RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
16 APRILE 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Si fanno troppi piani e, un piano dopo l’altro,
sapete dove si arriva? All’attico
TOTÒ, Parli come badi, Rizzoli, 1994, pag. 63
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SOMMARIO
Helicopter Money e la gleba urlante nei recinti
COLAO ARRIVA COME GAULEITER DI BILL GATES.
La distopia al potere: ecco la task force dei “tecnici” scelti dal governo
Lo Stato di Eccezione – spiegato breve
DIARIO DI UN POPOLO RECLUSO E RIDOTTO IN MISERIA.
QUESTA NOTTE VI PARLERÒ DELLA NASCITA DELL’ITANCIA!
La denuncia del Prof. Giulio Tarro alle accuse di “Next Quotidiano” e “BUTAC”
FOXNEWS: LA CAUSA DEL CORONAVIRUS E’ LA GUERRA FREDDA FRA CINA ED USA
Sottrazione di sette minuti in sette minuti
LA SAUDADE SECONDO ANTONIO TABUCCHI, FRA PASSATO E FUTURO
IL MONDO PIANGE LUIS SEPÚLVEDA
Compiti di un pensatore critico secondo il pedagogista Robert Ennis
L’uomo del Monte ti scrive? Potrebbe essere un hacker
Coronavirus e Servizi segreti: i cittadini hanno diritto a risposte
Sanità pubblica (subito), reindustrializzazione verde (poi). La ricetta di Civiltà Cattolica contro il virus
Mes, ecco come funziona la trappola contro l’Italia
L’allarme di Varoufakis: ecco come il MES porterà l’Italia verso l’austerity
PER RIPARTIRE DOPO L’EMERGENZA COVID-19
Unicredit crolla: ecco i motivi del sell-off. Meglio scappare?
L’esonero da responsabilità contrattuale prevista dall’art. 91, comma 1, del Cura Italia
LIBIA, 650MILA MIGRANTI PRONTI A PARTIRE. il GOVERNO PREPARA GLI HOTEL
MA CI PAGHERANNO LE PENSIONI
Bellanova (Iv): “Agricoltura è integrazione, sanatoria per 600mila clandestini”
Autocertificazione
BOOM DI ITALIANI ALLA FAME E IL GOVERNO PENSA A DARE LAVORO AI CLANDESTINI
Tutti (il premier in testa) fingono di non sapere che c’è il boom dei morti di fame
COVID-19: IL GRANDE BLOCCO
Il parere dell’ amministrazione Trump e di Bill Barr sul piano vaccini di Bill Gates
Con il Covid-19 risorge il Leviatano di Thomas Hobbes
INCOMPETENTI O TRADITORI CHE SVENDONO IL PAESE PER 30 DENARI (PER SE)
L’affare della collana di Maria Antonietta
EDITORIALE
Helicopter Money e la gleba urlante nei recinti
Manlio Lo Presti – 16 aprile 2020
Il cosiddetto “Helicopter Money” ha un grave difetto di forma che è scarsamente notato.
Mi riferisco alla definizione utilizzata da Mario Draghi per definire un intervento di elargizione di banconote alla popolazione per evitare tensioni sociali (leggi assalto alle banche e ai supermercati), di un intervento soprattutto rapido e indiscriminato. Una idea ovviamente avversata pesantemente dalla cupola di Bruxelles e che per questo, potrebbe fargli fare la fine di Duisenberg!
Fa venire in mente un elicottero, appunto, che svolazza su un incrocio e, mentre lancia le banconote, nella strada sottostante si scanna spietatamente una torma informe di umani laceri ed inferociti dalla fame per accaparrarsi più banconote possibile.
UNA SCENA DA ROMANZI DI DICKENS o da BLADE RUNNER!
L’immagine dei soldi lanciati DALL’ALTO CIOÈ DA LORO E A LORO PIACIMENTO evidenzia platealmente come LORO ci vedono: noi siamo CIBO da divorare, sfruttare spezzettare, gettare via.
Quando non serviamo più diventiamo SPAZZATURA da eliminare con eutanasie di massa praticate preferibilmente alle 2,00 di notte.
Eppoi, configura il fatto fondamentale, cruciale, che i soldi non provengono da una legittima negoziazione fra parti sociali riconosciute, diventando DIRITTO ACQUISITO ED INTANGIBILE!
LORO vogliono decidere quando, quanto e come dare i soldi .
Noi dobbiamo elemosinare TUTTO, anche e soprattutto il modesto compenso del nostro lavoro!!!
NON MI PIACE AFFATTO CHE NESSUNO STIA NOTANDO QUESTO ASPETTO LESIVO DELLA DIGNITÀ UMANA che riduce a lacera TECHGLEBA questa umanità che non ha alcuna colpa …
IN EVIDENZA
COLAO ARRIVA COME GAULEITER DI BILL GATES.
Vittorio Colao e la sua “task force” di tecnici sopraffini che farà rifiorire l’Italia, per prima cosa ha preteso l’immunità penale e civile per sé e i suoi tecnocrati.
Vuole insomma l’esenzione anticipata da ogni responsabilità criminale per gli atti e le decisioni che prenderà lui e la “task force”.
Il solo a lanciare l’allarme è stato Claudio Borghi. Silenzio, naturalmente, del Quirinale.
Se si avesse voglia di filosofeggiare, si potrebbero fare profonde considerazioni sul nome di cui si fregia una democrazia che, mentre ha sostanzialmente privato dell’immunità parlamentare agli eletti dal popolo, ha trasferito la più totale immunità da ogni legge ai tecnocrati non eletti. Perché l’immunità che reclame per sé e i suoi il Colao, è un privilegio che ha il governatore della BCE e membri del suo consiglio, nei fatti l’hanno i commissari europei, tutti i capi delle organizzazioni sovrannazionali e globali, e come abbiamo scoperto recentemente, anche il direttore del Meccanismo Europeo di Stabilità, il molto discusso MES: “E’ assolutamente, totalmente completamente IMMUNE alle leggi dei 19 stati dell’Area Euro. Non può essere toccato, per nessun motivo, per nessun reato, né lui né i 6 membri del suo board”.
Un privilegio dei monarchi per diritto divino, è dunque oggi passato a i vertici tecnocratici: un interessante progresso della laicità. Le azioni del monarca o dell’autocrate legibus solutus un tempo tendevano ad essere bollate come “arbitrii”, governo arbitrario , dai miscredenti progressisti; quegli stessi miscredenti progressisti che oggi ci spingono ad entrare nel MES, assoggettando con tranquillità l’intera nazione al potere legibus solutus del dottor Klaus Regling, capo pro-tempore per diritto divino del filantropico Meccanismo a cui il governo da noi non eletto vuol farci entrare, insieme a tutat l’Europa che conta, ossia immune da ogni conseguenza giudiziaria.
Solo pochi giorni fa l’onnipotente ed immune il dottor Regling ha smentito di aver mai detto “Italia e Spagna devono venire in ginocchio”. E ci si può credere, avendo il sistema degli immuni altri mezzi di convinzione. L’aumento dello spread, ormai a 240: i mercati ci puniscono “per la lagna no-Mes”, ci informa il professor Giampaolo Galli, PD, economista: l’unico economista a fingere di ignorare che lo spread lo fanno aumentare non i mercati, la BCE, attraverso Bankitalia, bastando che smetta per qualche ora di comprare i BTP.
“Si tratta di una pressione per mostrare al popolo italiano che deve entrare nel MES. Gli spread miracolosamente scenderanno appena l’Italia porrà la sua firma sul MES, decretando il suicidio economico del Paese”: così il diplomatico ed economista francese Sébastien Cochard. “Come nel maggio 2018, quando la BCE cessò di rimpiazzare i titoli italiani in scadenza nel suo portafoglio; lo spread salì: questo al momento del braccetto di ferro di Mattarella e Salvini sulla nomina di Savona. Anche adesso è una pressione per indurre l’Italia ad entrare nel MES. Isabel Scnhabel è in questo momento quella che agisce sui mercati per la BCE”.
Isabel Schnabel, se ricordate, è la membra tedesca della BCE, quella che ha suggerito alla Lagarde la frase anti-italiana: «Non siamo qui per chiudere gli spread» fra Btp e Bund. Ovviamente immune da conseguenze civili e penali.
Più in generale, dice lo stesso Cochard in una intervista a Sputnik France, “Si servono della crisi attuale per spingere una agenda di integrazione europea”, ovviamente secondo le regole tedesche : austerità, pareggio di bilancio, e per l’Italia “ avanzo primario del 4% per 50 anni, ossia il dissanguamento della classe media”.
Il che ci riporta a Colao e alla sua task force per la splendida rinascita. Come mai vuole preliminarmente l’immunità penale e civile? Quale crimine intende commettere impunemente? E’ l’uomo che ha giudicato un successo il trattamento che la UE ha fatto subire alla Grecia: dunque si servirà della crisi attuale per spingere un programma di integrazione europea, con l’Italia al posto della Grecia. Questo è ormai un progetto palese e plateale della tecnocrazia eurocratica, e del PD di servizio (i grillini, nemmeno il caso di nominarli). Ma questo non è ancora tutto. Oltre che membro del Bilderberg della Trilaterale, Vittorio Colao ha, da gran tempo, caldi rapporti professionali e personali con Bill Gates.
E in questi giorni Gates sta moltiplicando le interviste su tutti i media internazionali, e contattando tutti i leader del mondo , per promuovere quello che lui stesso chiama “il suo vaccino digitale universale” per tutti i 7,6 miliardi di esseri umani del pianeta.
Lo Stato di Eccezione – spiegato breve
di Leo Essen
Secondo la definizione, che risale a Bodin, la sovranità è il potere supremo, giuridicamente indipendente e non derivato. Questa definizione, dice Carl Schmitt (Teologia politica), impiega il superlativo «potere supremo» per indicare una grandezza reale, benché nella realtà dominata dalla legge di causalità non possa essere isolato nessun fattore singolo al quale un simile superlativo sia applicabile. Nella realtà politica, dice Schmitt, non esiste un potere supremo, cioè più grande di tutti.
Questa dimostrazione è stata prodotta da Spinoza. Secondo Spinoza (Hegel, Lezioni) il singolare è qualcosa di limitato. Il suo concetto dipende da altro, non esiste per se stesso come qualcosa di vero. Con riguardo a ciò che è determinato, ovvero a ciò che, come dice Schmitt, è una grandezza reale, una forza effettiva, Spinoza stabilisce che «omnis determinatio est negatio». Dunque, è sovrano, ovvero assoluto, solo ciò che non è determinato, singolare. Sovrano è solo ciò che è universale. Solo questo è sostanziale e dunque veramente reale [reale, nel senso dato a questa parola della scolastica]. Al contrario, una forza, un potere, un’istituzione, un’unità territoriale, una burocrazia, eccetera, sono qualcosa di limitato, poiché sono cose singole. Ciò per cui una cosa è singola è negazione. Negazione vuol dire che essa è, solo in quanto è in relazione con ciò che non è – per esempio un’altra forza, un altro Stato, un’altra istanza, un’altra giurisdizione, eccetera.
Se la sovranità non può essere qualcosa di effettivo, in quanto ogni potere effettivo non può essere un potere sovrano, allora, dice Schmitt, la conciliazione del potere supremo di fatto con il potere supremo di diritto costituisce il problema di fondo del concetto di sovranità.
La grandezza di Schmitt sta proprio nell’avere posto questo problema in maniera chiara e netta.
Il bersaglio di Schmitt è il neo-kantismo, rappresentato al suo tempo da Kelsen, il quale, dice Schmitt, fornisce la dimostrazione più approfondita del concetto di sovranità prodotta negli ultimi anni. Tuttavia, dice, questa dimostrazione cerca di risolvere il problema in modo molto semplice, ovvero introducendo una disgiunzione fra sociologia (realtà effettiva) e giurisprudenza (teoria), qualificando così, mediante un’alternativa semplicistica, qualcosa come puramente sociologico o puramente giuridico. Tutti gli elementi sociologici (realtà) vengono esclusi dal concetto giuridico (teoria) e in tal modo viene costruito, con incontaminata purezza, un sistema di riferimenti a norme e a una norma fondamentale finale e unitaria.
Non è difficile riconoscere in queste obiezioni mosse a Kelsen lo stesso atteggiamento di Hegel verso Kant, atteggiamento che porterà Hegel a elaborare il suo concetto di esperienza; come non è difficile vedervi assonanze con Marx, con ciò che dice della verità, o del diventar vero – per esempio nell’Introduzione del 57.
Kelsen si tiene in equilibrio nella partizione tra personale e impersonale, concreto e generale, individuale e generale, autorità e qualità, e, dice Schmitt, nella sua definizione filosofica, tra persona e idea. E considera ogni atteggiamento autoriale e di comando come la negazione della norma avente validità obiettiva.
Kelsen, dice Schmitt, giunge al risultato, per nulla convincente, che per la considerazione giuridica lo Stato debba essere qualcosa di puramente giuridico, qualcosa di valido sul piano normativo, e quindi non una realtà qualsiasi o qualcosa di pensato accanto o al di fuori dell’ordinamento giuridico stesso, bensì nient’altro che l’ordinamento giuridico stesso.
Insomma, dice Schmitt, allo stesso modo in cui Kant pone l’io trascendentale o puro, distinguendolo nettamente da ogni io empirico o psicologico, Kelsen pone la sovranità pura, distinguendola da ogni fatto o entità empirica e psicologia.
L’io puro, l’io trascendentale, non è, e non può essere, per le ragioni che ha riconosciuto lo stesso Schmitt, un fatto empirico. Di più, ogni esperienza è resa possibile proprio da questo io puro. La personalitas psychologica, dice Kant, presuppone la personalitas trascendentalis.
In questo quadro kantiano, la sovranità, ovvero la competenza più elevata, non pertiene ad una persona o, dice Schmitt, ad un complesso di potere psicologico-sociologico, bensì soltanto allo stesso ordinamento sovrano, nell’unità di un sistema di norme.
L’intero impianto giuridico di Kelsen è retto da una tautologia: la sovranità è la sovranità. Kelsen, dice Schmitt, risolve il problema del concetto di sovranità semplicemente negandolo. Ad essere sovrano non è lo Stato, ma il diritto. Non viviamo più sotto la signoria di persone, ma sotto la signoria di norme. In ciò, dice, si manifesta l’idea moderna di Stato. Lo Stato non è una struttura empirica con una forza e degli apparati che ne costituiscono i tentacoli; né tanto meno è una volontà effettiva dalla quale promana la norma. Semmai è vero il contrario. Da ciò, dice, discende il progressivo sviluppo del decentramento e dell’autonomia amministrativa. Lo Stato è la norma. Ovvero il manuale di istruzioni per produrre altre norme.
Anche se così fosse, rimarrebbe da giustificare l’origine di questo manuale d’uso.
Questo è il problema che Kelsen dà per scontato. L’argomento decisivo di Kelsen, ripetuto continuamente e sollevato contro ogni avversario, rimane sempre lo stesso, dice Schmitt: il fondamento, ovvero l’origine, per l’efficacia di una norma può essere solo una norma.
Ma anche se si supponesse che la Legge è già da sempre a disposizione – il che non è – rimarrebbe da dimostrare come si accede alla Legge.
In ogni caso, se si vuole derivare la norma dalla norma, e dare origine ad uno Stato partendo da questi presupposti, bisogna garantire, dice Schmitt, che questa origine sia pura.
La sfida che Schmitt lancia al kantismo è proprio questa. Dare la dimostrazione di un’origine pura della norma, senza relegare o ridurre l’elemento psicologico ed empirico ad un ché di solamente pensato (noumeno).
Ogni caso concreto, dice Schmitt, deve essere deciso in modo concreto, anche se come criterio di misura viene offerto soltanto un principio giuridico nella sua generalità astratta. Anche se noi avessimo la Legge già disponibile, e non ci interrogassimo sulla sua provenienza, dunque sulla sua legittimità, rimarrebbe sempre da dimostrare come possa e debba avvenire il passaggio dalla Legge generale la Caso concreto.
Ogni volta che questo passaggio si determina, dice Schmitt, si verifica una trasformazione. In ogni trasformazione è presente una auctoritatis interpositio. La Legge, da sola (ma non ha alcun senso dire la «Legge da sola», perché la Legge non è un questo o un quello o un qui), non può disporre nulla. Può disporre di un qualcosa o un qualcosa solo attraverso un braccio secolare.
Ricordiamo che qui è in gioco la fondazione della Sovranità, e che, come è stato detto all’inizio, non c’è speranza di fondare la Sovranità su un’autorità psicologica (sociologica), perché ogni realtà effettiva è dominata dalla legge di causalità, e dunque non può esservi isolato alcun fattore singolo che possa dirsi assoluto, ovvero slegato da un potere precedente che lo ha determinato. È evidente che una entità che ha in una causa la sua ragione di essere non può dirsi sovrana.
La sovranità deve essere assoluta, il suo inizio deve essere semplice. Non insisto su questo punto, e rimando alla Logica di Hegel. Come non insisto sulla relatività nella quale immette la contraddizione determinata, riassunta dal motto di Hegel «Cattivo infinito».
Insomma, dice Schmitt, non è possibile ricavare dalla semplice qualità giuridica di una massima una esatta determinazione di quale persona individuare o quale concreta istanza possa pretendere ad una autorità del genere. Questa è, dice, la difficoltà che si continua ad ignorare: il passaggio dalla norma al caso concreto, il salto dalla Legge alla storia.
Questo salto impossibile, è possibile. La decisione, ovvero l’eccezione, è il salto stesso, o la trasformazione della norma.
La forza giuridica della decisione, dice Schmitt, è qualcosa di diverso dal risultato del suo fondamento. Essa non si spiega con l’aiuto di una norma. Ogni concreta decisione giuridica, dice, contiene un momento di indifferenza contenutistica, poiché la conclusione giuridica non è deducibile fino in fondo dalle sue premesse, e la circostanza che una decisione è necessaria resta un momento determinante di per sé. Non si tratta della nascita causale e psicologica della decisione, bensì della determinazione del suo valore giuridico. In senso normativo, dice, la decisione è nata dal nulla.
La decisione contiene un momento di indifferenza rispetto al continuum storico. È svincolata dalla concatenazione delle cause e degli effetti, pur mantenendo un legame con la storia. Ha spezzato ogni legame con ogni entità psicologica e sociologica. È il prodotto di una sorta di io puro-empirico. Una vera eccezione – un miracolo – dice Schmitt.
Il tanto decantato stato di eccezione è questo: il miracolo di una decisione storica che spezza il continuum della storia; che non è fuori dalla storia e dal tempo, ma non ne subisce le condizioni.
Lo stato di eccezione, dice Schmitt, ha per la giurisprudenza un significato analogo al miracolo per la teologia.
Si possono riconoscere in questa idea di eccezione certe posizioni espresse da Benjamin in un testo del 1921 (Saggio sulla violenza), testo accolto con entusiasmo dal Schmitt, e lodato in alcune lettere private inviate all’autore.
La decisione assoluta, la decisione pura, non ragionata né discussa, dice Schmitt, non ha bisogna di legittimazione, e quindi sorge dal nulla. È in sostanza dittatura.
Ciò che qui Schmitt sta cercando di profilare è l’evento puro, il non atteso, il non previsto, il non calcolato, il non ragionato – l’arrivante per eccellenza, l’immigrato di cui non si sa nemmeno che è un immigrato. Il perturbante che non perturba, che non si annuncia; la creazione che non deriva da niente, che non ha legami con niente, che non si basa su niente. Il semplice. Ciò che Schmitt sta prefigurando è l’arrivo, in carne e ossa, dell’io trascendentale di Kant.
Come è mai possibile tutto ciò? Visto e considerato che ogni entità empirica è legata e concatenata con ciò che la precede e la segue. Ciò è possibile se si concepisce la Decisione come un atto di follia pura, un arbitrio totale, una follia molto più folle e romantica della follia raccontata da Foucault, per esempio – un’eccezione, insomma.
L’eccezione è ciò che dà fondo alla regola. E la regola è ciò entro cui si muovono i liberali, i quali, dice Schmitt, in ogni occasione politica, discutono e transigono, trattano, con una irresolutezza fondata sull’attesa. Scrivono sui giornali e blaterano all’infinito (cattivo infinito), in attesa (un’attesa disperata) che la partita si chiuda. Ma la partita non si chiude mai, nonostante l’impegno di tutti i burocrati e gli applicati del mondo, di tutti gli scienziati e i tecnici del mondo, e di tutto l’apparato scientifico-industriale impiegato al 100%. Tutti si affannano affinché l’inatteso arrivi. Ma non arriva niente. Più gli sforzi della scienza e gli affanni della burocrazia aumentano, più la decisione si fa attendere; più le analisi e le indagini scientifiche si intensificano più lo stato di eccezione, donde deriva la Legge, si sottrae. La decisione, se è tale, non solo è inattesa e imprevedibile, ma è totalmente contraria al ragionamento e alla scienza, i quali, con i loro metodi, pretendono di addomesticarla, ma senza riuscirci. Invece di affrettarne la venuta, la ritardano.
Dopo aver mostrato lo splendore e il rigore della dimostrazione di Schmitt, non c’è più tempo per mostrarne i limiti evidenti, limiti che condivide con la dottrina del Performativo di Austin.
FONTE:https://www.sinistrainrete.info/teoria/17256-leo-essen-lo-stato-di-eccezione-spiegato-breve.html
DIARIO DI UN POPOLO RECLUSO E RIDOTTO IN MISERIA.
LA NOSTRA TRAGEDIA NON E’ SOLO L’EPIDEMIA, MA ANCHE UN GOVERNO NEMICO DELL’ITALIA E CHE ODIA GLI ITALIANI
Siamo frastornati, annichiliti. A fatica riusciamo a renderci conto di come ci siamo ridotti. È accaduto tutto di colpo, così velocemente che neanche abbiamo avuto il tempo di capire, come se ci fosse venuto addosso un Tir. Ma se si riflette un attimo sull’incubo in cui siamo precipitati si resta increduli.
Due mesi fa sarebbe sembrato impossibile. Oltretutto il governo aveva dato le informazioni sanitarie più tranquillizzanti: “non è affatto facile il contagio”. Poi per settimane ci hanno messo in guardia dall’allarmismo di certi sovranisti, dal terrorismo psicologico e dal razzismo contro i cinesi. Questi erano i pericoli.
Appena un mese fa tutto era normale. Poi, d’improvviso, il panico: tutto è stato chiuso, tutto sbarrato e ora ogni italiano si trova recluso in casa, agli arresti domiciliari, a tempo indefinito. Pure se abita in certi casermoni popolari, con figli piccoli, in poche stanze dalle cui finestre vede solo cemento. Guai se mette il naso fuori casa. Rischia di essere insultato come untore dalla gente (sobillata dai media e dal governo), oppure fermato da carabinieri o dai soldati e multato o segnalato.
Di colpo il povero frastornato italiano si è trovato nel Paese più contagiato del mondo da un’epidemia che ogni giorno fa centinaia di morti, che ha trasformato i nostri ospedali in lazzaretti (un’epidemia che minaccia di accopparlo in pochi giorni), ma non capisce perché è ridotta così proprio l’Italia – che è tanto lontana dalla Cina – e non il Giappone o la Corea. E non capisce perché da noi ci sono così tanti morti. Infatti il capo del governo, che ama pavoneggiarsi come statista di continuo in tv, di spiegazioni non ne ha mai date.
Di colpo all’italiano medio, l’italiano anonimo e dimenticato, viene ordinato di stare a distanza fisica perfino dai suoi familiari in casa e deve sempre indossare mascherine che però ormai da settimane sono diventate irreperibili, come pure amuchina, guanti, alcol. Perfino negli ospedali.
Se nelle rare uscite di necessità vai al supermercato senza la mascherina, perché è introvabile, sei considerato un pericolo pubblico tu, non il governo che aveva il dovere (e aveva avuto anche il tempo) di procurarle come è accaduto altrove.
L’italiano è indotto a sentirsi lui in colpa mentre il governo – che è stato incapace di affrontare questo cataclisma e di preparare il Paese – elogia se stesso e ringrazia la Cina (per degli aiuti che già prima aveva ricevuto da noi), colpevolizzando continuamente il cittadino, come sospetto irresponsabile e indisciplinato.
Lui è il colpevole additato sui social dalla folla inferocita come possibile untore. L’italiano. Non il regime cinese che, con la sua negligente ottusità, ha fatto infettare il mondo dal virus, non il governo che ha per giorni minimizzato e non sa procurare neanche mascherine, non i politici che per un decennio hanno tagliato la sanità e i posti letto e chiuso ospedali in omaggio ai parametri di Maastricht.
Sei colpevolizzato tu, italiano, e oltretutto tu che hai pagato tutta la vita per finanziare il sistema sanitario potresti vederti negare un posto in terapia intensiva che ti può salvare la vita perché non ci sono più letti. E quand’anche tu fossi ammesso alle cure rischi di morire solo come un cane, senza neanche la vicinanza dei tuoi o i sacramenti (perfino senza più funerale: come i cani).
Questo italiano, recluso, colpevolizzato e a rischio della vita, a cui sono negati pure i sacramenti perché la gerarchia ecclesiastica se l’è data a gambe, ha poi – in moltissimi casi – un altro problema: è praticamente rovinato. Dopo 20 anni di crescita zero questo è il colpo di grazia!
D’improvviso la sua attività, commerciale o imprenditoriale, è stata chiusa e non si sa se e quando potrà riaprire, soprattutto non è detto che possa sopravvivere. Se è un dipendente forse ha perso il lavoro o rischia di perderlo. Ma tutti – datori di lavoro e dipendenti, partite Iva e famiglie – sono pressoché stati abbandonati dal governo che si rifiuta di prendere un vero impegno di copertura economica totale come hanno fatto gli altri governi (perché questo significherebbe smentire tutte le bufale che ci hanno propinato in questi anni sulla Ue e l’economia).
In ogni caso anche chi non perderà il lavoro si troverà poi con un paese a pezzi, in una depressione economica epocale, da cui sarà difficile e faticosissimo riprendersi. Già quest’anno è certo il crollo verticale del Pil e l’aumento massiccio della disoccupazione. Quindi le prospettive future dell’italiano recluso sono tragiche.
Come se non bastasse questo povero italiano, così malconcio, scopre pure di trovarsi adesso in una democratura, una democrazia che prende sempre più l’aspetto di una dittatura soft, un regimetto.
Sapeva già di vivere in un Paese i cui governi avevano ceduto a entità straniere gran parte della nostra sovranità, sapeva di essere costretto a subire governi che lo tartassavano senza pietà dando servizi sempre peggiori, governi che non aveva votato o che – come l’attuale – è minoranza nel Paese ed è stato rabberciato con papocchi di Palazzo.
Ma adesso si ritrova a vivere pure in un Paese in cui – col pretesto della guerra in corso (all’epidemia) – viene ritenuta deplorevole ogni critica(ti dicono sciacalli, avvoltoi) e gran parte dei media proclamano che non bisogna far polemiche e sono appiattiti sulla propaganda governativa, facendo da megafono al potere anziché alla gente (sollevare qualche dubbio significa esser tacciato di disfattismo o sabotaggio come nei regimi).
Il premier è fisso in televisione a fare proclami retorici senza contraddittorio, editti che poi si rivelano disastrosi e confusi, decreti che limitano le libertà costituzionali aggirando sia le Camere che il consiglio dei ministri, senza ammettere domande dei giornalisti e senza andare in Parlamento a dare le ragioni dei suoi decreti e a spiegare quale strategia segue.
La costituzionalista Ginevra Cerrina Feroni scrive che “siamo di fronte alla più grave rottura della Costituzione della storia della Repubblica” e perfino un analista di sinistra come Alessandro De Angelis, a proposito della penultima performance televisiva di Conte, scrive: “La più grande limitazione della libertà nella storia della Repubblica affidata a un videoannuncio notturno, senza provvedimento e senza passaggio parlamentare. C’è una rottura istituzionale sullo stato di eccezione per cui sta diventando tutto lecito in nome di un doppio standard”.
Come se non bastasse – e senza alcun mandato parlamentare – questo stesso governo di minoranza, ha preso la decisione (di soppiatto) di aprire una procedura in Europa (il Mes) che sarebbe letteralmente devastante per l’Italia. Ancora una volta senza alcun passaggio parlamentare.
Con questo governo buono a nulla, ma capace di tutto, con il Parlamento in disarmo, la limitazione delle libertà costituzionali per vie assai discutibili, l’esercito nelle strade, i morti a centinaia ogni giorno (e il Quirinale che tace), nessuno ci ha spiegato veramente cosa e perché sta accadendo e il governo si sottrae a tutte le domande, sia della stampa che dell’opposizione.
Stiamo vivendo una stagione all’inferno e non sappiamo se e quando finirà. Probabilmente non ritorneremo mai alla vita di prima. L’italiano medio per ora è sotto choc.
Ma quando comincerà a rendersi conto di cosa è accaduto in questa “maledetta primavera”, quanto si cominceranno a vedere le rovine, a contare i morti, le migliaia di attività economiche chiuse, i milioni di disoccupati, il crollo del pil, cosa accadrà?
Antonio Socci
Da “Libero”, 25 marzo 2020
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FONTE: https://sadefenza.blogspot.com/2020/03/diario-di-un-popolo-recluso-e-ridotto.html
BELPAESE DA SALVARE
QUESTA NOTTE VI PARLERÒ DELLA NASCITA DELL’ITANCIA!
Franco Muzzi – 5 aprile 2020
MA QUALE EXIT! L’ITANCIA E’ IL FUTURO! ma andiamo con calma.
La “LEGION D’ONORE” è un’idea avuta da Napoleone che nel 1802 ne istituì l’Ordine al fine di premiare con medaglia e onori, quelle figure del mondo accademico, scientifico e politico che si erano PRODIgati per il bene DELLA FRANCIA!… lo ripeto per i lettori distratti… riconoscimento a coloro che MAGGIORMENTE si erano PRODIgati per la FRANCIA. La Legion D’Onore è la massima onorificenza che ancora oggi lo stato francese riconosce a tali “distinte” persone.
Sono andato su wikipedia per saperne di più e scopro che ci sono 5 gradi, eccoli in ordine d’importanza:
1.Cavaliere di gran croce
2.Grand’ufficiale
3.Commendatore
4.Ufficiale
5.Cavaliere
Bene, – dirai tu – che c’azzecca? ci arriviamo!
Un’altra nota curiosa, che riguarda gli infiniti controsensi della nostra politica/partitica italiana è… che abbiamo parecchi politici/partitici ITALIANI che hanno ricevuto questa onorificenza per SERVIGI resi alla Francia? no, hai capito bene, non all’Italia, ma alla Francia!… In questo elenco, che potrai riscontrare in rete, soprattutto se sei un adepto dell’unico partito-setta d’italia, troverai per l’appunto moltissimi uomini del partito della crisi (così definito da un noto professore dell’Università La Cattolica di Milano)… per l’appunto, uomini del PD… e visto che l’Ordine è nato da Napoleone, ecco che il genio creativo francomuzzoso aggiunge… NON TUTTI DEL PD… MA BONAPARTE!… UNA BONISSIMAPARTE!…
Ecco i nomi più di spicco: Romano Prodi, Massimo D’Alema, Franco Bassanini, Emma Bonino, Piero Fassino, Walter Veltroni, Dario Franceschini, Enrico Letta, Sandro Gozi, Giovanna Melandri, Roberta Pinotti, Giuliano Pisapia e Beppe Sala…
A questo punto ci vuole un inno, un motto… qualcosa di cantereccio insomma…
Come faceva quell’inno di sinistrancia? ah sì…
Avanti popolo… de la Patrie,
Le jour de gloire …alla riscossa!
bandiera rossa … de la tyrannie,
L’étendard sanglant… trionferà!…
Gran finale:
bandiera rossa… bianca e pure blu…
bandiera rossa… bianca e pure blu…
bandiera rossa… bianca e pure blu…
e tutti gli italiani se la prenderanno in Q!
Q di quadro s’intende eh… cosa avevi capito? delfino curioso!
Delfino… teh… siamo di nuovo in Francia… quanti delfini in francia.
Ecco alcuni dettagli più precisi sui grandi uomini d’Ita..ncia!
Ah l’Itancia, l’Itancia!… pizza, champagne e mal di pancia!…
– Franco Bassanini (PD) è diventato Ufficiale della Legion d’Onore nel 2002 per i “forti legami intrattenuti durante il suo incarico da Ministro con la Francia
– Carlo De Benedetti (la cosiddetta “tessera n.1 del PD) è diventato Commendatore della Legion d’Onore nel 2015 per aver favorito l’“avvicinamento di Italia e Francia”
– Massimo D’Alema (DS) è diventato Grand’Ufficiale della Legion d’Onore nel 2001 per la “volontà di costruire un’ Europa comune”
– Piero Fassino (PD) è stato insignito della Legion d’Onore dal 2013 per aver dato “forte impulso alle relazioni con la Francia
– Dario Franceschini (PD) ha ricevuto Legion d’Onore nel 2017 per l’“amicizia dimostrata alla Francia”
– Sandro Gozi (PD) è stato insignito della Legion d’Onore nel 2014 in quanto “sincero europeista che lotta per l’Europa”
– Enrico Letta (PD) è Commendatore della Legion d’Onore dal 2016 in quanto “personalità straniera che vive in Francia”
– Giovanna Melandri (PD) è Ufficiale della Legion d’Onore dal 2003
– Roberta Pinotti (PD) è Ufficiale della Legion d’Onore dal 2017 per l’“impegno per una sempre più stretta collaborazione con la Francia nel campo della Difesa”
– Giuliano Pisapia (Ex Rifondazione e DP; dal 2017 Campo Progressista) è Ufficiale della Legion d’Onore dal 2015 per “francofilia”
– Romano Prodi (PD) è stato insignito della Gran Croce della Legion d’Onore nel 2014 in quanto “Europeo convinto, economista brillante e politico al servizio dello Stato
– Beppe Sala (PD) ha ricevuto la Legion d’Onore nel 2016 come “riconoscimento per il successo mondiale di Expo”
– Walter Veltroni (PD) ha ricevuto la Legion d’Onore nel 2000 “per l’attività svolta a salvaguardia dei beni culturali”
Da notare anche la presenza nell’elenco di Emma Bonino, leader di +Europa. L’ex radicale è diventata Commendatore della Legion d’Onore nel 2009 per essere una “militante europea”.
Sono Commendatori della Legion d’Onore anche Franco Frattini e Claudio Scajola di Forza Italia. Stefania Prestigiacomo è Ufficiale della Legion d’Onore dal 2016.
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Bene, che dire?… Vista la grande stima che i francesi hanno degli italioti, direi che è giunta l’ora di fondare l’ITANCIA!…
chiudo, con l’immagine della bandiera così come la sta immaginando il creativo in me…
Potete stamparla ed esporla fuori dalle finestre…
vi do la mia liberatoria. Fate fate… uuh… se non ci fossero le fate…
La denuncia del Prof. Giulio Tarro alle accuse di “Next Quotidiano” e “BUTAC”
In risposta alle accuse diffamanti operate da “Next Quotidiano” e “BUTAC”, Tarro ci ha presentato la denuncia in 9 pagine in cui il virologo si difende dalle calunnie a suo danno atte a screditarlo, qui gli stralci più importanti
L’articolo di “Next quotidiano” (https://www.nextquotidiano.it/dieci-cose-da-sapere-su-giulio-tarro/) ha cercato di screditare in maniera “eterodiretta” – come lo stesso Tarro afferma nella sua denuncia – la figura del virologo. Il “noto sito di bufale” BUTAC ha servito l’assist per questa diffamazione a cui è poi seguita la querela del Professore per tutelarsi. La denuncia di Tarro è articolata e ben risponde ad alcuni quesiti resi in maniera poco rispettosa dai due siti online che si sono occupati di infangare la persona e la professionalità del virologo.
Ecco la sua denuncia presentata già nel febbraio 2019 alle autorità competenti:
Lo scorso anno, dopo diverse sollecitazioni, ho scelto di collaborare attraverso la redazione di articoli per il Giornale dei Biologi e la partecipazione a vari convegni, alle attività dell’ONB, Ordine Nazionale dei Biologi. Questa mia scelta non è evidentemente piaciuta a quanti non condividono le scelte dell’ONB in materia di sicurezza dei vaccini e da allora, attraverso i social network, questi signori non hanno perso occasione per infangarmi ed in più di un’occasione di diffamarmi, costringendomi così a rivolgermi all’autorità giudiziaria per veder tutelare il mio buon nome.
Si tratta di gruppi e singoli che non esito a considerare in molti casi eterodiretti che attraverso blog, giornali on line e social network, Facebook su tutti, alimentano un clima di odio nei miei confronti, arrivando ad accusarmi di nefandezze varie, violazione di legge, posizioni antiscientifiche.
In merito alle affermazioni contenute nell’articolo di “Next Quotidiano”, a firma di Giulia Corsini dove si scrive: “Giulio Tarro viene spesso presentato come “il miglior virologo del mondo” o come “il migliore virologo dell’anno”. Il virologo premiato negli USA ma snobbato in Italia. Nel 2018 ha effettivamente ricevuto un premio da un’associazione americana chiamata IAOTP (Associazione internazionale dei migliori professionisti) come”miglior virologo dell’anno”. Peccato che, come ha scoperto il noto sito di bufale BUTAC, la IAOTP sia una sorta di agenzia che vende onorificenze.In ambito scientifico questo tipo di premi sono noti come predatory prize, si tratta di premi che vengono assegnati a persone che in genere ricevono e-mail e telefonate scam di congratulazioni per spingerli a pagare grosse somme per targhe commemorative, copie di souvenir o premi” .
Tarro presenta ulteriori rimostranze e spiega nella denuncia: tale affermazione allusiva e denigratoria per ritenere integrata la fattispecie di cui all’art.595 cp, atteso che una simile presentazione, che va ben oltre il dileggio, lascia intendere al lettore che io mi presti ad operazioni poco trasparenti, addirittura pagando per ricevere onorificenze, come se alla mia età e con il mio curriculum avessi ancora bisogno di riconoscimenti o di celebrità.
“Chi parla di Giulio Tarro, spesso dichiara che sia stato candidato al Nobel una, due o addirittura tre volte. Il “Pluricandidato al Nobel”. Anche i Lions hanno festeggiato la sua candidatura nel 2015. Peccato che le candidature al Nobel in realtà vengano rese pubbliche solo dopo cinquant’anni dall’anno di una premiazione. Il fatto curioso è che le candidature non vengono divulgate a nessuno eccezion fatta per la commissione che deve valutare chi tra i candidati vincerà il prestigioso premio”.
L’articolo continua con le diffamazioni a scena aperta, e nella sua denuncia il professore si trova ancora una volta a doversi difendere così:
… così si è fatto comprendere che la mia fama è non solo immeritata ma per certi versi inventata di sana pianta, dipingendomi dunque come una sorta di mistificatore capace di ingannare opinione pubblica, Lions e quant’altri hanno espresso parole di stima ed ammirazione nei miei confronti. Non paga di tanto fango la signora continua a descrivermi così: “ … Giulio Tarro ha pubblicato in alcuni giornali seri ma anche in numerosissimi predatory open access journal, riviste farsa che non hanno un serio controllo editoriale (…) dichiara di essere editor della rivista Journal of Vaccine Research & Development edita a Singapore, senza impact factor, talmente scalcagnata da non avere nemmeno un comitato editoriale…”, affermazione quest’ultima palesemente falsa e tendenziosa, sempre con il preciso obiettivo di gettare discredito sulla mia persona (cfr. All.). Non ultroneo sul punto sottolineare come la giurisprudenza di legittimità punisca anche le espressioni “insinuanti” ovvero la divulgazione di comportamento (vero o falso che sia; in questo caso palesemente falso) che incontri la riprovazione della “comune opinione” (cfr. Cass. 40359/2008).
Il lungo e diffamatorio articolo continua così: “Tarro afferma di essere stato docente ufficiale dell’Università di Napoli Federico II. Tralasciando il fatto che il titolo di “docente ufficiale” non esista e che si è professori universitari in base a vari inquadramenti (“di ruolo”, “associato”, “a contratto”); Tarro non compare nei registri online dell’Università di Napoli Federico II e in quelli accessibili da Cineca, il portale ufficiale per la ricerca dei docenti. Egli si dichiara Membro del Senato Accademico dal 1990 dell’Università Costantiniana di Providence, Rhode Island e dal 1994 dell’Università Pro Deo di New York, Accademico onorario dell’Università Sancti Cyrilli di Malta dal 2001 e Rettore onorario dal 2003 dell’Università Ruggero II dello Stato della Florida negli USA. La giornalista scientifica Sylvie Coyaud ha scoperto che si tratta di quattro false università che vendono diplomi e onorificenze al miglior offerente. Non compaiono infatti nel database pubblico degli istituti autorizzati a operare negli Usa. Non si trova evidenza della Laurea Honoris Causa in medicina conferitagli dall’Università Cattolica Albany (New York) nel 1989. È presidente della Norman Academy (o Accademia dei Normanni) e dell’Università Popolare Tommaso Moro, sono università non accreditate e non riconosciute dal MIUR che distribuiscono dunque titoli che non hanno valore accademico”.
A prescindere dalle modalità con cui la signora ha effettuato la ricerca giova in questa sede ricordare che all’inizio degli anni 70 diverso era l’inquadramento della docenza universitaria ed il 29 gennaio del 1971 ho conseguito la libera docenza in Virologia, docenza confermata con Decreto del Ministro della Pubblica Istruzione il 15.12.1976. Nel 1972, mi veniva conferito l’incarico di insegnamento di Microbiologia presso la scuola di specializzazione in Nefrologia Medica della prima facoltà dell’Università di Napoli dopo aver, il 24 gennaio dello stesso anno, ricevuto l’incarico dell’insegnamento di Virologia oncologica sempre presso la prima facoltà dell’Università di Napoli. Trovo paradossale dover spiegare tutto ciò, ma visto che la redattrice non ha avvertito il bisogno di chiedermi conto sono costretto a chiarire in questa sede.”
Tra le accuse più infamanti c’è infine quella che così mi descrive: “Giulio Tarro dichiara di aver isolato il Virus Respiratorio Sinciziale nei bambini ammalati durante l’Epidemia del “male oscuro” che ha colpito Napoli verso la fine degli anni Settanta. La sua prima pubblicazione sul tema risulta però essere del 1980 , invece il primo articolo pubblicato dai docenti dell’Università di Napoli del 1979 parla già di isolamento ed identificazione del virus sinciziale. Tarro non è tra gli autori e non compare citato neppure nelle fonti bibliografiche.”
Una affermazione tanto odiosa quanto ridicola: sul punto basti leggere le conclusioni della Commissione Giovanardi pubblicate sul Medical World News del 5 marzo 1979 ed il lungo reportage de L’Europeo del 15.2.1979 (cfr All.) Sorvolando sulle altre meshinerie contenute nell’articolo, che un Direttore prima di pubblicare avrebbe avuto il dovere di verificare, orbene non v’è dubbio che ci troviamo innanzi una violazione del mio diritto alla reputazione, intesa alla stregua di quella considerazione che un individuo gode nell’ambiente sociale in cui vive, atteso che le notizie diffuse sono non vere oltre che non pertinenti.
Nella reputazione la dottrina fa rientrare anche il decoro professionale, ossia l’immagine che un soggetto ha costruito di sé nel proprio ambiente di lavoro (…) Al lettore distratto che ritenesse una mera critica quella testé descritta sovviene la interpretazione che, costante nel tempo, ci offre la suprema Corte di Cassazione che ricorda come in materia di diffamazione a mezzo stampa, non può riconoscersi l’esimente del diritto di critica storica se la ricostruzione dei fatti, contrastante con quella ufficialmente riconosciuta, si fondi su fonti anonime o non riscontrabili, ovvero su voci correnti. (Sez. 3, Sentenza n. 6784 del 07/04/2016 Presidente: Salmè G. Est./Rel.: De Stefano F. P.M. De Renzis L.)
Ed invero, come precisato dalla Cassazione (nella ricordata sentenza 4897/2016 ma anche Cass 04/07/1997 n° 41 e Cass. 25/05/2000 n° 6877), per il legittimo esercizio del diritto di cronaca occorrono tre condizioni: a) la verità della notizia pubblicata; b) l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto (c.d. pertinenza); c) la correttezza formale nella esposizione (c.d. continenza). In questo caso mancano tanto la verità della notizia quanto la correttezza della esposizione.
FONTE:https://www.ischiapress.net/2020/04/02/la-denuncia-del-prof-giulio-tarro-alle-accuse-di-next-quotidiano-e-butac/
CONFLITTI GEOPOLITICI
FOXNEWS: LA CAUSA DEL CORONAVIRUS E’ LA GUERRA FREDDA FRA CINA ED USA
Il fatto che il coronavirus sia nato non nel “Mercato del fresco” di Wuhan, dove si sarebbero venduti anche pipistrelli, ma in laboratorio, viene dato ormai per scontato negli USA, con Foxnews che ne parla in modo aperto in un suo articolo. Il cuore del discorso che si sta diffondendo oltreoceano è questo: il virus è partito dal laboratorio “Livello 4” di Wuhan, costruito con l’aiuto anche francese. Il laboratorio non aveva una funzione militare, cioè la Covid-19 non è il frutto di un’elaborazione in funzione bio-militare di un virus naturale, ma della volontà dei cinesi di dimostrare di essere bravi come, o anche più, degli americani, di combattere i virus, di analizzarli e di trovare contromisure. Il laboratorio quindi, da quello che si capisce, non era un laboratorio militare, ma con finalità positive, se mai deviate nell’ambito di un confronto, sempre presente, fra Cina ed USA. La “Guerra Fredda” fra i due blocchi, che spesso si esprime sotto altri aspetti, dal confronto militare a quello commerciale, ha scatenato anche un “Confronto sanitario” sulla capacità di far fronte ai virus, ma in questo caso questa corsa si è trasformata in una fuga del virus e quindi in un disastro sanitario mondiale.
FOX riconosce che effettivamente la Cina ha cercato di combattere la diffusione nelle prime fasi, ma la Cina ha anche cercato di distrarre l’attenzione pubblica, deviandola sul famoso “Mercato dei miracoli” dove si vendevano anche pipistrelli vivi. Il tutto per evitare di incolpare il laboratorio virologico che, evidentemente, aveva anche la propria grossa fetta di responsabilità.
Quindi il confronto USA-Cina sarebbe alla base del disastro del Covid,-19, anche se in modo indiretto. Se questo fosse vero ci sarà una forte spinta anche verso le cause contro il governo cinese come responsabile del disastro e quindi come debitore di un lauto risarcimento. Soldi che interessano a mezzo mondo.
FONTE:https://scenarieconomici.it/foxnews-la-causa-del-coronavirus-e-la-guerra-fredda-fra-cina-ed-usa/
CULTURA
Sottrazione di sette minuti in sette minuti
Diego Fusaro – 21 MARZO 2020
C’è un testo magnifico che ci può aiutare a decifrare ciò che sta accadendo in Italia in questi giorni e sempre più diffusamente in Europa. E’ un testo teatrale di Stefano Massini e si intitola “Sette minuti” uscito nel 2015 presso l’editore Einaudi.
In una fabbrica multinazionale francese, le lavoratrici temono un licenziamento a causa della nuova amministrazione, la quale invece propone loro il rinnovo del contratto con però una piccola clausola. Le lavoratrici dovranno infatti rinunciare a sette minuti al giorno della loro pausa pranzo. Tutte tirano un sospiro di sollievo e di pancia vogliono sottoscrivere il nuovo contratto, ma Blanche, la più savia e la più anziana, esorta le sue compagne a riflettere. Perché mai rinunciare a sette minuti della pausa pranzo se l’azienda è florida? Calcolati su tutto l’anno sono poi un sacco di ore regalate alla multinazionale senza che in concreto ve ne sia alcun bisogno.
E se poi, spiega Blanche, fosse semplicemente una prova per vedere a quanti diritti e a quanta libertà le lavoratrici sono disposte a rinunciare senza che ve ne sia bisogno?
Che cosa accadrebbe se di sette minuti in sette minuti la multinazionale si prendesse un poco alla volta tutti i diritti, tutte le libertà e tutto il tempo della vita delle lavoratrici?
Si arriva così alla votazione finale. Quella che prevede che si accetti il contratto o che si respinga.
Metà delle lavoratrici con Blanche vogliono rigettare il contratto e vogliono rigettarlo in nome della dignità del lavoro e della propria capacità sovrana di dire di no alle richieste delle “cravatte” come vengono chiamati quelli del consiglio di amministrazione. L’altra metà delle lavoratrici invece è pronta a sottoscrivere il contratto. E quando Sophie sta per esprimere per ultima il suo voto, che sarà quello dirimente, ecco che cala il sipario.
Con ciò Massini sottolinea una storia dal finale non scritto. Si, perché è la nostra storia. E’ la storia di come, di sette minuti in sette minuti, ci stanno portando via tutto, non solo i diritti del lavoro, come stanno facendo senza posa dal 1989 ad oggi, ma ultimamente anche le libertà fondamentali tra cui quella di spostamento e di assemblea pubblica. Non tutte insieme, che subito sarebbe chiaro il movimento generale messo all’opera dai dispositivi del potere!
No. Ce ne tolgono una dietro l’altra, ma con lenta e solerte continuità, come accade con i sette minuti di cui scrive Massini, di modo che l’inimmaginabile diventi gradualmente plausibile, fino a tradursi in “inevitabile”.
Chissà che la vecchia Europa non stia imboccando anch’essa la via che porta di sette minuti in sette minuti alla rimozione progressiva ma ininterrotta di libertà e conquiste sociali.
Del resto, sono la crisi, l’emergenza e l’esigenza di sicurezza a richiedercelo. Sicché, pazzo sarebbe chi solo facesse notare con Foucault che il paradigma liberista proprio su questo si fonda. Ossia su crisi emergenziali, in nome delle quali si impongono misure che non possono essere discusse, criticate, democraticamente vagliate e, soprattutto, evitate.
Il paradigma securitario procede in questo modo. Pone in essere un’alternativa fittizia tra A e B. Dove A è indicato con la salvezza e B con l’abisso.
In tal guisa, la scelta di A è in realtà una coazione, un obbligo inaggirabile. Per duro e sgradevole che possa apparire, ne va della nostra salvezza e della nostra sicurezza.
“Vivre dangereusement, vivere pericolosamente è il motto del neoliberismo, si incontra qui con un altro teorema fondamentale della religione neoliberista: “There is no Alternative”.
VIDEO QUI – (L’EMERGENZA È L’ARMA CON CUI CI STANNO TOGLIENDO LIBERTÀ SENZA LA NOSTRA OPPOSIZIONE – Diego Fusaro)
FONTE: https://www.youtube.com/watch?v=UGgJ5bO5mWw
LA SAUDADE SECONDO ANTONIO TABUCCHI, FRA PASSATO E FUTURO
L’avvento tecnologico ha avuto, come è noto, un impatto enorme sulla generazione attuale, e forse anche su quella precedente. La comodità è il motore intellettuale di chi, giustamente, pensa al progresso come un supporto alla quotidianità, facendo dei nuovi mezzi un trampolino di lancio verso il futuro. Parlando di punti di vista generazionali, però, non è strano accorgersi che non tutti si trovano d’accordo con questo tipo di novità, con l’evoluzione che mira all’agio, con il progresso che diventa sostegno. Sono, anzi, in molti a rimpiangere un certo stile di vita, fatto di un’educazione alla quale con difficoltà ci si oppone e con una costante macchia nostalgica che rende romantico pensare ai giorni andati.
L’approccio all’attualità segue, quindi, due direzioni diverse, cronologicamente opposte, in cui il rifiuto o l’accettazione del processo evolutivo sono frutti dello stesso albero. Si tratta di una reazione generata dal tempo e, più precisamente, da uno shock che assume le forme del desiderio inconscio. Il risultato è uno slancio ambizioso e irrequieto: passato nostalgico o impulso tecnologico, in ogni caso, due strade prive di un codice che le possa rendere leggibili. Ma ciò non esclude che si possano interpretare. Si può ammettere che la tecnologia sia effettivamente un sollievo: fatica risparmiata, in sostanza. Ma, soprattutto, è possibile individuare un rapporto sottile tra chi guarda malinconicamente al passato e chi si affida alle comodità della rivoluzione tecnologica. Un frammento di tempo in comune. Lo scrittore Antonio Tabucchi ne offre un disegno che ricalca il concetto della saudade, esotica combinazione e madre del sentimento del tempo, del desiderio.
Dal principio: il conflitto, di base, ha origine nel continuo scambio di opinioni, che mette in evidenza una generazione di mezzo, più genericamente uno strumento di passaggio. È la generazione tramite cui il nuovo si è sostituito al vecchio, congelando chi si è ritrovato a subire un po’ la velocità di una svolta simile. Velocità, appunto. Il rapido cambiamento del sistema quotidiano ha messo a soqquadro le abitudini della gente, costringendola ad un aggiornamento costante del mondo che avanza. È comunque una generazione di mezzo che trova conforto nell’età di cui dispone, sia chiaro: la cultura del presente sulla quale i più giovani stanno costruendo il loro percorso formativo è a tutti gli effetti la normalità. E il fatto che il 21esimo secolo abbia portato nelle scuole tutti gli strumenti figli dell’innovazione, sostituendo quelli che il passare degli anni ha reso obsoleti, ai più non stride, perché privi di un parametro opposto con cui confrontarlo. Analogo il procedimento in senso contrario; l’evoluzione è invisibile agli occhi di chi ha superato una certa soglia della vita, oltre la quale è impossibile pensare ad un mondo diverso da quello che il suo tempo ha concesso. Si parla di una generazione ampia, insomma, quella di mezzo, composta da chi possiede – o meglio, ha posseduto – l’altro. Da chi ha avuto un prima e progetta un dopo.
In virtù di un rapporto tra prima e dopo, chi è in mezzo non può non porsi delle domande. Domande che sorgono dal confronto tra chi agisce sulle basi di un sistema legato al passato e chi è nato già proiettato in questo futuro. Sono due sistemi con obiettivi differenti, da cui nascono impulsi altrettanto differenti, ovvio. Tuttavia, il desiderio di compiacere quell’impulso è alimentato nello stesso modo, ovvero dall’eccesso, che è un’estensione naturale dell’entusiasmo. E in un gioco fatto di eccessi, il desiderio genera silenziosamente il caos.
Gli aspetti della vita che si sono imbattuti nel gigante moderno sono molti, a partire dal modo di comunicare, ad esempio, quasi completamente deviato dall’evoluzione tecnologica – come nel caso dei social network – mostrando tutta una serie di problematiche relazionali che soffocano le generazioni proprie di piattaforme virtuali e chat. Nel nuovo modo di comunicare, i canoni dell’arbitrio espressivo vengono riscritti, eludendo ogni forma di buon senso attraverso il mito – ormai stravolto – della libertà d’opinione. La conseguenza è il distacco fra le persone, in cui l’immobilità relazionale si scontra con la violenza da tastiera. Non solo: le piccole attività commerciali sentono il peso delle grandi aziende, mascherate dall’illusione di riverenza che si cela dietro un click. Perché sì, basta un click per ottenere qualsiasi cosa. E ancora: a pagarne sono tutte le forme d’arte, la letteratura, la musica, il cinema. Espressioni che boccheggiano e chiedono aiuto, che soffrono il calo di attenzione causato dall’agio tecnologico. La pigrizia ha messo in ginocchio l’entusiasmo intellettuale che era proprio di altre culture, di altre generazioni. Sono tutti disagi fomentati dalla stanchezza dei gesti, dalla dipendenza, sorda e letale, che addormenta ogni stimolo di conquista.
Ma al fianco di quelle che sono le eventuali conseguenze negative del progresso tecnologico, resta da capire i motivi che, al contrario, rendono così attraente guardarsi continuamente alle spalle. Capire su cosa si costruisce la tentazione di sfogliare pagine di libri già terminati e destinati a quella grande libreria che è il corso degli eventi. Ogni elemento ha il suo posto, certo, ma ogni posto è accessibile se la mente si libera dagli obblighi della logica. In tutta probabilità, gioca una parte non secondaria quell’abitudine un po’ romantica della mancanza, che prende allo stomaco e costringe a fare dei salti indietro alla ricerca di un ricordo. Quel sentimento che assume colore nella sfera della nostalgia, insinuandosi nei cassetti delle immagini andate. Qui, nella dimensione della memoria, resta stabile il confronto a due: per combattere un brutto ricordo, non si ricorre ad uno piacevole, ma nostalgico. Il fenomeno del ricordo piacevole appassisce insieme al tempo, fa parte di qualcosa che è impossibile raggiungere perché presume un momento felice legato al passato, e quindi accessibile solo al passato. Eppure la nostalgia esiste, la si cerca, ed è un desiderio tanto amaro quanto irrinunciabile.
Un paese intero, anzi una cultura intera, ha fatto di questo sentimento un tratto distintivo. I portoghesi, nell’espressione saudade, hanno sigillato un vero e proprio concetto, riuscendo a renderlo talmente personale da impedire una qualsiasi traduzione in un’altra lingua. In Viaggi e altri viaggi (acquista), Antonio Tabucchi affronta il tema del viaggio nel più intimo della sua accezione, offrendo al Portogallo una riserva speciale, in nome del legame che per tutta la vita l’ha accostato alla terra lusitana. Il rapporto fra Tabucchi e questo Paese emerge in molti dei suoi romanzi, è però nei Viaggi che racconta la saudade, facendo riferimento ad una delle suggestive vie che caratterizzano Lisbona, rua da Saudade, per l’appunto.
«La saudade è parola portoghese, di impervia traduzione, perché è una parola concetto, perciò viene restituita in altre lingue in maniera approssimativa».
La ricerca di una traduzione del termine in un dizionario portoghese-italiano non rende giustizia al suo significato naturale, perché viene in tutta probabilità associato a “nostalgia”: «parola troppo giovane (fu coniata nel Settecento dal medico svizzero Johannes Hofer) per una faccenda così antica come la saudade», precisa Tabucchi.
Ad ogni modo, quella della nostalgia rimane la linea guida per il processo che si batte contro l’era tecnologica, ma nel suo senso impreciso, più liberamente interpretato. Allora Tabucchi porge l’altra guancia, proponendo di consultare un dizionario portoghese del calibro del Morrais:
«dopo l’indicazione dell’etimo ‘soidade’ o ‘solitate’, cioè ‘solitudine’, vi darà una definizione molto complessa: “Malinconia causata dal ricordo di un bene perduto; dolore provocato dall’assenza di un oggetto amato; ricordo dolce e insieme triste di una persona cara”».
È qui che Tabucchi mette in scacco la questione. Il nemico della tecnologia non è propriamente il sentimento – un po’ vago e indefinito – della nostalgia, ma quello intraducibile della saudade. Il difetto nell’accettazione del progresso abita una coscienza in mano alla saudade, «qualcosa di straziante, [che] può anche intenerire». Nella sua complessità sembra essere una verità di nebbia, perché di nebbia è fatta l’illusione del passato.
È complicato trovare un equilibrio fra desiderio nostalgico e agio tecnologico. Soprattutto è difficile individuare un collegamento che metta in relazione la metafisica della saudade e la praticità di cui si avvale il progresso. Se però esiste la regola del compromesso come vittoria intellettuale, questa strizza l’occhio all’assurdo. Sempre in riferimento alla saudade, Tabucchi aggiunge che «non si rivolge esclusivamente al passato, ma anche al futuro, perché esprime un desiderio che vorreste si realizzasse». Di fronte a questa ipotesi, lo scrittore non esclude un rapporto tra le due sfere (apparentemente) rivali, e «qui le cose si complicano perché la nostalgia del futuro è un paradosso». Un paradosso, dunque, in un contesto che riguarda sia il passato che il futuro, e la possibilità che si possano incontrare in un valore comune, nel desiderio, forte e implacabile, di qualcosa.
Che sia un’intensa ricerca malinconica del passato o lo stimolo nel domani non fa più differenza, sono percorsi diversi ma che hanno lo stesso punto di partenza. Più precisamente, Tabucchi guarda al problema della nostalgia del futuro da una prospettiva differente. Sembra che la osservi dall’alto, cercando di capirne i movimenti. In rua da Saudade, lo scrittore mette a disposizione l’«ora canonica della saudade», al tramonto, specificando che un momento del genere può generare nel viaggiatore «una sorta di struggimento». E si rivolge direttamente al lettore, ormai immerso nel fascino di quelle descrizioni:
«La vostra immaginazione, facendo uno sgambetto al tempo, vi farà pensare che una volta tornati a casa e alle vostre abitudini vi prenderà la nostalgia di un momento privilegiato della vostra vita».
Tabucchi elimina ora ogni strumento che renda codificabile il tempo, il quale smette di esistere. Il rapporto passato-presente-futuro viene abolito da una sensazione dolce e straziante che raccoglie tutto in un istante, nella saudade: «Ecco, il gioco è fatto; state avendo nostalgia del momento che state vivendo in questo momento. È una nostalgia al futuro». La teoria della nostalgia al futuro – e lo stravolgimento temporale che ne consegue – mette un punto al conflitto fra il passato e il presente che guarda al futuro, fra tradizione e tecnologia. La ricerca sfuma insieme agli impulsi che l’hanno generata, e mutano le direzioni imposte dal desiderio perché svaniscono le coordinate del tempo, rendendole indecifrabili. Sono desideri diversi, strade diverse, ma con lo stesso punto di partenza e lo stesso punto di arrivo.
Sergio Zaza
FONTE:https://www.frammentirivista.it/la-saudade-secondo-antonio-tabucchi-fra-passato-e-futuro/
IL MONDO PIANGE LUIS SEPÚLVEDA
Si è spento questa mattina, 16 aprile, all’età di 70 anni Luis Sepúlveda, a causa del coronavirus contratto lo scorso febbraio. Lo scrittore cileno era ricoverato a Oviedo, nelle Asturie, in Spagna, dove risiedeva con la moglie e poetessa cilena Carmen Yañez.
Sepúlveda ha fatto sognare generazioni di lettori attraverso le sue favole e le sue storie di viaggi, ma lo ricordiamo anche per la sua passione per la politica e l’ecologia.
La vita tra esilio, impegno politico ed ecologista
Luis Sepúlveda nasce a Ovalle, in Cile, il 4 ottobre 1949. Fin da giovanissimo comincia a scrivere poesie e racconti, e concilia questa sua passione per la letteratura con una precoce attività politica, fino ad arrivare a far parte del Partito Socialista fino ad arrivare a collaborare con il Presidente Cileno Salvador Allende. Con il golpe del 1973 del dittatore cileno Augusto Pinochet, finirà in carcere dove viene torturato, fino a che Amnesty International richiederà il suo rilascio. Arriva così a trascorrere la sua vita in giro per il mondo, dall’Argentina al Nicaragua, dove nel 1979 si unì alle Brigate Internazionali Simon Bolivar , passando per l’Uruguay e l’Ecuador, e fino ad arrivare in Germania, ad Amburgo, in Francia, dove ottiene la cittadinanza francese, e in Spagna, a Guijón, nelle Asturie, dove risiedeva dal 1996 assieme alla moglie.
Vale la pena ricordare anche il suo impegno ecologista. Dopo aver trascorso un periodo in Ecuador a contatto con la popolazione degli Indios Shuar a seguito di una spedizione UNESCO, in cui comprende l’importanza del rapporto tra le popolazioni locali e l’ambiente naturale, entra in contatto nel 1982 con l’associazione Greenpeace, dove fino al 1987 farà parte dell’equipaggio delle loro navi, portando così avanti le campagne ambientaliste che tanto sono state fondamentali per questo autore, che sempre si è battuto per tutelare l’ambiente e i diritti delle popolazioni indigene del Sud America.
Le opere di Luis Sepúlveda: i viaggi e le favole
Tante sono le opere che ha scritto Luis Sepúlveda, che qui in Italia sono state proposte da Guanda Editore. Da ricordare sicuramente il suo romanzo di debutto Il vecchio che leggeva romanzi d’amore (acquista), romanzo del 1989 che attinge all’esperienza dell’autore con gli Indios Shuar, che narra la storia di Antonio José Bolivar Proaño e della sua caccia al tigrillo, oppure i racconti de La frontiera scomparsa del 1994, che attingono alla sua vita in Cile, il suo impegno politico come comunista prima e socialista poi, fino alla dittatura di Pinochet e all’esilio dello scrittore, Diario di un killer sentimentale del 1996, un brevissimo romanzo thriller su un sicario che va in giro per il mondo in cerca del trafficante Victor Mujica. Vale la pena ricordare anche altri romanzi e raccolte di racconti come Il mondo alla fine del mondo, Un nome da Torero, La frontiera scomparsa e Le rose di Atacama.
Sepúlveda scrisse anche diari di viaggio, che prendono spunto dalla sua esperienza con Greenpeace, come ad esempio Patagonia Express, Ultime notizie dal Sud e Cronache dal cono Sud, i saggi, come quelli scritti a quattro mani con Carlo Petrini Un’idea di felicità e sempre con Petrini e José Mujica Vivere per qualcosa.
Da ricordare, soprattutto, le favole, che tanto hanno accompagnato generazioni di lettori, tra cui Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare (acquista) del 1996, storia del gatto Zorba e della gabbanella Fortunata che impara a volare grazie all’aiuto del primo e dei suoi amici, tra cui la gatta Bubulina e il poeta saltando dal Campanile di San Michele, romanzo che è stato trasposto con grande successo per il cinema da Enzo D’Alò, e altre favole come Storia di un topo e del gatto che diventò suo amico, Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza, Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà, e Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa.
Che cosa ci resterà di Luis Sepúlveda
Di Luis Sepúlveda resta sicuramente il suo amore per l’essere umano, il mondo e per le grandi storie, la sua passione per la natura e per la politica, sempre a battersi per gli ultimi e per un rapporto più armonioso tra uomo e natura.
A noi non ci resta che ricordarlo leggendo le sue bellissime favole, i diari dei suoi viaggi, i suoi romanzi e i suoi racconti: storie che ci fanno viaggiare con la fantasia, che ci fanno conoscere nuovi mondi, favole che ci fanno tornare bambini. Storie di vite avventurose e di sogni che non smetteremo mai di nutrire, di amore per l’umanità e la natura. Saremo eternamente grati a Luis Sepúlveda per quello che ci ha donato.
FONTE:https://www.frammentirivista.it/il-mondo-piange-luis-sepulveda/
Compiti di un pensatore critico secondo il pedagogista Robert Ennis
- Giudicare la credibilità delle fonti
- Identificare conclusioni, motivazioni e presupposti
- Giudicare la qualità di un argomento, incluso l’accettabilità delle sue motivazioni, presupposti e prove
- Sviluppare e difendere una posizione su un tema
- Fare domande appropriate per chiarire temi controversi
- Pianificare esperimenti e giudicare l’assetto degli esperimenti stessi
- Definire la terminologia in modo appropriato al contesto
- Avere una mente aperta
- Cercare di essere ben informati
- Tirare delle conclusioni se giustificate, ma con cautela
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
L’uomo del Monte ti scrive? Potrebbe essere un hacker
Alcuni cybercriminali avrebbero avuto accesso a diverse caselle di posta del Monte dei Paschi di Siena, poi utilizzate come esche per il phishing
Ci risiamo. Spuntano come funghi dopo la pioggia e quale momento migliore di questo, in piena emergenza?
Parlo degli hacker o presunti tali che a cavallo tra fine marzo ed inizio aprile, sfruttando l’incertezza economica, le restrizioni imposte dal Governo agli spostamenti dei cittadini e la chiusura al pubblico, se non previo appuntamento, delle filiali di pressoché ogni istituto bancario presente in Italia, hanno dato il via ad un attacco di phishing.
Rispetto a molti altri episodi più o meno noti in cui gli attaccanti hanno creato mail fasulle, riconoscibili da un attento osservatore per piccoli errori di sintassi dei messaggi o quasi impercettibili nel nome del mittente del messaggio, questa volta, secondo quanto dichiarato dall’agenzia Reuters, gli hacker hanno avuto accesso alle caselle di posta di alcuni dipendenti della banca statale Monte dei Paschi di Siena e da quelli hanno inviato email ai correntisti, con allegati dei messaggi vocali, facendo credere loro che fosse l’istituto di credito stesso a contattarli, avvisandoli che il loro conto corrente fosse stato bloccato e chiedendo loro di provare ad effettuare l’accesso digitando le proprie password o di cliccare su un link.
La banca, dopo aver allertato le autorità, ed in particolar modo la polizia postale, ha provveduto a comunicare a tutti i clienti coinvolti il tentativo di truffa via email, invitando gli utenti a verificare di non aver ricevuto tali messaggi e di non avergli dato seguito, oltre a suggerire di modificare le proprie credenziali, al fine di evitare che le stesse, una volta carpite, possano essere utilizzate per scopi poco leciti.
L’istituto senese, almeno per il momento, non ha dichiarato di aver subito sottrazione di dati o perdite economiche dai conti dei clienti. In caso di data breach, ai sensi dell’art. 33 del GDPR avrebbe dovuto inviare una segnalazione al Garante della Privacy, ma questa volta pare non sarà necessario.
È però incontestabile come questo episodio sia solo la punta dell’iceberg. Nel 2020 sono numerosissime le segnalazioni arrivate alla polizia postale da parte di clienti di alcuni istituti di credito che sono stati raggiunti da truffatori che, fingendosi istituti bancari, governi o fornitori di servizi sanitari cercano di farsi consegnare password o dati sensibili. La polizia italiana ha dichiarato che il crimine informatico è in aumento, soprattutto legato al commercio elettronico, alle carte di credito e all’home banking, sia mediante le tradizionali email che con gli sms, e raccomanda i cittadini a restare con i 5 sensi allerta e seguire alcune semplici ma quanto mai fondamentali regole:
- Non collegarsi ai link indicati nei messaggi e, qualora il collegamento avvenga per errore, non compilare alcun campo né fornire alcun dato;
- Non scaricare documenti e allegati al messaggio di posta elettronica che, come emerso dal Yoroi Annual CyberSecurity Report 2019, sono tra i principali vettori di attacchi ransomware a privati e aziende;
- Dubitare sempre di messaggi, specialmente se prevedono richieste, qualora la provenienza degli stessi sia incerta;
- Conservare con cura le credenziali, evitando di renderle note a soggetti terzi.
Basta poco, facendo attenzione a questi semplici accorgimenti, ma vale moltissimo.
FONTE:https://www.infosec.news/2020/04/16/news/riservatezza-dei-dati/luomo-del-monte-ti-scrive-potrebbe-essere-un-hacker/
Coronavirus e Servizi segreti: i cittadini hanno diritto a risposte
E’ l’onorevole Alessandra Ermellino a scrivere un “messaggio in bottiglia” che arriva a destinazione a dispetto delle difficoltà che lei, deputato in questa legislature, sta incontrando nell’inoltro di una sua significativa interrogazione parlamentare. Laurea in filologia moderna, grafico pubblicitario, politica per passione, si è chiesta (e ha chiesto) perché il DIS (il Dipartimento per le Informazioni per la Sicurezza) non menzioni la pandemia nella sua relazione annuale….
È insolito per un’istituzione pubblica fare ricorso ai messaggi in bottiglia. Da cittadina guardavo al mondo della politica come all’hub attraverso il quale tutte le informazioni disponibili venivano valutate e messe a frutto nell’interesse dello Stato e dei cittadini.
Eppure anche io mi ritrovo ad utilizzare questo strumento, a lasciare anch’io traccia nel mare del web di alcune questioni che credo meritino la giusta attenzione e delle risposte.
Sono preoccupata per la situazione in cui ci troviamo e i tempi dettati dall’emergenza spesso si scontrano con una lentezza di reazione e una farraginosità di cui, presto o tardi, i cittadini chiederanno conto.
Nell’immaginario collettivo, l’intelligence ha quell’alone di mistero che li rende affascinanti e stimola la fantasia. A mio parere tuttavia non dobbiamo dimenticare che si tratta pur sempre di uomini, pagati con soldi pubblici, che sono chiamati a rendere un servizio importantissimo per il Paese.
Sono queste le ragioni alla base di un’interrogazione che ho depositato qualche giorno fa, indirizzata al Presidente del Consiglio Conte, che verte proprio sul ruolo dell’intelligence italiana. Non si tratta certo di attacchi alla persona, quanto il bisogno di maggiore chiarezza su ciò che (da anni) viene fatto o non fatto, detto o non detto, nei pressi di Piazza Dante.
Questo Paese merita di far pace con i parenti delle oltre 20.000 vittime di Covid, come merita di far pace con tutte quelle pagine strappate dal libro della verità a cui hanno diritto i cittadini italiani.
Magari sbaglio, ma la mia coscienza me lo impone, nel rispetto dei valori costituzionali di disciplina e onore che dovrebbero essere la guida delle azioni di ogni libero cittadino.
FONTE:https://www.infosec.news/2020/04/16/un-messaggio-in-bottiglia/coronavirus-e-servizi-segreti-i-cittadini-hanno-diritto-a-risposte/
ECONOMIA
Sanità pubblica (subito), reindustrializzazione verde (poi). La ricetta di Civiltà Cattolica contro il virus
La Civiltà Cattolica pubblica in questi giorni un importantissimo articolo solo apparentemente teso a dirci come ripartire dopo il coronavirus. In realtà l’articolo ci dice molto di più; ci dice che avremo molti altri coronavirus e che solo con un sistema sanitario pubblico forte potremo evitare nuovi tracolli.
Per capirlo appieno occorre partire da questa resistenza al virus a mani nude, cioè barricati dentro casa come si faceva un secolo fa: come mai?
“Ciò che stiamo sperimentando, al prezzo della sofferenza inaudita di una parte significativa della popolazione, è il fatto che l’Occidente, dal punto di vista sanitario, non ha strutture e risorse pubbliche adeguate a questa epoca e a questa situazione: […] la pandemia Covid-19 sarebbe dovuta rimanere una epidemia più virale e letale dell’influenza stagionale, con effetti lievi sulla grande maggioranza della popolazione, e molto seri solo su una piccola frazione di essa. Invece – se consideriamo in particolare alcuni Paesi europei e gli Stati Uniti – lo smantellamento del sistema sanitario pubblico ha trasformato questo virus in una catastrofe senza precedenti nella storia dell’umanità e in una minaccia per l’insieme dei nostri sistemi economici”. Indispensabile chiedersi a quale linea scientifica si rifaccia l’autore per dire questo. “Ciò che affermano gli esperti è che sarebbe stato relativamente facile frenare la pandemia praticando lo screening sistematico delle persone infette sin dall’inizio dei primi casi; monitorando i loro movimenti; ponendo in quarantena mirata le persone coinvolte; distribuendo in modo massiccio mascherine all’intera popolazione a rischio di contaminazione, per rallentare ulteriormente la diffusione. Trasformare un sistema sanitario pubblico degno di questo nome in un’industria medica in fase di privatizzazione si rivela un problema grave”.
Origina qui l’eroismo del 2020, quello che tutti conosciamo e che Civiltà Cattolica ricorda subito: “Ciò non impedisce a ‘eroi’ e ‘santi’ di continuare e lavorare nella sanità pubblica: ne abbiamo una vivida rappresentazione in questi giorni”. C’è però un seguito che è importantissimo leggere e per esteso. “La diffusa privatizzazione dell’assistenza sanitaria ha portato le nostre autorità a ignorare gli avvertimenti fatti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) in merito ai mercati della fauna selvatica a Wuhan. Non si tratta di dare lezioni ex post a nessuno, ma di comprendere i nostri errori per agire nel modo più intelligente possibile nel futuro. Prevenire eventi come una pandemia non è redditizio a breve termine. Pertanto, non ci siamo premuniti né di mascherine né di test da eseguire massicciamente. E abbiamo ridotto la nostra capacità ospedaliera in nome dell’ideologia dello smantellamento del servizio pubblico, che ora si mostra per quella che è: un’ideologia che uccide”.
Dunque quella che vediamo mettere in ginocchio tante economie è un’ideologia, che oggi uccide? Bisogna procedere nella lettura: “Non avendo mai aderito a tale ideologia, e forti dell’esperienza dell’epidemia di Sars del 2002, Paesi come la Corea del Sud e Taiwan hanno predisposto un sistema di prevenzione estremamente efficace: lo screening sistematico e il tracciamento, puntando alla quarantena e alla collaborazione della popolazione adeguatamente informata e istruita, facendole indossare le mascherine. Nessun confinamento. Il danno economico risulta trascurabile”.
Ecco dunque che l’ideologia che uccide ha diffuso un’altra ideologia: contro il virus c’è lo stato autoritario, quello che ci chiude dentro casa a tempo indeterminato. Una stato democratico invece è debole, deve necessariamente piegarsi a forme dittatoriali. E invece: “Invece dello screening sistematico, noi occidentali abbiamo adottato una strategia antica, quella del confinamento, a fronte di una frazione esigua di infetti, e di una parte ancora più piccola tra questi che potrebbe avere gravi complicazioni. Ma, per quanto piccola possa essere, quest’ultima frazione è ancora maggiore dell’attuale capacità di assistenza dei nostri ospedali. Non avendo altre strategie, è chiaro che il non fare nulla equivarrebbe a condannare a morte centinaia di migliaia di cittadini, come mostrano le proiezioni che circolano all’interno della comunità degli epidemiologi, comprese quelle dell’Imperial College di Londra. Anche se alcuni aspetti di questo documento sono discutibili, esso ha il merito di chiarire che l’inazione è semplicemente criminale. È stata questa prospettiva a indurre Emmanuel Macron in Francia e Boris Johnson nel Regno Unito a rinunciare alla loro iniziale strategia di ‘immunizzazione di gregge’ e a ‘svegliare’ l’amministrazione Trump. Ma troppo tardi: questi Paesi ora rischiano di pagare un prezzo pesantissimo in termini di vite umane per il loro ritardo nell’intervenire adeguatamente”. Dunque il virus indica a tutti noi una strada e questa strada ha un nome proprio, noto da tempo.
“Il parziale isolamento dell’Europa ha ravvivato l’idea che il capitalismo è sicuramente un sistema molto fragile, e così lo Stato sociale è tornato di moda. In realtà, il difetto nel nostro sistema economico ora rivelato dalla pandemia è purtroppo semplice: se una persona infetta è in grado di infettarne molte altre in pochi giorni e se la malattia ha una mortalità significativa, come nel caso di Covid-19, nessun sistema economico può sopravvivere senza una sanità pubblica forte e adeguata. I lavoratori, anche quelli più in basso nella scala sociale, prima o poi infetteranno i loro vicini, i loro capi, e gli stessi ministri alla fine contrarranno il virus. Impossibile mantenere la finzione antropologica dell’individualismo implicita nell’economia neoliberista e nelle politiche di smantellamento del servizio pubblico che la accompagnano da quarant’anni: l’esternalità negativa indotta dal virus sfida radicalmente l’idea di un sistema complesso modellato sul volontarismo degli imprenditori ‘atomizzati’. La salute di tutti dipende dalla salute di ciascuno. Siamo tutti connessi in una relazione di interdipendenza”.
Dunque occorre da subito guardare al futuro se non si vuole eternizzare il presente. “E questa pandemia non è affatto l’ultima, la ‘grande peste’ che non tornerà per un altro secolo, al contrario: il riscaldamento globale promette la moltiplicazione delle pandemie tropicali, come affermano la Banca Mondiale e l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) da anni. E ci saranno altri coronavirus.
Senza un efficiente servizio sanitario pubblico, che consenta di selezionare e curare tutti, non esiste più alcun sistema produttivo praticabile durante un’epidemia da coronavirus. E questo per decenni. L’appello lanciato il 12 marzo dal Mouvement des entreprises de France (Medef) – il sindacato francese dei datori di lavoro – per «rendere il sistema produttivo più competitivo» tradisce un profondo malinteso sulla pandemia”.
L’articolo procede con un’analisi dettagliata di quel che, purtroppo, sarà ora indispensabile nel contingente per affrontare la situazione determinatasi, ma è il punto sul futuro a rendere evidente che la discussione è aperta, e la soluzione prospettata importantissima.
“Una volta abbandonato il contenimento in maniera controllata, un’altra pericolosa trappola sarebbe quella di limitarci a ripristinare semplicemente il modello economico di ieri, accontentandoci di migliorare in modo marginale il nostro sistema sanitario per far fronte alla prossima pandemia. È urgente capire che la pandemia Covid-19 non solo non è un cosiddetto ‘cigno nero’ – era perfettamente prevedibile, sebbene non sia stata affatto prevista dai mercati finanziari onniscienti –, ma non è nemmeno uno ‘shock esogeno’. Essa è una delle inevitabili conseguenze dell’Antropocene. La distruzione dell’ambiente che la nostra economia estrattiva ha esercitato per oltre un secolo ha una radice comune con questa pandemia: siamo diventati la specie dominante sulla Terra, e quindi siamo in grado di spezzare le catene alimentari di tutti gli altri animali, ma siamo anche il miglior veicolo per gli elementi patogeni. In termini di evoluzione biologica, per un virus è molto più ‘efficace’ infettare gli esseri umani che la renna artica, già in pericolo a causa del riscaldamento globale. E questo sarà sempre più così, perché la crisi ecologica decimerà altre specie viventi. È soprattutto la distruzione della biodiversità, in cui siamo da tempo impegnati, a favorire la diffusione dei virus. Oggi molti ne sono consapevoli: la crisi ecologica ci garantisce pandemie ricorrenti. Accontentarsi di dotarsi di mascherine ed enzimi per il prossimo futuro equivarrebbe a trattare solo il sintomo. Il male è molto più profondo, ed è la sua radice che dev’essere medicata. La ricostruzione economica che dovremo realizzare dopo essere usciti dal tunnel sarà l’occasione inaspettata per attuare le trasformazioni che, anche ieri, sembravano inconcepibili a coloro che continuano a guardare al futuro attraverso lo specchietto retrovisore della globalizzazione finanziaria. Abbiamo bisogno di una reindustrializzazione verde, accompagnata da una relocalizzazione di tutte le nostre attività umane. Ma, per il momento, e per accelerare la fine della crisi sanitaria, è necessario fare ciò che è possibile, e dunque proseguire negli sforzi per schermare e proteggere la popolazione”.
FONTE:https://formiche.net/2020/04/sanita-pubblica-green-civilta-cattolica/?fbclid=IwAR2iPlUpGTROlelDnCkfsxeP5Oav8RW-97pf5jCDg0ccVTMiPcjhQFKyXws
Sì al Mes, no agli eurobond. Nell’accordo siglato ieri all’eurogruppo c’è infatti il ricorso al Mes, con la precisazione che sarà senza condizionalità solo per spese sanitarie legate direttamente o indirettamente all’emergenza coronavirus. Ma è una trappola. Come spiega Stefano Fassina sull’Huffington Post, infatti, è vero che nel documento dell’Eurogruppo si prevede “come unico requisito di accesso alla linea di credito, l’utilizzo delle risorse per finanziare i costi direttamente o indirettamente relativi alla Sanità, alle cure e alla prevenzione dovuti al Covid-19”. Ma è scritto anche che: “Le norme del Trattato Mes devono essere seguite” e “dopo [la fine dell’emergenza Covid-19], lo Stato membro [coinvolto nel programma] rimane impegnato a rafforzare i suoi fondamentali economici e finanziari, in coerenza con il quadro di coordinamento e di sorveglianza economica e di finanza pubblica dell’Ue”.
Lo stesso Fassina aggiunge:il Mes senza condizioni non esiste in natura, almeno fino a quando: si riscrive radicalmente il testo di tale Trattato internazionale; si elimina il riferimento, contenuto all’art 136 del Trattato di Funzionamento dell’Ue, alle “strict conditionality” per i meccanismi di stabilità; si abroga larga parte del Regolamento europeo 472/2013 attuativo della normativa “Two Pack”.
L’Italia nella morsa del Mes
Anche Carlo Clericetti su Repubblica racconta la capitolazione di Gualtieri sul Mes: Il Mes, spiega Clericetti, che il presidente Conte aveva definito “uno strumento non adatto”, sarà invece proprio quello usato. Senza condizionalità, come chiedeva in subordine l’Italia? Sì, per i prestiti direttamente connessi alle spese sanitarie, ma solo per l’erogazione, perché, appena finita l’emergenza, come già spiegato, “gli Stati restano impegnati a rafforzare i fondamentali economici, coerentemente con il quadro di sorveglianza fiscale europeo, inclusa la flessibilità”.
Misure insufficienti e Mes, altro che solidarietà
Come riporta IlGiornale.it, per quanto riguarda la Bei (punto 15 del documento), come spiega l’economista Paolo Pini, Università di Ferrara, si prevede un piano da costruire con emissione di titoli da collocare sul mercato da 200 miliardi per le imprese, partendo dalla costituzione di un fondo di 25 miliardi, quindi con leva quasi 1/10. Poca cosa, nota Pini, “di fronte ai numeri della crisi, per sostenere le imprese in modo strategico come vorrebbero coloro che l’hanno proposto”. Per non parlare dello Sure, ossia il fondo da 100 miliardi per il contrasto alla disoccupazione, “un prestito che viene concesso dopo accurato esame da parte della Commissione ai singoli Stati e che deve essere restituito con gli interessi da pagare, ovviamente. La misura è emergenziale, e non strutturale, ovvero una tantum”. Insomma, difficile capire se si tratta di un accordo pù inutile o dannoso.
Come funziona il fondo Salva-Stati
Chi dice che la condizionalità può essere “sbiadita”, ricorda il professor Alessandro Mangia su IlSussidiario, e le condizioni di accesso al finanziamento del Mes possono essere favorevoli e benigne, dimentica di dire – o non ha capito – che il Trattato Mes è fondamentalmente una procedura di amministrazione controllata applicata agli Stati. Come un’impresa in difficoltà può chiedere un finanziamento ad una banca, uno Stato può chiedere un finanziamento al Mes.
L’allarme di Varoufakis: ecco come il MES porterà l’Italia verso l’austerity
15 Aprile 2020
Il MES porterà l’Italia verso l’austerity.
A dirlo l’ex ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis, che ha espresso le proprie perplessità sul fondo salva-Stati durante il programma di La7 DiMartedì.
La sua posizione nei confronti del MES è sembrata piuttosto critica. L’ex ministro ha infatti invitato l’Italia a stare lontana da un meccanismo che potrebbe condurre il Belpaese sull’orlo dell’austerity e a non ripetere gli errori già commessi.
Italia verso austerity con MES? La posizione di Varoufakis
L’ex ministro delle finanze ha ribadito una considerazione ormai scontata: a causa del coronavirus l’Italia e l’Europa intera affronteranno una depressione senza precedenti che dovrà essere evitata, o quantomeno limitata con tutti gli strumenti a disposizione.
Tra questi sicuramente non il Meccanismo Europeo di Stabilità.
“Il MES è inutile: se Conte ottiene 500 miliardi, questo va a pesare subito sul debito dell’Italia e aumenterà il deficit. Poi arriverà Bruxelles a Roma e vi dirà avete un deficit enorme, lo dovete ridurre. E quando l’Italia inizierà a riprendersi, arriverà l’austerity. ”
Certo è che senza solidarietà l’Italia sarà perduta ma alle sue colleghe della zona euro non andrà tanto meglio visto che, come ricordato da Varoufakis, la ricchezza di alcuni Stati come la Germania dipende proprio dall’export verso le economie periferiche tra cui Italia e Spagna). L’Eurosistema, secondo l’ex capo del Tesoro greco, finirebbe per disintegrarsi senza coesione.
Una delle possibili soluzioni, a sua detta, potrebbero essere gli eurobond, la cui assenza potrebbe invece gettare il Vecchio Continente nell’incertezza.
“Tutto dipende dalla capacità dell’Europa e dell’Eurogruppo di evitare gli errori degli ultimi 10 anni. Non sono 500 miliardi, sono 28 miliardi. Il resto sono prestiti. Ma se le aziende non hanno clienti per settimane e mesi, con i soldi non si aiutano. Gli Usa hanno pompato il 6% del PIL nel sistema economico con finanziamenti, non prestiti. Se l’Europa non crea gli eurobond, si finisce con uno stato di instabilità.”
Le posizioni dell’economista non hanno stupito, visto che qualche giorno fa lo stesso si è scagliato contro l’Eurogruppo parlando di decisioni irresponsabili.
Esse, comunque, si sono poste in netto contrasto rispetto a quelle di Romano Prodi, che invece ha parlato di un meccanismo da accettare per evitare di indebolire la posizione italiana nei negoziati sugli eurobond.
Ancora una volta, insomma, il dibattito sul MES si è dimostrato infuocato. Per Varoufakis, però, l’Italia dovrebbe evitare stare lontano dal suddetto strumento.
FONTE:https://www.money.it/Varoufakis-MES-portera-Italia-verso-austerity
PER RIPARTIRE DOPO L’EMERGENZA COVID-19
pag. 7 – 19 – Anno 2020 – Volume II – 4 Aprile 2020
Ciò che stiamo sperimentando, al prezzo della sofferenza inaudita di una parte significativa della popolazione, è il fatto che l’Occidente, dal punto di vista sanitario, non ha strutture e risorse pubbliche adeguate a questa epoca e a questa situazione. Come fare per entrare nel XXI secolo anche dal punto di vista della salute pubblica? È questo che gli occidentali devono capire e mettere in atto, in poche settimane, di fronte a una pandemia che, nel momento in cui scriviamo, promette di imperversare per il Pianeta, a causa delle ricorrenti ondate di contaminazione e delle mutazioni del virus[1]. Vediamo come e perché.
Il sistema sanitario occidentale e la pandemia
Dobbiamo innanzitutto ribadire, a rischio di creare sconcerto, che la posizione di molti specialisti di salute pubblica è coerente su un punto[2]: la pandemia Covid-19 sarebbe dovuta rimanere una epidemia più virale e letale dell’influenza stagionale, con effetti lievi sulla grande maggioranza della popolazione, e molto seri solo su una piccola frazione di essa. Invece – se consideriamo in particolare alcuni Paesi europei e gli Stati Uniti – lo smantellamento del sistema sanitario pubblico ha trasformato questo virus in una catastrofe senza precedenti nella storia dell’umanità e in una minaccia per l’insieme dei nostri sistemi economici.
Ciò che affermano gli esperti è che sarebbe stato relativamente facile frenare la pandemia praticando lo screening sistematico delle persone infette sin dall’inizio dei primi casi; monitorando i loro movimenti; ponendo in quarantena mirata le persone coinvolte; distribuendo in modo massiccio mascherine all’intera popolazione a rischio di contaminazione, per rallentare ulteriormente la diffusione. Trasformare un sistema sanitario pubblico degno di questo nome in un’industria medica in fase di privatizzazione si rivela un problema grave. Ciò non impedisce a «eroi» e «santi» di continuare e lavorare nella sanità pubblica: ne abbiamo una vivida rappresentazione in questi giorni.
La diffusa privatizzazione dell’assistenza sanitaria ha portato le nostre autorità a ignorare gli avvertimenti fatti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) in merito ai mercati della fauna selvatica a Wuhan. Non si tratta di dare lezioni ex post a nessuno, ma di comprendere i nostri errori per agire nel modo più intelligente possibile nel futuro.
Prevenire eventi come una pandemia non è redditizio a breve termine. Pertanto, non ci siamo premuniti né di mascherine né di test da eseguire massicciamente. E abbiamo ridotto la nostra capacità ospedaliera in nome dell’ideologia dello smantellamento del servizio pubblico, che ora si mostra per quella che è: un’ideologia che uccide. Non avendo mai aderito a tale ideologia, e forti dell’esperienza dell’epidemia di Sars del 2002, Paesi come la Corea del Sud e Taiwan hanno predisposto un sistema di prevenzione estremamente efficace: lo screening sistematico e il tracciamento, puntando alla quarantena e alla collaborazione della popolazione adeguatamente informata e istruita, facendole indossare le mascherine. Nessun confinamento. Il danno economico risulta trascurabile.
Invece dello screening sistematico, noi occidentali abbiamo adottato una strategia antica, quella del confinamento[3], a fronte di una frazione esigua di infetti, e di una parte ancora più piccola tra questi che potrebbe avere gravi complicazioni. Ma, per quanto piccola possa essere, quest’ultima frazione è ancora maggiore dell’attuale capacità di assistenza dei nostri ospedali.
Non avendo altre strategie, è chiaro che il non fare nulla equivarrebbe a condannare a morte centinaia di migliaia di cittadini, come mostrano le proiezioni che circolano all’interno della comunità degli epidemiologi, comprese quelle dell’Imperial College di Londra[4]. Anche se alcuni aspetti di questo documento sono discutibili, esso ha il merito di chiarire che l’inazione è semplicemente criminale. È stata questa prospettiva a indurre Emmanuel Macron in Francia e Boris Johnson nel Regno Unito a rinunciare alla loro iniziale strategia di «immunizzazione di gregge»[5] e a «svegliare» l’amministrazione Trump. Ma troppo tardi: questi Paesi ora rischiano di pagare un prezzo pesantissimo in termini di vite umane per il loro ritardo nell’intervenire adeguatamente.
Il ritorno dello Stato sociale
Il parziale isolamento dell’Europa ha ravvivato l’idea che il capitalismo è sicuramente un sistema molto fragile, e così lo Stato sociale è tornato di moda. In realtà, il difetto nel nostro sistema economico ora rivelato dalla pandemia è purtroppo semplice: se una persona infetta è in grado di infettarne molte altre in pochi giorni e se la malattia ha una mortalità significativa, come nel caso di Covid-19, nessun sistema economico può sopravvivere senza una sanità pubblica forte e adeguata.
I lavoratori, anche quelli più in basso nella scala sociale, prima o poi infetteranno i loro vicini, i loro capi, e gli stessi ministri alla fine contrarranno il virus. Impossibile mantenere la finzione antropologica dell’individualismo implicita nell’economia neoliberista e nelle politiche di smantellamento del servizio pubblico che la accompagnano da quarant’anni: l’esternalità negativa indotta dal virus sfida radicalmente l’idea di un sistema complesso modellato sul volontarismo degli imprenditori «atomizzati».
La salute di tutti dipende dalla salute di ciascuno. Siamo tutti connessi in una relazione di interdipendenza. E questa pandemia non è affatto l’ultima, la «grande peste» che non tornerà per un altro secolo, al contrario: il riscaldamento globale promette la moltiplicazione delle pandemie tropicali, come affermano la Banca Mondiale e l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) da anni. E ci saranno altri coronavirus.
Senza un efficiente servizio sanitario pubblico, che consenta di selezionare e curare tutti, non esiste più alcun sistema produttivo praticabile durante un’epidemia da coronavirus. E questo per decenni. L’appello lanciato il 12 marzo dal Mouvement des entreprises de France (Medef) – il sindacato francese dei datori di lavoro – per «rendere il sistema produttivo più competitivo» tradisce un profondo malinteso sulla pandemia.
Come uscire dall’isolamento?
Se gli operatori sanitari si ammalano, c’è il rischio del collasso del sistema ospedaliero, come sembra stia accadendo in Italia a Bergamo, Brescia e, in misura minore, a Milano. È quindi necessario che lo Stato promuova la diffusione di farmaci anti o retrovirali, in modo da consentire molto rapidamente, ovunque, di alleviare il carico del sistema ospedaliero sull’orlo del tracollo. E che i cittadini di tutti i Paesi mostrino finalmente senso di responsabilità.
Perché il confinamento sia rigoroso, insieme ai noti comportamenti elementari di igiene personale, tutti devono comprenderne il significato e l’utilità. Il confinamento rallenta efficacemente la diffusione del virus e – ripetiamolo –, in assenza di un sistema di screening, rimane la strategia meno negativa a breve termine. Tuttavia, se ci fermiamo a esso, diventa inutile: se usciamo dal confinamento, diciamo, tra un mese, il virus sarà ancora in circolazione e causerà gli stessi decessi di quelli che avrebbe causato oggi in assenza di contenimento.
Attendere, attraverso l’isolamento, che la popolazione si immunizzi – più o meno, la stessa strategia inizialmente proposta da Johnson, ma «a casa» – richiederebbe mesi di confinamento. Per capirlo, è sufficiente tornare al parametro essenziale di una pandemia, R0, il «numero di riproduzione di base», ossia il numero medio di infezioni secondarie prodotte da ciascun individuo infetto. Finché R0 è maggiore di 1, vale a dire fino a quando un individuo infetto può contagiare più di una persona, il numero di persone infette aumenta in modo esponenziale. Se lasciamo il contenimento senza ulteriori indugi prima che R0 scenda al di sotto di 1, avremo quelle centinaia di migliaia di morti che la pandemia ha minacciato di causare sin dall’inizio.
Tuttavia, affinché l’immunizzazione collettiva porti R0 al di sotto di 1, è necessario immunizzare circa il 50% della popolazione, cosa che – dato il tempo medio di incubazione (5 giorni) – richiederebbe probabilmente più di 5 mesi di reclusione, se ipotizziamo che ci sia oggi un milione di infetti. Un’opzione insostenibile in termini economici, sociali e psicologici. È l’intero sistema di produzione dei nostri Paesi che collasserebbe, a partire dal nostro sistema bancario, che è estremamente fragile.
Per non parlare del fatto che, in questo momento, i più poveri tra noi – rifugiati, persone di strada ecc. – sono costretti a morire non a causa del virus, ma perché non possono sopravvivere senza una società attiva. Senza dimenticare inoltre che non abbiamo alcuna garanzia che i nostri circuiti di approvvigionamento alimentare possano resistere allo shock della quarantena per un tempo così lungo: vogliamo costringere i lavoratori a reddito medio/basso a mettere a rischio la propria vita per continuare, per esempio, a trasportare il cibo per i dirigenti che rimangono tranquillamente a casa o nella loro tenuta in campagna?
È quindi necessario organizzare una «prima» liberazione dal contenimento, al più tardi tra qualche settimana. Prendere questo rischio collettivamente ha senso però solo a una condizione: applicare, questa volta, la strategia adottata in Corea del Sud e a Taiwan con il massimo rigore. Il tempo che stiamo guadagnando chiudendoci in casa dovrebbe servire per:
- riportare R0 (che probabilmente era circa 3 all’inizio del contagio) il più vicino possibile a 1;
- incoraggiare la riconversione di alcuni settori economici, per produrre in serie i ventilatori polmonari di cui ora hanno bisogno le terapie intensive per salvare vite umane;
- consentire ai laboratori occidentali di produrre subito apparecchiature e materiali di screening, mentre si organizzano per realizzare in poche settimane il sistema necessario. Al momento ci sono due enzimi, in particolare, le cui scorte sono molto insufficienti, e quindi limitano la nostra capacità di effettuare screening[6];
- produrre le mascherine di protezione, essenziali per frenare la diffusione del virus quando lasciamo la nostra casa.
Se porremo fine al nostro confinamento collettivo quando i nostri mezzi di rilevazione non saranno pronti o mancheranno le mascherine, correremo nuovamente il rischio di una tragedia. Sfortunatamente, oggi è impossibile misurare R0. Pertanto, dobbiamo attendere fino a quando non saremo organizzati per lo screening e pianificare l’uscita ordinata dalla quarantena il più rapidamente possibile.
Cosa succederà a quel punto? Coloro che vengono «liberati» devono essere sottoposti a screening sistematico e indossare le mascherine per diverse settimane. Altrimenti, l’uscita dal confinamento avrà un esito peggiore di quello dell’inizio della pandemia. Coloro che sono ancora positivi verranno quindi messi in quarantena, insieme al loro entourage. Altri possono andare a lavorare o riposare altrove. I test dovranno continuare per tutta l’estate per essere sicuri che il virus è stato sradicato all’arrivo dell’autunno.
La salute come bene comune globale
La pandemia ci sta costringendo a capire che non esiste un capitalismo davvero praticabile senza un forte sistema di servizi pubblici e a ripensare completamente il modo in cui produciamo e consumiamo, perché questa pandemia non sarà l’ultima. La deforestazione – così come i mercati della fauna selvatica di Wuhan – ci mette in contatto con animali i cui virus non ci sono noti. Lo scongelamento del permafrost minaccia di diffondere pericolose epidemie, come la «spagnola» del 1918, l’antrace, ecc. Lo stesso allevamento intensivo facilita la diffusione di epidemie.
A breve termine, dovremo nazionalizzare le imprese non sostenibili e, forse, alcune banche. Ma molto presto dovremo imparare la lezione di questa dolorosa primavera: riconvertire la produzione, regolare i mercati finanziari; ripensare gli standard contabili, al fine di migliorare la resilienza dei nostri sistemi di produzione; fissare una tassa sul carbonio e sulla salute; lanciare un grande piano di risanamento per la reindustrializzazione ecologica e la conversione massiccia alle energie rinnovabili.
La pandemia ci invita a trasformare radicalmente le nostre relazioni sociali. Oggi il capitalismo conosce «il prezzo di tutto e il valore di niente», per citare un’efficace formula di Oscar Wilde. Dobbiamo capire che la vera fonte di valore sono le nostre relazioni umane e quelle con l’ambiente. Per privatizzarle, le distruggiamo e roviniamo le nostre società, mentre mettiamo a rischio vite umane. Non siamo monadi isolate, collegate solo da un astratto sistema di prezzi, ma esseri di carne interdipendenti con gli altri e con il territorio. Questo è ciò che dobbiamo imparare nuovamente. La salute di ciascuno riguarda tutti gli altri. Anche per i più privilegiati, la privatizzazione dei sistemi sanitari è un’opzione irrazionale: essi non possono restare totalmente separati dagli altri; la malattia li raggiungerà sempre. La salute è un bene comune globale e deve essere gestita come tale.
I «beni comuni», come li ha definiti in particolare l’economista americana Elinor Ostrom, aprono un terzo spazio tra il mercato e lo Stato, tra il privato e il pubblico. Possono guidarci in un mondo più resiliente, in grado di resistere a shock come quello causato da questa pandemia.
La salute, ad esempio, deve essere trattata come una questione di interesse collettivo, con modalità di intervento articolate e stratificate. A livello locale, per esempio, le comunità possono organizzarsi per reagire rapidamente, circoscrivendo i cluster dei contagiati da Covid-19. A livello statale, è necessario un potente servizio ospedaliero pubblico. A livello internazionale, le raccomandazioni dell’Oms per contrastare una situazione di epidemia devono diventare vincolanti. Pochi Paesi hanno seguito le raccomandazioni dell’Oms prima e durante la crisi. Siamo più disposti ad ascoltare i «consigli» del Fondo monetario internazionale (Fmi) che quelli dell’Oms. Lo scenario attuale dimostra che abbiamo torto.
In questi giorni abbiamo assistito alla nascita di diversi «beni comuni»: come quegli scienziati che, al di fuori di qualsiasi piattaforma pubblica o privata, si sono coordinati spontaneamente attraverso l’iniziativa OpenCovid19[7], per mettere in comune le informazioni sulle buone pratiche di screening dei virus.
Ma la salute è solo un esempio: anche l’ambiente, l’istruzione, la cultura, la biodiversità sono beni comuni globali. Dobbiamo immaginare istituzioni che ci permettano di valorizzarli, di riconoscere le nostre interdipendenze e rendere resilienti le nostre società.
Alcune organizzazioni del genere esistono già. La Drugs for Neglected Disease Initiative (Dndi) è un eccellente esempio. Un organismo creato da alcuni medici francesi 15 anni fa per il reperimento dei farmaci per le malattie rare o dimenticate: una rete collaborativa di terze parti, in cui cooperano il settore privato, quello pubblico e le Ong, che riesce a fare ciò che né il settore farmaceutico privato, né gli Stati, né la società civile possono fare da soli.
A livello individuale, poi, scopriamo la paura della scarsità dei beni. Ciò può essere un aspetto positivo in questa crisi? Essa ci libera dal narcisismo consumistico, dal «voglio tutto e subito». Ci riporta all’essenziale, a ciò che conta davvero: la qualità delle relazioni umane, la solidarietà. Ci ricorda anche quanto sia importante la natura per la nostra salute mentale e fisica. Coloro che vivono rinchiusi in 15 metri quadrati a Parigi o a Milano lo sanno bene. Il razionamento imposto su alcuni prodotti ci ricorda la limitatezza delle risorse.
Benvenuti in un mondo limitato! Per anni, i miliardi spesi per il marketing ci hanno fatto pensare al nostro pianeta come a un gigantesco supermercato, in cui tutto è a nostra disposizione a tempo indeterminato. Ora proviamo brutalmente il senso della privazione. È molto difficile per alcuni, ma può essere un’occasione di risparmio.
D’altra parte, anche un certo romanticismo «collapsologico»[8] sarà rapidamente mitigato dalla percezione concreta di cosa implichi, nell’attuale situazione, la brutale difficoltà dell’economia: disoccupazione, bancarotta, esistenze spezzate, morte, sofferenza quotidiana di coloro in cui il virus lascerà tracce per tutta la vita.
Sulla scia dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, vogliamo sperare che questa pandemia sia un’opportunità per indirizzare le nostre vite e le nostre istituzioni verso una felice sobrietà e verso il rispetto per la finitudine del nostro mondo. Il momento è decisivo: si può temere quella che Naomi Klein ha definito la «strategia dello shock». Alcuni governi non devono, con il pretesto di sostenere le imprese, indebolire ulteriormente i diritti dei lavoratori; o, per rafforzare ulteriormente la sorveglianza della polizia sulle popolazioni, ridurre permanentemente le libertà personali.
Nel frattempo, come si salva l’economia?
Proviamo a ipotizzare in questa situazione alcune possibili scelte di politica economica:
- Iniettare liquidità nell’economia reale. Alcuni economisti tedeschi prevedono un calo del Pil in Germania del 9% nel 2020. Il dato è ragionevole e ci sono pochi motivi per cui le cose possano andare diversamente in Francia e, anche peggio, in Italia, Inghilterra, Svizzera e Paesi Bassi. Ciò dovrebbe indurre Germania e Olanda – i fautori della convinzione secondo la quale una maggiore austerità di bilancio aggiusta l’economia, mentre la macroeconomia più elementare dimostra il contrario – a rivedere i loro dogmi, se ancora l’escalation di vittime nei rispettivi Paesi non bastasse a far loro aprire gli occhi.
Negli Stati Uniti, Donald Trump e il suo segretario al Tesoro Steven Mnuchin propongono al Congresso di distribuire un assegno di 1.200 dollari a ciascun cittadino statunitense. Sono un po’ «soldi dall’elicottero» o, supponendo che la Banca centrale si occupi di questo problema monetario, «un quantitative easing per le persone». Misure che, eventualmente, avrebbero dovuto già essere state prese nel 2009. Possiamo anche vedere nell’iniziativa dell’amministrazione Trump l’abbozzo di un reddito minimo universale per tutti. Una proposta che è stata avanzata da molti per lungo tempo.
In Europa, la sospensione delle regole del Patto di stabilità, l’emissione di «obbligazioni corona» o l’attivazione di prestiti del Meccanismo europeo di stabilità sono tutte misure essenziali. - Creare posti di lavoro. Tuttavia, le iniziative appena menzionate sono insufficienti. È necessario comprendere che il sistema di produzione occidentale è, o sarà, parzialmente bloccato. A differenza del crollo del mercato azionario del 1929 e della crisi dei mutui subprime del 2008, questa nuova crisi colpisce innanzitutto l’economia reale. Nella maggior parte delle aziende, al 30% dei dipendenti ai quali venisse impedito di lavorare non corrisponderebbe il 30% in meno di produzione, ma una produzione pari a zero. Se un’azienda inserita in una catena del valore smette di produrre, l’intera catena viene interrotta. Stiamo constatando che le catene di approvvigionamento just-in-time (ossia senza scorte) ci rendono estremamente fragili. Pensiamo alla filiera della produzione e della fornitura del cibo. Naturalmente, alcuni governi sono pronti a inviare la polizia o l’esercito per costringere i lavoratori a rischiare la propria vita per non interrompere le catene di approvvigionamento. Le lavoratrici e i lavoratori posti più in basso nella catena di produzione e approvvigionamento sono i primi esposti e i primi sacrificati. Un’enorme ammissione di impotenza!
Nella maggior parte dei Paesi costretti a praticare il contenimento, il sistema produttivo viene quindi parzialmente bloccato, o lo sarà presto. Le catene del valore globali stanno rallentando e alcune saranno tagliate. Il lavoro è involontariamente «in sciopero». Non siamo solo di fronte a una carenza keynesiana della domanda – perché chi ha i contanti non può spenderli, dal momento che deve rimanere a casa –, ma di fronte anche a una crisi dell’offerta. Questa pandemia ci introduce, dunque, in un tipo di crisi nuovo e senza precedenti, in cui si uniscono il calo della domanda e quello dell’offerta. In tale contesto, l’iniezione di liquidità è tanto necessaria quanto insufficiente. Essere appagati da questo equivarrebbe a dare le stampelle a qualcuno che ha appena perso le gambe…
Solo lo Stato, perciò, può creare nuovi posti di lavoro capaci di assorbire la massa di dipendenti che, quando usciranno finalmente di casa, scopriranno di aver perso il lavoro. L’idea dello Stato come datore di lavoro di ultima istanza non è neppure nuova: è stata studiata molto seriamente dall’economista britannico Tony Atkinson. Naturalmente, affinché ciò abbia un senso, dobbiamo seriamente pensare al tipo di settori industriali per i quali vogliamo favorire l’uscita dal tunnel. Questo discernimento dev’essere fatto in ciascun Paese, alla luce delle caratteristiche specifiche di ciascun tessuto economico.
È quindi legittimo e indispensabile che gli Stati occidentali, oggi come ieri, utilizzino una spesa in deficit per finanziare lo sforzo di ricostruzione del sistema produttivo che sarà necessario alla fine di questo lungo parto; e lo dovranno fare in modo acuto e selettivo, favorendo questo o quel settore. Ovviamente, il loro debito pubblico aumenterà. Ricordiamo che, durante la Seconda guerra mondiale, il deficit pubblico degli Stati Uniti raggiunse il 20% del Pil per diversi anni consecutivi. Ma il deficit sarebbe molto più grande in assenza di ingenti spese da parte dello Stato per salvare l’economia.
Possiamo anche notare che il piano di aggiustamento strutturale imposto alla Grecia alcuni anni orsono è stato assolutamente inutile: il rapporto debito pubblico/Pil di Atene ha raggiunto nel 2019 gli stessi livelli del 2010. In altre parole, l’austerità uccide – lo vediamo bene coi nostri occhi in questo momento, nei nostri reparti di rianimazione –, ma non risolve alcun problema macroeconomico.
Ricostruire e salvare la democrazia
A questo punto, un possibile errore sarebbe quello di apprezzare l’efficacia dell’autoritarismo come soluzione. «E se le nostre democrazie fossero scarsamente pronte? Troppo lente? Bloccate dalle libertà individuali?». Questo ritornello risuonava già prima della pandemia. Se consideriamo la Cina, la situazione sta sicuramente migliorando, ma l’epidemia non è stata ancora sconfitta, neppure a Wuhan. D’altra parte, è vero che a Pechino sono stati costruiti due ospedali in pochi giorni e che il governo cinese non è in mano alla lobby finanziaria, ma, per trarre i benefici di questi due punti a favore, dovremmo forse rinunciare alla democrazia?
Una volta abbandonato il contenimento in maniera controllata, un’altra pericolosa trappola sarebbe quella di limitarci a ripristinare semplicemente il modello economico di ieri, accontentandoci di migliorare in modo marginale il nostro sistema sanitario per far fronte alla prossima pandemia. È urgente capire che la pandemia Covid-19 non solo non è un cosiddetto «cigno nero» – era perfettamente prevedibile, sebbene non sia stata affatto prevista dai mercati finanziari onniscienti –, ma non è nemmeno uno «shock esogeno». Essa è una delle inevitabili conseguenze dell’Antropocene. La distruzione dell’ambiente che la nostra economia estrattiva ha esercitato per oltre un secolo ha una radice comune con questa pandemia: siamo diventati la specie dominante sulla Terra, e quindi siamo in grado di spezzare le catene alimentari di tutti gli altri animali, ma siamo anche il miglior veicolo per gli elementi patogeni.
In termini di evoluzione biologica, per un virus è molto più «efficace» infettare gli esseri umani che la renna artica, già in pericolo a causa del riscaldamento globale. E questo sarà sempre più così, perché la crisi ecologica decimerà altre specie viventi. È soprattutto la distruzione della biodiversità, in cui siamo da tempo impegnati, a favorire la diffusione dei virus[9]. Oggi molti ne sono consapevoli: la crisi ecologica ci garantisce pandemie ricorrenti. Accontentarsi di dotarsi di mascherine ed enzimi per il prossimo futuro equivarrebbe a trattare solo il sintomo. Il male è molto più profondo, ed è la sua radice che dev’essere medicata. La ricostruzione economica che dovremo realizzare dopo essere usciti dal tunnel sarà l’occasione inaspettata per attuare le trasformazioni che, anche ieri, sembravano inconcepibili a coloro che continuano a guardare al futuro attraverso lo specchietto retrovisore della globalizzazione finanziaria. Abbiamo bisogno di una reindustrializzazione verde, accompagnata da una relocalizzazione di tutte le nostre attività umane.
Ma, per il momento, e per accelerare la fine della crisi sanitaria, è necessario fare ciò che è possibile, e dunque proseguire negli sforzi per schermare e proteggere la popolazione.
Note
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[1]. Cfr P. Baker – E. Sullivan, «U.S. Virus Plan Anticipates 18-Month Pandemic and Widespread Shortages», in New York Times, 17 marzo 2020.
[2]. Cfr J.-D. Michel, «Covid-19: fin de partie?!» (https://bit.ly/3996Evs), 18 marzo 2020; T. Pueyo, «Coronavirus: The Hammer and the Dance. What the Next 18 Months Can Look Like, if Leaders Buy Us Time» (https://bit.ly/3bjAA9K), 19 marzo 2020.
[3]. Già nel 1347 Pierre de Damouzy, medico di Margherita di Francia, contessa delle Fiandre, raccomandò il confinamento agli abitanti di Reims per sfuggire alla peste nera. Cfr Y. Renouard, «La Peste noire de 1348-1350», in Revue de Paris, marzo 1950, 109.
[4]. Cfr N. M. Ferguson – D. Laydon et Al., «Impact of non-pharmaceutical interventions (NPIs) to reduce COVID-19 mortality and healthcare demand» (https://doi.org/10.25561/77482), Londra, Imperial College, 16 marzo 2020.
[5]. È noto che la prima tentazione del governo Johnson è stata quella di lanciare il Regno Unito in un esperimento di immunizzazione collettiva. Anche il governo francese è stato tentato da questa «soluzione», sebbene in modo meno esplicito. Su questo argomento, cfr T. Vey, «La France mise sur l’“immunité de groupe” pour arrêter le coronavirus», in Sciences, 13 marzo 2020.
[6]. Si tratta della trascrittasi inversa (AMV o MMLV) e del Taq (o Pfu) che amplifica la reazione chimica, consentendo di identificare la presenza di Covid-19. Questi sono i due enzimi che diversi laboratori stanno cercando di produrre ininterrottamente.
[7]. «Low-cost & Open-Source Covid19 Detection kits», cfr https://app.jogl.io/project/118 e anche hashtag su Twitter: #OpenCovid19
[8]. La collapsologia è un discorso pluridisciplinare interessato al collasso della nostra civiltà. Parte dall’idea che le azioni umane abbiano un impatto duraturo e negativo sul pianeta. Si basa su dati scientifici, ma anche su intuizioni, per cui a volte viene accusata di non essere una vera scienza, ma piuttosto un movimento.
[9]. Cfr J. Duquesne, «Coronavirus: “La disparition du monde sauvage facilite les épidémies”», intervista a Serge Morand, ricercatore del Cnrs-Cirad, in Marianne, 17 marzo 2020.
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TO RESTART AFTER THE COVID-19 EMERGENCY
At the price of the unprecedented suffering of a significant percentage of the population, what we are experiencing is the fact that the West, from a public health point of view, does not have at its disposal appropriate instruments and public resources for this situation. How can we enter the 21st century from the point of view of public health, under the pressure of the Covid-19 emergency? In addition, containment as a solution serves only to buy time to organize a health service «resistance» and to prepare the economy to be relaunched with new paradigms, after the dramatic acknowledgement of the failure of neoliberal solutions and the impracticability of a «happy» degrowth.
FONTE:https://www.laciviltacattolica.it/articolo/per-ripartire-dopo-lemergenza-covid-19/
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
Unicredit crolla: ecco i motivi del sell-off. Meglio scappare?
Il rientro agli scambi dopo il lungo ponte pasquale è avvenuto all’insegna di forti vendite per Unicredit che oggi ha accusato la peggiore performance non solo nel settore bancario, ma nell’intero paniere delle blue chips.
Unicredit in fondo al Ftse Mib con tanti sell
Il titolo, dopo aver guadagnato giovedì scorso oltre un punto e mezzo percentuale, oggi è stato travolto dai sell.
Unicredit ha terminato le contrattazioni a 7,1 euro, con un affondo del 4,653% e oltre 26 milioni di azioni trattate a fine giornata, sostanzialmente in linea con la media degli ultimi 30 giorni.
Il titolo ha risentito della debole intonazione del Ftse Mib, amplificata dal settore bancario, e ha pagato pegno a diversi fattori.
Unicredit penalizzato da rally spread e affondo BTP
In primis la seduta di Unicredit, come quella degli altri protagonisti del comparto, è stata condizionata dai segnali negativi arrivati dal mercato obbligazionario.
Oggi lo spread BTP-Bund ha messo a segno un rally a due cifre, balzando in avanti dell’11,39% a 219,1 punti base e forti vendite hanno colpito i BTP, con il rendimento del decennale volato dell’11,73% all’1,819%.
Unicredit: cattive notizie dai conti di JP Morgan
A pesare sull’andamento odierno di Unicredit sono stati anche i deludenti risultati trimestrali diffusi da Jp Morgan.
Il gruppo Usa ha archiviato i primi tre mesi dell’anno con utile e fatturato in flessione rispetto allo stesso periodo del 2019, non riuscendo a centrare le aspettative del mercato.
Unicredit bocciato da UBS. Ora non è più buy
Come se non bastasse, il sentiment è stato condizionato negativamente anche da un report di UBS che ha rivisto al ribasso le stime sulle banche italiane.
Gli analisti fanno sapere di essere cauti vista l’incertezza strutturale sul danno reale inflitto all’economia italiana dal coronavirus.
La prudenza di UBS è dettata anche dai timori legati ad un incremento del debito pubblico del nostro Paese e all’assenza di un chiaro supporto in termini di valutazione.
La banca elvetica fa sapere che la posizione di capitale degli istituto di credito italiani è forte e non è fonte di preoccupazione.
Questa è una differenza rispetto al passato e costituisce secondo gli analisti un’area di supporto, mentre gli stessi sono messi scettici sul fatto che si riprendano in tempi breve i rendimenti per gli azionisti.
Anche per questo stime UBS ha deciso di tagliare l’unica raccomandazione d’acquisto nel settore bancario di Piazza Affari e si tratta proprio di quella espressa per Unicredit.
Il rating sul titolo è stato così modificata da “buy” a “neutral”, con un prezzo obiettivo quasi dimezzato da 16,2 a 8,5 euro.
UBS fa notare che Unicredit e Intesa Sanpaolo, sono le uniche banche le cui valutazioni attuali riflettono un outlook più conservativo rispetto alle sue previsioni aggiornate.
Unicredit: Morgan Stanely taglia target, ma resta bullish
La bocciatura di UBS ha indubbiamente pesato sull’andamento odierno di Unicredit che al contrario non ha trovato alcun sostegno nelle indicazioni bullish di Morgan Stanley.
Gli analisti di quest’ultima oggi hanno acceso un faro sulle banche italiane, tra le quali la preferenza viene accordata proprio ad Unicredit, coperto con una raccomandazione “overweight” e un target price tagliato da 16,5 a 11 euro.
FONTE:https://www.trend-online.com/prp/unicredit-spread-btp-ftse-mib-banche/
GIUSTIZIA E NORME
L’esonero da responsabilità contrattuale prevista dall’art. 91, comma 1, del Cura Italia
venerdì 10 aprile 2020
di Di Marco Giampaolo – Avvocato in Vasto
La difficile situazione in cui versa il Paese ha indotto il legislatore a formulare una normativa particolarmente incisiva nell’ambito dei rapporti giuridici sorti prima o in concomitanza dell’emergenza. L’analisi della normativa, unita ad una prima indicazione applicativa, potrebbe portare ad evitare che se possa fare un uso distorto, soprattutto per non adempiere a prestazione sorte molto tempo prima dell’emergenza.
La disposizione di cui all’art. 91, comma 1, introdotta dal D.L. 17 marzo 2020, n. 18, c.d. Decreto Cura Italia, prevede espressamente: “il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
Ad un primo esame sommario, parrebbe che tale normativa non introduca nulla di particolarmente nuovo, se rapportata agli ordinari rimedi che l’ordinamento riconosce a tutela dei soggetti del rapporto contrattuale.
È da escludersi, innanzitutto, che il debitore possa essere alleviato da responsabilità contrattuale qualora sia rimasto inadempiente ad un’obbligazione pecuniaria, visto che il pagamento di una somma di danaro non può mai risultare obiettivamente impossibile (con l’eccezione dell’ipotesi estrema di totale sparizione della moneta) e, dunque, mai può prospettarsi la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, ex art. 1463 c.c. (Cass. civ., sez. II, 15 novembre 2013, n. 25777).
Il Decreto Cura Italia, richiamando gli artt. 1218 e 1223 c.c., consentendo al giudice di non applicarli soltanto in caso di inadempimenti derivanti dal rispetto della misure di contenimento, non sembra derogare al summenzionato principio, atteso che, anche nell’attuale situazione emergenziale, i pagamenti sono sempre materialmente possibili grazie all’impiego di strumenti elettronici o telematici, mentre, sotto il profilo finanziario, la carenza di liquidità da parte del debitore non può considerarsi l’imprescindibile e generalizzata conseguenza del rispetto delle regole precauzionali.
In buona sostanza, se il legislatore avesse voluto attribuire ai debitori una moratoria, a discapito degli interessi creditori, lo avrebbe dovuto stabilire espressamente, non potendo raggiungere questo fine semplicemente tramite l’imposizione al giudice di tenere in considerazione l’osservanza delle norme emergenziali ai fini di valutare la sussistenza della responsabilità contrattuale.
Infatti, la norma in esame sembra riecheggiare la figura del factum principis, consistente nel provvedimento emesso dall’autorità legislativa o amministrativa che, impedendo o rendendo estremamente gravosa l’esecuzione dell’obbligazione, va ad escludere ogni responsabilità del debitore per omissioni o ritardi nell’adempimento e, al contempo, sottrae al creditore il diritto alla risoluzione del contratto ed al risarcimento del danno.
Trattasi, in buona sostanza, di una particolare tipologia di causa di forza maggiore, la quale si atteggia ad evento sospensivo – o, in ipotesi estrema, se stabilizzatosi, persino estintivo – delle obbligazioni gravanti sul debitore.
All’art. 91, comma 1, D.L. n. 18/2020 può comunque attribuirsi una funzione chiarificatrice nella misura in cui sembrerebbe dipingere l’esigenza di rispettare le nuove misure restrittive quale causa di forza maggiore non prevedibile dal debitore e, dunque, astrattamente idonea a giustificarne l’inerzia o il ritardo.
Il provvedimento coercitivo ostativo l’adempimento, infatti, è stato ritenuto insuscettibile di sollevare il debitore dalle sue responsabilità ove fosse prevedibile mediante l’adozione della normale dose di diligenza (Cass. civ., sez. III, 8 giugno 2018, n. 14915): la tipizzazione dell’epidemia quale elemento da valorizzare nell’accertamento della responsabilità contrattuale pare prevenire questa evenienza anche per quanto concerne i contratti negoziati e conclusi in prossimità dello stato di emergenza, dichiarato il 31 gennaio 2020.
In ogni caso, al debitore che non sia riuscito a svolgere la prestazione con le modalità e nel rispetto dei termini contrattualmente stabiliti non basta richiamare il factum principis e, dunque, l’astratto difetto di imputabilità ovvero la carenza di colpa in senso oggettivo, ma deve dimostrare di essersi adoperato, con il grado di diligenza preteso dall’art. 1176 c.c., per minimizzare gli effetti nocivi che sarebbero potuti derivare al creditore dalla mancata attuazione del contratto.
Soltanto in presenza di tali condizioni può invocarsi l’esonero da responsabilità contrattuale per causa non imputabile ex art. 1218 c.c.
Al riguardo, comunque, giova rammentare che il nostro ordinamento sia improntato al rispetto dei principi di correttezza e di buona fede, sia nello svolgimento delle trattazione, che nell’esecuzione del contratto e persino nella fase patologica, di guisa che sarà necessario valutare volta per volta se il debitore sia stato diligente nel preservare l’interesse del creditore sino al punto da non pregiudicare il proprio, in coerenza con le previsioni di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., analizzati alla luce degli inderogabili doveri di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost..
Mai come in questo caso, dunque, l’esegesi costituzionalmente orientata si presenta come un duttile strumento a disposizione dell’interprete per effettuare un delicato e sapiente temperamento fra gli interessi contrapposti fra debitore e creditore, in un contesto nel quale il dovere di solidarietà sociale ed i criteri di proporzionalità/adeguatezza fungono da crivella per verificare la legittimità e la correttezza della condotta tenuta dai contraenti.
La normativa di nuovo conio costituirà una poderosa occasione per la sperimentazione di tali principi, che, fra l’altro, nella specie, dovranno confrontarsi con scenari assolutamente inediti, non soltanto per i giuristi e gli economisti, ma per la comunità tutta.
Tale disciplina, che, si ripete, sembra confermare quanto già ricavabile dalle regole generali di diritto comune, rievoca, non a caso, diverse disposizioni del codice civile.
Corre il pensiero, innanzitutto, all’art. 1256 c.c., rubricato “impossibilità definitiva ed impossibilità temporanea”, che recita: “L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Tuttavia l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla”.
È plausibile prospettare, dunque, che, qualora la forzosa quiescenza del contratto determinata dalle novelle misure di sicurezza degradi l’interesse del creditore alla prestazione ovvero stravolga gli oneri che il debitore è chiamato a sostenere per adempiere, l’obbligazione possa estinguersi.
Del resto, l’interesse del creditore a ricevere la prestazione e la difficoltà del debitore nell’eseguirla non sono ignote all’interpretazione formatasi sull’art. 1256 c.c.; ad esempio, secondo autorevole giurisprudenza, si deve “escludere che l’impossibilità sopravvenuta debba essere – come prospettato dal ricorrente – necessariamente ricollegata al fatto di un terzo: la non imputabilità al debitore (v. art. 1256 c.c.) non restringe il campo delle ipotesi ma, per quanto sopra argomentato, consente di allargare l’applicazione della norma a tutti i casi, meritevoli di tutela, in cui sia impossibile, per eventi imprevedibili e sopravvenuti, utilizzare la prestazione oggetto del contratto” (Cass. civ. sez. III, 10 luglio 2018, n. 18047).
In questo contesto, merita segnalare la recente circolare distribuita dal Ministero dello Sviluppo Economico in data 25 marzo 2020, che si preoccupa di garantire alle imprese italiane la possibilità di documentare agli interlocutori negoziali stranieri la paralisi della loro attività in ragione dell’emergenza in corso: viene assegnato alle Camere di Commercio di formare, su richiesta degli imprenditori associati che ne facciano richiesta, un documento certificante la situazione di stallo, così che esso possa essere comunicato ai clienti stranieri per spiegare le ragioni della loro condotta.
Tale documento deve essere letto nell’ottica suindicata di supporto ad una fase dei rapporti negoziali particolarmente delicati e giammai come elemento per sottrarsi all’adempimento delle proprie obbligazioni.
Altro accostamento tra l’art. 91 del Decreto Cura Italia ed i rimedi previsti dall’ordinamento si potrebbe rinvenire nell’istituto della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, ex art. 1467 c.c.: la situazione emergenziale e le norme che ne sono conseguite potrebbero concretizzare quell’evento di carattere straordinario ed imprevedibile al momento del sorgere dell’obbligazione che determina la liberazione del debitore dal vincolo contrattuale, salvo che il creditore non accetti di ricondurre ad equità le condizioni negoziali
Tali straordinarie sopravvenienze, inoltre, potrebbero provocare uno squilibrio sul sinallagma contrattuale, precludendo ad uno o ad entrambi i contraenti di conseguire dal contratto i vantaggi ragionevolmente auspicati all’epoca della sua conclusione e, perciò, attentando in concreto alla piattaforma causale, sì da inficiarne la stessa validità.
Allo stato, tuttavia, non vi è un percorso interpretativo certo che consenta di invocare sic et simpiciter l’istituto dell’eccessiva onerosità sopravvenuta.
Il Decreto Cura Italia, in altra parte (art. 88), invoca anche la risoluzione per impossibilità sopravvenuta, ma in settori, cultura e spettacolo ed in genere di eventi che richiamino pubblico, dove le esigenze di contenimento dell’emergenza impongono di evitare assembramenti come nei casi di eventi e spettacoli pubblici.
Giova richiamare l’attenzione, a questo proposito, sull’evoluzione del concetto di causa, che, originariamente ancorato a modelli oggettivi ed astratti, è stata gradualmente valorizzata in relazione agli interessi economici individuali che l’operazione negoziale è chiamata ad assolvere.
In quest’ottica di personalizzazione e di soggettivazione del contratto, si è spiegato “la causa in concreto – intesa quale scopo pratico del contratto, in quanto sintesi degli interessi che il singolo negozio è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello negoziale utilizzato – conferisce rilevanza ai motivi, sempre che questi abbiano assunto un valore determinante nell’economia del negozio, assurgendo a presupposti causali, e siano comuni alle parti o, se riferibili ad una sola di esse, siano comunque conoscibili dall’altra” (Cass. civ. sez. I, 16 maggio 2017, n. 12069; Cass. civ. sez. III, 3 aprile 2013, n. 8100).
Del pari, è ragionevole ritenere che le attuali difficoltà possano interferire anche sul giudizio di congruità e di proporzionalità fra gravità dell’inadempimento e dimensione economica della sanzione che il giudice è tenuto ad effettuare, anche d’ufficio (Cass. civ., sez. II, 19 dicembre 2019, n. 34021), nel condannare il contraente inottemperante al pagamento della penale a beneficio del contraente virtuoso, ai sensi degli artt. 1382-1384 c.c.
È pacifico, d’altronde, che l’equità della penale deve sindacarsi, non già sulla base di valutazioni astratti, ma tenendo in considerazioni le concrete peculiarità del caso singolo (ex plurimis: Cass. civ. sez. III, 8 ottobre 2019, n. 25031), di talché nulla vieta che una sanzione congenitamente equilibrata possa trasformarsi in sperequata a cagione delle dinamiche derivate dalla diffusione sul territorio nazionale del virus COVID-19.
Si è detto che la penale eccessivamente onerosa deve essere ridotta dal giudice ai sensi dell’art. 1384 c.c.
Nei contratti con il consumatore, però, la disciplina è parzialmente diversa perché l’art. 33, 2° comma, lett. f), D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 209, sanziona con la nullità, salvo che non siano state oggetto di negoziazione individuale, le clausole che sanciscono a carico del consumatore delle penali di importo manifestamente eccessivo.
In questo caso, dunque, il presupposto dell’intervento correttivo del giudice è rappresentato dalla manifesta eccessività e la conseguenza non è la riduzione equitativa della sanzione, ma la nullità della clausola penale e, conseguentemente, l’inesigibilità della sanzione (fermo restando, però, il diritto al risarcimento del danno da parte del professionista/imprenditore).
Tuttavia, l’insieme delle suddette implicazioni dovrà essere censito cum grano salis con la massima attenzione al caso concreto, al fine di individuare in che misura abbiano inciso sul complesso assetto negoziale e quale rilevanza possiedano le attuali sfavorevoli congiunture.
Ad esempio, laddove la penale sia prefigurata nelle forme degli interessi moratori, ben difficilmente potrà reputarsi che le attuali criticità possano indurre il giudice a ridurne l’ammontare, visto che i verosimili meccanismi inflazionistici che si innescheranno a causa della produzione di nuova moneta produrranno, con altrettanta probabilità, l’incremento dei saggi nominali di interesse.
Appare ragionevole evidenziare, dunque, alla luce di quanto testé precisato, che non sempre il debitore potrà andare esente da responsabilità, quasi che la situazione di emergenza gli attribuisca una sorta di corsia preferenziale per svincolarsi dagli impegni contrattualmente assunti.
Pertanto, in virtù degli esposti rilievi, il disposto normativo nella sua portata letterale potrebbe uscirne fortemente ridimensionato nel suo assurgere a causa oggettiva di esonero da responsabilità per le obbligazioni negoziali assunte.
Appare evidente, comunque, che lo scenario attuale potrebbe non essere sufficientemente gestito dagli attuali strumenti normativi ordinari a disposizione sia in termini sostanziali, con particolare riferimento agli istituti civilistici suindicati, sia processuali, con la necessità, quindi, di immaginare tanto gli uni, quanto gli altri, quanto meramente utili come basi di una nuova fase normativa che possa incidere significativamente sulla soluzione delle molteplici fisiologiche problematiche che l’attuale fase è destinata a generare.
IMMIGRAZIONI
LIBIA, 650MILA MIGRANTI PRONTI A PARTIRE. il GOVERNO PREPARA GLI HOTEL
16 APRILE 2020
In una allarmata lettera all’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, il ministro degli Esteri maltese Evarist Bartolo chiede “un’azione urgente in Libia, inclusi aiuti per evitare un disastro umanitario, poiché la situazione è ulteriormente peggiorata a causa del Covid-19 ed il persistere della guerra civile”. Nel documento il ministro avverte anche che ci sono 650mila immigrati in attesa di imbarcarsi dalle coste libiche.
“Confermiamo di aver ricevuto la lettera” del ministro degli Esteri di Malta, che ora “sarà valutato”. “La situazione in Libia è sempre presente tra i pensieri dell’Alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell”. Così un portavoce della Commissione europea, ricordando anche il lancio dell’operazione Irene.
Peccato che Irene, come Sophia, non sia un blocco navale, ma una flotta di navi militari che traghettano clandestini dall’Africa all’Italia. Anche se, in questo caso, ufficialmente dovrebbe traghettare in Grecia.
Nella lettera a Borrell il ministro degli Esteri maltese chiede all’Unione Europea di lanciare “immediatamente una missione” in Libia allo scopo di frenare il flusso migratorio illegale durante la pandemia da coronavirus.
Il nostro governo, invece, si prepara a riceverla. Per questo ha disposto ulteriori bandi per la riapertura di hotel e resort di lusso in Sicilia.
Sui siti di diverse prefetture siciliane, infatti, come quello della Prefettura di Trapani, sono stati pubblicati avvisi relativi all’individuazione di alberghi, allo scopo di ospitare clandestini che approdano sulle coste italiane e che devono essere sottoposti alla quarantena.
Invece di respingerli, il governo coglie l’occasione di riaprire il business. Hotel di lusso per i clandestini, magari con piscina, mentre voi siete chiusi in casa.
Sono invitati a partecipare gli operatori economici titolari di alberghi/strutture, che assolvono i requisiti di ricettività alberghiera aventi un numero minimo di 50 posti letto e i cui locali consentano il rispetto delle misure di contenimento e del distanziamento sociale. Il servizio verrà affidato mediante trattativa diretta, tra coloro i quali, in possesso dei requisiti richiesti, avranno manifestato interesse all’affidamento dello stesso. Il costo pro-capite/pro-die è di circa 30 euro. In salita rispetto ai dettami del decreto Salvini: 21 euro.
Ma è solo l’inizio. Presto bandi simili saranno aperti in tutta Italia. E non solo.
Il mondo della sinistra vuole usare l’emergenza coronavirus per requisire le case degli italiani e metterci dentro gli immigrati:
C’è il rischio che il Covid-19 arrivi in quegli insediamenti, tramutandoli in focolai della pandemia. Ma le soluzioni ci sono: la lettera segnala che i Prefetti – destinatari di nuovi poteri a seguito del DCPM del 09 marzo – possono adottare disposizioni volte alla messa in sicurezza dei migranti e richiedenti asilo presenti sul territorio, mediante l’allestimento o la requisizione di immobili a fini di sistemazione alloggiativa.
Questo è dunque il momento di svuotare i ghetti e offrire un’alternativa migliore alle persone che li abitano. Non solo dal punto di vista igienico-sanitario, ma anche dei diritti fondamentali: molti stranieri si trovano oggi in condizioni di irregolarità acuite dai decreti sicurezza e non cercano lavoro per timore di essere fermate ai posti di blocco proliferati a seguito delle disposizioni anti-Coronavirus. Di qui la proposta di una sanatoria per far emergere chi è costretto a vivere e lavorare in condizioni di irregolarità. Sarebbe una misura di equità che, peraltro, arriverebbe in una fase di particolare crisi del settore primario.
Questa la richiesta al governo di partiti, sindacati e movimenti della sinistra ‘italiana’.
E se il fine ultimo del decreto che prevede la requisizione fino al 31 luglio fosse proprio questo?
https://voxnews.info/2020/04/16/libia-650mila-migranti-pronti-a-partire-governo-prepara-gli-hotel/
MA CI PAGHERANNO LE PENSIONI
FONTE:https://www.maurizioblondet.it/ci-pagheranno-le-pensioni/
Bellanova (Iv): “Agricoltura è integrazione, sanatoria per 600mila clandestini”
Teresa Bellanova (Iv) rilancia la proposta di regolarizzare 600mila immigrati clandestini da impiegare nei campi:
“Nel nostro settore agricolo trovano occupazione 346mila lavoratrici e lavoratori di ben 155 paesi diversi, con 30 milioni di giornate lavorative rappresentante il 26,2% del totale del lavoro necessario nelle campagne italiane”.
La nostra agricoltura quindi è anche un grande laboratorio di integrazione”.
VIDEO QUI: https://youtu.be/N1WGDNdXDKs
FONTE:https://stopcensura.org/bellanova-iv-agricoltura-e-integrazione-sanatoria-per-600mila-clandestini/
LA LINGUA SALVATA
Autocertificazione
Autocertificazione (d. amm.): Dichiarazione sottoscritta che il cittadino può produrre in sostituzione delle normali certificazioni ordinariamente di competenza della pubblica amministrazione ed attestante fatti, stati o qualità che la P.A. deve già conoscere e può agevolmente verificare.
Colui che produce le suddette dichiarazioni sostitutive è considerato penalmente responsabile ove quanto dichiarato sia falso (dichiarazione mendace).
La disciplina relativa alla documentazione amministrativa è contenuta nel D.P.R. 445/2000 (Testo unico in materia di documentazione amministrativa) che sottolinea in modo netto la distinzione tra dichiarazione sostitutiva di certificazione [vedi] e dichiarazione sostitutiva di atto notorio [vedi].
È valida la prima formula per l’attestazione di informazioni comprese nell’elenco di cui all’art. 46 dello stesso T.U.; si preferisce la seconda in tutti gli altri casi. L’art. 49 sancisce l’impossibilità di ricorrere all’autocertificazione sostitutiva per i certificati medici, sanitari, veterinari, di origine, di conformità CE, di marchi o brevetti, salvo diverse disposizioni della normativa di settore.
Infine, in base all’art. 43 D.P.R. 445/2000, le PP.AA. e i gestori di pubblici servizi hanno l’obbligo di acquisire d’ufficio, per via telematica, le informazioni relative alle dichiarazioni sostitutive di cui agli artt. 46 e 47, nonché tutti i dati e i documenti che sono in possesso delle stesse amministrazioni, previa indicazione da parte dell’interessato degli elementi indispensabili per il reperimento dei dati richiesti, ovvero di accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall’interessato.
Dichiarazione sostitutiva della CERTIFICAZIONE DI RESIDENZA
(Art. 46, lettera b), D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445) Il Sottoscritto Mario Rossi nato a Napoli (NA) il 17-07-1966, residente a Milano (MI) in Via Baldinucci n. 12 consapevole che chiunque rilascia dichiarazioni mendaci è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia, ai sensi e per gli effetti dell’art. 76, D.P.R. 445/2000 DICHIARA DI ESSERE RESIDENTE A: Milano (MI) in Via Baldinucci n. 12 Esente da imposta di bollo ai sensi dell’art. 37 D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 455 12-12-2008 Mario Rossi Firma del dichiarante (per esteso e leggibile)* * La firma non va autenticata, né deve necessariamente avvenire alla presenza dell’impiegato dell’Ente che ha richiesto il certificato.
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FONTE:https://www.laleggepertutti.it/dizionario-giuridico/autocertificazione
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
BOOM DI ITALIANI ALLA FAME E IL GOVERNO PENSA A DARE LAVORO AI CLANDESTINI
16 APRILE 2020
Milioni di disoccupati che non sanno come mangiare, e questi pensano a regolarizzare 600mila clabdestini.Il solo pensarlo è un crimine contro l’unico neurone della Bellanova e di giornali finanziati dai contribuenti come Avvenire e Foglio.
Milioni di disoccupati che non sanno come mangiare, e questi pensano a regolarizzare 600mila clabdestini.Il solo pensarlo è un crimine contro l’unico neurone della Bellanova e di giornali finanziati dai contribuenti come Avvenire e Foglio.
FONTE:https://voxnews.info/2020/04/16/boom-di-italiani-alla-fame-e-il-governo-pensa-a-dare-lavoro-ai-clandestini/
Tutti (il premier in testa) fingono di non sapere che c’è il boom dei morti di fame
di Pierluigi Magnaschi – 14 04 2O2O
Per la prima volta nella mia lunga attività giornalistica mi vergogno per un mio scoop. Non perché sia uno scoop falso. Il che sarebbe comprensibile. Ma perché è uno scoop vero. Mi vergogno, prima di tutto, per me, per il fatto cioè di non averlo scritto prima. Mi vergogno poi per la mia categoria che, pur avendo scritto, sui media nazionali, centinaia di articoli di fondo (spesso vuotamente impettiti e sussiegosi) non ha mai scoperto questo drammatico problema che peraltro è sotto gli occhi di tutti, ammesso di disporre di occhi che vogliono vedere, non dico le cose nascoste, ma almeno quelle che sono evidenti. Mi vergogno infine anche per i colleghi dei Tg (specie quelli della tv pubblica; ma anche gli altri non hanno scusanti) che hanno nascosto sistematicamente la notizia e per quelli dei talk show che sono diuturnamente impegnati a rompere, prima in quattro e poi in otto e poi ancora in sedici, i capelli, spesso squallidi, della politica politicante.
Il mio scoop è questo, centinaia di migliaia di famiglie italiane sono oggi letteralmente alla fame. Lo sono perché, essendo povere e non avendo risorse da parte e soprattutto non essendo prese in considerazione da nessuno (perché l’Italia è il solo paese al mondo privo, in base ai fatti, di un partito di sinistra, pur essendo quest’area politica apparentemente al governo) queste classi povere, dicevo, sono state investite in pieno dallo tsunami del coronavirus senza disporre di ammortizzatori e nell’indifferenza di tutti, e soprattutto di quel ceto politico che avrebbe dovuto essere stato eletto per difenderle.
Queste famiglie, che ho interpellato personalmente (memore del motto, sempre valido, che il vero giornalismo si fa, lo diceva persino Luigi Einaudi nel 1921, prima con i piedi, e solo poi con la testa; l’altro giornalismo opinionistico infatti è soprattutto un taglia e incolla fra consanguinei), queste famiglie, dicevo, guadagnavano, prima di aver perso il posto, sui 1.300 euro al mese. Hanno in media due figli piccoli. Vivono, non si capisce come, in appartamenti da 400 euro al mese di affitto, nei quali è facilmente capibile come si trovino adesso quattro persone (due adulti e due minori) che sono anche costrette a non uscire di casa.
Per sopravvivere, le mogli si dedicavano a lavoretti, non lunghi, visto che debbono accudire anche ai figli, come la pulizia delle scale o lavori domestici ad ore, spesso in più famiglie, dato che non vivono nelle zone Ztl e quindi hanno come datori di lavoro delle famiglie quasi parimenti marginali, di poco più in su di loro nella scala del reddito e che quindi ricorrono a un aiuto domestico esterno minimo, chiesto solo per far fronte alle punte di lavoro da loro non direttamente eseguibili.
Improvvisamente queste famiglie, e sono centinaia di migliaia, in aumento ogni giorno di decine di migliaia, nell’indifferenza di tutti, si sono trovate senza risparmi (anzi con qualche debituccio ineliminabile) e senza redditi. Il marito (barman, cameriere, sguattero, commesso, pulitore di vetrine e così via) ha perso il posto perché la microimpresa (che magari tanto lo apprezzava) è stata chiusa per decisione (giusta) dello Stato. Il quale Stato però, mai indispensabile come adesso, se funzionasse, si è dimenticato di risarcire l’impresa (come nel caso degli espropri) per il sacrificio che gli ha imposto a nome della società.
Anche la moglie che faceva lavoretti ha perso le sue piccole entrate perché le famiglie presso le quali prestava il suo servizio sono composte da persone che vivono in piccoli appartamenti (nei quali una persona in più, quella che fa i lavori, li farebbe soffocare) e che, per di più, queste famiglie rinunciano a una collaborazione esterna, anche per pochissime ore la settimana, per paura che la persona che entra in casa possa veicolare, nelle loro quattro mura, il virus di cui quasi nessuno sa di esserne stato ghermito.
Per questo tipo di famiglia che è sul bordo del precipizio, l’intervento sostitutivo di uno stato degno di questo nome dovrebbe essere immediato, sicuro, certo e continuativo. Così come lo è la bombola dell’ossigeno per i malati di coronavirus curati in casa. Un mio amico medico, tra l’altro primario oncologo, che, con un gruppo di collaboratori esemplari, si dedica a questa commendevole e per lui straordinaria attività sanitaria, l’altro giorno ha fatto il diavolo a quattro per far arrivare d’urgenza una bombola di ossigeno presso la casa di un suo paziente (e c’è riuscito con la collaborazione di un sacco di gente che, contrariamente al governo, non ha fatto finta di non vedere). Il suo commento a operazione conclusa, è stato: “Non bastava far arrivare la bombola d’ossigeno ma era assolutamente necessario farla arrivare in tempo perché, altrimenti, avrebbe raggiunto un morto che, di quella bombola, non avrebbe saputo di che farsene”.
Il governo delle 48 pagine piene di 19.645 parole, del decreto, sulla “liquidità”, aveva inventato, per gli esercizi commerciali che possono ottenere la cassa integrazione in deroga, l’obbligo, da parte delle aziende costrette a chiudere e quindi con l’acqua alla gola, di anticipare, a favore dei loro dipendenti, l’ammontare della cassa integrazione, della quale sarebbero poi state rimborsate solo in occasione della loro successiva rata fiscale. Questa assurda e inaccettabile soluzione è poi rientrata a seguito della forte presa di posizione di ItaliaOggi che ha costretto il governo a ritornare immediatamente sui suoi passi e a sostituire, con un bypass bancario garantito dallo Stato, questa norma iugulatoria contro imprese quasi defunte (quindi senza sangue) in un accanimento inaccettabile anche perché socialmente ed economicamente assurdo.
Le famiglie oggi a rischio di fame sono spesso (ma non solo) famiglie di immigrati che si erano inserite lodevolmente nel tessuto sociale ed economico del paese, accettando con disciplina le condizioni spesso dure. Queste famiglie, sinora, sono state in grado di assicurarsi la sopravvivenza che, con i loro sacrifici, è stata anche dignitosa. Sono famiglie (e lo dico per averle conosciute) che hanno allevato da bravi italiani i loro figli che spesso, già alle elementari, sono fra i più bravi. Uno, in seconda media, è un appassionato di storia romana che studia per conto suo e che, orgoglioso, spiega, per iscritto e in filippino, ai parenti che sono rimasti a Manila. Questa gente, che rappresenta il futuro dell’Italia, è stata adesso gettata nella tramoggia dell’indifferenza e non capisce perché in Svizzera ma anche in Uk le provvidenze statali sono concretamente erogate qualche giorno dopo la loro ufficializzazione mentre da noi esse non si sono ancora tradotte in un euro, quattro settimane dopo l’approvazione dei decreti che dovrebbero renderli disponibili.
Ma oltre alla mattanza sociale (che è inaccettabile) il governo (perché è a lui che competono queste scelte) gioca anche con la stabilità civile. Una famiglia, quanto può resistere senza reagire in questa situazione di estremo bisogno? Un disperato è pericoloso. Un milione di disperati nel pieno delle forze (e della disperazione) può diventare pericolosissimo. Meno male che c’è la Caritas che (anche con l’aiuto di imprese e persone) cerca di supplire per qualche settimana a questa situazione drammatica contro la quale non potrà reggere a lungo mentre il governo Conte continua a vomitare decreti, decretini e decretoni, tutti inoperanti. Le famiglie in sofferenza chiedono la bombola ad ossigeno, il governo gliela scaglia contro. Vuota, anche.
Pierluigi Magnaschi
FONTE:https://www.italiaoggi.it/news/tutti-il-premier-in-testa-fingono-di-non-sapere-che-c-e-il-boom-dei-morti-di-fame-2439676
PANORAMA INTERNAZIONALE
COVID-19: IL GRANDE BLOCCO
“The Great Lockdown“ è il titolo che l’Imf (International Monetary Fund – Fondo Monetario Internazionale) ha opportunamente dato all’edizione di aprile 2020 del suo World Economic Outlook, focalizzandosi sulla caratteristica principale dell’economia mondiale di questo periodo, il lockdown, il blocco, appunto. L’analisi indica quale sia la tendenza dell’economia globale per l’anno in corso, considerando il peso degli effetti che i provvedimenti presi dai governi per difendersi dalla pandemia di Covid-19 avranno a livello globale e su ogni singola economia. A livello globale il Fmi prevede un calo del Pil pari al 3 per cento a fronte di una crescita globale precedentemente stimata al 3,3 per cento, con l’avvertenza di una forte probabilità di risultati anche pesantemente peggiori rispetto alla sua stessa previsione.
L’Italia, in questo outlook, spicca per negatività visto che la previsione che la riguarda è fra le peggiori, -9,1 per cento, superata in negativo in Europa solo dalla Grecia con un -10 per cento e a fronte dell’Unione europea che avrà un calo del 7,1 per cento. Per noi italiani riveste grande interesse questo impietoso confronto perché quei numeri sono il frutto della nostra gestione interna del problema e non dei cattivi tedeschi e olandesi o di chissà quale complotto internazionale o di chissà quale speculatore. Noi siamo più fermi di altri e questo fatto a poco a che vedere con la nostra sicurezza interna, ma molto con la narrazione che quotidianamente si fa, contrapponendo concetti che invece sono strettamente interrelati come salute e ricchezza. La ricchezza, la solidità economica, è premessa per politiche attente alla salute dei cittadini e chi sostiene il contrario, qualunque posizione ricopra nella società o nel sistema politico o sindacale, dovrebbe essere bollato inesorabilmente e definitivamente come un ciarlatano.
Da notare che chi oggi si erge a difensore della salute pubblica contro i cattivi e avidi imprenditori, spesso è lo stesso soggetto che chiede più soldi per la sanità, più sistemi di protezione, chiede allo Stato di farsi carico di questo e di quello. Ma lo Stato, per farsi carico di qualcosa, qualsiasi cosa, ha un solo metodo, tassare le attività produttive, i consumi ed il lavoro. La ricchezza e, se la si vuole, la sanità pubblica, o privata pagata attraverso un sistema di polizze assicurative, si basa sulla generazione di ricchezza e questa si basa sul complesso delle attività imprenditoriali. Occorre ribadire questi concetti di base, di per sé assai banali, ma spesso dimenticati a favore di formule demagogiche e costose come i vari redditi di cittadinanza o altri simili, che sembrano essere finanziati seminando monete nel Campo dei miracoli.
Il dilagare dell’analfabetismo economico, un lusso che una delle prime economie al mondo, come miracolosamente e sulle spalle dei nostri padri l’Italia continua ad essere, non si può più permettere. Analfabetismo che, oltretutto, si traduce spesso in scelte suicide e voti a formazioni che promettono, appunto, il Campo dei miracoli. Per favorire il ragionamento a chi abbia voglia e tempo, si consigliano alcune pagine che Google ha dedicato alla mobilità nei giorni del Coronavirus. Sono pagine semplici, non si tratta di economia, ma di vita sociale, sono alla portata di tutti. Qui si possono osservare, gratuitamente, alcuni parametri costanti stato per stato ed effettuare i dovuti confronti nell’atteggiamento seguito dai vari governi nell’affrontare la pandemia. L’ultimo aggiornamento disponibile è del 5 aprile, una data abbastanza rappresentativa, visto che nelle settimane precedenti il lockdown è stato applicato un po’ a tutti i Paesi industrializzati, ma sarà anche importante seguirne gli aggiornamenti nel corso delle prossime settimane, pur con le dovute cautele sulla lettura dei dati statistici.
I parametri controllati sono definiti sulla base di contesti di riferimento, sui quali si verifica la variazione della mobilità rispetto alla situazione precedente la pandemia. I luoghi o contesti monitorati sono sei: “retail & recreation” (vendite al dettaglio e attività ricreative), “grocery & pharmacy” (alimentari, drogherie e farmacie), “parks” (parchi), “trasit stations” (stazioni di transito), “workplaces” (luoghi di lavoro), “residential” (residenze). Confrontate le attività italiane rispetto a quelle dei Paesi confrontabili quanto a sviluppo economico, Usa, Germania, Uk, Francia, Giappone e Corea del Sud. Ebbene, l’Italia è ultima in tutto. Per fare alcuni esempi, quello su cui si è portati a ragionare per primo sicuramente “posti di lavoro”: Italia -62 per cento; Usa -40 per cento; Germania -30 per cento; Uk -54 per cento; Francia -53 per cento; Giappone -13 per cento; Corea del Sud -13 per cento. Questo dato già di per sé indica quanto i luoghi di lavoro italiani siano letteralmente spopolati rispetto a quelli di altri Paesi, ma l’incidenza negativa di questo fatto potrebbe essere anche peggiore di quanto intuitivamente ci si possa aspettare, basta pensare al concetto di smart working, non a caso espresso in lingua anglosassone, ci aspettiamo davvero che il nostro grado di informatizzazione e di organizzazione per valorizzare al massimo questa modalità di lavoro sia superiore a quello dei Paesi indicati? La domanda appare retorica. Con risposta negativa, ovviamente, per i meno ironici. Alle variabili “vendite al dettaglio” e “alimentari, drogherie e farmacie”, come è intuitivo, sono legati milioni di posti di lavoro ed una parte estremamente significativa dei Pil nazionali indicati.
Guardandole in coppia: Italia, rispettivamente, -95 per cento e -82 per cento; Usa -49 per cento e -20 per cento; Germania -58 per cento e -13 per cento; Uk -82 per cento e -41 per cento; Francia -85 per cento e -62 per cento; Giappone -25 per cento e +2 per cento; Corea del Sud -17 per cento e +14 per cento. Adesso è chiaro perché siamo sull’orlo del collasso, rispetto alle altre nazioni? È questo il tanto decantato “modello italiano”. Non ci vuole un economista per capire intuitivamente questi dati. Sono sufficienti per capire quanto il nostro governo, paragonato agli altri, abbia semplicemente scelto la politica dello struzzo, testa sotto la sabbia e speriamo che nessuno approfitti della parte posteriore rimasta fuori. Ma c’è una domanda importante da porsi, perché gli italiani sono così accondiscendenti? Perché si lasciano imprigionare in casa così passivamente e si trasformano in delatori di chi anela ad un minimo di libertà o di normalità? Eppure questi sono dati così semplici che li capirebbe un bambino. Ma qui interviene la narrazione, la dannazione dei cittadini che col loro movimento si trasformano in untori (deresponsabilizzando così chi dovrebbe prendere decisioni politiche) e che quindi devono essere tenuti in isolamento, a casa.
Una narrazione potenziata dalla collaborazione di percettori di redditi fissi, statali, vera base elettorale di chi sta facendo finta di governare il Paese. La narrazione che non include mai questi dati, non li porta mai in tivù. Come non porta nemmeno quanto riportava ieri l’agenzia Agi che evidenziava il dato che a Roma a marzo 2020 ci sono stati più o meno gli stessi morti di marzo 2019. No, anche questo difficilmente lo sentirete alle 18 in tivù. Però si sentiranno le cronache degli italiani beccati e multati perché ingiustificatamente in giro, o dei runner eroicamente inseguiti. Piccoli e grandi fatti quotidiani, resi sempre più popolari dai rilanci sui social, con tanto di vomito d’odio da parte di novelli predicatori della salute e dell’ordine pubblico, ai quali non pare vero di poter insultare il prossimo stando dalla parte del governo e sentendosi di esso coraggiosi alfieri.
FONTE:http://opinione.it/economia/2020/04/16/alessandro-cicero_imf-world-economic-outlook-lockdown-covid-19-italia-unione-europea-stato-campo-dei-miracoli-analfabetismo-economico/
Il parere dell’ amministrazione Trump e di Bill Barr sul piano vaccini di Bill Gates
L’amministrazione Trump si è dichiarata contraria al sistema di tracciamento digitale dei vaccini proposto da Bill Gates per “motivi di libertà personale”….sistema, questo, che potrebbe informare le autorità della storia delle vaccinazioni di un individuo.
La misura orwelliana è stata proposta dall’oligarca tecnocratico Bill Gates, che sta tentando, a detta di molti, di sfruttare la pandemia da Coronavirus per avvicinarsi di più alle vaccinazioni obbligatorie e a trarne profitto commercialmente, visto che è al dentro del processo di ricerca e produzione.
Sull’”Ask Me Anithing” di Reddit, vertente sul Coronavirus, Gates ha detto: “Alla fine avremo alcuni certificati digitali per mostrare chi è guarito, chi è stato testato di recente e, quando avremo un vaccino, chi lo avrà ricevuto”.
Bill Barr, procuratore generale degli Stati Uniti d’America dal 2019, è scettico sull’idea di Gates di etichettare le persone in questo modo, come bestie, dicendosi preoccupato per il monitoraggio della gente, in particolare nel lungo periodo di tempo.
Barr ha anche espresso preoccupazioni per le continue “invasioni alla libertà personale” esercitate da Bill Gates sulla popolazione, sostenendo che “passi adeguati e ragionevoli vanno bene”, quindi lasciando una porta aperta a qualche tipo di azione governativa volta a far rispettare l’uso del vaccino.
Il vaccino tatuato sulla pelle studiato da Bill Gates
La Bill & Melinda Gates Foundation ha finanziato una ricerca del Massachusetts Institute of Technology che ha sostenuto l’essenziale necessità di tatuare i dati del vaccino direttamente nella pelle dei bambini
Un articolo di Scientific American, scritto a dicembre 2019, relativo al piano di Gates, dice: “Insieme al vaccino, a un bambino verrebbe iniettato un po di colorante invisibile a occhio nudo ma facilmente visibile con uno speciale filtro per telefoni cellulari, combinato con una app che illumina con una luce l’infrarosso sulla pelle. Si prevede che la tintura durerà fino a 5 anni, secondo i test effettuati su pelli di maiale, di ratto e su campioni di pelle umana prelevata da cadavere“.
Durante la pandemia, Gates continua a propagandare il suo impegno nella lotta alla diffusione del Covid-19.
“La nostra fondazione lavora molto nella diagnostica e sui vaccini“, ha affermato in una recente intervista con CBS News, aggiungendo che i produttori di vaccini sono le uniche entità “che possono davvero riportare le cose sulla buona strada”.
L’uomo più ricco del mondo afferma, inoltre: “c’è molto dialogo tra i nostri esperti della fondazione e il governo su come riportare il mondo alla normalità usando i vaccini”.
I critici si interrogano che, in piena pandemia, Gates stia badando ai suoi interessi, spingendo in favore dei vaccini obbligatori.
Su Instagram piovono le accuse di crimini contro l’umanità
Intanto la pagina Instagram di Bill Gates è invasa da persone che chiedono il suo arresto per crimini contro l’umanità.
Il suo piano di “salvare il mondo” con un vaccino potenzialmente obbligatorio per il Coronavirus, suggerendo che a nessuno sarà permesso di riprendere la vita normale senza una certificazione digitale per dimostrare che è stato vaccinato, si sta rivelando estremamente impopolare su internet.
Su Instagram sono davvero migliaia i messaggi che chiedono a Gates di smetterla di sperimentare la salute di “umani inferiori” o di aspettarsi di essere accusati di crimini contro l’umanità. In effetti la sua fondazione ha avuto già numerosi problemi in questo senso in India.
“Il denaro non ti dà alcun diritto contro le persone. Devi essere accusato di crimini contro l’umanità“, “Non vedo l’ora di vedere il tuo processo!” … questi alcuni dei tanti commenti contro di lui che, pare, abbia cancellato quelli critici dalla sua pagina.
Le dure parole di Robert F. Kennedy Jr.
Robert F. Kennedy Jr. ha invece sottolineato che il fondatore di Microsoft ha piani di controllo dittatoriale sulla politica sanitaria globale, sulla convinzione messianica di essere stato incaricato di salvare il mondo con la tecnologia.
Parole dure le sue, che continua a scrivere: “I vaccini, per Bill Gates, sono una filantropia strategica che alimenta le sue numerose attività legate al vaccino (inclusa l’ambizione di Microsoft di controllare un’impresa globale di identificazione dei vac) e li danno il controllo dittatoriale sulla politica sanitaria globale, la punta di diamante del neoimperialismo aziendale“.
FONTE:https://www.ambientebio.it/societa/bill-gates-amministrazione-trump-crimini-contro-umanita-coronavirus-tracciamento-digitale-vaccini/
POLITICA
Molti osservatori attenti, anche su the American Conservative, hanno avvertito che le libertà civili, e forse la libertà stessa, potrebbero essere vittima del coronavirus. Non hanno tutti i torti, ma d’altra parte, c’è un virus là fuori, e batterlo con ogni mezzo necessario sembra essere la preoccupazione principale in questo momento. Pertanto, i media mainstream, che solo un mese fa ha messo in guardia sui pericoli del razzismo e della xenofobia, sono ora sostanzialmente d’accordo con forti misure di sanità pubblica.
Ad esempio, il 19 marzo, il Washington Post ha pubblicato un’indagine sulle azioni intraprese da vari paesi asiatici con questo straordinario sottotitolo: “Il Grande Fratello si prende cura di te”. Come ha spiegato il Washington Post , “Singapore ha usato il suo equivalente dell’Fbi, il Dipartimento investigativo, per interrogare efficacemente ogni caso confermato con sorprendente attenzione, persino usando i portafogli digitali dei pazienti per rintracciare i loro passi. Chi mente paga con multe e prigione”. Sembrerebbe che l’Unione delle libertà civili di Singapore – se ce n’è ancora una – non abbia molto peso in quella città-stato confuciana. Osservando in un altro paese asiatico, il Post ha aggiunto: “Taiwan monitora la posizione delle persone infette tramite smartphone: vai troppo lontano da casa e ricevi un messaggio; ignoralo e la polizia ti farà una visita”l
Come se fosse stato un suggerimento, un tweeter taiwanese ha aggiunto in modo indipendente il 21 marzo: “Il mio telefono, che è stato localizzato via satellite dal governo di Taiwan per imporre la quarantena, ha esaurito la batteria alle 7:30 del mattino. Alle 8:15, quattro diverse unità mi hanno chiamato. Alle 8:20 la polizia ha bussato alla mia porta”. L’articolo del Wp aggiunge: “Gli esperti concordano che i governi occidentali devono essere pronti a limitare i movimenti dei loro cittadini, imporre l’isolamento per casi positivi e tenere traccia dei contatti indipendentemente dalle preoccupazioni sulla privacy”.
Con lo stesso spirito severo, il 22 marzo, il New York Times ha intitolato “L’Italia, il nuovo epicentro di Pandemic, ha lezioni per il mondo”. Secondo il Times, “L’esperienza del paese mostra che i passi per isolare il coronavirus e limitare i movimenti delle persone devono essere messi in atto in anticipo, con assoluta chiarezza, quindi rigorosamente applicati”. Come possiamo osservare, è quasi come se il Times desiderasse ardentemente i giorni del Duce, Benito Mussolini, negli anni ’20, o almeno la mano pesante del sindaco Rudy Giuliani in gli anni ’90.
A dire il vero, nessuna improvvisa celebrazione da parte dei media della disciplina e dell’ordine si è tradotta in supporto per Donald Trump, che è stato regolarmente accusato negli ultimi tre anni di essere un autoritario – o peggio. È interessante notare che, quando arrivò il momento della verità, Trump non è stato così dittatoriale come alcuni avrebbero potuto temere – e come altri avrebbero potuto sperare. Sì, ha principalmente chiuso i viaggi con la Cina, il Messico e l’UE (azioni seguite da quasi tutti i principali paesi del mondo, fornendo una vittoria per lo più priva di effetti collaterali per il trumpismo). Eppure il 45° presidente non è stato per nulla draconiano su questioni di ordine interno e mobilitazione economica. In effetti, al momento della stesura di questo documento, il presidente sembra propenso ad aprirsi ; cioè, si dice che sia in sintonia con i suoi consiglieri economici libertari, non con i suoi esperti di salute pubblica ortodossa.
Quindi molti governatori – compresi i democratici che guidano grandi stati come la California, New York e la Pennsylvania – si sono trovati alla “destra” di Trump. Cioè, stanno emettendo ordini di “stare a casa”, facendoli apparire, nel bene e nel male, più duri del presunto duro alla Casa Bianca.
Potremmo fermarci ad osservare che la durezza è il vero volto della salute pubblica. Negli ultimi decenni, la salute pubblica è stata vista come una professione “liberale”, che sostiene il controllo delle armi, si preoccupa dei cambiamenti climatici, coccola i senzatetto e simili. Tuttavia, quando arriva un’autentica emergenza medica, la chiamata della salute pubblica riscopre i suoi muscoli antichi e li flette. Molte parole illiberali, come “quarantena”, vengono nuovamente scandite, così come concetti più recenti, come “distanza sociale” e “Monitoraggio dei social media”.
Si ricorda, ad esempio, ciò che Cicerone scrisse 2000 anni fa: Salus populi suprema lex esto , “La salute delle persone deve essere la legge più alta”. (Possiamo notare che il salus può anche essere tradotto, meno dal punto di vista medico, come “benessere” o “sicurezza”.) Tuttavia, secondo qualsiasi traduzione, le parole schiettamente utilitaristiche di Cicerone sono sempre state risonanti, anche nel dammi la libertà o la morte americano; servono come motto, ad esempio, dello Stato del Missouri, nonché di molte altre giurisdizioni locali. E se uno vede la salute e il benessere delle persone come la legge più alta, allora oggi, molte parole d’ordine amichevoli devono andare in pensione.
Con il virus risorse il Leviatano di Hobbes
Nel suo libro del 1987 Crisis and Leviathan: Episodi critici nella crescita del governo americano , lo studioso libertario Robert Higgs sosteneva che le crisi spiegano perché lo stato si fortifica. Furono la depressione, le due guerre mondiali e la guerra fredda a ingrossare lo zio Sam, e una volta diventato grande non è più diventato piccolo. Il “Leviatano” nel titolo del libro di Higgs, ovviamente, si riferisce al classico della scienza politica del 1651 di Thomas Hobbes, il Leviatano.
Come ha affermato Hobbes, la vita in uno stato di natura – cioè al di fuori di uno stato di governo – è “solitaria, povera, cattiva, brutale e breve”. Secondo Hobbes, non esisteva un “nobile selvaggio”, solo una barbara ignobile. “Durante il tempo gli uomini vivono senza un potere comune per tenerli tutti in soggezione”, ha aggiunto Hobbes, “sono in quella condizione che si chiama guerra; e una tale guerra, come lo è di ogni uomo, contro ogni uomo. ” In altre parole, secondo i calcoli di Hobbes, niente era peggio di nessun governo e nessun ordine.
Possiamo notare che Hobbes stava scrivendo sulla scia della guerra civile inglese del 1640. Avendo vissuto le “orribili calamità che accompagnano una guerra civile”, Hobbes credeva che quasi ogni governo dovesse essere un miglioramento. E così le persone dovevano incontrarsi – non necessariamente volontariamente – per il sostegno reciproco, attraverso un “potere comune per tenerli tutti in soggezione”.
Per Hobbes, questa creazione maestosa, questo Leviatano, era interamente creata dall’uomo; era il governo stesso. Hobbes pensava che lo stato fosse un “uomo artificiale”, composto proprio dalle persone per “la cui protezione e difesa era intesa”. Ed è stato attraverso questa nuova creazione che è stato possibile verificare “sedizione, malattia e guerra civile”. Quindi torniamo alla salute pubblica. Come abbiamo visto, con il suo velo liberale strappato via, la salute pubblica è, beh, Hobbesiana nella sua portata e simile a Leviatano nella sua scala. Si tratta di ridurre la libertà: sorveglianza, quarantena, controllo dei movimenti, vaccinazioni obbligatorie, qualunque cosa serva per mantenere le persone in salute.
Naturalmente non tutti sostengono misure così dure. Tuttavia, il dott. Scott Gottlieb, studioso della salute ed ex capo della FDA nell’amministrazione Trump, ha twittato questa valutazione brusca dell’alternativa alla salute pubblica hobbesiana il 23 marzo: “Finché i covidi-19 si diffonderanno incontrollati, gli anziani moriranno nella storia numeri, persone di mezza età condannate a prolungati soggiorni in terapia intensiva per lottare per la propria vita, gli ospedali saranno sopraffatti e la maggior parte degli americani terrorizzati di lasciare casa, mangiare fuori, prendere la metropolitana o andare al parco. “
La descrizione straziante di Gottlieb del virus in libertà suona un po ‘come la descrizione della vita di Hobbes in uno stato di natura. Vale a dire, se devono scegliere tra essere a rischio ed essere sotto controllo, la maggior parte delle persone sarà contenta di quest’ultima. Quindi possiamo notare: è la paura del caos – inclusa, ma certamente non solo, la salute pubblica – che ha fatto crescere lo stato in primo luogo, ed è la paura continua che mantiene grande lo stato.
Finché c’è paura, ci sarà … il Leviatano.
(Traduzione da the American Conservative)
FONTE:https://oltrelalinea.news/2020/03/26/con-il-covid-19-risorge-il-leviatano-di-thomas-hobbes/
INCOMPETENTI O TRADITORI CHE SVENDONO IL PAESE PER 30 DENARI (PER SE)
16 APRILE 2020 – Marco Santero
Rilancio con grande piacere questa splendida sintesi di Grossi che, da ex addetto ai lavori, spiega con DISARMANTE CHIAREZZA E SEMPLICITA’ ( cui faccio i più sentiti complementi) COME DA DECENNI I NOSTRI POLITICI CI STANNO SVENDENDO ALLA FINANZA SPECULATIVA E AI POTENTATI PSICOTICI TEDESCHI E NORD EUROPEI IN GENERE, CHE CONTROLLANO IN MODO FERREO LA COMMISSIONE EUROPEA.
VIDEO QUI: https://youtu.be/F7x7BULwkA0
Tutto questo è stato reso possibile da un’informazione pubblica e privata quasi tutta schierata a favore degli interessi degli stessi NEMICI DEL PAESE!
Non c’è da farla tanto lunga, siamo stati traditi dai politici che ci stanno rappresentando, perché l’incompetenza c’è, ma dopo anni di bombardamento da parte di decine e decine di tecnici, economisti, filosofi, esperti, ex addetti ai lavori, ex direttori di Ministeri, giudici presidenti di sezione del Consiglio di Stato, presidenti emeriti della Corte Costituzionale, ecc., ecc. l’ignoranza è impossibile.
Tutti i cittadini che hanno aperto gli occhi e capito la gravità di quanto è già successo e la ancor più grave minaccia, per il bene individuale e collettivo degli italiani tutti, che ora incombe su tutti noi dobbiamo darci da fare, abbandonare gli ego personali (pompati da 40 anni di individualismo neoliberista pompato in tutti i modi da tutti i media), armarci di umiltà, spirito collettivo e UNIRE LE FORZE PER UNA REAZIONE DEMOCRATICA FORTISSIMA PER AVERE UN NUOVO GOVERNO NON COLLABORAZIONISTA, CON PERSONE DI PROVATA ESPERIENZA (NON UN FILOLOGO MINISTRO DEL TESORO E UN AVVOCATO CHE NON HA MAI GESTITO NEANCHE UNA CIRCOSCRIZIONE ) NEI POSTI CHIAVE.
L’ALTERNATIVA: PATRIMONIALI, FALLIMENTI BANCARI CON RISPARMI BRUCIATI DAL BAIL-IN, TAGLIO DEGLI STIPENDI E/O LICENZIAMENTI DI CENTINAIA DI MIGLIAIA DI DIPENDENTI PUBBLICI, TAGLIO DRACONIANO DELLE PENSIONI IN ESSERE, SVENDITA DELLE INFRASTRUTTURE STRATEGICHE, ECC., ECC.
LO STESSO FILM HORROR GIA’ VISTO IN GRECIA E ANCHE LI GUALTIERI (IL FILOLOGO PRESTATO ALLA MACROECONOMIA) HA DATO IL SUO AMOREVOLE CONTRIBUTO:
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È stato relatore per la modifica dell’articolo 136 del Trattato di Lisbona che istituisce il MES
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Nel 2011 è stato, insieme a Guy Verhofstad, membro della squadra che aveva il compito di convincere i governi europei ad accettare il “Fiscal Compact”
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HA DIRETTO il Financial Assistance Working Group, finalizzato a verificare che la Grecia facesse “bene le riforme” (quelle che ho elencato poco sopra!) cioè tagli alla spesa (macelleria sociale) e cessione del patrimonio pubblico in cambio degli aiuti europei.
Una mossa diabolica mettere Gualtieri al tesoro: sul grembiule “rosso” gli schizzi di sangue si vedono meno, per questo gli ex “compagni” sono stati trasformati dopo Tangentopoli nella spietata TRIVELLA DEL NEOLIBERISMO!!
FONTE:https://scenarieconomici.it/incompetenti-o-traditori-che-svendono-il-paese-per-30-denari-per-se-di-marco-santero/
STORIA
In questo articolo analizzeremo lo scandalo che sconvolse la corte francese e catturò l’attenzione dell’opinione pubblica europea.
Lo scandalo contribuì in maniera determinante a deteriorare l’immagine, già compromessa, della Regina di Francia, la quale all’epoca veniva soprannominata “l’austriaca” e in molti casi, con un termine ancora più dispregiativo: “la cagna austriaca“.
Uno dei ruoli da protagonista in questa affascinante vicenda l’ebbe Jeanne de-Saint-Rémy-de Luz de Valois, la quale in accordo con il marito si autoproclamò “Contessa de La Motte”, ma a parte il sangue reale che scorreva nelle sue vene, in quanto discendente della famiglia “Valois”, cioè la famiglia francese che regnò prima dei Borboni, questa donna non aveva alcun titolo nobiliare riconosciuto. Allora, per comprendere gli accadimenti che caratterizzarono l’affare della collana, occorre partire dall’analisi della figura di costei.
Jeanne de-Saint-Rémy-de Luz de Valois nacque a Fontette, nel nord-est della Francia, il 22 luglio 1756, in una famiglia molto povera. Suo padre, Jacques de Valois-Saint-Rémy, aveva sangue reale dei Valois, era discendente di Enrico di Saint-Rémy, figlio illegittimo di Enrico II de Valois e Nicole de Savigny, ed era un alcolizzato che viveva di espedienti. La madre, Marie Jossel era una lavandaia dissoluta. I tre figli, Jacques, Jeanne e Marie-Anne, rimasero presto orfani del padre il quale morì nel 1762.
La madre si trasferì a Boulogne, vicino Parigi ed instaurò una relazione con un altro uomo, altrettanto alcolizzato e perfino violento, il quale costrinse i tre bambini a mendicare. I bambini giravano sudici per le strade di Parigi elemosinando e dicendo: “Vi prego date qualcosa a dei piccoli bambini che discendono dai Valois“.
Un giorno i tre bambini incontrarono in strada una nobildonna e chiesero l’elemosina anche a lei. Si trattava di Madame de Boulainvilliers, la quale incuriosita dalle loro origini, con l’aiuto di un prete accertò l’effettiva discendenza dei bambini dai Valois, e decise di toglierli dalla strada e di prendersene cura. Il maschio, Jacques, entrò nell’accademia militare e divenne un soldato. Le due sorelle, Jeanne e Marie-Anne, studiarono in un collegio a Passy. Dopo gli studi, anziché diventare suore come si pensava, le due sorelle tornarono a Bar-sur-Aube.
Nel 1780 Jeanne Valois sposò il nipote dei Surmont, il conte Antoine-Nicolas de La Motte. Le origini nobili dell’uomo erano alquanto dubbie, ma i due riuscirono comunque ad ottenere i titoli di conte e contessa de La Motte Valois. Ma i titoli non fornivano loro alcuna rendita. Era necessario per i coniugi La Motte-Valois essere accolti a corte, a Versailles. Ciò però risultava molto difficile. Jeanne de-Saint-Rémy-de Luz de Valois cercò in tutti i modi, con vari espedienti e trucchi di riuscire ad incontrare Maria Antonietta, ma ciò non avvenne mai. Nonostante la sua insistenza e perseveranza, non incontrò e non conobbe mai la Regina.
Jeanne de-Saint-Rémy-de Luz de Valois, nel suo intento di entrare ed essere accolta a corte, cercò di ingraziarsi alcuni nobili uomini. Così, si concesse loro sessualmente, sia in cambio di doni e regalie, sia cercando di ottenere la promessa di introdurla negli ambienti di corte.
La sua difficile situazione economica la spinse addirittura ad estorcere denaro ad uno di questi uomini ai quali offriva relazioni sessuali. Fu così, che con lo scopo di estorcere denaro ad uno dei suoi amanti, il cardinale Louis de Rohan, Jeanne Valois mise in atto un inganno facendogli credere di avere un rapporto confidenziale con la regina Maria Antonietta. Il cardinale, proprio per i suoi modi dissoluti e per nulla consoni all’abito che indossava, era mal visto da Maria Antonietta, la quale da tempo si rifiutava di incontrarlo. Inoltre, Maria Antonietta non vedeva di buon occhio il cardinale, poiché egli aveva raccontato alcuni suoi segreti all’imperatrice d’Austria Maria Teresa, sua madre. In aggiunta, la Regina aveva anche sentito parlare di una lettera in cui il cardinale parlava in modo leggero e offensivo di sua madre.
Ma il cardinale Louis de Rohan aveva intenzione di entrare nelle grazie della Regina e aspirava alla carica di Primo Ministro, e così quando il cardinale e Jeanne Valois divennero amanti, Jeanne pensò bene di fargli credere di essere in buoni rapporti con Maria Antonietta e che avrebbe potuto aiutarlo a realizzare il suo desiderio. Jeanne Valois fu così abile che il cardinale le credette.
Fu così che Jeanne Valois decise di organizzare un falso incontro tra il cardinale Louis de Rohan e Maria Antonietta. Il piano riuscì e il finto incontro avvenne di notte nel boschetto di Venere, sito nel giardino di Versailles. La finta Maria Antonietta si presentò nel boschetto di notte con il capo avvolto da un grande cappello ed il viso coperto da un velo scuro e promise al cardinale di dimenticare le incomprensioni del passato. Ma chi era quella persona che il cardinale diede per scontato fosse la Regina? Quella donna era in realtà una prostituta di nome Nicole Leguay alla quale in seguito Jeanne Valois conferì il titolo di contessa D’Oliva.
In seguito a quell’incontro Jeanne Valois disse al cardinale che la Regina aveva bisogno di dimostrazioni di affidabilità da parte del cardinale stesso e che quindi era stata incaricata di fungere da tramite e riscuotere tutte le donazioni che il cardinale Louis de Rohan intendesse devolvere a Maria Antonietta. Il cardinale, nella speranza di ripercorrere le orme del cardinal Mazzarino, diede fondo a tutte le sue risorse, convinto che quei soldi giungessero realmente alla Regina, ma in realtà finivano nelle tasche della spregiudicata Jeanne Valois.
Con tutti questi soldi Jeanne de-Saint-Rémy-de Luz de Valois costruì una splendida villa nella quale andò a vivere con il marito, ma una buona parte dei soldi lì diede anche ad un altro suo amante, un certo Rétaux de Villette, un ragazzo molto giovane e aitante, autore delle le lettere scritte al cardinale a firma (falsa) della Regina. Queste lettere era firmate “Maria Antonietta di Francia“.
A questo punto entrò in scena la famosa collana di diamanti. Da tempo, due gioiellieri Bohmer e Bassenge provarono a vendere alla Regina una gigantesca collana di diamanti. Maria Antonietta, ricevette a corte i gioiellieri, ma quando apprese il prezzo disse: “Grazie miei cari gioiellieri, apprezzo il fatto che abbiate pensato a me, ma al momento non posso permettermi un tale esborso di denaro“. Bisogna infatti considerare che Maria Antonietta e tutta la famiglia reale erano piombati in un vortice di critiche per le eccessive spese di corte.
I due gioiellieri però non si arresero, anche perché dopo essersi indebitati, non riuscire a vendere quella collana per loro sarebbe equivalso a finire in bancarotta. Appresero poco dopo che una certa Jeanne Valois dichiarava di essere in eccellenti rapporti di confidenza con la Regina e così le chiesero di intercedere affinché convincesse Maria Antonietta ad acquistare la collana. Jeanne Valois avendo ben compreso il valore della collana cercò di impossessarsene e tal fine ideò un piano.
Il 21 gennaio 1785 comunicò ai due gioiellieri che la Regina era disponibile all’acquisto della collana, ma che per via del costo elevato del gioiello, per non destare ulteriore preoccupazione nell’opinione pubblica, non lo avrebbe fatto apertamente, bensì tramite un intermediario. Fu il cardinale di Rohan a trattare sul prezzo della collana, che fu acquistata per 1.600.000 livres (pari a circa 500 kg d’oro) pagabili a rate. Affermando di essere stato autorizzato da Maria Antonietta, il cardinale in buona fede mostrò ai gioiellieri le condizioni dell’accordo, scritte a mano e firmate dalla Regina. L’accordo recitava che la prima rata doveva essere pagata dal cardinale contestualmente alla consegna della collana e che le successive rate sarebbero state pagate dalla Regina. Il cardinale pagò immediatamente la prima rata e poco dopo, portò la collana a casa di Jeanne Valois affinché la consegnasse a Maria Antonietta.
In casa, Jeanne Valois e suo marito Antoine-Nicolas de La Motte, in modo alquanto brutale cercarono di estrarre i diamanti dalla collana con la speranza di rivenderli. Distrussero il monile e danneggiarono anche alcuni dei diamanti. Pochi giorni dopo Antoine-Nicolas de La Motte partì per Londra portandosi dietro i diamanti nel tentativo di venderli nella capitale inglese e di non suscitare sospetti in Francia. Sua moglie, Jeanne Valois, rimase a Parigi.
Logicamente, le successive rate non furono pagate e così, dopo aver atteso qualche giorno, i due gioiellieri scrissero alla Regina, sollecitando il pagamento delle rate relative all’acquisto della collana. Maria Antonietta non rispose a quelle lettere, poiché ignorava totalmente a cosa si riferissero. L’insistenza dei due gioiellieri fu tale, che la Regina e suo marito diedero avvio alle indagini.
In breve tempo la colossale truffa emerse totalmente trascinando nel baratro i suoi responsabili. Per prima cosa, il Re, Luigi XVI convocò il cardinale Louis de Rohan chiedendogli spiegazioni. L’alto prelato a sua discolpa mostrò le lettere firmate “Maria Antonietta di Francia“. Il Re allora ricordò al cardinale che tutti sapevano che la Regina firmava le sue lettere solo con il suo nome di battesimo “Maria Antonietta” e che volutamente, non sentendosi francese, non aveva mai firmato in quel modo. Il cardinale non seppe cosa rispondere, capì in quel momento di essere stato totalmente ingannato, ma fu comunque immediatamente arrestato. Nello stesso momento, il 18 agosto 1785, a Parigi furono arrestati la spregiudicata Jeanne de-Saint-Rémy-de Luz de Valois e il suo giovane amante Rétaux de Villette, autore delle false lettere a firma della Regina. Fu arrestata anche Nicole Leguay, contessa D’Oliva, la prostituta che si era prestata a mascherarsi da Maria Antonietta.
Fu istituito un processo in seguito al quale Rétaux de Villette fu ritenuto colpevole di falsificazione di documenti. Fu condannato ai lavori forzati ed espiata la pena, all’esilio perpetuo dalla Francia. Emigrò in Svizzera dove scrisse un suo memoriale dello scandalo e dove morì in seguito ad una malattia.
La prostituta Nicole Leguay e il cardinale Louis de Rohan furono assolti poiché furono ritenuti vittime dell’inganno orchestrato da Jeanne Valois.
Jeanne de-Saint-Rémy-de Luz de Valois e suo marito Antoine-Nicolas de La Motte furono condannati come ideatori della truffa. Antoine-Nicolas de La Motte fu condannato in contumacia poiché era rimasto in Inghilterra, Jeanne Valois fu condannata alla fustigazione e ad essere marchiata a fuoco con la lettera “V”, dalla parola “voleur” che in francese significa “ladro”. Fu marchiata sulla spalla e sul seno, e poi fu rinchiusa nella prigione delle prostitute e manicomio, la Salpêtrière.
Molta gente continuò a pensare che la Regina avesse usato Jeanne Valois per soddisfare il suo odio verso il cardinale de Rohan. La delusione che Maria Antonietta manifestò per l’assoluzione dell’uomo e il fatto che egli, dopo aver perso le sue cariche, fu esiliato nell’abbazia di la Chaise-Dieu contribuirono a rafforzare questa idea. Jeanne Valois riuscì inoltre a scappare dalla Salpêtrière e fuggì a Londra, e questo creò il sospetto che la Corte l’avesse aiutata; l’assoluzione del cardinale de Rohan spinse molti a credere che la Regina fosse in torto. Tutto ciò contribuì molto ad accrescere l’impopolarità di Maria Antonietta.
Lo scandalo della collana di diamanti ebbe un ruolo importante negli anni che precedettero la Rivoluzione, perché contribuì a screditare la monarchia francese. Maria Antonietta era una figura impopolare, e i pettegolezzi salaci sul suo conto la resero più che un peso alla figura del marito. Non riuscì mai a scrollarsi di dosso l’immagine di una donna che era stata capace di perpetrare una frode multimilionaria per i suoi scopi politici. Il fatto che circolassero voci sulla sua vita sessuale e su tali beghe riguardanti gioielli non la avvicinò certo al popolo. Inoltre lo scandalo spinse Luigi XVI ad avvicinarsi alla moglie, il che non lo aiutò a risolvere i successivi dilemmi politici.
FONTE:http://www.madrerussia.com/laffare-della-collana-di-maria-antonietta/
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