nell’arco di poche settimane, fra estate e autunno del 1347, a Costantinopoli e in Sicilia, da cui dilagò in tutta Europa. Sia detto per inciso, la peste resta ancora in agguato in alcune remote parti del mondo e proprio in Cina, nel sostanziale silenzio dei grandi mass media, è stato stroncato sul nascere un nuovo focolaio lo scorso autunno.
Infatti fra il 3 e il 16 novembre 2019 sono stati scoperti tre casi conclamati di peste fra pastori della provincia della Mongolia Interna, sotto la sovranità di Pechino, che avevano mangiato dei tarabagan, causando la messa in quarantena di un totale di 28 persone che avevano avuto contatti con loro.
I cinesi certo non abbassano la guardia nemmeno su questa antica malattia, dato che si teme che i cambiamenti climatici in atto e le loro conseguenze sugli equilibri della popolazione di roditori della steppa possa in futuro portare lo Yersinia Pestis a nuovi salti di specie, forse anche mutazioni. E il fatto che la descrizione dei sintomi della peste medievale, rispetto alle forme più recenti, sembra, a detta degli esperti, ricordare febbri emorragiche più analoghe a quelle del virus Ebola, testimonia una pluralità che non lascia tranquilli gli studiosi.
Profezie letterarie
Il nesso storico fra la Cina e le epidemie è molto profondo, anche dal punto di vista delle sue trasposizioni narrative e non senza sconfinare nell’arma biologica, sia che il grande paese asiatico ne sia vittima o artefice. Ma, come vedremo, al di là delle profezie inquietanti dei romanzi, è interessante ricordare il ben più concreto studio condotto fin dal 2015 a Wuhan da un team di scienziati cinesi e stranieri su un “coronavirus ricavato da un pipistrello e modificato geneticamente per entrare in cellule umane”.
Andando con ordine, si potrebbe partire da un poco noto racconto fantapolitico del romanziere americano Jack London, che nel luglio 1910 pubblicò “The unparallaled invasion”.
Avendo avuto esperienza, come giornalista inviato speciale, della guerra russo-giapponese del 1904, London diede una sua personale interpretazione del “pericolo giallo” immaginando che nel suo futuro 1922 una Cina modernizzata annettesse il Giappone assommandone a sé le risorse industriali e diventando nel successivo cinquantennio una minaccia crescente invadendo i territori limitrofi. A quel punto, nel 1976 le potenze occidentali decidevano di invadere la Cina con uno stratagemma diabolico.
London immaginava gli eserciti e le marine europei e americani circondare totalmente il colosso asiatico con masse di soldati e forze navali, in modo che nessuno potesse fuggire dal paese.
Poi gli occidentali facevano decollare dalle loro navi da guerra squadriglie di piccoli aeroplani (London scriveva nel 1910, quando l’aereo aveva già dimostrato, fin dal 1909, le sue potenzialità trasvolando la Manica con la nota impresa di Louis Bleriot) che andavano a librarsi sopra le maggiori città cinesi in quelli che parevano innocui voli di ricognizione.
Ma i velivoli facevano cadere qua e là, sulle maggiori concentrazioni demografiche cinesi, centinaia di “tubi di vetro” apparentemente vuoti. Erano in verità i vettori di un’imprecisata combinazione di diverse specie di batteri, capaci di innescare epidemie multiple tali da spopolare quasi totalmente la Cina.
Terribile il quadro del multi-contagio immaginato da Jack London: “Se ci fosse stata una sola malattia, la Cina avrebbe potuto affrontarla, ma da un insieme di morbi, nessuna creatura era immune. L’uomo che scampava al vaiolo moriva per la scarlattina. L’uomo che era immune alla febbre gialla, se lo portava via il colera. E se uno era immune anche a quello, la Morte Nera, cioè la peste bubbonica, lo annientava.
Erano questi batteri e germi e microbi e bacilli coltivati nei laboratori dell’Occidente, che erano stati rovesciati sulla Cina con la pioggia di vetro”. Dopo mesi di martirio, con le forze assedianti che uccidevano qualsiasi cinese cercasse di uscire dai confini, l’immenso territorio risultava infine così deserto da consentire agli eserciti occidentali di invaderlo penetrandovi come un coltello nel burro.
L’ombra di una guerra batteriologica coinvolgente la Cina si stagliava anche nei retroscena di un film di fantascienza del 1971 diretto da Boris Sagal e interpretato da Charlton Heston, ovvero “1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra”. Vi si immaginava una disastrosa epidemia diffusasi in tutto il mondo proprio a partire dal confine russo-cinese, dove crescenti scontri armati fra Unione Sovietica e Cina erano presto passati dal livello convenzionale all’uso di armi batteriologiche.
Nelle ultime settimane, poi, sull’onda del Covid-19, la stampa internazionale ha abilmente ripescato un’altra curiosa “profezia”, il romanzo “The eyes in the darkness”, scritto nel 1981 da Dean Koontz ma edito in Italia solo ora, nel 2020, proprio sull’onda delle notizie di attualità e col titolo “L’abisso”.
In esso si parla della diffusione di un virus letale denominato “Wuhan 400”, perché frutto di un programma segreto cinese di armi biologiche. La coincidenza è però solo apparente nel senso che il virus del romanzo è qualcosa di totalmente diverso da un’influenza. E sul fatto che sia stato prodotto proprio dai laboratori di Wuhan, anche in tal caso, non si può parlare di vera profezia, nel senso che, semplicemente, quando nel 1981 Koontz partorì il romanzo non poteva fare a meno di riferirsi a uno dei principali laboratori cinesi, già allora operante da tempo.
L’esercizio della fantasia narrativa può essere utile a lanciare preziosi moniti per il futuro, tenendo presente che, in particolare, l’idea di Jack London di una guerra biologica ad ampio spettro, con impiego parallelo di più specie di organismi patogeni spalanca prospettive tremende.
Fortunatamente, a rendere, almeno per qualche generazione, improbabili simili scenari catastrofici, ci sono, da un lato la Convenzione sulla Proibizione delle Armi Biologiche, che firmata il 12 aprile 1972 è in vigore dal 26 marzo 1975 impegnando praticamente tutti gli Stati della Terra, e dall’altro lato la funzione deterrente delle armi nucleari o chimiche.
Scenari possibili
E’ ovvio infatti che se uno Stato identificasse sul suo territorio un’aggressione con agenti biologici portata da un paese nemico, si riterrebbe autorizzato a una simile rappresaglia, oppure, non disponendo di tali armi, reagendo con altrettanto catastrofici attacchi nucleari o chimici.
L’impiego di microrganismi porta inoltre notevoli problemi perché trattandosi di esseri viventi non si esauriscono di per sé una volta raggiunta la finalità del loro impiego, ma potenzialmente possono seguitare a replicarsi, a diffondersi negli ecosistemi, perseguendo i propri scopi di sopravvivenza, divergenti da quelli degli uomini che hanno magari avventatamente tentato di utilizzarli.
E magari mutando genoma col susseguirsi delle loro fittissime generazioni. In altre parole, i microrganismi, per macabra ironia, é come se, simbolicamente, lasciassero credere all’uomo di potersi servire di loro, mentre in realtà sono essi stessi, questi piccolissimi e invisibili “guerrieri”, a servirsi di noi, ignari e impacciati giganti.
L’unico serio rischio di impiego di armi biologiche letali potrebbe ancora venire dal terrorismo, che non offrirebbe un territorio e una popolazione suscettibili di una rappresaglia proporzionata. Forse, in un futuro più lontano, un remoto pericolo potrebbe venire da un eventuale mutamento del modo di pensare dei nostri discendenti, che potrebbero essere portati, anche da insospettabili sviluppi tecnici, a pensare alle guerre biologiche come a un qualcosa di attuabile.
Per ora, nell’impossibilità di poter esprimere un giudizio su questa ancora poco chiara pandemia, sarà opportuno ricordare che pochi anni fa un team internazionale di scienziati, sia cinesi sia occidentali, aveva pubblicato un’ampia ricerca su un coronavirus modificato proprio nei laboratori di Wuhan, ma con la collaborazione di istituti esteri come la University of North Carolina, per studiarne la virulenza sui tessuti umani in coltura.
Uscito il 9 novembre 2015 sulla prestigiosa rivista “Nature”, il resoconto aveva un titolo che suonava come un ammonimento: “Un gruppo di coronavirus circolanti nei pipistrelli e simili alla SARS mostra un potenziale per una emergenza umana”.
Autori della ricerca figuravano: Vineet D. Menachery, Boyd L. Yount Jr, Kari Debbink, Sudhakar Agnihothram, Lisa E Gralinski, Jessica A. Plante, Rachel L. Graham, Trevor Scobey, Ge Xingyi, Eric F. Donaldson, Scott H. Randell, Antonio Lanzavecchia, Wayne A. Marasco, Shi Zhengli e Ralph S. Baric.
Come si vede, due scienziati cinesi e svariati americani, indiani e perfino un italiano. La ricerca muoveva le mosse dal rilevare i “rischi di un passaggio di specie” attraverso la modifica con tecniche di bioingegneria di un ceppo SARS-CoV, adattato ai topi, dotandolo delle “spicole” esterne di un altro virus, questo tipico dei pipistrelli cinesi del genere Rhinolophus, ovvero il coronavirus SHC014-CoV.
Scrivevano già nel 2015 questi scienziati: “Il nostro lavoro suggerisce il rischio potenziale del riemergere del SARS-CoV dai virus correntemente circolanti nelle popolazioni di pipistrelli. L’emergere del SARS-CoV preannuncia una nuova era nella trasmissione fra le specie di una grave malattia respiratoria con la globalizzazione che condurrebbe alla sua rapida espansione attorno al mondo e a un impatto economico massivo”.
Creando un virus “chimera”, che avesse il corpo principale del SARS-CoV, ma con le “spikes” dell’SHC014, ovvero quelle che sono un po’ le “chiavi” che consentono l’ingresso nelle cellule parassitate, gli scienziati hanno creato un virus sperimentale dimostratosi in grado di infettare cellule umane in coltura.
E anche se gli ultimi studi sul Covid-19 hanno dimostrato che il suo profilo genetico è in parte diverso da quello del germe modificato, non impossibile che la condivisione di tale ricerca fra Cina e Stati Uniti, oltre al resto del mondo, possa aver in qualche modo portato qualcuno a ipotizzare di proseguire queste ricerche in segreto perfezionando un nuovo agente patogeno.
Già pochi giorni dopo la pubblicazione della ricerca, molti scienziati avevano espresso preoccupazioni. Un virologo dell’Istituto Pasteur di Parigi, Simon Wain-Hobson, commentava: “I ricercatori hanno creato un nuovo virus che cresce molto bene nelle cellule umane. Se il virus fuggisse, nessuno potrebbe prevederne la traiettoria”.
Il biologo molecolare americano Richard Ebright, della Rutgers University in Piscataway, New Jersey, si diceva pure timoroso: “L’unico impatto di questo lavoro è la creazione in laboratorio di un nuovo e non-naturale rischio”.
Insieme a Wain-Hobson, Ebright aveva lanciato il 12 novembre 2015 un appello: “Le autorità scientifiche dovrebbero reputare simili studi con la creazione di virus chimerici (cioè artificialmente ottenuti mescolando componenti di ceppi diversi, n.d.r.) basati su ceppi in circolazione troppo rischiosi da proseguire”.
Si chiedevano inoltre se valesse la pena di tali esperimenti contando “i rischi implicati”. Uno degli autori dei suddetti esperimenti, l’americano Ralph Baric ribatteva invece che gli esperimenti erano stati utili, dimostrando che il ceppo SHC014 poteva ora essere considerato una minaccia per l’uomo, mentre prima non lo si sarebbe considerato tale: “Non penso che possiamo ignorare tutto ciò”.
Tutto ciò dimostra che i virus tipo SARS a simili, come appunto il Covid-19, possono essere ampiamente modificati dall’uomo tramite le moderne tecniche di bioingegneria.Certo, non è sufficiente a dire che l’attuale pandemia sia originata artificialmente e non dagli insondabili disegni della Natura. Ma lascia aperte le porte alle due interpretazioni alternative, o la fuga dai laboratori di Wuhan del germe, o la sua, probabilmente voluta, diffusione in Cina a partire da un vettore esterno, che in linea teorica potrebbe essere statunitense.
Nelle scorse settimane, uno dei principali scienziati protagonisti del discusso esperimento del 2015, la dottoressa Shi Zhengli (nella foto sotto), vicedirettrice del laboratorio virologico di Wuhan, ha cercato più volte di fugare le ipotesi complottistiche. Scrivendo insieme ai colleghi Zhou Peng e Yang Xinglou un articolo uscito il 3 febbraio 2020 su “Nature”, la Shi ha spiegato: “Abbiamo ottenuto da cinque pazienti nelle fasi iniziali dell’epidemia le sequenze genetiche del virus.
Le sequenze sono quasi identiche e condividono il 79,6% dell’identità sequenziale col SARS-CoV. Inoltre, noi mostriamo che il 2019-nCoV (alias Covid-19) è al 96% identico, a livello di genoma intero, al coronavirus di un pipistrello”.
Pochi giorni dopo, il 7 febbraio, la Shi ha ancora dovuto ripetere, un po’ enfaticamente: “Il nuovo coronavirus del 2019 rappresenta la Natura che punisce la specie umana per il fatto di mantenere abitudini di vita incivili. Io, Shi Zhengli, giuro sulla mia vita che esso non ha nulla a che fare col nostro laboratorio”.
La verità sull’origine di questo virus resta insomma avvolta nell’ombra, in un intreccio di omertà, silenzi, accuse internazionali e, forse, disinformazione. Ovviamente va rilevato che la novità di una specie virale finora ignota giustifica ampiamente il fatto che gli stessi esperti spesso discordino fra loro, dato che stanno essi stessi imparando giorno per giorno nuovi dettagli.
A “pensar male”, come si dice nel linguaggio corrente, si può dire la condivisione internazionale dei risultati degli esperimenti del 2015 avrebbe potuto permettere agli Stati Uniti di modificare e sviluppare autonomamente un proprio ceppo da “seminare” in Cina come blanda arma da “interdizione” batteriologica, per creare enormi problemi sociali a un avversario strategico, anche a costo di subire essi stessi dei contraccolpi.
E il discorso si potrebbe teoricamente allargare all’Unione Europea e anche all’Iran, dove si registrano pure moltissimi decessi. Ma la possibilità teorica, ovviamente, non significa certezza. E altrettanto plausibili restano, sia la pista dell’incidente a Wuhan, sia quella del naturale emergere di una nuova specie naturale.
Finché eventuali testimoni non riveleranno qualcosa di più, le versioni ufficiali a uso dell’opinione pubblica di massa prevarranno. E potrebbero, con buona pace di tutti, effettivamente essere quelle veritiere. Ma nessuno può negare che il mondo è già cambiato. E che l’unico che finora ci ha guadagnato di sicuro è quel piccolo ed estremamente essenziale essere vivente il cui successo esistenziale consiste nell’autoreplicazione.
Foto: Twitter, Difesa.it. China TV, Xinhua
FONTE:https://www.analisidifesa.it/2020/03/coronavirus-natura-incidente-o-arma/
INPS?… LO HACKER, CHE BONTÀ
Non avrei mai potuto immaginare – eppure mi occupo di queste cose dal 1986 – che qualcuno sperasse di addebitare i propri guai ad un pirata informatico.
Nemmeno il migliore John Belushi con le sue finora imbattute “cavallette” nelle sequenze di The Blues Brothers avrebbe saputo stupire il pubblico come l’outing di Tridico che al “non è stata colpa mia” ha aggiunto che erano stati gli hacker….
Se l’affondamento del sito dell’INPS è secondo solo a quello del Titanic, la dichiarazione del Presidente dell’ente previdenziale non ha precedenti.
Soltanto i log di sistema, quelli che registrano tutti gli eventi e annotano chi fa cosa/quando, possono rivelare cosa sia accaduto davvero. Voglio augurarmi che quei “registri” ci siano e vengano adeguatamente ispezionati da chi sarà incaricato di svolgere le indagini. Sarebbe tristissimo assistere ad una ulteriore lacrimosa confessione di chicchessia che annunci l’inspiegabile scomparsa dei log, bersaglio dei briganti telematici che ne avrebbero cancellato ogni traccia.
Qualunque cosa sia toccata in sorte all’INPS è a dir poco inqualificabile o, a voler essere un pochino rigorosi, è invece qualificabile. Si sia trattato di un malfunzionamento o sia stato un arrembaggio corsaro, non è soltanto una “figura di merda” come avrebbe commentato Emilio Fede nei suoi memorabili fuori onda. E’ la plateale ed inconfutabile dimostrazione che quel sistema informatico non era all’altezza della missione che era destinato ad assolvere.
Senza alcuna velleità di mettere sotto processo (ci saranno la magistratura ordinaria e contabile a farlo) i potenziali responsabili, nell’immaginaria Norimberga si potrà cominciare con la “culpa in eligendo” e la “culpa in vigilando”.
“Eligendo”? La scelta di direttori e responsabili spesso è figlia di un sistema clientelare che ha fatto piovere persone inadeguate in ruoli critici. Gli amici, i raccomandati, i “quelli cui non si può dire di no” e altre discutibili figure sono approdate al vertice di articolazioni pubbliche delicatissime. Chi ha piazzato quelle persone dovrebbe renderne conto, magari illustrando i criteri delle selezioni e dei privilegi riservati a chissà quali caratteristiche.
Veniamo al “vigilando”. C’è chi non esiterà a replicare che il controllo di certe attività impone competenze esorbitanti il proprio profilo. La controrisposta prevede due binari. Solo ora ci si accorge di essere a propria volta non all’altezza del compito assegnato? E poi non esistono procedure dettagliate e magari uffici destinati ad operare riscontri e accertamenti sugli aspetti operativi e non solo amministrativi?
Lasciamo alla coscienza di ciascuno (altrimenti il discorso evocherebbe un inutile regolamento di conti degno della valle di Josafat) questi dettagli che – in simili evenienze – sono senza dubbio marginali e affrontiamo i fatti almeno sulla base di quel è dato sapere.
Il sistema “è andato giù”. Questo è chiaro.
Proviamo ad immaginare che fosse crollato un palazzo stracolmo di gente. Se è stato l’eccessivo afflusso di persone a determinare un sovraccarico della soletta dei piani dell’edificio, ogni addebito finirebbe in capo a chi ha progettato l’immobile. Costui sarà pronto a dichiarare di aver avvisato dei limiti di capienza e soprattutto di portata per metro quadro. Allora deve cominciare a difendersi chi doveva regolare gli ingressi, “porzionando” il numero di visitatori per scongiurare che il carico si profilasse “critico”. La palla passa al servizio di reception e vigilanza che non avrebbe rispettato le indicazioni in proposito, servizio che non tarderà a dire che quelle indicazioni non le ha mai ricevute…
Non un semplice scaricabarile (troppo convenzionale), ma un sorprendente “yo-yo” che si srotola e si riarrotola portando avanti e indietro accuse e scuse.
Ma se lo schianto fosse invece stato determinato da una quasi solita bombola di gas? O se invece si intravedesse la mano di un terrorista?
L’11 settembre dell’INPS è toccato nell’infausto giorno del primo Aprile, quello che gli anglofoni chiamano April Fool’s Day e che dalle nostre parti – tra i mille scherzi – ha dato modo di appiccicare pesci sulla schiena ad intere generazioni di scolari birbaccioni.
L’incidente informatico in questione, però, non è uno scherzo. A parte l’esposizione planetaria al pubblico ludibrio (credo che abbiano riso anche in Australia di una simile sbalorditiva circostanza), restano responsabilità ineludibili.
Anonymous e altre bande di hacker (invece di rivendicare una simile epocale frana digitale) hanno con ogni mezzo escluso di aver determinato il catastrofico evento e certe spesso tetre simbologie hanno per un attimo evocato “La livella” del Principe de Curtis: “Nuje simmo serie… appartenimmo à morte!”
Un ipotetico atteggiamento fideistico verso le dichiarazioni del Presidente dell’INPS e la conseguente accettazione della versione dei criminali informatici non portano alla assoluzione dell’istituto previdenziale.
Qualunque reato informatico (a vostra scelta tra quelli introdotti nel codice penale dalle leggi 547/1993 e 48/2008) prevede testualmente che il sistema informatico oggetto di intrusione o di danneggiamento sia “protetto da misure di sicurezza”. In assenza di tali cautele la condotta delittuosa zoppica e mancandone un elemento fondamentale non è configurabile.
Mica è finita. La normativa in materia di privacy (in Italia in vigore non da ieri ma già dai tempi della legge 675 del 1996) prevede – giustamente – sanzioni ferocissime nei confronti di chi non adotta le “misure di sicurezza” e non adegua i propri sistemi hi-tech in maniera da tutelare la riservatezza dei dati dei soggetti cui le informazioni si riferiscono.
“La seconda che hai detto” sussurrerebbe Corrado Guzzanti.
La tragicomicità dell’accaduto induce a inchiodare l’attenzione proprio su Guzzanti jr. e a suggerire a chi crede di semplificare le cause della vicenda una inesorabile riflessione. “La risposta è dentro di te, epperò è sbagliata”.
FONTE:https://www.infosec.news/2020/04/02/editoriale/inps-lo-hacker-che-bonta/
DIRITTI UMANI
Sono 9.400 i minori scomparsi in Italia nel 2018. Più della metà non sono stati trovati
(Foto: World economic Forum)
FONTE:https://www.secoloditalia.it/2019/05/sono-9-400-i-minori-scomparsi-in-italia-nel-2018-piu-della-meta-non-sono-stati-trovati/
ECONOMIA
PRONTI, ARRIVA LA PATRIMONIALE!
IL VICEMINISTRO DELL’ECONOMIA ANTONIO MISIANI (PD) ANNUNCIA SIBILLINO: ”GLI ITALIANI HANNO 1400 MILIARDI DI EURO FERMI SUI CONTO CORRENTI O IN LIQUIDITÀ, SERVE UN PATTO CON I RISPARMIATORI” – VITTORIO FELTRI S’INCAZZA: “SI SCRIVE PATTO, SI LEGGE PATRIMONIALE. CONSISTE NEL PRELEVARE UNA PERCENTUALE DEL DENARO DEPOSITATO SUI CONTI CORRENTI, CIOÈ NOSTRI SOLDI GIÀ TASSATI ALLA FONTE. IN LINGUA ITALIANA SI CHIAMA FURTO”
04.04.2020 – Liberoquotidiano.it
Il coronavirus sta uccidendo gli italiani, anche dal punto di vista economico, e il governo cosa pensa di fare? Mettere le mani nei nostri portafogli. A denunciare quanto starebbe meditando l’esecutivo giallorosso è Vittorio Feltri: “Sta maturando nell’esecutivo l’idea di infliggerci una tassa patrimoniale. Consiste nel prelevare una percentuale del denaro depositato sui conti correnti, cioè nostri soldi già tassati alla fonte. In lingua italiana si chiama furto”. Ma il direttore di Libero ha buone ragioni di crederlo.
Ne aveva parlato tempo fa l’ex premier Mario Monti, ma anche il manager Paolo Scaroni: “Quando il virus sarà sconfitto, ma la nostra struttura economica sarà in grave affanno, si sentiranno autorizzati a prendere qualsiasi provvedimento fiscale come l’aumento dell’Iva, un sistema di tassazione estremamente progressivo, la patrimoniale”.
Misiani: “Italiani hanno 1400 miliardi fermi, serve patto con i risparmiatori”
In mattinata, a Radio24, ha parlato anche il viceministro dell’Economia Antonio Misiani. “Dobbiamo fare uno sforzo importante per mobilitare tante risorse ferme nel sistema produttivo per rilanciare le nostre imprese. Gli italiani hanno 1400 miliardi di euro fermi sui conto correnti o in liquidità, noi dobbiamo inventare strumenti che permettano di convogliare questa risorse verso l’economia reale, per farglieli investire”, ha spiegato Misiani. “Dobbiamo rompere questo meccanismo e trovare tutti i canali possibili immaginabili per garantire liquidità ora, nell’emergenza, e poi per rafforzare il nostro sistema produttivo”.
FONTE:https://m.dagospia.com/pronti-arriva-la-patrimoniale-il-viceministro-dell-economia-antonio-misiani-annuncia-sibillino-232289
Krugman mette in guardia sulle conseguenze di far ripartire troppo presto l’economia
Il premio Nobel ricorda cosa successe nel 1918 durante l’influenza spagnola
5 APRILE 2020
NEW YORK – Il premio Nobel per l’Economia 2008 Paul Krugman ha messo in guardia sulle conseguenze di far ripartire troppo presto l’economia, prima che la minaccia del coronavirus non sia sufficientemente sotto controllo.
L’editorialista del New York Times ha dichiarato in un’intervista alla Cnn che per le industrie e gli esercizi commerciali è meglio restare chiusi a lungo piuttosto che riprendere prematuramente l’attività. L’esempio viene da quanto accaduto più di un secolo fa, nel 1918, con l’influenza spagnola.
«Le città che fecero più distanziamento sociale e lo lasciarono in vigore non solo ebbero meno morti ma fecero meglio dal punto di vista della ripresa economica. Tutto in questo momento dice che non è l’ora di preoccuparsi del Pil. Non bisogna preoccuparsi dei dollari».
Il rischio di aprire troppo presto è di diffondere ulteriormente il contagio, incrementando il numero dei morti e provocando ancora più danni a un sistema economico già in sofferenza. «Abbiamo bisogno di fornire un soccorso alle aree più colpite. Dobbiamo aiutare le persone che non hanno più entrate. Lo dobbiamo fare finché è necessario».
FONTE:https://www.tio.ch/dal-mondo/economia/1430086/economia-far-guardia-krugman-conseguenze
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
BANCHE: LA CHIAVE DI VOLTA
SISTEMA BANCARIO PROTAGONISTA DEL RILANCIO ECONOMICO E PER QUESTO SOTTO GIUDIZIO COME NON LO E’ STATO MAI
La crisi economica mondiale attuale e la conseguente futura depressione economica a cui andremo incontro, imporrà che le banche svolgano un ruolo fondamentale nell’alimentare lo sviluppo produttivo e nel facilitarne la ripartenza.
Il sistema del credito, dopo tutte le passate vicende riprovevoli che l’hanno caratterizzato, come la storia ci ricorda con il caso del Montepaschi e non solo, avrà l’opportunità di dimostrare di essere all’altezza di contribuire in modo rilevante all’auspicato rilancio economico dopo le disastrose conseguenze della pandemia del Covid-19.
Il sistema bancario per svolgere questo delicato ed essenziale compito di rilancio economico potrà fruire di strumenti finanziari a medio e lungo termine per reperire altre risorse finanziarie, affinché esso stesso possa erogare liquidità sia al mondo imprenditoriale in particolare, generando di conseguenza una crescita anche per l’occupazione e sia alle famiglie in generale.
Per la realizzazione di tutto ciò, ovviamente sarà necessario che gli istituti di credito rispettino le raccomandazioni dettate dalla Bce di non effettuare alcuna distribuzione di dividendo.
Ai fatti sembrerebbe che le suddette raccomandazioni siano state condivise da gran parte dei destinatari e si spera che quegli istituti di credito che non l’abbiano ancora fatto non esitino ad accettarle, altrimenti sarà giusto penalizzare coloro che dimostreranno indifferenza nei confronti dell’emergenza e della grave crisi epocale in cui versa l’Italia e non solo.
Per permettere che il sistema bancario funga da volano dell’economia sarà fondamentale tanto impedire che l’ammontare dei crediti insoluti ostacoli l’erogazione del credito, quanto stabilire in che modo la Bce intenderà regolamentare i finanziamenti e quelli che si otterranno dai bond europei, grazie ad un necessario ed inevitabile compromesso tra i Paesi membri che sono discordanti al riguardo, visto che questa liquidità verrà riversata sul settore imprenditoriale e produttivo, in tutte le sue declinazioni, da quello commerciale e turistico a quello dei servizi.
La svolta che impone questa storica crisi economica indurrà il sistema politico europeo ad eliminare ogni ostacolo burocratico e tecnico e di altra varia natura, che in passato ha impedito al flusso finanziario emesso dalla Bce di arrivare a destinazione, impedendo di conseguenza di raggiungere lo scopo prefissato, ossia il rilancio dell’economia reale.
Mai come adesso le banche saranno la condicio sine qua non della ripresa economica.
FONTE:https://versoilfutur.org/banche-la-chiave-di-volta
IMMIGRAZIONI
EMERGENZA CORONAVIRUS? ONG TEDESCA VERSO L’ITALIA CON 68 MIGRANTI A BORDO
Lo fa sapere la scrittrice Francesca Totolo sul suo profilo Twitter: “Dopo la solita segnalazione di Alarm Phone (dal 14 marzo il centralino era muto), la Alan Kurdi di Sea Eye ha trasbordato 68 migranti.
Ricordo che la nave batte bandiera tedesca e la ONG è tedesca. Il trasbordo della Alan Kurdi di Sea Eye è avvenuto solo dopo 24 ore dall’arrivo in zona SAR della Libia. Meno male che il Pull-Factor delle ONG non esiste”.
Francesca Totolo@francescatotolo
Dopo la solita segnalazione di @alarm_phone (dal 14 marzo il centralino era muto), la #AlanKurdi di @seaeyeorg ha trasbordato 68 #migranti.
Migranti, 34 sbarcati a Lampedusa
CRONACA, NEWSlunedì, 6, aprile, 2020
L’epidemia da coronavirus non ferma le partenze di migranti dalla Libia. Nel pomeriggio ne sono sbarcati a Lampedusa 34, in prevalenza di nazionalità subsahariana, alcuni sono siriani: 11 sono donne, di cui due in stato di gravidanza, e 23 uomini.
“Ho immediatamente firmato una ordinanza sindacale – ha affermato il sindaco, Totò Martello – che prevede che tutte le persone sbarcate siano direttamente trasferite dal Molo Favaloro (dove sono state raggruppate ed assistite da personale fornito di Dispositivi di protezione individuale così come previsto dalle norme sul Coronavirus) all’interno del Centro di Accoglienza, dove resteranno in condizione di quarantena, senza dunque potersi mai allontanare dalla struttura.
Sarà attivo un servizio di controllo per fare in modo che nessuno esca dal Centro, e verrà effettuato un costante monitoraggio dal punto di vista sanitario”. “Vista l’emergenza Coronavirus – conclude Martello – la decisione di porre in quarantena le persone sbarcate sull’isola è necessaria a tutela della salute pubblica e di quella degli stessi migranti: nessuno di loro entrerà in contatto con la popolazione locale”. AGI.IT
Migranti: in 260 assaltano barriera di Melilla
EUROPA UE, NEWSlunedì, 6, aprile, 2020
Almeno 50 migranti sono riusciti ad attraversare la barriera che separa il Marocco dall’enclave spagnola di Melilla, ferendo leggermente un agente. Lo riferisce il capo di stato maggiore della Guardia Civile spagnola il quale ha precisato che “sono stati 260 i migranti che hanno cercato di scavalcare” la barriera di metallo che separa i due confini, “ma solo 53 sono riusciti ad attraversare”.
“Continuiamo a lavorare con il Marocco per evitare questo genere di situazione, non abbassiamo la guardia”, ha detto José Manuel Santiago mentre la Spagna ha mobilitato una gran parte delle sue forze dell’ordine contro la pandemia del nuovo coronavirus che ha provocato finora 13mila morti nel Paese. “Nel loro tentativo, i migranti hanno usato delle pinze e lanciato pietre contro gli agenti”, ha aggiunto Santiago nel confermare che uno di loro è rimasto ferito. ANSAMED
FONTE:http://www.imolaoggi.it/2020/04/06/migranti-in-260-assaltano-barriera-di-melilla/
Belluria
bel-lù-ria
SIGNIFICATO Bellezza appariscente; nello scrivere, eleganza artificiosa
ETIMOLOGIA derivato di bello, su modello di lussuria.
Questa parola poco comune esprime un concetto assolutamente consueto: la belluria è un tipo di bellezza vistosa, pacchiana, che ha ben poco a che vedere con l’eleganza. Ha ovviamente una vocazione ironica, antifrastica: è una parola che, riferita a un’ostentazione di bellezza, la capovolge in vanità, forse anche in volgarità. E lo stesso vale per l’uso specifico che questa parola si è scavata in relazione allo scrivere: le bellurie di un testo sono le sofisticheríe, gli artifici che vengono usati per impreziosirlo – ma che portano come risultato concreto un appesantimento bizantino, una ricercatezza fuori luogo.
Notiamo quindi che si tratta di una parola di significato complesso, contenendo tanto il richiamo alla bellezza quanto la sua negazione, scevra, però, di qualunque aggressività: e parole del genere, sì, impreziosiscono un discorso.
Parola pubblicata il 08 Marzo 2014
FONTE:https://unaparolaalgiorno.it/significato/belluria
Una lingua, una patria, una nazione: l’identità nazionale da Manzoni a Fichte
La “poesia militante” italiana: Manzoni e Berchet
Nell’ode Marzo 1821, scritta proprio nel 1848 in ricordo dei moti carbonari che, un quarto di secolo prima, avevano scosso l’Europa della Restaurazione, accendendo nella penisola le prime speranze di riscatto, Alessandro Manzoni non solo metteva gli italiani di fronte all’alternativa tra la conquista dell’indipendenza («una gente che libera tutta») e il permanere nella sottomissione allo straniero (la servitù «tra l’Alpe ed il mare») ma, soprattutto, descriveva l’Italia, in versi rimasti celebri, come «una d’arme, di lingua, d’altare / di memorie, di sangue e di cor». Il poeta e scrittore milanese introduceva così, in quel componimento patriottico, l’idea di un’identità italiana forgiata dalla comunione in guerra (le armi) e fondata sul possesso di una stessa lingua, sulla condivisione della medesima tradizione religiosa (l’altare) e della medesima storia (le memorie), sull’appartenenza a una stirpe, intesa anche in senso biologico (il sangue), e infine sul sentimento (cuore) di appartenenza a un’unica comunità di destino.
Un’immagine dell’Italia, quella di Manzoni, condivisa da buona parte dell’intellighenzia italiana poiché questo ritratto in chiave patriottica della nazione come realtà vivente basata su un comune lascito di valori, costumi e tradizioni compariva in più luoghi nella letteratura dell’epoca ed era particolarmente enfatizzato, per citare un esempio, nelle poesie di Giovanni Berchet. Dal Giuramento di Pontida del 1829 («Perché ignoti che qui non han padri / qui staran come in proprio retaggio? / Una terra, un costume, un linguaggio / Dio lor anco non diede a fruir?») all’ode successiva All’armi! All’armi! («Su, Figli d’Italia! Su, in armi! Coraggio! / Il suolo qui è nostro / del nostro retaggio») anche Berchet, come il suo concittadino Manzoni, contribuì infatti al canto corale di quella “poesia militante” che fu portavoce delle «speranze di liberazione, di indipendenza dallo straniero [con] un’acuta attenzione per l’idea di una possibile unità della patria» preparando, sul piano culturale, il terreno all’epopea del Risorgimento.
L’alba dell’idealismo tedesco
In Germania, dove la lotta contro le mire egemoniche di Napoleone favoriva la presa di coscienza di un’identità nazionale tedesca, a fornire legittimità culturale a questo processo furono non tanto i letterati quanto i filosofi, in particolare gli esponenti della corrente di pensiero dell’idealismo romantico. L’estremo soggettivismo di questa filosofia era, in termini speculativi, il frutto di un radicale ripensamento della “rivoluzione copernicana” di Kant che aveva trasformato il soggetto umano (l’Io trascendentale) da ordinatore della conoscenza del mondo empirico a creatore di quello stesso mondo come teatro del suo agire e della sua realizzazione quale essere libero e morale. Il soggetto degli idealisti, però, non doveva rimanere isolato in una dimensione astratta e solipsistica, teoretica o pratica che fosse; fattosi “spirito”, era invece chiamato ad agire, al fine di una trasformazione del mondo compatibile con i fini di moralità e di libertà umane, in quelle entità collettive, concretamente in atto nella storia, che erano la società, lo Stato e la nazione.
Fichte e l’identità della Germania
Il primo esponente di spicco dell’idealismo, e il più significativo in relazione all’argomento qui trattato, fu Johann Gottlieb Fichte (1762-1814) il quale, a opere di alta intensità teoretica (come i Fondamenti dell’intera dottrina della scienza), affiancò una copiosa produzione di carattere etico e politico, tra cui spiccava Lo stato commerciale chiuso del 1800, dove prendeva corpo una teoria della pianificazione economica e dell’autarchia commerciale che prefigurava alcune delle politiche adottate oltre un secolo più tardi, in Italia, dal fascismo mussoliniano.
Il tema patriottico, però, era messo a fuoco da Fichte soprattutto nei Discorsi alla nazione tedesca, giudicati «una delle opere più singolari che siano apparse sulla scena filosofica» (L. Pareyson), nella quale «[si sente] battere il cuore stesso della nazione tedesca» (J.P. Richter). Si trattava di quattordici discorsi tenuti all’Accademia berlinese delle scienze nel biennio 1807-1808, in seguito a quella pace di Tilsit che, avendo sancito l’occupazione francese della Prussia dopo le disfatte di Jena e di Auerstädt, rendeva attuale e inderogabile l’esigenza, per gli intellettuali, di farsi portavoce di un riscatto della Germania che passasse attraverso la costruzione, in virtù di un’intensa opera pedagogica, di una nuova (e più solida che in passato) coscienza nazionale.
Nei Discorsi di Fichte si ritrovano così alcuni dei temi cari al Berchet e, in particolare, al Manzoni dell’ode Marzo 1821 (non caso dedicata alla memoria del poeta tedesco Theodor Koerner, caduto in combattimento contro i francesi nel 1813). Come Manzoni anche Fichte, in un testo successivo ai Discorsi e intitolato Sulla guerra di liberazione (scritto nel 1813 in occasione della ripresa delle ostilità tra la Prussia e la Francia napoleonica), identificava infatti nell’esperienza collettiva di lotta contro lo straniero lo strumento attraverso cui «un popolo diventa un popolo [al punto che] chi non è disposto a condurre insieme agli altri la guerra presente [contro i francesi] non potrà venire incorporato nel popolo tedesco» .
La lingua dell’Urvolk
Il cuore della riflessione fichtiana sull’idea di nazione era, però, quello della lingua (un tema presente, come si è visto, anche nell’ode manzoniana del 1848). L’interesse per la linguistica era infatti diffuso nella cultura tedesca tra XVIII e XIX secolo, grazie soprattutto ai lavori di Wilhelm von Humboldt (1767-1835), secondo il quale la diversità delle lingue non era soltanto una varietà esteriore di “suoni” e di “segni”, bensì era radicata in qualcosa di più profondo, in un’eterogeneità di “visioni del mondo” riconducibili alle differenze storiche e spirituali tra i popoli. La lingua che interessava a Fichte era ovviamente quella tedesca, intesa come “carattere fondamentale” della nazione capace di spiegare la peculiarità dei tedeschi tra gli altri popoli d’Europa. Il filosofo, per individuare la specificità dell’idioma nazionale, risaliva fino agli albori della storia tedesca: «Alla mia voce si associa quella dei vostri avi dalla più remota antichità», scriveva nei Discorsi, «[…] giacché se era destino che la latinità assorbisse i popoli germanici, meglio essere distrutti da quella antica che da questa odierna. Tenemmo testa a quella e la vincemmo» . Fichte evocava, dunque, l’antica contrapposizione tra Roma e i germani che, ben prima del dilagare dei barbari nell’impero d’Occidente tra IV e V secolo, aveva visto, in età augustea, gli antenati dei tedeschi annientare l’esercito imperiale a Teutoburgo, in una battaglia il cui esito avrebbe per secoli cristallizzato sul Reno lo spartiacque tra mondo latino e mondo germanico.
Il ritorno a un passato così remoto serviva comunque a Fichte per giustificare l’identificazione dei tedeschi con l’Urvolk, un mitico “popolo originario” che, avendo conservato la propria libertà da Roma ed essendo rimasto esente dalla contaminazione con la lingua latina, aveva conservato, a differenza per esempio dei francesi, il proprio idioma nella sua ancestrale purezza. I tedeschi, quindi, erano gli unici tra gli europei a potersi considerare popolo (Volk) nel senso vero e proprio del termine. Questa «rivendicazione di un’identità specificamente tedesca» si fondava, dunque, sul fatto che la nazione germanica appariva a Fichte «tagliata fuori dalla storia [nel senso di una sua sostanziale estraneità al cammino “romano”, “francese” e “cattolico” della civiltà europea occidentale], pura e primordiale per la sua lingua incontaminata e per la [sua] forza vitale», nel quadro di una gerarchia di valori tipicamente idealistica che vedeva «al primo posto l’Eterno (la libertà assoluta […]), poi la nazione come “involucro dell’eterno” e infine lo Stato», relegato nel ruolo secondario di strumento al servizio della nazione medesima .
La missione storica della Germania
Ripensando alla secolare frammentazione politica della Germania (per tanti versi analoga a quella italiana), Fichte poteva sostenere, nei Discorsi, che presso i tedeschi Stato e nazione erano due entità distinte, nella misura in cui lo Stato si identificava nella miriade di regni e principati tedeschi (a stento tenuti insieme dal sempre più fragile involucro del Sacro romano impero), laddove la nazione era rappresentata «in una quantità di tradizioni e istituzioni che valevano grazie a un diritto non scritto ma vivo in tutti gli animi», al punto che in tutta l’area in cui si parlava la lingua tedesca «chiunque vi nasceva poteva considerarsi cittadino sia del suo Stato [il regno o il principato territoriale] sia dell’intera patria comune di nazione tedesca».
L’identità di un popolo dipendeva dunque, in Fichte, fondamentalmente dalla sua lingua, in quanto «la lingua assiste ogni uomo nel suo pensare e nel suo volere, lo accompagna nelle più recondite profondità del suo spirito, lo limita o gli dà ali, secondo i casi: […] unisce tutti gli uomini che la parlano e ne fa un solo e comune intelletto [ed] è il punto di contatto tra il mondo dei sensi e il mondo dello spirito». Si capisce, allora, perché Fichte abbia posto una tale enfasi sulla lingua tedesca (l’idioma del “popolo originario” che «vive fin nell’intimo dove sgorga dalle forze naturali» ) proprio in quei Discorsi nei quali affidava alla Germania la missione di redimersi dal dominio straniero e, nel riconoscimento di un suo “primato morale” tra le nazioni, le assegnava il compito di guidare l’intero genere umano nel suo cammino di progresso verso la moralità e la libertà.
FONTE:https://www.ilprimatonazionale.it/cultura/lingua-patria-nazione-identita-manzoni-fichte-152105/
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
NOTIZIE DAI SOCIAL WEB
CONTROLLANO TUTTO QUELLO CHE POSTO X USARLO CONTRO DI ME?
ME NE STRAFOTTO. FINCHE’ SARA’ POSSIBILE POSTERO’ TUTTO QUELLO CHE PENSO POSSA ESSERE UTILE SAPERE. E ME NE STRAFOTTO ANCHE DEI LIKE.
Gianmario Luigi Ferramonti – 5 APRILE 2020
5G ARMA MILITARE
LE FREQUENZE SONO REGOLABILI
Vanno dai 30 GHz ai 300 GHz e 24 volte più potente del 4G‼️
A 98 GHz viene usato dai militari per allontanare le e disperdere le folle in rivolta.. Adesso possiamo solo immaginare seviene aumentata fino a 300 GHz😬 queste onde nanometriche potentissime possono
friggere un essere umano in un nanosecondo
Gli esperti militari prevedono che il 5G avrà un ruolo determinante nell’uso delle armi ipersoniche: missili, armati anche di testate nucleari, che viaggiano a velocità superiore a Mach 5 (5 volte la velocità del suono).
L’uso militare nascosto della tecnologia 5G
L’Arte della guerra.
Le implicazioni militari del 5G sono quasi del tutto ignorate poiché anche i critici di tale tecnologia, compresi diversi scienziati, concentrano la loro attenzione sugli effetti nocivi per la salute e l’ambiente a causa dell’esposizione a campi elettromagnetici a bassa frequenza.
Impegno questo della massima importanza, che deve però essere unito a quello contro l’uso militare di tale tecnologia, finanziato indirettamente dai comuni utenti
Al Summit di Londra i 29 paesi della Nato si sono impegnati a «garantire la sicurezza delle nostre comunicazioni, incluso il 5G».
Perché questa tecnologia di quinta generazione della trasmissione mobile di dati è così importante per la Nato?
Mentre le tecnologie precedenti erano finalizzate a realizzare smartphone sempre più avanzati, il 5G è concepito non solo per migliorare le loro prestazioni, ma principalmente per collegare sistemi digitali che hanno bisogno di enormi quantità di dati per funzionare in modo automatico.
Le più importanti applicazioni del 5G saranno realizzate non in campo civile ma in campo militare.
Quali siano le possibilità offerte da questa nuova tecnologia lo spiega il rapporto Defense Applications of 5G Network Technology, pubblicato dal Defense Science Board, comitato federale che fornisce consulenza scientifica al Pentagono:
«L’emergente tecnologia 5G, commercialmente disponibile, offre al Dipartimento della Difesa l’opportunità di usufruire a costi minori dei benefici di tale sistema per le proprie esigenze operative».
In altre parole, la rete commerciale del 5G, realizzata da società private, sarà usata dalle forze armate statunitensi con una spesa molto più bassa di quella che sarebbe necessaria se la rete fosse realizzata unicamente a scopo militare.
Gli esperti militari prevedono che il 5G avrà un ruolo determinante nell’uso delle armi ipersoniche:
missili, armati anche di testate nucleari, che viaggiano a velocità superiore a Mach 5 (5 volte la velocità del suono).
Per guidarli su traiettorie variabili, cambiando rotta in una frazione di secondo per sfuggire ai missili intercettori, occorre raccogliere, elaborare e trasmettere enormi quantità di dati in tempi rapidissimi.
Lo stesso è necessario per attivate le difese in caso di attacco con tali armi: non essendoci il tempo per prendere una decisione, l’unica possibilità è quella di affidarsi a sistemi automatici 5G.
La nuova tecnologia avrà un ruolo chiave anche nella battle network (rete di battaglia).
Essendo in grado di collegare contemporaneamente in un’area circoscritta milioni di apparecchiature ricetrasmittenti, essa permetterà ai reparti e ai singoli militari di trasmettere l’uno all’altro, praticamente in tempo reale, carte, foto e altre informazioni sull’operazione in corso.
Estremamente importante sarà il 5G anche per i servizi segreti e le forze speciali. Renderà possibili sistemi di controllo e spionaggio molto più efficaci di quelli attuali.
Accrescerà la letalità dei droni-killer e dei robot da guerra, dando loro la capacità di individuare, seguire e colpire determinate persone in base al riconoscimento facciale e altre caratteristiche.
La rete 5G, essendo uno strumento di guerra ad alta tecnologia, diverrà automaticamente anche bersaglio di ciberattacchi e azioni belliche effettuate con armi di nuova generazione. Oltre che dagli Stati uniti, tale tecnologia viene sviluppata dalla Cina e altri paesi.
Il contenzioso internazionale sul 5G non è quindi solo commerciale. Le implicazioni militari del 5G sono quasi del tutto ignorate poiché anche i critici di tale tecnologia, compresi diversi scienziati, concentrano la loro attenzione sugli effetti nocivi per la salute e l’ambiente a causa dell’esposizione a campi elettromagnetici a bassa frequenza.
Impegno questo della massima importanza, che deve però essere unito a quello contro l’uso militare di tale tecnologia, finanziato indirettamente dai comuni utenti.
Una delle maggiori attrattive, che favorirà la diffusione degli smartphone 5G, sarà quella di poter partecipare, pagando un abbonamento, a wargames di impressionante realismo in streaming con giocatori di tutto il mondo.
In tal modo, senza rendersene conto, i giocatori finanzieranno la preparazione della guerra.
Ps. La foto nel post è stata aggiunta da me per spiegare meglio le frequenze della morte 5G.
FONTE:https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=545425426108219&id=100019222992721
PANORAMA INTERNAZIONALE
di Giampiero Di Santo – 01/11/2019 RILETTURA
Donald Trump ci prova anche con l’Italia. Fallito in parte l’obiettivo di portare immediatamente dalla sua parte commerciale il Regno unito che si appresta a uscire dall’Unione europea e minacciata Londra di mancata conclusione di un accordo bilaterale con gli Stati Uniti nel caso di un sì del parlamento all’intesa sulla Brexit raggiunta tra il presidente della commissione Ue, il numero uno della Casa bianca pensa che Roma starebbe meglio se uscisse dall’Europa: Nel corso di un colloquio a mezzo stampa con il leader del Brexit party Nigel Farage, Trump, a proposito dell’intesa tra Bruxelles e Londra che di fatto ritarda l’uscita del Regno unito e crea comunque un’unione doganale, ha detto a Farage: “Siete bloccati dalla Ue come lo sono altri paesi. Anche l’Italia e altri Stati starebbero molto meglio senza l’Unione europea. Ma se questi paesi vogliono rimanere nella Ue, va bene”. Parole seguite però da un chiaro invito rivolto in generale a tutti gli interessati a raccoglierlo: “Sappiate che in Europa governano persone con le quali è molto difficile negoziare, mentre con me sarebbe tutto più facile: faremmo subito un grande accordo commerciale”, ha detto Trump. Che metterebbe indubbiamente a segno un grande colpo se riuscisse a separare i destini di Roma e Londra da quelli di Bruxelles e a legarli ancora di più agli interessi politici e commerciali di Washington. Certo è che il presidente Usa non ha mai parlato di ciò con il governo di Roma o con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ricevuto a Washington al principio di ottobre. Né ufficialmente se ne è parlato con il presidente del consiglio, Giuseppe Conte e in occasione della visita del segretario di stato Mike Pompeo in Italia. Fatto sta che l’uscita dall’Ue, o almeno dall’euro, è stata uno dei cavalli di battaglia della Lega e anche del M5s, che nei primi mesi del governo gialloverde e nel corso della campagna elettorale che precedette la nascita di quell’esecutivo, tentarono di lanciare Paolo Savona, economista euroscettico e contrario alla moneta unica, come ministro dell’Economia. Operazione poi bloccata da Mattarella, che pose il veto sul nome di Savona, ora presidente della Consob. Adesso è Trump stesso a scendere in campo apertamente. Con prudenza, però, come dimostra la frase “ma se questi paesi vogliono rimanere nell’Ue, va bene” pronunciata dal presidente Usa nel corso del colloquio con farage. Certo è che la sortita del tycoon Usa non è piaciuta al leader di Italia Viva, Matteo Renzi, che ha dichiarato via Facebook: Il presidente Trump dice alla radio che l’Italia starebbe meglio fuori dall’Unione Europea. Sono orgoglioso della mia identità italiana, del mio cuore fiorentino, delle mie radici. Ma sono altrettanto fiero di essere cittadino europeo. Chi vuole l’Italia fuori dall’Europa non vuole il bene del nostro paese”.
FONTE:https://www.italiaoggi.it/news/trump-invita-l-italia-a-uscire-dall-unione-europea-201911011535003445
Il report sulle violazioni dei diritti umani negli Stati Uniti nel 2019
18 Marzo 2020 07:57 Internazionale – Stati Uniti e Canada
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Come ogni anno l’Ufficio d’informazione del Consiglio di Stato della Repubblica popolare cinese pubblica il report sulle violazioni dei diritti umani negli Stati Uniti. Questo testo è molto interessante perché costruito solo ricorrendo a fonti statunitensi.
da: https://www.globaltimes.cn
traduzione di Marco Pondrelli per Marx21.it
Premessa
“Abbiamo mentito, abbiamo imbrogliato, abbiamo rubato … Ti ricorda la gloria dell’esperimento americano”, ha detto il Segretario di Stato americano Mike Pompeo in un discorso del 15 aprile 2019.
Le osservazioni dei politici statunitensi hanno completamente smascherato la loro ipocrisia di adottare due pesi e due misure in materia di diritti umani e di usarli per mantenere l’egemonia.
Gli Stati Uniti sostengono di essere fondati sui diritti umani, affermando di difenderli a livello mondiale. Seguendo un quadro della propria ristretta comprensione dei diritti umani e usando i propri interessi fondamentali per perseguire l’egemonia globale come metro di valutazione, gli Stati Uniti pubblicano annualmente rapporti sui diritti umani di altri paesi, mettendo insieme insinuazioni e dicerie. Questi rapporti distorcono e sminuiscono la situazione dei diritti umani in paesi e regioni che non sono si conformano agli interessi strategici degli Stati Uniti, ma fanno finta di non sentire e di non vedere le persistenti, sistematiche e vaste violazioni dei diritti umani negli Stati Uniti.
Questo rapporto si basa su una serie di dati pubblicati, rapporti e ricerche. I fatti dettagliati nel rapporto dimostrano che negli ultimi anni, soprattutto dal 2019, la situazione dei diritti umani negli Stati Uniti si sta deteriorando.
Gli Stati Uniti sono il Paese con la maggiore violenza armata del mondo. Il numero di uccisioni di massa negli Stati Uniti ha raggiunto il record di 415 nel 2019, con più di una per ogni giorno dell’anno. In totale 39.052 persone sono morte per violenza da armi da fuoco negli Stati Uniti nel 2019. Una persona viene uccisa con una pistola negli Stati Uniti ogni 15 minuti. “Questa sembra essere l’era delle sparatorie di massa”, ha commentato USA Today.
Le elezioni sono diventate un gioco da soldi per i ricchi. La spesa per le elezioni del Congresso del 2018 ha superato i 5,7 miliardi di dollari, rendendo la battaglia per il controllo della Camera e del Senato la più costosa di sempre. Nel 2018 i 10 maggiori donatori individuali hanno versato più di 436 milioni di dollari ai Super PACs (comitati di azione politica) nelle elezioni di metà mandato. La corsa per raccogliere fondi per le elezioni presidenziali del 2020 si sta riscaldando. I candidati hanno raccolto più di 1,08 miliardi di dollari per le elezioni.
Gli Stati Uniti hanno la più grave polarizzazione tra ricchi e poveri tra i paesi sviluppati. L’indice Gini è cresciuto a 0,485 nel 2018, il livello più alto degli ultimi 50 anni. Il 10 per cento delle famiglie più ricche degli Stati Uniti controlla quasi il 75 per cento del patrimonio netto delle famiglie. Il 50 per cento inferiore ha visto sostanzialmente zero guadagni netti di ricchezza dal 1989 al 2018.
Gli Stati Uniti sono attualmente l’unico paese sviluppato in cui milioni di persone soffrono la fame. C’erano 39,7 milioni di persone che vivevano in povertà negli Stati Uniti, secondo i dati dell’U.S. Census Bureau pubblicati nel 2018. In una sola notte dell’anno precedente, più di mezzo milione di americani non avevano un rifugio permanente. Ci sono stati 65 milioni di adulti che hanno scelto di non farsi curare per un problema medico a causa del costo.
I crimini di odio razziale negli Stati Uniti hanno sconvolto il mondo. La supremazia bianca negli Stati Uniti ha mostrato una tendenza alla rinascita. La maggior parte degli arresti per terrorismo domestico sono stati collegati alla violenza della supremazia bianca. Un uomo bianco ha aperto il fuoco e ha ucciso 22 persone in un supermercato Walmart a El Paso, Texas. Il suo movente era l’odio verso gli ispanici. Si è detto che “gli Stati Uniti sono sempre stati nel bel mezzo di una crisi terroristica nazionalista bianca”.
Sparatorie e brutali abusi su afroamericani da parte dei poliziotti sono frequenti. Gli adulti afroamericani hanno 5,9 volte più probabilità di essere incarcerati rispetto agli adulti bianchi. Un relatore speciale delle Nazioni Unite ha definito tali disparità razziali un’eredità della schiavitù e della segregazione razziale.
Il divario razziale in termini di occupazione e ricchezza è impressionante. Negli ultimi 40 anni, i lavoratori di origine africana hanno costantemente sopportato un tasso di disoccupazione circa doppio rispetto ai loro omologhi bianchi. La ricchezza tipica di una famiglia bianca è quasi 10 volte superiore a quella degli afroamericani. Se le tendenze attuali continuano, potrebbero volerci più di 200 anni prima che la famiglia media di origine africana accumuli la stessa quantità di ricchezza dei suoi omologhi bianchi.
L’intolleranza religiosa continua a deteriorarsi. I sondaggi del Pew Research Center hanno mostrato che circa l’82% degli intervistati afferma che i musulmani sono soggetti ad almeno una certa discriminazione negli Stati Uniti. Circa il 64 per cento dice che gli ebrei sono soggetti ad almeno una certa discriminazione negli Stati Uniti. Gli estremisti ispirati dall’ideologia fondamentaliste sono stati responsabili di 249 incidenti antisemiti nel 2018. Un rapporto dell’ONU ha rilevato l’eccezionalità degli incidenti antisemiti violenti negli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti hanno la situazione più pericolosa per le donne tra i Paesi ad alto reddito. Nel 2015, uno stupefacente 92% di tutte le donne uccise con armi da fuoco in questi Paesi proveniva dagli Stati Uniti. Le donne negli Stati Uniti avevano 21 volte più probabilità di morire per omicidio da arma da fuoco rispetto alle donne delle nazioni pari. Ogni mese in media 52 donne sono state uccise dal proprio partner. Fino al 70 per cento delle donne statunitensi ha subito violenze fisiche o sessuali da parte del partner nel corso della propria vita.
La povertà infantile è un problema scioccante. Circa 12,8 milioni di bambini americani vivono in povertà e un totale di 3,5 milioni di bambini sotto i cinque anni sono poveri, di questi 1,6 milioni vivono in condizioni di estrema povertà. “Nessun bambino dovrebbe preoccuparsi della provenienza del suo prossimo pasto o se avrà un posto dove dormire ogni notte nella nazione più ricca della Terra”, ha commentato il Children’s Defense Fund in un rapporto, aggiungendo che ancora “circa un bambino su cinque in America vive in povertà e affronta queste dure realtà ogni giorno”.
La povertà tra gli anziani sta diventando sempre più grave. Un anziano su 12 dai 60 anni in su – 5,5 milioni di persone – non ha cibo sufficiente. Circa il 40 per cento degli americani della classe media potrebbe vivere sulla soglia della povertà o in povertà quando raggiunge i 65 anni.
Il trattamento che il governo americano riserva agli immigrati è diventato sempre più duro e disumano. La politica della “tolleranza zero” ha causato la separazione di molti bambini dalle loro famiglie. Le autorità statunitensi per l’immigrazione hanno separato più di 5.400 bambini dai loro genitori al confine con il Messico dal luglio 2017. Un totale di 24 immigrati, tra cui sette bambini, sono morti sotto la custodia degli Stati Uniti dal 2018.
Gli Stati Uniti sono “la nazione più bellicosa della storia del mondo”. Gli Stati Uniti hanno speso 6,4 trilioni di dollari per le guerre che hanno lanciato dal 2001, che hanno causato più di 800.000 morti e hanno prodotto decine di milioni di sfollati.
I. Diritti civili e politici solo di nome
Gli Stati Uniti si presentano come “terra di libertà” e “faro di democrazia”, ma è solo qualcosa di immaginario che inganna il popolo e il mondo. La mancanza di controlli nel diritto di detenere armi ha portato a una violenza dilagante, mettendo in serio pericolo la vita dei cittadini e la sicurezza delle proprietà. Il peggioramento della politica monetaria distorce l’opinione pubblica e rende le cosiddette elezioni democratiche un gioco per i ricchi.
La politica ha portato alla proliferazione delle armi. La produzione, la vendita e l’uso delle armi negli Stati Uniti è un’enorme catena industriale, che forma un enorme gruppo di interesse. Gruppi di interesse come la National Rifle Association hanno fatto grandi donazioni politiche per le elezioni presidenziali e congressuali. Gli svantaggi intrecciati nella politica dei partiti, nella politica elettorale e nella politica monetaria rendono difficile per le autorità legislative ed esecutive fare qualcosa per il controllo delle armi, permettendo solo un deterioramento della situazione. Secondo un rapporto dei media online statunitense dell’11 dicembre 2019, gli Stati Uniti hanno molte più armi di qualsiasi altro Paese e nel 2017 il numero stimato di armi da fuoco di proprietà civile negli Stati Uniti era di 120,5 armi ogni 100 residenti, il che significa che c’erano più armi che persone. Un rapporto del 20 novembre 2019 sul sito web del Center for American Progress dice che una persona viene uccisa con una pistola negli Stati Uniti ogni 15 minuti, citando le cifre relative alle morti per arma da fuoco dal 2008 al 2017. In totale 39.052 persone sono morte per violenza da armi da fuoco negli Stati Uniti nel 2019.
Le sparatorie di massa si sono susseguite una dopo l’altra. Gli Stati Uniti sono il Paese con la peggiore violenza da armi da fuoco al mondo. Le frequenti sparatorie di massa sono diventate un tratto distintivo degli Stati Uniti. Citando i dati del Gun Violence Archive (GVA) , l’edizione online di The Mirror ha riportato il 30 dicembre 2019 che il numero di sparatorie di massa negli Stati Uniti ha raggiunto il record di 415 nel 2019, più di una per ogni giorno dell’anno. Rispetto ai 337 del 2018, 346 del 2017, 382 del 2016, 335 del 2015 e 269 del 2014, il primo anno in cui il VGV ha tenuto i dati. Le tre peggiori sparatorie americane del 2019 hanno avuto luogo a El Paso, Texas, Virginia Beach, e Dayton, Ohio, ed hanno ucciso rispettivamente 22, 12 e 9 persone. “Questa sembra essere l’era delle sparatorie di massa”, ha commentato USA Today in un rapporto online.
Il numero dei crimini violenti è allarmante. Il rapporto “Crime in the United States, 2018”, pubblicato dal Federal Bureau of Investigation (FBI) nel 2019, ha mostrato che nel 2018 si stima che a livello nazionale siano stati commessi 1.206.836 crimini violenti, tra cui 16.214 omicidi, 139.380 stupri, 282.061 rapine e 807.410 aggressioni aggravate. Il rapporto “Criminal Victimization, 2018” pubblicato dal Bureau of Justice Statistics nel 2019 ha mostrato che il numero di vittime di crimini violenti di età pari o superiore ai 12 anni negli Stati Uniti è stato di 3,3 milioni nel 2018, in aumento per tre anni consecutivi.
La sicurezza delle persone è a rischio. Il rapporto “Crime in the United States, 2018” pubblicato dall’FBI ha mostrato che nel 2018 ci sono stati circa 7.196.045 reati contro la proprietà nella nazione, con un tasso di reati contro la proprietà stimato a 2.199,5 per 100.000 abitanti. I reati contro il patrimonio nel 2018 hanno comportato perdite stimate in 16,4 miliardi di dollari. Tra i reati contro il patrimonio sono stati stimati 748.841 furti di veicoli a motore e 1.230.149 furti con scasso. Il tasso stimato di furti di veicoli a motore è
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MAFIA E GERMANIA RINGRAZIANO
COMUNICATO N. 8 DEL 01-04-2020 MAFIA E GERMANIA RINGRAZIANO
Le scelte politiche del governo italiano di bloccare l’economia senza sostenere famiglie e aziende, mentre la Germania e altri paesi le sostengono fortemente con denaro fresco, avvantaggiano non solo il capitalismo nord-europeo che, dotandosi di liquidità abbondante può fare shopping nell’Italia in svendita per bisogno, ma anche ed enormemente le varie mafie nostrane.
Il procuratore generale antimafia dr Federico Cafiero De Raho ieri ha dichiarato che le mafie già iniziano ad approfittare della crisi finanziaria causata dal blocco economico, offrendo alle famiglie e alle imprese i sostegni che il governo non offre, e così da un lato rafforzano il loro legame anche elettorale con la società, e dall’altro si impadroniscono dell’economia. In tal modo esse aumenteranno notevolmente il loro potere politico sulle istituzioni e sul governo stesso. Un potere che già hanno, da decenni, perché controllano buona parte del voto elettorale di circa un terzo del Paese.
Le scelte del governo di non creare e di non immettere liquidità nell’economia, di lasciarla cadere in ginocchio, fanno pertanto contente le due principali forze politicamente dominanti in Italia: le mafie, la grande criminalità organizzata, da una parte; e, dell’altra, la Germania, con la cupola finanziaria europea.
Se è sostenuta da queste due grandi forze, la politica di questo governo potrà andare avanti sino alle estreme conseguenze, all’estremo impoverimento del Paese e alla sua completa sottomissione. La lottizzazione dell’Italia potrebbe finire così: il Nord sotto il capitalismo renano, il Sud in mano alla mafia.
FONTE:http://marcodellaluna.info/sito/2020/04/01/mafia-e-germania-ringraziano/
SCIENZE TECNOLOGIE
5G E CORONAVIRUS: PREOCCUPATEVI DELLA RESPIRAZIONE, NON DELLA COSPIRAZIONE
Nemmeno le “scie chimiche” erano riuscite a seminare tanto panico.
La storia che il coronavirus sia causato dal 5G ha spiazzato tutti e innescato una pandemia di idiozie, rimbalzate da una casa all’altra grazie alla condivisione di video e documenti tanto sbalorditivi quanto inattendibili.
Le tecnologie di comunicazione di quinta generazione (ecco il significato della sigla misteriosa per i non addetti ai lavori) possono non essere simpatiche, ma i motivi per i quali sia giustificabile una profonda avversione non sono certo riconducibili al coronavirus.
Il 5G – che senza dubbio ha molto appeal sotto il profilo scientifico – può avere (e ha) controindicazioni tecnologiche ed economiche ma con la diffusione del COVID-19 è da escludere qualsivoglia responsabilità.
Il passaggio alle più moderne e veloci soluzioni di comunicazione digitale pone in condizione di sudditanza quei Paesi (come l’Italia) che non hanno avuto un ruolo di sviluppo e di produzione in quel settore, trovandosi ora a subire ogni diktat commerciale e tecnico.
I “padroni” di quelle tecnologie possono filtrare il traffico veicolato attraverso gli apparati di loro produzione, estrarne indebitamente il contenuto (audio, video e dati), possono “dossierare” chiunque senza lasciare traccia, hanno modo di girare l’immaginario “interruttore” che spegne ogni flusso di comunicazione, hanno indiscussa facoltà di paralizzare l’intero pianeta interrompendo il dialogo digitale che tiene in piedi le infrastrutture critiche (energia, TLC, trasporti, sanità e finanza). Ma queste “mostruose” entità non hanno colpe a proposito della nascita e della propagazione del coronavirus, nonostante una valanga di video cerchino di testimoniare la fondatezza dell’ennesimo complotto.
Filmati di sedicenti esperti, di personaggi “che me l’ha detto un amico che certe cose le sa”, di sadici torturatori della sensibilità dei meno “vaccinati” alle bufale multimediali, si sono ammonticchiati nei social media (da Youtube a Vimeo, a Dailymotion…) e hanno speditamente invaso i canali di messaggistica istantanea (WhatsApp, Telegram, Signal) ottenendo una preoccupante capillarità.
I messaggi – estremamente assertivi – proclamano una diretta connessione tra 5G e COVID-19 e fanno presa su chi, anziché cercare di informarsi in maniera “tradizionale”, si lascia trascinare dalla piena che sui social è frutto della tracimazione della stracolma diga della “disinformatia”.
Non si conoscono ancora i danni o le conseguenze nocive alla salute delle radiofrequenze del 5G, ma è certo che servirà tempo per studiarne i problemi, valutarne i rischi, trovarne sistemi contenitivi, ridurne la pericolosità… E comunque il 5G con il coronavirus – per dirla con Antonio Di Pietro – “che c’azzecca?”
Youtube ha messo al bando i video in cui si espongono le bizzarre teorie dei cospiratori a questo proposito, anche perché la diffusione di certe immagini ha scatenato attacchi vandalici ad impianti di telefonia mobile. L’assalto alle antenne delle BTS (le stazioni base, o ponti radio) è il primo risultato della reazione ipnotica di persone che hanno reagito in maniera violenta alle sollecitazioni di imprecisati predicatori del complotto hi-tech.
Si potrebbero portare mille esempi di farneticazioni online. Ma forse basta quella del tizio che sosteneva di essere un ex-dirigente di una compagnia telefonica britannica e che ha terrorizzato – prima che il suo video venisse rimosso – una infinità di utenti. L’inqualificabile soggetto (che naturalmente non corrisponde ad alcun manager – presente o passato – delle TLC del Regno Unito) ha vigorosamente sostenuto una serie di allucinanti falsità tra cui il fatto che i test del coronavirus erano utilizzati al mero scopo di diffondere il contagio e che la pandemia era stata creata per nascondere le morti determinate dagli effetti della tecnologia mobile.
Le incursioni – che, oltre Manica, hanno portato alla devastazione di quattro strutture trasmissive di Vodafone nel giro di ventiquattr’ore – potrebbero essere solo l’inizio di una serie di azioni sconsiderate, innescate dalla irrefrenabile condivisione di file multimediali frutto di menti criminali con l’obiettivo di destabilizzare equilibri psicologici e sociali già sufficientemente compromessi.
Sarebbe meglio se la gente si preoccupasse di respirare, non di cospirare.
FONTE:https://www.infosec.news/2020/04/06/editoriale/5g-e-coronavirus-preoccupatevi-della-respirazione-non-della-cospirazione/
Barnard: nessuna certezza da tamponi e test sierologici
Allora, facciamo “non-chiarezza” sui tamponi e sui test per il Cov-2. Non è una battuta, perché nella scienza c’è una confusione tremenda, su questi test, e voi cittadini dovete assolutamente sapere le cose, per essere informati su cosa vi fanno. Ho fatto una raccolta dei dati affidabili, nella più alta letteratura scientifica possibile (”New England Journal of Medicine”, “The Lancet”, “Science”, “Mit Technology Review”), e cerco si spiegarmi nella maniera più semplice. I test per rilevare il Cov-2 (che è il nome del virus) e la Covid-19 (che è il nome della malattia) sono due: il tampone, nasale o laringo-faringeo, e l’esame del siero sanguigno. I tamponi sono validi per trovare il Cov-2 attivo nella persona “adesso”; perché, sul tampone, viene fatto l’esame Rt-Pcr, che rileva i pezzi di Rna virale, specifici proprio del Cov-2; poi li amplifica, e li vede con una buona precisione, al netto di qualche possibile errore. Quindi, un tampone Rt-Pcr “positivo” ti dice che hai il virus “adesso”; ma se tu l’hai avuto in passato, la Rt-Pcr non lo vede più, e dà “negativo”. Può sembrare una buona notizia, ma invece c’è un grosso problema. Un soggetto che esce “negativo”, dal tampone, non sarà mai se, in passato, ha avuto il contagio, oppure no. Quindi non saprà mai se in questo momento è immune, o no. In soldoni, essere “negativi” all’Rt-Pcr ci dice per certo che non siamo spargitori di contagi “adesso”, a non ci assicura che domani non ci contageremo.
Per capire se uno è mai stato contagiato, e se ha sviluppato la famosa immunità, va fatto l’esame sierologico (l’esame del sangue). Ma, anche qui, le cose non sono sicure – per niente. I test sierologici del momento, se l’esito è “positivo” rilevano di sicuro la presenza, nel soggetto, di anticorpi ai coronavirus – che sono una classe, una famiglia di virus molto noti, che possono procurare problemi che vanno dal semplice raffreddore alla Sars. Ma i test sierologici hanno difficoltà a rilevare con precisione proprio gli anticorpi specifici, relativi al solo Cov-2. E questo è il grande problema. C’è una gara frenetica, fra le “biotech corporations”, per produrre oggi un test sierologico che sia totalmente affidabile, in questo – cioè: che, di certo, risponda solo agli anticorpi del solo Cov-2. Infatti, nessuno dei test sierologici in circolazione dà questa certezza. Si parla di possibili errori: potrebbero dirti che sei “positivo al Cov-2″, mentre in realtà sei “positivo” a qualsiasi altro coronavirus. Nei test, si parla di errori in percentuali rilevanti, dal 20% in su. Il problema è quello della “cross reactivity”, cioè: nel coronavirus del raffreddore, in quello della Sars e in quello del Cov-2, gli aminoacidi delle “spike” che spuntano dai virus (la loro “corona”), sono identici al 60-70%, per cui il sistema immunitario si sbaglia facilmente.
I problemi del test sierologico, poi, non finiscono qui. Se risulti “positivo” agli anticorpi ma stai bene, non sai se sei ancora infettivo o meno. Quindi è difficile dirti: «Tu non sei più un pericolo per gli altri, torna pure a lavorare». Né sai se sei “positivo” agli anticorpi, se per caso sei a poche ore dallo scoppio della malattia. Solo l’essere “positivo” al test sierologico e stare bene (ma da lungo tempo) ti dice che, probabilmente, sei diventato immune. Ma ancora non si sa quanto duri, un’immunità al Cov-2: in letteratura scientifica c’è chi dice che duri solo un mese, c’è chi dice di più (non si sa). Infine, se sei nei primi giorni del contagio – cioè: ti sei infettato ieri sera, e oggi pomeriggio fai l’esame sierologico – l’esame non vede ancora gli anticorpi, perché il sistema immunitario ci mette del tempo, a comparire sulla scena. Quale sarebbe, allora l’ideale? Sarebbe: risultare “positivi” al test sierologico, ma “negativi” al tampone Rt-Pcr. Spiego: col test sierologico “positivo” sai che sei stato esposto a un coronavirus (e speri che sia questo Cov-2, e non un altro), ma una Rt-Pcr “negativa” ti dice – di certo, o quasi – che non l’hai più. Al momento, purtroppo, le cose stanno così. Certezze assolute non ce ne sono: zero.
Oggi, poi, c’è una corsa frenetica ad approvare dei test (sia tamponi, che esami sierologici) che vadano di fretta. Però, più vanno in fretta, e meno sono accurati – cioè: non c’è “validation”, come si dice in termini scientifici. Pensate che una Rt-Pcr fatta bene ci mette delle ore; e va ripetuta due volte, per avere due “positivi” (o due “negativi”) consecutivi. Quindi occorrono giorni, per avere il risultato. Quanto ai test sierologici, abbiamo visto i problemi che hanno. Quando vi dicono che stanno uscendo questi kit che in 5 minuti rivelano se hai il coronavirus o no, vi raccontano delle clamorose balle. Questi kit non sono affidabili, e non lo saranno fino a che la tecnologia non sarà andata molto avanti. Questo è lo stato delle cose, ora ne siete informati. Mi dispiace non potervi tranquillizzare di più, ma questa è la situazione.
(Paolo Barnard, “Facciamo la non-chiarezza su tamponi e test Cov-2″, video pubblicato su YouTube il 5 aprile 2020 e ripreso da “Come Don Chisciotte“).
VIDEO QUI: https://youtu.be/kAwdaivo8AI
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FONTE:https://www.libreidee.org/2020/04/barnard-nessuna-certezza-da-tamponi-e-test-sierologici/
STORIA
Al Capone arrivò al potere grazie a una micidiale combinazione di astuzia e violenza bruta. Desiderava che l’opinione pubblica l’adorasse e che coloro i quali usassero contraddirlo, dovessero fare una brutta fine. Per lui l’omicidio era una consuetudine, una consuetudine che lo fece diventare il re del crimine organizzato di Chicago. Al Capone non era uno sciocco, se fosse stato una persona onesta sarebbe potuto diventare un importante imprenditore, ma come re dell’alcool durante il proibizionismo, non solo divenne più celebre di qualsiasi altro uomo d’affari, ma divenne anche il più famoso gangster del mondo.
Alphonse Gabriel “Al” Capone, nacque a New York il 17 gennaio 1899 ed era l’ultimo dei nove figli dei suoi genitori, i quali avevano nutrito molte speranze per la famiglia quando lasciarono l’Italia per gli Stati Uniti. Suo padre, Gabriele Capone era un barbiere nativo di Castellammare di Stabia in provincia di Napoli, mentre sua madre, Teresa Raiola, era una sarta nativa di Angri, in provincia di Salerno. Ma quando si stabilirono nel quartiere newyorchese di Brooklyn, si scontrarono con la dura realtà. Vissero prima nel rione malfamato di Navy Yard, poi quando Alphonse Gabriel compì dieci anni si trasferirono in un quartiere migliore. I genitori non commisero reati. Il padre lavorava come barbiere e la madre andava spesso in chiesa a pregare. Nulla inizialmente faceva pensare che i figli potessero prendere la strada sbagliata.
Invece, Alphonse Gabriel intraprese la strada della delinquenza molto presto. Entrò in una banda di teppisti, si dedicò ad atti di vandalismo e alle risse. Si distingueva dagli altri suoi coetanei membri della banda. Un giorno vide derubare un’anziana vedova. Alcuni ragazzi del suo quartiere le avevano sottratto una tavola per il bucato. Alphonse Gabriel allora riunì la sua banda, diede la caccia a quei ragazzi e recuperò il maltolto riconsegnandolo all’anziana vedova. I colpevoli del furto furono picchiati violentemente e dopo il pestaggio organizzò una parata per le strade del suo quartiere e si atteggiò a eroe.
Alphonse Gabriel imparò più cose in strada che a scuola. Abbandonò gli studi alla fine delle elementari dopo aver colpito con un pugno il maestro. Insomma, già all’età di dieci anni, crebbe con delle propensioni malavitose.
Cominciò a frequentare le bische e divenne un abile giocatore di biliardo. Iniziò già da adolescente a saper sparare con la pistola. Non faceva altro che combinare guai. Ma contribuiva anche a mantenere la famiglia. Lavorò in una fabbrica di munizioni, in un bowling e in una copisteria. Lavorò anche come buttafuori a Coney Island, in un bar che si chiamava Harvard Inn. Il proprietario era il gangster Frankie Yale, uno dei più spietati killer della mafia newyorchese.
Fu in quel locale che Capone assaporò per la prima volta la vita del gangster a New York. E fu proprio al bar Harvard Inn che il bullo Frank Galluccio, difese la sorella Lena dalle avance del diciottenne Capone.
Capone si avvicinò al tavolo di Frank Galluccio e si rivolse a Lena ad alta voce. Le persone sedute al tavolo rimasero sorprese per il linguaggio, infatti Capone disse: “Pupa, hai un fondoschiena da paura, e guarda che è un complimento. Sto dicendo sul serio!” Per difendere l’onore della sorella, Frank Galluccio tirò fuori il coltello e sfregiò Capone alla guancia sinistra con tre coltellate. Da quel giorno fu soprannominato “Scarface” (“lo sfregiato”). Un soprannome che Capone odiava. Si vergognava della cicatrice e la nascondeva col trucco, raccontava che si era procurato la cicatrice in guerra.
Gli sfregi realizzati da Frank Galluccio sul viso di Al Capone (Scarface – “lo sfregiato”)
Gli sfregi realizzati da Frank Galluccio sul viso di Al Capone (Scarface – “lo sfregiato”)
In quegli anni, mentre continuava a lavorare al bar Harvard Inn, Capone conobbe un mafioso italiano naturalizzato statunitense che viveva a Brooklyn, Donato Torrio, meglio conosciuto come Johnny Torrio, il quale divenne il suo modello, l’esempio da seguire.
Torrio si trasferì a Chicago per dirigere gli affari del mafioso Giacomo Colosimo, meglio noto come “Big Jim Colosimo”, il quale controllava una serie di bische clandestine e di bordelli. Il cuore delle sue attività era un night club a sud di Downtown Chicago. Johnny Torrio aveva bisogno di un braccio destro forte e astuto, e a tal fine arruolò Capone.
Con l’imminente avvento del proibizionismo, Scarface era l’asso nella manica di Torrio. Molti non avrebbero smesso di bere e questo apriva un nuovo ramo di affari, tutto esentasse.
All’età di diciannove anni Al Capone era già diventato prima padre e poi marito. Sposò una ragazza irlandese di 21 anni, di nome Mae Coughlin, dalla quale ebbe un figlio che fu chiamato Albert Francis.
Nel 1919, con la moglie e con il figlio si trasferì a Chicago. La città non sarebbe più stata la stessa.
Nei ruggenti anni ’20, Chicago era sinonimo di corruzione: vita notturna sfrenata, crimine e alcool a fiumi. Quando il proibizionismo entrò in vigore nel gennaio del 1920, il ventenne Al Capone iniziò combattere, calpestare e uccidere chiunque lo ostacolasse. In pochi anni Capone avrebbe diretto un’organizzazione criminale unica a Chicago. Ma prima aveva ancora qualcosa da imparare dal suo boss, Johnny Torrio.
Torrio era il mentore di Capone. Il boss mafioso apprezzava a tal punto le capacità di Al Capone che arrivò perfino a dire che forse un giorno avrebbe potuto succedergli.
La carriera di Al Capone a Chicago iniziò in un bordello. Lì svolgeva il ruolo di barman e di buttafuori. Quando non era al banco del bar si metteva sul marciapiede ed invitava i passanti ad entrare. In quelle occasioni ripeteva spesso: “Ehi amico, entra che abbiamo delle simpatiche pollastrelle!“. Nel frattempo Al Capone lavorò anche al night club di Big Jim Colosimo.
Con il proibizionismo, Johnny Torrio fiutò affari d’oro. Intendeva mettere su uno spaccio clandestino di alcool nel quale coinvolgere il boss mafioso Big Jim Colosimo, ma Colosimo pensava di essere sufficientemente ricco e di non avere bisogno di un’altro racket.
Con la presenza e il rifiuto di Colosimo, Johnny Torrio non poteva espandersi e allora occorreva liberarsi di Big Jim. Ma qualcuno doveva farlo fuori e così ad Al Capone fu affidata l’organizzazione dell’omicidio. Scarface allora ingaggiò il suo vecchio datore di lavoro, il proprietario del bar Harvard Inn, Frankie Yale il quale era anche un’abile e spietato killer. Big Jim Colosimo fu assassinato nell’atrio del suo night club nel maggio del 1920. Lo stile di questo omicidio diverrà il marchio di fabbrica di Capone: omicidi pianificati nei minimi dettagli e con la presenza di testimoni che soffrono di improvvise amnesie.
Ora Torrio e Capone erano i padroni e potevano fare soldi con l’alcool clandestino. Torrio cercò di addolcire le asperità di Capone. Gli fece frequentare una scuola serale per migliorare la sua dizione ed eliminare il suo forte accento di Brooklyn. Le persone che lo conobbero più avanti nella vita raccontarono che non aveva più alcuna inflessione dialettale. Su suggerimento di Torrio, Capone abbandonò gli atteggiamenti da bullo di strada ed acquisì comportamenti molto distinti. Da questo punto di vista il lavoro di Johnny Torrio fu enorme. Alla fine vi riuscì e Al Capone non desiderò più che si pensasse di lui come a un criminale. Si riteneva oramai un gentleman con la passione per l’opera e per gli oggetti più raffinati. Divenne una persona molto elegante per quei tempi. Il giallo e il verde erano i suoi colori preferiti e a questi aggiungeva come cappello un fedora biancolatte. Al mignolo portava un anello con diamante da 11 carati e mezzo che all’epoca costava 50 mila dollari. Sotto gli abiti indossava solo biancheria intima italiana di seta. Era alto 169 cm e pesava 79 kg. Era sempre circondato da cinque guardie del corpo.
Il padre di Al Capone morì nel 1920 e allora Scarface decise di trasferire tutta la famiglia a Chicago. I Capone vivevano in una grande casa di 15 stanze. Fece entrare i suoi fratelli nel racket e sistemò le sorelle.
Fuori dalla famiglia Capone era molto diverso. Era sempre infedele verso la moglie. Amava il sesso e lo consumava con diverse prostitute. Beveva molto alcool e si assentava lontano da casa per lunghi periodi di tempo. La sua vita era altrove non in casa sua.
Al Capone comprese che per fare affari a Chicago occorreva una tregua nella guerra tra bande. Così, nel 1922 su iniziativa di Johnny Torrio, i capibanda si accordarono per la pace. A tutti sarebbe spettata una fetta della torta. Questa strategia trasformò lo spaccio clandestino di alcool in un redditizio affare. I proprietari dei locali erano costretti a comprare la birra di Capone. Se non la compravano, i suoi uomini tornavano e minacciavano il proprietario. Facevano pressione tornando più volte e alla fine se questo non cedeva mettevano una bomba fuori dal locale facendo saltare le vetrine. Non contenti, offrivano di prestare i soldi per le riparazioni. Diveniva inevitabile accettare e così si entrava in affari con Capone.
Secondo le stime del governo statunitense, le organizzazioni criminali guadagnavano in media ogni anno 120 milioni di dollari con la vendita clandestina dei liquori, con la prostituzione e il gioco d’azzardo. Il crimine era strutturato come un’azienda, ogni uomo aveva una specializzazione: c’era chi riparava i camion, chi distillava l’alcool e chi dirigeva le fabbriche di birra.
Al Capone neutralizzava la legge corrompendo poliziotti e politici. Scarface stimò che metà della polizia di Chicago lavorava per lui. Così si facevano gli affari, senza protezione non si faceva nulla.
Nel 1922 Capone passò agli onori della cronaca di Chicago. Nelle prime ore del 30 agosto fu arrestato dopo una notte di piaceri e vizi. L’auto che guidava tamponò un taxi. Capone infuriato scese e minacciò il tassista con una pistola e gli mostrò anche un distintivo falso della polizia. Quando la polizia giunse sul posto, Capone fu arrestato. Si vantò con gli agenti che avrebbe sistemato tutto lui e così avvenne. Le accuse furono ritirate e la notizia si diffuse in fretta. La sua leggenda stava crescendo.
A soli 23 anni Al Capone diventò socio di Johnny Torrio al vertice del mondo del crimine. La produzione e lo spaccio di alcolici cresceva di pari passo con l’avidità. Nel 1923 la pace tra le bande negoziata sotto Torrio andò in frantumi. Scoppiò la famosa guerra della birra di Chicago, i giornali non parlavano d’altro, da settembre a dicembre si moltiplicarono morti e bombe. I nemici di Capone persero la vita.
Durante tutto il proibizionismo a Chicago furono uccise 700 persone legate allo spaccio di alcolici. Torrio e Capone vinsero il primo round della guerra tra bande. Ristabilita la pace Johnny Torrio decise di fare una crociera di 4 mesi. Lasciò a Capone il comando, dandogli licenza di diventare l’uomo più potente della città.
Il 1924 portò molte novità per Capone. A Chicago la corruzione diventò più difficile quando fu eletto il nuovo sindaco. Nonostante non approvasse il proibizionismo, il sindaco lo fece rispettare. Al Capone cercò quindi nuove opportunità di sviluppo nei sobborghi, a partire da Cicero.
Cicero fu un trampolino ideale per la banda di Capone, era un quartiere dormitorio per 60 mila operai. Dalla sua base, situata all’interno dell’Hawthorne Hotel, Capone operò di comune accordo con i poliziotti locali. Scarface influenzò le elezioni comunali di Cicero. I suoi uomini minacciarono, picchiarono e spararono agli elettori che si opponevano al candidato di Al Capone. Il giorno delle elezioni, il 1° aprile 1924, il candidato di Capone vinse, ma Scarface subì un colpo terribile. Il fratello Frank Capone fu ucciso durante una sparatoria con la polizia. La morte del fratello lo sconvolse e lo trasformo da criminale organizzatore di attività illegali sul modello di Johnny Torrio in un gangster disperato e violento.
La perdita del fratello gli fece capire che anche la sua vita era appesa un filo. Una settimana dopo la morte di suo fratello, Capone inaugurò la prima sala scommesse di Cicero, la Hawthorne Smoke Shop.
Al Capone non aveva mai avuto fortuna con i cavalli, ma quando si impadronì di una lauta fetta dei profitti delle corse, le cose cambiarono in quanto cominciò a truccare le gare.
Capone e il suo socio Johnny Torio gestivano 160 bische clandestine e 123 saloni solo a Cicero. Un giornalista coraggioso, Robert Saint John, sul suo giornale fece i nomi delle autorità cittadine sul libro paga del gangster e descrisse minuziosamente un bordello con camera della morte diretto da Ralph, uno dei fratelli di Al Capone.
Il giornalista in seguito dichiarò: “Naturalmente divenni un nemico dei Capone. Una mattina, mentre stavo andando in redazione, alzai lo sguardo e vidi una grossa automobile scura che piombava rombante sull’incrocio, frenò bruscamente e inchiodò. Dall’auto scesero quattro uomini. Riconobbi subito Ralph Capone, mi corsero dietro e puntarono dritti su di me. Ero a metà dell’incrocio, non avevo via di scampo. Allora mi buttai per terra, mi chiusi a riccio e mi protessi la testa con le braccia. Mi pestarono violentemente, usando una saponetta dentro un sacco di lana. Questo era uno dei sistemi di pestaggio preferiti da Capone. Se ti arrivava un colpo ben assestato sul volto o sul collo posteriore, la morte era certa“. Quella volta però non funzionò. Robert Saint John sopravvisse e fini all’ospedale. Il giornalista dichiarò: “Quando fui dimesso, mi recai alla cassa per pagare il conto dell’ospedale, ma la cassiera mi disse che era già stato pagato. Io le dissi che ci doveva essere un errore, che non era possibile. Lei insistette e mi descrisse l’uomo che lo aveva pagato. Mi disse che quell’uomo aveva una cicatrice evidente sulla guancia sinistra“. Era Al Capone. Ma al danno si aggiunse anche la beffa. Scarface comprò una quota importante delle azioni del giornale sul quale scriveva Robert Saint John, il “Cicero Tribune“.
La presa del potere di Capone nei sobborghi fu più semplice. A Chicago Heights, aiutò i gangster locali a vincere la loro guerra di bande. In cambio riuscì ad allargare il commercio illegale di alcolici. Si valuta che Chicago Heights valesse 36 milioni di dollari per Capone. Avendo la gente di Chicago Heights dalla sua parte, la sua rete criminale era praticamente raddoppiata. Mentre Johnny Torrio era in crociera, Capone ampliò le sue attività, formò nuove alleanze e raccolse i profitti.
Quando Torrio tornò, qualora avesse avuto qualche dubbio sulla sua successione, comprese chiaramente che Al Capone era il suo degno erede. Contrariamente però a quanto sperato e voluto da Torrio, Al Capone aveva ripreso a comportarsi come un gangster di strada. Ed infatti, quando il suo contabile Jack Guzik si lamentò di essere stato trattato male da un distillatore, Al Capone scaricò personalmente un caricatore intero nella testa del colpevole, a bruciapelo e di fronte a tre testimoni, i quali interrogati dalla polizia dichiararono tutti che non ricordavano cosa fosse accaduto. Al Capone si presentò alla polizia dichiarando che il giorno dell’omicidio lui era fuori città e la fece franca ancora una volta.
Ma il problema principale di Capone era un gangster del North Side con la passione per i fiori, Charles Dean O’Banion, un criminale irlandese naturalizzato statunitense che gestiva tutto il commercio dei fiori. O’Banion era ricco e potente, ma voleva di più.
Ma O’Banion commise un errore fatale quando tentò di imbrogliare Capone il suo socio Johnny Torrio. La mattina del 19 maggio 1924, Torrio fu arrestato in una retata anti alcolici di cui O’Banion era al corrente. Torrio era nei guai, ma avrebbe avuto la sua vendetta. Ancora una volta entrò in scena il sicario newyorchese Frankie Yale. Insieme a lui agirono due Killer di Chicago. Decisero di uccidere O’Banion il 10 novembre 1924, quando era impegnato a preparare i fiori per il funerale di un gangster. Quando i tre sicari entrarono nel negozio di fiori, O’Banion allungò la mano per stringere quella di Yale, ma il killer gliela tenne ferma mentre gli altri due lo riempivano di piombo. Fu la fine di O’Banion e l’inizio di una sanguinosa guerra tra bande.
Nel gennaio del 1925, due uomini di O’Banion, George Clarence “Bugs” Moran e Earl “Hymie” Weiss, tentarono di vendicare il loro capo e quindi di uccidere Al Capone e Johnny Torrio. Non riuscirono a colpire Scarface, ma ferirono Torrio, il quale prima trascorse del tempo in ospedale, poi si riprese ma fu arrestato nuovamente per violazione della legge sul proibizionismo.
Con l’arresto ed il cattivo stato di salute di Johnny Torrio, Al Capone divenne il capo indiscusso della banda. Aveva solo 26 anni ed ora era l’unico bersaglio dei suoi avversari. Si blindò in una nuova base operativa, ritenuta più sicura: il sontuoso “Metropole Hotel”, provvisto di vie di fuga segrete. Non si separava mai dalla sua scorta, aveva più guardie del corpo del presidente degli Stati Uniti. Disponeva di una limousine che era un carro armato, pesava 7 tonnellate era blindata e aveva vetri antiproiettile.
Al Capone ora disponeva del potere assoluto e lo usò senza rimorsi. Scarface esportò la sua violenza a New York. Tornò nella Grande Mela per portare il figlio da un medico e già che c’era fece un regalo all’amico Frankie Yale, massacrando tre suoi nemici. Capone e i suoi furono arrestati, ma come al solito nessuno dei testimoni parlò e le accuse furono ritirate.
Scarface tornò a Chicago nel 1926, la guerra tra bande infuriava ancora. Il 27 aprile 1926 Capone guidò un assalto contro una banda rivale: all’esterno di un bar di Cicero scatenò l’inferno con continue raffiche di mitra. Bilancio: 3 morti e 3 feriti. Tra le vittime c’era il giovane procuratore William H. McSwiggin, che in passato aveva accusato Capone di omicidio. Lo sdegno fu unanime e Al Capone sparì.
Si nascose a Lansing, nel Michigan, rinchiuso in una piccola villetta insieme all’amante per tutta l’estate. Dopo un po’ iniziò a trattare con le autorità dello stato dell’Illinois e si consegnò a loro. Ma anche in questo caso la fece franca.
Tornò a Chicago, si recò in tribunale, poi in prigione ed infine in una stazione di polizia. Chiese se c’era qualche giudice, poliziotto o ispettore che intendesse arrestarlo. Logicamente tutti negarono e Capone rimase soddisfatto soprattutto perché si era portato dietro un giornalista per dimostrargli che non era ricercato a Chicago.
Ma qualcuno non si fece intimidire. George “Bugs” Moran e Earl “Hymie” Weiss tentarono di uccidere Capone più di una volta durante l’estate del 1926. Il tentativo più spettacolare si verificò a settembre: Capone pranzava al Hawthorne Restaurant, quando una rumorosa colonna di dieci macchine giunse di fronte alle vetrine del ristorante. Partirono le raffiche e la sua guardia del corpo, Frankie Rio, lo spinse a terra proteggendolo con il suo corpo e tenendolo a terra tutto il tempo della sparatoria. Alla fine furono sparate più di 5 mila pallottole, che frantumarono il ristorante ma non procurarono alcuna vittima.
Al Capone pagò il conto dell’ospedale dell’unico ferito, poi pensò a come liberarsi di Weiss e Moran. Scarface fece prendere in affitto ai suoi uomini delle stanze che si affacciavano sulla base di Weiss e Moran. Quando un giorno videro Weiss attraversare la strada, gli spararono dalle finestre e lo uccisero.
Moran assunse il comando della banda del North Side. Capone gli inviò le condoglianze per Weiss, negando ogni coinvolgimento nel suo assassinio e riuscì a stabilire una tregua con Moran, dicendogli: “Ce ne è per tutti, perchè dobbiamo ucciderci reciprocamente“.
A 27 anni il potere di Al Capone nel mondo della malavita cresceva, ma lui desiderava essere considerato un uomo d’affari e non un gangster. Controllava un impero multimilionario, non se ne andava in giro a sparare col mitra alla gente da un’auto in corsa, lui se ne stava nel suo ufficio circondato dai suoi dirigenti. I telefoni sulla sua scrivania squillavano in continuazione. C’era sempre qualcuno che attendeva una sua decisione. Al Capone era un criminale moderno.
Il 1927 iniziò bene per Al Capone, infatti in seguito l’ufficio del procuratore valutò che quell’anno l’organizzazione di Capone aveva guadagnato 105 milioni di dollari, tutti provenienti da attività illecite. Il suo amico, Big Bill Thompson fu rieletto sindaco di Chicago. La città era virtualmente nelle mani di Capone, il quale poteva rilassarsi un po’, portò suo figlio alle partite di baseball, effettuò allenamenti per la preparazione pugilistica.
Dichiarò che aveva bisogno di distrarsi. Così nel gennaio del 1928 comprò per 40 mila dollari in contanti una villa da 14 stanze sull’isola di Palm, vicino a Miami, in Florida. Ne spese altri 100 mila per farne il suo paradiso, ma non bastava per tenerlo lontano dai problemi che stavano nascendo nella sua banda. Al Capone venne a sapere che il suo sicario preferito di New York, Frankie Yale, rubava dei carichi di alcool. Per Capone la lealtà era fondamentale e si sentì tradito. Yale aveva ucciso spesso per Capone, ora toccava a lui essere eliminato. Il 1° luglio 1928 a New York, Yale fu braccato e giustiziato dai sicari di Capone.
A Scarface era rimasto ancora un rivale George Clarence “Bugs” Moran. Moran dirottava il suo whisky e Al Capone era stufo. Così alla fine di dicembre andò in Florida per pianificare quello che sarebbe divenuto il suo crimine più celebre: il massacro del giorno di San Valentino.
La mattina del 14 febbraio 1929, Moran non era ancora arrivato nel suo magazzino, sito al 2122 di North Clark Street. I suoi uomini lo aspettavano per un carico di whisky. Arrivarono invece degli estranei, tre in divisa da poliziotto e due in borghese. I sette uomini di Moran pensarono ad una retata della polizia. Così, consegnarono le armi, misero le mani in alto, si girarono di spalle e poggiarono le mani contro il muro. In questa posizione furono massacrati dagli spari dei mitra Thompson dei sicari inviati da Al Capone.
“Bugs” Moran fu il solo superstite; una vittima gli somigliava moltissimo e vestiva proprio come lui. Probabilmente fu uccisa al suo posto e per questo motivo i sicari di Al Capone non attesero il suo arrivo.
Scattarono le indagini e il dito fu puntato su Al Capone. Ma Scarface aveva un alibi di ferro: era in Florida a colloquio con il procuratore distrettuale di Miami.
Moran fu terrorizzato da questo massacro e comprese che la prossima volta non sarebbe sfuggito a tale furia. Immaginò che i sicari, delusi dall’aver fallito l’obiettivo erano ormai alle sue costole e quindi avrebbe avuto le ore contate. Fu così che Moran, fece perdere le sue trecce e sparì nel nulla. In seguito, dopo molti anni, Moran fu arrestato il 6 luglio 1946 e fu condannato a 20 anni di carcere. Morì il 25 febbraio 1957, all’età di 63 anni, mentre era richiuso nel carcere di Leavenworth, nello stato del Kansas.
Per quanto riguarda il massacro del giorno di San Valentino, senza testimoni il caso era chiuso. Gli esecutori della strage non furono mai individuati e puniti.
Però, dopo un fatto del genere, che sconvolse terribilmente l’opinione pubblica statunitense, per Capone non c’era più via di scampo: sarebbe diventato il bersaglio della legge e anche della malavita.
Lo sdegno suscitato dal massacro di San Valentino si era appena attenuato quando Capone colpi di nuovo. Nel maggio del 1929, Scarface venne a sapere i sicari John Scalise e Albert Anselmi, insieme ad un terzo uomo, complottavano per assassinarlo.
Capone li invitò a cena. Organizzò un eccellente banchetto in loro onore. I tre sicari passarono una serata magnifica. Finita la cena, Al Capone si alzò in piedi, ribaltò i tavoli e li accusò di tradimento. Gli uomini di Capone li massacrarono con le mazze da baseball e poi gli spararono per essere sicuri che fossero morti. I cadaveri furono ritrovati lontano, gettati in mezzo ad alcuni cespugli.
All’improvviso iniziarono i guai per Al Capone. Il risentimento popolare contro di lui cresceva e la sua vita era in pericolo. C’era una taglia di 50 mila dollari sulla sua testa. Capone realizzò ormai di essere in pericolo e pensò che l’unico posto dove avrebbe potuto essere al sicuro, era una prigione lontana da Chicago dove trascorrere qualche giorno per riorganizzarsi. Pianificò così come venire arrestato. Il 16 maggio 1929, uscendo da un cinema di Philadelphia, Al Capone e le sue guardie del corpo furono arrestate per possesso abusivo di armi da fuoco. Il piano andò all’aria perché il giudice fu molto severo: lo condannò a un anno di prigione. Al Capone le provò tutte per uscire prima, dalla corruzione alla beneficenza, ma non funzionò.
Dovette accontentarsi di dirigere la banda via telefono, uno dei privilegi che aveva in prigione. Da Chicago nel frattempo arrivavano brutte notizie: il governo federale aveva l’organizzazione di Al Capone nel mirino. il presidente Hoover voleva Capone dietro le sbarre per molto tempo, continuava a chiedere ai suoi: “Avete incastrato Capone?“
La “IRC” (“Internal Revenue Code”) stava stringendo le maglie attorno alla sua banda. Mentre Al Capone era ancora in carcere a Philadelphia, suo fratello Ralph fu arrestato a Chicago. Furono arrestati anche il contabile della banda Jack Guzik, fu arrestato anche Frank Nitti il numero due di Al Capone. Furono arrestati tutti per evasione fiscale.
Quando nel marzo del 1930 Al Capone uscì dal carcere, lo attendevano nuovi guai. Era stato appena nominato “Nemico pubblico numero 1” degli Stati Uniti. Ma Al Capone voleva riconquistare la benevolenza della gente nei suoi confronti. Erano gli anni della depressione e lui decise di aprire la prima mensa per i poveri di Chicago, un luogo che dava da mangiare a tremila persone al giorno.
A giugno del 1930 Al Capone perse una delle sue pedine più importanti nella carta stampata: Jake Lingle. Si trattava di un giornalista di cronaca nera e cronaca politica del Chicago Tribune al soldo di Scarface. Lingle fu ucciso da un rivale di AL Capone.
Al Capone prima vendicò la morte del giornalista e poi iniziò a trattare con il suo ultimo nemico: il governo federale.
Il cinema ha lasciato intendere che le attività di Al Capone furono annientate da un gruppo di agenti del Dipartimento del Tesoro. Gli “Intoccabili” guidati da Eliot Ness, in realtà fecero solo un paio di irruzioni spettacolo a beneficio della stampa. Gli uomini della IRC (“Internal Revenue Code”) furono i veri eroi. Legalmente Al Capone era un nullatenente. La casa in Florida era intestata alla moglie, quella di Chicago era intestata alla madre, perfino l’auto era intestata alla moglie. Non teneva agende e non scriveva nulla ma alcuni dei suoi contabili tenevano una contabilità scritta, anche se in codice. Gli uomini della IRC trovarono questi libri contabili e riuscirono a decifrarli.
Ci vollero cinque anni per mettere insieme tutte le prove. Il 5 giugno 1931 Alphonse Gabriel “Al” Capone Alfonso Capone fu incriminato per evasione fiscale commessa dal 1925 al 1929. Il procuratore generale George E. Q. Johnson sostenne che Capone doveva allo stato più di 250 mila dollari. Al Capone fece tutto quello che era in suo potere per venirne fuori. Assoldò cinque sicari di New York per uccidere il procuratore generale Johnson, ma i killer furono eliminati dai servizi segreti statunitensi.
Al Capone allora cercò di scendere a patti con la giustizia, ma il procuratore generale Johnson non volle saperne. Allora corruppe la giuria ma il procuratore cambiò tutti i giurati pochi istanti prima che iniziasse il processo, il 7 ottobre 1931. Per Capone non c’era più alcuna speranza.
La giuria rimase riunita per 9 ore, dopodiché giudicò Al Capone colpevole di evasione fiscale, non di omicidio, non di sfruttamento della prostituzione, nemmeno di tutti gli altri reati di cui si era macchiato. L’evasione fiscale era l’unico modo per incastrarlo. Al Capone fu condannato a 11 anni di prigione, la pena più severa che si potesse chiedere per evasione fiscale. Capone non si aspettava la condanna ma non perse l’ironia. Uscendo dal tribunale disse ai fotografi: “Approfittatene adesso perché non mi rivedrete per un bel po’ di tempo!“
Capone ricorse in appello ma perse. Fu inviato nel penitenziario di Atlanta, in Georgia, dove condusse una vita migliore rispetto al resto dei carcerati perché disponeva di lussi e privilegi e aveva la possibilità di continuare a governare i suoi interessi anche dalla reclusione. Ma nell’agosto 1934 fu trasferito nel nuovo carcere di Alcatraz, dove ricevette un trattamento più duro e tutti i contatti con l’esterno furono interrotti.
Nel 1938 gli ufficialmente diagnosticata la sifilide, di cui pativa gli effetti degenerativi. Aveva contratto la malattia da una delle tante prostitute con le quali aveva rapporti. La sua mente se ne stava andando, aveva bisogno di cure mediche e nel gennaio del 1939 fu trasferito nel Penitenziario Federale di Los Angeles.
A novembre del 1939 fu rilasciato e fu trasferito allo Union Memorial Hospital di Baltimora. Al Capone fece ritorno in Florida nel marzo del 1940. La sifilide divorò Capone per il resto dei suoi giorni. All’età di 48 anni, il 25 gennaio 1947, Al Capone morì per arresto cardiaco. Il suo corpo fu portato a Chicago per i funerali. Anthony Accardo, che era diventato un boss mafioso ed era un’ex guardia del corpo di Capone, aveva ordinato a tutta la malavita organizzata di partecipare al funerale di Al Capone, e questo nonostante il fatto che fosse morto senza potere e senza più seguaci.
La carriera di Al Capone era chiusa ma la sua impronta sul crimine di Chicago visse ancora a lungo. Al Capone stabilì le basi di quello che è stato il crimine organizzato di Chicago negli anni ’50, ’60 e ’70.
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