RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
19 MAGGIO 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
“Ci sono due posti dove amo essere baciata”
“Quali?”
“Venezia e Sorrento”
GINO MICHELE, Le cicale 2008, kOWALSKI, 2007, pag. 57
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SOMMARIO
PREVEDIBILI RIALZI DELLO SPREAD SUI BOND ITALIANI A 300 PUNTI BASE?
Israele: ambasciatore cinese trovato morto
Chi era (e cosa faceva a Tel Aviv), l’ambasciatore cinese morto in Israele
Vivrete nella “Smart City” – ossia nel comunismo dei miliardari
SI. NOI EBREI COMANDIAMO HOLLYWOOD (E PURE I MEDIA, WALL STREET E IL GOVERNO)!
L’ITALIA TERRA DI CONTESA GEOPOLITICA. L’EMERGENZA CORONAVIRUS EVOCA NUOVE ALLEANZE
LA PROFESSORESSA SOSPESA PER AVER CRITICATO LILIANA SEGRE: IL MECCANISMO DELLA DELAZIONE
L’IDEOLOGIA BRITANNICA. Tra eugenetica, malthusianesimo e Nuovo Ordine Mondiale
STATI UNITI E ISRAELE: CRIMINI E MISFATTI
GILAD ATZMON: LE TEORIE DEL COMPLOTTO DAI SAVI DI SION ALLE BAMBINE DI EPSTEIN
VIETATO DIRE MOGLIE O MARITO: l’utilità dell’ONU si vede in questi momenti
SOGIN, CIRIELLI CHIEDE ATTIVITÀ ISPETTIVA
Si chiude l’era del “giudice sovranista” che ha osato sfidare l’Ue
Le parole di Jerome Powell (FED) lo confermano: la salvezza dell’Italia è solo fuori dall’Ue
I cinque custodi dell’austerità che frenano l’Europa
ERRARE ET PERSEVERARE ovvero: La “Stange” dei Giovani
IL NOMINIFICIO DI GIUSEPPE CONTE CON 450 ESPERTI PIÙ 11 DONNE È COME IL CREMLINO
Machine learning, se il Grande Fratello va a scuola
Imparare tra cervello e macchine
IN EVIDENZA
PREVEDIBILI RIALZI DELLO SPREAD SUI BOND ITALIANI A 300 PUNTI BASE?
Sono giorni di tensione questi. Densi di appuntamenti e di attese. Di certo le sorti del governo Conte e l’approvazione del “Dl Rilancio” accumulano le tensioni sul debito pubblico italiano, che continua a essere sotto la lente d’ingrandimento degli investitori, soprattutto esteri.
A confortare noi tutti ci sono le ultime aste di titoli di Stato offerti dal Mef che hanno avuto di certo un esito positivo e riportato tranquillità nel mercato. Tuttavia, rimangono forti i dubbi per il futuro sulla capacità del Tesoro di raccogliere nuovi capitali sui mercati a costi moderati.
A sostenerlo sono importanti operatori sul mercato italiano. Ed i dati sembrano confermare tale paura. Il momento il costo medio di tutto il debito italiano – anche quello emesso in passato con tassi d’interesse più alti rispetto a quelli che vediamo oggi – si aggira intorno al 2,5% ma ciò non significa che le nuove emissioni si stabilizzino a tale prezzi.
Pesa, infatti il fatto che debito pubblico è detenuto per oltre il 30 per cento da mani straniere. In particolare, se analizziamo l’andamento dei rendimenti dei titoli benchmark per le scadenze a 1 anno, 5 anni, 10 anni e 30 anni, possiamo capire come l’allentamento delle tensioni è soprattutto rilevato sulle scadenze più a breve, mentre, su quello a medio/lungo termine i rendimenti rimangono su livelli molto elevati, se confrontati con altri Paesi europei. Ed il confronto va, naturalmente, a quei Paesi che hanno meritato lo spregiativo termine di Pigs.
In particolare, comparando l’andamento dei rendimenti dei bond decennali italiani con Spagna, Portogallo e Grecia si nota una “calma” sull’obbligazionario solo apparente e, in definitiva, legata agli acquisti della Banca centrale europea.
Ma quali sarebbero le cause scatenanti che potrebbero mettere ancora più pressioni sullo spread italiano?
Archiviato, per il momento, il nodo delle agenzie di rating (taglio a sorpresa di Fitch e nulla di fatto di S&P’s e Moody’s), e rinviata tale partita a dopo l’estate, la questione resta la prossimità del debito italiano vicino alla soglia dello speculative grade. Il motivo è presto detto: negli ultimi 10 anni, non sono state fatte riforme strutturali – sempre promesse – in grado di mettere il Paese al riparo dagli shock o, quantomeno, a renderlo meno vulnerabile rispetto ad esempio a Paesi come la Spagna.
Troppo ormai giurano che il rischio che il rating del debito italiano possa finire sotto la soglia di Investment grade e finire nel paniere degli High Yield è solo questione di tempo. E a conferma di ciò, ci sono le misure preventive della Bce che vanno dall’acquisto di titoli di Stato Junk, deciso qualche settimana fa, alle recenti discussioni sul possibile intervento sui titoli corporate che sono finiti nell’area speculative grade.
Insomma, dobbiamo prepararci al peggio e anche gli investitori potrebbero farlo?
C’è solo una certezza. In caso di declassamento del debito in area junk i grandi fondi uscirebbero dall’investimento in Btp lasciando la sola Bce, o quasi, a coprire le emissioni. Un rischio altissimo, che impone di provvedere con immediatezza e che, necessita di un mix di interventi.
Oltre all’impegno della Bce, è necessario che si ottenga incremento del Pepp pari almeno pari 500-750 miliardi di euro ed un Recovery Fund davvero operativo ed in grado di garantire l’emissione di bond europei perpetui.
(*) Le opinioni sono a titolo personale e non coinvolgono l’Ente di appartenenza.
FONTE:http://opinione.it/economia/2020/05/15/enea-franza_spread-titoli-tensione-borsa-aste-mef-spread-speculative-grade/
Israele: ambasciatore cinese trovato morto
PUBBLICATO IL 17 MAGGIO 2020
L’ambasciatore cinese in Israele, Du Wei, è stato trovato morto nel suo appartamento di Herzliya, a Nord di Tel Aviv, domenica 17 maggio. A riferirlo sono stati il Ministero degli Affari Esteri israeliano e il portavoce della polizia, Micky Rosenfeld, che sta eseguendo le indagini sull’accaduto. Ancora non è stata fornita una causa di morte ufficiale e l’ambasciata cinese nel Paese ha dichiarato di non essere ancora in grado di confermare notizie riguardanti la scomparsa di Du Wei.
Secondo quanto riferito da Al-Arabiya, un impiegato del settore sanitario avrebbe detto alla TV di Stato israeliana, Channel 12 TV, che l’uomo è morto nel sonno per cause naturali, probabilmente per un attacco cardiaco, senza riportare segni di violenza. Du Wei era un diplomatico della Repubblica Popolare Cinese (RPC) di 58 anni e aveva una moglie e un figlio che al momento della sua morte non si trovavano nel Paese mediorientale. Aveva assunto il ruolo di ambasciatore a Israele dallo scorso febbraio, dopo aver guidato l’ambasciata cinese in Ucraina dal 2016 al 2019.
Il direttore generale del Ministero degli Affari Esteri, Yuval Rotem, ha affermato di aver parlato con l’ex ambasciatore cinese a Israele, Zhan Yongxin, per esprimere le proprie condoglianze e si è detto disponibile ad aiutare l’ambasciata di Pechino per qualsiasi cosa di cui avesse bisogno.
Al-Arabiya ha riferito che la sua morte è avvenuta pochi giori dopo aver rilasciato alcune dichiarazioni in risposta alla richiesta mossa da Washington a Gerusalemme di allontanarsi da Pechino, lo scorso 15 maggio. Il 13 maggio, durante la sua visita nel Paese mediorientale, il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, aveva messo in guardia il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, rispetto all’aumento di investimenti cinesi a Israele. In particolare, Pompeo ha fatto riferimento all’attività di molte compagnie cinesi nel Paese mediorientale che negli ultimi hanno si sono aggiudicate importanti contratti, tra cui il diritto esclusivo ci gestire un terminal per container nel porto di Hafia, il più grande dei tre maggiori porti marittimi internazionali di Israele. L’ambasciata cinese aveva risposto dichiarando che le relazioni con Israele sono improntate sul principio di reciproco vantaggio e che i progetti in corso sono attività di mercato basate su forniture e richieste.
Negli anni, gli USA si sono più volte opposti a legami tra Israele e la RPC. Sul finire degli anni’90, Washington ha spinto Gerusalemme a cancellare un accordo di vendita di sistemi radar alla Cina. Successivamente, nel 2005, gli scambi commerciali di beni per la difesa tra Israele e la Cina sono stati interrotti, a seguito dell’opposizione USA ad un accordo sulla fornitura di radar antimissilistici. Poco prima di essere nominato ambasciatore in Israele, Du Wei aveva elogiato le relazioni tra: “La seconda economia mondiale e Israele, un Paese innovativo”.
Camilla Canestri, interprete di cinese e inglese
FONTE:https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2020/05/17/israele-ambasciatore-cinese-trovato-morto/
Chi era (e cosa faceva a Tel Aviv), l’ambasciatore cinese morto in Israele
L’ambasciatore cinese, Du Wei, è stato trovato morto nella sua casa a nord di Tel Aviv. Du Wei viveva a Herzliya, nell’hinterland settentrionale di Tel Aviv – una zona piena di start up tecnologiche dove vivono diverse feluche, tra cui anche l’ambasciatore americano (nonostante la sede sia stata spostata a Gerusalemme). Secondo la Radio dell’Esercito, non ci sono segni di violenza sul corpo.
Mentre la notizia era battuta dalle agenzie internazionali e ripresa dai principali quotidiani israeliani, e il direttore generale del ministero degli Esteri israeliano diceva di aver espresso le proprie condoglianze in una telefonata al suo omologo cinese, dall’ambasciata cinese in Israele non veniva confermata nemmeno davanti alle richieste esplicite dei media.
Circostanza che non ha fatto altro che aumentare il mistero su una situazione delicata come la morte improvvisa di un diplomatico importante in un Paese straniero – di più, in un Paese delicato per tanti aspetti come lo Stato ebraico. Il vice-inviato diplomatico cinese ha tenuto una conferenza stampa un paio di ore dopo la notizia.
Non sono note le cause del decesso, ma secondo quanto riferito da Ynet potrebbe essere stato un arresto cardiaco, confermato anche da Haaretz attraverso fonti tra i paramedici. L’ambasciatore sarebbe stato trovato morto sul letto dal suo assistente, preoccupato perché non lo vedeva uscire dalla residenza come di solito. La polizia israeliana ha aperto un’inchiesta per comprendere le cause delle morte.
Cinquantotto anni, l’ambasciatore era arrivato in Israele a febbraio dopo tre anni di esperienza in Ucraina. Ancora non era stato seguito dalla sua famiglia (la moglie e il figlio) a causa dei blocchi di viaggio imposti dall’epidemia della coronavirus.
Proprio l’epidemia l’aveva reso famoso rapidamente in Israele e non solo: pochi giorni dopo essere arrivato nel Paese, infatti, aveva firmato un op-ed sul Jerusalem Post in cui scriveva che “senza le azioni risolute della Cina, la cooperazione trasparente e l’enorme sacrificio della sua gente, l’epidemia sarebbe stata molto più disastrosa”.
Ossia, Du seguiva una delle forme di revisionismo sulla pandemia che da inizio marzo la Cina ha iniziato a promuovere all’estero per accreditarsi come Paese “salvatore” nella crisi. Strategia che il segretario del Partito comunista, il capo dello stato Xi Jinping, ha avviato su un doppio binario: la diplomazia della mascherine e degli aiuti, e l’attività delle ambasciate.
Venerdì Du ha pubblicato un messaggio sul sito web dell’ambasciata cinese, respingendo in forma diretta le accuse di insabbiamento del virus avanzate da parte del segretario di Stato americano, Mike Pompeo.
Il capo della diplomazia Usa mercoledì era Gerusalemme e mentre parlava in conferenza stampa con Benjamin Netanyahu – che oggi dovrebbe partire a guidare il nuovo governo di coalizione con Benny Gantz – aveva sottolineato come Israele fosse un Paese trasparente, a differenza di altri. Riferimento ovvio alla Cina, che è sotto un barrage politico e informativo da parte dell’amministrazione Trump, che chiede a Pechino conto della crisi epidemica.
L’ambasciata cinese in Israele ha affermato che Pompeo ha etichettato per anni prodotti, investimenti e persone cinesi come rischi per la sicurezza senza produrre prove a sostegno delle sue affermazioni. “Confidiamo che i nostri amici ebrei non siano solo in grado di sconfiggere il coronavirus”, ma anche il “virus politico e scegliere la linea d’azione che meglio soddisfa i suoi interessi”, ha detto nella nota di venerdì Du.
Israele è territorio di scontro tra Cina e Stati Uniti: i primi hanno investito molto nel Paese, inserendosi all’interno di progetti strategici come il porto di Haifa; gli americani vogliono invece tenere vivo il rapporto sinergico con uno degli alleati storici. Anche per questo Pompeo era a Gerusalemme mercoledì, vigilia dell’avvio del nuovo governo (poi slittato a domenica).
(Foto: Facebook, China embassy in Israel)
FONTE:https://formiche.net/2020/05/chi-era-cosa-faceva-tel-aviv-ambasciatore-cinese-morto-israele/
Vivrete nella “Smart City” – ossia nel comunismo dei miliardari
Come Colao, anche Schmidt, molto prima che si manifestasse lo spettro del Coronavirus, s’è impegnato in una accanita campagna di lobbying e relazioni pubbliche dove ha promosso la sua visione del futuro: “la perfetta integrazione dello Stato” coi miliardari giganti della Silicon Valley – consistente nel fatto che “scuole pubbliche, ospedali, studi medici, polizia e militari esternalizzano molte delle loro funzioni principali a società tecnologiche private”
E’ la Società del Noleggio già illustrata in un Forum di Davos: non avrete bisogno di possedere il frigo, basterà che lo prendiate in affitto da Amazon: la ditta ve lo cambierà quando è vecchio, l’Internet delle Cose ve lo riempirà del latte, del burro e dei surgelati via via che vi finiscono perché se ne accorgerà grazie alla AI intelligenza artificiale che sa tutto di voi (un drone vi porterà il tutto a domicilio); naturalmente anche il vostro appartamento sarà in affitto, anzi in affitto condivido: quando voi sarete via al lavoro, altri lo occuperanno per le ore pattuite. Pure la vostra auto non sarà vostra, ma a noleggio perpetuo, del resto ne dividerete il costo con un altro: quando voi la lasciate parcheggiata essa si guiderà da sé – grazie al 5G e alla AI – presso l’altro affittuario.
Un paradiso, dove avrete tutto – pagando un affitto. Magari un po’ caro, se siete disoccupati, malati o di paga bassa. Ma niente paura: potete ottenere gli sconti previsti se aumentate il vostro credito sociale, facendo buone azioni sociali e desiderabili dal governo…come in Cina.
Ricordate cosa ci ha insegnato la Open Society di Georges Soros?
La crisi del coronavirus mostra che è tempo di abolire la famiglia
di Sophie Lewis 24 marzo 2020
La famiglia dove “il lavoro riproduttivo è così ferramente legato al genere” (sic), alla “proprietà privata fondiaria”, alla “genitorialità patriarcale e (spesso) all’istituzione del matrimonio”.
E’ la famiglia, insegna il maestro e benefattore Soros, che vi rende attaccati alla “proprietà privata” degli immobili, della vostra casa e terreni, che crea in voi lo stupido proposito di lasciarle in eredità ai figli e nipoti. La famiglia è un ostacolo alla Società del Noleggio che lorsignori hanno fretta di instaurare. Abolita la famiglia, vedrete realizzasi lo sposalizio fra Comunismo e Superconsumismo capitalista, che in fondo hanno sempre aspirato ad adottarsi l’un l’altro e a fondersi nelle speranze dei Padroni del discorso: l’ abolizione della proprietà privata con i profitti massimi della finanza speculativa.
Nulla possederete, tutto affitterete.
La visione di Schmidt è più completa: lo Stato stesso prenderà in affitto da Google, Amazon, insomma dai GAFA, tutto ciò che prima era pubblico e pagato dai contribuenti o dalla stampa di moneta sovrana: esercito e polizia persino, e ovviamente scuole e ospedali: le “società specializzate” private svolgeranno quelle funzioni in modo molto più “efficiente”, ossia ricavando un profitto da queste funzioni anti-economiche . E’ l’outsurcing totale, la privatizzazione compiuta che più non si può . Il Colllettivismo dei Miliardari.
-Vedi The Interccept: Screen New Deal
Mai sprecare una crisi, come dice Monti. Le oligarchie transnazionali che attualmente hanno le loro centrali in USA, hanno tramutato ogni crisi in una occasione nuova di profitti e di potere. ° L’11 Settembre ha confermato loro che la gente abbandona le libertà civili senza troppe proteste se immersa in uno stato di paura, e lorsignori hanno ottenuto la riduzione dei diritti costituzionali attraverso la sorveglianza di massa nel nome di “vi teniamo al sicuro”.
Il crollo finanziario del 2008/09 – la crisi dei subprime, provocata da loro, gli speculatori, spacciando a ignari investitori (fondi pensione, assicurazioni) pacchetti di debiti di insolventi, dicendo che rendevano interessi – ha insegnato a coloro che detengono il potere che possono non solo non andare in galera per una truffa senza precedenti nella storia, ma – nel pieno di un collasso economico e azionario – non perdere nulla, anzi diventare più ricchi coi trilioni che lo Stato ha creato dal nulla via Federal Reserve per salvare il salvabile.
“Ma nonostante il suo successo, c’è ancora troppa privacy, libertà e ricchezza indipendente in giro perché l’oligarchia imperiale si senta a proprio agio. Pertanto, l’attuale pandemia viene utilizzata per dare gli ultimi ritocchi a qualsiasi piccola libertà politica ed economica rimanga in questi Stati Uniti”, così Michael Krieger. E’ un ingegnere informatico che parla da Silicon Valley, sa dunque quel che dice. Del resto basta ascoltare lo stesso Schmidt nel briefing che ha tenuto a fianco del governatore
“Le nostre prime priorità “, ha dichiarato Schmidt, “sono incentrate sulla tele-sanità ( telehealth), sulla scuola da remoto e sulla banda larga … Abbiamo soluzioni che possano essere accelerate e utilizzare la tecnologia per migliorare le cose “. Guardate che coincidenza, anche la nostra ministra Azzolina dall’abbondante rossetto sta realizzando l’insegnamento digitale a distanza, ha stanziato 85 milioni per questo scopo, 70 milioni per dare gratis i tablet agli studenti, 10 alle scuole “per favorire l’utilizzo di piattaforme e-learning”. Una soluzione resa necessaria dalla coscienza, nella ministra, che la pandemia resterà fra noi anni, forse decenni, andrà e verrà, tornerà… come ha detto anche l’OMS.
Siccome non è probabile che la Azzolina abbi a imparato queste cose a Siracusa, da cui viene, sarebbe bello sapere da quale esperto ha ottenuto il “suggerimento GAFA”.
Tutto in obbedienza al modello. Dice Krieger: “Vediamo uno sforzo accanito e deliberato di gabellarci le smart cities “città intelligenti” come giovevoli all’umanità perché risolveranno una moltitudine di problemi, problemi creati dalla opportuna pandemia, ma il cui scopo è andare avanti a imporre e creare città intelligenti senza chiedere il permesso ai residenti che vivono lì. Chi ha votato Eric Schmidt per fargli plasmare e microgestire New York come se fosse la sua startup personale? Grazie al governatore Andrew Cuomo, sembra che i newyorkesi saranno le prime cavie dei grandi oligarchi”.
Prima del briefing, del resto, “ Cuomo aveva annunciatouna collaborazione simile con la Bill e la Melinda Gates Foundation per sviluppare “un sistema educativo più intelligente”. Chiamando Gates un “visionario”, Cuomo ha affermato che la pandemia ha creato “un momento nella storia in cui possiamo effettivamente incorporare e far avanzare le idee [di Gates] … tutti questi edifici, tutte queste aule fisiche – perché con tutta la tecnologia che hai?” chiese, apparentemente retoricamente.
Schmidt è presidente di due entità: il National Security Commission on Artificial Intelligence (NSCAI) e del Defense Innovation Board. Nel maggio 2019, parlando ai pochi intimi del NSCAI, ha lumeggiato “ il vantaggio competitivo della Cina” in una serie di settori, tra cui “AI per la diagnosi medica”, veicoli autonomi, infrastrutture digitali, “città intelligenti”, condivisione dei trasporti e scambi senza contanti”, ha esaltato i primati della Cina, “ che vanno dal semplice volume di consumatori che acquistano online; “la mancanza di sistemi bancari del passato”, che le ha permesso di scavalcare contanti e carte di credito e scatenare “un enorme mercato di e-commerce e servizi digitali” usando “pagamenti digitali”; e una grave carenza di medici, che ha portato il governo a lavorare a stretto contatto con aziende tecnologiche come Tencent per utilizzare l’IA per la medicina “predittiva”. In Cina le società tecnologiche “hanno l’autorità di eliminare rapidamente le barriere normative mentre le iniziative americane sono impantanate nella conformità legali e nell’approvazione della FDA”. La Cina non ha il Food and Drig Administration, l’ente che frena la somministrazione di farmaci velenosi e di alimenti insani: in questo per Schmidt consiste il vantaggio competitivo della Cina, e vuole che gli Stati Uniti competano con essa, smantellando tutte quelle pastoie. E non solo: Schmidt ha esaltato “la diffusione del riconoscimento facciale”, che si è affermato grazie al “sostegno e coinvolgimento espliciti del governo cinese”: perché, ha detto sognante, “la sorveglianza è uno dei” primi e migliori clienti “per la Al” e inoltre che “la sorveglianza di massa è un’applicazione eccezionale per il deep learning”. Per “insegnamento profondo” Schmidt intende evidentemente il sistema di crediti sociali instaurato in Cina dal regime, che insegna infatti la buona educazione e il politicamente corretto, punendo in modo automatico le trasgressioni con un calo del punteggio sociale, e un aumento del credito se ci si comporta “bene” (per esempio denunciando un vicino che non porta la mascherina). Insomma “per sconfiggere la Cina dobbiamo diventare la Cina”.
E non sono fantasie di Krieger. Il discorso riservato di Schmidt è stato reso accessibile da un gruppo di cittadini l ‘Electronic Privacy Information Center che ha dovuto fare appello al Freedom of Information Act . Eccolo qui:
https://epic.org/foia/epic-v-ai-commission/EPIC-19-09-11-NSCAI-FOIA-20200331-3rd-Production-pt9.pdf
Se il lettore crede che questo progetto si realizzi in Usa, si disilluda. Leggete Euronews, il sito ufficioso della UE
I microchip sottocutanei saranno la prossima grande rivoluzione tecnologica in Europa?
Di Lauren Chadwick & Ric Wasserman • ultimo aggiornamento: 13/05/2020 –
Dove si viene informati con tono euforico così:
“Migliaia di svedesi e tedeschi si sono fatti impiantare microchip futuristici sotto la pelle della mano. Una tecnologia utilizzata per adesso per attività quotidiane come l’accesso allo smartphone, l’apertura della porta d’ingresso di casa o l’attivazione di un allarme. [esattamente quello che ha ventilato Colao]
L’azienda che produce i microchip, grandi come un chicco di riso e impiantati tramite una siringa, sta ora lavorando per diffondere la tecnologia in altre parti d’Europa.
Eric Larsen, che guida Biohax Italia, è in attesa dell’approvazione delle autorità sanitarie e del Ministero della Salute. Prevede di poter impiantare i chip sottocutanei in circa 2.500 soggetti a Milano e Roma nei primi sei-otto mesi.
Anche senza la certificazione del Ministero della Salute, Biohax Italia è già riuscita a inserire questi chip in alcune centinaia di persone con l’aiuto di un centro medico.
” È una cosa estremamente futuristica ed è già realtà. Questa tecnologia è nata per aiutarci, per darci piccoli ‘superpoteri’”, le parole di Larsen a Euronews.
Larsen però si dispiace: “Stiamo notando che molte persone in Italia non sono contente della funzionalità GPS o di altre opzioni che possano tracciare i nostri movimenti. E questo potrebbe essere per noi dannoso, nonostante non tracciamo i movimenti e non abbiamo GPS all’interno. Penso che molte persone però non ne siano consapevoli”.
Eliminare il portafogli
Il progettista svedese di soluzioni IT, Martin Lewin, utilizza i due microchip impiantanti sotto la pelle della mano per accedere al computer, impostare l’allarme dell’ufficio e aprire il suo profilo LinkedIn.
Secondo lui, l’utilizzo di questi microchip come alternativa ai pagamenti in contanti o con carta di credito dovrebbe essere il vero punto di svolta della tecnologia.
“Si tratta semplicemente di eliminare il bisogno di portarsi dietro il portafogli, il portachiavi, tutti questi elementi scollegati che creano solo rischi: se li perdiamo, perdiamo la nostra identità”, dice l’ex body piercer Jowan Österlund della start-up Biohax International.
In Svezia, i microchip possono essere utilizzati come biglietto del treno. Lewin spera che presto sarà in grado di poterci effettuare anche dei pagamenti.
“Spero diventi una funzione di base”, afferma. “Non vedo l’ora di creare un ecosistema in cui il chip sia in grado di fornire tutti i tipi di accesso. Dove è possibile portare con noi la nostra identità in maniera semplice”.
in Italia Biohax sta parlando con Vodafone e Paypal per tentare di sbloccare questa funzionalità”.
Niente di più facile, con questi 5 Stelle e piddini al loro servizio. Eliminazione del contante, disfatta definitiva dell’evasione fiscale-.
E poi da cosa nasce cosa: dicono i dirigenti della Biohax “È simile all’ascolto di un microfono direzionale, si può captare anche il segnale RFID”, In teoria, potrebbe essere “usato per far risaltare un individuo in mezzo ad una folla …”. Cin l’app “Immuni” per completezza, sei sotto l’occhio del Grande Fratello che sa tutto di te.
Vedete? Fino a ieri parlare di microchip sotto pelle era complottismo. In un attimo, è divenuto mainstream.
Per cui facciamo nostra la conclusione di Krieger:
“Mentre scrivo, il pubblico americano viene manipolato per accettare una tecnocrazia di sorveglianza distopica in nome della sconfitta della Cina e di un virus. È malvagio e folle, ma lo fanno sul serio.
Anche se tutto ciò sembra inevitabile e al di fuori del nostro controllo, in realtà non lo è. La capacità di fare queste cose si basa sul fatto che le persone sono così spaventate e confuse da accettare qualsiasi cosa. Come tale, è imperativo capire qual è l’agenda e quindi rifiutarsi di accettarla. Come minimo, chiedere un referendum in tutta la città su qualsiasi proposta di implementazione di “città intelligente”. L’idea che la società dovrebbe improvvisamente essere “reinventata” da una manciata di miliardari semplicemente a causa di una pandemia è l’opposto della libertà e dell’autodeterminazione. È una vera oligarchia autoritaria e anti-americana che sta andando al potere. Rifiuta questo processo maniacale con tutti i mezzi”:
FONTE:https://www.maurizioblondet.it/vivrete-nella-smart-city-ossia-nel-comunismo-dei-miliardari/
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
SI. NOI EBREI COMANDIAMO HOLLYWOOD (E PURE I MEDIA, WALL STREET E IL GOVERNO)!
17 GENNAIO 2012 – Joel Stein
QUANTO È EBRAICA HOLLYWOOD?[1]
Un sondaggio scopre che un numero maggiore di americani sono in disaccordo con l’affermazione che “Gliebrei comandano Hollywood”. Ma ecco un ebreo che non lo è.
Di Joel Stein, 19.12.2008
Non sono mai stato così deluso da un sondaggio in vita mia.
Solo il 22% di americani ora pensano che “le industrie del cinema e della televisione sono pressoché controllate dagli ebrei”, rispetto a circa il 50% che lo pensava nel 1964. La Anti-Defamation League, che ha pubblicato i risultati del sondaggio il mese scorso, vede in questi numeri una vittoria contro gli stereotipi. In realtà, essi mostrano solo quanto stupida l’America sia diventata. Gli ebrei comandano Hollywood, totalmente.
Quanto profondamente ebraica è Hollywood? Quando i capi degli studios hanno messo un’inserzione a tutta pagina sul Los Angeles Times poche settimane fa per chiedere che la Screen Actors Guild [Sindacato degli attori dello schermo] accetti il contratto, la lettera aperta era firmata da:
il Presidente di News Corp. Peter Chernin (ebreo),
il Presidente di Paramount Pictures Brad Grey (ebreo),
il Presidente di Walt Disney Co. Robert Iger (ebreo),
il Presidente di Sony Pictures Michael Lynton (sorpresa: ebreo olandese),
il Presidente di Warner Bros. Barry Meyer (ebreo),
il Presidente di CBS Corp. Leslie Moonves (così ebreo che il suo prozio fu il primo Primo Ministro d’Israele),
il Presidente di MGM Harry Sloan (ebreo) e il Presidente di NBC Universal Jeff Zucker (mega ebreo).
Se avessero firmato anche i fratelli Weinstein, questo gruppo non solo avrebbe il potere di far cessare la
produzione di tutti i film ma di formare un minyan[2] con in mano una quantità sufficiente di acqua delle Fiji per adempiere un mikvah[3].
La persona con cui se la prendevano in quell’inserzione era il Presidente di SAG Alan Rosenberg (tirate a indovinare). La rovente confutazione di quell’inserzione è stata scritta dal super-agente dello spettacolo Ari Emanuel (ebreo con genitori israeliani) sull’Huffington Post, che è di proprietà di Arianna Huffington (non ebrea, e non ha mai lavorato a Hollywood).
Gli ebrei sono così dominanti, che ho dovuto setacciare gli operatori del settore per trovare sei gentili nelle alte cariche delle company dello spettacolo. Quando ho chiesto loro di parlare del loro incredibile avanzamento, cinque hanno rifiutato di parlarmi, a quanto pare per paura di insultare gli ebrei. Il sesto, il Presidente di AMC Charlie Collier, si è rivelato essere un ebreo.
In quanto ebreo orgoglioso, voglio che l’America conosca i nostri traguardi. Sì, noi controlliamo Hollywood. Senza di noi, vi ritrovereste a dover scegliere in tv tutto il giorno tra “The 700 club” e “Davey and Goliath” [Davide e Golia].
Così mi sono impegnato a convincere di nuovo l’America che gli ebrei comandano Hollywood lanciando una campagna di pubbliche relazioni, perché è quello che facciamo meglio. Sto pensando a diversi slogan, tra cui:
“Hollywood: più ebraica che mai!”; “Hollywood: dal popolo che ti ha portato la Bibbia”; e “Hollywood: se vi piacciono la tv e i film allora, dopo tutto, vi piacciono gli ebrei”.
Ho chiamato il presidente della ADL Abe Foxman, che era a Santiago, in Cile, dove, mi ha detto con mia sorpresa, non stava dando la caccia ai nazisti. Egli ha liquidato tutta la mia tesi dicendo che il numero delle persone che pensano che gli ebrei comandano Hollywood è ancora troppo alto. Il sondaggio dell’ADL, ha fatto notare, ha mostrato che il 59% degli americani pensa che i manager di Hollywood “non condividono i valori religiosi e morali della maggior parte degli americani”, e che il 43% pensa che
l’industria dello spettacolo sia impegnata in una campagna organizzata “per
indebolire l’influenza dei valori religiosi di questo paese”.
Questa è una sinistra calunnia, ha detto Foxman. “Significa che pensano che gli ebrei si incontrano da Canter’s Deli di venerdì mattina per decidere cosa è meglio per gli ebrei”. L’argomento di Foxman mi ha fatto riflettere: devo mangiare da Canter più spesso.
“Questa è una frase molto pericolosa: ‘gli ebrei controllano Hollywood’. Ciò che è vero è che a Hollywood vi sono molti ebrei”, ha detto.
Invece di “controllano”, Foxman preferirebbe che la gente dicesse che molti manager della industria “per caso sono ebrei”, poiché “tutti gli otto studi cinematografici più importanti sono direttida uomini che per caso sono ebrei”.
Ma Foxman ha detto di essere orgoglioso dei traguardi degli ebrei americani. “Penso che gli ebrei siano rappresentati in modo sproporzionato nell’industria creativa. Sono sproporzionati come avvocati e anche, probabilmente, nella medicina”, ha detto. Egli sostiene che questo non significa che gli ebrei facciano film pro ebrei più di quanto essi facciano degli ambulatori pro ebrei. Sebbene altri paesi, ho notato, non siano così favorevoli alla circoncisione.
Apprezzo le preoccupazioni di Foxman. E forse la mia vita passata in un bozzolo filo semita come quello di New Jersey-New York/Bay Area-L.A. mi ha fatto rimanere ingenuo. Ma non mi importa se gli americani pensano che noi comandiamo i media delle news, Hollywood, Wall Street o il governo.
Mi importa che continuiamo a comandarli.
NOTE
[1]
Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo:
http://www.latimes.com/news/opinion/commentary/la-oe-stein19-2008dec19,0,4676183.column
[2] Termine
giudaico che indica il quorum di dieci ebrei adulti richiesto per certi
obblighi religiosi. “L’attività più comune che richiede un minyan è la
preghiera pubblica”: http://en.wikipedia.org/wiki/Minyan
[3] Termine
giudaico che indica il bagno utilizzato per le immersioni rituali: http://en.wikipedia.org/wiki/Mikveh
FONTE:https://www.andreacarancini.it/2012/01/si-noi-ebrei-comandiamo-hollywood-e/
CONFLITTI GEOPOLITICI
L’ITALIA TERRA DI CONTESA GEOPOLITICA. L’EMERGENZA CORONAVIRUS EVOCA NUOVE ALLEANZE
di Sergio Cararo
Facendo un giro di ricognizione sul come vari think thank euroatlantici stanno valutando l’impatto della pandemia di coronavirus, emerge piuttosto chiaramente come una delle preoccupazioni (ma qualcuno sotto sotto ne valuta anche le opportunità) sia il fatto che l’Italia – membro fondatore della Nato e dell’Unione Europea – sia diventata una faglia geopolitica degli equilibri internazionali del prossimo futuro.
Il fatto che gli aiuti per fronteggiare l’emergenza coronavirus non siano arrivati con aerei e convoglio battenti bandiere a stelle e strisce o con le stelle della Ue, ma battenti la bandiera rossa con la stella della Cina, o quelle di Cuba o della Russia, ha strappato bruscamente il velo delle vecchie alleanze dell’Italia (Usa, Nato, Ue) e reso visibile che il mondo tornato multipolare mette a disposizione nuove possibili alleanze.
La questione era già emersa sia con l’interessamento e il memorandum d’intesa con la Cina sulla Nuova Via della Seta, sia con l’obiettiva e crescente divaricazione con la kerner Europe cioè il nucleo nordico dell’Unione Europea che ruota intorno all’ormai insopportabile rigore (per gli altri) di Stati come Germania, Olanda etc. e la conferma della loro divaricazione di interessi dai paesi euromediterranei, in particolare Italia, Spagna, Grecia e Portogallo. La Francia ancora una volta è presa in mezzo. Da un lato l’altissimo livello di integrazione tra le multinazionali e le grandi imprese capitaliste franco-tedesco che da tempo puntano ai “campioni europei” per la competizione globale evocati dal ministro dell’industria tedesco Altmaier, dall’altro una spontanea tendenza – fortemente sentita a livello sociale – a sottrarsi al mortale abbraccio tedesco.
Già con le opportunità evocate dal progetto sulla Nuova Via della Seta cinese e, di contro, l’assurdità/diseconomicità delle sanzioni alla Russia o all’Iran, anche un pezzo di borghesia italiana andava chiedendosi sempre più rumorosamente quale fosse il guadagno nel rimanere ingabbiati nelle vecchie alleanze. Non solo l’Unione Europea che è sempre lì a battere cassa con la bacchetta in mano, ma anche la Nato, tutta impegnata a rilanciare la guerra fredda e manovre militari contro la Russia, era stata del tutto silente quando ad esempio si sono palesati i conflitti o l’emergenza sulla massiccia immigrazione sugli Stati di prima linea dell’Europa, in particolare quelli mediterranei. Insomma quel ripetuto e fattuale “cavateveli da soli” si era già palesato negli ultimi anni e qualche breccia l’aveva già aperta. Ma in queste settimane la breccia si è allargata di brutto e le domande cominciano a farsi più numerose. Insospettabili e stringenti.
Due esempi di come questa nuova situazione sta mettendo in fibrillazione la vecchia logica euroatlantica tra gli analisti, sono questi due video.
Il primo è del direttore di Limes Lucio Caracciolo (che appare piuttosto destabilizzato nelle sue consolidate certezze).
Il secondo è di Paolo Magri, presidente dell’Istituto di Studi di Politica Internazionale (Ispi), il quale di fronte agli aiuti arrivati tempestivamente da Cina, Cuba, Russia e non dagli Usa, si chiede: “Oggi chi sono i nostri?”
Il massimo dell’improbabilità è stato però raggiunto da un articolo sul gettonato giornale online “L’Inkiesta”, dove si arriva a dire che gli aiuti della Nato all’Italia per l’emergenza coronavirus sono stati superiori a quelli di Cina a Russia… ma sono stati comunicati male. Incredibile a a credersi che la Nato, vera a propria “bestia” nella gestione della comunicazione e della propaganda (difficile dimenticare la guerra d’aggressione alla Jugoslavia nel 1999), abbia difettato proprio sul piano della comunicazione? Insomma l’Italia avrebbe ricevuto dalla Nato degli aiuti “a sua insaputa”.
Anche un altro dei think thank storicamente euroatlantici, come l’Istituto Affari Internazionali, appare inquieto e cerca di metterci di pezza rilanciando la contrapposizione tra modello occidentale e “dispotismo asiatico”. L’emergenza coronavirus, rileva Affari Internazionali, agevola le spinte all’autoritarismo rendendolo agli occhi dell’opinione pubblica una soluzione vincente, anche per il dopo emergenza. Secondo il suo direttore Gianni Bonvicini “Ci troveremo domani a combattere un virus che non rappresenta solo un grave problema sanitario, ma una notevole sfida sul piano economico e sulla sopravvivenza dei nostri valori democratici”.
Ma questa tendenza, secondo Bonvicini, non è nata con l’emergenza pandemica, in realtà era già emersa dentro l’accresciuta crisi economica del primo decennio del XXI Secolo: “L’ultimo rapporto “Freedom in the World“ relativo al 2018 fa un interessante confronto dello stato della democrazia fra due periodi successivi. Dal 1989 (anno della caduta del Muro di Berlino) al 2005 i Paesi “non liberi” erano diminuiti dal 37% al 23%, mentre le nuove democrazie avevano visto il balzo dal 36 al 46%. Nel successivo arco temporale, dal 2005 al 2018, l’andamento è stato opposto: i Paesi liberi sono diminuiti del 44% mentre quelli autoritari e dittatoriali sono aumentanti del 26%.”.
Insomma il mondo che abbiamo conosciuto, le vecchie alleanze, i dogmi economici che hanno dominato fino ad oggi sono in fortissima rimessa in discussione. Che questo porti con sé automaticamente un segno progressista (il socialismo del XXI Secolo) non appare affatto scontato, ma è indubbio che il visibile fallimento del sistema dominante, sia sul piano economico/sociale che sul piano politico/civile, riconsegni alle opzioni del cambiamento e delle alternative di modello sociale delle chance che sembravano liquidate e rimosse storicamente (do you remember la “fine della storia” di Francis Fukuyama?).
E l’Italia? L’Italia dentro questo scossone della storia torna a rivelarsi come l’anello debole dell’imperialismo. Non solo. La frattura sostanziale tra il nucleo centrale dell’Unione Europea e i suoi paesi periferici sulla gestione della pandemia e la gestione delle risorse economiche per fare fronte alla crisi sociale che ne sta derivando, manifesta con evidenza come l’area alternativa euromediterranea, e la proposta politica della sua costruzione che abbiamo avanzato in questi anni, stia nell’ordine delle cose e nell’ordine del possibile.
Indicare un altro modello di integrazione regionale e di priorità sociali negli investimenti, nell’allocazione delle risorse, nei rapporti di proprietà più adeguati al post emergenza (le nazionalizzazioni ad esempio) e nella neutralità e cooperazione in politica estera, assume oggi una forza evocativa e un immaginario di cambiamento prima assai più difficile da presentare come alternativa possibile al fallimento del modello, degli istituti e delle alleanze pre-esistenti.
In Italia e non solo, si può aprire una faglia sociale e geopolitica di estremo interesse per i comunisti e le forze rivoluzionarie. Bandito ogni velleitarismo ed ogni sentimento autoconsolatorio, le condizioni per riaprire una prospettiva di cambiamento oggi sono immensamente più forti che solo tre mesi fa.
FONTE:http://www.eurostop.info/litalia-terra-di-contesa-geopolitica-lemergenza-coronavirus-evoca-nuove-alleanze/
LA PROFESSORESSA SOSPESA PER AVER CRITICATO LILIANA SEGRE: IL MECCANISMO DELLA DELAZIONE
È, relativamente all’Italia, la notizia più grave di questo mese: la professoressa di Firenze che avrebbe detto (il condizionale è d’obbligo) “Liliana Segre non la sopporto”, è stata sospesa dall’insegnamento.
A sospenderla è stato il preside.
A scanso di equivoci, per me non è grave che la professoressa si sia espressa in quel modo (ammesso che lo abbia fatto davvero) ma che sia stata punita (e per giunta con un provvedimento così pesante) solo per aver espresso un suo personale sentimento. Una sua opinione.
La cosa più grave però è un’altra: è che il provvedimento disciplinare sia stato richiesto da ben 78 (!) colleghi della professoressa in questione.
“Liliana Segre non la sopporto”. Ammesso che la professoressa abbia davvero fatto l’affermazione che le è stata attribuita, dove sta lo scandalo? Qui non si arriva nemmeno all’odio (che pure, come sentimento soggettivo, dovrebbe essere libero e immune da sanzioni legali, come ha più volte argomentato Massimo Fini): qui c’è solo l’espressione di una (generica) antipatia. Liliana Segre non sta simpatica alla professoressa in questione, e allora? Le deve – ci deve – essere simpatica per forza?
La professoressa avrebbe anche detto (sempre riferita alla senatrice Segre): “Questi personaggi cercano solo pubblicità”.
E allora? Che cosa c’è di ignominioso ad aver espresso questo retro-pensiero? Davvero il preside e i 78 colleghi della professoressa sono così certi che non vi sia (anche) una componente di vanità personale nelle esternazioni della senatrice Segre (e di altri sopravvissuti della deportazione ebraica)?
Non è forse vero che la senatrice Segre ha ricevuto fama e successo (e pubblicità) dai libri che ha scritto e dalle conferenze che ha tenuto (e che continua a tenere)?
Ma il punto non è questo. Giusta o sbagliata che sia, la professoressa fiorentina ha espresso una critica. Il problema è che criticare certi personaggi oggi viene percepito dal comune sentire come un delitto di lesa maestà. Questo è il punto.
Quindi, cerchiamo di capire: la professoressa si trova a parlare con i ragazzi. Fidandosi (incautamente) di loro, esprime una sua personale considerazione. I ragazzi, evidentemente indottrinati a dovere da anni di “Giorni della Memoria” si lamentano con i genitori. Che parlano tra loro (in chat) e si rivolgono agli altri docenti. Che vanno a denunciare la collega al preside. Che sospende la docente.
Ecco come funziona il circuito della delazione, negli istituti scolastici italiani. Un meccanismo ormai oliato a dovere. E che ormai colpisce puntualmente qualunque malcapitato (docente o alunno) si azzardi a parlare fuori dal coro. Come nelle più efficienti dittature.
È così: la scuola, che dovrebbe essere una palestra di libertà e di addestramento al pensiero critico, è diventata il luogo della delazione e dell’intimidazione. A quanto pare, gli articoli 21 e 33 della Costituzione italiana sono diventati carta straccia nelle aule scolastiche.
Questi sono gli effetti perversi dell’istituzione del Giorno della Memoria, la cui legge istitutiva è stata approvata in parlamento 20 anni orsono, primo firmatario il sionista Furio Colombo.
Furio Colombo
L’unica voce che su questo gravissimo caso di intolleranza (e di intimidazione, verso qualunque docente che non si senta di aderire alla sacra e intoccabile religione della Shoah) ha espresso la sua opinione contraria è stata l’ADUC (Associazione per i Diritti degli Utenti e dei Consumatori), il cui comunicato è leggibile qui.
Il comunicato dell’ADUC depreca, giustamente l’esistenza, nel nostro ordinamento, dei reati d’opinione, tra i quali il reato di apologia (apologia del fascismo, ma non solo): un’impostazione che “vede l’uso del termine fascista applicato a qualunque comportamento che si riferisce ad un autoritarismo opprimente delle persone e delle istituzioni”.
Orbene, non ci troviamo, per il meccanismo in cui è incappata la professoressa di Firenze, e per il clima generale della scuola italiana in cui si trovano a dover operare ormai i docenti, proprio davanti ad un “autoritarismo opprimente delle persone e delle istituzioni”?
Non è un autoritarismo opprimente quello del sindaco di Firenze, Nardella, che ha giudicato “gravissimo” il fatto che la professoressa abbia espresso una sua opinione, tanto personale quanto legittima?
Nardella, proprio lui, il sindaco dello scandalo continuo, il quale, riferendosi alla malcapitata professoressa, ha così concluso:
“Se queste parole così gravi venissero confermate, allora dobbiamo seriamente preoccuparci sullo stato di alcune delle nostre scuole e dobbiamo lavorare per aiutare la scuola ad essere un luogo di formazione civica, ha fatto bene il viceministro Anna Ascani ad annunciare seri provvedimenti”.
Quindi, non è difficile immaginarsi in cosa questi “seri provvedimenti” si tradurranno: ancora più propaganda, lavaggio del cervello, intimidazione e delazione. Per i docenti e per gli studenti che si dovessero avventurare a pensare con la loro testa.
Anna Ascani e Dario Nardella
Il predetto comunicato dell’ADUC è del 2 febbraio. Il 4 febbraio (due giorni dopo) l’ADUC è tornato sulla questione con un altro comunicato, significativamente intitolato, Professoressa anti-Segre a Firenze. Siamo al delirio?
Di questo secondo comunicato riporto l’ultimo capoverso, perché mi sembra espresso con parole di puro buon senso, di contro al cupo fanatismo in cui sono precipitate le istituzioni (e, in particolare, l’istituzione scolastica):
“Abbiamo titolato: Siamo al delirio? Lo diciamo noi che, contrari a tutti i reati d’opinione, abbiamo individuato anche in questo caso un tentativo (anche ben riuscito al momento, sembra) di tagliare la lingua a chi esprime un’opinione diversa da quella diffusa. E in questo caso non ci si limita a dire che vengono dette cose non vere e, magari, impegnarsi per dimostrare il contrario con un confronto tra le parti in causa proprio nella stessa scuola in cui sarebbe stato commesso il reato d’opinione. No. Si dice che il reo è gobbo e si cerca anche di levargli il pane di bocca (il lavoro), così se muore di fame la giustizia sarebbe ancor più giusta. Non è questo un delirio?”.
Purtroppo, l’Italia è una colonia. Se non fosse una colonia (con un centinaio di basi militari americane dislocate dal Trentino alla Sicilia) il Presidente della Repubblica non avrebbe nominato senatrice a vita Liliana Segre. Avrebbe invece nominato senatore a vita il revisionista Carlo Mattogno.
In Iran, che purtroppo per gli Stati Uniti non è una colonia degli Stati Uniti, a suo tempo il Presidente Ahmadinejad premiò il revisionista Robert Faurisson. Questo è il privilegio della libertà: premiare chi rema contro corrente (come ha remato contro corrente per tutta la vita il prof. Faurisson).
Il Presidente dell’Iran Ahmadinejad premia il prof. Faurisson
Oltre al caso della professoressa fiorentina, ci sono due aggiornamenti di cui oggi devo ragguagliare i miei lettori. Uno cattivo e uno buono.
Quello cattivo è che la Baseball Major League, la lega americana del baseball, non promuoverà più i concerti di Roger Waters negli Stati Uniti. E questo, dopo le rimostranze dei massoni del B’nai B’rith, che avevano preso di mira Waters per il suo impegno in favore dei palestinesi. Preciso che il ‘B’nai B’rith è un ordine massonico vero e proprio, e non semplicemente un’”associazione” (come è stato genericamente definito dal sito italiano che ha riportato la notizia).
Per i dirigenti del B’nai B’rith degli Stati Uniti, le prese di posizione di Waters nei confronti di Israele “superano di gran lunga i confini del discorso civile”. Sparare ai bambini palestinesi invece, per costoro, non supera i confini del discorso civile.
Come scrive Gideon Levy (tradotto dal sito lantidiplomatico.it),
“I soldati israeliani sparano ai bambini. A volte li feriscono e a volte li uccidono. A volte i bambini finiscono in morte cerebrale, a volte disabili. A volte i bambini lanciano pietre contro i soldati, a volte Molotov. A volte per caso finiscono nel mezzo di uno scontro. Quasi mai mettono in pericolo la vita dei soldati…I soldati israeliani sono autorizzati a sparare ai bambini. Nessuno li punisce per aver sparato ai bambini”.
La diffusione del database arriva dopo anni di inspiegati ritardi, che avevano indotto le associazioni dei diritti umani a esprimere la preoccupazione che le Nazioni Unite stessero soccombendo alle pressioni politiche per censurare le informazioni.
Come ricorda l’articolo di electronicintifada.net, gli insediamenti coloniali israeliani nelle terre occupate sono illegali in base al diritto internazionale e il pubblico ministero della Corte penale internazionale ha deciso di indagare sulla loro costruzione come un crimine di guerra.
Il rapporto, diffuso dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, elenca 112 aziende coinvolte in certe attività negli insediamenti, incluse la fornitura di attrezzature e di materiali per costruzioni o demolizioni, sorveglianza e sicurezza, trasporto e manutenzione, inquinamento e scarico, e uso delle risorse naturali, compresa l’acqua e la terra.
Israele ha reagito alla pubblicazione dell’elenco con furore. Gilad Erdan, il ministro israeliano degli affari strategici, ha sostenuto che “esso prova ancora una volta il coerente antisemitismo e l’odio per Israele delle Nazioni Unite”.
Gilad Erdan
In questo contesto, in cui l’immagine di Israele accusa qualche colpo, subito sono giunte Germania e Repubblica Ceca in soccorso dello stato ebraico, sostenendo che la Corte penale internazionale non ha giurisdizione sul conflitto israelo-palestinese (per scongiurare la paventata inchiesta sui crimini di guerra israeliani).
Quindi, la Germania non si accontenta di finanziare (col denaro dei contribuenti) l’arsenale nucleare israeliano: dà anche giuridicamente manforte ai crimini di guerra dello stato ebraico.
Il rappresentante tedesco è arrivato a sostenere che “L’ambito della giurisdizione territoriale della Corte ai sensi dell’Articolo 12 dello Statuto di Roma non si estende ai territori palestinesi occupati. L’articolo 12 dello Statuto di Roma presuppone che esista uno “Stato” che ha la capacità ai sensi del diritto internazionale di delegare la competenza territoriale alla Corte in relazione ai casi pertinenti”.
La cosa più disgustosa è che anche l’Ungheria del (presunto) sovranista Orban si è associata alla Germania e alla Repubblica Ceca nel sostegno a Israele in questa battaglia di fronte alla Corte penale internazionale. Il che rende Orban in tutto e per tutto degno del suo compare Salvini. Quest’ultima mossa dell’Ungheria fa capire quanto si fosse sbagliato a suo tempo il revisionista tedesco HorstMahler nel chiedere asilo politico allo stato magiaro, confidando appunto nella buona fede delle posizioni sovraniste di Orban.
Quindi, come si vede, in mezzo a qualche buona notizia ce ne sono tante, troppe, cattive. Ma, come diceva Vittorio Arrigoni, restiamo umani (e teniamoci aggiornati).
FONTE:https://www.andreacarancini.it/2020/02/la-professoressa-sospesa-per-aver-criticato-liliana-segre-il-meccanismo-della-delazione/
CULTURA
L’IDEOLOGIA BRITANNICA. Tra eugenetica, malthusianesimo e Nuovo Ordine Mondiale
Chiunque abbia la ventura di leggere The Brave New World, l’allucinata ma “profetica” distopia dell’inglese Aldous Huxley, che già negli anni ’30 del XX secolo precognizzava un futuro Governo Globale dove un’umanità concepita “in provetta” (la pubblicazione del romanzo è del 1932!) e ridotta a 200 milioni di individui, viene mantenuta in “dorate catene” e totale obbedienza attraverso droga, sesso e spettacoli, non può non sospettare che la trama rifletta non solo la “fantasia” del romanziere ma anche una tendenza, uno stato di spirito, realmente presente tra le “classi alte” del mondo anglosassone (di cui Aldous era uno dei più brillanti rampolli). In effetti, quella che potremmo definire come “ideologia britannica” ha una lunga storia: si tratta di un mix di suprematismo classista, culto dell’eugenetica ed elitismo, ossessione per il controllo sociale indotto e idea fissa che l’umanità debba essere drasticamente ridotta di numero se non addirittura “ricreata” prometeicamente, che è stato un vero e proprio riferimento occulto di molte politiche anglosassoni degli ultimi due secoli, divenendo dal secondo dopoguerra “ideologia di riferimento” non più solo in Inghilterra o negli Stati Uniti ma in tutto il mondo occidentale e oltre.
Un’ideologia che rivela, a volte, suggestioni para-messianiche di rinnovamento globale e dominio del mondo ma che ha tuttavia saputo imporsi, a livello pseudo-scientifico, con le ipotesi di Malthus e Darwin, divenendo giustificazione e pilastro dell’ultra-capitalismo moderno e della sua visione del mondo. Così, ad esempio, quando si assiste, al giorno d’oggi, ad operazioni come il tentativo di estendere l’eutanasia ai bambini malati o all’incessante propaganda contro la “natalità” umana vista quale pericolo per la “madre Terra”, bisogna sempre tener conto di quali radici ideologiche si celino dietro tali politiche.
MALTHUS: DIMINUIRE LA POPOLAZIONE CON GUERRE, CARESTIE, ADULTERIO E SODOMIA
Uno degli esempi più noti di questa scienza al servizio del potere é il pastore anglicano Thomas Malthus, autore di quel An essay of the principle of the population as it affects the future improvement of society a cui si rifanno, ancor oggi, tutti i teorici del denatalismo e della necessità di contenere o ridurre la popolazione mondiale.
Secondo Malthus, infatti, poiché la popolazione tenderebbe a crescere in progressione geometrica, quindi più velocemente della disponibilità di alimenti, (che crescerebbero invece in progressione aritmetica), bisognerebbe fare di tutto per evitare il moltiplicarsi della popolazione stessa, soprattutto –vien da sé- della sua parte più povera. A questo scopo, secondo Malthus, andavano rimossi quei “sussidi per i meno abbienti” per evitare che le famiglie fossero invogliate a riprodursi eccessivamente, e bisognava anche mantenere i salari delle classi più povere ad un livello minimo di sussistenza.
Da “religioso”, naturalmente, Malthus vedeva nella castità e nella continenza il rimedio più accettabile moralmente per ridurre la popolazione, ma da “scienziato” non negava che i mezzi attraverso i quali tale limitazione si attuava in natura o nelle società fossero più spesso di carattere repressivo o preventivo. Le vie repressive contemplavano in un caso l’azione della mortalità per mezzo di epidemie, guerre, carestie, ecc.; nell’altro, una diminuzione della natalità mediante la diffusione di tutti quei comportamenti, tra cui l’adulterio, la sodomia, ecc. che causano una diminuzione delle nascite.
D’altronde, l’ipotesi maltusiana non faceva altro che tradurre, in forma di ipotesi “scientifica”, un sentimento già fortemente diffuso nella società inglese dell’epoca. Se ne avrebbe avuta una drammatica dimostrazione di lì a poco, tra il 1845 e il 1849, durante la spaventosa carestia che colpì la vicina Irlanda (The Great Famine, in gaelico An Gorta Mòr) uccidendo o costringendo all’emigrazione quasi il 40% della popolazione dell’isola; carestia accolta come un’occasione d’oro dai dominatori britannici e dai proprietari terrieri protestanti, i quali, molto “malthusianamente”, rifiutarono ogni forma d’aiuto ai loro (detestati) sudditi celtici e cattolici, lasciandoli letteralmente morire di fame.
L’IDEOLOGIA DARWINISTA E LA “MANIPOLAZIONE CULTURALE” DI THOMAS HUXLEY
Ma se il malthusianesimo è l’antenato più o meno diretto di quei veri e propri dogmi del pensiero mondialista che saranno il denatalismo e l’eugenetica, esso è anche l’ispiratore di un altro “mito scientifico” anglosassone via via imposto a tutto il mondo: il Darwinismo. Darwin stesso ne riconobbe l’apporto, specie nell’aspetto così tipico della sua ipotesi che riguarda la lotta per l’esistenza e la sopravvivenza del più “adatto”. D’altronde, anche la vicenda dell’affermazione del Darwinismo a partire dal XIX secolo è piuttosto significativa del ruolo fortemente politico assunto dalla scienza nella cultura britannica.
Il Darwinismo, che per la nuova “ideologia scientista” doveva servire da stampella ai progetti egemonici della Gran Bretagna e di tutto l’Occidente, sarebbe stato quello che era stata la Genesi per l’universalismo cristiano dei secoli precedenti. Una “genesi atea, materialista ed esaltante il potere del più forte sul più debole che rispondeva alla perfezione al clima culturale e politico dell’epoca del Colonialismo e della Seconda Rivoluzione Industriale. E se da una parte, con la sua idea di evoluzione “casuale”, il Darwinismo estrometteva di fatto qualsiasi intervento divino sulla realtà, esso diveniva anche uno straordinario strumento per legittimare il dominio di una autoproclamata “elité” di “esseri evoluti” sul resto del mondo bollato come involuto, passatista e destinato per natura all’estinzione.
Questo, tuttavia, non significa che non ci furono resistenze. L’ascendente ancora forte che la religione aveva su una parte della società britannica e occidentale –oltre alle aporie e ai legittimi dubbi scientifici che il Darwinismo suscitava- potevano rendere difficile l’affermazione di un’ideologia così rivoluzionaria.
E’ proprio in questo frangente, in effetti, che risalta più che mai l’azione concertata di determinate “lobby culturali” che, all’atto pratico, furono determinanti nell’imporre il Darwinismo all’opinione pubblica. Stiamo parlando, ad esempio, del gruppo cappeggiato da Thomas Henry Huxley, personaggio brillante e astuto, nonno del romanziere Aldous.
Presidente della Royal Society dal 1883 al 1885, Thomas Huxley fu anche il promotore di un gruppo più ristretto ed esclusivo, l’XClub, che ebbe un influsso enorme sulla cultura britannica, spingendola all’accettazione del Darwinismo e dei suoi presupposti. Cooptando nell’XClub, uomini di cultura particolarmente in vista e potenti della società britannica dell’epoca, infatti, Thomas Huxley riuscì inesorabilmente a diffondere la fede darwinista in larghi strati dell’alta società inglese, secondo uno schema di “manipolazione della società” che ritroveremo spesso nella nascita delle “mode” moderne.
L’IDEOLOGIA BRITANNICA DIVENTA IDEOLOGIA MONDIALE
È solo a partire dal secondo dopoguerra, tuttavia, che tale ideologia verrà proposta e imposta al mondo intero. E sarà proprio uno dei nipoti di Thomas Huxley, Julian Sorel Huxley, darwinista di ferro, neomalthusiano e convinto assertore dell’eugenetica, tra i fondatori dell’UNESCO) di cui fu primo direttore, a definire pubblicamente l’immagine di un piccolo gruppo di illuminati detentori della verità che ha il diritto di “indirizzare” l’umanità verso scopi e fini ignoti alle moltitudini. Così, scrive Julian Huxley nel programma della Commissione preparatoria dell’UNESCO dal titolo Unesco its purpose and its philosophy[1]:
Il progresso non è automatico o inevitabile ma dipende dalla scelta umana e dallo sforzo di volontà. Prendendo le tecniche di persuasione e informazione e vera propaganda che abbiamo imparato ad applicare come nazione in guerra, e deliberatamente unendole ai compiti internazionali di pace, se necessario utilizzandole, come Lenin previde per superare la resistenza di milioni verso il cambiamento desiderabile. (J.S.Huxley, Unesco its purpose and its philosophy, 1946. Il testo é scaricabile in inglese su formato PDF dal sito ufficiale dell’UNESCO: http://unesdoc.unesco.org/images/0006/000681/068197eo.pdf )
Propaganda di guerra utilizzata in tempo di pace per manipolare l’opinione delle masse: questo è dunque uno degli scopi programmatici delle organizzazioni internazionali contemporanee. E l’ideologia che tali organizzazioni propongono non è altro, infondo, che l’edizione più aggiornata degli “ideali” nati in Inghilterra dal XVIII secolo in poi: controllo sociale, depopolazione, eugenetica, diffusione di quei costumi (sessualità puramente “ricreativa”, omosessualità, ecc.) che possono indurre ad una diminuzione della natalità, eliminazione dei più deboli considerati come “vite inutili”, ecc.
Senza questi presupposti, in effetti, è impossibile comprendere molti dei fenomeni che caratterizzano la storia più recente.
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BREVE BIBLIOGRAFIA
A beneficio di chi volesse approfondire il tema trattato, consigliamo:
G.Marletta-E.Perucchietti, Governo globale, Ed. Arianna
E.Pennetta, Inchiesta sul Darwinismo, Ed. Cantagalli
STATI UNITI E ISRAELE: CRIMINI E MISFATTI
Lo so, sono tempi duri quelli che stiamo vivendo, chiusi in casa ad aspettare che l’emergenza virus scemi ma vi chiedo un piccolo sforzo: ogni tanto, pensiamo anche a chi sta peggio di noi. Pensiamo ai palestinesi, per esempio.
Noi non abbiamo un esercito di occupazione che imperversa sul nostro territorio e uccide i nostri figli!
Mercoledì scorso, ad esempio, le forze di occupazione israeliane hanno aperto il fuoco sui palestinesi che stavano difendendo una montagna contro l’illegale espansione dei coloni vicino alla città di Nablus in Cisgiordania.
La montagna in questione è quella di Jabal al-Arma, alla periferia del villaggio Beita: l’esercito ha aperto il fuoco sui manifestanti palestinesi, uccidendo un ragazzo di 17 anni e ferendo almeno 112 civili.
Muhammad Hamayel, questo il nome del ragazzo, è morto a causa delle ferite dopo essere stato colpito alla testa dalle truppe israeliane.
I palestinesi si erano barricati di notte sulla montagna per impedire che i coloni la invadessero per costituirvi un nuovo avamposto.
I medici palestinesi hanno confermato che numerosi paesani hanno subito fratture e ferite per essere stati picchiati dai soldati.
Ma nei giorni scorsi ho letto un’altra notizia che, se fosse vera, sarebbe sconvolgente: l’ha diffusa l’agenzia di notizie iraniana Pars Today. Israele avrebbe introdotto un medico israeliano, malato di coronavirus, nella prigione di Ashkelon, in modo da contagiare il maggior numero possibile di detenuti palestinesi.
La vicenda sarebbe avvenuta circa una settimana fa: lo ha detto, in un’intervista con la rete satellitare Al Alam, il direttore del comitato per i prigionieri palestinesi Ghadri Abu Bakr.
Ho chiesto lumi sull’attendibilità della notizia ai miei contatti Facebook Diego Siragusa e Stefania Limiti: entrambi mi hanno detto che le autorità israeliane non si farebbero certo scrupoli a compiere un’azione del genere.
Su un’altra notizia invece non vi sono dubbi: le ditte farmaceutiche israeliane testano medicine sui prigionieri palestinesi. A rivelarlo è stata il 19 febbraio scorso la professoressa israeliana Nadera Shalhoub-Kevorkian. La stessa fonte ha parimenti rivelato che le aziende militari israeliane stanno testando armi sui bambini palestinesi e che effettuano questi test nei quartieri palestinesi della Gerusalemme occupata.
Parlando alla Columbia University di New York, Shalhoub-Kevorkian ha detto che ella ha raccolto questi dati nell’ambito di un progetto di ricerca alla Hebrew University.
“Gli spazi palestinesi sono laboratori”, ella ha detto. “L’invenzione di prodotti e di servizi da parte delle corporation che si occupano della sicurezza e che sono finanziate dallo stato viene alimentata dai prolungati coprifuoco e dall’oppressione dei palestinesi ad opera dell’esercito israeliano”.
Nella sua conferenza, intitolata “Spazi inquietanti – tecnologie violente nella Gerusalemme palestinese”, la professoressa ha aggiunto: “Essi sperimentano quali bombe usare, bombe a gas o bombe puzzolenti. Se impiegare sacchi di plastica o sacchi di stoffa. Picchiarci con i loro fucili o prenderci a calci con gli stivali”.
Queste notizie, per quanto inquietanti, non sono però una novità assoluta: già nel luglio 1997, il giornale israeliano Yedioth Ahronoth aveva riferito le dichiarazioni di Dalia Itzik, presidente di una commissione parlamentare, secondo cui il Ministro della Sanità israeliano aveva dato il permesso alle aziende farmaceutiche di testare le loro nuove medicine sui detenuti. All’epoca, erano già stati effettuati 5.000 test.
Robrecht Vanderbeeken, addetto culturale del sindacato ACOD del Belgio, ammonì nell’agosto 2018 che la popolazione della Striscia di Gaza “viene fatta morire di fame, avvelenata, e i bambini vengono rapiti e uccisi per i loro organi”.
La prof. Nadera Shalhoub-Kevorkian
Questa dichiarazione seguì precedenti allarmi lanciati dall’ambasciatore palestinese alle Nazioni Unite, Riyad Mansour, che aveva detto che i corpi dei palestinesi uccisi dall’esercito israeliano “sono privi delle cornee e di altri organi”, confermando ulteriormente pregressi resoconti su organi asportati dalla potenza occupante.
Il sionismo è una delle forme di razzismo più radicali e più feroci di questo mondo. Per rendersene conto, basta leggere le interviste dei cecchini israeliani che si sono vantati con il quotidiano Haaretz di aver colpito alle ginocchia i manifestanti della Striscia di Gaza.
“Ho tenuto l’involucro di ogni colpo che ho sparato”, ha detto un ex cecchino della brigata di fanteria Golani. “Li ho nella mia stanza. Quindi non devo fare una stima – lo so: 52 successi precisi”.
Alla domanda di come c’è riuscito, rispetto ad altri del suo battaglione, il soldato ha risposto: “Dal punto di vista dei colpi, ho il massimo. Nel mio battaglione avrebbero detto: “Guarda, ecco che arriva il killer”.
“Devi capire che prima che ci mettessimo in luce, le ginocchia erano la cosa più difficile da collezionare. C’era una storia su un cecchino che aveva in tutto 11 ginocchia, e la gente pensava che nessuno potesse superarlo. E poi io ho portato a casa sette-otto ginocchia in un giorno. Nel giro di poche ore, avevo quasi battuto il suo record”.
Il soldato si è vantato di aver battuto il “record delle ginocchia” durante la dimostrazione del 14 maggio 2018.
“Quel giorno, la nostra coppia ha avuto il maggior numero di successi, 42 in tutto. Il mio localizzatore non avrebbe dovuto sparare, ma gli ho dato una pausa, perché ci stavamo avvicinando alla fine del nostro turno, e non aveva ginocchia “, ha detto a Haaretz.
“Alla fine vuoi lasciare con la sensazione che hai fatto qualcosa, che non sei un cecchino soltanto durante le esercitazioni. Così, dopo aver colpito qualche bersaglio, gli ho suggerito di darci il cambio. Ha preso circa 28 ginocchia, direi”.
Nelle scorse settimane ho parlato più volte dell’intolleranza sionista, ma qui ci troviamo di fronte a qualcosa di peggiore: questa è criminalità allo stato puro.
Eppure, a livello internazionale, nessun paese osa protestare contro le spaventose violazioni dei diritti umani compiute da Israele contro i palestinesi.
E così lo stato ebraico diventa sempre più arrogante. Anche grazie all’immancabile sostegno dello stato più sionista fuori dai confini di Israele: gli Stati Uniti.
Facendosi forte di questa immarcescibile complicità, l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Danny Danon, ha detto che gli Stati Uniti puniranno tutti coloro che si azzarderanno a boicottare le aziende e gli individui che traggono profitto dall’occupazione illegale della Cisgiordania e che compaiono sulla lista nera del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (UNHRC).
Una lista peraltro pubblicata con grave ritardo.
Danon ha quindi rivolto i suoi strali contro il senatore Bernie Sanders, colpevole a suo dire di essersi rifiutato di partecipare all’annuale convegno dell’AIPAC, una delle branche più note della Israel lobby negli Stati Uniti, e di aver definito il premier israeliano Netanyahu “un razzista reazionario”.
L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Danny Danon
Eppure, che Netanyahu sia un razzista è stato ammesso persino da un quotidiano “politicamente corretto” come il Guardian, che in un articolo scritto dall’opinionista ebreo Yair Wallach notava come gli attacchi razzisti di Netanyahu contro gli elettori palestinesi muniti di cittadinanza israeliana si siano intensificati nel corso degli ultimi anni.
Adesso, oltre a odiarli, ne teme concretamente la forza di aggregazione: il loro partito, la Lista unita, è passato nel giro di un anno dai 337.000 voti dell’aprile 2019 ai 575.000 voti del marzo 2020 (conquistando 15 seggi) e ha impedito al partito del premier, il Likud, di formare una maggioranza autosufficiente in parlamento.
Secondo Netanyahu, i palestinesi devono essere esclusi dai processi decisionali relativi alla formazione del nuovo governo e i loro voti in parlamento non devono contare.
Ma ad essere razzista in Israele non è solo Netanyahu. Anche i partiti di centro-sinistra lo sono, come spiega Wallach nel suo articolo: “la logica razzista di una ‘maggioranza ebraica’ forma ancora la base della politica mainstream”.
Adesso, il governo che appare più probabile senza i voti dei palestinesi è quello di unità nazionale: il Likud in alleanza con il partito “Blu e Bianco”. Forse, sarà questa la soluzione, cogliendo la palla al balzo dell’emergenza da coronavirus: un governo unito dal razzismo, con il quale Israele rimarrà una “democrazia” per soli ebrei.
Il leader della Lista unita, Ayman Odeh
Una “democrazia” a proposito della quale si possono leggere quotidianamente sui giornali notizie come questa: “Una bambina di Gaza che combatteva contro il cancro è morta senza il proprio padre al suo fianco. Ella non sarà l’ultima”.
Lo scrive Gideon Levy, uno di quegli israeliani che non hanno ancora perso il senso di umanità (“Restiamo umani”, diceva sempre il compianto Vittorio Arrigoni!).
Levy si riferisce a Miral, una bambina di 10 anni, paziente oncologica, che ha dovuto combattere contro la burocrazia per avere la propria madre vicina in un ospedale di Nablus, ma che è morta qualche giorno fa senza poter rivedere il proprio padre dallo scorso mese di dicembre.
Adesso Israele sta negando ad un’altra giovane palestinese, malata di leucemia, le cure mediche.
Davvero è una democrazia questa?
E sono una democrazia gli Stati Uniti, che stanno negando all’Iran, colpito dall’emergenza coronavirus, l’accesso ai farmaci?
È quanto afferma l’ambasciata iraniana in Italia in un suo comunicato: “Gli Stati Uniti, nonostante le false dichiarazioni mediatiche, non solo non hanno fornito all’Iran l’opportunità di accesso a medicinali e attrezzature mediche (per combattere il coronavirus), ma esercitano forti pressioni contro i paesi e le aziende che stanno cercando di alleviare le difficoltà del popolo iraniano attraverso azioni umanitarie ed aiuti finanziari”. È quanto afferma in un comunicato l’ambasciata iraniana in Italia. “Questa azione criminale degli Stati Uniti – si aggiunge nella nota – sta di fatto impedendo agli aiuti umanitari di raggiungere l’Iran”.
No, gli Stati Uniti non sono una democrazia: sono un’oligarchia, una (feroce) “dittatura dell’imprenditoriato”, come scrisse a suo tempo John Kleeves.
E visto che stiamo parlando di coronavirus, ricordiamo che l’Italia non ha ricevuto nessun aiuto dal cosiddetto “alleato” americano, e neppure dai presunti “alleati” dell’Unione Europea: no, l’unico aiuto concreto l’Italia lo ha ricevuto finora proprio dalla Cina. “Materiale, esperti e i risultati del lavoro di migliaia di medici”. Come riferisce il quotidiano La Stampa, “In prima fila in questa collaborazione c’è la Croce Rossa cinese che ci ha portato «31 tonnellate di materiali, tra cui equipaggi per macchinari respiratori, tute, mascherine. Ci sono anche alcune medicine anti virus insieme a sangue e plasma»”.
Questo cosa vuol dire? Forse, che il socialismo è più solidale del capitalismo.
FONTE:https://www.andreacarancini.it/2020/03/stati-uniti-e-israele-crimini-e-misfatti/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
GILAD ATZMON: LE TEORIE DEL COMPLOTTO DAI SAVI DI SION ALLE BAMBINE DI EPSTEIN
LE TEORIE DEL COMPLOTTO DAI SAVI DI SION ALLE BAMBINE DI EPSTEIN[1]
Di Gilad Atzmon, 17 agosto 2019
Dopo il presunto suicidio di Jeffrey Epstein la settimana scorsa siamo stati sommersi da uno tsunami di narrazioni che non aderiscono ai mutevoli rapporti ufficiali sulla sua morte. Presumibilmente alcuni degli intimi segreti delle persone più potenti di questo pianeta verranno sepolti con Epstein. Mentre è logico credere che individui tanto potenti da impoverire continenti o da scatenare guerre mondiali che uccidono decine di milioni di persone possano facilmente organizzare la morte di un singolo accertato criminale sessuale in una cella di New York, chiunque abbia proposto un tale scenario, per quanto plausibile, è stato immediatamente bollato come un “teorico del complotto”.
VIDEO QUI: https://youtu.be/eQmfd-KSJSQ
“Teoria del complotto” è come i media mainstream caratterizzano qualunque narrazione differisca dal loro resoconto della linea ufficiale. Cos’è una teoria del complotto? Può essere definita in termini categoriali? Può una teoria del complotto essere convalidata scientificamente o confutata con mezzi analoghi? Quali criteri possono essere usati per distinguere tra una teoria del complotto e delle riflessioni teoriche?
La bollatura di una teoria come “complottistica” è un tentativo di screditare il suo autore – o i suoi autori – e di negare la sua validità. Una teoria del complotto di solito prevede una tesi esplicativa che indica un complotto malefico che prevede spesso un gruppo interessato segreto. Il termine “teoria del complotto” ha una connotazione peggiorativa: il suo impiego suggerisce che la teoria si appella al pregiudizio e/o richiede una narrazione inverosimile e indimostrata costruita su prove insufficienti.
Quelli che si oppongono alle teorie del complotto sostengono che tali teorie resistono alla falsificabilità e sono rafforzate dal ragionamento circolare, e che tali teorie sono basate principalmente su credenze, contrarie al ragionamento accademico o scientifico.
Ma anche questa critica non è esattamente basata su validi principi argomentativi. Il filosofo Karl Popper, che definì il principio della falsificabilità, sosteneva in modo categorico che la psicanalisi freudiana e il marxismo falliscono per le stesse ragioni. Il complesso di Edipo, ad esempio, non è mai stato provato scientificamente e non può essere falsificato o convalidato scientificamente. Anche il marxismo resiste alla falsificabilità. Nonostante le predizioni “scientifiche” di Marx, la rivoluzione del proletariato non è mai avvenuta. Non mi sono personalmente mai imbattuto in qualcuno che si riferisce a Marx o a Freud come “teorici del complotto”. “Resistere alla falsificabilità” e “rafforzato dal ragionamento circolare” sono caratteristiche delle teorie non scientifiche e non si applicano solo alle “teorie del complotto”.
L’Oxford English Dictionary definisce la teoria de complotto come “la teoria che un evento o un fenomeno accadono come conseguenza di un complotto tra gruppi interessati; specialmente la convinzione che un’agenzia segreta ma influente (tipicamente politica nella motivazione e oppressiva nell’intento) sia responsabile di un evento inspiegato”.
L’Oxford Dictionary non espone i criteri che definiscono una teoria del complotto in termini categoriali. La storia del genere umano è stracolma di riferimenti a complotti segreti guidati da gruppi influenti.
Il problema di confutare le teorie del complotto è che esse spesso sono più eleganti ed esplicative delle concorrenziali narrazioni ufficiali. Tali teorie hanno la tendenza di attribuire la colpa alle potenze egemoniche. Nel passato, le teorie del complotto erano popolari soprattutto presso cerchie marginali: ora stanno diventando comuni sui mass media. Le narrazioni alternative sono largamente diffuse sui social media. In alcuni casi, sono state diffuse da organi ufficiali e persino dall’attuale presidente americano. È possibile che la rapida ascesa nella popolarità delle teorie alternative sia indice di una crescente sfiducia nei confronti dell’attuale classe dirigente, dei suoi ideali, dei suoi interessi e della sua demografia.
La riposta alla storia del suicidio di Jeffrey Epstein è emblematica. La narrazione ufficiale ha provocato una reazione che è stata una miscela di incredulità che si è espressa nella satira e che ha ispirato una pletora di teorie che hanno cercato di spiegare la saga che si è rivelata il più grande scandalo sessuale nella storia dell’America e oltre.
La domanda ovvia è: cosa ha condotto alla crescita di popolarità delle cosiddette “teorie del complotto”? Io passerei oltre e chiederei: perché una società che afferma di essere “libera” è minacciata dall’ascesa delle narrazioni alternative?
In verità, la domanda in sé stessa è fuorviante. Nessuno è realmente spaventato dalle “teorie de complotto” per sé stesse. Voi non sarete arrestati o perderete il vostro lavoro per essere un “negazionista del cambiamento climatico”. Potete congetturare sull’allunaggio e persino negarlo a volontà. Siete liberi di congetturare sull’assassinio di Kennedy fintanto che non menzionate il Mossad. Potete persino sopravvivere come complottista dell’11 settembre ed esporre tutte le narrazioni alternative che volete ma il suggerimento che Israele ha fatto l’11 settembre vi metterà in guai seri. Esaminare “I Protocolli dei Savi di Sion” come un esempio di letteratura immaginaria, per quanto profetica, può portare in alcuni paesi all’imprigionamento. Scavare nella vera origine del bolscevismo e nelle statistiche demografiche della rivoluzione sovietica è praticamente un atto suicida. Dire la verità sull’accordo di Hitler con l’agenzia sionista provocherà definitivamente la vostra espulsione dal partito laburista inglese e sarete accusati di essere come minimo dei teorici del complotto.
Sospetto che venga permesso di deviare dalla narrazione ufficiale e di congetturare su complotti segreti su ogni argomento dato tranne probabilmente quelli relativi agli ebrei.
Qui le cose si complicano perché non vi sono complotti ebraici: tutto viene fatto apertamente. Israele, il sionismo, le istituzioni ebraiche e i singoli ebrei operano sotto i riflettori e non nascondono le loro azioni. L’AIPAC non cerca di nascondere la propria agenda né i politici eletti in America fanno lo sforzo di nascondere la loro vergognosa capitolazione nei convegni dell’AIPAC. Che i Labour Friends of Israel agiscano contro il partito laburista ed il suo leader democraticamente eletto è una notizia del mainstream. I jet israeliani che attaccarono la USS Liberty l’8 giugno 1967 erano decorati con simboli ebraici. Jeffrey Epstein non camuffò la sua “Isola dei Pedofili”. Egli operava apertamente. Temo che non vi siano molte prove di complotti ebraici. Ma vi è un’abbondanza di prove della soppressione istituzionale di ogni tentativo di discutere su tutto ciò. L’agenda dell’AIPAC viene propugnata apertamente; criticare la sua agenda è rigorosamente proibito. Lo stesso si applica alle altre attività della Israel Lobby, ai crimini di guerra israeliani, e persino ai crimini commessi da singoli ebrei. Il potere ebraico, per come lo definisco, è il potere di sopprimere la discussione sul potere ebraico.
Per ovvie ragioni gli ebrei sono allarmati da teorie che si concentrano sulla loro politica, cultura, religione, folklore ecc. Sembra che le istituzioni ebraiche siano state sufficientemente energiche per zittire la maggior parte dei tentativi di criticare le politiche ebraiche e israeliane. Questo ci porta alla domanda del perché gli ebrei, il sionismo, il giudaismo e l’ebraicità siano così spesso oggetto di teorie del complotto. Si tratta di nuovo di pregiudizio antisemita oppure c’è forse qualcosa nell’ideologia, nella cultura e nella politica ebraica che suscita tali teorie? Vale la pena di consultare il libro di Jesse Walker The United States of Paranoia: A Conspirancy Theory. Secondo Walker vi sono cinque tipi di teorie del complotto:
- Il “Nemico Esterno” si riferisce a teorie basate su personaggi che si ritiene complottino contro una comunità dall’esterno.
- Il “Nemico Interno” individua cospiratori che stanno in agguato all’interno della nazione, indistinguibili dai cittadini comuni.
- Il “Nemico dall’Alto” riguarda persone potenti che manipolano gli eventi per il loro interesse.
- Il “Nemico dal Basso” riguarda le classi inferiori che lavorano per rovesciare l’ordine sociale.
- I “Complotti Benefici” sono forze angeliche che operano dietro le quinte per migliorare il mondo e aiutare le persone.
È abbastanza facile capire che ognuno dei tipi cospirativi di Walker descrive un aspetto apertamente manifestato della politica, della cultura o della religione ebraica.
Il “Nemico Esterno” potrebbe essere una legittima reazione patriottico-nazionalistica americana alla dominazione straniera imposta alla politica estera americana. Questo genere di argomento è supportato da approfonditi studi accademici come quello di Mearsheimer e Walt o quello di James Petras che hanno studiato la Israel Lobby ed il suo impatto. Questa ostile dominazione straniera è stata esplorata da vari media inclusa la denuncia da parte di Al Jazeera della Israel Lobby sia in Inghilterra che negli Stati Uniti. L’attuale amministrazione americana e la sua politica faziosa a favore delle posizioni israeliane dà credito a quelli che vedono Israele come il “nemico esterno”. Tuttavia, nessuno dei predetti ha complottato dietro le quinte. Tutto viene fatto apertamente. Solo non potete contestarlo apertamente.
Il “Nemico Interno” potrebbe facilmente indicare l’intenso lavoro dei sostenitori di Israele, delle lobby ebraiche (AIPAC, J Street, ecc.) e dei tirapiedi israeliani all’interno della politica americana e di altri paesi occidentali (Inghilterra, Francia, ecc.). Similmente, quelli che difendono profondi valori cristiani possono identificare gli elementi progressisti ebraici come il nemico del loro stile di vita conservatore. Lo stesso si applica ai sostenitori delle politiche anti-immigratorie che vedono i supporter ebrei dell’immigrazione come il loro nemico interno. Il ruolo preminente di Kushner e la sua vicinanza al presidente non aiuta a dissipare i dubbi sul cosiddetto “nemico interno”. Ma la lobby ebraica in America è rumorosa e provocatoria e i supporter ebrei progressisti e pro-immigrazione sono almeno altrettanto rumorosi. Kushner non nasconde la sua affiliazione con Chabbad o le sue simpatie sioniste. Non c’è un complotto segreto, però non potete discuterne apertamente.
Il “Nemico dall’Alto” è un’appropriata descrizione dell’orbita ravvicinata di Epstein e dei suoi rapporti privilegiati con le classi dirigenti internazionali. E, come sappiamo, Epstein non si prendeva il disturbo di nascondere le sue operazioni. Chiamare il suo Boeing 727 il Lolita Express era poco meno che intitolare i suoi voli privati “Pedo Air” o “United PedoLines”. Bernie Madoff ricade nella stessa tipologia. L’uomo che fu ad un certo punto presidente di NASDAQ, non si prese il disturbo di camuffare il suo schema Ponzi: in realtà Madoff ammise di essere rimasto sorpreso dall’incapacità delle forze dell’ordine di scoprire i suoi crimini. Qualcuno potrebbe considerare George Soros come il prototipo del “nemico dall’alto”. Soros è un miliardario ebreo che usa la sua ricchezza per finanziare cause identitarie e cambiamenti sociali che non sono precisamente apprezzati dalla massa conservatrice/nazionalista. Di nuovo, Soros non nasconde nulla. Egli elargisce i suoi finanziamenti attraverso il suo Open Society Institute. Tuttavia, per qualche ragione, le critiche all’agenda di Soros vengono frequentemente denunciate come una perpetuazione delle “teorie del complotto”.
Il “Nemico dal Basso” può essere illustrato dal coinvolgimento ebraico nei movimenti rivoluzionari, nelle campagne per i diritti umani, nella rivoluzione gender, nel movimento femminista, nel sostegno alla causa LGBTQA e così via. Di nuovo niente di tutto ciò avviene dietro una cortina. Gli ebrei spesso si vantano del loro ruolo preminente in queste cause umanitarie e liberali. Ma criticare questi movimenti, e specialmente i loro sostenitori, è assolutamente proibito.
I “Complotti Benefici” sono dimostrati dalla filosofia di Tikun Olam: l’idea che spetta agli ebrei “fermare il mondo e reintegrare la sua etica”. Quelli che si rifiutano di “essere fermati” potrebbero ben vedere elementi ebrei nel cuore di una causa progressista e potrebbero vedere in tale altruismo una forza oscura malefica.
La maggior parte dei gruppi etnici e delle lobby rientrano solo in uno o due dei tipi descritti dal Modello di Teoria del Complotto di Walker; la politica ebraica rientra in tutti. Agli occhi dei nazionalisti europei ardenti e bigotti come Tommy Robinson, gli immigrati musulmani rappresentano un “Nemico Esterno”. I razzisti che odiano le persone di colore potrebbero considerare quelli con la pelle scura come il “Nemico Interno”. Quelli che disapprovano i gay e la loro cultura potrebbero considerarli come il “Nemico dal Basso”. Ma è curioso quanto facilmente tutti e cinque i tipi delle teorie del complotto di Walker si possono ritrovare nella politica, negli individui, nelle istituzioni, nelle reti e nelle campagne d’opinione ebraiche.
Come è possibile che un gruppo etnico relativamente piccolo riesca a incarnare tutti i tipi delle “teorie del complotto”? Nel mio recente libro Being in Time, ho sostenuto che gli ebrei tendono a dominare i discorsi che sono rilevanti per la loro esistenza e per i loro interessi. Lo definisco l’istinto ebraico di sopravvivenza. Gli attivisti e gli intellettuali ebrei tendono parimenti a dominare il dissenso verso i sintomi problematici associati con la loro identità di gruppo: gli ebrei spesso sono, per esempio, associati con il capitalismo, le banche e la ricchezza in generale, e sono parimenti identificati con il marxismo e l’opposizione socialista al capitalismo, alle banche e alla ricchezza. Ovviamente, molti ebrei sono associati con lo Stato ebraico e con il progetto sionista ma non c’è nulla di segreto nel fatto che gli ebrei di sinistra dominano parimenti il discorso e la politica anti-sionisti. Gli ebrei, almeno agli occhi di qualcuno, sono alla guida dei sostenitori dell’immigrazione. Ma alcuni dei più rumorosi attivisti anti-immigrazione e anti-musulmani sono parimenti ebrei. In Being in Time sostengo che il fatto che gli ebrei dominano entrambi i versanti di ogni argomento rilevante per la loro esistenza non è necessariamente “cospirativo”. È solo un fatto naturale per gli ebrei etici e umanisti opporsi al sionismo, o a Wall Street. È parimenti naturale, in base alla loro storia, per gli ebrei come gruppo opporsi all’immigrazione e simultaneamente sostenerla. Per quanto possa essere naturale, la presenza degli ebrei nelle posizioni chiave ideologiche, politiche, culturali e finanziarie è innegabile. È più che probabile che il loro dominio di entrambi i versanti di così tanti dibattiti politici cruciali induca a pensieri complottisti.
L’economista ebreo Murray Rothbard mette a confronto le teorie del complotto “profonde” con quelle “superficiali”. Secondo Rothbard, un teorico “superficiale” osserva un evento e si chiede: a chi giova? Egli o ella giunge quindi alla conclusione che l’ipotizzato beneficiario è il responsabile degli eventi segretamente influenzati. In base a questa teoria, Israele che beneficia degli eventi dell’11 settembre lo ha reso il primo sospettato. Questa è spesso una strategia assolutamente legittima ed è esattamente così che gli investigatori e gli inquirenti operano. Per identificare il colpevole, essi si possono ben chiedersi chi beneficia del crimine. Naturalmente questo è solo un primo passo verso l’accertamento.
Secondo Rothbard il teorico del complotto “profondo” inizia con un’intuizione e poi cerca le prove. Rothbard descrive la teoria del complotto profonda come il risultato di confermare se certi fatti veri quadrino con la “paranoia” iniziale. Questa spiegazione descrive molto bene come lavora la scienza. Ogni data teoria scientifica definisce il regno dei fatti che possono sostenere o confutare la sua validità. La scienza è un processo di ragionamento deduttivo, così che nella scienza, è la teoria che definisce la rilevanza delle prove. Descriverebbe Rothbard la fisica newtoniana come “profondamente complottista”? ne dubito. La mia supposizione è che, tenendo presente Rothbard, attribuire una “natura complottistica” ad una teoria è un tentativo di negare la rilevanza delle prove che essa porta alla luce. Se per esempio, la teoria che Epstein era un agente del Mossad è “complottistica”, allora i fatti che egli era un socio d’affari di Ehud Barak ed era associato ad una compagnia che utilizza le tattiche dell’intelligence militare israeliana diventano irrilevanti. Lo stesso si applica all’ammissione dell’ex procuratore federale Alex Acosta che Epstein apparteneva all’intelligence e questa era la ragione per cui egli fu il beneficiario di un patteggiamento irrisorio. Se, per esempio, la teoria che furono gli ebrei a guidare la rivoluzione bolscevica del 1917 è “complottistica”, allora i fatti riguardanti la demografia che condusse alla rivoluzione e la sua natura criminale sono senza conseguenze. La bollatura di una teoria come complottistica è un tentativo di cancellare prove sgradite ristabilendo la priorità di certi fatti.
Sembra che Rothbard e altri non siano riusciti a produrre criteri categoriali per identificare o definire le Teorie de Complotto. Potremmo dover accettare che per ora non vi è nessuno standard categoriale per definire una teoria del complotto. Potremmo dover imparare a convivere con il fatto che alcune teorie sono superiori; più semplici e più eleganti di altre. Dovremo accettare che alcune di queste teorie mettono assai a disagio poche persone e che costoro esploreranno ogni possibilità per screditare tali teorie e i loro autori. Attribuire una natura complottistica ad una teoria esplicativa è solo uno di questi metodi.
NOTE
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://gilad.online/writings/2019/8/17/conspiracy-theories-from-the-elders-of-zion-tonbspepsteins-youngsters?fbclid=IwAR3J6pKu5gcfRyM-FatB1VN4inDqp9W9Vq9IkFokDVROY5MDbhu_5G-zfdA
FONTE:https://www.andreacarancini.it/2019/09/gilad-atzmon-le-teorie-del-complotto-dai-savi-di-sion-alle-bambine-di-epstein/
DIRITTI UMANI
VIETATO DIRE MOGLIE O MARITO: l’utilità dell’ONU si vede in questi momenti
19 Maggio 2020 – Guido da Landriano
Con due terzi del mondo che mettono l’Organizzazione Mondiale della Sanita (WHO), emanazione dell’ONU, sotto accusa per il modo in cui è stata affrontata l’emergenza ci si aspetterebbe un bagno di umiltà e di efficienza da parte delle organizzazione internazionale. Infatti l’ONU ha fatto l’esatto contrario.
What you say matters.
Help create a more equal world by using gender-neutral language if you’re unsure about someone’s gender or are referring to a group. https://t.co/QQRFPY4VRn #GenerationEquality via@UN_Women pic.twitter.com/koxoAZZuxq
— United Nations (@UN) May 18, 2020
Quindi per l’ONU l’emergenza mondiale è che marito e moglie si chiamino, fra di loro “MARITO” E “MOGLIE”. Secondo l’ONU dovrebbero chiamarsi “SPOS*” perchè in italiano abbiamo Sposo e Sposa, maschile e femminile. Si raggiungono dei livelli di comicità involontaria esilaranti: invece che “Presidente” (Chairman) si parla di “Sedia” (Chair, perchè tolto il “Man” resta solo la sedia…). Niente “Fidanzato-fidanzata “(Boyfriend – girlfriend), ma “Partner” rendendo necessario specificare poi per che cosa, perchè , in lingua inglese, la parola “Partner” è usata anche per i partner di lavoro o di affari. Insomma, di fronte ad una emergenza sanitaria globale che si è trasformata in una economica mondiale il problema fondamentale, per il quale deve intervenire l’ONU, non sono i pasticci dell’OMS, ma le parole “Moglie” e “Marito”. Vi rendete conto del disastro?
FONTE:https://scenarieconomici.it/vietato-dire-moglie-o-marito-lutilita-dellonu-si-vede-in-questi-momenti/
ECONOMIA
SOGIN, CIRIELLI CHIEDE ATTIVITÀ ISPETTIVA
Il parlamentare Edmondo Cirielli, questore della Camera dei deputati, attraverso un’interrogazione parlamentare chiede iniziative urgenti e se sussistano gli estremi per un’eventuale segnalazione alla Corte dei conti per danno erariale da parte della Sogin.
Quando si parla di società di Stato si ha la sensazione, ovviamente supportata da elementi e riscontri oggettivi, che qualcosa alle volte non quadri o non funzioni, è sempre bene essere costanti nel tempo, soprattutto quando si possiede la consapevolezza che, se davvero non quadrasse qualcosa, abbassare la guardia equivarrebbe a far sì che determinati meccanismi interni, equilibri fra manager, che sono persone non inviolabili, continuino a funzionare come sempre, una sorta di “occhio non vede cuore non duole”, cioè continuando in presunti atteggiamenti e comportamenti che sembrano non quadrare o non funzionare nel senso corretto della gestione della cosa pubblica, che poi è di interesse oggettivo di ogni cittadino italiano.
La stampa in questi casi fa una sorta di scommessa di Pascal, continua così a prestare attenzione per il bene pubblico, a rischio di scrivere, se tutto funzionasse bene, qualche articolo per scrupolo di coscienza, e se invece le cose non funzionassero bene, con il merito di aver svolto bene il proprio mestiere e di aver reso un servizio alla collettività. Una scommessa simile, per certi versi, ma nell’esercizio di funzioni ben più importanti ed incisive che determinano un vero e proprio dovere, è propria anche dei parlamentari della Repubblica Italiana ed è ciò che si è visto fare recentemente anche dal deputato e questore, della Camera dei deputati, Edmondo Cirielli (uno dei fondatori di Fratelli d’Italia della primissima ora assieme a Giorgia Meloni e Guido Crosetto) che ha presentato una interrogazione sulle attività di comunicazione svolte dalla Sogin, la società deputata allo smantellamento degli impianti nucleari e alla costruzione del Deposito unico nazionale per i rifiuti nucleari, in particolare nell’esercizio 2015, come segnalato all’opinione pubblica anche dalla stampa.
L’interrogazione, a dire il vero, è andata anche oltre, segnalando perplessità anche su esercizi successivi e chiedendo al Governo, pertanto, “urgenti iniziative al fine di accertare la veridicità e fondatezza delle criticità sollevate e se non intenda promuovere un’attività ispettiva anche al fine di verificare se sussistano gli estremi per un’eventuale segnalazione alla Corte dei Conti per danno erariale”. Noi non ci siamo distratti nel mentre e neanche abbiamo dato adito al tentativo di censura posto in essere da parte del dottor Federico Colosi “nella sua qualità di direttore delle Relazioni Esterne della Sogin Spa”, e non abbiamo ancora capito il perché di tanto nervosismo fino a cercare di limitare la libertà di stampa, come una sorta di tentativo messo in atto come per dire non andate oltre, ma va bene lo stesso, prima o poi, siamo fiduciosi, con delle serie verifiche, senza ombra di dubbio, si chiarirà tutto. Invero non ci si aspettava una reazione così stizzita, dato che, in fondo, qual è il problema?
Colosi sostiene che sia tutto a posto, si sarebbe trattato di attività preparatorie e allora che problema c’è, ci sono le carte, si leggono, si “approfondiscono”, per usare un termine, forse, che potrebbe apparire in voga, in Sogin, in questo particolare momento. Però adesso che ci riflettiamo meglio c’è un piccolo dettaglio, ma l’Arera, l’Autorità che riconosce alla Sogin i costi per le attività di smantellamento e per il Deposito unico nazionale, traendo le risorse dalle bollette degli italiani, non ha minimamente ammesso tali costi. Come mai? Qualcosa non sembra apparire molto chiara in questa storia. Ce lo chiediamo anche a nome di tutti quei cittadini italiani ai quali non si dà voce e allora, a pieni polmoni, lo chiediamo assieme all’onorevole Cirielli, all’azionista, il ministero dell’Economia e a chi ha l’onere e l’onore di formulare gli indirizzi strategici della Sogin, il ministero dello Sviluppo Economico. Cosa può essere andato storto? Forse, si potrebbe ipotizzare che non abbia funzionato la divisione Regolatorio, gestita oggi come allora, come risulta dai dati Sogin, dal dottor Ivo Velletrani?
Perché, ancora una volta, delle due, una, o le attività erano ammesse e allora il direttore della divisione Regolatorio Sogin non ha saputo fare il suo mestiere, o non lo erano e allora rimangono in piedi tutte le nostre domande. Certo è che non si può prescindere in questa vicenda da una serie di doverose domande anche verso la divisione Regolatorio, quindi verso Velletrani, dato che attraverso la sua funzione, sembrerebbero passare tutte le informazioni e le interazioni fra Sogin e Arera, i dati di pianificazione e consuntivo che l’azienda invia alla stessa Arera, la contrattazione, o il dialogo, non sappiamo quale sia la forma, fra le due entità per il riconoscimento dei costi, dai quali deriva il buon andamento del bilancio aziendale e anche del sistema premiante interno. Ancora domande, domande e tentativi di ricostruzione dei fatti, che cercano solo le stesse risposte che l’attività parlamentare, a questo punto sia di Camera che di Senato, richiede. È doveroso ricordare che Colosi, nella sua lettera al nostro giornale, ha tenuto a precisare che le attività da lui svolte erano state ammesse dal Cda dell’epoca. Ce ne rallegriamo per lui e ne prendiamo atto, un po’ meno per il Cda, ma questo presunto scarico di responsabilità non sposta di un millimetro il problema.
In parte, in tempi diversi, soggetti diversi, hanno cercato delle risposte simili come il compianto Oliviero Beha che in un articolo del 10 gennaio 2011 intitolato “Pubblicità sul nucleare”, si chiedeva già dall’incipit: “Diteci chi paga quei 7 milioni di euro”. Si riferiva ad una campagna promossa dal “Forum nucleare italiano”, che si svolgeva in tivù, attraverso una serie di spot televisivi sul costo dei quali, lo stesso, Beha commentava: “forse bisognerebbe pretendere che per ogni spot pubblicitario ci fosse la scritta o la dicitura di chi paga quella pubblicità specifica”, per poi elencare una serie di aziende legittimamente interessate alla ripresa del nucleare in Italia, fra cui anche qualche azienda di Stato come la Sogin e qualche partecipata. Ma erano tempi diversi, soggetti diversi. Tranne uno…
FONTE:http://www.opinione.it/societa/2020/05/19/alessandro-cicero_sogin-cirilelli-camera-dei-deputati-senato-corte-dei-conti-arera-forum-nucleare-italiano-stato-stampa/
GIUSTIZIA E NORME
Si chiude l’era del “giudice sovranista” che ha osato sfidare l’Ue
L’istituzione simbolo del “sovranismo” finanziario tedesco potrebbe aver toccato il suo apogeo con la recente sentenza sul quantitative easing: aprendo il duello con la Bce, chiamata a giustificare i programmi avviati da Mario Draghi, il presidente della Corte Costituzionale tedesca di Karlsruhe, Andreas Voßkuhle, ha concluso il proprio mandato.
Formatosi tra Baviera e Baden-Württemberg, Lander centrali nell’egemonia economica tedesca in Europa, Voßkuhe è stato presidente del Bundesverfassungsgericht dal 2010 in avanti, ascendendo alla massima magistratura tedesca due soli anni dopo esser stato nominato membro della Corte su indicazione della sinistra della Spd.
Voßkuhle, 57 anni, a lungo docente di diritto pubblico tra gli atenei di Augusta e Friburgo, esperto in questioni economiche e commerciali, ha rivoluzionato la giurisprudenza tedesca nel corso della sua gestione del tribunale costituzionale di Karlsruhe. Nel lungo filo conduttore della giurisprudenza dell’istituzione da lui guidata, che si parlasse del Fiscal compact, del Meccanismo europeo di stabilità o dei piani della Banca centrale europea, c’è un’idea guida di fondo, così riassunta da Il Foglio: “C’è una precisa concezione dei rapporti tra Unione europea e stati membri che è tornata a echeggiare nella sentenza del 5 maggio: gli Stati restano i signori dei Trattati (Herren der Verträge) e l’Unione non è una federazione, ma un ente di collegamento tra stati (Staatenverbund) con un alto deficit di legittimazione democratica”. Il principio di sussidiarietà viene così ribaltato: l’Unione ha competenze nella misura in cui sono gli Stati a concedergliele, ma sempre in un rapporto gerarchico ben preciso.
La stessa capacità della Germania di adattare plasticamente il suo perimetro di conformità alle regole europee ne testimonia la centralità in Europa. Berlino e Karlsruhe rimangono i barometri della condizione di salute reale dell’Europa: e se il governo di Angela Merkel, come hanno fatto notare economisti come Sergio Cesaratto, ha selettivamente scelto di ignorare le regole sul surplus commerciale, la Corte di Karlsruhe è riuscita più volte a condizionare il diritto comunitario in funzione filo-tedesca.
La Corte di Giustizia del Lussemburgo è vista dalla controparte tedesca come subordinata al diritto della Germania. Il gioco delle tre carte straordinario che Berlino ha portato avanti negli anni le ha consentito di utilizzare le istituzioni Ue per chiedere il rispetto funzionale ai suoi interessi di determinate regole (come quelle di bilancio), ridurre la solidarietà europea e, al contempo, limitarne l’operato nei propri confini. Se gli Stati sono i “signori dei trattati”, prosegue Il Foglio, “la Corte di Giustizia Ue non ha un potere pieno di decidere sulla conformità degli atti delle istituzioni ai Trattati, ma è legittimata a farlo, fintantoché non leda i principi supremi degli ordinamenti costituzionali nazionali”.
L’era del giudice “sovranista” volge ora alla fine: Voßkuhle, che nel 2012 ha rifiutato anche la candidatura alla carica di presidente della Repubblica, passerà il testimone al successore già eletto dal Bundestag, l’ex deputato della Cdu Stephan Harbarth, non appena l’iter di nomina si concluderà. Mentre il giudice relatore della sentenza del 5 maggio, Peter Michael Huber, ha davanti a sé due anni di mandato, per la Corte di Karlsruhe si prevede il passaggio verso l’ascesa di figure più “europeiste”, come la potenziale vicepresidente Doris König, indicata come unica voce contraria alla recente sentenza. La Corte cerca la pace con le istituzioni europee e teme la procedura d’infrazione? Più prosaicamente le conquiste del “giudice sovranista” sono oramai consolidate, e la Corte può andare avanti col pilota automatico. Forte del ruolo oramai consolidata di estremo grado di giudizio per qualsiasi norma si voglia portare avanti concretamente in Europa.
FONTE:https://it.insideover.com/politica/si-chiude-lera-del-giudice-sovranista-che-ha-osato-sfidare-lue.html
PANORAMA INTERNAZIONALE
Le parole di Jerome Powell (FED) lo confermano: la salvezza dell’Italia è solo fuori dall’Ue
Inoltre dichiara che la crisi sanitaria ha colpito i redditi bassi del settore dei servizi, come i minijob in Germania. Per due anni il mercantilismo europeo, e in special modo quello tedesco, ma non scherza nemmeno quello italiano, potrebbe non trovare la sua primaria fonte di sbocco.
L’Europa dovrebbe cambiare prospettiva e mobilitare l’immenso surplus delle partite correnti verso i suoi mercati interni. Dovrebbe, dunque, cambiare i Trattati, cosa impossibile, così come far diventare la Bce prestatrice di ultima istanza. Appunto per questo è vocata alla cannibalizzazione delle economia periferiche, Mes e Recovery Fund servono a questo, e alla dissoluzione.
Tertium non datur. L’Italia, che da 30 anni adotta anch’essa il mercantilismo con focalizzazione dell’apparato produttivo del Nord, con stipendi miseri per gli stessi lavoratori del Nord, dovrebbe cambiare registro e svolgere lo sguardo verso Sud, verso il Mediterraneo e verso l’Asia.
Ciò presuppone che organizzazioni tipo Confindustria si spacchino, visto che sono retti da decenni da mercantilisti e deflazionisti, oppure che lo Stato, ma non ne ha la forza, diriga l’apparato produttivo, mediante diplomazia economica e destinando grande risorse al Mezzogiorno, verso questi mercati. Non c’è tempo da perdere. Che si prenda coscienza.
FONTE:https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-le_parole_di_jerome_powell_fed_lo_confermano_la_salvezza_dellitalia__solo_fuori_dallue/82_35012/
I cinque custodi dell’austerità che frenano l’Europa
Olanda, Austria, Danimarca, Finlandia e Svezia: il fronte dei super-rigoristi in Europa oramai è compattato attorno a queste cinque nazioni, i quattro falchi per eccellenza della “Nuova lega anseatica“, in cui l’Irlanda e i baltici sono passati su posizioni meno rigide, a cui si aggiunge Vienna, che vede nella vigilanza costante sui conti pubblici (altrui) il viatico per inserirsi nellegrandi strategie europee.
Una delle più incredibili capacità del premier olandese Mark Rutte è la sua abilità nel costruire, in qualsiasi occasione, alleanze funzionali ai suoi progetti politici. E così l’Olanda, alla guida del fronte del rigore, anche di fronte alla pandemia di coronavirus e al conseguente, simmetrico choc economico che sta sconvolgendo l’Europa è riuscita a difendere la linea pro-austerità e ostile a massicci piani di investimento e ripresa comune senza restare isolata.
Ma non solo questi Paesi si muovono per indebolire la futura risposta europea, nota il Corriere della Sera. Essi “tornano anche a scucire quanto già tessuto. In questi giorni sono intenti a ridurre il celebrato programma di garanzie per 200 miliardi della Banca europea degli investimenti in un piano che in realtà ne vale appena cinque, in un’ economia da 13 mila miliardi: esigono che le garanzie effettive della Bei (di fatto per 25 miliardi su 200 di investimenti) non possano essere intaccati che in minima parte”. Torna il calcolo spericolato già manifestatosi nel rifiuto aprioristico agli eurobond, ovvero l’accarezzamento dell’ipotesi di poter separare i propri destini economici da quelli del Sud Europa? A pensare male si fa peccato ma molto spesso si azzecca.
Sul medio periodo, il ridimensionamento del fondo per la ripresa comune sarà confermata perchè questi cinque Paesi, che assieme fanno un decimo della popolazione e un sesto del Pil dell’Unione, hanno un potere di condizionamento estremamente elevato. La loro richiesta sul fondo di coesione è che non superi i 250 miliardi di euro, una quota che secondo Italia, Francia, Spagna dovrebbe essere piuttosto destinata ai soli trasferimenti a fondo perduto.
E non solo: i cinque falchi hanno ridotto a un quinto dell’idea iniziale, da 250 a 50 miliardi di euro, la portata del fondo InvestEu, “il fondo europeo per investimenti di capitale in aziende europee considerate ridotte dalla pandemia sull’orlo del fallimento” che dovrebbe agire tramite garanzie Bei.
Pur rifiutando il discorso del “più Europa”, è chiaro che la presenza di determinati strumenti anti-crisi a livello comunitario può essere un bene solo se si ha la volontà politica di farli agire in maniera coerente e complementare. I super-falchi mirano a ingarbugliare, dividere e dimidiare la capacità europea di risposta: il loro vero timore è evitare che nel continente psosano emergere potenziali minacce all’export che rappresenta il punto focale delle loro economie e alla loro ideologia liberista e ostile all’intervento pubblico e collettivo nell’economia. Sfugge a questi Paesi che il calcolo di evitare gli effetti di una recessione è fallace: e che la loro stessa posizione contrattuale si indebolirebbe se l’intera Europa precipitasse in una recessione senza precedenti.
ERRARE ET PERSEVERARE ovvero: La “Stange” dei Giovani
(di Cosmo Intini)
Seppur a brevissima distanza dalla pubblicazione del nostro recentissimo articolo sulle ‘casule di Dublino’ (10 ottobre 2018), ci vediamo obbligati ad intervenire nuovamente su di un ulteriore maldestro ed inquietante utilizzo di un oggetto liturgico da parte del Pontefice: ci riferiamo alla Ferula da lui impugnata in occasione della Messa per l’apertura del Sinodo dei Giovani, il 3 ottobre scorso a Roma (vd. foto).
Già su numerosi social la Ferula in questione è stata opportunamente sospettata essere, per la sua forma e fattura, quel tipico oggetto di stregoneria denominato ‘Stang’. Peraltro, esso occuperebbe un ruolo decisivo all’interno del movimento parareligioso Wikka, che altro non è se non una forma di neopaganesimo diffuso nel mondo anglosassone per lo più costituito da giovani donne, le quali si autodefiniscono, appunto, ‘streghe Wikka’.
Sorvolando su ulteriori dettagli peraltro facilmente conseguibili ‘in rete’, quello che vogliamo qui mostrare è l’effettiva realtà di tali sospetti!
La parola Stang, di cui non viene mai fornita una sicura etimologia dai seguaci Wikka – ma che comunque proviene certamente dall’ambito linguistico anglosassone – in verità deriva molto semplicemente dal tedesco Stange (sost. femm.), che per l’appunto traduce ‘stanga, asta, supporto per corna’. Se traslitteriamo questo termine in greco, otteniamo στανγη (stange), che possiede un valore gematrico pari a 562[1]. Inoltre, la Stange è uno strumento relativo a magie/ incantesimi[2], la quale locuzione in greco si traduce μαγευματα (magheumata) ed il cui valore gematrico è pari a 791[3].
Pertanto, la locuzione στανγη μαγευματα (stange magheumata), che significa ‘stange relativa a magie/ incantesimi’, possiede un valore totale pari a: 562 + 791 = 1353.
Da parte sua, traslitterando la parola ‘Ferula’ in greco otteniamo φερυλα (pheryla), il cui valore è pari a 1036[4].
Ma in questa occasione ci stiamo riferendo a quella che è stata usata per il Sinodo dei Giovani.
Ed allora: dei giovani / relativa ai giovani[5] si traduce con νεανιας (neanias), che vale 317[6].
Pertanto, la locuzione φερυλα νεανιας (pheryla neanias), che significa ‘ferula dei giovani, relativa ai giovani’, possiede un valore totale pari a: 1036 + 317 = 1353.
In definitiva, le due locuzioni ‘Stange relativa a magie/ incantesimi’ e ‘Ferula relativa ai giovani’, gematricamente si equivalgono: entrambe sono infatti pari a 1353. Ma noi sappiamo che per la gematria, l’equivalenza quantitativa esprime altresì la coincidenza qualitativa!!!
Effettivamente non si è dunque sbagliato chi abbia riconosciuto nella Ferula del Pontefice un tipico ‘bastone della stregoneria’.
Tuttavia non è ancora tutto!
Riteniamo essere giustamente opportuno chiedersi a questo punto che cosa detenga di tanto particolare tale numero 1353, che risulta così pregnante in siffatto contesto.
Ebbene, non a caso 1353 è il triplo di 451 (1353 = 451 x 3), che a sua volta è esattamente il valore gematrico della parola Wikka allorché traslitterata in greco: υικκα[7].
Ma che significato può rivestire tale ‘triplicità’? Perché è il triplo di Wikka?
Il perché lo comprendiamo dal fatto che la divinità principale della cosiddetta ‘religione Wikka’ è la Dea denominata ‘Triplice Madre’!!! Ogni strega Wikka afferma di detenere una tale ‘triplicità’[8]! E guarda caso, uno dei simboli con cui viene riferita tale caratteristica è esattamente il triskel, che abbiamo già visto strettamente legato proprio alle casule indossate a Dublino dal Pontefice e dai suoi concelebranti[9].
E c’è dell’altro!
La Ferula di cui abbiamo sin qui discusso è stata donata al Pontefice da due ragazze, durante l’Incontro con i Giovani avvenuto lo scorso 11 agosto, sempre a Roma ed al Circo Massimo. Una di esse indossava un braccialetto di filo rosso al polso sinistro; ed è oltretutto noto che esso costituisca un amuleto appartenente a consuetudini di matrice pseudo-kabbalistica[10](vd. foto).
Molti hanno scetticamente obiettato che tale braccialetto sia un innocuo ornamento; a noi non pare invece che le cose possano essere liquidate così semplicemente, possedendo anch’esso un preciso significato. Tecnicamente, negli ambienti che ne fanno uso, il braccialetto rosso è denominato nauzas, il quale termine compare in lingua slava ma che deriverebbe dal latino nausea (disgusto, fastidio) ovvero da noxia (danno, misfatto)[11]. Esso non è altro che una serie di ‘fili rossi’ intrecciati tra di loro 7 volte[12]. Ebbene, traslitterando la parola nauzas in greco, abbiamo ναυζας (nauzas), il cui valore gematrico è pari a 659[13]. D’altro canto, ‘rossi’ si traduce ερυθροι (erythroi), il cui valore gematrico è pari a 694[14]. Pertanto, la locuzione ναυζας ερυθροι , che significa ‘nauzas rossi’, possiede un valore totale che è pari a: 659 + 694 = 1353. Otteniamo insomma il medesimo numero già precedentemente ritrovato, nonché allusivo della ‘triplice Wikka’.
Veniamo alle conclusioni. Qualunque siano stati i presupposti, le circostanze, i personaggi a ché tutto ciò potesse accadere non ci è dato di conoscerlo. Ma una cosa è certa: e cioè che al Pontefice spetterebbe in realtà come pastorale la ‘Croce Papale tripla’, ossia un bastone con all’estremo una croce con tre traverse di diversa lunghezza, digradante verso l’alto. Infatti, le tre traverse rappresentano il triplice ruolo del Papa: vescovo di Roma, patriarca dell’Occidente, successore di S. Pietro apostolo. Suona emblematico e preoccupante che egli abbia invece sostituito quella propria ortodossa ‘triplicità’ impugnando la ‘triplice Wikka’. Se con le ‘casule di Dublino’ il suo è stato un errare, a noi sembra che con la Stange di Roma egli abbia inteso perseverare!
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[1] 562 = 200+300+1+50+3+8.
[2] E’ la tipica forma grammaticale detta di ‘accusativo alla greca’.
[3] 791 = 40+1+3+5+400+40+1+300+1.
[4] 1036 = 500+5+100+400+30+1.
[5] Anche questo è un cosiddetto ‘accusativo alla greca’.
[6] 317 = 50+5+1+50+10+1+200.
[7] 451 = 400+10+20+20+1.
[8] Altra divinità importante, che rimane comunque secondaria a quella femminile, è il cosiddetto Dio ‘cornuto’ o dei BOSCHI: la qual cosa rimane in stretta relazione con la fattura legnosa e nodosa della Stange.
[9] Cfr. la sezione ‘I tre aspetti della Dea’ al sito: https://it.wikipedia.org/wiki/Triplice_Dea.
[10] Cfr. http://it.kabbalah.com/content/il-filo-rosso
[11]Cfr.https://www.caffeinamagazine.it/costune/214882-significato-del-filo-rosso-al-polso/ https://carminemangone.com/2016/06/11/punk-anarchia-rumore-estratti-1/
[12] E’ interessante che, attraverso il provenz. mediev. ‘nauza’, il termine sia confluito nell’ingl. noise (rumore, chiasso) e nel franc. noué (nastro annodato) e noue (zona paludosa, di compluvio delle acque). Il senso è insomma quello che è presunto esser proprio dell’amuleto: catalizzatore, raccoglitore di energie e di forze. Peccato che in tali oggetti sussista sempre la sua ‘controindicazione’, molto spesso ignorata dai suoi medesimi cultori: il danno, il misfatto!
[13] 659 = 50+1+400+7+1+200.
[14] 694 = 5+100+400+9+100+70+10.
POLITICA
IL NOMINIFICIO DI GIUSEPPE CONTE CON 450 ESPERTI PIÙ 11 DONNE È COME IL CREMLINO
Da governo a nominificio, a metà tra il monumentale Cremlino e l’elefantiaco Palazzo del Popolo di Pechino. La fase 2 del governo Conte si contraddistingue non per la severità delle spese e per la semplificazione, ma per la moltiplicazioni degli incarichi. Erano già 15 le task force istituite dal premier per l’emergenza per un totale di 450 esperti, oltre a tutti i funzionari della pubblica amministrazione e i vari enti italiani, eppure non sono bastati. Solo qualche giorno fa Giuseppe Conte ha nominato altri 11 super esperti, di cui 5 in forza al “gruppo” guidato dal manager Vittorio Colao e altri 6 al “gruppo” della Protezione civile di Angelo Borrelli. Quale impellenza ha prodotto la nuova infornata? Nessuna, tranne una: l’ideologia. Perché solo per ottemperare ai Diktat di una ideologia che sovrasta ogni logica e necessità Giuseppe Conte ha dovuto “ubbidire” ai movimenti femministi e alle insistenze delle deputate Emma Bonino e Laura Boldrini, capofila in questa battaglia, per inserire nelle task force già affollate altre 11 donne, 5 nel “gruppo” di Colao e 6 nel “gruppo” di Borrelli.
È il caso di dire “quando la dottrina diventa ottusità”. Perché mi chiedo dove sia finita la pentastellata battaglia sulla riduzione dei parlamentari, i tagli delle poltrone e degli stipendi? Tutto spazzato via di fronte al dictat della parità di genere, mentre il paese si taglia i viveri. E chi sono le neo nominate? Più che espertissime sono “militanti” del cartello femminista. Tra le new entry c’è chi a prima vista c’entra poco con il Covid-19, come Donatella Bianchi, presidente del Wwf Italia e conduttrice del programma Linea Blu della Rai. Non è un caso che i primi a complimentarsi siano stati gli ambientalisti, tra cui il “verde” Alfonso Pecoraro Scanio e l’ex deputato del Pd Ermete Realacci. Oltre alla Bianchi, sono state scelte rinomate sociologhe e filosofe di orientamento politico: Enrica Amaturo (professoressa di sociologia all’Università degli Studi di Napoli Federico II), Marina Calloni (professoressa di Filosofia politica e sociale alla Bicocca di Milano e fondatrice di Adv – Against Domestic Violence, centro universitario dedicato al contrasto alla violenza domestica), Linda Laura Sabbadini (direttrice centrale dell’Istat) e Maurizia Iachino (dirigente di azienda).
Stessi criteri per il comitato tecnico-scientifico di Angelo Borrelli, dove sono entrate Kyriakoula Petropulacos (direttrice generale Cura della Persona e Welfare della Regione Emilia Romagna), Giovannella Baggio (presidente del Centro Studi Nazionale di Salute e Medicina di Genere), Nausicaa Orlandi (presidente della Federazione Nazionale degli ordini dei chimici e dei fisici), Elisabetta Dejana (biologa dell’Università di Uppsala, in Svezia), Rosa Marina Melillo (professoressa di Patologia Generale alla Federico II di Napoli), Flavia Petrini (professoressa di Anestesiologia a Chieti). Qualcuno penserà che se i 450 in carica erano tutti uomini il riequilibrio, per quanto aggravio, fosse doveroso. Manco per niente. Perché nella stessa task force di Colao i nomi al femminile c’erano già e del calibro della decantata economista Usa Marianna Mazzucato. E con la stessa logica “politica” era stata costituita una task force tutta al femminile presso il ministero delle Pari Opportunità e la Famiglia, guidato da Elena Bonetti, dal titolo eloquente “Donne per un nuovo Rinascimento” con a capo la stella del Cern di Ginevra Elena Giannotti, col compito di elaborare idee e proposte per il rilancio sociale, culturale ed economico dell’Italia dopo l’emergenza virale. Mi venite a dire che non bastava tutto questo dispiego di cervelli rosa per le pari opportunità? Si potrà obiettare che “i magnifici 450 più undici donne” non riceveranno un regolare stipendio da manager, anche perché sarebbero impagabili per la pubblica amministrazione, ma solo rimborsi.
E voi credete che saranno conteggiati i caffè e le penne? Beati voi, vedremo alla fine quanto ci costeranno questi super esperti ed esperte in epoca Smart working e digitale quando a mio parere basterebbe un governo di 15 ministri e i loro computer. Il bilancio finale è macroscopico, secondo la mappa ricostruita anche dal Sole 24 Ore: 21 esperti guidati da Vittorio Colao alle dipendenze del premier; 27 alla Protezione civile più altri 12; 74 al ministero dell’Innovazione di Paola Pisano; 8 al ministero della Salute di Roberto Speranza; 100 al ministero Affari Regionali di Francesco Boccia; 15 al ministero dell’Istruzione di Lucia Azzolina; 35 al ministero dell’Economia di Roberto Gualtieri; 9 al ministero dell’Ambiente di Sergio Costa; 40 al ministero della Salute di Alfonso Bonafede; 13 al ministero delle Pari Opportunità di Elena Bonetti; 11 al Sottosegretariato all’editoria di Andrea Martella e 40 alle dipendenze del Commissario straordinario Domenico Arcuri. Poi c’è anche chi sostiene che sono tutti nomi selezionati nelle lobby delle multinazionali alla Goldman Sachs e gruppo Bilderberg, ma lasciamo cadere queste illazioni. Limitiamoci a constatare che se per alcuni ancora vale l’ideologia, per altri restano in piedi i proverbi. E con tanti galli a cantare difficile si faccia giorno.
FONTE:http://opinione.it/politica/2020/05/15/donatella-papi_conte-cremlino-colao-borrelli-protezione-civile-bonino-boldrini-bianchi-amaturo-calloni-sabbadini/
SCIENZE TECNOLOGIE
Machine learning, se il Grande Fratello va a scuola
È lecito utilizzare metodi di riconoscimento facciale per monitorare la soglia di attenzione degli studenti?
L’accelerata trasformazione digitale di gran parte delle attività quotidiane nell’attuale contesto pandemico ha portato a formulare varie ipotesi di sperimentazione ed applicazione dell’intelligenza artificiale e del machine learning. Certamente, gli intenti di avanzamento tecnologico sono pregevoli, ma forse l’entusiasmo è diventato anche un amplificatore di una neanche troppo celata volontà di controllo.
Un esempio su tutti: adottare, nella didattica a distanza, metodi di riconoscimento facciale per monitorare la soglia di attenzione degli studenti e per verificare la condotta in sede di esame. Banalmente: se lo studente si distrae, scatta un alert; se l’esaminando tenta di copiare, ecco che viene prontamente segnalato al docente.
L’ambito scolastico non è l’unico che sta vivendo le tentazioni del controllo automatizzato, dal momento che si ipotizza anche l’applicazione strumenti analoghi nel contesto lavorativo per il monitoraggio dell’attività svolta dal dipendente in remoto o in regime di lavoro agile. In tutti questi ambiti ciò che rileva è soprattutto lo squilibrio di potere nel rapporto fra titolare e interessato, e dunque emerge un dubbio: fino a che punto l’impiego può dirsi lecito, oltre che auspicabile?
Circa la liceità di impiego, trattandosi di strumenti di controllo, questi possono interferire con la dignità dell’interessato ancor prima che con i suoi diritti garantiti dal GDPR. In tal senso è intesa ad esempio la tutela dei lavoratori all’interno della L. 300/1970: ancor prima del diritto alla protezione dei dati personali, trova tutela la dignità del lavoratore stesso il quale non può essere soggetto a controlli. La tutela del dato personale va a collocarsi, per una mera motivazione di logica applicativa, in un momento successivo. Una volta determinato se si può essere soggetti a taluni monitoraggi, sarà poi (anche) la normativa sul trattamento dei dati personali ad indicare come tali attività possono essere svolte (ad esempio: garantendo la minimizzazione).
È opportuno sfatare il mito della presentazione di un tool come “Privacy compliant”. Uno strumento può essere sicuro (presentare certificazioni di sicurezza), ma per essere conforme al GDPR e alla normativa in materia di protezione dei dati personali occorre un quid pluris ovverosia l’analisi della sua effettiva applicazione (modalità di impiego, minimizzazione dei dati raccolti, base giuridica, finalità perseguite, trasparenza, garanzie per i diritti degli interessati etc.). In breve: sono le modalità d’impiego a rendere full compliant uno strumento. Vero è che tale strumento deve seguire standard di progettazione per essere in grado di garantire la tutela dei dati personali, secondo i principi di privacy by design e privacy by default, ma tale condizione è necessaria ma non sufficiente per garantire la conformità al GDPR e l’accountability del titolare.
Dalle indicazioni fornite dall’art. 29WP (ora EDPB) circa i criteri di determinazione di rischio elevato dei trattamenti[1], la maggior parte dei monitoraggi collegati al comportamento degli interessati svolta tramite strumenti innovativi comporta l’obbligo per il titolare di svolgere una valutazione d’impatto con l’assistenza dei responsabili coinvolti (ai sensi dell’art. 28.3 lett. f) GDPR).
Infine, è bene ricordare che l’art. 22 GDPR riconosce un diritto di protezione per l’interessato nei confronti di trattamenti totalmente automatizzati che producono una decisione che incide sulla sua persona, producendo effetti giuridici o impatti analogamente significativi. Questo è il principale limite applicativo di gran parte delle applicazioni del machine learning destinate al monitoraggio dei comportamenti degli interessati, ed è superabile solo nelle ipotesi in cui il trattamento sia necessario (da interpretarsi in senso stretto) per una relazione contrattuale, vi sia una norma autorizzativa che precisi misure di garanzia o altrimenti l’interessato abbia prestato il proprio consenso esplicito. Nell’ipotesi di dati biometrici, dal momento che rientrano nelle particolari categorie di dati, inoltre, il trattamento può essere svolto solamente sulla del consenso esplicito (art. 9.2 lett. a) GDPR) o il perseguimento di un interesse pubblico rilevante (art. 9.2 lett. g) GDPR).
L’auspicio è che ogni mezzo innovativo sia adottato conformemente alla norma e consapevolmente, oltre che nella migliore tutela degli interessati, dal momento che la protezione dei dati personali rappresenta un regime di garanzia e non un ostacolo al progresso.
[1] Linee guida in materia di valutazione d’impatto sulla protezione dei dati e determinazione della possibilità che il trattamento “possa presentare un rischio elevato” (WP 248)
FONTE:https://www.infosec.news/2020/05/19/news/riservatezza-dei-dati/machine-learning-se-il-grande-fratello-va-a-scuola/
Imparare tra cervello e macchine
Con i metodi di imaging e risonanza magnetica siamo riusciti a mostrare che fin dalla nascita, praticamente tutti i circuiti del cervello adulto sono già presenti in quello del bambino. Il cervello umano nasce e si sviluppa per auto-organizzazione, spontaneamente, per simulazione interna, imparando per bootstrapping – tirandosi su per il codino, come il Barone di Münchhausen –, da un modello fisico interno e, allo stesso tempo, la struttura precoce non rimane invariata, ma è modificata e arricchita dall’esperienza. Ciò grazie alla plasticità cerebrale. La foresta inestricabile di ramificazioni neurali, composta da migliaia e migliaia di rami sempre più piccoli, i dendriti (dendron significa “albero” in greco), mediante le sinapsi, le unità di calcolo del sistema nervoso, dà vita alla comunicazione tra le cellule cerebrali, i neuroni. Considerando il ruolo di ciò che si impara per comprendere lo sviluppo umano e la produzione dei patrimoni di conoscenza disponibili, è necessario comprendere come agiscono i vincoli spaziali e i vincoli temporali in molte regioni del cervello. Sappiamo che la plasticità è attiva soltanto durante un intervallo di tempo limitato, che è chiamato “periodo sensibile”. Ha il suo picco, spesso, nella prima infanzia, per poi ridursi gradualmente. Con l’età e con la diminuzione della plasticità, l’apprendimento risulta più difficile, anche se non è certamente bloccato. “Nel primo anno di vita, le ramificazioni dei neuroni crescono con esuberanza, fino a formare un groviglio inestricabile. Nel cervello di un bambino di due anni, il numero di sinapsi è pari a circa il doppio di quello di un adulto. Ma gli alberi dendritici continuano a ingrandirsi: si creano e si disfano sotto l’influenza dell’attività neurale.
Le sinapsi utili sono conservate e si moltiplicano, mentre le altre vengono eliminate” (Dehaene, p. 139). L’incidenza dell’ambiente e delle relazioni, e soprattutto il ruolo delle variabili affettive, interagiscono strettamente e inestricabilmente con i processi neurofisiologici, sostenendo lo sviluppo o creando ritardi che possono anche essere irreparabili. Quella che Lev S. Vygotskij ha chiamato la “zona di sviluppo prossimale”, agisce in modi profondi e indistinguibili nel favorire o ostacolare l’apprendimento. “Nulla sostituisce veramente venti mesi di amore perduto” (p. 153), scrive Deahene, anche se la plasticità del cervello può facilitare la resilienza e la reversibilità dei traumi precoci. Quella stessa resilienza che è alla base della plasticità che consente di affrontare un’esperienza distruttrice, quel tipo di esperienza in cui è la spessa plasticità a svolgere una funzione critica. Come rileva Catherine Malabou in Ontologia dell’accidente. Saggio sulla plasticità distruttrice, Meltemi, Milano 2019, connettendo Baruch Spinoza ad Antonio Damasio, la ragione non può svilupparsi correttamente se non è supportata dagli affetti e la plasticità distruttrice erompe proprio quando la componente emotiva è compromessa a causa di traumi psicologici o lesioni cerebrali, dimostrazione del fatto che ‘il corpo può morire senza essere morto’. In questi casi emerge la capacità del cervello di perseverare nel proprio essere, di sopravvivere a un trauma, fornendo la risposta più adeguata alle affezioni e alle esigenze del corpo. Non solo nella cura, ma anche nell’educazione emergono con evidenza dinamiche che possono favorire o ostacolare il rapporto tra corpo, cervello, mente e apprendimento.
Uno dei punti più rilevanti, infatti, su cui lo studio di Dehaene si concentra, che è anche la questione più significativa che ci resta da comprendere, è come l’istruzione interagisce con la plasticità cerebrale precoce. Abbiamo bisogno di approfondire come sia possibile per noi umani estendere le nostre capacità verso direzioni che l’evoluzione non aveva previsto. Disponiamo di competenze iniziali, antecedenti, come abbiamo visto, ma l’educazione le moltiplica: se avessimo solo un senso approssimativo del numero, ad esempio, come accade negli altri animali, non saremmo in grado distinguere undici da dodici. “La raffinata precisione del nostro senso dei numeri la dobbiamo all’educazione, su cui poggia l’edificio della matematica” (p. 157). Dehaene propone l’ipotesi del “riciclaggio neurale” per cercare di spiegare come operi la modificazione dei circuiti cerebrali predeterminati, già ampiamente organizzati alla nascita, ma in grado di evolversi e trasformarsi nello spazio di pochi millimetri. Nel corso dei millenni, di fatto, noi abbiamo imparato a fare qualcosa di nuovo con ciò che è vecchio, o meglio, con ciò che avevamo prima. “Ogni attività di apprendimento scolastico riorienta un circuito neurale preesistente verso una nuova direzione. Per leggere o calcolare i bambini fanno affidamento su circuiti precedenti che si sono evoluti per un altro uso, ma che, grazie al loro margine di plasticità, riescono a riorganizzarsi e a specializzarsi in questa nuova funzione culturale” (p. 158). Anche se la plasticità neurale è importante, soprattutto nella specie umana in ragione di una neotenia prolungata, il cervello umano rimane comunque soggetto a forti vincoli anatomici, ereditati dalla sua evoluzione.
Accade così che ogni nuovo oggetto culturale che inventiamo, come l’alfabeto o i numeri arabi, deve trovare la propria nicchia neurale nel cervello, un circuito la cui funzione sia sufficientemente compatibile con la nuova invenzione o comunque con la novità che si para innanzi al soggetto. Avviene così la riconversione al nuovo uso. Qualsiasi nuova acquisizione culturale, così come qualsiasi apprendimento, sono possibili in quanto si basano su un’architettura neurale preesistente. L’apprendimento crea qualcosa di nuovo a partire dai vincoli materiali esistenti. Una distinzione diventa necessaria, per comprendere l’ipotesi di Dehaene riguardo al “riciclaggio neurale”. Non stiamo parlando del processo evolutivo in base al quale la biologia fa qualcosa di nuovo utilizzando il vecchio. In effetti, utilizzando due riferimenti fondamentali per comprendere la logica del vivente, secondo il biologo francese François Jacob, l’evoluzione non smette mai di darsi da fare: senza risparmiare risorse, rimette a nuovo organi antichi per renderli eleganti strumenti d’avanguardia. Così, ad esempio, le piume degli uccelli, da antichi regolatori termici sono riconvertiti in ali aerodinamiche, e persino la contrazione di due sporgenze carnose si è convertita nell’affascinante sorriso della Gioconda. Le modifiche lente di origine genetica non rientrano però nella definizione di “riciclaggio neurale” formulata da Dehaene. Quelle modifiche sono processi di exaptation come li ha identificati Stephen Jay Gould, con un temine che combina “ex” con “adaptation”, per indicare un processo evolutivo che porta a dare una nuova utilità a un vecchio meccanismo. Il tempo fa la differenza. Le exaptation hanno la durata dei tempi biologici, mentre il “riciclaggio neurale” avviene in tempi brevi e ha la durata di pochi giorni o pochi anni.
Riciclare allora vuol dire riorientare una parte di un circuito cerebrale in poco tempo e solo grazie all’apprendimento, senza l’implicazione di modifiche genetiche. Il “riciclaggio neurale, in fondo, indica la singolare abilità della nostra specie di uscire dalla propria nicchia ecologica e, in una certa misura, di trascenderla. Questa capacità non è illimitata: “i neuroni veri e propri non attraversano che un sottospazio che comprende solo una decina di dimensioni. Il limite dell’apprendimento è molto semplice da capire: o ciò che viene chiesto alla corteccia ‘torna’ all’interno di questo spazio preesistente, e la scimmia impara senza difficoltà; o la richiesta di configurazione di un’attività va oltre i suoi limiti, nel qual caso non riesce ad imparare” (p. 161). Ciò vale a un livello diverso di specie anche per gli umani.
Ogni regione cerebrale ha una dinamica propria che non cambia di molto da regione a regione per quanto riguarda il processo di apprendimento. Ognuna di queste regioni cerebrali proietta sul mondo il proprio spazio di ipotesi. Ognuno di questi spazi è precedente all’apprendimento e, in un certo senso, lo rende possibile. Possiamo così imparare cose nuove, ma queste devono trovare la loro nicchia neurale, uno spazio di combinazione e ricombinazione, che darà vita a una ristrutturazione e a una nuova organizzazione della conoscenza, come avevamo sostenuto con Carla Weber in Passione e apprendimento, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996. Ciò accade e può accadere in ogni ambito, dalla matematica, alla lettura, alla musica, facendo sì che il cervello, il corpo e il movimento possano sfruttare al meglio i benefici derivanti da un ambiente il più possibile arricchito.
La plasticità sinaptica non è un appannaggio esclusivo della nostra specie, anzi, è onnipresente nel mondo animale e le mosche, il verme nematode o la lumaca di mare, per fare solo qualche esempio a caso, hanno sinapsi modificabili. Nel corso dell’evoluzione, l’esperienza e la storia evolutiva hanno dotato il cervello umano di alcune caratteristiche che risultano cruciali per l’apprendimento e che Dehaene chiama “i quattro pilastri dell’apprendimento”. Si riferisce:
- all’attenzione, che amplifica le informazioni su cui ci concentriamo;
- al coinvolgimento attivo e alla curiosità, che incoraggiano costantemente il nostro cervello a valutare nuove ipotesi;
- al ritorno sull’errore, che ci consente di confrontare le nostre predizioni con la realtà e correggere i nostri modelli del mondo;
- al consolidamento, che automatizza e fluidifica ciò che abbiamo appreso, specialmente durante il sonno.
L’attenzione svolge il compito fondamentale di risolvere il problema della saturazione delle informazioni. Si tratta di meccanismi con cui selezioniamo le informazioni, le amplifichiamo, le incanaliamo orientando l’azione, e le approfondiamo. La selezione svolge la funzione di concentrazione, ma rende anche “ciechi” rispetto a quanto viene escluso dall’attenzione stessa. Nell’apprendimento, quindi, è importante definire a che cosa è necessario prestare attenzione se si vuole favorire lo sviluppo della conoscenza attesa. È importante sapere che l’attenzione modifica radicalmente l’attività cerebrale (p. 199). Per imparare a leggere, ad esempio, solo l’allenamento fonetico, che richiama l’attenzione sulla corrispondenza tra lettere e suoni, attiva il circuito della lettura e consente di imparare. Il controllo esecutivo, come parte integrante dell’attenzione, ci consente di scegliere un piano d’azione e di attenerci ad esso. Semplificando, abbiamo due modalità di utilizzo dell’attenzione per imparare. La prima è una modalità attiva, in cui testiamo delle ipotesi sul mondo esterno; la seconda modalità è l’assorbimento di ciò che gli altri ci trasmettono senza verificarlo in prima persona. Se la seconda modalità ha consentito l’accumulazione culturale che ha portato allo sviluppo delle società umane, nel bene e nel male, è necessario considerare che essa tende al conformismo, alla continuità e alla consuetudine. È la prima modalità, il coinvolgimento attivo, che ci consente di rifiutare il sentito dire, di proteggerci da maghi, leggende e santoni, e di utilizzare filtri essenziali per verificare le conoscenze.
Così come l’esplorazione attiva del mondo è essenziale per un corretto sviluppo della visione, essa lo è per l’intero processo di conoscenza. Un organismo passivo, infatti, non impara. Per fortuna, raramente il cervello umano si accontenta di registrare passivamente le conoscenze e, imparando, comunque filtra e ricrea almeno in una certa misura quel che impara, nonostante certi metodi di insegnamento siano tendenzialmente passivizzanti. Rinunciare al comfort della passività è una condizione indispensabile per l’apprendimento. Dehaene, con scelta quanto mai opportuna, sottopone a critica la cosiddetta “pedagogia della scoperta” e i suoi fallimenti. Si tratta di un contributo particolarmente salutare del libro, se si considera la diffusione più o meno consapevole delle idee pedagogiche che hanno proposto e propongono di lasciare i bambini a se stessi, di limitarsi a porli di fronte ai fenomeni e attendere che facciano i propri percorsi per imparare. I fallimenti, in ogni campo, di questa prospettiva, sono spesso clamorosi. La relazione asimmetrica con chi insegna e crea un ambiente strutturato di apprendimento progressivo ed esplicito, con adeguate azioni di guida, risulta essenziale per l’apprendimento. Il mito dell’autoeducazione è in una certa misura persistente e torna di volta in volta sotto diverse forme: è presente nelle relazioni primarie e nelle scuole di ogni ordine e grado e si basa su una falsa interpretazione del principio di autorità educativa, ritenuto di per sé negativa. La ricerca consente di mostrare come la sollecitazione della curiosità e della propensione alla scoperta, della motivazione e della volontà di sapere, e l’attenzione al fatto che chi insegna può uccidere la curiosità di chi apprende, depongano a favore di una relazione asimmetrica in grado di indicare e contenere, innestando sui saperi disponibili le indicazioni relative ai saperi acquisibili. Il contenimento emozionale e cognitivo si esprime, in particolare, riguardo al modo di riscontrare e trattare gli errori.
Pensare e apprendere, in fondo, potrebbe essere descritto come un continuo passaggio da un errore all’altro. “Il principio è semplice: è necessario provare”, scrive Dehaene, “anche a costo di fallire, perché la dimensione e la direzione dell’errore indicano la correzione” (p. 241). La sorpresa si propone come un motore dell’apprendimento. Di fronte a un fenomeno o a un compito noi operiamo una predizione; quindi calcoliamo lo scarto, il gap, tra la predizione e lo stimolo effettivamente ricevuto; la considerazione dell’errore di predizione determina il grado di sorpresa; a quel punto ci attiviamo per operare una correzione in modo che la predizione successiva sia più vicina alla realtà. Una dinamica come quella appena descritta conferma che l’apprendimento avviene nel momento in cui il cervello amplifica gli input sensoriali appropriati (attenzione); se li usa per produrre una predizione (impegno attivo); e se riesce a determinarne la correttezza (riscontro dell’errore). È bene precisare che non stiamo parlando solo di un errore effettivo ma di un segnale di errore interno. Così come è necessario non confondere errori e sanzioni. In questo senso Dehaene considera il voto un pessimo riscontro dell’errore. Se ne ricava che l’apprendimento non è puramente associativo. Il cervello non è un organo passivo che cataloga delle associazioni. L’apprendimento è attivo e dipende dal grado di sorpresa legato alla violazione delle nostre aspettative. L’incertezza agisce come un errore virtuale e apre a possibilità continue e a occasioni da cui possiamo imparare.
Il consolidamento svolge, tra le altre, una funzione essenziale: rendere acquisite, tacite e inconsce le conoscenze e, quindi, liberare risorse cerebrali. Se si osserva il cervello di un lettore alle prime esperienze, il suo normale circuito della lettura è già attivato, ma è anche accompagnato da una massiccia attivazione di regioni parietali e prefrontali che riflettono lo sforzo, l’attenzione spaziale e le strategie coscienti. Questa intensa attività, molto energivora, scomparirà gradualmente a mano a mano che l’apprendimento della lettura si consolida. Quelle aree si attiveranno intensamente, quando il lettore sarà esperto, solo se disturbiamo la lettura o introduciamo una discontinuità di qualche tipo. Ciò che vale per la lettura, si conferma anche per tutti gli altri ambiti di apprendimento. Una funzione decisiva per il consolidamento la svolge il sonno. Il cervello addormentato rivive gli episodi del tempo precedente, non solo, ma possiamo fare scoperte mentre dormiamo, come sarà capitato molto probabilmente a ognuno. Il consolidamento notturno non è, quindi, semplicemente un rafforzamento dell’apprendimento (p. 275). A proposito del sonno Dehaene esprime una critica all’organizzazione scolastica e riporta un esperimento in cui è stato cambiata l’ora di ingresso a scuola solo di mezz’ora o di un’ora al mattino: “gli adolescenti dormono meglio, il loro assenteismo si riduce, la loro attenzione in classe aumenta…” (p. 280).
Lo scopo di Dehaene è conciliare l’educazione con le neuroscienze e si tratta di un compito urgente se si considera che il modello di corpo-cervello-mente in uso nelle scuole è oggi profondamente superato. Mentre è di molto cambiato il significato di essere umano, la scuola continua a procedere secondo orientamenti e epistemologie tradizionali. Oggi sappiamo che il bambino non è una tabula rasa; sappiamo che non è una spugna passiva; che il cervello non è una rete di neuroni malleabili a piacimento, ma i grandi fasci di connessioni sono presenti fin dalla fase prenatale e dalla nascita, e che la plasticità non fa che perfezionare gli ultimi millimetri delle nostre connessioni; sappiamo che l’apprendimento non avviene passivamente, ma che il bambino è uno scienziato in erba, che genera costantemente nuove ipotesi e le mette alla prova; che commettere un errore non significa essere cattivi studenti, ma che apprendiamo mettendo in rapporto le aspettative e la realtà; che il sonno non è solo un periodo di riposo ma è parte integrante del nostro algoritmo di apprendimento; sappiamo che il cervello è probabilistico e riesce a estrarre ogni briciolo di informazione da ogni episodio della giornata e a trasformarlo in apprendimento e in conoscenza astratta e generale.
“Oggi sappiamo molto circa le condizioni che massimizzano l’apprendimento e la memoria”, scrive Dehaene (p. 284), e si concede e ci concede delle massime per ottimizzare il potenziale dei bambini, che ogni genitore e ogni insegnante dovrebbe conoscere, approfondire e applicare.
Prima di tutto si tratta di non sottovalutare i bambini; fin dalla nascita ogni bambino possiede ricchi nuclei di competenze; è importante sfruttare le loro intuizioni e fare loro proposte di apprendimento connesse alle loro conoscenze pregresse.
È importante, inoltre, approfittare dei periodi sensibili, e proporre al bambino opportunità di apprendimento coerenti con l’età, il tempo e la sensibilità maggiormente corrispondenti.
Bisogna arricchire l’ambiente, fornendo dati all’altezza del bambino, parlandogli seriamente, senza esitare a usare un vocabolario elaborato.
Le differenze vere e proprie riguardano la velocità di apprendimento e i gusti di ognuno e, perciò, si possono valorizzare i fattori comuni e non credere che i bambini siano tutti diversi, di una diversità che sarebbe insormontabile.
Di particolare importanza è prestare attenzione all’attenzione, evitando stimoli impropri e disturbanti come libri di testo sovra-illustrati, classi eccessivamente decorate, lettere o cifre distorte o animate, disturbando la concentrazione.
Facciamo in modo che il bambino sia attivo, curioso, coinvolto e guidiamolo usando insegnamenti strutturati.
Introduciamo il principio del desiderio e del piacere e facciamo in modo che ogni giorno di scuola sia un piacere, utilizzando bene i circuiti della ricompensa che sono modulatori essenziali della plasticità cerebrale, e restituendo in modo adeguato gli esiti delle valutazioni.
Smettiamo di far credere ai bambini che sia tutto facile e forniamo loro dei compiti di crescita, in modo da incoraggiare gli sforzi.
È indispensabile aiutare gli studenti ad approfondire il loro pensiero, rendendo le condizioni di apprendimento più difficili, e inducendo loro a uno sforzo e a un impegno cognitivo maggiori, creando le condizioni per una memoria migliore.
Gli studenti imparano meglio quando hanno chiaro lo scopo, e per questo è importante fissare obiettivi chiari di apprendimento.
Se l’errore è la condizione stessa dell’apprendimento, accettiamo e correggiamo gli errori.
Se l’automatizzazione delle conoscenze, il loro consolidamento, libera la corteccia prefrontale, che diventa disponibile per altre attività, ripassiamo in continuazione.
Lasciamo che i bambini e gli adolescenti dormano, il sonno è un ingrediente importante delle nostre capacità e possibilità di apprendimento.
È difficile sopravvalutare il contributo che Stanislas Dehaene fornisce con questo libro a chiunque insegni o svolga attività educative e formative: il coraggio e la chiarezza del testo portano finalmente l’analisi dell’apprendimento e delle prassi educative e formative all’altezza dei risultati della ricerca scientifica degli ultimi anni, in un campo in cui vi è stata e vi è una vera e propria rivoluzione paradigmatica.
FONTE:https://www.doppiozero.com/materiali/imparare-tra-cervello-e-macchine-0
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