RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 2 MAGGIO 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Dovunque e comunque si manifesti l’eccellenza,
subito la generale mediocrità si allea e congiura per soffocarla.
(Schopenhauer) in: tiasa, aorismi sulla stupidità umana, Barbera, 2010, pag. 40
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SOMMARIO
Il piagnisteo degli evasori
I calcoli del Comitato tecnico scientifico che hanno convinto Conte a farci restare a casa forse sono sbagliati
Come funziona la società che ha inventato l’app Immuni
Dagli arresti domiciliari alla libertà vigilata?
Addio Disney Channel: lo storico canale non esiste più
Vittorio Colao, l’uomo che decide come riaprire l’Italia vive a Londra
Fase 2, il report di Vittorio Colao per Conte: “Bisogna predisporre la popolazione”
Coronavirus e diritti: chi controlla l’eccezione
La dottrina militare iraniana: la guerra ibrida di Tehran
AGAMBEN, IL CORONAVIRUS E LO STATO DI ECCEZIONE
Arrivano gli investigatori anti Covid, come in una serie tv
Il Coronavirus ha smascherato i giornali di regime
Una bugia è una tragedia, 151mila bugie non sono statistica, sono propaganda del governo Conte
Coronavirus. L’Oms vuole “deportare” i vostri familiari infetti entrando con la forza nelle vostre case? No!
Quanto vale la vita di un anziano? L’incubo del triage
Cosa significa per l’Italia il potenziamento del Golden Power
CORONAVIRUS IN PARROCCHIA DON BIANCALANI: IMMIGRATI POSITIVI
Propaganda
Coronavirus, Cina dona altri 30 milioni di dollari all’Oms
L’allarme di Mattarella: comunicazioni più chiare e stop decreti a raffica
Tutte le elezioni rinviate a causa del coronavirus
C’E’ LA CURA PER IL CORONAVIRUS, MA VIENE CENSURATA DALL’OMS, DAL GOVERNO, DAI GIORNALONI E DAI MEDIA?
La strage di Odessa, 2 maggio 2014
STORIA DEL DOTTOR WU E DELL’EPIDEMIA DEL 1911 IN MANCIURIA
EDITORIALE
Il piagnisteo degli evasori
Manlio Lo Presti – 2 maggio 2020
http://dizionario.org/d/index.php?pageurl=piagnisteo
L’epidemia, dai numerosi contorni oscuri che presto saranno scoperti, sta creando problemi alle economie nazionali di tutto il mondo. Ha alterato gli equilibri mondiali, sta rafforzando le nazioni più forti, sta eliminando i diritti sociali faticosamente conquistati e infine lo stato assistenziale.
Il successo e la diffusione del telelavoro, che fa lavorare di più a parità di bassissima retribuzione, sta soppiantando il lavoro reale dove avremo – solo in Italia – milioni di espulsioni dalle aziende italiane e decine di milioni in Europa dove già ci sono 80 milioni di disoccupati.
Sarà la premessa per la creazione di un caporalato tecnotronico diffuso pagato a cottimo, assolutamente precario, impersonale, liquido, volatile, in gran parte infedele. Una regolamentazione di questo mondo selvaggio sarà l’immediato obiettivo dei sindacati, pena la loro estinzione in favore – forse – di altri possibili modelli di rappresentanza.
Il caos epidemico ha evidenziato la fragilità e le debolezze produttive del sistema economico italiano. Si tratta di inefficienze che hanno radici antiche e certificate dalle Relazioni finali dei governatori della Banca d’Italia dal dopoguerra ad oggi.
La musica dei governatori è sempre la stessa:
- Investimenti in infrastrutture – strade, trasporti;
- Investimenti di parte degli utili nell’ammodernamento tecnico delle aziende perché SIANO CAPACI DI COMPETERE CON TECNOLOGIE ADEGUATE;
- Semplificazione delle strutture statali con fusione di comuni molto piccoli contigui, eliminazione delle amministrazioni provinciali, fusione di regioni, eliminazione del parastato, cioè di oltre novemila enti inutili che costa 12 miliardi di euro l’anno. Un punto quest’ultimo che nessuno, ripeto NESSUNO dei partiti affronta seriamente perché costituisce un ricco paracadute per i politici trombati e per i loro sodali;
- Sfoltimento dell’intero corpus normativo comprendente oltre 300.000 leggi e regolamenti. L’utilizzo di un linguaggio giuridico lineare e privo di ambiguità. La produzione di norme dirette e senza le “eccezioni” che ne limitano l’applicazione o le rendono dubbie ingigantendo un contenzioso legale ormai fuori controllo. Importante la eliminazione di neologismi pseudo-anglosassoni che aumentano le ambiguità, oltre che essere un segno di servilismo e provincialismo culturale miserabile. L’invasione di termini esteri, spesso errati, ha assunto proporzioni tali da interessare sempre più i servizi segreti come area di emergenza nazionale;
- Unificazione delle sette forze di polizia centrali e periferiche aventi ciascuna proprie gerarchie, bilanci, strutture territoriali sovrapposte, servizi segreti propri spesso in conflitto con gli altri, in un’unica forza nazionale, con eliminazione di immensi costi di struttura moltiplicati per sette;
- Diminuzione della percussione fiscale che sta oltrepassando il 55% del reddito annuale guadagnato. Cioè ogni cittadino lavora almeno 5 mesi l’anno per pagare le imposte!!! L’alleggerimento fiscale sarebbe possibile con lo snellimento della struttura burocratica dello Stato centrale e periferica. Strutture più agili con un personale orientato alla cultura del SERVIZIO, con cittadini che non sono più dei nemici giurati, ma sono quelli che pagano questi servizi e i loro stipendi con le proprie tasse. LA CULTURA DEL “SERVIZIO” E NON DEL PRIVILEGIO FEUDALE, APPUNTO! E POI, SI SMETTA UNA VOLTA PER TUTTE DI CHIAMARE I CITTADINI “SOGGETTI” ENFATIZZANDONE LA SOTTOMISSIONE E NON IL LORO LIBERO CONTRIBUTO LAVORATIVO, SOCIALE E CULTURALE;
- Recupero sistematico della gigantesca evasione fiscale di oltre 100 miliardi di euro (1) di cui solo la metà risolverebbe molti problemi senza dire grazie a nessuno! Per un recupero di gran parte della somma si potrebbero utilizzare i nostri servizi segreti e l’esercito che i politici non hanno esitato ad usare contro la popolazione italiana con droni, braccialetti, dispositivi RFID sottopelle, e ora anche la app di tracciamento sui cellulari personali. Tutte diavolerie che avrebbero fatto meglio ad impiegare contro la immigrazione selvaggia delle RISORSE-INPS controllando le nostre coste anche dalle postazioni satellitari della NATO, della NSA, di ECHELON ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc.
TUTTO CIO PREMESSO
Purtroppo, va detto, senza infingimenti, che la cultura del piagnisteo italico (chiagne e fotte) costituisce un endemico e ignobile costume di molti imprenditori, commercianti e professionisti che in questi anni hanno alacremente evaso il fisco spostando i soldi nei paradisi di oltremare, in Svizzera, in Olanda, a San Marino, Liechtenstein, Wallis e Futuna, Tonga ecc. ecc. ecc. Guai ad investirli opportunamente nella propria azienda o attività per rafforzarla! Meglio dichiarare profitti inferiori al proprio impiegato di più basso livello. Il problema dei profitti dei puffi sorge in sede di richiesta di linee di credito che sono determinate in proporzione ai proventi dell’azienda, come ben sanno i cosiddetti esperti finanziari aziendali o consulenti o commercialisti. Allora scatta puntuale da parte delle associazioni di categoria e dei consumatori la ricorsiva campagna d’odio contro le banche che hanno la sfacciataggine di chiedere garanzie a fronte di una società con capitali versati al minimo di legge e dichiaranti profitti lillipuziani: se all’azienda non ci crede l’imprenditore, ci deve credere la banca?
Ecco sul piatto la titanica e pervasiva ipocrisia degli operatori economici e finanziari del nostro Paese. Tutti sono a conoscenza della ciclopica evasione di oltre 100.000.000.000 di euro riciclati, spezzettati, lavati, inviati mediante centinaia di bonifici su rete Swift e perfino via bitcoin e/o blockchain…
Intanto, i CITTADINI italiani, che vivono di lavoro dipendente, sono taglieggiati fino all’ultimo centesimo della tassazione che li colpisce! Loro non possono evadere!
Tale disparità di trattamento da tempo ha creato conflitti sociali, risse politiche.
Ma abbiamo tanto fumo e nessuna soluzione perché in questo sistema ci stanno bene tutti, soprattutto quelli che piangono miseria. Sarebbe da smascherare questo atteggiamento che con abilità rapidissima e felina riesce ad intercettare ogni occasione per spillare danaro altrove, meglio se statale, pensando erroneamente che sia una operazione gratuita. Il rimborso? Ci si pensa poi in attesa di sfangarla con l’ennesimo condono-ravvedimento-operoso-con-sconto.
In caso di insorgenti difficoltà, nel frattempo, si può anche pensare alla opzione “FALLIMENTO PILOTATO” dopo aver nominato un amministratore di oltre 70 anni di età non carcerabile!
I segnali di una sana amministrazione aziendale, imprenditoriale, artigianale, sono:
- Reinvestimento di buona parte degli utili nel capitale aziendale e nell’aggiornamento tecnologico;
- Accantonamento di utili per affrontare senza grandi difficoltà né il rischio di fallire, i periodi negativi.
Non è onestamente credibile la narrazione prevalente secondo la quale
- da una parte, l’Italia è il 4° o 5° Paese più industrializzato del mondo e
- dall’altra, che abbia il 90% di produttori marginali che crollano al primo scossone congiunturale, stante una crisi economica mondiale presente da oltre dodici anni!!!
QUALCOSA NON QUADRA. ANZI, TUTTO!
Non è inoltre credibile che una economia concorrenziale con forti quote di export non abbia preventivamente creato opportuni accantonamenti, mostrando di essere una struttura di cartone e questa “epidemia” ne ha mostrato gli aspetti più deleteri risultanti da atteggiamenti poco imprenditoriali basati sull’assistenza parassitaria di turno piuttosto che su una programmazione operativa di medio e lungo periodo.
P.Q.M.
Sono cosciente di aver scritto cose spiacevoli di cui pochi parlano.
Bisogna fare i conti con la realtà, anche con riflessioni antipatiche e senza nascondersi dietro le solite ipocrisie e le geremiadi.
Moltissime aziende oggi sono nei guai perché prive di una programmazione e prive di investimenti innovativi con utili non esportati all’etero! L’Italia potrebbe farcela da sola senza consentire a questa gang di politici serial killers di consegnare per tre soldi l’Italia all’asse infernale anglo-franco-tedesca!
E se un giorno ci svegliassimo con una mentalità meno ipocrita, cinica ed egoistica, con un recupero di dignità più operativa e costruttiva?
Non dovrebbe essere un sogno ma “solida realtà” (cit.)
NOTE
1) https://quifinanza.it/fisco-tasse/evasione-fiscale-100-miliardi-tasse-italiani-non-pagano/304819/
IN EVIDENZA
I calcoli del Comitato tecnico scientifico che hanno convinto Conte a farci restare a casa forse sono sbagliati
Secondo l’analisi statistico-matematica di Carisma, per raggiungere il picco di 150mila pazienti in terapia intensiva, come detto dagli esperti del governo, dovrebbero esserci 150 milioni di italiani con più di 20 anni. Ma siamo in tutto 60 milioni
Il documento allarmante del Comitato tecnico scientifico, quello che avrebbe frenato la fase 2 ipotizzando il rischio di 151mila pazienti in terapia intensiva nel caso una ripartenza totale, sarebbe sbagliato. O quantomeno conterrebbe un grave errore di calcolo. Tant’è che, date le ipotesi considerate, si arriverebbe a conteggiare una popolazione di 260 e non di 60 milioni di cittadini come quella italiana. A dirlo è un’analisi fatta dalla holding Carisma presieduta da Giovanni Cagnoli, secondo cui in 45 dei 46 scenari esaminati dal Comitato le previsioni di picco della terapia intensiva sarebbero invece ben inferiori alla capacità nazionale di circa 9mila posti. E quindi molto lontane dai 151mila del risultato finale.
Il problema del documento, dicono, è di tipo statistico-matematico. Nel testo si ipotizza un tasso di letalità dei contagi (Ifr) pari allo 0,657%, arrivando poi a calcolare la probabilità per età che ogni infezione necessiti di terapia intensiva.
Pertanto, calcolando il numero di decessi ufficiali (8.311) in Lombardia al momento del picco della terapia intensiva, il 3 aprile, si arriva 1.385.000 contagiati. Ora, poiché i casi di terapia intensiva in Lombardia al momento del picco sono stati 1.381, si desume quindi che l’incidenza tra casi di terapia intensiva e infezione sarebbe mediamente dello 0,1%. Si presuppone quindi un’incidenza per fascia di età che, anche se stimata a zero fino a 60 anni di età, arriverebbe a circa 0,3% mediamente oltre i 60 anni di età.
Nel grafico presentato subito dopo però, quello da cui deriva lo stop alla ripartenza, questa incidenza oscilla tra 1% e 6% (mediamente 3,5%) con un errore di almeno dieci volte. Anche ipotizzando che il fabbisogno di letti terapia intensiva in Lombardia sia stato 2.000 e non 1.381 l’errore resta superiore a 6 volte.
Ecco che con lo scenario A, cioè quello di una totale apertura, nelle ipotesi del comitato tecnico scientifico si arriva a 151.231 casi di terapia intensiva l’8 giugno e oltre 440mila casi totali cumulati al 31 dicembre.
Applicando l’incidenza della terapia intensiva calcolata sulla Lombardia, si arriverebbe quindi a sostenere che esisterebbero in Italia 150 milioni di cittadini con età superiore ai 20 anni, perché come noto sotto questa età l’incidenza della terapia intensiva è trascurabile. Ci sarebbero insomma oltre 100 milioni di connazionali circa in più di quelli reali.
Calcolando poi il dato complessivo al 31 dicembre e stimando che le persone che sono state in terapia intensiva in Lombardia siano finora circa 3.500 in totale con una incidenza di 0,17% sul totale casi nella regione, si arriva a una stima di popolazione italiana di 260 milioni di abitanti. Anche in questo caso ci sarebbero 200 milioni di italiani ignoti. Qualcosa non torna. Nel modello sviluppato dal Comitato «apparentemente tutte gli scenari conseguenti sono coerenti con quello che dalla lettura attenta appare un errore di calcolo», scrivono da Carisma.
Conclusione: «Anche accettando quelli che appaiono errori di calcolo – scrivono – notiamo che il modello in 45 dei 46 scenari esaminati conclude che le previsioni di picco della terapia intensiva sono significativamente inferiori alla capacità nazionale (circa 9.000 posti)». Salvo poi raccomandare uno scenario di apertura molto lento, come quello comunicato dal governo il 26 aprile.
FONTE:https://www.linkiesta.it/2020/04/documento-comitato-tecnico-scientifico-errore-calcolo/
Come funziona la società che ha inventato l’app Immuni
1 MAGGIO 2020
Soci noti, donazioni benefiche, riferimenti culturali pop. Matteo Danieli, cofondatore e chief product officer, assicura: «Non abbiamo mai venduto i dati degli utenti a nessuno, né intendiamo farlo»
Una policy aziendale rigida che privilegia l’assunzione di dipendenti sotto i 35 anni. Una strategia, meglio nota agli interni come “operazione Fring” – dal nome del personaggio di “Breaking Bad” Gustavo Fring – con donazioni a enti e onlus benefiche per creare un’immagine positiva dell’azienda. Soci di primo piano come la H14 dei Berlusconi, la holding di investimenti Nuo Capital, che opera con capitali cinesi, e la Tip di Giovanni Tamburi. E una costellazione di società controllate per moltiplicare la diffusione e la vendita di app più o meno simili.
Tutto questo ha permesso alla giovane Bending Spoons (nome che si ispira al film “Matrix”) di scalare l’App Store in meno di sette anni. Fino a essere scelta, tra oltre 300 proposte arrivate al ministero dell’Innovazione, per lo sviluppo della app anti-contagio “Immuni” destinata al tracciamento dei contatti nella fase 2.
Dal quartier generale di Corso Como, a Milano, i quattro soci trentenni della software house si sono fatti largo in questi anni avviando una “produzione” massiccia di app a pagamento, dai quiz al fitness, dal fotoritocco al boost dei follower di Instagram, gestendo una mole di dati personali.
Un modello che ha portato a 90 milioni di ricavi nel 2019, il doppio dell’anno prima. Con una costante: una cura quasi maniacale della brand strategy, tra i feedback dei dipendenti che gli hanno fatto guadagnare per il secondo anno di fila il riconoscimento di “Great Place to Work”, e le donazioni regolari in beneficenza di quella che in azienda è conosciuta come “operazione Fring”. L’ultima, di 1 milione di euro, fatta alla Protezione civile il 12 marzo scorso, a pochi giorni dal lancio del bando del ministero dell’Innovazione per la scelta della società a cui affidare l’app anti-Covid.
Da Bending Spoons hanno da sempre escluso ogni legame tra i due eventi, rassicurando che non sarà la società il soggetto adibito al trattamento dei dati sensibili degli italiani. Ma sull’azienda ha messo gli occhi anche il Copasir, che ora vuole fare chiarezza sui criteri di scelta della app (il 5 maggio saranno in audizione Arcuri e Pisano), sulla architettura societaria, vista presenza dei capitali cinesi, e sulla la gestione dell’applicazione. Soprattutto sul fronte del trattamento dati personali.
«Non abbiamo mai venduto i dati degli utenti a nessuno, né intendiamo farlo», assicura Matteo Danieli, cofondatore e chief product officer della software house milanese. «Il 98% dei nostri ricavi deriva dagli acquisti effettuati direttamente dagli utenti. Il restante 2% da pubblicità».
Bending Spoons avrà accesso ai dati degli utenti con Immuni?
No. Noi ci limitiamo a contribuire al design e allo sviluppo del software. Il progetto fa capo al Commissario straordinario e alla Presidenza del Consiglio dei ministri. I dati saranno sotto il controllo di un ente pubblico, come già ripetutamente dichiarato dal governo. Ci teniamo a ripetere che abbiamo contribuito e contribuiremo al progetto in modo totalmente gratuito, senza scopo di lucro alcuno (anzi, perdendoci pure, viste le notevoli risorse che abbiamo dedicato e continuiamo a dedicare), mossi unicamente dalla volontà di aiutare il nostro Paese in un momento di difficoltà.
Da quando la nostra soluzione è stata selezionata, siamo stati attaccati su più fronti in un modo che non avremmo mai potuto immaginare. Questi attacchi che stiamo ricevendo dopo aver fatto un passo avanti ed esserci messi a disposizione dell’Italia con spirito di solidarietà non incentivano noi né altri a venire in aiuto del Paese in futuro, e questo è un peccato.
Nel 2017, quando Apple modificò le sue direttive, rimuovendo le app create da Bending Spoons per guadagnare follower ed esposizione su Instagram, la società però creò un sito per offrire lo stesso servizio. Ma questa volta i dati erano nel pieno possesso di Bending Spoons. Come sono stati gestiti?
Va sottolineato che Apple rimosse non solo le nostre app, ma tutte quelle di quel tipo, incluse le app di centinaia di altri sviluppatori. Noi avevamo sempre rispettato il regolare processo di approvazione delle app da parte di Apple. In ogni caso non critichiamo assolutamente Apple per questo – l’App Store è una piattaforma complessa ed è naturale che le regole evolvano nel tempo. Sta agli sviluppatori (inclusi noi) adeguarsi.
Il sito a cui si riferisce ha avuto un ruolo estremamente marginale nella nostra storia aziendale. Il sito non chiedeva le credenziali Instagram dell’utente per offrire il proprio servizio. Chiedeva solo il nome utente, che è un’informazione pubblicamente disponibile su Instagram stesso. I dati che venivano raccolti venivano usati per fornire (e migliorare nel tempo) il servizio stesso e, in parte, per fare attività di marketing molto standard. Abbiamo cancellato tutti i dati raccolti dal sito tempo addietro.
Anche nel caso di Live Quiz, una delle vostre app di punta, per la distribuzione dei premi la società raccoglie però i dati degli utenti.
I dati raccolti per consentire il pagamento e l’invio dei buoni Amazon sono dettati da requisiti di legge per i giochi a premi o dal regolamento del concorso, o necessari per evitare frodi. Li usiamo unicamente a quello scopo, senza monetizzazioni di alcun tipo. L’utilizzo dei dati degli utenti di Live Quiz è descritto trasparentemente nella privacy policy del prodotto e comunque, voglio sottolinearlo ulteriormente, non vendiamo nessun dato – e lo stesso vale anche per tutte le altre nostre app.
Abbiamo curato gli aspetti di privacy di Live Quiz con alcuni dei migliori esperti di Gdpr, facendo del nostro meglio per creare un prodotto che oltre che essere gratuito e divertente per gli utenti, ne rispetti appieno il diritto alla privacy. Per esempio, mandiamo email commerciali solo agli utenti che ci danno attivamente il consenso. A differenza di quanto molti pensano, Live Quiz fino a oggi è stato un progetto in perdita, e infatti abbiamo più volte considerato di chiuderlo. L’unico motivo per cui non l’abbiamo fatto è che gli utenti lo amano.
Avete mai venduto i dati degli utenti?
Non abbiamo mai venduto i dati degli utenti, in nessun caso. Su tutte le nostre app, i nostri ricavi sono sempre derivati dai pagamenti effettuati dai nostri utenti per il servizio erogato e, in misura davvero minima (sempre inferiore al 2% del fatturato), da pubblicità mostrata agli utenti. E poi da noi lavorano professionisti di livello internazionale, che potrebbero lavorare ovunque – non sarebbero qui se non fossero fieri dell’azienda e allineati dal punto di vista valoriale.
Come gestite la mole di dati che convergono nelle app che sviluppate?
Fornire una lista esaustiva delle misure che abbiamo implementato per proteggere i dati degli utenti richiederebbe una discussione molto più ampia. Iniziamo col dire che siamo orgogliosi del livello di protezione dei dati raggiunto oggi da Bending Spoons, specialmente considerando che la società esiste da appena sette anni e abbiamo solo 150 collaboratori. Abbiamo investito davvero molto – milioni di euro – per eccellere da questo punto di vista, fra le altre cose facendoci supportare da alcuni dei migliori professionisti del settore.
Nel 2019 abbiamo anche ingaggiato diverse aziende specializzate per fare penetration test su alcune delle nostre app principali, test che abbiamo passato a pieni voti. Ciò detto, sappiamo di non essere “nati imparati”. Come startup, per diversi anni, non avevamo né le competenze né le risorse per fare tutto alla perfezione. Ma sono anni che investiamo nella protezione dei dati e certamente non lo avremmo fatto se non reputassimo importante questo aspetto del nostro servizio agli utenti.
Perché Bending Spoons usava diffondere app molto simili tramite società diverse controllate con diversi intestatari ma riconducibili alla casa madre? È una prassi largamente contrastata da Apple e Google.
In primis ci tengo a sottolineare che con Apple abbiamo da anni un rapporto eccellente, di vera partnership. Su Google Play invece non abbiamo lavorato quasi per niente, anche se stiamo iniziando a investire per sviluppare una presenza significativa anche lì.
Non mettevamo in commercio le stesse app, ma è vero che avevamo diverse app simili. Circa sei anni fa scoprimmo che acquisire app popolari di sviluppatori terzi e valorizzarle al meglio poteva essere una strategia vincente sull’App Store. Decidemmo di focalizzarci su categorie che conoscevamo bene, finendo per avere diverse app che fornivano più o meno lo stesso servizio, pur offrendo interfacce (e spesso esperienze) utente anche abbastanza diverse tra loro. Un po’ come avere una mini catena di pizzerie, per capirci.
Questa strategia era un vantaggio competitivo fondamentale per noi (non lo è più da tempo, ora il nostro business si basa su poche app di punta) e non volevamo che i nostri concorrenti o altre terze parti avessero visibilità su di essa, per evitare possibili danni all’azienda. Da lì la scelta di pubblicare le app da diversi account sull’App Store.
A scanso di equivoci, con gli utenti siamo sempre stati trasparenti sul servizio erogato e in molti casi le nostre app erano fra le migliori nella loro categoria, con conseguente entusiasmo di chi le usava. Ma c’è anche un altro motivo per l’utilizzo di vari account e società: alcune delle app che acquisivamo non potevano essere trasferite ai nostri account esistenti per limiti tecnici, ad oggi non ancora superati dall’App Store, ed eravamo pertanto costretti a tenerle sull’account dello sviluppatore originale. Abbiamo discusso di questo limite con Apple diverse volte, l’ultima recentemente, e sappiamo che ci stanno lavorando.
All’inizio dell’anno avete presentato un’offerta da 260 milioni di dollari per l’acquisto di Grindr. Com’è andata?
Non posso esprimermi riguardo all’importo, ma comunque l’offerta non fu accettata. È un peccato, perché avevamo dei piani ambiziosi per migliorare l’app, che è usata da milioni di persone in tutto il mondo. Per quanto ne sappiamo, l’offerta vincente è al momento al vaglio delle autorità statunitensi e la transazione potrebbe diventare ufficiale nelle prossime settimane
In conclusione, tra le fonti di ricavi di Bending Spoons, quindi, non c’è la vendita di dati?
Assolutamente no. Il 98% dei nostri ricavi deriva dagli acquisti effettuati direttamente dagli utenti. Il restante 2% da pubblicità. Nel complesso, le nostre app sono state scaricate più di 200 milioni di volte in tutto il mondo e non abbiamo mai venduto i dati degli utenti a nessuno, né intendiamo farlo.
FONTE:https://www.linkiesta.it/2020/05/come-funziona-app-immuni-bending-spoons/
Dagli arresti domiciliari alla libertà vigilata?
1 MAGGIO 2020
Articolo a firma di Paolo Becchi e Giuseppe Palma su Libero di oggi, 1° maggio 2020 (purtroppo, per un mero disguido tecnico, sull’edizione cartacea di Libero è pubblicata una versione antecedente del pezzo rispetto a quella qui di seguito riportata):
Nella notte di ieri – sì ormai le decisioni vengono prese di notte, sperando di passare inosservate – il Consiglio dei ministri ha adottato un nuovo decreto-legge. Oltre a disciplinare la materia delle intercettazioni, rinviando da a settembre l’introduzione delle nuove norme volute dal ministro della giustizia Bonafede, interviene anche in materia di tracciabilità delle persone per contenere il rischio da Covid19, nello specifico prevedendo la creazione – presso il Ministero della Salute – di una “piattaforma per il tracciamento dei contatti stretti tra i soggetti che installino, su base volontaria, un’apposita applicazione per dispositivi di telefonia mobile”.
Ieri mattina, nelle dichiarazioni rese al Parlamento, Conte ha parlato di un sistema di tracciabilità del tutto volontario e senza conseguenze per chi non intendesse scaricare questa nuova applicazione sul telefonino.
Il governo è dunque intervenuto ora con un decreto-legge, ma la procedura di attivazione ha avuto inizio con una semplice ordinanza, la n. 10/2020 del 16 aprile, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, con la quale la Presidenza del Consiglio – nella persona del commissario straordinario per l’emergenza epidemiologica Covid-19 Domenico Arcuri – ha disposto “di procedere alla stipula del contratto di concessione gratuita della licenza d’uso sul software di contact tracing e di appalto di servizio gratuito con la società Bending Spoons SpA”. Cosa vuol dire? Vuol dire autorizzare un sistema di tracciamento digitale, per conoscere nella “Fase2” gli spostamenti dei cittadini e individuare – forse – eventuali contagiati. Questo poteva aver un senso in situazioni limitate per contenere l’estensione del contagio, come hanno fatto in Corea del Sud, dunque per evitare il “tutti a casa”, ma farlo ora che il virus è sotto controllo e i contagi sono in diminuzione ha un altro significato. Significa cioè mettere in atto una tecnologia governativa di sorveglianza di massa. Una tecnologia alla cui base sta una filosofia ben precisa: quella dello “Stato di polizia”.
In pratica gli italiani saranno sorvegliati speciali fino alla fine dell’emergenza, e chissà per quanto tempo ancora. E poi perché non mantenerla anche dopo, in fondo ci saremo abituati ad esser spiati, ed è sempre utile al potere sapere cosa facciamo e con chi siamo. Poco importa che sia volontaria, anche la schiavitù può essere volontaria.
È corretto ciò che sta facendo il governo?
L’art. 13 della Costituzione non consente alcuna limitazione della libertà personale se non “per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”. Si tratta di quei reati per cui è prevista la misura cautelare ovvero la detenzione a seguito di sentenza passata in giudicato. L’autorità giudiziaria può dunque disporre la limitazione della libertà del cittadino solo con sentenza non più impugnabile (a seguito di regolare processo) oppure nel caso in cui – prima della chiusura delle indagini preliminari – sussista uno dei presupposti tassativamente previsti dalla legge per applicare la misura cautelare: carcere, arresti domiciliari, obbligo di firma o sistemi elettronici di controllo come ad esempio il braccialetto. E le esigenze cautelari sono solo quelle determinate dal codice di procedura penale: pericolo di fuga, pericolo di inquinamento delle prove e pericolo di reiterazione del reato. Se non sussiste almeno uno di questi elementi nessun giudice può disporre la misura cautelare, cioè la restrizione provvisoria della libertà personale. Non esistono dunque altre situazioni che consentano allo Stato la limitazione della libertà degli individui, se non quanto sinora premesso e quei casi specifici previsti dal codice di procedura penale in cui le forze dell’ordine possono procedere all’arresto in flagranza di reato (persone ad esempio beccate sul fatto a rubare), occorrendo in ogni caso la convalida all’arresto da parte del giudice entro e non oltre le quarantotto ore dalla comunicazione, pena l’inefficacia dell’arresto (art. 13, terzo comma, Cost.). Stop.
La Costituzione non prevede altre tipologie di limitazione alla libertà personale. Il fatto che un’ordinanza della Presidenza del Consiglio disponga di procedere alla stipula di un contratto, peraltro con una società per azioni, allo scopo di tracciare gli spostamenti dei cittadini, è da “Stato di polizia”. Certo, si dirà, questa decisione è ora coperta da un decreto-legge, non più quindi da un mero atto amministrativo.
L’adozione di un decreto-legge è tuttavia consentita, ai sensi dell’art. 77 della Costituzione, solo “in casi straordinari di necessità e d’urgenza”. Aveva un senso il primo decreto-legge, quello del 23 febbraio, all’aumento esponenziale dei contagi con l’assenza di un numero sufficiente di respiratori polmonari negli ospedali. Lì, in effetti, occorreva intervenire immediatamente. Ma adesso il numero di persone in terapia intensiva è calato notevolmente (circa milleottocento persone rispetto al picco delle quattromila di marzo), quindi per poter intervenire nella limitazione della libertà personale (sia pure volontaria) – per cui è prevista la “riserva di legge assoluta” di cui all’art. 13 Cost. – l’adozione del decreto-legge non è più giustificata, è un abuso di potere da parte dell’esecutivo. Occorreva dunque una legge ordinaria, con la procedura normale di partecipazione del Parlamento nella formazione delle disposizioni legislative. Col decreto-legge, in buona sostanza, le Camere si limiteranno a convertirlo in legge, magari con la fiducia, quindi senza modifiche. L’ennesima forzatura costituzionale di Conte, che dall’uso illegittimo dei Dpcm passa ora al decreto-legge in assenza dei requisiti costituzionali.
Di fronte a questo scempio, a difesa della Costituzione e contro Conte sono scesi in campo addirittura alcuni giudici (attuali ed ex) della Corte costituzionale, mentre il Presidente della Repubblica ha offerto la sua copertura. Forse il Colle intendeva solo impedire la delegittimazione del governo in un periodo di crisi; fatto sta che in questo modo Conte potrà controllare e limitare ulteriormente le nostre libertà garantite dalla Costituzione, con l’ aiuto di chi invece doveva essere il “custode della Costituzione”.
di Paolo Becchi e Giuseppe Palma
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Consigli letterari:
di Paolo Becchi e Giuseppe Palma, “DEMOCRAZIA IN QUARANTENA. Come un virus ha travolto il Paese“, Historica edizioni, QUI per l’acquisto: http://www.historicaedizioni.com/libri/democrazia-in-quarantena/
FONTE:https://scenarieconomici.it/dagli-arresti-domiciliari-alla-liberta-vigilata-di-p-becchi-e-g-palma-su-libero-di-oggi/
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
Addio Disney Channel: lo storico canale non esiste più
Nato nel 1998, Disney Channel ha permesso al pubblico italiano di seguire serie tv come Hanna Montana, Lizzie McGuire e High School Musical.
Dal 1 maggio 2020 Disney Channel non è più disponibile su Sky: i film e le serie tv saranno disponibili in streaming su Disney+
Con l’arrivo di Disney+ in Italia, il canale Disney Channel aveva ormai le ore contate ed infatti quest’oggi ci ritroviamo a dire addio all’emittente che ha accompagnato l’infanzia e l’adolescenza di milioni di persone nel mondo.
Ecco dunque spigato il motivo per cui su Twitter Disney Channel è in cima nei trending topics e le bacheche di molti sono invasi di messaggi malinconici e meme che testimoniano quanto affetto sia stato riservato, nel corso di oltre vent’anni, a questo canale.
A fare impressione, per certi versi, è la pagina Wikipedia che da oggi esordisce con “Disney Channel è stato un canale televiso dedicato ai ragazzi e alle famiglie“: una coniugazione al passato che rende ancora più amaro l’addio.
Lizzie McGuire: Terri Minsky torna a lavorare al revival della serie Disney
Dal 3 ottobre 1998 il canale ha fatto divertire ed emozionare il suo pubblico con fortunate serie tv come Lizzie McGuire, Hanna Montana, High School Musical, Raven e tantissimi altri contenuti che, in ogni caso, avremo modo di rivedere attraverso la piattaforma streaming Disney+.
A partire dal 1998, Disney Channel entrò a far parte della piattaforma satellitare TELE+ e poi, dopo la diffusione di quest’ultima con Stream, passò su Sky Italia nel pacchetto Cinema o Option, per poi passare al pacchetto Mondo.
FONTE:https://www.cinematographe.it/serie-tv/addio-disney-channel-canale-non-esiste-piu-film-serie-tv-plus/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Vittorio Colao, l’uomo che decide come riaprire l’Italia vive a Londra: “Perderei tempo con la quarantena”
30 APRILE 2020
Il capo della task force per la Fase 2 Vittorio Colao gestisce tutto vivendo a Londra. Lo ha ammesso lo stesso supermanager al Corriere della Sera, suscitando le ironie e lo stupore di molti. Se tornasse in patria, ha spiegato, dovrebbe stare due settimane in quarantena: “Perderei tempo“. Anche se sfugge la differenza tra chiudersi in casa a Roma e farlo, invece, nella capitale inglese. Non sfugge, invece, la difficoltà per Colao di relazionarsi in maniera più diretta con le categorie che stanno vivendo sulla propria pelle le difficoltà dell’isolamento e il rischio di non riaprire mai più.
A titolo di esempio, ecco cosa pensa di Colao Salvatore Castelluccio, parrucchiere napoletano che in passato ha combattuto contro la camorra: “A noi parrucchieri lo Stato ha dato 3 opzioni: indebitarci, fare la fame o suicidarci – ha accusato a Radio Cusano Campus -. Stare 3-4 mesi chiusi significa poi riaprire un negozio con i debiti. Hanno preso questo scienziato Colao che fa le regole, ma secondo me non va bene perché ci vuole un addetto del settore. Uno come Colao che ne sa dei parrucchieri, dei salumieri? Il problema è che Conte non è un imprenditore, ragiona in un altro modo, secondo me deve tornare a fare l’avvocato”
FONTE:https://www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/22322752/vittorio_colao_capo_task_force_fase_2_vive_londra_motivo_non_ritorna_italia_quarantena_tempo_perso.html
BELPAESE DA SALVARE
Fase 2, il report di Vittorio Colao per Conte: “Bisogna predisporre la popolazione”. Nuovo lockdown, nero su bianco
La seconda ondata dell’epidemia di coronavirus potrebbe arrivare molto prima di autunno, come pronosticato da molti esperti. Il documento della task force guidata da Vittorio Colao consegnato al premier Giuseppe Conte e visionato dal Tempo avverte sull’alto rischio di “ricadute” legato all’inizio della Fase 2. Per questo, dal 4 maggio con le caute riaperture di attività e spostamenti ci sarà un “monitoraggio giornaliero, da parte delle Regioni, di due parametri: il peggioramento della situazione dell’epidemia secondo i criteri del comitato tecnico scientifico e il deterioramento degli indicatori del Sistema sanitario locale rispetto al fabbisogno”. Vale a dire, quanto salirà la curva del contagio e quanti posti in terapia intensiva verranno occupati.
Ma il report di Colao punta soprattutto sulla comunicazione istituzionale, non senza passaggi inquietanti. “Per il successo della riapertura in sicurezza – spiega il dossier, secondo quanto riporta il Tempo – è essenziale che la popolazione comprenda che il ritorno alla vita economica e sociale dovrà avvenire per gradi, i comportamenti individuali devono continuare a seguire i protocolli di sicurezza e che in caso di necessità, alcune aree più o meno vaste del Paese potrebbero dover tornare indietro regole più restrittive”. Tradotto: l’ipotesi di lockdown parziale e diviso per zone è più che concreta”. “A questo fine – ecco il cuore del dossier – è raccomandato alla Presidenza del consiglio un piano di comunicazione basato su questi tre punti per cementare l’unità di intenti e la predisposizione del Paese nei confronti della fase due”. Insomma, basterà convincere gli italiani.
FONTE:https://www.liberoquotidiano.it/news/italia/22289684/fase_2_vittorio_colao_report_conte_comunicazione_predisporre_popolazione_nuovo_lockdown.html
Coronavirus e diritti: chi controlla l’eccezione
11 aprile 2020
La rete di associazioni “In Difesa Di” ha inviato una lettera al Comitato Interministeriale per i Diritti Umani (CIDU) affinché le misure per contenere la diffusione della pandemia non prescindano dal rispetto dei diritti umani fondamentali
Divieto di assembramento, limitazioni alla libertà di movimento, distanziamento sociale, quarantena obbligatoria. Sono certo misure eccezionali, una temporanea sospensione di alcuni diritti fondamentali al fine di contenere la diffusione del COVID19 e allo stesso tempo assicurare il rispetto del diritto fondamentale alla salute. Non a caso la popolazione italiana, a parte qualche eccezione, si è attenuta alle misure imposte senza grandi discussioni. Ma cosa succede laddove già vigono democrazie fragili o sistemi repressivi e autoritari? E pure in una democrazia come la nostra, le misure per contenere la diffusione del COVID19 possono prescindere da criteri di trasparenza e rispetto dei diritti umani? Se lo è chiesto la rete “In Difesa Di – Per i diritti umani e chi li difende” che nei giorni scorsi ha inviato una lettera al Comitato Interministeriale per i Diritti Umani (CIDU), per chiedere che le Nazioni Unite siano notificate al più presto sulle misure eccezionali approvate per far fronte all’emergenza COVID19 e che venga attuato un monitoraggio sulle deroghe ai diritti umani fondamentali.
«Sin da subito è stato evidente il rischio che lo stato di emergenza a livello globale possa trasformarsi – soprattutto nei paesi governati da regimi autocratici e con deriva autoritaria – in uno stato d’eccezione permanente o che possa divenire il pretesto per limitare ulteriormente gli spazi di agibilità civica e le libertà civili» spiega Francesco Martone, portavoce della rete che, nata per sostenere chi viene criminalizzato per il suo impegno in difesa dei diritti umani fondamentali, è oggi composta da oltre 40 associazioni. «Per questo già il mese scorso vari esperti delle Nazioni Unite e l’Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet hanno esortato gli Stati a garantire un approccio basato sul rispetto dei diritti umani, ad approvare soltanto misure proporzionate e temporanee, e a garantire il diritto alla salute a tutte e tutti, incluse le persone più vulnerabili e marginalizzate».
Si guarda ad esempio con preoccupazione all’Ungheria di Viktor Orbán e al recente conferimento dei pieni poteri al presidente per la gestione dell’emergenza. In Brasile un gruppo di 70 organizzazioni della società civile ha scritto una lettera contro la misura provvisoria 928 firmata dal presidente Bolsonaro, che sospende addirittura fino al 31 dicembre le tempistiche che le autorità pubbliche e le istituzioni hanno per rispondere alle richieste di informazioni presentate ai sensi della legislazione sulla libertà di informazione del paese e proibisce i ricorsi in caso di richieste respinte. Ancora, le misure e i progetti relativi al data tracing digitale, tutte da seguire con estrema attenzione per evitare abusi nonostante le deroghe ad alcuni diritti civili fondamentali per esigenze di salute pubblica. Qui in Italia come altrove.
Come sottolineato dalla lettera inviata al CIDU, si tratta infatti di situazioni che nonostante l’eccezionalità devono comunque essere regolate dal diritto internazionale, il quale già prevede una serie di obblighi per gli stati in seguito alla proclamazione dello stato di emergenza. Tra questi, l’obbligo di notifica ai “treaty bodies” delle Nazioni Unite qualora venissero significativamente limitati i diritti fondamentali quali quello alla mobilità, alla vita familiare o alla riunione ed assemblea. Attraverso il Segretario Generale delle Nazioni Unite, chi si avvale di queste deroghe deve quindi informare tutti gli Stati membri, includendo tutte le informazioni sulle deroghe applicate, e sulle ragioni delle stesse, allegando tutta la documentazione necessaria. «L’obbligo di notifica immediate riguarda anche la fine della deroga» si legge nella lettera.
Ancora, la rete In Difesa DI ricorda che la proclamazione dello stato di emergenza, con tutte le conseguenze che ne derivano, dev’essere informata da criteri di trasparenza e “accountability” chiari e verificabili. Ma se in alcuni paesi, come ad esempio la Francia, esiste una autorità nazionale indipendente che svolge opera di monitoraggio e vigilanza, in Italia invece tale istituzione indipendente non c’è. «Ciò non esime comunque il nostro Paese dall’obbligo di assicurare il rispetto delle condizioni prescritte dal diritto internazionale» scrivono le associazioni, che auspicano la produzione, da parte del CIDU, di un dossier pubblico e dettagliato sulla compatibilità delle decisioni prese dal governo in materia di COVID19 con le Convenzioni internazionali sui diritti umani delle quali l’Italia è parte, assicurando così un monitoraggio costante.
Dopotutto non è raro che il controllo pervasivo di una società si trasformi in una trappola da cui è difficile tornare indietro, e l’appello fatto dai relatori speciali ONU dell’Ufficio dell’Alto Commissario ONU sui Diritti Umani non a caso mette in guardia sul rischio che la crisi del COVID-19 possa essere utilizzata dai governi per rafforzare i loro poteri, senza alcun controllo, o per accentuare i loro tratti autoritari. «L’ l’Italia – spiega Martone – in quanto membro del Consiglio ONU per i Diritti Umani, dovrebbe adoperarsi con ogni mezzo a sua disposizione affinché la situazione di emergenza non diventi un pretesto per giustificare violazioni dei diritti umani e attacchi contro i difensori e le difensore dei diritti umani in altri paesi del mondo».
FONTE:http://www.vita.it/it/article/2020/04/11/coronavirus-e-diritti-chi-controlla-leccezione/154990/
CONFLITTI GEOPOLITICI
La dottrina militare iraniana: la guerra ibrida di Tehran
La morte del generale iraniano Qasem Soleimani, avvenuta all’inizio di quest’anno per mano degli Stati Uniti, ha segnato l’inizio di un nuovo capitolo del lungo conflitto tra Washington e Teheran. Il comandante delle Forze Quds delle Guardie della Rivoluzione islamica è stato eliminato da un drone militare MQ-9 Reaper statunitense, nei pressi dell’aeroporto internazionale di Baghdad in Iraq nelle prime ore del 3 gennaio scorso. L’attacco chirurgico, ordinato dal Presidente degli Stati Uniti, ha evidenziato la volontà di Washington di orchestrare l’eliminazione diretta dei leader militari iraniani, aggiungendo quindi un ulteriore gradino al processo di escalation che ormai vede i due Paesi fronteggiarsi da più di quarant’anni.
La risposta della Repubblica Islamica non si è fatta attendere e il 7 gennaio diversi missili balistici iraniani hanno colpito le basi americane in Iraq di Al Asad ed Erbil, provocando diversi danni strutturali, ma evitando intenzionalmente di causare perdite in termini di vite umane per il personale americano. Si è trattato di un attacco ben calibrato, in quanto Teheran è riuscita a dimostrare la sua capacità e volontà di colpire le basi strategiche USA nella regione, senza tuttavia scatenare una guerra con Washington.
Lo scontro aperto è stato evitato, almeno per il momento, ma l’inasprimento delle relazioni USA-Iran e l’incremento costante delle capacità di risposta di Teheran portano a interrogarsi sull’entità della minaccia posta dalla Repubblica Islamica. Di fatto, l’Iran, negli ultimi anni, ha investito diverse risorse nello sviluppo del proprio apparato militare, trovando la formula perfetta per la propria strategia nella combinazione di elementi di guerra convenzionale con l’impiego di forze non- statali.
Fonte: Wikimedia Commons
Le Forze armate iraniane
Nel ranking mondiale delle forze militari, l’Iran è quattordicesimo, posizionandosi come una potenza regionale capace di contrastare l’influenza statunitense in Medio Oriente. Nel 2020, il personale militare attivo del Paese ammonta a ben 523.000 unità, con un numero di riservisti che raggiunge la cifra di 350.000, per un totale di 873.000 uomini.
Le Forze armate iraniane si articolano principalmente in due corpi: l’esercito, anche noto con il nome di Artesh, e il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica. I due organismi presentano caratteristiche diverse che per certi versi le contrappongono.
L’esercito ha come fine ultimo la difesa del Paese contro le minacce esterne, andando quindi a costituire una forza di tipo convenzionale. Esso si divide a sua volta in in forze di terra, aeronautica e marina. Di contro, il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (noto anche come Pasdaran), creato nel 1979 dall’ Ayatollah Komeini, ha come missione principale quella di proteggere il regime attuale dalle forze dissidenti interne, ma anche dai nemici d’oltre confine. Il corpo assume quindi una funzione di carattere ideologico e politico, la quale si declina in una maggiore radicalizzazione dei sui effettivi (circa 190.000 uomini).
All’interno del corpo dei Pasdaran, vi è inoltre la Forza Quds, un reparto speciale responsabile delle operazioni al di fuori del Paese. A partire dal 2007, le Forze Quds sono state annoverate dagli Stati Uniti nella lista delle organizzazioni finalizzate alla promozione del terrorismo internazionale, essendo esse attive in azioni di supporto e addestramento di diverse milizie sciite nella Regione.
In seguito alla Rivoluzione islamica del 1979, l’esercito regolare subì diverse epurazioni al fine di eliminare le ultime frange delle forze armate rimaste fedeli allo Scià Mohammad Reza Palhavi. Ne conseguì un periodo di forte diffidenza tra il corpo delle guardie della rivoluzione e Artesh. Negli anni successivi, l’esercito dimostrò la propria lealtà al nuovo regime guadagnandosi la fiducia del governo, ma le rivalità tra le due entità militari persistono a causa dell’accesso iniquo ai finanziamenti e al diverso grado di influenza esercitato nel sistema politico iraniano.
In termini di equipaggiamento e mezzi a disposizione, l’arsenale iraniano è per lo più composto da sistemi di combattimento obsoleti provenienti dall’estero (Cina e Unione Sovietica, ma anche dagli Stati Uniti nel periodo precedente alla rivoluzione del ’79), con qualche componente più recente di produzione domestica.
Per sopperire a tale mancanza, tra il 2014 e il 2018, il budget allocato per la spesa militare dal governo di Teheran è cresciuto regolarmente ogni anno, per poi subire una drastica riduzione nel 2019, a seguito della reimposizione delle sanzioni economiche da parte degli Stati Uniti. Dai 27.3 miliardi di dollari stanziati nel 2018 per la spesa militare, si è passati ai soli 19.6 miliardi nel 2020.
Esercitazione Militare dell’Esercito Iraniano 2019 – Fonte: Wikimedia commons
La dottrina militare iraniana
Consapevole della superiorità tecnologica e in mezzi degli Stati Uniti, Teheran ha saputo elaborare una strategia militare focalizzata sulle tattiche di guerra asimmetrica. Gli obiettivi che la Repubblica Islamica intende perseguire con tale approccio sono principalmente due:
- La difesa del regime e del Paese dalle minacce, sia esterne, che interne;
- Emergere nello scenario regionale come potenza dominante.
In quest’ottica, le forze convenzionali della Repubblica Islamica hanno lo scopo di scoraggiare un’invasione nemica su larga scala e di rendere il costo umano ed economico di una guerra convenzionale intollerabile. D’altro canto, Teheran persegue i propri obiettivi oltre confine appoggiandosi a diverse milizie sciite e attori non-statali nella regione, ingaggiando i propri avversari tramite operazioni di guerra per procura e destabilizzando i Paesi alleati di Washington.
Tramite tale forma di guerra ibrida, la Repubblica Islamica mantiene il costo politico delle proprie azioni offensive all’estero molto basso, in quanto l’impossibilità di attribuire la responsabilità dei diversi attacchi direttamente a Teheran tutela il Paese da un’eventuale risposta diretta dei propri avversari.
Le forze missilistiche
L’Iran ha sviluppato nel corso degli anni un discreto arsenale di missili balistici, i quali costituiscono la spina dorsale della strategia di deterrenza di Teheran. Il corredo missilistico iraniano vanta diversi sistemi a corto e medio raggio (Short-Range Ballistic Missile – SRBM e Medium-Range Ballistic Missile – MRBM), consentendo alla Repubblica Islamica di colpire obiettivi all’interno di un raggio di 2.000 km. In questo modo, l’Iran ha la capacità di scagliare una raffica di missili contro le basi militari avversarie e di compromettere la capacità combattiva dei propri rivali.
L’arsenale iraniano invece non include missili balistici a gittata intermedia (Intermediate-Range Ballistic Missile – 3000-5500 km) e missili intercontinentali (Intercontinental Ballistic Missile – con gittata maggiore di 5.000 km). Questi ultimi consentirebbero all’Iran di minacciare direttamente il territorio nazionale degli Stati Uniti. Considerati i vantaggi strategici che tale tipo di sistemi comporterebbero per la Repubblica Islamica, Teheran potrebbe investire diverse risorse in futuro per ottenere questa categoria di armamenti.
Inoltre, Teheran sta investendo nello sviluppo di missili cruise (Land-attack cruise missile). Tali sistemi viaggiano a un’altitudine nettamente inferiore rispetto alla traiettoria seguita dai missili balistici, essendo quindi meno vulnerabili alle difese antimissile.
Nonostante le forze missilistiche iraniane necessitino ancora di diversi miglioramenti tecnologici, la loro precisione ed efficacia è stata dimostrata durante l’attacco del 7 gennaio alle basi USA di Al Asad ed Erbil. Il raid ha causato diversi danni alle strutture dei due avamposti americani, ma allo stesso tempo ha evitato di causare perdite tra le forze armate statunitensi, evitando una risposta massiccia americana e dimostrando la precisione dei sistemi iraniani.
Forze navali
Grazie alla sua posizione strategica sullo stretto di Hormuz, Teheran detiene la possibilità di negare l’accesso (Antiaccess/area denial – A2/AD) ai suoi avversari al Golfo Persico e, quindi, di limitare il traffico marittimo in uno dei punti nevralgici del commercio di petrolio internazionale. In tale ottica, la Repubblica Islamica ha sviluppato una forza navale calibrata per l’attuazione di tattiche di guerra asimmetrica.
La marina iraniana è composta, dunque, da rapide imbarcazioni d’attacco e missili antinave. Un ruolo fondamentale è anche ricoperto dai minisottomarini, classe Yono (costruiti su modello nordcoreano) e Kilo (invece di produzione russa). La tattica navale iraniana consisterebbe nell’attaccare in sciami le unità nemiche al fine di soverchiare i loro sistemi di difesa e renderle in questo modo più vulnerabili.
Fonte: Hossein Zohrevand – TasnimNews
Attori non-statali
Il fiore all’occhiello della strategia ibrida iraniana è senza dubbio costituito dai diversi attori non-statali, ai quali Teheran si appoggia per perseguire i propri interessi nello scenario regionale. Nel corso degli anni, la Repubblica Islamica ha costituito una rete efficiente di milizie col fine di contrastare l’influenza di USA e Israele (l’altro grande nemico dell’Iran) in Medio Oriente. Denominata dall’establishment iraniano come ‘Asse della Resistenza’, tale tramaglio di attori non-statali include organizzazioni come Hezbollah in Libano, i ribelli Houthi in Yemen, diverse milizie sciite in Iraq e le forze siriane fedeli al regime di Assad.
Lo strumento primario con cui Teheran supporta gli attori non-statali a essa affiliati è costituito dalle Forze Quds, ossia, come già accennato, il reparto dei Pasdaran incaricato delle operazioni esterne. Tale corpo è quindi ingaggiato in diversi scenari operativi, fornendo supporto, addestramento e materiale bellico alle milizie parte dell’Asse della Resistenza.
Al giorno d’oggi, la Siria è lo scenario in cui Teheran ha impiegato la maggior quantità di risorse. Sin dal 2011 si calcola che la Repubblica Islamica abbia fornito finanziamenti al regime di Assad per un valore di 15 miliardi di dollari (parte dei quali sotto forma di greggio), nel tentativo di evitare il collasso del governo alleato. Il coinvolgimento dell’Iran è andato ben oltre la provvisione di equipaggiamenti e denaro, con ben 10.000 operativi inviati tra il 2011 e il 2014. Per lo stesso periodo, le forze non iraniane in Siria sponsorizzate da Teheran toccano, secondo alcune stime, le 130.000 unità; si tratta di milizie fedeli al regime di Assad, ma anche di Hezbollah.
Hezbollah è l’organizzazione con cui l’Iran ha instaurato il legame più duraturo. Dal 1982, Tehran collabora con questo attore al fine di minare gli interessi di Israele e USA nella Regione. Unità operative, Hezbllah sono spesso assoldate dall’Iran per condurre azioni di rappresaglia contro i propri rivali.
L’Iran è anche molto attiva nel sostenere i ribelli Houthi in Yemen, ormai impegnati dal 2015 in una sanguinosa guerra civile contro le forze governative, sostenute a loro volta dall’Arabia Saudita. La Repubblica Islamica è sospettata di essere il mandante di diversi attacchi contro gli impianti petroliferi sauditi. Inoltre, i droni da combattimento utilizzati dai ribelli nello sforzo bellico, come i Quatef-1, presentano diverse similarità con il modello iraniano Abdil, suggerendo una collaborazione degli Houthi con Teheran per quanto riguarda l’acquisizione di tali tecnologie avanzate.
Conclusioni
La strategia della guerra ibrida adottata dall’Iran presenta diversi punti di forza. L’eliminazione del generale Soleimani va interpretata come il risultato delle crescenti preoccupazioni di Washington verso un nemico che, giorno dopo giorno, acquisisce sempre più capacità combattiva. Il corredo missilistico di Teheran, tenendo conto dei recenti sviluppi tecnologici, costituisce un deterrente reale per i nemici della Repubblica Islamica, mentre la rete di milizie non-statali a essa affiliate le consentono di condurre azioni offensive contro i propri avversari e di negare la responsabilità di tali operazioni.
Tuttavia, sono molti i punti deboli della strategia iraniana. Sebbene l’arsenale missilistico di Teheran abbia acquisito una notevole potenza di fuoco, il Paese necessita di una maggiore quantità di sistemi di lancio e operatori. Infine, la rivalità tra il Corpo delle guardie della rivoluzione e Artesh si traduce in una ridondanza delle loro funzioni e in una conseguente mancanza di coordinamento. Tali debolezze, unite alla mancanza di risorse economiche dovuta alle sanzioni dei Paesi occidentali, ridimensionano marcatamente la minaccia iraniana.
Fonti e approfondimenti
Iran Military Power, Defense Intelligence Agency, 2019
Iran Military Strength (2020), Global Firepower, 2020
Iran attack: How strong is Iran’s military?, BBC, 9 gennaio 2020
Ariane M. Tabatabai, ‘Syria Changed the Iranian Way of War‘, Foreign Affairs, 16 agosto 2019
Ilan Goldenberg, ‘What a War With Iran Would Look Like‘, Foreign Affairs, 4 giugno 2019
Mackenzie Eaglen, ‘It Wasn’t Luck That No U.S. Soldiers Were Killed In Iran’s Strikes On Iraq‘, The National Interest, 19 gennaio 2020
Maysam Behravesh, The Ayatollah’s Den of Espionage, Foreign Affairs, 12 novembre 2019
Marcus Weisgerber, ‘What We Know About the Missiles Iran Fired Into Iraq‘, Defense One, 8 gennaio 2020
Patrick Tucker, ‘Iran Is Expanding Its Online Disinformation Operations‘, Defence One, 9 gennaio 2020
Patrick Tucker, Iran Is Getting Ready to Blow Up A Fake Aircraft Carrier, Again, Defence One, 8 gennaio 2020
Tom Nichols, ‘Iran’s Smart Strategy‘ Defense One, 10 gennaio 2019
Uri Friedman, The Blueprint Iran Could Follow After Soleimani’s Death, Defense One, 6 gennaio 2020
FONTE:https://lospiegone.com/2020/04/23/la-dottrina-militare-iraniana-la-guerra-ibrida-di-tehran/
CULTURA
AGAMBEN, IL CORONAVIRUS E LO STATO DI ECCEZIONE
di Davide Grasso
Giorgio Agamben ha pubblicato il 26 febbraio sul Manifesto il suo punto di vista sul Coronavirus. Il titolo dell’articolo è, manco a dirsi: Lo stato d’eccezione provocato da un’emergenza immotivata. Che altro, qualcuno si chiederà, avrebbe potuto scrivere il filosofo romano? Ma proprio questo è il problema. La prevedibilità delle affermazioni del filosofo e l’apparente assenza di argomentazioni impegnative nel suo contributo sono state accolte da molti con sorpresa. Eppure non tutti si sono stupiti: la stanchezza di certi paradigmi e la scarsa vitalità del panorama teorico-politico fanno di simili prese di posizione lo specchio di una condizione più generale. Quando, di fronte alla realtà sfaccettata e cangiante del mondo, le formule interpretative si ripetono identiche a sé stesse, si può avere la sensazione che la critica abbia aperto almeno in parte la strada al dogmatismo, nel senso kantiano di derivazione di concetti da concetti senza l’irruzione di un esterno che li vivifichi. Questo “esterno” dovrebbe mettere alla prova confini e rapporti tra categorie, così che queste ultime non appaiano sospettosamente intatte, inscalfibili.
La tesi di Agamben parte dal presupposto che la malattia provocata dal Covid-19 non sia grave. “Poco più di una normale influenza”. Lo si sente dire spesso in questi giorni. Le misure prese dal governo sarebbero quindi “sproporzionate”. Tali misure sarebbero anzi frutto di una precisa, ancorché nascosta, intenzione: aumentare, “con un pretesto”, il controllo politico sulla popolazione. Come già in passato la tutela della salute sarebbe utilizzata per imporre limitazioni della libertà e forme di militarizzazione, abituando i cittadini a restrizioni sempre più invasive della libertà. L’eccezione giuridica – accumulo e concentrazione di sovranità secondo coordinate che presuppongono un’azione al di sopra o contro la legge ordinaria, in nome di una necessità dell’arbitrio fondativa per il diritto – diventa sempre più “regola”, vita inframmezzata di emergenze (epidemie, terrorismo, terremoti) che giustificano il ricorso continuo a misure invasive, rese di volta in volta permanenti.
Agamben cita un comunicato del Cnr come fondamento della sua valutazione medica. È un fatto curioso. Il Cnr è l’istituzione che per eccellenza agisce e coordina la ricerca per conto e nella logica dello stato. Il filosofo intende mettere a nudo un’operazione del sistema complessivo di poteri e saperi che dalle istituzioni si irradia, in primis sul piano medico; ma con quale criterio discerne quali interventi pubblici, formulati da e per conto di quel sistema, sono o meno parte di un disegno politico non immediatamente perspicuo? La questione è tutt’altro che irrilevante sul piano epistemologico; ma c’è di più. Il comunicato del Cnr non afferma affatto che il Covid-19 sia una semplice influenza: semmai che i sintomi, nell’80-90% dei casi, sono simili a quelli dell’influenza. Afferma anche che nel 10-15% insorge la complicanza polmonare, che è quella che provoca il sovraffollamento ospedaliero e i decessi. (La polmonite, per quanto suoni innocua, è una delle prime cause di morte per malattia infettiva in vaste regioni del mondo, e la prima in Europa). Se il Cnr contribuisce giustamente a contestualizzare la pericolosità del virus entro una cornice razionale, ricorda anche che un 4% dei casi rende necessaria la terapia intensiva, e non è affatto una percentuale bassa.
Nessuno sta dicendo che il Covid-19 sia il flagello del secolo o il virus più pericoloso al mondo. Le preoccupazioni per la sua diffusione sono molto più equilibrate di quanto alcuni sembrano pregiudizialmente pensare, talvolta mossi da uno schifo elitario per i comportamenti di massa. È vero, ad esempio, che virus anche più pericolosi non si diffondono con analoga rapidità. Benché non sia in grado di provocare effetti disastrosi, il Covid-19 non è quindi la semplice influenza, come del resto spiegato – volendo restare a fonti scientifiche statali, e in attesa di un criterio per selezionarle – dall’Istituto superiore della sanità. Potrebbe dire Agamben che la differenza tra influenza stagionale e Coronavirus non è comunque abbastanza rilevante da giustificare simili misure del governo? Qui veniamo al problema essenziale: come saperlo? Contrariamente ad altri virus le caratteristiche del Covid-19 non sono conosciute ad ora in maniera precisa, né sono stati messi a punto vaccini o terapie vere e proprie (per essi ci vorrà un po’ di tempo, forse fino a due anni). Per questo la gente spera di non prenderselo.
Non siamo in presenza, quindi, di uno “stato di paura che in questi anni si è evidentemente diffuso nelle coscienze degli individui e che si traduce in un vero e proprio bisogno di stati di panico collettivo”, per usare le parole di Agamben. Al contrario: la gente è piuttosto tranquilla, la vita procede regolare, nel mio quartiere a Torino supermercati e farmacie non sono sovraffollati. Ciò non toglie che tutti preferiscano che il virus circoli il meno possibile. Non mancano qua e là paranoici della pandemia, ma sono più numerosi, mi sembra, i paranoici del complotto, che negano vi sia un reale pericolo per le persone e deridono i comuni mortali. Ci sono invece ottime ragioni per preoccuparsi, il che non vuol dire assolutamente perdere le staffe. Dovendo sopravvivere vorremmo che l’economia non sprofondasse, molti di noi hanno già subito danni economici a redditi bassi, e sappiamo che le condizioni economiche, già prima non esaltanti, peggioreranno per lungo tempo se il contagio diventa epidemico. Un’epidemia porterebbe inoltre al tracollo del fragile e sottofinanziato comparto sanitario, mettendo in forse un numero di vite molto maggiore. Il collasso degli ospedali nelle regioni più colpite della Cina ha provocato decessi per semplice mancanza di cure adeguate. Accadrà anche in Europa?
Continua Agamben: “Si direbbe che esaurito il terrorismo come causa di provvedimenti d’eccezione l’invenzione di un’epidemia possa offrire il pretesto ideale per ampliarli oltre ogni limite”. In primo luogo, qui non c’è nessuna “invenzione”. La diffusione del virus e il virus stesso non sono inventati ed esistono concretamente, fuori dai nostri benedetti schemi concettuali, e non è necessario aspettare che metà degli italiani sia contagiata per pensare a delle misure, perché prevenire è meglio che curare. Le statistiche della diffusione, per ora molto limitata, sono note e veritiere almeno fino a prova contraria, salvo pensare di poter accusare migliaia di operatori sanitari di intelligenza con un presunto piano segreto di disinformazione. I media esibiscono indubbiamente un ansiogeno eccesso di zelo nel divulgare le statistiche (chissà se, qualora non lo facessero, si griderebbe alla censura), ma questo non corrisponde verosimilmente a un piano preordinato dello stato, esprimendo semmai la tipica logica capitalistica della competizione spettacolare; che è nefasta, ma non rientra nella lettura che Agamben dà della situazione.
Per ciò che concerne la politica, non sembra che Conte stia usando la diffusione del virus come pretesto per ampliare “oltre ogni limite” il potere dello stato o provvedimenti eccezionali. Questa sì che mi sembra la descrizione di una circostanza “inventata”. Se analizziamo i fatti, vediamo che il governo ha tentato in ogni modo di minimizzare un fenomeno di cui poco sanno i medici – figuriamoci i politici – e ora prende misure che hanno come primo scopo mostrare all’Italia e all’estero che sta facendo qualcosa. Proprio per tenere d’occhio con attenzione le mosse dello stato, sempre pericolose, a poco serve gettare subito ogni provvedimento in una notte in cui tutti i decreti sono stati di eccezione, rischiando di aumentare la sfiducia o l’indifferenza che le persone hanno maturato verso le filosofie radicali. Indubbiamente gran parte delle ordinanze e degli articoli del decreto saranno incoerenti o sbagliati. Occorrerebbe allora commentarli uno per uno e argomentare le obiezioni. Dovremmo riabituarci a fornire qualcosa di concreto a coloro cui rivolgiamo un’interpretazione dei fatti: le grandi costruzioni ideologiche, dovremmo averlo imparato, perdono mordente se non sono in grado di impigliarsi nella realtà.
Il paragone che Agamben fa tra Coronavirus e “terrorismo”, d’altra parte, è quanto mai rivelatore. Credo si riferisca agli attentati dell’Isis degli anni scorsi. Qui è all’opera tutta una meccanica acritica dell’analogia. Un movimento politico fatto da uomini non è per nulla analogo alla diffusione di un microbo. Gli attacchi dell’Isis, che non erano a loro volta un’invenzione, possono aver dato adito a sperimentazioni del controllo su vari piani, ed essersi a loro volta nutriti di quelle reazioni, ma non sono fenomeni di fronte ai quali si possa reagire senza violenza e quindi senza esercizio di un potere. Chi poi voglia o debba farsi carico del problema è un altro paio di maniche, ma emerge il problema di fondo di proposte teoriche che, per quanto valide e illuminanti su tantissimi aspetti, sembrano non porsi mai il problema dell’alternativa reale. Anche quando lo stato sperimenta l’eccezione in seguito ad attentati, la nostra critica non deve sovrapporre meccanicamente tutte le iniziative prese dallo stato le une con le altre, affogandole in un’analisi uniforme, perché proprio se si intende sostituirlo con qualcosa d’altro occorre immaginare cosa faremmo noi se avessimo responsabilità pubbliche in quella situazione. Allora ci renderemmo conto che alcune delle misure repressive (ad esempio procedere a perquisizioni, interrogatori, controlli sulle strade) sarebbero le stesse che prenderebbe una forza rivoluzionaria in condizioni analoghe (accade ad esempio in Rojava). Probabilmente una forza rivoluzionaria procederebbe anzi contro l’estrema destra, islamica e non, con minori complessi sul piano politico, ed anche con minori ambiguità.
Certa critica teorica, in ambito accademico e “militante”, ha scelto di ritagliare per sé il vezzo esclusivo ed escludente del negativo puro: si limita ad analizzare le dinamiche di potere, chiamandosi fuori dal problema decisivo che esso rappresenta anche per la trasformazione. Questo induce a sviluppare un’attitudine a un tempo cupa e contemplativa, che non vede vie d’uscite e non riesce a dare conto della complessità e delle differenze insite nello sviluppo politico. Tutto ciò che questa attitudine vede attorno a sé è narrazione, ideologia, mito e menzogna, e le uniche narrazioni analizzate sono quelle attribuibili al “potere”, appunto. Il potere: chi è costui? Una domanda familiare. Pur essendo descritto in via di principio come un reticolato di interventi umani nella società, assume poi paradossalmente, in interventi come questo, le sembianze di quella vecchia idea di Potere, concentrato e completamente individuabile, che proprio una stimolante tradizione di pensiero voleva in origine abbandonare.
FONTE:http://www.minimaetmoralia.it/wp/agamben-coronavirus-lo-eccezione/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Arrivano gli investigatori anti Covid, come in una serie tv
Il metodo Crisanti in Veneto. Ora ne ha parlato il primo ministro francese Philippe, annunciando l’impiego dopo alcune sperimentazioni già a Parigi, di “squadre” capaci elaborare la lista dei contatti di un positivo, di chiamarli, di invitarli a fare il test e verificare la procedura
“Army”. “Brigade”. La metafora è militare, ancora una volta, ma anche poliziesca. In effetti in questa nuova fase della lotta al Covid, conviene mettere da parte la guerra, con il suo pensiero aggressivo tradotto in realtà in una ritirata detta lockdown, e impiegare l’indagine, tra Sherlock Holmes e Poirot. Accanto alla App, alla tecnologia, con le sue possibilità ma anche le sue falle, per molti sarà necessario un altro tipo di tracciamento. Antico, affascinante e del tutto umano. Fate largo a chi darà ora la caccia al Covid: il contact tracer.
È uno degli elementi, insieme a molti altri, utile a tenere a bada il virus. Ne ha parlato il primo ministro francese Philippe, annunciando l’impiego, dopo alcune sperimentazioni già a Parigi, di vere e proprie “squadre” capaci elaborare la lista dei contatti di un positivo, di chiamarli, di invitarli a fare il test e verificare la procedura.
In Inghilterra è iniziato pare il reclutamento, New York ne vorrebbe assumere diverse migliaia (ecco nuovi posti di lavoro), sono già attivi ad esempio in Illinois e Massachusetts. Cina, Taiwan, Singapore, Sud Corea ne hanno fatto uso. In Veneto il lavoro di Andrea Crisanti si è basato anche su questo metodo.
Nel decreto firmato dal ministro Speranza c’è un parametro che parla di «numero, tipologia di figure professionali e tempo/persona dedicate in ciascun servizio territoriale al contact tracing». Insomma, pare che il contact tracer umano sarà uno degli elementi del piano. Come sarà organizzato il lavoro (dato anche le differenze organizzative sanitarie regionali, si pensi alla Lombardia)?
Ogni paese ha i suoi parametri per reclutare e impiegare i contact tracer. Alcuni lavorano in remoto, via telefono, usando varie tecnologie, ma altri anche sul campo, per testare e seguire le persone. Un po’ medici, un po’ investigatori, un po’ addetti alla sorveglianza. Il loro è un lavoro basato su parametri scientifici, ma prevede anche una parte di indagine e di monitoraggio costante.
La App è veloce a elaborare una gran mole di dati, ma sappiamo che molto dipende da quanti l’adotteranno e dal sistema usato per segnalare i contatti. Da sola non basta. Il tracciamento umano prevede molte persone al lavoro e molto più tempo, ma può accompagnare il primo, lo completa, e ha anche una funzione pedagogica e rassicurante: una persona mi avvisa, mi dice e magari anche mi mostra cosa fare, mi monitora. Non sono solo.
Certo non è facile condurre le interviste, ci vuole pazienza, il malato potrebbe non ricordare tutto, potrebbe avere paura di essere giudicato, potrebbe mentire per nascondere qualcosa. Serve ottenere le fiducia delle persone, che apprezzano, si aprono pian piano, sperano di poter aiutare.
Una malattia da sconfiggere, un investigatore medico, un paziente impaurito e titubante deve affidarsi e svelarsi. C’è l’umanità dell’uno e dell’altro, la vita di uno che si svela all’altro. Certi racconti fanno già emergere storie di mondi differenti e persone differenti che devono capirsi e aiutarsi.
Questo volto della lotta al Covid sembra perfetta materia narrativa: il contact tracer come nuova figura di qualche futura serie Tv? Non solo i medici insomma: in prima linea c’è anche lui a proteggere la città, e intanto la racconta, e racconta i suoi abitanti e se stesso. Un po’ CSI, per via dell’indagine scrupolosamente scientifica. Un po’ Dr House, visto che bisogna far emergere la verità dal paziente. Un po’ Criminal, la serie Netflix tutta incentrata sugli interrogatori. Un po’ il caro vecchio ER, con le sue storie di umanità varia che si intrecciano.
FONTE:https://www.linkiesta.it/2020/05/coronavirus-italia-fase-2-contact-tracing/
Il Coronavirus ha smascherato i giornali di regime
Riceviamo e pubblichiamo volentieri questa riflessione che ci fa capire come la situazione di emergenza che stiamo vivendo abbia fatto venire a galla la cosiddetta informazione di regime…
Tra le tante fragilità che COVID19 ha portato a galla, ce n’è una ogni giorno più visibile e che non si può più ignorare. La crisi delle testate giornalistiche storiche di questo Paese. Quelle che per anni ci hanno raccontato che la verità si poteva trovare solo sulle pagine dei loro giornali, quelle che ci dicevano che solo loro erano immuni dalle fake news. Quelle che giustificavano i fondi all’editoria perché un Paese senza informazione di qualità mette a rischio la democrazia. E solo loro potevano fare informazione di qualità. Solo loro, come sacerdoti egizi, come vergini vestali del Campidoglio, conoscevano la vera informazione e potevano salvarci dallo spaventoso buio delle fake news.
Per anni li abbiamo sentiti sgolarsi e compiacersi tra loro. Poveri lettori! Come potreste vivere senza di noi? Come potreste sviluppare uno spirito critico senza di noi? Come potreste restare ancorati alla democrazia? Solo loro avevano a cuore la corretta informazione e informarsi sui social e su internet era come avventurarsi nella giungla nudi o buttarsi in una vasca di squali insieme alla pastura, o andare a fregare i salmoni ai grizzly usciti dal letargo.
COVID19 ha messo a nudo un sistema già fragile, totalmente autoreferenziale. Incapace di verificare le notizie. Incapace di spirito critico. Incapace di mantenere la propria indipendenza. Un sistema totalmente permeabile ai poteri, vecchi e soprattutto nuovi. I nostri giornalisti vivono nel mito del watergate, ti citano con occhi lucidi interi passi di “good night and good luck”, guardandoti come se tu fossi un povero cane da salvare in una notte di tempesta: “vieni, ci penso io, ti curerò, ti riscalderò”. Ti dipingono scenari di futuri apocalittici se l’informazione fosse fatta dai social. Solo nominare nella stessa frase “informazione” e “social” gli provoca il riflesso condizionato di un conato.
E noi lettori, ci spiegano pazienti, di fronte a tanta scienza, a tanta abnegazione, a tanta cultura, a tanta onestà intellettuale, dobbiamo inchinarci a loro, paladini della libertà, eroi, che combattono contro l’oscurità della disinformazione. Poi è arrivato il virus ed ecco che tutti noi lettori corriamo a leggere l’informazione vera! Quella seria! Quella che ha il coraggio dello spirito critico! È vero, alcuni di noi vanno all’edicola solo per uscire di casa, ma bene comunque, compriamo giornali e lottiamo per gli editori, per i giornalisti, che ci difendono dalla fragilità, che ci raccontano le cose come stanno. Stiamo tranquilli: ci pensano loro! Siamo in buone mani! Crolla tutto ma dai, coraggio, rimaniamo attaccati alla fonte della verità!
Però anche a chi ha comprato i giornali solo per pulire i vetri delle finestre, capita mentre strofina, di buttarci un occhio e cosa vede? Dettati di regime, informazioni senza alcuna verifica, qualunquismo. Ma il cervello? La competenza? L’autorevolezza? Nulla… spariti. Messi a nudo dal virus! Giornali che hanno fatto dello stato laico una ragione di esistere, inneggiano al ritrovato sentimento religioso, urlano allo scandalo per la soppressione delle messe e della libertà di mettersi in fila a baciare tutti l’urna del santo che ci aveva già miracolosamente salvato dalla peste! Altro che la scienza, altro che la medicina moderna! Un sano ritorno alle tradizioni medioevali!
Ci spiegano che è giusto far morire il tessuto della società, i nostri negozianti, albergatori, ristoratori, ma che no, davvero impedire alla gente di assembrarsi per pregare è una vergogna! Ce lo dicono loro, col loro spirito critico, allenato in anni e anni di vigile antiberlusconismo, da anni di fratellanza con le magistrature, coma fare a non crederci? Come fare a non fidarsi? E noi lettori, con lo spirito attento e affinato da anni di lettura dei loro giornali, educato da questi eroi del pensiero indipendente, in effetti come facciamo a non dargli ragione? Guai a chi vacilla pensando che ci sia informazione di regime! Vergogna! Onta! La stampa non è morta! È viva e lotta insieme a noi!
E non è colpa dei giornalisti se il virus ha portato via la memoria!
C’è un professore che ha quasi ogni giorno almeno mezza pagina di ola sui giornali e che dal vivo sembra un personaggio di Verdone (vi prego, guardatelo se vi capita in tv: parla con gli occhi semichiusi e si penserebbe a una latente cecità. Invece è chiaramente la sua personale interpretazione di come dovrebbe apparire un professore supponente, perché quando non parla le palpebre e lo sguardo tornano alla normalità), bene, questo professore è diventato il paladino dell’allarmismo, il padre del rigorismo della quarantena e dell’isolamento. Per settimane lo avevamo visto pontificare che il Covid19 era poco più di una banale influenza e che per favore non si facessero allarmismi che poi si spaventano gli anziani e i bimbi! Suvvia! Un professore che addirittura il viceministro Silieri, con sguardo sconfortato, riprese in diretta tv: non dica così, la situazione è seria.
Ma oggi tutto è perdonato, tutto è dimenticato! Ed eccolo infatti che ottiene la sua mezza pagina quotidiana per dire che senza chiusure sarebbe una strage! Sui giornali non ci sono notizie di Berolaso, di come sta, di cosa farebbe se lo avessero nominato, lui, il più esperto delle emergenze, un orgoglio italiano! Ma tranquilli, apriamo il giornale e al suo posto ci troviamo “il professore”. Il re del giravoltismo medico scientifico. Che è una vergogna italiana!!
E vogliamo parlare degli articoli commossi per i rimpatri: “grazie alla Farnesina….”. E poco importa se lo leggiamo sulle stesse testate che pubblicano storie di italiani che non sono riusciti a parlare con i consolati, con le ambasciate, che hanno trovato portoni sbarrati (per inciso, quello inglese di ambasciatore, ha chiamato per aver notizie dei suoi connazionali sbarcati dalla nave e solo così noi italiani scopriamo di avere più di 200 persone potenzialmente contagiose in hotel a Roma. Ma tranquilli Borrelli e la protezione civile hanno tutto sotto controllo).
E poi meraviglioso, una chicca, leggiamo che i voli di rimpatrio li fanno Alitalia, Neos e Blu panorama….Toc Toc come direbbe Porro, Blu Panorama ha gli aerei a terra da settimane. Basta andare sulla homepage del loro sito per verificarlo! Neos di voli ne farà 3 al giorno. Ma forse i giornali si stanno portando avanti, perché in effetti con la nazionalizzazione pensata così, Alitalia avrà le dimensioni appena più piccole di Blu Panorama. Forse la critica è ingiusta e loro lo stanno facendo per abituare noi lettori alla nuova dimensione della compagnia di bandiera, che rappresenterà esattamente il prestigio del Paese (Lufthansa 900 aerei, Air France 700, Alitalia 26).
Poi però ecco online ampio spazio alle lamentele per l’ “odissea” della povera 23 enne che rientra da Londra. Cari giornalisti che avete passato il pezzo, potete far leggere agli altri vostri colleghi che la ragazza ha saputo dei voli speciali Alitalia non dalla Farnesina ma da una sua amica (che non credo si chiamasse Farnesina di nome di battesimo)? Bene, questa signorina, si lamenta perché l’aereo diretto a Roma, che lei ha deciso di prendere presumibilmente un paio di giorni fa (“perché a Londra non si aveva la giusta percezione del rischio”) ha fatto un atterraggio di emergenza a Milano per un ragazzo in crisi respiratoria. E, scandalo, una volta lí non ha fatto scendere quelli che dovevano comunque arrivare a Milano (come se l’aereo fosse un pullman) e che sono ripartiti solo dopo due ore.
FONTE:https://www.nicolaporro.it/il-coronavirus-ha-smascherato-i-giornali-di-regime/
Una bugia è una tragedia, 151mila bugie non sono statistica, sono propaganda del governo Conte
I dati allarmistici forniti ai giornali per difendersi dalla critica di non aver riaperto il paese erano solo teorici. Dal punto di vista scientifico è normale prevedere il caso estremo, ma la questione è politica, non matematica. Due ipotesi di mistificazione, una peggiore dell’altra
È successa una cosa molto grave, che si aggiunge ai numerosi comportamenti maldestri di cui si è reso protagonista questo governo sul fronte della comunicazione o, meglio, della disinformazione: lunedì alcuni ambienti governativi hanno risposto alle diffuse critiche sulla mancata apertura del 4 maggio passando ai giornalisti un rapporto del comitato tecnico-scientifico, indicando loro il numero di 151 mila possibili terapie intensive che si sarebbero rese necessarie l’8 giugno nel caso Giuseppe Conte avesse invece riaperto buona parte delle attività.
L’indomani tutti giornali ovviamente hanno riportato la notizia, e soprattutto quel numero minaccioso, a sottolineare la saggezza della prudente decisione del governo. Solo che quello era uno scenario definito ieri «irrealistico» dagli stessi ricercatori del comitato tecnico-scientifico, cosa che nel passare la velina ai giornalisti gli ambienti governativi hanno preferito non far notare.
Ci siamo accorti di quello strabiliante numero di possibili terapie intensive, 151mila a fronte di un picco massimo all’apice della curva di poco più di 4 mila, perché un rispettato manager come Giovanni Cagnoli ha scritto che quei conti non gli tornavano, gli sembravano esorbitanti e frutto di un errore di calcolo. Dubbi condivisi anche da un professore ordinario di statistica epidemiologica dell’Università di Tor Vergata, Alessio Farcomeni, sentito da Linkiesta, così come dal direttore dell’Istituto Mario Negri Giuseppe Remuzzi in un’intervista al Corriere della Sera.
Ieri mattina, durante una lunga conferenza stampa, i ricercatori incaricati dall’Istituto superiore di sanità hanno difeso la loro metodologia di calcolo, che ancora non convince Cagnoli e Farcomeni, ma la cosa più importante detta dal ricercatore Stefano Merler della Fondazione Kessler è che quello dei centocinquantunomila pazienti in terapia intensiva era uno scenario «non considerato come realistico» dagli stessi che lo hanno ipotizzato, perché possibile dal punto di vista teorico soltanto se i cittadini e le istituzioni si dimenticassero di questi mesi passati in emergenza sanitaria e, una volta usciti di casa, approcciassero la vita quotidiana senza precauzioni come all’inizio della pandemia, ovvero senza dispositivi di protezione, senza rispettare le norme sanitarie e senza la minima conoscenza delle caratteristiche di trasmissibilità anche asintomatica del virus.
Ora, dal punto di vista della ricerca statistica, ovviamente ci sta prevedere il caso estremo e, appunto, «irrealistico», ma la mistificazione di questi giorni non riguarda i modelli matematici, la correttezza della metodologia e l’esattezza del calcolo, cosa che lascerei agli studiosi.
La questione è politica: per giustificare una scelta, peraltro anche condivisibile, di non far ripartire a pieno ritmo il paese, si è scelta la strada di far trapelare attraverso i mezzi di comunicazione un dato, quello dei centocinquantunomila possibili pazienti in terapia intensiva, che secondo i ricercatori, testuale, era stata calcolata «solo per darci un’idea di quello che potrebbe succedere ignorando che cos’è Covid», ma ben sapendo, ancora testuale, che «nessuno di noi si comporterà in un modo così sciocco da non assumere un minimo di protezioni».
Delle due l’una: chi ha passato quel documento ai giornali, indicando quel numero stratosferico e senza avvertire che era riferito a uno scenario irrealistico, o lo ha fatto non avendo capito lo studio del comitato tecnico scientifico oppure lo ha fatto con l’intenzione di manipolare l’opinione pubblica. Il dibattito è aperto su quale delle due ipotesi sia più preoccupante per il nostro paese.
FONTE:https://www.linkiesta.it/2020/05/comitato-scientifico-dati-terapie-intensive-giuseppe-conte-governo/
DIRITTI UMANI
Coronavirus. L’Oms vuole “deportare” i vostri familiari infetti entrando con la forza nelle vostre case? No!
Fox News propone uno pezzo dell’intervento di Michael Ryan dell’Oms alterandolo per insinuare un assurdo progetto
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Durante l’emergenza Coronavirus non mancano giornalisti che forniscono interpretazioni del tutto personali in merito alle dichiarazioni rilasciate da terzi. Il caso in questione riguarda l’intervento di Michael Ryan, direttore esecutivo del Programma Emergenze Sanitarie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, e le interpretazioni proposte dal conduttore americano Tucker Carlson, giornalista di Fox News. Secondo quanto raccontato da Tucker il 6 aprile 2020, del l’Oms vorrebbe «catturare i vostri figli per isolarli in modo sicuro e dignitoso, qualunque cosa significhi».
Come spesso accade, viene estrapolato uno breve pezzo dell’intervento di una persona escludendo tutto il resto, elementi che possono far comprendere il contesto e di conseguenza i reali riferimenti. Non solo, Tucker è andato a cercare un intervento pubblico del 30 marzo 2020 che non è stato affatto tenuto nascosto e risulta consultabile per intero con tanto di trascrizione.
L’intervento di Michael Ryan
Ryan risponde a una domanda posta dalla giornalista Naomi di Bloomberg:
Hi. Yes, I can. Thanks for taking my question. I wanted to ask, we’ve seen some different approaches to quarantine in China and in European countries with group quarantine used to good effect in China. Do you think that home quarantine will be as effective anywhere for people who are positive, or would central quarantine be needed in order to have the same success that China had?
La giornalista pone il quesito sull’efficacia della quarantena domestica rispetto alla quarantena praticata in Cina, considerando i risultati ottenuti. Ryan, nel rispondere, ribadisce il concetto di trattare i casi sospetti in una struttura medica adeguata e di porre in quarantena coloro che hanno avuto contatti con loro. Idealmente, aggiunge, la quarantena dovrebbe avvenire in un luogo diverso dalla propria abitazione perché se una persona si ammala rischia di infettare l’intera famiglia. Nei fatti risulta difficile seguire una linea guida del genere, di conseguenza la quarantena domestica è certamente accettabile con le dovute precauzioni e le adeguate informazioni:
Ideally, that quarantine should occur in a place other than the home. For this reason, one, because if that person gets sick, they may already have infected their family. But that’s not always possible, so at least quarantining contacts at home with good health advice that would not transmitting a disease if they’ve become sick and with regular monitoring of that individual is an option for countries. It is difficult to do that in the middle of intense transmission where you might have hundreds of thousands of contacts, because you’re having tokens of cases a day. It is difficult to deal with that, so home quarantine of contacts is acceptable with appropriate information acceptable with appropriate information education; and more importantly, a very rapid system of getting those people out of their homes if they become sick.
Dopo questa premessa, Ryan racconta di aver parlato con il presidente di Singapore che, per chi non lo sapesse, aveva fin da subito avviato un sistema complesso, investigativo e funzionale per individuare i contatti dei contagiati. Una volta ricostruita la catena dei contatti, essi sono stati messi in quarantena evitando la diffusione del virus nel paese con risultati eccellenti: a metà marzo 2020 si contavano solo 243 casi e nessun decesso. C’è da dire che, purtroppo, non hanno fatto attenzione ai cittadini di ritorno dall’estero che hanno diffuso il virus arrivando ad oggi, 12 aprile 2020, a 2.299 casi confermati e 8 decessi su una popolazione di circa 5.6 milioni di abitanti. Ecco le parole di Ryan:
I listened to the president of Singapore this morning and he had a conference call with the director general; and the clarity of that in Singapore, that ability not only to isolate cases but to rapidly detect illness in the contacts and remove those contacts should they become sick, was a central part of that. And as he said, they’re using apps now to do that. They’re testing apps, but that they didn’t do it with apps Singapore. They did that with community workers, with public health workers visiting the houses, checking on people, checking their health status every day and saying, “How are you? Have you got a fever? Have you got a cough?” And if a contact is developed a cough or a fever, they were taken immediately for testing.
So yes, we need the information technology tools. They help. They are not the solution. Right now, we don’t have an alternative to what we would’ve considered in the old days. boot-leather epidemiology. Public health practitioners, doctors, nurses, community workers, working with communities to detect cases at community level. And the most likely person to become a case is someone who’s been a significant contact of another case.
Il metodo di Singapore, quello iniziale, preso come esempio e l’utilizzo della tecnologia per aiutare ad effettuare i controlli. Questo fa si che si possa avere un quadro chiaro della diffusione del virus al fine di poterlo di fatto isolare e ottenere nel breve periodo un risultato ottimale. Ecco, dunque, la parte riportata da Fox News e diffusa all’estero per poi giungere anche in Italia grazie a qualche canale che ha soltanto riportato senza verificare alcunché:
And at the moment, in most parts of the world, due to lockdown, most of the transmission that’s actually happening in many countries now is happening in the household at family level. In some senses, transmission has been taken off the streets and pushed back into family units. Now, we need to go and look in families to find those people who may be sick and remove them and isolate them in a safe and dignified manner.
That’s what I was saying previously about the, the, the transition from movement restrictions and shutdowns and stay-at-home orders can only be made if we have in place the means to be able to detect suspect cases, isolate confirmed cases, track contacts, and follow up on the context health at all times, and then isolate any of those people who become sick themselves.
Ciò che spiega Ryan è che a seguito dei blocchi e delle quarantene si è passati da una diffusione «per strada» a una diffusione a livello familiare. Da un lato è un dato positivo perché dimostra che la circolazione del virus si sta fermando, ma rimane quell’ulteriore passo come fatto ad esempio a Singapore attraverso la tecnologia e le capacità investigative per ricostruire i contatti, al fine di isolare in modo sicuro e dignitoso le persone che presentano i sintomi nelle strutture sanitarie adeguate affinché vengano trattate e curate.
Chi decide come attuare la quarantena
Dopo aver ascoltato e letto la trascrizione dell’intero intervento, ho contattato l’Oms per eventuali chiarimenti, o ulteriori informazioni a riguardo. Ecco la risposta:
Hello David,
Quarantining has been used effectively in this outbreak to contain the outbreak in several countries. It is one of several interventions that together can be part of an effective strategy to help quickly detect, isolate and stop outbreaks. While the decision as to when to implement quarantine is up to individual countries, doing so early in an outbreak has been shown to slow the spread of COVID-19.
Come riporta l’email, la quarantena si è rivelata efficace per contenere l’epidemia in diversi paesi e in quanto tale è uno dei tanti interventi che possono far parte di una strategia per isolare e bloccare rapidamente le epidemie. La decisione su come attuare la quarantena, infatti, spetta ai singoli paesi che decidono in autonomia e indipendenza. Lo stesso Michael Ryan, come riportato da un articolo di Reuters del 25 marzo 2020, sostiene l’utilizzo della tecnologia ma senza violare la privacy e i diritti umani:
ZURICH (Reuters) – The World Health Organization is impressed by the offers of technology to help fight the coronavirus, but privacy and human rights must be protected, Michael Ryan, WHO’s top emergencies expert said on Wednesday.
L’alterazione di Tucker
Tucker, durante il suo intervento, sostiene che Ryan abbia annunciato, in risposta alla diffusione del Coronavirus, l’intrusione da parte delle autorità nelle abitazioni dei cittadini per rimuovere i familiari, «presumibilmente» con l’uso della forza. Dopo aver mostrato il pezzo tagliato con l’intervento di Ryan insinua che il dirigente dell’Oms abbia detto la seguente dichiarazione: «Verremo nelle vostre case e prenderemo i vostri figli e li isoleremo in modo sicuro e dignitoso». In merito al «sicuro e dignitoso» il conduttore insinua un ulteriore dubbio: «Qualsiasi cosa significhi».
Il conduttore di Fox News, ignorando deliberatamente l’intero discorso e il contesto dello stesso, ha prelevato uno spezzone per poi insinuare affermazioni e metodi mai dichiarati o suggeriti da Michael Ryan e l’Oms, come ad esempio il prelievo forzoso dei familiari e dei figli dalle proprie abitazioni. Tali dichiarazioni, del tutto interpretative del conduttore, potrebbero far pensare ai telespettatori (come vedremo con un esempio concreto) che l’Oms voglia procedere con un rastrellamento che porterebbe al rapimento dei propri cari per poi essere portati in chissà qualche centro detentivo da dove potrebbero non rivederli mai più.
La diffusione dell’alterazione
In Italia il «servizio» di Tucker è stato riproposto, senza effettuare verifiche, dal canale Youtube Byoblu con un video dal titolo «Dall’Oms progetto folle: separare le famiglie e “deportare” gli infetti: Michael Ryan». Ecco le parole del conduttore:
A volte è molto difficile capire dove finisce la fantasia e inizia la realtà. Realtà che sembra un film e però sentiamo insieme come parla un funzionario dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, lo ha detto in una conferenza stampa. Sentiamo il frammento e poi lo commentiamo in studio.
[Servizio di Tucker]
Ecco, in sostanza avete capito bene e di che cosa si tratta, cioè ci dicono che per evitare ulteriormente il contagio bisognerebbe rimuovere le persone infette dalle famiglie e portarle in un luogo sicuro, poi non si capisce bene – come dice giustamente il giornalista americano – che cosa significa “in maniera dignitosa”. Cioè, questo è un atteggiamento molto pericoloso perché stimola la risposta, cioè alla violenza e all’uso della violenza.
[…] Comunque queste parole sono effettivamente di una gravità molto elevata perché adesso arrivano a pensare di prendere le persone non più in strada, ma nelle case e isolarle dal resto della famiglia.
Qui possiamo vedere l’immagine di anteprima dove notiamo degli agenti americani che irrompono con violenza dentro un’abitazione:
Ecco il testo di descrizione presente su Youtube:
Ci verranno a stanare anche in casa nostra? Il messaggio del Dottor Michael Ryan, Direttore esecutivo del programma d’emergenza dell’Organizzazione mondiale della sanità, è chiaro: il virus si sta spostando dalle strade alle case, nelle famiglie. Diventa fondamentale quindi isolare le persone infette. Come? Andandole a prendere in casa per portarle in luoghi sicuri. In questa puntata della rassegna vi mostriamo il video con le dichiarazioni di Michael Ryan.
Nel video il conduttore sostiene che della presunta notizia «non ne parla nessuno» e dopo aver effettuato una piccola ricerca ha trovato un sito dove poteva leggerla, un sito di tecnologia. L’articolo, come riportato dal titolo «WHO official: ‘we may have to enter homes and remove family members’», insinua che l’Oms vuole entrare nelle vostre case per poi prelevare i vostri familiari:
World Health Organization official warns it may enter your home, and take a family member over coronavirus.
It feels like we’re in an altered reality right now, but this is real — a World Health Organization (WHO) official has said that they may have to “enter homes and remove family members” because of the novel coronavirus.
Eppure bastava cercare veramente utilizzando le parole di Michael Ryan per trovare la trascrizione fedele dell’intero intervento, così come il video completo. Non solo, cercando bene troviamo un articolo di Bloomberg del 30 marzo 2020 dove viene riportata la frase interpretata dall’opinionista di Fox News:
“Due to lockdown, most of the transmission that’s actually happening in many countries now is happening in the household at family level,” Mike Ryan, head of health emergencies at the World Health Organization, said in a briefing on Monday. “Now we need to go and look in families and find those people that may be sick and remove them and isolate them in a safe and dignified manner.”
Le reazioni degli utenti
Nel video di Byoblu il conduttore afferma che il «progetto folle dell’Oms» (citando il titolo del video) sarebbe «un atteggiamento molto pericoloso perché stimola la risposta, cioè alla violenza e all’uso della violenza». Veniamo ora ad alcuni dei commenti al video di Byoblu:
«Rimuovere? Cos’è muffa nel muro ? Mi sembra un ritorno ad Auschwitz siamo arrivati alla follia ? Che bruciassero all’inferno sti tirranni infami»
«eliminare fisicamente le merde dell’oms, e il problema del virus e risolto»
«Bisogna fermare questi Criminali.»
«“isolarli in maniera dignitosa” mi suona tanto di eliminazione fisica»
«LA PENA DI MORTE PER CHI DICE QUESTI EDITTI CRIMINALI»
«l’Organizzazione Mondiale della IN-sanità, quella loro mentale!!! ma arrestatelo subito!!!»
«il vantaggio degli US in confronto al Italia: li tutti sono armati pesantemente e son teste calde, in Italia nada»
Il video di Byoblu è una delle fonti citate in quello pubblicato l’otto aprile 2020 del canale Youtube «La Fruttariana Ribelle» dal titolo «Sta per compiersi il crimine del secolo».
Riportando pari pari l’alterazione dell’americano Tucker senza verificare quanto è stato dichiarato nel complesso dal dirigente dell’Oms, il quale non ha mai affermato azioni di tale gravità, riportando come immagine di anteprima del video una scena che aiuta a confermare il timore di un «progetto folle dell’Oms», così come l’uso della parola «deportare» nel titolo Youtube, spaventa inutilmente gli utenti e genera di fatto certe brutte reazioni.
Open.online is working with the CoronaVirusFacts/DatosCoronaVirus Alliance, a coalition of more than 100 fact-checkers who are fighting misinformation related to the COVID-19 pandemic. Learn more about the alliance here (in English)
FONTE:https://www.open.online/2020/04/12/coronavirus-loms-vuole-deportare-i-vostri-familiari-infetti-entrando-con-la-forza-nelle-vostre-case-no/
Quanto vale la vita di un anziano? L’incubo del triage
A fronte dello tsunami coronavirus, i nostri rianimatori sono stati costretti a compiere scelte laceranti nell’allocazione delle risorse disponibili
Da febbraio di quest’anno, solo per la terza volta sono riuscito a tornare a casa, in occasione del Primo Maggio, perché quotidianamente impegnato nell’emergenza COVID!
La mia attenzione è stata attirata dall’ennesima notizia radiofonica sulla pandemia, da un cartellone affisso sul muro del comune di Tolentino in cui abito (vedi sotto) e da uno spot pubblicitario: cosa legava le tre cose?
Tutte avevano come protagonisti le persone anziane, ma con approcci antitetici: le ultime due rivolgevano un ringraziamento ai nostri anziani per tutto il lavoro svolto e gli insegnamenti trasmessi e che ci hanno permesso di diventare un Paese progredito. La prima notizia riportava la denuncia di familiari di vittime anziane di una casa di riposo di Vercelli, il cui ricovero in ospedale sarebbe stato rifiutato con la seguente motivazione da parte del personale del 118 locale “Al momento abbiamo solo un posto letto disponibile, e sarebbe meglio lasciarlo libero ad un paziente giovane, piuttosto che ad una persona con poche speranze di sopravvivenza”
GIUSTIZIA E NORME
Cosa significa per l’Italia il potenziamento del Golden Power
Con il decreto legge n. 23 dell’8 aprile 2020, il governo ha potenziato l’istituto del Golden Power, ampliando la propria facoltà d’intervento nel mercato, a tutela dell’interesse nazionale, contro potenziali dinamiche “predatorie” indotte dalla situazione contingente. Con il Golden Power – esistente da più di un quarto di secolo, originariamente nella forma di Golden Share – la presidenza del Consiglio si riserva il potere di intervenire in acquisizioni di partecipazioni e specifiche delibere societarie relative a società operanti in settori considerati d’importanza strategica.
Senza soffermarsi sugli aspetti tecnico-giuridici, ci limitiamo a identificare di seguito i principali elementi innovativi del provvedimento. In primis, l’ampliamento del novero dei settori in cui l’esecutivo potrà intervenire: dagli ambiti di difesa, sicurezza nazionale, energia, trasporti, comunicazioni e 5G, il rimando nel dl all’art. 4 del regolamento (Ue) 2019/452 che istituisce un quadro per il controllo degli investimenti diretti esteri (Ide) nell’Unione tocca anche i settori finanza, credito, assicurazione, tecnologie critiche, duplice uso, sanitario, alimentare, materie prime, informazioni sensibili e media.
Sempre in attuazione del summenzionato regolamento Ue, una seconda novità è rappresentata dall’obbligo di notifica alla presidenza del Consiglio di acquisizioni di partecipazioni, da parte di soggetti extra-Ue, che superino certe soglie (non controlling interest). Il dl ha inoltre previsto un’equiparazione tra investitore Ue ed extra-Ue relativamente agli obblighi di notifica sulle acquisizioni che determinino il controllo nelle società target. Infine, in caso di violazione degli obblighi di notifica, la norma prevede che la presidenza potrà iniziare d’ufficio il procedimento per l’esercizio del Golden Power.
Il filtro europeo
La scelta del governo di assumere il ruolo di regia, sebbene accelerato dall’emergenza della pandemia, risponde a esigenze di carattere sistemico: l’assenza di efficaci strumenti a tutela del controllo di asset strategici che, sin dalla crisi finanziaria, sono entrati nel mirino di investitori controllati da altri Stati (prevalentemente Russia e Cina), i quali hanno iniziato una corsa agli investimenti nei settori sensibili. Opportunità di profitto o strategia geopolitica?
Il regolamento (Ue) 2019/452 indirizza gli Stati membri all’intervento, al fine di limitare gli effetti distorsivi generati dalla compresenza da un lato in un mercato interno Ue regolato da stringenti principi di concorrenza e, dall’altro, in un mercato globale in cui si cerca di trarre il maggior profitto, non rispettando le regole del gioco, e dunque non cooperando, come nel più classico “dilemma del prigioniero”. Risultato? Le società europee sono meno competitive nel mercato globale e ancor meno lo sono le piccole e medie imprese (Pmi), facili preda dei grandi investitori.
La risposta europea consiste in meccanismi di filtro adottati, ad oggi, da 14 Stati membri, ma che prevede, anche per gli altri 13, l’obbligo di fornire informazioni su richiesta riguardo a investimenti diretti esteri non sottoposti a screening, nonché la sottoposizione allo scrutinio della Commissione, qualora l’investimento incida su progetti d’interesse dell’Ue.
Le sfide nel nuovo contesto globale
L’evoluzione strutturale e ontologica della comunità internazionale, determinata dalla nascita di nuovi soggetti, come le grandi multinazionali, e di nuove tecnologie che modificano le nostre percezioni dimensionali e ci proiettano nell’Internet of things, obbligano gli Stati a una riconsiderazione dei paradigmi della sicurezza nazionale e internazionale e di conseguenza a interventi speciali. Tra questi – oltre alle già note sanzioni economiche – il Golden Power.
Paradigmatica è la competizione Usa-Cina sui semiconduttori verso una realtà automatizzata. Ne è risultato il carattere “sensibile” assunto da tecnologie che fino a qualche anno fa non esistevano o esulavano dalla tradizionale definizione di asset strategico, una su tutte il 5G. Le restrizioni statunitensi al commercio con il gruppo Huawei sono motivate da ragioni di sicurezza nazionale. Cresce, negli ultimi anni, il timore delle autorità Usa sulla dottrina, promossa da Xi Jinping, della civil-military fusion, in estrema sintesi tutto quello che viene acquistato via commercio è scrutinato dai militari che ne cercano un possibile reimpiego. Pertanto gli Usa stanno valutando restrizioni sempre maggiori al commercio con la Cina e filtri sempre più stringenti agli investimenti.
Tali restrizioni potrebbero estendersi a quegli Stati che non adottano politiche idonee a tutelare gli asset sensibili, come potrebbe indurre a pensare la preoccupazione espressa dal Dipartimento di Stato americano lo scorso 2 aprile in merito a una transazione conclusa nel 2014 tra la Marina britannica e una società italiana partecipata da una società cinese per il 40%.
Pertanto, con il Golden Power, l’Italia non solo riafferma la propria presenza come soggetto sovrano, ma si prepara a effettuare una scelta di campo, probabilmente atlantica, per la tutela sia della propria sicurezza nazionale sia dell’esposizione del proprio sistema economico all’Occidente.
Questa pubblicazione fa parte di una serie realizzata in collaborazione con lo Studio Legale Padovan.
FONTE:https://www.affarinternazionali.it/2020/05/cosa-significa-per-litalia-il-potenziamento-del-golden-power/
IMMIGRAZIONI
CORONAVIRUS IN PARROCCHIA DON BIANCALANI: IMMIGRATI POSITIVI
I carabinieri ed i sanitari della Misericordia, nei giorni scorsi, avevano dovuto faticare non poco per riportare i facinorosi alla calma ed allontanarli dai residenti. In un video registrato da uno dei sanitari, si era distintamente udito un militare che affermava: “Qua non ce la facciamo più a contenere”.L’altro giorno il primo ricovero per sospetto coronavirus: “Ci mancherebbe anche questa, in caso di positività sarebbe un disastro”, aveva commentato don Biancalani.
Al momento sarebbe accertato un caso sospetto, mentre altri due ospiti sono già stati separati dal resto del gruppo e messi in isolamento.
“Per il centro di accoglienza pistoiese sono state intraprese azioni di prevenzione analoghe a quelle adottate nelle Rsa e nelle strutture socio sanitarie della Toscana, per proteggere gli ospiti dall’eventuale contagio e la comunità circostante”, ha dichiarato in una nota la Asl Toscana. “Il 27 aprile, sono stati un centinaio gli ospiti ai quali, il dipartimento d’igiene pubblica e della nutrizione dell’area pistoiese, in collaborazione con due associazioni locali, ha effettuato i test sierologici previsti. Per la comunità di Vicofaro sono state messe in atto le stesse procedure di valutazione epidemiologica adottate già per altre comunità a tutela degli ospiti e del contesto sociale in cui sono inseriti”, conclude il comunicato.
“È una questione di ordine pubblico ormai conclamata. È un problema di sistema di accoglienza che evidentemente ha fallito. Non sono solo io a dirlo, ma anche la stessa Curia che lo certifica”, ha commentato nei giorni scorsi il sindaco di Pistoia, Alessandro Tomasi (FdI). Grande preoccupazione anche da parte del coordinatore regionale di Fratelli d’ Italia Francesco Torselli, che sta seguendo la vicenda. “Esistono forti dubbi su come don Biancalani gestisca questo centro e su quali siano le condizioni in cui vengono tenuti gli ospiti all’ interno. Poche ore prima del test i migranti erano tutti in strada a ballare e cantare Bella ciao in mezzo ad altri cittadini. Chi può garantirci che tra i novelli partigiani-ballerini non vi fossero anche quelli che sono stati riscontrati positivi?”, ha dichiara su “La Verità”. Questa mattina, il rappresentante FdI si sfogato con un duro post sulla propria pagina Facebook: “Ve li ricordate gli ospiti del prete-superstar di Pistoia, don Biancalani, qualche giorno fa, tutti belli arzilli in strada a cantare e ballare Bella Ciao mentre il resto d’Italia era chiuso in casa a rispettare le regole imposte dal governo? Ieri abbiamo appreso che dopo molte proteste da parte dei cittadini, anche gli amici del prete che mette le bandiere rosse fuori dalla chiesa sono stati sottoposti al test per il Covid-19 e, al momento, ci sarebbero già due migranti in isolamento e un terzo caso sospetto in attesa dell’esito dei tamponi. Se l’esito dei test fosse confermato, chi può garantirci che gli eventuali positivi al virus non fossero tra i partigiani-ballerini del 25 aprile?”.
FONTE:https://voxnews.info/2020/04/29/coronavirus-in-parrocchia-don-biancalani-immigrati-positivi/
LA LINGUA SALVATA
Propaganda
propaganda Azione che tende a influire sull’opinione pubblica e i mezzi con cui viene svolta. È un tentativo deliberato e sistematico di plasmare percezioni, manipolare cognizioni e dirigere il comportamento al fine di ottenere una risposta che favorisca gli intenti di chi lo mette in atto. La p. utilizza tecniche comunicative che richiedono competenze professionali, nonché l’accesso a mezzi di comunicazione di vario tipo, in particolare ai mass media, e implicano un certo grado di occultamento, manipolazione, selettività rispetto alla verità. I messaggi possono arrivare a implicare diversi gradi di coercizione o di minaccia, possono far leva sulla paura o appellarsi ad aspirazioni positive.
Rientrano nella p. alcune forme di comunicazione pubblica istituzionalizzata come l’attività di pubbliche relazioni di organi governativi, grandi imprese e altre istituzioni, le campagne politiche, le campagne di pubblica informazione. Assai più forte che nell’antichità (che pure non la ignorava), la necessità della p. si è affermata in tempi recenti, in relazione con la sempre maggiore partecipazione delle masse e con il riconoscimento dell’opinione pubblica come forza agente nella storia. La p. moderna tende a rivolgersi in modo particolare non alla ragione, bensì all’inconscio e all’irrazionale; si avvale quindi della psicologia, della sociologia, della psicologia delle masse ecc., per elaborare una tecnica speciale, identica nella sua sostanza a quella della p. commerciale, detta propriamente pubblicità. I mezzi cui ricorre la p. sono tutti quelli atti a provocare emozioni intense, anche se non immediatamente apparenti, ma durature, quali la creazione di slogan ripetuti costantemente dalla radio, televisione, stampa, manifesti ecc., e anche forme di più sottile diffusione, quali la letteratura, il teatro, le arti figurative ecc., che possono più facilmente influenzare i ceti colti.
FONTE:http://www.treccani.it/enciclopedia/propaganda/
PANORAMA INTERNAZIONALE
Coronavirus, Cina dona altri 30 milioni di dollari all’Oms
La donazione per “sostenere la battaglia globale contro Covid-19”
Pechino, 23 apr. La Cina, primo Paese al mondo a fare i conti con l’emergenza , annuncia una donazione di altri 30 milioni di dollari a favore dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e parla di “solidarietà” dopo che Donald Trump ha deciso di sospendere i fondi all’organizzazione accusandola di aver “portato avanti la disinformazione della Cina” sul coronavirus. “La Cina – si legge in un tweet della portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Hua Chunying – ha deciso di donare altri 30 milioni di dollari in contanti all’Oms per sostenere la battaglia globale contro la Covid-19, in particolare per rafforzare i sistemi sanitari nei Paesi in via di sviluppo”.
Il gigante asiatico, precisa la portavoce, ha già “donato l’11 marzo 20 milioni di dollari in contanti all’Oms”. “In questo momento cruciale – aggiunge – sostenere l’Oms è sostenere il multilateralismo e la solidarietà globale”. In queste settimane da più parti alla Cina è stata chiesta maggiore “trasparenza” sulla gestione delle prime fasi dell’epidemia.(Adnkronos)FONTE:http://www.padovanews.it/2020/04/23/coronavirus-cina-dona-altri-30-milioni-di-dollari-alloms/
POLITICA
L’allarme di Mattarella: comunicazioni più chiare e stop decreti a raffica
I paletti del presidente: nessuna crisi ora ma il cambiamento sapientemente governato
No, non tira una bella aria. Conte che annaspa e attacca le «iniziative improvvide e illegittime» delle Regioni. Renzi che minaccia di rompere «perché con il paternalismo populista non ne usciamo».
Salvini che occupa le Camere e le dirette Facebook. Ma questo è il quadro generale, questo il livello del dibattito, e stavolta anche uno come Sergio Mattarella, il giorno della festa del lavoro, comincia a preoccuparsi. Dov’è il progetto, si chiede, dov’è la grande politica? E le speranze per i nostri giovani? La fase due non sarà una passeggiata. «Attraversiamo un passaggio d’epoca pieno di difficoltà. Molto cambierà nella vita della nostra società e questo cambiamento andrà sapientemente governato». Conte sarà in grado di farlo?
I dubbi del Quirinale sono tanti però la crisi è esclusa, almeno per il momento. «Ora guardiamo alla ripresa, ad essa vanno indirizzati tutti gli sforzi in modo concorde, senza distrazioni o negligenze». Certo, il premier dovrebbe cambiare registro, quantomeno comunicativo. «Sono necessarie indicazioni ragionevoli e chiare da parte delle istituzioni», dice il capo dello Stato, e non i mezzi annunci e le conferenze confuse: il balletto sui congiunti, corsetta sì e corsetta no, scuole chiuse e asili nido vedremo. Dovrebbe smetterla pure con la raffica dei decreti del presidente del Consiglio: uno strumento formalmente lecito, che rispetta la Costituzione, però insomma, adesso basta. E soprattutto dovrebbe darsi da fare di più per aiutare la gente che ha fame, i negozianti che devono tenere chiusa la bottega, le industrie vicine al crac. Troppe le promesse non rispettate. Serve, spiega Mattarella «un equo, efficace e tempestivo sostegno alle famiglie e alle attività produttive, a quanti sono rimasti disoccupati e senza reddito». E non è solo una questione di sopravvivenza, ma il modo «per far compiere un salto di qualità alle imprese».
Primo Maggio diverso, tra paure e speranze, con il lavoro degli italiani sempre a fare da architrave. Il discorso del presidente è grave, accorato, e suona come un ultimo appello a una classe politica non all’altezza: smettetela di litigare, scrive, il Paese deve ripartire in fretta. «Si richiede un responsabile clima di leale collaborazione tra le istituzioni e nelle istituzioni, che sono chiamate ad assicurare la realizzazione della solidarietà politica, economica e sociale prevista dalla Costituzione». Non si può andare in ordine sparso e non ci si può dividere su questioni che riguardano i bisogni primari dei cittadini, la salute e il lavoro. «Non può esservi contrapposizione tra sicurezza e occupazione».
Tuttavia adesso c’è una luce. «Appare finalmente possibile un graduale superamento delle restrizioni. La nuova fase non comporti ulteriori precarietà ed esclusioni ma sia l’occasione per affrontare ritardi antichi. Lavoro per giovani, donne, nel Sud. Lavoro nero da far emergere, sfruttamento da interrompere». Dunque la ripresa «è possibile, perché in due mesi di sacrifici siamo riusciti ad attenuare molto la pericolosità della pandemia. Tuttavia non va dimenticata l’angoscia delle settimane precedenti durante la feroce aggressione del virus».
La fase due non è un tana libera tutti, occorre «senso di responsabilità dei cittadini perché continuino a comportarsi con la necessaria prudenza e rispettino le indicazioni». Seguiamo le istruzioni, sperando che comincino ad essere chiare. «Non vanno resi vani gli sforzi fatti se vogliamo riconquistare, senza essere costretti a passi indietro, condizioni di crescente serenità». Ben sapendo che nulla sarà più come prima, soprattutto per il lavoro. Toccherà «riprogettare il nostro futuro», conclude Mattarella. Ci riusciremo?
FONTE:https://www.ilgiornale.it/news/politica/lallarme-mattarella-comunicazioni-pi-chiare-e-stop-decreti-1859504.html
Tutte le elezioni rinviate a causa del coronavirus
Il Covid-19 e le scelte dei governi per contenere e debellare il virus stanno modificando le nostre abitudini di vita. Tra le ripercussioni che lo stato attuale delle cose sta avendo c’è la sospensione temporanea di uno diritto dei diritti portanti delle democrazie. Stiamo parlando della possibilità di esprimere la propria opinione attraverso il voto, che si tratti di elezioni politiche o di consultazioni come i referendum. Dalla Bolivia alla Serbia, passando per la Francia e la Spagna, sono molte le tornate elettorali originariamente in programma in questi mesi e che sono state, invece, posticipate. Altre – come le legislative in Corea del Sud -, si sono già tenute o si terranno comunque a prescindere dall’emergenza.
Lo Spiegone avrebbe dovuto accompagnarvi per tutto il 2020 sulle pagine online di AffarInternazionali, con l’Osservatorio Elettorale, per tenervi aggiornati sulle consultazioni, grazie allo studio dei sistemi elettorali e all’esame dei vari candidati in campo. E continueremo a farlo, aspettando l’apertura fisica delle urne, con l’elenco qui sotto, dove troverete continui aggiornamenti sulle nuove date e sulle decisioni dei governi in cui le elezioni hanno subito modifiche. Quando finalmente si tornerà a voterà, l’Osservatorio Elettorale tornerà a pieno regime con le sue schede e le sue analisi.
Per le elezioni confermate, come le presidenziali del 10 maggio in Polonia, porteremo avanti lo stesso lavoro di sempre, concentrandoci anche sui motivi per cui queste hanno avuto sviluppi diversi.
VIDEO QUI: https://youtu.be/cslR0mnCLSI
15-22 marzo – Francia – Elezioni municipali
Il secondo turno era previsto il 22 marzo; al momento il 21 giugno sembra una data possibile per recuperarle. La decisione, tuttavia, sarà presa solo a maggio.
Il presidente Emmanuel Macron aveva escluso categoricamente la possibilità di rimandare le elezioni municipali – al voto anche Parigi -, nonostante a metà mese la Francia fosse il secondo Paese europeo per numero di contagi, subito dietro l’Italia. Il ministero dell’Interno aveva emanato una circolare con delle disposizioni aggiuntive per garantire lo svolgimento delle votazioni in sicurezza e consentire il voto per procura, e giovedì 12 Macron stesso si era rivolto ai francesi in diretta TV, confermando che le consultazioni previste la domenica successiva avrebbero avuto luogo. In un clima di paura dettato dalle misure di emergenza sempre più restrittive, ben pochi cittadini si sono recati alle urne domenica 15 marzo – meno del 45% degli aventi diritto, in calo del 18,9% rispetto a cinque anni prima. La mattina di martedì 17 marzo, il Consiglio dei ministri ha ufficialmente rimandato il secondo turno e depositato un progetto di legge per convocare nuove consultazioni entro giugno, anche se una decisione definitiva sarà presa a maggio. La proposta ha incontrato diverse proteste: il rinvio non sarebbe sufficiente per assicurare lo svolgimento delle votazioni in totale sicurezza e consentire la partecipazione di tutti i cittadini. È da notare che i risultati del primo turno, ove i candidati hanno superato la soglia di elezione diretta del 50% più uno, sono convalidati. Anche in questo caso, la decisione ha suscitato critiche, a causa proprio dell’affluenza molto bassa che toglierebbe legittimità ai risultati del voto.
26 marzo – Isole Falkland/Islas Malvinas – Referendum
Inizialmente annunciato per il 26 marzo, il referendum si svolgerà probabilmente tra sei mesi, ma ancora non c’è una nuova data certa.
Il referendum del 26 marzo verteva sull’unificazione dei collegi elettorali. Il quesito – “Should there be two constituencies, Stanley and Camp, or should there be one constituency for the whole of the Falkland Islands?” – chiede ai cittadini del territorio britannico d’Oltremare se sono d’accordo o meno sull’unificazione dei due collegi elettorali al momento esistenti, Stanley e Campo. Nei due collegi si eleggono rispettivamente cinque e tre membri dell’Assemblea legislativa. Le isole, pur essendo rivendicate dall’Argentina, sono amministrate da un governatore nominato dalla Corona del Regno Unito. Ad oggi sono poco più di dieci i casi di coronavirus accertati nelle isole e nessun decesso.
5 aprile – Spagna – Elezioni delle comunità autonome di Galizia e Paesi Baschi
Il 5 aprile si sarebbero dovute svolgere le elezioni nelle comunità autonome di Galizia e Paesi Baschi. La dichiarazione dello stato d’emergenza da parte di Madrid, adottata la sera del 15 marzo, ha però spinto i governi autonomi a rinviare le consultazioni. Nel caso basco, il lehendakari (capo del governo) Iñigo Urkullu ha dato l’annuncio il 16 marzo, di comune accordo con tutti i partiti. La decisione prende la forma di un provvedimento sospensivo del decreto di convocazione elettorale, che consentirà al lehendakari di riconvocare le elezioni per la prima domenica utile dopo la fine dello stato di emergenza, senza consultare Madrid.
Nello stesso giorno, la Xunta galiziana ha annunciato il rinvio, anche in questo caso con il supporto di tutti i partiti. I calendari elettorali delle due nacionalidades storiche sono coordinati dal 2009. Resta da capire se l’emergenza Covid-19 interromperà questo coordinamento, anche se per il momento non sembra sarà così. Il governo galiziano aveva inizialmente prospettato la possibilità di seguire un percorso diverso rispetto a quello basco, ma infine la procedura legale adottata sarà la stessa: sospensione del decreto e riconvocazione immediata dopo la revoca dei due stati di emergenza. C’è accordo di massima anche sul periodo, seppure una data non sia ancora stata decisa: le elezioni, infatti, si terranno sicuramente dopo l’estate.
5 aprile – Armenia – Referendum
Il premier Nikol Pashinyan ha proposto un referendum per sospendere i poteri di sette giudici della Corte costituzionale (compreso il suo presidente Hrayr Tovmasyan) eletti prima della modifica costituzionale del 2015. Si tratta di una delle tante mosse adottate da Pashinyan per apportare un “taglio con il passato” e completare la sua cosiddetta “rivoluzione di velluto” che due anni fa gli consentì di arrivare al potere in Armenia. L’appuntamento è stato rinviato a causa dell’epidemia di Covid-19. L’Armenia è il Paese con il numero più elevato di contagi nel Caucaso meridionale. Il referendum posticipato avrà luogo non prima di 50 giorni e non oltre 65 giorni dopo lo stato di emergenza.
La situazione in corso non ha impedito al regime che controlla il Nagorno-Karabakh di tenere elezioni parlamentari e presidenziali nella regione occupata, al momento non riconosciuta a livello internazionale)
12 aprile – Macedonia del Nord – Elezioni parlamentari
Il 18 marzo il governo della Macedonia del Nord ha dichiarato lo stato di emergenza per far fronte alla diffusione della pandemia. Contestualmente, tutte le operazioni elettorali sono state sospese e le elezioni parlamentari anticipate, inizialmente previste per il 12 aprile dopo le dimissioni del governo socialdemocratico presieduto da Zoran Zaev e l’insediamento di un esecutivo di unità nazionale, sono rimandate a data da destinarsi.
22 aprile – Russia – Referendum sulla riforma costituzionale
Il referendum sulla riforma costituzionale, previsto per il 22 aprile, è stato rimandato. Il Cremlino spera di poter votare verso la fine di maggio o l’inizio di giugno.
Vladimir Putin è oggi al suo quarto mandato presidenziale, e molti osservatori hanno iniziato già da tempo a interrogarsi sui suoi piani dopo il 2024. La Costituzione russa, infatti, vieta di candidarsi per la presidenza per più di due mandati consecutivi, o almeno lo ha vietato fino a questo momento. All’inizio di quest’anno, lo stesso Putin aveva annunciato una riforma costituzionale di natura abbastanza ambigua, che sembrava prevedere una nuova redistribuzione dei poteri fra gli organi dello Stato. Il 10 marzo scorso, tuttavia, la deputata di Russia Unita Valentina Tereshkova ha offerto una soluzione più rapida alla questione: ha proposto alla Duma un emendamento costituzionale che azzererebbe il conteggio dei mandati di Putin finora, permettendogli di candidarsi per altri due turni fino al 2036. Approvato in Parlamento con una maggioranza schiacciante, l’emendamento è stato firmato dalla Corte costituzionale nel giro di una settimana.
La riforma doveva essere quindi sottoposta a referendum il prossimo 22 aprile, ma la consultazione è stata rinviata a data da destinarsi a causa del coronavirus. L’emergenza sanitaria sta mettendo in pausa la politica interna russa: gli attuali divieti sugli eventi di massa stanno influenzando direttamente le operazioni di tutti partiti politici, poiché sia i raduni pubblici che le riunioni interne (compresi i congressi di partito, le plenarie e le primarie) rientrano nel divieto. Mano a mano che l’epidemia avanza e vengono prese contro-misure, sembra probabile che la maggior parte dell’attività politica si sposterà sui social media e su piattaforme online, siti web e canali Telegram.
25 aprile – Sri Lanka – Elezioni parlamentari
Le elezioni parlamentari che si sarebbero dovute svolgere in Sri Lanka il 25 aprile sono state rimandate a data da destinarsi a causa del Covid-19. La notizia è stata pubblicata dalla gazzetta ufficiale dello Sri Lanka il 22 marzo, aggiungendo che dal 14 maggio sarà resa nota la data in cui saranno posticipate le elezioni. A novembre 2019 i cittadini srilankesi avevano eletto come presidente Gotabaya Rajapaksa, il quale a inizio marzo aveva deciso di sciogliere il Parlamento e indire elezioni anticipate, sei mesi prima del previsto. Le elezioni si svolgeranno quasi sicuramente non prima di giugno.
26 aprile – Serbia – Elezioni parlamentari
Il 15 marzo, il presidente serbo Aleksandar Vučić ha dichiarato lo stato di emergenza per almeno trenta giorni e annunciato misure restrittive per arginare la diffusione del virus, tra cui la sospensione delle operazioni elettorali. Il giorno dopo, la commissione elettorale ha ufficialmente rimandato le elezioni parlamentari, inizialmente fissate per il 26 aprile, a data da destinarsi. La campagna elettorale fino a quel momento si era svolta in un clima di tensione: diversi partiti dell’opposizione avevano annunciato il boicottaggio delle elezioni, sostenendo che lo strapotere di Vučić sui media e sui procedimenti elettorali ne avrebbe impedito lo svolgimento trasparente e competitivo.
26 aprile – Cile – Referendum costituzionale
Il 26 aprile i cittadini cileni avrebbero dovuto votare per riformare la Costituzione. La consultazione è stata rimandata al 25 ottobre. In Cile vige tuttora la Costituzione del 1980, stilata sotto la dittatura di Augusto Pinochet. Tra le richieste più importanti emerse dalla stagione di proteste dello scorso autunno, c’è la necessità di redigere un nuovo testo costituzionale che sostituisca il precedente e segni, non solo simbolicamente, la fine di quegli anni.
Il quesito richiede di approvare o rifiutare la stesura di una nuova Costituzione e di esprimere preferenza sul tipo di organo che dovrà redigerla. Il Cile, insieme a Brasile ed Ecuador, è uno dei Paesi che ha registrato più contagi nel continente.
Aprile/Maggio – Primarie Usa
Inizialmente previste tra aprile/maggio, diverse primarie democratiche (18 in totale) sono state posticipate nel periodo compreso tra maggio e giugno. In seguito all’emergenza Covid-19, la decisione è stata presa dai singoli Stati per evitare assembramenti. In generale tutti stanno cercando di lavorare sul voto per corrispondenza e alcuni (Ohio, Alaska, Wyoming, Hawaii e Kansas) hanno già cancellato il voto ai seggi.
Anche la Convention di Milwaukee, dove si eleggerà ufficialmente il candidato democratico alla presidenza, prevista per il periodo 13-16 luglio è stata spostata al 17-20 agosto. Unica eccezione, il Wisconsin, dove si è votato lo scorso 7 aprile: il governatore dello Stato democratico ha provato fino all’ultimo a posticipare le primarie, ma è stato fermato prima dal ramo legislativo – controllato dai repubblicani – e poi dalla Corte Suprema, che ha bloccato in extremis un suo ordine esecutivo emanato il 6 aprile come extrema ratio per fermare il voto.
Maggio – Etiopia – Elezioni generali
Le elezioni generali erano previste in Etiopia per maggio, poi per il 16 agosto, rimandate ancora al 29 dello stesso mese e ora a data da destinarsi. I primi due rinvii non hanno nulla a che fare con il Covid-19 . La situazione tesa nella regione del Tigray e gli strascichi lasciati dalla creazione del Prosperity Party hanno spinto molti a pensare che non ci fossero le condizioni per lo svolgersi di elezioni “free and fair”, come il primo ministro Abiy Ahmed promette che saranno, a maggio 2020. Il National Electoral Board of Ethiopia ha quindi proposto il 16 agosto come nuova data, ma essendo in piena stagione delle piogge si sarebbero complicati gli spostamenti della popolazione per recarsi ai seggi Si è optato quindi per il 29 agosto, ma con il diffondersi della pandemia nel mondo l’Etiopa è stato il primo Stato del continente a decidere di rinviare le elezioni a data da destinarsi. La data verrà annunciata solo a fine pandemia, nonostante il rischio che il mandato dei parlamentari, in scadenza a settembre, termini prima delle prossime elezioni.
Nella tornata elettorale che verrà, gli etiopi saranno chiamati a scegliere i nuovi membri della House of Peoples’ Representatives e i membri dei consigli degli Stati regionali e dei consigli locali. La House of Peoples’ Representatives è la camera bassa dell’organo legislativo etiope – la Federal Parliamentary Assembly – ed è composta da 547 deputati. La scelta di questi è molto importante perché, essendo quello etiope un sistema parlamentare, sarà tendenzialmente il capo della coalizione che otterrà più seggi ad aggiudicarsi il ruolo di primo ministro. In particolare, in queste elezioni verrà per la prima volta giudicato l’operato di Abiy Ahmed, primo ministro da aprile 2018 e premio Nobel per la pace nel 2019.
3 maggio – Bolivia – Elezioni presidenziali
Il 3 maggio si sarebbe dovuto votare in Bolivia per ripetere le contestate elezioni presidenziali del 20 ottobre scorso. Tuttavia, a causa dell’emergenza Covid-19, queste sono state rimandate a data da destinarsi (probabilmente in estate). La vittoria di Evo Morales non era stata riconosciuta dalle Commissioni di osservazione elettorale dell’Organizzazione degli Stati Americani e dell’Unione europea. Contro la riconferma del presidente si erano ammutinate una parte considerevole della Polizia e delle Forze Armate boliviane, portandolo alle dimissioni e alla fuga in Messico. Jeanine Áñez, dell’opposizione conservatrice, è presidente ad interim dal 12 novembre scorso.
7 maggio – Regno Unito – Elezioni locali
La decisione del governo è arrivata il 13 marzo: le elezioni locali, tra cui quelle municipali a Londra, inizialmente previste per il 7 maggio, saranno posticipate di 12 mesi, in linea con le indicazioni della Commissione elettorale. Questa aveva raccomandato il rinvio almeno all’autunno, alla luce dei dati allarmanti sui contagi e del “rischio crescente” che la pandemia avrebbe limitato la partecipazione elettorale. Inizialmente, l’esecutivo aveva minimizzato i rischi: proprio in risposta alla Commissione elettorale, Chloe Smith – ministra per la Costituzione e la devolution – aveva confermato che le votazioni si sarebbero svolte regolarmente e che il governo stava lavorando con le autorità locali per garantire la sicurezza dei presidi elettorali. Tuttavia, di fronte a pressioni politiche crescenti e a contagi in costante aumento, Downing Street ha infine dovuto accogliere le raccomandazioni della Commissione.
17 maggio – Repubblica Dominicana – Elezioni generali
Elezioni generali nelle quali si voterà per il presidente, il vicepresidente, i senatori e i deputati. Già il voto delle elezioni municipali di febbraio era stato annullato per problemi nella gestione del voto automatizzato. Le municipali si sono alla fine svolte il 15 marzo, con notevoli difficoltà nel conteggio. La nuova data per le elezioni generali è il 5 luglio con eventuale seconda tornata il 26. Secondo la Costituzione, l’investitura del presidente deve tenersi il 16 agosto: il voto è stato programmato nel tentativo di mantenere questa data.
***Lo Spiegone è un sito giornalistico fondato nel 2016 e formato da studenti universitari e giovani professionisti provenienti da tutta Italia e sparsi per il mondo con l’obiettivo di spiegare con chiarezza le dinamiche che l’informazione di massa tralascia quando riporta le notizie legate al mondo delle relazioni internazionali, della politica e dell’economia.
FONTE:https://www.affarinternazionali.it/2020/04/tutte-le-elezioni-rinviate-a-causa-del-coronavirus/
SCIENZE TECNOLOGIE
C’E’ LA CURA PER IL CORONAVIRUS, MA VIENE CENSURATA DALL’OMS, DAL GOVERNO, DAI GIORNALONI E DAI MEDIA?
Rilancio con sgomento questo video di Fusaro, ottimo filosofo che cerca con socratico impegno la verità senza avere certezze.
VIDEO QUI: https://youtu.be/N27C7y-ZwG8
Stando alla notizia il Prof. Tarro, più volte candidato al Nobel per la Medicina, sbeffeggiato in modo ignobile dall’inqualificabile Burioni targato OMS, OMS finanziato da FONDAZIONI DIRETTA ESPRESSIONE DELLA CUPOLA FINANZIARIA e quindi piegato al profitto e non alla salute dei cittadini del mondo, quelli che per curare il coronavirus ci dicono lavatevi le mani, usaTe la mascherina (quando si sa benissimo che sono gli occhi una delle porte di ingresso dei virus) ad eternum, arresti domiciliari, distruzione dell’economia italiana IN ATTESA DEL TOTEM = VACCINO….VACCINO…….VACCINO, che per un virus mutevole come questo è una cavolata!!
ribadisco dalle viva voce del prof. Tarro:
VIDEO QUI: https://youtu.be/G_MsGXkwBnw
Qui ci vuole un immediata indagine parlamentare e giudiziaria, perché se Tarro e altri hanno ragione (La Cina sono più di 3 mesi che usa la cura sierologica con successo!!! E ci sono almeno 3 ospedali citati da TARRO che da tempo con la terapia Sierologica NON HANNO PIU’ MORTI E I MALATI IN 2 GIORNI GUARISCONO SE NON HANNO PATOLOGIE ORMAI TERMINALI!!) siamo di fronte a dei crimini gravissimi contro i cittadini italiani e lo stato stesso che è messo sotto ricatto U.E. dalle conseguenze del Coronavirus gestito come è stato gestito finora da questo governo di vicerè tedeschi e francesi! SEMBRA FATTO APPOSTA PER POTERCI IMPORRE MES, SUDDITANZA COLONIALE, AUTERITY E LE ALTRE CRIMINALI POLITICHE ECONOMICHE CHE LA U.E. PORTA AVANTI PER PERMETTERE ALLA GERMANIA E AI SUOI STATERELLI…..SCAGNOZZI …..ALLEATI!
VIDEO QUI: https://youtu.be/WJVKxRc6z40
Rilancio anche questo punto di vista “interessante”.
RIBADISCO: ma non sarebbe il caso di verificare come mai le terapie sierologiche che in Cina usavano già da mesi e che hanno dato la svolta in quel paese da noi vengano usare con mesi di ritardo e solo in pochi singoli ospedali? Quante vite si potevano salvare mentre gli speudo espertoni governativi non fanno che parlare del vaccino di la da venire QUANDO C’ERA UNA CURA GIA’ COLLAUDATA IN CINA E ORMAI COLLAUDATA IN PIU’ OSPEDALI ANCHE IN ITALIA!!
Qui ci sono cose estremamente sospette su cui chi di dovere deve indagare a fondo!! Se non è servo anche lui!
FONTE:https://scenarieconomici.it/ce-la-cura-per-il-coronavirus-ma-viene-censurata-dallomsdal-governo-dai-giornaloni-e-dai-media-di-marco-santero/
STORIA
La strage di Odessa, 2 maggio 2014
Sono ormai trascorsi 6 anni dalla strage di Odessa, ma ancora oggi i familiari delle vittime non hanno il diritto di conoscere ufficialmente i colpevoli di questo orrendo massacro. Oltretutto, il 2 maggio di ogni anno i balordi nazisti ucraini giungono in piazza Kulikovo per calpestare e bruciare i fiori che i parenti delle vittime hanno appena depositato sul logo dell’eccidio.
Ciò che è accaduto ad Odessa il 2 maggio 2014 può essere riassunto in questo modo: i discendenti del criminale nazista Bandera hanno vigliaccamente ucciso i discendenti di soldati e partigiani sovietici. Ad Odessa, dando fuoco a civili disarmati hanno ripetuto le infamità dei loro squallidi antenati, ed i loro slogan mettono in evidenza i complessi di inferiorità che questa marmaglia nutre nei confronti del glorioso popolo russo. Questi moderni Giuda hanno venduto sia la fratellanza slava che la fede ortodossa, hanno venduto il loro Paese, sono solo dei miseri traditori.
Una caratteristica dell’Ucraina moderna sono infatti proprio i nazisti seguaci di Bandera. L’Ucraina ha un governo illegittimo frutto di un colpo di stato, è un Paese completamente in preda alla corruzione, la sua economia è sull’orlo del collasso, le uniche strutture funzionanti sono eredità dell’era sovietica, dagli anni dell’indipendenza in poi ed anche attualmente non si è creato nulla di nuovo, non una fabbrica, non una centrale elettrica, nemmeno un cavalcavia. Per quanto concerne i diritti umani tanto cari agli occidentali, in Ucraina non vi è alcuna espressione di libertà democratica, non vi è libertà di coscienza, viene imposto il terrore verso i dissidenti del colpo di stato, le elezioni politiche sono del tutto fasulle, avvengono quotidianamente rapimenti e massacri a danno della popolazione civile del Donbass, eppure i patetici governi occidentali accecati dall’odio verso la Federazione Russa e nei confronti del suo Presidente, accettano tale situazione ed anzi miseramente la sostengono. L’attacco alla Federazione Russa è in pieno svolgimento su tutti i fronti. Così nell’Europa orientale è apparsa una ferita sanguinante guidata da nazisti seguaci del criminale ucraino Bandera.
Il 2 maggio 2014 ad Odessa, diverse decine di civili innocenti sono stati uccisi da vili criminali, subumani senza coraggio, quali sono per l’appunto i seguaci di Bandera, oppure come qualcuno diplomaticamente li definisce, i “nazionalisti ucraini”.
Questi codardi hanno ucciso 48 persone, 30 delle quali bruciate vive o soffocate dal fumo a causa dell’incendio della Casa dei Sindacati. Altre 170 persone sono state ricoverate in ospedale con varie ferite. Il colpo di stato avvenuto a Kiev nel novembre del 2013 si riflesse inevitabilmente sulla città di Odessa. La situazione in città si aggravò a fine gennaio. Il 22-23 gennaio 2014, i golpisti di Maidan iniziarono ad arrivare in città per occupare l’amministrazione regionale. Tuttavia il loro tentativo fallì.
Il primo attacco contro civili inermi ad Odessa avvenne il 19 febbraio 2014 con la piena connivenza della polizia e fu attuato da un gruppo di balordi indossanti caschi ed armati con mazze di legno. Allo stesso tempo, diversi giornalisti furono picchiati.
Ad aprile 2014, i golpisti di Maidan iniziarono a creare posti di blocco agli ingressi della città. Questi erano posti di blocco molto strani: non si sa cosa e da chi si difendessero, ma ognuno di questi posti di blocco era organizzato da circa 50 balordi. Il presidente dell’Amministrazione statale regionale Odessa, Vladimir Nemirovskij, osservò che a fine aprile altri golpisti ucraini stavano arrivando ad Odessa in autobus. Alla fine di aprile, il capo del Consiglio per la Sicurezza e la Difesa Nazionale Andrij Parubij visitò Odessa con obiettivi apparentemente poco chiari. Si fermò ai posti di blocco, distribuì l’armatura (caschi e scudi e giubbotti antiproiettile) ai golpisti ucraini, ma non disse per quale motivo era venuto. Il 2 maggio 2014, si mise a sparare con una pistola contro gli inermi civili che si affacciavano dalla Casa dei Sindacati in fiamme. Era quindi chiaro il motivo per il quale questo squallido individuo si fosse recato ad Odessa.
Il 2 maggio 2014 un treno arrivò ad Odessa con gli ultrà della squadra di calcio di Char’kov. Sia i golpisti di Maidan che gli ultrà del Char’kov erano armati con armi da fuoco.
Alle 14:40, per la prima volta in questo giorno viene usata la violenza. Un giovane inizia a sparare contro coloro che si opponevano al colpo di stato. Il giovane criminale fu disarmato e bloccato dalla polizia.
Dopo circa tre ore una folla di ultrà e golpisti di Maidan si radunò si radunò nella piazza della cattedrale. Tutto questa marmaglia era armata di scudi e bastoni.
Alle 16:00 giunse un minibus bianco con un gruppo di golpisti guidati da un balordo di nome Vitalij Budko, soprannominato “Boatswain”. Numerosi video mostrano come tale criminale spari alle schiene dei poliziotti con un mitragliatrice AKSU a colpi singoli. Fu lui a sparare il proiettile che uccise uno dei capi di Settore Destro, Igor Ivanov. Ivanov è considerato il primo ad essere ucciso in questo giorno e la sua morte è considerata dai golpisti di Maidan come una sorta di innesco per la tragedia. Vitalij Budko è fuggito dall’Ucraina il giorno successivo.
Nei canali televisivi occidentali si parlò di questo massacro come di una sfortunata tragica sequenza di presunte coincidenze. Le morti, secondo gli squallidi media occidentali, sarebbero state causate da scontri spontanei tra “separatisti filorussi ed hooligans”, nonostante la prova di numerose immagini video che documentano l’assalto di balordi neonazisti alla Casa dei Sindacati. In modo sbalorditivo, i patetici media occidentali hanno sempre continuato ad affermare che non è chiaro chi sia responsabile dell’incendio causato all’interno della Casa dei Sindacati. Con questo comportamento, si proteggono i veri responsabili di questo atroce massacro.
Siccome i media tacciono o travisano le informazioni, è importante informarsi in modo alternativo al fine di raggiungere quelle informazioni che all’opinione pubblica sono negate.
Cominciamo quindi a far luce su ciò che i media occidentali omettono di comunicare. In primo luogo, non fu uno scontro casuale tra due opposte fazioni, ma una strage annunciata e ben orchestrata, eseguita da meschini e vili golpisti ucraini, criminali spudoratamente sostenuti dall’Occidente.
Nulla è stato fatto dalle autorità ucraine per deviare o bloccare il corteo degli hooligans e dei golpisti di Maidan diretto a piazza Kulikovo, la piazza di Odessa dove vi era un accampamento di tende, organizzato in modo pacifico da civili inermi che si opponevano al colpo di stato di Kiev. Non un solo poliziotto o militare è stato piazzato sulla strada che conduce a piazza Kulikovo. E’ ciò è palesemente chiaro sia stata una scelta voluta e consapevole.
Quando hanno saputo dell’arrivo degli hooligans e dei golpisti di Maidan, i civili inermi e disarmati che si erano pacificamente raccolti davanti la Casa dei Sindacati per manifestare il loro dissenso al colpo di stato avvenuto a Kiev, hanno cercato riparo all’interno dell’edificio della Casa dei Sindacati, il che purtroppo gli è poi risultato fatale. Ricordiamo che erano civili inermi, per lo più donne in età pensionistica, (molte delle quali saranno uccise brutalmente poco dopo) radunate in delle tende davanti alla Casa dei Sindacati per chiedere un referendum riguardo le questioni cruciali per il Paese: una o due lingue di stato, federalizzazione, rispetto della memoria storica. E questi luridi vermi, vigliacchi di prim’ordine quali i golpisti di Maidan, non hanno affrontato eroici miliziani filorussi che difendono con le armi e con i denti le proprie terre e le proprie famiglie nelle repubbliche autonome del Donbass, non avrebbero mai avuto il coraggio di affrontare quegli eroi, hanno invece realizzato la sola cosa che miserabilmente sono capaci di fare: versare la propria frustrazione massacrando vigliaccamente civili inermi che poi la loro misera propaganda definisce “separatisti”, “terroristi”, “agenti del Cremlino”.
Infatti poco dopo, i balordi golpisti di Maidan sono entrati nella Casa dei Sindacati sfondando una porta situata nel retro dell’edificio ed hanno dato inizio ad una vigliacca caccia ad inermi civili rifugiati all’interno dell’edificio. Contemporaneamente gli hooligans, aiutati da ragazze che meriterebbero ben altri appellativi, hanno cominciato a lanciare bombe molotov contro le finestre dell’edificio, causando così l’incendio.
All’interno dell’edificio molte persone sono state uccise tramite esecuzione sommaria con armi da fuoco, stessa fine capitata a chi lanciatosi dalle finestre per scampare al rogo, veniva miseramente trucidato con colpi di pistola.
Una donna all’interno dell’edificio è stata prima violentata, poi uccisa ed il suo corpo dato alle fiamme.
Una donna delle pulizie in gravidanza è stata uccisa per strangolamento con il cavo telefonico. Le sue grida si sono sentite fino fuori dell’edificio. Proprio dopo l’omicidio i criminali si sono affacciati alla finestra della sua stanza sventolando una bandiera ucraina.
Alla luce di questi fatti pare cinica e dispregiativa una notizia riportata il 5 maggio 2014 dal giornale tedesco “Zeit on line”: “Più di 40 morti in una notte: gli abitanti di Odessa sono ancora sotto choc. Cercano di tornare alla normalità, nonostante ciò i separatisti annunciano già la loro prossima offensiva”. Avete letto bene, secondo lo “Zeit on line” sono le vittime, gli aggrediti, che annunciano la loro prossima offensiva.
Un altro giornale tedesco, “Reuters” non ha perso tempo per dare la parola al pittoresco governo golpista ucraino, il quale ha riproposto ancora una volta le sue assurde teorie cospiratorie: “Il governo ucraino dichiara che la Russia è responsabile della guerriglia urbana che ha causato più di 40 morti a Odessa”.
La patetica Julija Tymošenko subito dopo la strage ha ringraziato i terroristi golpisti di Maidan per il massacro: “Voglio mandare un sentito ringraziamento a chi ieri ha difeso Odessa e l’Ucraina“.
Sulla scia della Tymošenko, gran parte dei ridicoli politici ucraini hanno espresso manifestazioni di approvazione per quanto accaduto ad Odessa, così come i seguaci di Bandera nei loro blog, con espressioni colorite e di giubilo sin sono mostrati soddisfatti ed orgogliosi del massacro perpetrato.
Complessivamente, il 14 maggio 2014, le autorità hanno accertato 48 decessi a seguito dell’assalto dei golpisti di Maidan alla Casa dei Sindacati di Odessa. Dieci persone sono morte gettandosi fuori dalle finestre per sfuggire all’incendio. Sei persone sono decedute per colpi d’arma da fuoco. Tra questi civili innocenti, il più anziano aveva 70 anni, il più giovane aveva 17 anni.
Le persone ricoverate all’ospedale presentavano ferite d’arma da fuoco, ustioni, ferite da arma da taglio, avvelenamento da monossido di carbonio.
Le figure che hanno istigato la folla di balordi e criminali ad assaltare i manifestanti pacifici a piazza Kulikovo, sono conosciuti per nome. Sono Mark Gordienko, uno dei leader golpisti di Maidan e Andrej Jusov, il capo della sezione di Odessa del partito UDAR di Vitalij Klitschko.
Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha dichiarato che l’Occidente ha taciuto e continua a tacere sulle cause della tragedia di Odessa ed ha definito gli eventi di Odessa una chiara espressione del nazismo che caratterizza i golpisti di Maidan. Il presidente Putin subito dopo gli eventi di Odessa ha dichiarato: “Il sangue scorre freddo nelle mie vene“.
Il 21 maggio 2014 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha rifiutato di sostenere la proposta della Federazione Russa di indagare sulla strage avvenuta ad Odessa.
Il 23 maggio 2014 il presidente Putin ha dichiarato: “In Ucraina è avvenuto un colpo di stato, sostenuto da partner americani ed europei. Il prossimo passo è il caos e già ora assistiamo ad una vera e propria guerra civile“.
Anche se azioni come la strage di Odessa del 2014 sono coperte dai governi occidentali e dai mezzi di informazione a loro servizio, rappresentano comunque crimini contro l’umanità e devono essere condannati e puniti dalla comunità internazionale. I nazisti ucraini devono essere fermati!
L’intera popolazione civile ucraina deve risvegliarsi dal torpore. Deve scegliere se il simbolo che li rappresenta è la bandiera nera e rossa oppure il nastro di San Giorgio. L’opinione pubblica ucraina deve decidere se stare con gli eredi dei soldati dell’Armata Rossa che li hanno salvati o con i successori dei complici nazisti di Bandera. Devono decidere ora, altrimenti la storia andrà avanti e non ci sarà nessuno pronto a salvarli.
Luca D’Agostini
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Fonti
(1) Трагедия в Одессе 2 мая 2014 года
(2) Odessa
(3) Одесская Хатынь
STORIA DEL DOTTOR WU E DELL’EPIDEMIA DEL 1911 IN MANCIURIA
Pubblichiamo un pezzo uscito sul Manifesto, che ringraziamo.
di Simone Pieranni
Con quale animo il dottor Wu uscì dalla stazione ferroviaria e prese a respirare l’aria gelida di un fine dicembre 1910 ad Harbin, non lo sapremo mai. Possiamo supporre, però, che non avesse un’espressione serena in volto, come ormai accadeva da tempo, dal 1908 per essere precisi.
I fatti, anche a ripensarci anni dopo, erano talmente evidenti che continuare a ripeterseli e scorgere ogni volta la sua limpida innocenza era del tutto inutile, eppure doveva farlo.
Lo faceva da anni, del resto, da quando era arrivato in Cina, dopo un breve passato da stimato medico specializzato nelle malattie dei minatori in Malesia, dove era nato. In particolare aveva studiato a fondo il beriberi, una malattia «sconosciuta» a molti occidentali fino a poco tempo prima e considerata invece «malattia nazionale» in Giappone.
Il dottor Wu aveva finito per empatizzare a tal punto con le disgrazie di quei poveracci seppelliti nelle miniere da andare ben oltre il suo interesse scientifico. La scoperta dell’uso di oppio da parte dei lavoratori lo aveva incoraggiato a organizzare conferenze e a dare vita ad associazioni contro l’importazione della sostanza, vera e propria arma dei «conquistatori occidentali».
Infine, nel suo studio, era stata trovata un’oncia proprio di tintura di oppio. Un mondo che crolla addosso, sospetti indicibili e la vergogna. Aver procurato nervosismi alle triadi cinesi e a tutto l’indotto criminale di quel traffico non favoriva la sua permanenza in Malesia, oltre ad accrescere la sensazione di essere vittima di un caso creato ad hoc. E allora via, ad accettare un incarico in Cina.
Da quel momento i suoi spostamenti reggevano pensieri talmente pesanti da credere che neanche una nave o un treno li avrebbe potuti sopportare senza sprofondare al centro della terra. Cina, Shanghai, Tianjin. Per tutta una serie di relazioni che era stato capace di costruire nel tempo a Tianjin aveva incontrato e impressionato gli stralunati gerarchi Manciù. Poi, dicembre 1910, l’ordine: devi recarti ad Harbin.
La Cina allora era un paese dilaniato dal fetido respiro del morente impero Qing e dagli schiamazzi di giapponesi, russi, europei e americani, pronti a spartirsi il cadavere. Come se non bastasse si temeva l’inizio di una pericolosa epidemia scoppiata a Fujiandian, la parte «cinese» di Harbin.
Non proprio il luogo ideale per Wu: Harbin era la città al centro dei più clamorosi smistamenti di oppio di tutto il paese. La «Chicago dell’est», la San Pietroburgo cinese: malavita e russi, ferrovie e zone grigie, criminali. Tutto ruotava intorno alla ferrovia: geopolitica, immigrazione, malavita, destini del mondo. I russi l’avevano fondata nel 1898: a muovere le redini dell’espansione russa in Cina fu Sergei Vitte, di padre olandese, ministro delle finanze e poi primo premier «costituzionale» nel 1905.
Affamatore di popolo, Vitte mise il suo marchio sulla costruzione della Chinese Eastern Railway, collegata alla Transiberiana. Fino ad allora Harbin era un piccolo villaggio, ma la sua nuova posizione strategica ne fece un luogo di incroci di interessi, malaffare, stazionamento di tanti soldati russi e Storia. Harbin inoltre, e vedremo quanto sarà importante, era anche snodo commerciale del fiorente mercato delle pellicce.
Tornando al dottor Wu, il suo arrivo ad Harbin avvenne nel pieno dell’inizio dell’epidemia, che allora si credeva ancora fosse una forma di peste bubbonica. Wu iniziò fin da subito a collaborare con alcuni medici, occidentali, decisamente scettici sull’arrivo di questo piccolo sino-malese. Wu, poco impressionato dall’accoglienza decise di prendere ben presto in mano la situazione, studiando i primi morti e con la stramba idea per la Cina dell’epoca di eseguire autopsie per comprendere l’origine della pandemia.
Cominciò un lavoro di ricerca, i sintomi intanto: chi veniva colpito dalla malattia moriva dopo attacchi spasmodici di tosse e febbre alta mentre la pelle del corpo assumeva un colore violaceo. Poi cominciò a fare ricerche sulle vittime e la loro rete relazionale: constatò dunque che i primi a morire erano stati i cacciatori di marmotte e i commercianti di pellicce a Manzhouli, lungo il confine siberiano.
Wu, inoltre, aveva un problema di tempo: da lì a poco si sarebbe festeggiato il capodanno lunare cinese e gli spostamenti in massa di persone avrebbero rischiato di spargere il contagio per il resto del paese, già in condizioni terribili dal punto di vista della sopravvivenza e dell’igiene a causa di un Impero Manchu sempre più in decadenza e ormai prossimo a essere spazzato via dalla nascita della Repubblica e dall’occupazione straniera. E più in generale, essendo Harbin uno snodo ferroviario, l’epidemia rischiava di procedere alla velocità dei treni e raggiungere le loro destinazioni.
Inoltre, i medici cominciavano a morire come mosche: la vicinanza con i malati finì per uccidere tanti tra quei dottori che dubitavano delle capacità di Wu. Quest’ultimo, imperterrito, proseguì con la sue ricerche, finché non arrivò una svolta, per quanto macabra: la moglie giapponese di un uomo cinese cadde vittima dell’epidemia e Wu colse la palla al balzo per effettuare un’autopsia, la prima mai realizzata nella storia del territorio cinese.
Da quello e successivi esami autoptici emerse che si trattava di peste polmonare e non bubbonica. A quel punto Wu passò all’azione: intanto obbligò tutti all’uso della mascherina poi, come ricorda lo scrittore Paul French in un articolo recente sulla Cnn, «la risposta fu a volte dura: ogni casa in cui era comparsa l’infezione fu rasa al suolo, ma nel complesso le misure funzionarono. Le zone sanitarie, le quarantene, le serrate, l’isolamento, le restrizioni di viaggio e le mascherine riuscirono a far scendere il tasso di infezione ad Harbin entro la fine di gennaio».
Terminata l’emergenza venne anche organizzata una conferenza internazionale cui parteciparono scienziati da tutto il mondo: riportando tutto al nostro tempo, secondo French la conferenza è l’esempio che dovremmo cogliere: «la grande peste manciuriana non si diffuse in modo grave nel resto della Cina, in Mongolia e in Russia: la chiusura del porto di Dalian fermò la diffusione in Giappone, Corea, Hong Kong nel resto dell’Asia. Da lì avrebbe potuto spostarsi verso l’Europa, l’America e il mondo intero. Ma non è successo. Oggi, rispetto al 1911, il mondo è diviso.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità è messa in dubbio, i Paesi sono inferociti tra loro e si contendono le risorse, mentre le zone più povere del mondo sono lasciate a cavarsela in gran parte da sole».
Quanto al dottor Wu, divenuto poi il padre della medicina cinese moderna, per lui non mancarono successi: fu il primo cinese a scrivere su Lancet e nel 1935 – come scrivono Zhongliang Ma e Yanli Li in Dr. Wu Lien Teh, plague fighter and father of the Chinese public health system – «fu candidato al premio Nobel per la sua lotta contro la peste manciuriana e per l’identificazione del ruolo delle marmotte tarbagan nella trasmissione della malattia».
FONTE:http://www.minimaetmoralia.it/wp/storia-del-dottor-wu-dellepidemia-del-1911-manciuria/
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