RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
4 GIUGNO 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
La vanità rende brutti, perciò dovrebbe logicamente mortificarsi,
invece si limita a ferirsi,
diventando “vanità ferita”
FRANZ KAFKA, Diari, ,26 novembre 1917
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Precisazioni
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SOMMARIO
Contrario a registro elettronico, maestro sospeso senza stipendio
AGENDA ID2020, OVVERO IL NAZISMO DEI BUONI
LE AUTOPSIE VIETATE – La precisazione del dottor Manera
Basta con il consenso!
SIMBOLOGIA DISTANZIAMENTO SOCIALE
QUANDO LO STATO SI RIVOLGE CONTRO IL SUO POPOLO
Corte dei Conti: in 8 anni fuggiti dall’Italia 9000 medici
Violenze Usa, residenti armati difendono il quartiere dai saccheggi Antifa
La cricca è spaventata e adesso parla di «riformare il capitalismo»
“Più questi disordini durano, più la rabbia di Trump sedurrà l’America”
Max Headroom-19. Il sogno del «distanziamento sociale» permanente nella propaganda post-coronavirus
Lisi: App Immuni inutile e rischiosa, non in mano allo Stato
E la dittatura dei cialtroni impose all’Italia il reato di vivere
Prof Sinagra: magistratura corrotta, una verità scomoda
MATTARELLA “GUARDIANO” DELLO SFASCIO DELLA COSTITUZIONE
Perché tanti immigrati bengalesi? La risposta si chiama Brac, la grande Ong che li finanzia
ONU smentisce la sinistra: migranti non sono profughi
RIVOLTE NEGLI USA? RICORDATEVI DI NIXON…
Se la Svezia ha ragione, il Resto del Mondo ha torto
ANTHONY FAUCI: NEGLI USA BISOGNA PROIBIRE LA COMUNIONE.
Come possono gli haters democratici rappresentare anche i bianchi?
La decolonizzazione d’Israele è iniziata
BAGNAI: QUATTRO GIORNI PER ESAMINARE IL DECRETO LIQUIDITA’. LAVORO IMPOSSIBILE
Il sovranista ad una dimensione: il caso “NATO”
Ahiahi, signora Immuni, lei mi cade sullo stereotipo
I TRADITORI: ROMANO PRODI – 2a parte
Foibe a senso unico: così il Mago nasconde la verità storica
IN EVIDENZA
Contrario a registro elettronico, maestro sospeso senza stipendio
16, aprile, 20Trenta giorni di sospensione, senza stipendio. Per Andrea Scano, maestro della primaria di Cagliari, è il quarto provvedimento disciplinare in dieci mesi. Il motivo è sempre lo stesso: il rifiuto di utilizzare il registro elettronico per motivi che riguardano la privacy degli alunni. A suo dire, a rischio. Soprattutto per i dati sensibili, quelli delle bimbi e della famiglie più fragili.
Questa volta, però, il provvedimento disciplinare, che riguarda comunque i mesi scolastici precedenti, interromperà l’attività di insegnamento a distanza, la cosiddetta teledidattica attivata per via dell’emergenza sanitaria da Covid-19. L’atto è dell’Ufficio scolastico regionale guidato dall’ex sindacalista Cgil scuola, Peppino Loddo. Da quando non si sa perché la dirigente dell’istituto comprensivo Colombo non gli ha ancora comunicato al docente la data di inizio.
Nell’attesa per il 57enne Scano, ex consigliere comunale e militante dei Cobas – che lo sostengono – incassa, come già in precedenza, la solidarietà dei genitori dei suoi alunni. La ribellione del docente va avanti da due anni tra richiami, proteste, sit-in e provvedimenti come questo: da tre fino a trenta giorni. Appena pochi mesi fa, a inizio gennaio, aveva presentato negli uffici scolastici una memoria difensiva ancora più dettagliata: “Non esiste – insiste – una legge che ci obblighi a usare il registro elettronico, l’unico problema è che devo obbedire a un ordine”. […]
Istruzione, tra gli esperti nominati da Azzolina c’è l’inventore del feliciometro
FONTE:https://www.imolaoggi.it/2020/04/16/contrario-a-registro-elettronico-maestro-sospeso-senza-stipendio/
Basta con il consenso!
Dopo aver a lungo studiato, politici e medici dovrebbero, in teoria, essere scienziati. In realtà, pochi hanno un approccio scientifico. Nessuno di loro vuole oggi assumersi la responsabilità delle misure – pretestuosamente sanitarie – adottate: isolamento, distanziamento sociale, guanti e mascherine. Tutti si nascondono dietro decisioni collegiali, invocando scienza e consenso.
- Da sinistra a destra: il ministro dell’Interno, il primo ministro e il ministro della Sanità francesi che, dopo aver annunciato misure anticostituzionali, cedono la parola al presidente del Comitato scientifico COVID-19, nonché presidente del Comitato consultivo nazionale di etica, per riceverne la benedizione “scientifica”.
Collegialità di facciata
L’epidemia di COVID-19 ha colto di sorpresa responsabili politici che avevano dimenticato il primario compito di proteggere la popolazione.
Presi dal panico, si sono rivolti ai guru. Nel caso della Francia, al matematico Neil Ferguson dell’Imperial College of London [1] e al dottor Richard Hatchett della CEPI (Coalition for Epidemic Preparedness Innovations), ex collaboratore del segretario alla Difesa USA, Donald Rumsfeld [2]. I politici, nel comunicare le proprie decisioni hanno fatto ricorso, per giustificarle, a scienziati e, per avallarle, ad autorità in campo morale.
E così, nella laica Francia, il presidente Emmanuel Macron si è avvalso del Comitato scientifico COVID-19 (Comité scientifique Covid-19), composto soprattutto da medici e matematici e assoggettato all’autorità del presidente del Comitato Consultivo Nazionale di Etica (Comité consultatif national d’éthique).
Tutti hanno potuto costatare che, davanti all’epidemia, gli scienziati non erano generalmente concordi. Scegliendo i membri del Comitato scientifico, i politici hanno potuto preliminarmente escludere quelli che non volevano ascoltare e dare voce a quelli i cui discorsi erano graditi. Inoltre, la scelta di mettere a capo dell’organismo una personalità morale è servita a giustificare decisioni privative della libertà, che i politici asserivano necessarie, pur sapendole in contrasto con la Costituzione.
In altri termini, questo Comitato è solo un paravento per far dimenticare la responsabilità del presidente della repubblica e del suo governo. Del resto, in Francia esistono già un’amministrazione per la Sanità Pubblica nonché un Alto Consiglio per la Sanità Pubblica; questo nuovo Comitato è, al contrario, privo di base legale.
Molto presto i dibattiti su come prevenire l’epidemia e sui trattamenti da mettere in campo sono degenerati in rissa. Per mettere ordine, il presidente Macron ha perciò designato un altro organismo, il Comitato Analisi, Ricerca e Competenza (CARE, Comité Analyse, Recherche et Expertise). Lungi dall’essere un forum scientifico, il Comitato ha difeso le posizioni della CEPI, contrastanti con la clinica medica.
Il ruolo dei responsabili politici è servire i concittadini, non è quello di beneficiare delle vetture ufficiali e poi invocare aiuto non appena prendono paura. Il compito dei medici è curare i pazienti, non di partecipare a seminari lungo le spiagge delle Seychelles.
Il caso dei matematici è diverso. Hanno il compito di quantificare osservazioni. Alcuni di loro hanno seminato il panico per impadronirsi di parte del Potere.
Politica e medicina come scienze
Non se ne dispiacciano politici e medici: politica e medicina sono Scienze. Negli ultimi decenni queste due professioni – immediatamente seguite dal giornalismo – hanno tuttavia ceduto all’attrattiva del lucro e sono diventate, in Occidente, le professioni più corrotte. Rari solo coloro che mettono in discussione le proprie certezze, una qualità invece basilare per la scienza. Politici e medici non fanno più scienza: adesso fanno carriera.
Ci difendiamo molto male da questa decadenza delle nostre società. Innanzitutto riconosciamo a noi stessi il diritto di criticare i responsabili politici, ma, curiosamente, non i medici. Secondariamente, perseguiamo in giustizia i medici quando un paziente muore ¬– pur non congratulandoci con loro quando riescono a salvarlo – ma chiudiamo gli occhi su quanto sono corrotti dall’industria farmaceutica. Eppure non è un segreto: l’industria farmaceutica ha a disposizione il più elevato budget in assoluto per fare lobbying e, nei Paesi sviluppati, dispone anche di una gigantesca e capillare rete di lobbysti che raggiungono ogni medico: i cosiddetti informatori scientifici del farmaco [sorta di rappresentanti di medicinali]. [3] Dopo decenni di simili maneggi, le professioni sanitarie hanno smarrito il significato del proprio mestiere.
Alcuni uomini politici proteggono il proprio Paese, altri no.
Alcuni medici curano i propri pazienti, altri no.
Le probabilità per i malati di COVID-19 di morire erano cinque volte maggiori se ricoverati in un determinato ospedale piuttosto che in altri. Eppure i medici che li curavano avevano fatto gli stessi studi e avevano a disposizione lo stesso materiale.
Dobbiamo esigere che siano comunicati i risultati di tutti i servizi ospedalieri.
Il professor Didier Raoult cura con successo alcune malattie infettive. È la ragione per cui ha potuto costruire un proprio istituto di punta a Marsiglia. La professoressa Karine Lacombe lavora per Gilead Science, per questa ragione è stata messa a capo del servizio malattie infettive dell’Ospedale Saint-Antoine di Parigi. Gilead Science è l’industria farmaceutica, un tempo diretta da Donald Rumsfeld – sì, proprio lui ¬–che produce i farmaci più costosi, e spesso meno efficaci, al mondo.
Sia chiaro, non sto dicendo che i medici sono corrotti, ma che sono manovrati da “mandarini” e da un’amministrazione che in gran parte lo sono. Questo è il problema degli ospedali francesi, che beneficiano di un budget superiore a quello della maggior parte dei Paesi sviluppati, ma ottengono risultati mediocri. Non è un problema di quantità di denaro, ma di dove va.
La stampa che tratta di medicina non è più scientifica
La stampa che tratta di medicina non è scientifica per nulla. Non parlo delle ignobili distorsioni ideologiche denunciate dal fisico Alan Sokal [4], ma del fatto che tre quarti degli articoli oggi pubblicati non sono verificabili.
Pressoché unanimemente, i grandi media hanno partecipato a una campagna intossicante, a sostegno di uno studio, pubblicato su The Lancet, di condanna del “protocollo Raoult”, spalancando così la strada al farmaco di Gilead Science, il Remdesivir [5]. Poco importa che lo studio non sia randomizzato, né verificabile, nonché che il suo principale autore, dottor Mandeep Mehra, lavori all’ospedale Brigham di Boston per promuovere il Remdesivir, ossia che si tratti, in poche parole, d’un lavoro indegno. Unica voce fuori dal coro: The Guardian, che ha scavato un po’ e rivelato che i dati su cui si basa la ricerca sono stati falsificati in modo evidente [6].
Leggete questo “studio” e non crederete ai vostri occhi: come ha potuto una simile frode essere pubblicata da una “prestigiosa rivista scientifica” (sic) come The Lancet? Non avete forse trovato analoghe frodi nei media politici “di riferimento” (sic), come The New York Times o Le Monde? The Lancet è pubblicato dal più grande editore scientifico al mondo, il gruppo Elsevier, che ha fatto guadagni sia vendendo prodotti a prezzi unitari carissimi, sia creando giornali scientifici fasulli, completamente redatti dall’industria farmaceutica per promuovere i propri prodotti [7].
Recentemente vi ho messo in allerta a proposito dell’operazione NATO, finalizzata a promuovere, tramite motori di ricerca, fonti d’informazione “affidabili” (sic) a scapito di altre [8]. Ebbene, è palmare che in nessun caso il nome di un editore o di un medium è di per sé garanzia definitiva di competenza e sincerità. Ogni libro, ogni articolo deve essere giudicato singolarmente, usando soltanto il proprio spirito critico.
Il “consenso scientifico” contro la Scienza
Da diversi anni gli scienziati titolati non s’interessano più della Scienza, ma del consenso nel loro ambito professionale. È accaduto già nel XVII secolo, quando gli astronomi dell’epoca si allearono contro Galileo. Siccome non avevano strumenti per farlo tacere, si rivolsero alla Chiesa, che lo condannò alla reclusione a vita. Così facendo, Roma si allineò al “consenso scientifico”.
Allo stesso modo, 16 anni fa la Corte d’Appello di Parigi ha respinto una dopo l’altra le mie denunce contro i grandi giornali che mi avevano diffamato, soltanto perché quel che scrivevo non poteva essere che falso, in virtù del “consenso giornalistico” creato contro di me. Non importavano le prove da me prodotte.
E ancora il “consenso scientifico” induce in noi l’incrollabile certezza del “riscaldamento climatico”, a suo tempo promosso dall’ex primo ministro britannico, Margaret Thatcher [9]. Non importa che la questione sia oggetto di numerosi dibatti scientifici.
Ebbene, la verità non è un’opinione, ma un processo. Non può essere messa ai voti, deve sempre essere indagata.
NOTE
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[1] “COVID-19: Neil Ferguson, il Lyssenko liberale”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 19 aprile 2020.
[2] “Il COVID-19 e l’Alba Rossa”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 28 aprile 2020.
[3] Negli anni Novanta, in un’inchiesta pubblicata dal mensile economico italiano Espansione, Gian Carlo Scotuzzi documentò come molte tra le maggiori imprese farmaceutiche italiane nonché straniere operanti in Italia ricorressero al cosiddetto comparaggio, cioè pagavano i medici per ogni prescrizione dei loro prodotti. La gestione del meccanismo corruttivo era affidata appunto agli informatori scientifici del farmaco. Grazie al comparaggio i medici prescrissero (e forse continuano a prescrivere) farmaci non necessari. Per esempio, uno dei più diffusi in Italia fu il Cronassial, in seguito rivelatosi nocivo al punto da indurre l’AIFA (l’agenzia statale di vigilanza sui farmaci) a bandirlo dal mercato. Ndt.
[4] Impostures intellectuelles, Alan Sokal et Jean Bricmont, Odile Jacob éd. (1997).
[5] “Hydroxychloroquine or chloroquine with or without a macrolide for treatment of COVID-19: a multinational registry analysis”, Mandeep R. Mehra, Sapan S. Desai, Frank Ruschitzka, Amit N. Patel, The Lancet Online, May 22, 2020.
[6] “Questions raised over hydroxychloroquine study which caused WHO to halt trials for Covid-19”, Melissa Davey, The Guardian, May 28, 2020.
[7] “Elsevier published 6 fake journals”, Bob Grant, The Scientist, May 7, 2009.
[8] “UE, NATO, NewsGuard e Réseau Voltaire”, di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 5 maggio 2020.
[9] “L’ecologia finanziaria (1997-2010)”, di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 6 giugno 2010.
FONTE:https://www.voltairenet.org/article210041.html
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
SIMBOLOGIA DISTANZIAMENTO SOCIALE
Pubblicato da MAESTRO DI DIETROLOGIAa mercoledì, giugno 03, 2020
Mesi fa scrissi su un post, dicendo che ci avrebbero multato per un bacio pubblico, una volta usciti dalla quarantena.
Subito gli ufficialisti si scatenarono indignati, forse per esorcizzare la loro ignavia verso l’autorità che alla fine subiscono di buon grado.
In fondo mi ero sbagliato, come al solito peccavo di ingenuità e di troppo poco “cospirazionismo”,
Io parlavo di bacio e non avrei mai pensato che sarebbe bastato solo un abbraccio, come ci riporta impietosamente Repubblica di Lunedì 25 Maggio, nella cronaca di Milano.
Dispiace veramente non aver osato di più nel raccontare quello per me era ovvio, ma evidentemente non è così.
Sul distanziamento sociale e sul perché si sia scelto questo termine, potremmo parlare per ore,
ed è proprio nel neolinguaggio che si nascondono certe volontà sovragestionali.
Leggo che oggi il problema sarebbe la movida nelle grandi città, le manifestazioni, gli assembramenti eccessivi nei parchi. A Torino si gira con la mascherina a targhe alterne per metà settimana, evidentemente i nostri governanti hanno fantasia da vendere.
Già il termine movida, declinato al presente e decontestualizzato mi ha sempre fatto un po’ orrore. Però, se abbiamo memoria storica, dovremmo ricordarci che nasce come reazione giocosa e popolare in Spagna, dopo la fase dittatoriale franchista.
L’aperitivo ed il divertimento sono percepiti male in questo periodo di sofferenza, bisogna essere tristi, depressi, e certi virologi cazzari non vorrebbero nemmeno riaprire le scuole, c’è già nostalgia di clausura, allora bisogna almeno far portare le mascherine anche ai bambini da Settembre fino a, chissà…
Questo mentre diversi altri virologi affermano candidamente che il covid ha perso la sua carica virale e che dovremmo eliminare fin da Giugno l’obbligatorietà delle museruole.
Quale visione prevarrà?
Intanto Boccia, politico inutile, dannoso e poco intelligente, ha proposto con poco successo le ronde del sorriso. In poche parole, infami delatori, solitamente inclini e ligi alle regole, che dovrebbero indicarci le buone maniere.
Riguardo al fatto che fino a poco tempo fa non si poteva andare nei parchi pubblici (luoghi di perdizione/ ossigeno come droga) o, per esempio, celebrare messa, il sistema ha voluto dare messaggi chiari ed inequivocabili. Ha voluto tracciare un solco tra vecchio e nuovo oracolo, sostituendo il culto tradizionale con un nuovo culto scientista, anch’esso di sapore squisitamente religioso e dogmatico.
Non credo che la politica avesse realmente in mente questo, semplicemente ha applicati protocolli “consigliati” dall’alto, e per stare dalla parte dei bottoni, ha scelto questa strada.
Non sono cattolico, sono anticlericale da sempre e non ho mai amato le liturgie, però ho trovato assurdo ed illogico tenere chiuse le chiese, le moschee, le sinagoghe, quando i supermercati sono sempre stati aperti fino dall’inizio della quarantena, per non parlare dei mezzi pubblici.
Se fossero stati utilizzati gli stessi protocolli di sicurezza (a prescindere siano utili o meno), con il cosiddetto distanziamento sociale e la mascherina di cortesia, anche tutte le chiese, come è successo per i supermercati, sarebbero potute rimanere aperte, almeno dopo Marzo.
Questo per dire che, sull’onda dell’emotività e non certo della scienza, sull’onda del ricatto politico e di interessi vari, si è scelto di colpire un simbolo nella sua funzione più aggregante e sociale, a prescindere dalle nostre convinzioni individuali.
Lo stesso discorso vale per i musei, i centri sociali, per le piazze e tutti gli spazi all’aperto che sono per natura sani e non certo patogeni.
Si è voluto colpire simbolicamente la socialità nei suoi aspetti più profondi e più intimi, e la si continua a colpire ancora, dopo aver trasmesso ed instillato per mesi ansia e paura.
Questo è uno dei motivi per cui molti continuano ad indossare le mascherine anche all’aria aperta, perché non si fidano più neanche dell’aria che respirano, perché ha prevalso l’aspetto magico ed irrazionale ed il senso di appartenenza, di omologazione che scatta come un comando pavloviano.
Giorni fa in un parco ho visto due bambini piccoli, bardati di tutto punto, essere sgridati dalla madre di uno di loro, perché avevano osato toccarsi con le mani.
Pensate ai danni psicologici che questo paradigma culturale delirante andrà a creare nel tempo.
Potremmo fare migliaia di esempi simili, per esempio, riguardo alla scuola e non solo quella a distanza davanti ad uno schermo, ma quando riaprirà i battenti, con tutte le sue inutili regole castranti e diseducative, dove i bambini non potranno più sperimentare la conoscenza dell’altro attraverso il contatto, il gioco, il libero scambio emotivo.
La negazione del tatto, soprattutto nei bambini e nei ragazzi, ci apre nuovi scenari inquietanti che ci portano inesorabilmente nella direzione del post-umano.
Il distanziamento sociale ci divide, ci isola e contribuisce a far accettare il transumanesimo che verrà, paradigma che si occuperà di portare avanti questa agenda, attraverso l’implementazione futura del modello uomo macchina, ibridato sempre più con la tecnologia.
Negli ultimi decenni tanti aspetti indotti nella nostra civiltà hanno seguito questo schema, in primis quello economico con un modello unico globale e condiviso come il migliore dei mondi possibili o, addirittura, come l’unico possibile, quello tecnologico che, con tutte le sue meraviglie, ha però portato l’essere umano ad isolarsi sempre più davanti ad un PC, davanti ad un video-game, poi davanti ad un telefonino, ed oggi, sotto il giogo di un paradigma sanitario, ci ha costretti all’atomizzazione perpetua e, forse, a tempo indeterminato.
Per questo motivo i protocolli che vengono decisi in certi ambienti e fatti adottare a tutti o quasi i governi del pianeta, sopra ed in barba alle loro costituzioni, sono andati a colpire simboli di aggregazione, come lo sport, la scuola, il gioco, la religione, i centri sociali, i musei, l’arte in tutte le sue espressioni, i centri benessere, i ristoranti, i bar e via dicendo.
Però, non si sono mai colpiti i supermercati, la grande industria e la grande distribuzione, pur presentando oggettivamente le stesse problematiche di carattere sanitario.
Si sono tracciati le linee guida che struttureranno il nuovo mondo.
Se potevamo liberamente “contagiarci” nei luoghi deputati al consumismo primario, non potevamo farlo altrove, e guarda caso, proprio in quegli ambienti che rappresentano il benessere psicofisico delle persone ed i luoghi di aggregazione.
Non credo affatto sia casuale.
Esistono ambienti che progettano e creano ad hoc determinati protocolli, travestiti da scienza, per giustificare qualsiasi delirio e propaganda. Questi, attraverso la piramide sociale, incarnata dai media, dalla politica e da tutte le strutture di potere fino ai livelli più bassi, plasmano i piani da attuare in caso di pandemia per tutta la popolazione.
Per questo motivo, la sovragestione del futuro sarà rappresentata dal binomio tecnologia e sanità, sempre più legate ed unite in un moloch di vecchia fattura, totalitario ed antico, magico ed oracolare.
QUANDO LO STATO SI RIVOLGE CONTRO IL SUO POPOLO
Matteo D’Amico #Byoblu24
VIDEO QUI: https://youtu.be/uR3nPsMomSA
Insieme al filosofo Matteo D’Amico cerchiamo di capire da dove parta la concezione totalitaria degli Stati liberali: dalla Rivoluzione francese che segna l’inizio della sistematica sanitarizzazione della società, con il trionfo della ragione pragmatico-matematica, all’analisi del biopotere, il controllo dei corpi attraverso l’utilizzo di dispositivi anche sanitari. Con uno sguardo alla “società dello spettacolo”, in cui il potere è detenuto da di controlla la narrazione dominante. #Byoblu24
FONTE:https://www.maurizioblondet.it/quando-lo-stato-si-rivolge-contro-il-suo-popolo-matteo-damico-byoblu24/
BELPAESE DA SALVARE
Corte dei Conti: in 8 anni fuggiti dall’Italia 9000 medici
30, maggio, 2020
Una vera e propria “fuga” dall’Italia per mancanza di posti e bassi stipendi. E’ quella dei medici italiani, in cerca di fortuna all’estero. Secondo quanto riportato dalla Corte dei Conti nell’ultimo Rapporto sul coordinamento della Finanza pubblica, in base ai dati Ocse negli ultimi 8 anni, sono oltre 9.000 i medici formatisi in Italia che sono andati a lavorare all’estero. Regno Unito, Germania, Svizzera e Francia sono i mercati che più degli altri hanno rappresentato una soluzione “alle legittime esigenze di occupazione e adeguata retribuzione quando non soddisfatte dal settore privato nazionale”.
Servono incentivi – Una condizione che, sottolineano i magistrati contabili, “pur deponendo a favore della qualità del sistema formativo nazionale, rischia di rendere le misure assunte per l’incremento delle specializzazioni poco efficaci, se non accompagnate da un sistema di incentivi che consenta di contrastare efficacemente le distorsioni evidenziate”.
L’impoverimento del sistema – La concentrazione delle cure nei grandi ospedali verificatasi negli ultimi anni e il conseguente impoverimento del sistema di assistenza sul territorio, divenuto sempre meno efficace, ha lasciato la popolazione italiana “senza protezioni adeguate” di fronte all’emergenza Covid. E’ quanto scrive ancora la Corte dei Conti in un approfondimento sulla sanità contenuto nell’ultimo Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica. (notizie.tiscali.it)
CONFLITTI GEOPOLITICI
Violenze Usa, residenti armati difendono il quartiere dai saccheggi Antifa
3, giugno, 2020
Prevenzione Antifa. Residenti armati costretti a difendere il loro quartiere dai saccheggi dei presunti antirazzisti. Con loro, anche un’auto della polizia controlla che il passaggio dei rivoltosi si svolga senza violenze. “Si vis pacem, para bellum.”
Violenze in Usa, capitano di polizia ucciso a St Louis.
I finti antirazzisti gli hanno sparato perché tentava di impedire un saccheggio.
FONTE:https://www.imolaoggi.it/2020/06/03/violenze-usa-residenti-armati-difendono-il-quartiere-dai-saccheggi-antifa/
La cricca è spaventata e adesso parla di «riformare il capitalismo»
FONTE:http://micidial.it/2020/05/la-cricca-e-spaventata-e-adesso-parla-di-riformare-il-capitalismo/
“Più questi disordini durano, più la rabbia di Trump sedurrà l’America”
Il titolo è del Telegraph, giornale “moderato di centro-destra”, però essenzialmente ultra-liberista e globalista; e che quindi ha identificato in The Donald un energumeno, un corpo estraneo (un outsider, scrive), il nemico dei “mercati”. Inevitabile che condivida il giudizio dei “democratici”. Quella di Trump è solo “rabbia” , ossia una malattia virale dei cani, senza valenza politica – Però, più sensato, il giornale british li sta avvertendo: l’esplosione di disordini che avete inscenato sta cominciando a giocare contro di voi. Nonostante i media tutti contro di lui.
I media infatti hanno raccontato di un Trump tremante chiuso nel bunker sotterraneo dal suo Secret Service. Invece gli americani hanno visto un Trump che, a piedi, attraversa Lafayette Square, epicentro degli scontri fino a ieri (ovviamente ripulita dagli agenti presidenziali), si reca nella vicina chiesa (cattolica) dedicata a don Bosco, incendiata dai rivoltosi il giorno. Si fa fotografare mentre alza la Bibbia.
I media anche italiani, il giorno dopo hanno scritto che “il vescovo della diocesi di Washington s’è dichiarato oltraggiato dalla visita del presidente, non ha pregato, ha condiviso un messaggio antitetico a quello di Gesù”. Tralasciando il fatto che il primo “vescovo” a condannare è la signora Mariann Budde, e guida non la diocesi cattolica bensì la chiesa episcopaliana, ossia anglicana.
Solod opo si è ggiunto alla condanna il vescovo cattolico, che è questo:
Con la passeggiata, ovviamente Trump ha fatto esplodere il fiele e l’odio degli avversari – delirante nei commenti – , ed estasiato i seguaci. Il Telegraph ha avvertito: attenzione, non sono solo i quattro gatti della estrema destra, i suprematisti bianchi; ma si sta formando la “maggioranza silenziosa” dell’elettorato che gli può far vincere le elezioni.
Animale politico, Trump ha colto l’essenziale radicale della tragedia politica in corso nel mondo. Che una volta che si sfida il potere globale su qualche punto, anche secondario, “il livello di ostilità cui ci si espone è tale, che non ci si può più fermare. Perché non esiste alcuna opzione gradualista” (Frédéric Lordon): il Sistema non lo consente.
Lo stiamo vedendo anche in Italia. La manifestazione di piazza dell’opposizione il 2 giugno , è stata accolta dal regime con ringhi rabbiosi e un rimprovero univoco e delirante per chi mantiene un qualche senso delr reale. Repubblica:
“Centrodestra in piazza senza regole: saltano i distanziamenti, il flash mob degenera in ressa”
dove si legge che Matteo Salvini senza mascherina “straparla come sempre”, ascoltato delle “ frange più estreme della destra che si presentano puntuali in piazza”; e si riferisce dei Verdi che “ annunciano un esposto alla Procura della Repubblica contro la manifestazione del centrodestra per il mancato rispetto delle misure di sicurezza. “E’ un fatto vergognoso – dice il coordinatore nazionale Angelo Bonelli – in sfregio a chi ha combattuto contro la pandemia”..
Si dà voce allo “scienziato Ippolito” che minaccia: “sono irresponsabili, c’è il rischio di contagi. Proprio adesso che i dati ci davano conforto”.
E’ la Dittatura Sanitaria al suo apice totalitario: nulla sugli argomenti e i contenuti della manifestazione (innocua domanda di “elezioni subito”, ormai ingenua) ma tutto solo puntato sull’ “assembramento” che va represso perché non rispetta le regole di sicurezza terapeutica, e quindi diffonde la peste. Crea “focolai”. Insomma la destra è infetta e infettante va deferita alla Palamara nel nome di “chi ha combattuto contro la pandemia”.
C’è poco o nulla da ridere. Anzi comincio ad aver paura davvero: sono i segnali che il Regime è passato al livello superiore di repressione. Non ha più alcuna remora, ci impone di credere che “la pandemia” dura ancora – deve arrivare alla vaccinazione universale e obbligatoria come ordinbatogli da Progetto – e quindi che distruggerà i positivi colpevoli di diffonderla, che coincidono con l’opposizione che “si assembra” e non fa altro che “ ressa”.
Quello che rende paurosa la nuova fase di repressione senza limiti è che è stata annunciata,come direttiva, dal’uomo del Colle: con l’intimazione melliflua alla “Unità”. Quella “unità che viene prima della politica”, invito rivolto ovviamente solo all’opposizione. Che non deve discutere le scelte della UE, perché “nessun paese avrà un futuro accettabile senza l’Unione Europea” . Depurarsi delle “ambiguità” sull’euro, professarne fede inconcussa. Men che meno deve discutere le scelte del governo, quelle di Gualtieri che fatto mancare così spaventosamentela liquidità, per spingerci nel MES. . Nessuna proposta “riforma della Palamagistratura” sarà accettata, nessun consiglio dei vostri economisti sarà ascoltato, esattamente come prima. L’unità è che non dovete mettere in dubbio la verità ufficiale, ossia che “la pandemia” è ancora qui, e anzi in autunno “tornerà, a causa dei vostri “assembramenti”.
La traduzione veridica di questo invito è: sappiamo che presto le nostre scelte provocheranno la crisi umanitaria; voi opposizione dovete diventarne complici e corresponsabili agli occhi dell’opinione pubblica. L’unità nazionale con voi consiste in questo: che noi restiamo in tutti i posti di potere, palamari e mediatici, economia, bankitalia, comitati scientifici; nulla condividiamo con voi, nessun governissimo. Dovete solo obbedire.
“Dividersi è inaccettabile”, come hanno titolato i media, ben coscienti che il regime è entrato nella nuova Fase senza mezze misure.
Un invito alla unità che, dal Colle, appare una intimazione, gonfia di minacce sottintese. Che i media si sono incaricati di rendere esplicite. La Repubblica, nell’ articolo sul “centrodestra in piazza senza regole”, sottgolinea che “La manifestazione rompe L’Unità nazionale sotto un Tricolore”.
Ma veramente agghiacciante il tono di intimidazione e minaccia melliflua, espresso sul Corriere da uno dei portavoce del Sistema, Massimo Franco:
Mette in contrasto “la compostezza e la serietà della «piazza» di Codogno, stretta intorno a Sergio Mattarella” che “, ha trasmesso l’impressione di un’Italia unita”, con quella “mascherata e chiassosa della opposizione di destra”. Questa destra, facendo opposizione e mostrandi di poter unire la piazza (“Assembramento! Polizia!”) ha dato “Il segnale sbagliato”: ossia non quello che si attendeva il Colle e giù giù la Corte Costituzionale, la Palamara e gli Scenziati. Ciò ha finito per manifestare non la forza della destra, ma la sua incapacità di fornire “una proposta alternativa”… e via così: siete deboli, siete “negazionisti” della pandemia e la riportate, – chiedendo nuove elezioni siete contro l’”unità”. Saranno presi provvedimento contro di voi. Sanitari, ovvimente.
Il Pompetta invece ha subito capito:
Berlusconi: «Ora unità e dialogo costruttivo per risollevarci come dopo la guerra»
E scrive al Corriere:
“La politica — maggioranza e opposizione — deve accompagnare e sostenere questo sforzo corale” Noi Pompetta & Badanti “mettiamo a disposizione la nostra cultura di governo e di impresa, la nostra esperienza, la nostra competenza (sic)”; ma, attenzione, senza voler far parte del governo.
La nostra offerta, si profonde il Pompetta, “ non ha nulla a che fare con le maggioranze di governo, con gli schieramenti, con le alleanze politiche. Noi siamo e rimarremo orgogliosamente all’opposizione” però per l’unità “consigliata” dal Colle.
Cercate di capire, lettori, cosa significa. Significa che il Sistema al potere ha scartato anche Mario Draghi e il “governissimo”, ossia l’unità nazionale vera e leale, da stato di guerra. Non può accettarlo, sapendo che darebbe alla Lega di Giorgetti un potere di condizionamento che, ormai, teme in modo assoluto, sicura peraltro dei suoi mezzi di repressione.
Pensate solo se, con la Lega al governo di unità nazionale, sarebbe passata la regolarizzazione dei 600 mila clandestini ottenuto senza sforzo dall’obesa con la terza media? Il rifiuto del Sistema segnala che è passato alla fase, che Trump ha ben capito e l’opposizione italiana no: non ci fermiamo di fronte a nulla, non ci sono opzioni gradualiste né moderate.
FONTE:https://www.maurizioblondet.it/piu-questi-disordini-durano-piu-la-rabbia-di-trump-sedurra-lamerica/
CULTURA
Max Headroom-19. Il sogno del «distanziamento sociale» permanente nella propaganda post-coronavirus
Pubblicato il 29.04.2020 Wu Ming
di Wolf Bukowski *
Con una postilla di Wu Ming sull’indossare la mascherina all’aperto.
INDICE
1. Un’idea paradossale
2. «La cosa più noiosa è già accaduta»
3. «Normalità» è un campo di battaglia
4. Pro tempore?
5. «Dobbiamo abituarci»
6. Procedere per sfoltimento di pubblico
7. Perché il capitalismo ci vorrebbe senza corpo, se guadagna anche sul nostro corpo?
8. Lo stato digitale
9. Di chi è la colpa? Tua!
10. Residuo organico
§. Postilla
Edison Carter è il reporter di punta della rete televisiva Network23. Almeno fino a quando non gli viene la pessima idea di indagare sugli effetti letali degli spot messi in onda dalla sua stessa emittente. Il crudele CEO della rete decide allora di eliminarlo, sguinzagliandoli dietro due sgherri. Nel corso dell’inseguimento la moto di Carter si impenna, e il reporter sbatte la testa contro una sbarra che segnala l’altezza massima per i veicoli in transito. A quel punto il corpo agonizzante di Carter viene consegnato al genietto amorale che sviluppa il software di Network23, che ne scansiona il viso e – in modo un po’ grezzo – le sinapsi in modo da poterlo mandare in onda, in simulacro elettronico, nonostante fosse (quasi) morto:
«il suo cervello […] è solo un banalissimo computer, una lunga serie di comuni interruttori […]. Io sono in grado di generare di nuovo quest’uomo sul mio computer, così lui potrà continuare il suo programma e nessuno lo scoprirà […]. Per ora sto immagazzinando solo i dati per creare una testa, ci vogliono troppi dati per creare tutto il corpo, che comunque non ci serve».
Poi le cose prendono un’altra piega, Carter ribalta la prognosi infausta e si rimette in piedi, prova le sue accuse al Network e ci accompagna a un happy end nel segno del realismo capitalista: il più umano tra gli squali in cravatta del consiglio d’amministrazione della rete prende il potere.
Parallelamente a questo sviluppo narrativo, il personaggio televisivo creato a partire dalla testa di Carter rimane attivo, e si dimostra perfetto come presentatore di videoclip musicali. Poiché nei primi inceppati momenti di funzionamento ripeteva l’ultima cosa letta da Carter prima dell’incidente, quell’altezza massima scritto sulla sbarra, viene battezzato Max Headroom. Questo, per sommi capi, il plot del film del 1985 che forniva il background al presentatore finto-digitale che di lì a poco avrebbe debuttato nella tv britannica.
In Italia Max è comparso in programmi televisivi nella seconda metà degli anni Ottanta, tra un videoclip e l’altro, nonché come protagonista di quello di Paranoimia degli Art of Noise. Quando mi capitava di vederlo – ero ragazzo, avrei dovuto essere precisamente il suo target – non lo sopportavo. Ciò che mi sfuggiva era che probabilmente Max era stato concepito proprio per risultarmi insopportabile. In una conversazione del 2015 i suoi creatori ricordano infatti di aver lavorato su varie ipotesi di cosa mandare in onda tra uno e l’altro di quegli «incredibili videoclip» e di avere scelto, infine, l’idea più paradossale. Dice Rocky Morton:
«Qual è la cosa più noiosa che potevo fare solo per infastidire tutti? La cosa più noiosa che mi è venuta in mente, del tutto controcorrente per la generazione MTV… era una testa parlante: un uomo bianco di classe media in abito scuro, che parlava loro in modo noioso».
2. «La cosa più noiosa» è già accaduta
In questi giorni molte teste parlanti ci hanno ripetuto che dobbiamo ritenerci fortunati di poter vivere un’esistenza online quale simulacro di socialità durante il lockdown. In realtà, come nota incidentalmente Ginevra Bompiani, le serie TV, il telelavoro, i webinar, le videochiamate… ne sono state la precondizione: senza di essi «non sarebbero mai riusciti a tenerci rinchiusi». Un lockdown di tale portata è divenuto pensabile dai governi perché quegli strumenti digitali erano già disponibili. E non, al contrario, quegli strumenti hanno semplicemente reso più sopportabile illockdown. Scomodando Gramsci,
«Non è la semina regolare del frumento che ha fatto cessare il nomadismo, ma viceversa, le condizioni emergenti contro il nomadismo hanno spinto alle semine regolari ecc.» (Q 7 § 35)
e parafrasandolo (con una certa dose di arbitrio, ovviamente):
Non è il lockdown che ha smaterializzato i rapporti umani, ma viceversa, sono le preesistenti condizioni di smaterializzazione (dettate dalle esigenze ideologiche e di profitto) che hanno reso possibile il lockdown.
Se questa ipotesi è vera, ne deriva che non esistono più caratteristiche intrinseche alla collettività che ne impediscano la chiusura in casa per lunghi periodi emergenziali; e dunque la politica futura, di fronte a un’emergenza, si interrogherà sistematicamente sul se dichiarare un lockdown o meno. Quanto detto vale sia su un piano di tenuta sociale che su quello economico. È vero che le condizioni di vita di milioni di persone usciranno letteralmente devastate dal lockdown, ma c’è da tenere presente che ci sono, al contrario, settori economici che ne saranno darwinianamente rafforzati, e quei settori sono tra quelli che, senza neppure alzarsi in punta di piedi, anzi flettendosi un poco, sussurrano istruzioni alle orecchie di ministri e politici. Telecomunicazioni, logistica, intelligenza artificiale, GDO, «sicurezza» cioè guerra. Sono settori che in questa fase hanno goduto – ognuno in proporzioni differenti – sia del confinamento di milioni di persone sia delle ampie eccezioni al confinamento previste per lavoratori addetti alle più diverse mansioni.
Se dunque non esistono più caratteristiche intrinseche alla collettività che ne impediscano la frammentazione domiciliare per lunghi periodi d’emergenza, e se il lockdown ha influenti vincitori, significa che il confine tra «eccezione» e «normalità» si è già spostato definitivamente. L’«eccezione» resta tale, ma è un pochino più normale. La «normalità» non sarà certo quella dei giorni di confinamento ma nondimeno incorporerà, d’ora in poi, anche la possibilità di un reiterato #iorestoacasa.
3. «Normalità» è un campo di battaglia
Ne La danza delle mozzarelle (2015) avevo registrato l'(ab)uso del concetto di «normalità» nella politica contemporanea a partire dal suo contrario, ovvero l’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam quale livre de chevet del Cavaliere, prefato e pubblicato da sé stesso (Silvio Berlusconi Editore) nel 1992. Per non parlare poi della categoria di foolishness utilizzata da Steve Jobs nella costruzione del feticcio della merce digitale Apple.
Dall’altra parte un pedante D’Alema riusciva persino a intitolare Un paese normale il suo libro del 1995, e quella «normalità», ça va sans dire, era la piena adesione del partito ex comunista alla dottrina neoliberale. A movimentare il quadro, anni dopo, aveva pensato il duo involontariamente comico Matteo & Oscar alla Leopolda del 2013:
Renzi: «Farinetti ha detto che lui crede in me perché io sono matto […].»
Farinetti: «Sì è vero, ti considero matto. [Un] matto simpatico, [un] matto proattivo, […] il matto opportuno in un momento in cui serve un matto, per cambiare le robe e farle ritornare normali… Perché il grande tema sapete qual è? Essere matti per ritornare alla normalità. Sembra un paradosso ma la grande scommessa dei prossimi mesi, dei prossimi anni è questa».
Dunque non da oggi la definizione di «normalità» è un campo di battaglia. Dire che la «normalità» del capitalismo ci fa schifo è sacrosanto, ma considerare l’evento virale e le sue conseguenze sociali – mediate politicamente – l’«anormalità» che consentirebbe il balzo di tigre della critica radicale è un’intenzione nobile ma zeppa di idealismo. Anche perché prima, appunto, va riportato il concetto di «normalità» ai suoi contraddittori elementi costitutivi.
I rivoltosi e le rivoltose che nella Sardegna del 1868, colpita dalle privatizzazioni delle terre, si battevano per tornare a su connottu, cioè «il conosciuto» e quindi il «normale», erano forse dei reazionari? Al contrario: la loro lotta esprimeva le ragioni dell’umano contro quelle del capitale e delle istituzioni coloniali italiane. C’è quindi una «normalità» da combattere e una da salvare, e il discrimine è nella scelta di campo (di classe) che si opera. Da sempre è così, ed così è anche oggi. Torno a citare un passaggio di Marco Bascetta che è già stato richiamato, per la sua nitidezza, su queste pagine:
«Qualcuno valuta con speranza l’impossibile ritorno alla “normalità”, poiché questa era contrassegnata da ingiustizie, diseguaglianze, sfruttamento. Ma […] “normalità” ha anche un altro irrinunciabile significato[…:] la natura sociale, relazionale, affettiva, corporea, sensibile, dell’animale umano. La sua propensione ad attraversare situazioni e ambienti sempre diversi e a sperimentarvi tutti i suoi cinque sensi. […] Che la dimensione telematica possa riassorbire e restituire tutto questo, o anche solo surrogarlo pro tempore è più che una cattiva utopia, una triste illusione.»
4. Pro tempore?
Se lo spettro, e l’ipotesi concreta, del lockdown attraverserà il nostro futuro, dobbiamo farci da subito una domanda essenziale: quali delle sue caratteristiche sono occasionali e quali permanenti? Il confine tra «normalità» ed «eccezione» si è spostato come detto, ma dove si trova adesso?
Attorno a questo tema un ampio schieramento di soggetti sembra desiderare, o semplicemente ritenere ineluttabile, che il veleno del «distanziamento sociale» debba essere assunto per sempre. Questo schieramento è composito, opera per approssimazioni successive, frasi buttate lì con nonchalanche e tecnica del patchwork, ma infine converge nell’affermare che «nulla sarà come prima», e ogni volta che lo dice produce uno slittamento dal pro tempore al definitivo. Alcuni esempi chiariranno, spero, ciò che voglio dire.
Il primo esempio si trova nelle vostre caselle mail, se siete lavoratori o lavoratrici. I messaggi che lo illustrano provengono da superiori, dirigenti, capetti e capette eccetera. Queste mail contengono l’annuncio della sperimentazione di qualche nuovo «servizio online» ai clienti, e la frase chiave è quella che suona più o meno così: «questo servizio ci consente di far fronte al meglio all’emergenza e di sperimentare modalità innovative di relazione con il cliente da sviluppare in futuro». Et voilà, non viene neppure nascosto. Se al capitale – e alle istituzioni pubbliche che operano in modo manageriale e privatistico – piacerà spingere sul pedale della smaterializzazione delle esistenze lavorative, potrà farlo più di prima senza timore di opposizioni, ché il veleno è stato inoculato mentre i lavoratori erano costretti in casa, grati del fatto di avere, nonostante tutto, uno stipendio.
5. «Dobbiamo abituarci»
Il secondo esempio è più sofisticato, e ha a che fare con la costruzione dell’ideologia di un’esistenza digitale. Se ne incarica, nel caso che presento, il filosofo Davide Assael nella puntata del 18 aprile di Uomini e Profeti (Radio 3), nel corso della quale ci informa che è tempo di
«superare un pregiudizio […]: che la relazione vis-à-vis sia una relazione più autentica in quanto ci mette a contatto con un corpo e un volto, come se il corpo nella relazione vis-à-vis fosse inteso come dato di natura, che si offre sic et sempliciter alla nostra esperienza. Ma non è affatto così! Niente di più ingenuo! Il corpo è sempre una costruzione culturale e lo capiamo benissimo, perché noi attribuiamo certi significati a una postura, a un’espressione del volto, a uno sguardo, ma è chiaro che questi significati sono dei costrutti sociali: la stessa espressione può avere un significato in un paese e un altro significato dall’altra una parte del mondo!»
Si tratta di una forma mentis assai promettente per questi tempi, che permette l’uso regressivo di concetti che hanno avuto una funzione liberatoria.
Il fatto che la partita sul corpo sia una partita culturale ha consentito infatti di affermare che le oppressioni del corpo e dell’orientamento sessuale basate sulla normatività bianca e patriarcale sono oppressioni culturali e quindi non naturali. Detto in altri termini: riconoscere il corpo come costrutto culturale permette di dire che l’umano non è rappresentato interamente dagli uomini su cui è modellato Max Headroom (maschi bianchi occidentali eterosessuali e ben vestiti), ma è un campo infinitamente più ampio, variegato e felicemente attraversabile.
Qui, invece, si usa lo stesso ragionamento ma per fare apologia della liquefazione dei corpi nella dimensione digitale. Dimensione che però non mette affatto al riparo dal riprodursi delle ben conosciute gerarchie di razza, genere, classe, orientamento sessuale…Una conoscenza anche solo superficiale dei processi reali con cui la digitalizzazione intrappola corpi e destini delle persone consente di capire come ciò avvenga: nell’accesso ai procedimenti burocratici online, nell’apprendimento, nella sovraesposizione di alcune categorie e nella invisibilizzazione di altre, nella qualità e nel prezzo dei percorsi e prodotti digitali disponibili, eccetera.
Ma soprattutto emerge, qui e là nell’intervista, l’uso reiterato dell’espressione «dobbiamo abituarci», ed è con questa espressione che viene operato il completo ribaltamento della tesi apparentemente sostenuta. Il corpo è costrutto culturale, dice Assael, e proprio in virtù di questo «dobbiamo abituarci» al fatto che sia digitalmente fungibile; ma è l’istanza del «dobbiamo abituarci» che, a sua volta, non viene presentata come costrutto culturale diventando così, implicitamente, un dato di natura. Ne deriva così che tutto è cultura tranne, guarda caso, quello che più precisamente determina ciò che siamo autorizzati a fare proprio del nostro corpo!
Voglio qui evitare ogni possibile fraintendimento: il problema di questo approccio – quello di Assael è solo un esempio tra mille, ovviamente – è che il suo raggio di azione non sembra essere quello della presente condizione di confinamento o delle fasi immediatamente successive, fino a conclusione della virulenza pandemica, alla produzione di un vaccino efficace, ecc. No: non si dice, infatti: «dobbiamo stringere i denti», «dobbiamo avere pazienza», «adda passa’ ‘a nuttata» – cosa che potrebbe essere ragionevole e condivisibile –, ma si utilizza invece il «dobbiamo abituarci» o il «nulla sarà come prima». Lo si fa con abbondanza e, nei casi dei datori di lavoro, con voluttà.
6. Procedere per sfoltimento di pubblico
Come dice con grande naturalezza, come dandolo per scontato, l’architetto cinefilo Giorgio Scianca, la fruizione delle sale cinematografiche cambierà per via di
«tutte queste nuove regole che ci dovranno essere nell’immediato ma che poi diventeranno anche, forse, un nuovo modo di vivere l’esperienza cinematografica».
Le sale cinematografiche a norma di distanziamento devono essere anche «belle», continua l’architetto, rivelando così di pensare che le norme di distanziamento fisico saranno durature almeno quanto una ristrutturazione o nuova costruzione edilizia. E quindi, di nuovo, il messaggio che passa, al di là delle intenzioni dei singoli parlanti, non è quello di sopportare ancora un po’, ma quello di avvezzarci al distanziamento eterno e ad accettarne le norme come ineluttabili, nonostante la devastazione sociale che porteranno.
Se i cinema, infatti, avranno la metà o un terzo dei posti, quanti di essi resteranno aperti, e quanto costerà il biglietto? La risposta è semplice: solo le multisala di catena sopravviveranno, e i biglietti dovranno coprire i mancati profitti delle poltroncine mancanti. Come nota Giovanni Semi in un’intervista a Zero:
«La soluzione classista che si fa strada per il settore culturale è emblematica: non potendo garantire assembramenti si procede per sfoltimento di pubblico; non potendo sbigliettare per mille persone, lo si fa per 100 facendo pagare quel biglietto molto di più, mentre altri gli si garantisce la diretta streaming a basso prezzo; l’aristocrazia che torna a prendere possesso dei teatri e della cultura e il popolo che se lo guarda in streaming nella smart city. […] Ci sarà, quindi, una selezione molto violenta.»
Certo, a fronte della devastazione di interi settori economici, e cioè dei soggetti più deboli che vi lavorano, se ne apriranno di nuovi. Ma, proprio perché saranno settori in gran parte parte digitalizzati, essi concentreranno la ricchezza con la voracità con cui un buco nero concentra la materia. Si pensi, per restare alla produzione culturale, alle piattaforme dell’intrattenimento.
7. Perché il capitalismo ci vorrebbe senza corpo, se guadagna anche sul nostro corpo?
Ipotizzo qui per comodità un’obiezione omnibus, così da rispondere da subito ad alcune questioni: «stai dicendo che il capitale ci vorrebbe confinare dietro a uno schermo, ma se Confindustria non fa altro che spingere per riaprire le attività economiche il prima possibile, manifestando anche un certo cinismo?»
Una prima risposta è quella già contenuta in quanto già detto: ci sono player che usciranno vincenti dal lockdown e dalle fasi successive (fase 2, fase 3… fase ∞).
Inoltre: Confindustria non è il capitalismo, e dopo l’uscita di Fiat/Fca non rappresenta neppure del tutto il capitalismo italiano, che nel frattempo non è neppure più italiano… Quindi insomma il potere di Confindustria, come si è visto in queste settimane, è piuttosto ridimensionato: è in grado di ottenere generose dazioni dal governo, ma forse non di orientarne fino in fondo le scelte.
Ma soprattutto: il capitalismo è un complesso di rapporti sociali, attraversati da tendenze generali ma anche da tensioni complementari e in competizione tra loro. Vi sarà quindi sempre un capitalismo che guadagna coi corpi: lo sfruttamento dei rider, per fare un esempio vistosissimo, non è mai cessato, e questi lavoratori oltre a dover pedalare sono stati pure colpevolizzati dai volontari della delazione e dai giornali di destra.
Si tenga poi presente che il rider è già ora un’interfaccia biologica tra ciò che avviene digitalmente sullo smartphone del vorace cliente, il terminale presso la cucina e il server della piattaforma che estrae gran parte del profitto dal complesso di queste operazioni. Il corpo del rider è quindi già un corpo attraversato dal digitale.
Infine: la necessità di avere lavoratori presenti al lavoro non è affatto in contraddizione con quella di confinarne altri al telelavoro domestico; anzi questo trattamento divide lungo nuove linee il mondo del lavoro, e si aggiunge alle divisioni già presenti (tra autoctoni e immigrati, dipendenti e finte partite Iva, stabilizzati e precari…). Si potrà usare così, more solito, questa nuova frattura come modalità per generalizzare riduzioni di salario.
Per esempio: chi sta a casa non consuma benzina o abbonamenti dei mezzi pubblici per andare al lavoro, e quindi in contratti di nuovo tipo si potrà immaginare un salario proporzionalmente ridotto; poi si lascia sedimentare un poco la situazione e di seguito si dirà a chi lavora in presenza: «ehi tu, il tuo stipendio è spudoratamente altorispetto a quello di chi sta a casa, cominciamo a tagliare su questa e quella indennità».
A quel punto l’informazione e la politica «scopriranno» che chi sta a casa deve pagarsi da solo riscaldamento e tirate dello sciacquone, si solleverà un po’ di polvere dicendo che è un’ingiustizia, ma dopo qualche giro di valzer le aziende cominceranno ad addebitare a chi sta in fabbrica una quota dei costi dell’acqua, del gas e della pulizia del cesso. E questo per «equità», naturalmente!
Fantapolitica? No, ho soltanto riprodotto su situazioni ipotetiche la dinamica che investe il mondo del lavoro da trent’anni a questa parte, fatta di equità-al-ribasso, situazioni lose-lose per i lavoratori e concorrenza calata dall’alto.
Nondimeno resto convinto che tra queste tensioni contraddittorie del capitalismo quella prevalente è quella che spinge verso il telelavoro, e non è difficile dimostrare perché. Qualcuno pensa forse che il lavoro agile sarà per sempre, come per molti è in questi giorni, il semplice stare a casa con il proprio stipendio intero ad aspettare per otto ore che compaia sullo schermo qualcosa che si possa fare online, trovandosi così spesso con un carico di lavoro ridotto? Qualcuno pensa dunque che lo smart, cioè il furbo, dello smart working sia il lavoratore? Se sì, sbaglia di grosso.
La smobilitazione del lavoro in presenza che si perseguirà nel post-epidemia – fase 2, fase 3, fase ∞… – prelude a una trasformazione epocale dei rapporti contrattuali, che passeranno in modo generalizzato da quelli basati sulle ore di presenza – che consentono una certa dose di autodifesa dei lavoratori nei confronti dei carichi eccessivi – a quelli basati sul risultato, ovviamente deciso e prezzato in modo unilaterale dal datore di lavoro. Lo smart working è per sua natura lavoro a progetto, e il lavoro a progetto è trionfo del capitale contro i lavoratori. Un’amica, da un paese dove il lockdown è meno duro ma la devastazione dei rapporti di lavoro più avanzata, mi ha scritto:
«A differenza che in Italia qui non c’è un clima poliziesco, tutti bene o male escono a fare passeggiate e per ora non ho sentito di nessuno che ha preso multe. Il problema è il lavoro, non ci sono più confini e ci fanno fare i turni per lavorare anche nel fine settimana. Senza avercelo chiesto: è stato imposto».
Inoltre, non è neppure il caso di spiegare perché e come, la frantumazione fisica dei luoghi di lavoro genera impossibilità dell’azione sindacale, oltre ad aprire mercati digitali infiniti per la socialità perché il luogo di lavoro è – nonostante tutto – anche un luogo di socialità. Da ognuno di questi mercati digitali, nuovi o implementati (app di dating ma anche app per amicizie e app per prendere caffè virtuali alla macchinetta), il capitalismo digitale sempre più concentrato e quindi coordinato potrà estrarre dati per profilazione, eccetera.
8. Lo stato digitale
Lo stato, per parte sua, ha almeno due motivazioni decisive per spingere verso la smaterializzazione dei rapporti di lavoro e sociali. La prima è l’assoluta subalternità della classe dirigente alle istanze del capitalismo digitale. Nel mondo della scuola questo fenomeno è particolarmente vistoso. Come racconta qui la Rete Bessa:
«Vado sul sito del ministero dell’istruzione e […] clicco […:] sono elencate tre piattaforme. Google, Microsoft, Amazon. Tre enti privati tra i più potenti al mondo schiaffati in bella mostra.»
Su Jacobin Lorenzo Mari ricostruisce il dibattito statunitense sulla penetrazione della Silicon Valley nell’istruzione e sul suo orientarla alla creazione di «lavoratori competenti» piuttosto che a «soggetti conoscenti», che è poi obiettivo assai prossimo a quello perseguito dalla UE con la sua «didattica per competenze». E ancora: la PA continua a dotarsi di software proprietari, consolidando rapporti di «scambio» tra basso costo del servizio e la predazione dei dati degli utenti (che essendo utenti o lavoratori di PA non possono neppure sottrarsi). La scelta di Vittorio Colao, ex manager di Vodafone, a capo della task force che ha di fatto rimpiazzato il parlamento italiano, conferma la centralità della relazione tra stato e aziende di TLC e digitale.
Ma c’è una seconda macroscopica motivazione per cui lo stato spinge verso una società il più possibile smaterializzata. La digitalizzazione è controllo, e lo è fin dalle sue origini. Negli anni novanta, proprio mentre la rete internet sembrava promettere di dispiegare nella società un potenziale liberatorio, il dipartimento di polizia di New York, sindaco Rudy Giuliani, intrecciava la brutalità fisica della Tolleranza Zero all’introduzione massiccia del digitale. Nella war room del NYPD, settimana dopo settimana, Bill Bratton incontrava i commissari di distretto e li strigliava o lodava in base ai dati di Compstat, il software in cui veniva inserito e rielaborato ciò che era stato fatto ai corpi (arresti, perquisizioni, controlli…), rendendo così il razzismo e il classismo di quel modello di ordine pubblico assai più efficace. Fin dai primi anni della sua applicazione sistematica, dunque, il digitale è legato (anche) a una cattura del corpo. Da subito in senso proprio, poliziesco; e di seguito anche antropologico, come possiamo osservare nella costruzione di schemi comportamentali e persino di posture fisiche determinate dall’uso dei device.
Ogni mediazione tecnologica nei rapporti umani è quindi gradita allo stato almeno quanto è gradita alle aziende del digitale, e la probabile volontarietà della app Immuni è solo uno scampato pericolo momentaneo: la stessa idea ampiamente circolata che potesse diventare obbligatoria – con tanto di «braccialetto» elettronico ipotizzato per non possiede uno smart – fa sì che al prossimo giro un governo potrà effettivamente renderla tale; e di seguito lo slittamento lambirà ineluttabilmente il territorio dell’uso poliziesco dell’app sanitaria. D’altra parte: se si usa la polizia per combattere una pandemia, perché non usare una pandemia per combattere il crimine (compreso, sia chiaro, il dissenso politico criminalizzato)?
9. Di chi è la colpa? Tua!
«Il bug dell’app è concettuale, non tecnico», dice il collettivo Ippolita in un’intervista raccolta da Leonardo Filippi:
«perché si ritiene che la prevenzione sanitaria possa essere garantita da una applicazione su un telefono cellulare? La app sarà soprattutto l’ennesimo “diario” da riempire di informazioni, in questo caso riguardanti la “percezione” che si ha della propria salute. Siamo ancora nell’illusione che attraverso il racconto di sé, la tecnologia possa prendersi cura di noi […]. La prevenzione non si fa con gli algoritmi, ma con la diffusione di pratiche anti-infettive condivise in un network fisico di luoghi e persone.»
La «diffusione di pratiche anti-infettive condivise», ovvero una responsabilità che ci si assume nei confronti di sé e degli altri, modulata in base al contesto e fatta di prassi concrete, si trova agli antipodi del tipo di «responsabilità individuale» che viene costantemente evocata dall’inizio di questa crisi, fondata invece sul rispetto «responsabile» di norme spesso prive di ogni ratio, come – ne parlano ancora una volta i Wu Ming nella postilla qui sotto – l’obbligo di mascherina all’aperto o il divieto di sport individuale).
Quello che emerge è un doppio legame schizofrenico per cui la persona non viene messa in grado di esercitare la propria responsabilità, ma allo stesso tempo viene costantemente richiamata alla «responsabilità» nell’ottemperare a regole pensate con scopi teatrali (vedi postilla). Questa enfasi sulla parte fittizia della responsabilità individuale (sulla parte insomma che prevede una responsabilità senza scelte) è particolarmente perniciosa.
Riavvolgiamo infatti un momento il nastro: se ce lo ricordiamo, il ricorso al lockdown è stato motivato con l’insufficienza dei posti in terapia intensiva. Abbiamo visto fin qui impegni precisi, vergati a penna e sottoscritti su un modulo di autocertificazione irrevocabile firmato Conte & C., a proposito di un adeguamento strutturale (non propagandistico o emergenziale) di quel numero di posti in terapia intensiva e del personale sanitario addetto? No, però abbiamo avuto appelli alla nostra responsabilità e tante evocazioni di possibili ulteriori lockdown, al punto che il sospetto viene: non è che il lockdown, il «nulla sarà come prima» e la responsabilizzazione individuale dei governati possano fungere ancora una volta come deresponsabilizzazione dei governanti?
Così funziona infatti da decenni: se i trasporti pubblici sono inadeguati, si dice, non è colpa della classe politica che li ha sottofinanziati ma di «quelli che viaggiano senza biglietto»; se i braccianti sono sfruttati a cottimo non è colpa dei giganti della filiera ma di chi compra, a causa del suo reddito modesto, il barattolo di pelati più economico; se i cestini straripano di rifiuti non è colpa delle aziende privatizzate che ne pospongono lo svuotamento ma di chi non è stato abbastanza virtuoso da tenersi in tasca il cestino appiccicoso del gelato.
In altre parole: qual è la priorità, quella di adeguare la sanità al – peraltro già noto da tempo – rischio di pandemia o quella di abituarci a reiterati lockdown gettando al contempo la croce sui comportamenti individuali?
10. Residuo organico
Scrive Elisa Melonari su Jacobin:
«Arrivati a questo punto ci si chiede “quanto durerà ancora?”, “fino a quando dovremo evitare il contatto?”, “per quanto ancora si dovrà rimanere isolati e lasciarci consolare da saluti, abbracci e baci virtuali?”, “per quanto ancora potremmo riuscire a non incontrarci, riunirci, cooperare e parlare vis a vis?” e “se non ci ammaleremo, come usciremo da questa vicenda?”. La risposta temporale continua a non essere del tutto sicura.»
Probabilmente la paura, l’isolamento e il confinamento di queste settimane ci lasceranno in eredità problemi accresciuti di alcolismo (qui alcuni dati britannici) e tabagismo (non ho trovato dati, ma visto che «comprare le sigarette» è uno dei pochi validi motivi per uscire…). Si producono inoltre effetti paradossali: da un lato il posticipo di un gran numero di prestazioni mediche per altre patologie (che ovviamente avrà conseguenze), dall’altro la preoccupazione di molti nel recarsi nei luoghi di cura. Questa seconda tendenza ha raggiunto dimensioni misurabili, che si esprimono nel corposo e «misterioso» calo degli infarti registrato da più parti, costituito in realtà da infarti i cui sintomi vengono «volutamente ignorati» per evitare di andare in ospedale, «rischiando così di aggravare la propria situazione».
Per interrompere una spirale di solitudine e malessere, una spirale da cui peraltro il vero punto della pandemia – ovvero l’inadeguatezza del nostro sistema sanitario a farvi fronte – viene trascurato, abbiamo bisogno di tracciare un percorso che punti con certezza all’«incontrarci, riunirci, cooperare e parlare» di persona, con la prossimità dei corpi, anche se non è ancora possibile segnare una data sul calendario. Non possiamo e non dobbiamo stare ad ascoltare passivamente quelli che vorrebbero far penetrare irreversibilmente nel quotidiano la digitalizzazione spinta, le videoriunioni in cui si cerca conferma della propria esistenza controllando compulsivamente la propria immagine sullo schermo, il «distanziamento sociale» reso eterno e le sue disastrose conseguenze sociali.
Noi siamo corpi, e benché il nostro rapporto con il corpo sia un costrutto culturale stratificatosi lungo i secoli uno dei due poli di quel rapporto rimane, irriducibilmente, ancorato a un corpo. Come peraltro ci ricorda il ritorno del rimosso della nostra cultura: la morte, «sora nostra morte corporale». Ben lontani dalle sirene dell’immortalità, che cantano un corpo proiettato oltre la sua finitezza, tenendoci alla larga anche dal patetismo inane dei flash mob dai balconi, che immaginano un corpo sociale privo della sua dimensione… corporale, dobbiamo costruire un riscatto per quel residuo organico che ci costituisce. Che certamente non ci identifica del tutto, ma senza il quale non siamo, e senza il quale non possiamo immaginare né costruire, come individui e come collettività, una vita piena.
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* Wolf Bukowski scrive su Giap, Jacobin Italia e Internazionale. È autore per Alegre di La danza delle mozzarelle: Slow Food, Eataly Coop e la loro narrazione (2015), La santa crociata del porco (2017) e La buona educazione degli oppressi: piccola storia del decoro (2019). Durante quest’emergenza coronavirus ha già scritto per Giap l’articolo in due puntate La viralità del decoro. Controllo e autocontrollo sociale ai tempi del Covid-19.
Postilla – di Wu Ming
«Abbiamo detto no all’attività motoria in generale non perché rappresenti il primo fattore di contagio ma perché volevamo dare il senso che il regime di restrizioni […] doveva essere molto severo e stringente.»
Così Davide Baruffi, sottosegretario alla presidenza della regione Emilia-Romagna, in una dichiarazione del 22/04/2020. A riprova di quanto cerchiamo di dire da due mesi: molti provvedimenti erano «teatro politico» e poco più.
Baruffi lo ammette candidamente: vietare corse e passeggiate non aveva motivazioni razionali legate al contagio, ma finalità di disciplinamento, a prescindere dalla pericolosità o innocuità dell’attività vietata.
Il 27 aprile, mentre genitori, esponenti della chiesa cattolica, insigni giuristi non certo “sovversivi” e in generale cittadine e cittadini criticavano l’impostazione autoritaria e «Fabbrica, patria, famiglia» dell’ultimo Dpcm (il primo della sedicente «fase 2»), il presidente della regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini criticava il decreto per altre ragioni, una delle quali ci è parsa rivelatrice: Bonaccini vorrebbe l’obbligo di mascherina anche all’aria aperta e si è detto deluso perché Conte non l’ha introdotto.
Repetita iuvant: la mascherina è necessaria se si è a contatto con contagiati o in situazioni di assembramento, ed è consigliata in negozi e altri spazi chiusi dove ci si ritrovi tra estranei. All’aria aperta, invece, se si mantengono le distanze, nella grande maggioranza delle circostanze non serve a nulla. Portarla mentre si cammina all’aperto lontani da chiunque non ha senso. Indossarla mentre si fa attività fisica è addirittura pericoloso.
Il numero di persone che usano la mascherina all’aria aperta è rapidamente aumentato dopo un bombardamento di articoli e servizi tv in cui si descriveva il virus come una minaccia genericamente «là fuori», si demonizzava l’aria aperta e si criminalizzava chi usciva di casa «senza motivo». Negli ultimi giorni, almeno a Bologna, il numero sembrava di nuovo calato, ed ecco che Bonaccini se ne esce con quelle frasi.
Nonostante i media abbiano fatto di tutto per inculcare questa credenza, il virus non è genericamente «là fuori nell’aria». Non è la neve del fumetto L’Eternauta e nemmeno la nuvola velenosa del romanzo La nube purpurea. Se il virus fosse genericamente «nell’aria», non si dovrebbe nemmeno stare alla finestra e men che meno al balcone – dove invece ci esortavano a stare per flash mob, cantate collettive e sventolar di bandiere – e dovremmo tenere gli infissi sbarrati 24 ore su 24. Per non morire, dovremmo smettere di vivere.
«Ma», obietterà qualcuno, «io ho letto che il virus viaggia sulle polveri sottili. Quindi, sì, è nell’aria!»
Non è proprio così. Su alcuni campioni di PM10 raccolti a Bergamo si sarebbe «ragionevolmente dimostrata» la presenza non del virus attivo, ma di tracce del suo RNA. Residui privi di carica infettante, trovati in almeno 12 dei 34 campioni, in 8 delle 22 giornate prese in esame.
Questi risultati, che sono parzialissimi e devono passare al vaglio della comunità scientifica, sono ben lungi dal provare che il particolato sia vettore di contagio. Lo dice anche il team della Società di Medicina Ambientale che ha condotto le ricerche.
Una delle finalità dichiarate è usare la presenza di RNA virale nel particolato come «indicatore per rilevare precocemente la ricomparsa del Coronavirus e adottare adeguate misure preventive prima dell’inizio di una nuova epidemia», nonché «per verificar[e] la diffusione [del virus] negli ambienti indoor come ospedali, uffici e locali aperti al pubblico». Con motivazioni simili si stanno analizzando le acque reflue.
Il preprint da cui è nata la notizia si chiude così:
«Al momento, non si possono trarre conclusioni sul rapporto tra presenza del virus nel PM e andamento dell’epidemia di Covid-19. Altre questioni da affrontare in modo specifico sono le concentrazioni di PM eventualmente richieste per un potenziale “effetto boost” sul contagio nelle aree dove l’impatto del covid-19 è più pesante, o anche la possibilità teorica di un’immunizzazione conseguente all’esposizione in dosi minime a basse quantità di PM».
Sui media tutte queste specificazioni e cautele passano in secondo piano o scompaiono, oscurate da titoli come: «È ufficiale, il coronavirus viaggia nel particolato atmosferico!». Il lettore medio non può che pensare al virus attivo, e ricavarne l’impressione che per contagiarsi basti tout court respirare, che stare all’aperto sia pericoloso.
Pericoloso può esserlo senz’altro, nei centri urbani, ma più che per il virus, per il particolato stesso. Molti che oggi sono terrorizzati dal virus non si sono mai preoccupati granché delle polveri sottili, eppure queste ultime causano tumori, malattie respiratorie, disturbi neurologici, e solo in Italia uccidono circa 60.000 persone all’anno.
L’idea che il virus attivo possa viaggiare nell’aria è stata definita «implausibile» in un documento della Rete Italiana Ambiente e Salute firmato da diversi epidemiologi:
«Pur riconoscendo al PM la capacità di veicolare particelle biologiche (batteri, spore, pollini, virus, funghi, alghe, frammenti vegetali), appare implausibile che i Coronavirus possano mantenere intatte le loro caratteristiche morfologiche e le loro proprietà infettive anche dopo una permanenza più o meno prolungata nell’ambiente outdoor. Temperatura, essiccamento e UV danneggiano infatti l’involucro del virus e quindi la sua capacità di infettare.»
Di questo virus non sappiamo ancora tutto. Ma di quel che già sappiamo, nulla può fare da pezza d’appoggio per l’obbligo generalizzato di mascherina.
Ancora una volta si invocano o introducono obblighi e divieti non per ragioni epidemiologiche, non basandosi su evidenze scientifiche, ma per questioni di spettacolo sociale e controllo dei comportamenti delle persone. Bisogna far vedere che si soffre; bisogna ostentare la “penitenza” che gli italiani starebbero scontando; dovremmo «dare il senso di» un distanziamento che è qui per rimanere, «abituarci» all’idea di non avere più contatti ravvicinati.
Come fa notare Wolf nell’articolo qui sopra, un conto è parlare del distanziamento come di una necessità temporanea che tocca sopportare in attesa che la pandemia finisca; tutt’altra faccenda è dare per scontato che il distanziamento – con tanto di mascherina – sarà la condizione permanente del nostro vivere.
Certi improbabili “futurologi” descrivono, con inconfondibili brividi di piacere, una società che a noi, detta come va detta, fa schifo. Non ci rassegneremo ad alcun discorso, obbligo o divieto che ne favorisca l’accettazione.
FONTE:https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/04/max-headroom-19-pandemia-e-societa-senza-corpi/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Lisi: App Immuni inutile e rischiosa, non in mano allo Stato
«Spiace dirlo, ma oggi l’App Immuni non serve a niente: intanto arriva tardi, quando ormai la pandemia sta finendo.
E per mappare in tempo reale la nostra salute ha bisogno di un sistema sanitario che verifichi i dati in tempo reale. Improbabile, in un paese che non è stato capace nemmeno di garantire a tutti le mascherine, quando c’era l’emergenza Covid».
Una bocciatura senza mezzi termini, quella dell’avvocato Andrea Lisi, specialista in materia di privacy e presidente di Anorc Professioni, l’Associazione Nazionale Operatori e Responsabili della Custodia di contenuti digitali. Dal 2007, l’Anorc è un punto di riferimento nazionale per le aziende e i professionisti impegnati nel campo della digitalizzazione e protezione del patrimonio informativo e documentale in ambito pubblico e privato. In web-streaming su YouTube con Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt, l’avvocato Lisi stronca il dispositivo messo a punto da Bending Spoons, la cui sperimentazione è ora al via in alcune Regioni. «Secondo vari studi, tra cui quelli dell’università di Oxford – premette Lisi – per essere efficace, Immuni dovrebbe essere usata almeno dal 60% degli italiani, e quindi dovrebbe superare la diffusione di WhatsApp, che è l’applicazione più utilizzata nel nostro paese».
Non solo: «Non basta scaricare Immuni, bisogna anche usarla attivando il Bluetooth. E lo stesso ministero della Difesa ci mette in guardia dal farlo, visto che il Bluetooth è facilmente hackerabile. La nostra Difesa consiglia di attivare il Bluetoothsolo quando lo si usa: peccato che, per far funzionare Immuni, il Bluetooth dovrebbe essere costantemente acceso». E non è tutto: «Se anche moltissimi italiani usassero Immuni, l’operazione avrebbe senso solo a patto che i dati forniti sul proprio stato di salute venissero immediatamente verificati dal sistema sanitario, che oggi non pare in grado di assolvere a questo compito». Altro tasto dolente, per l’avvocato Lisi, l’incapacità dello Stato di dotarsi di un sistema autonomo per la diffusione dell’App: «Francia e Gran Bretagna si sono attrezzate creando dispositivi pubblici. Noi invece siamo costretti ad affidarci agli “store” di Apple e Google, di cui lo Stato non ha il controllo, e che già ospitano App ancora più invasive, nel tracciamento dei nostri dati: una prospettiva decisamente inquietante, per chi come me si occupa di trasparenza e tutela dei diritti in ambito digitale».
Al netto delle buone intenzioni, aggiunge Lisi, «lo Stato finisce per diventare complice e addirittura schiavo dei grandi player privati», piegandosi alla loro logica commerciale. «Comincio a spaventarmi: significa che stiamo proprio cedendo tutto, ai grossi player, che di per sé abusano già della loro posizione di potere: Stati democratici come l’Italia dovrebbero riflettere, prima di piegarsi a questa sorta di resa, di fronte alla cessione di intere parti della nostra esistenza». Lisi critica anche la procedura «farlocca» per l’assegnazione della commessa: «Lo Stato non aveva le idee chiare sul prodotto che gli serviva. E ancora oggi siamo di fronte a una fase sperimentale, in cui i cittadini saranno cavie». Secondo il legale, «la nostra rassegnazione di fronte al digitale è dettata dall’ignoranza: nemmeno ci proviamo, a governare il sistema con normative serie: ed è sconcertante che lo Stato accetti di far gestire la sua applicazione per il coronavirus da multinazionali che già tracciano i cittadini, a loro insaputa, per scopi commerciali. O addirittura – come si è visto in questi giorni negli Usa – possono rivelare l’identità di chi partecipa a manifestazioni di protesta».
Per definire meglio il dispositivo e il suo assetto giuridico, Andrea Lisi chiede al governo di avere un po’ di pazienza: «Ne abbiamo avuta tanta noi, durante il lockdown, e quindi la possono avere anche coloro che stanno sviluppando l’applicativo. Tra qualche mese, chiarito il ruolo di ciascun player, potremo verificare se quest’App è effettivamente utile per noi italiani. Speriamo che il governo riesca ad acquisire la piena titolarità almeno dell’App – conclude Lisi – perché quella degli “store” di Apple e Google non ce l’avrà mai. Quanto ai contratti con Apple e Google non li vedremo mai, perché non ci saranno: anzi, sarà il governo a bussare alla loro porta, timidamente, per chiedere a Apple e Google il permesso di posizionare la sua App nei loro “store”».
VIDEO QUI: https://youtu.be/Kb2wuP-ktBs
FONTE:https://www.libreidee.org/2020/06/lisi-app-immuni-inutile-e-rischiosa-non-in-mano-allo-stato/
DIRITTI UMANI
E la dittatura dei cialtroni impose all’Italia il reato di vivere
L’Italia si avvia a diventare un regime totalitario temperato dall’inefficienza e dal ridicolo. Con la scusa della salute è stato introdotto il divieto di sbarco agli italiani in piazza, al bar, al ristorante, sulle spiagge; ora mitigato da libertà provvisoria, con la condizionale. I veri clandestini sono gli italiani, sorpresi a consumare all’aperto il più losco dei crimini: il reato di vivere. L’eversione ha un nome preciso: movida. Acchiappatelo, fa la movida. È pericoloso, ha un’arma in pugno, lo spritz. Gli unici che hanno diritto di sbarco sulle nostre coste senza dover prenotare lo scoglio né il tavolo o stare a distanza regolamentare, sono i migranti, che è reato chiamare clandestini. Appena sbarcano ricevono la mascherina vanamente cercata dagli italiani per mesi. Difatti hanno ripreso a sbarcare in massa, incoraggiati dalle aperture dell’Italistan e dall’imam che si professa papa. In omaggio ai nuovi arrivati le nuove mascherine promesse dal floppista Commissario agli Interventi Immaginari, detto Arcuri, saranno burqa o chador; ma in virtù della parità dei diritti non saranno riservati alle donne ma estesi pure ai maschi e agli asmatici che così potranno soffocare liberamente per strada, nella loro anidride carbonica.
Dopo un’ottantena di reclusione ci è stata concessa l’ora d’aria, che è poi la tregua in corso. Gli italiani clandestini per strada sono stati regolarizzati dalla legge Bruttavecchia (simmetrica alla legge Bellanova sui migranti); ma col preciso avvertimento che saremo controllati, limitati, dovremo prenotare tutto, dal prete allo scoglio, dal barbiere al bar, fare i turni per respirare. Dovremo vivere separati, mai riuniti, il sesso solo se lo prescrive la Guardia Medica; c’è divieto di associazione come nei regimi totalitari, salvo quelle di stampo mafioso. Purché in bonafede. Il permesso provvisorio di vivere concesso ora potrà essere revocato da un giorno all’altro e comunque si sta già predisponendo il comitato accoglienza del Covid-20, il nuovo virus annunciato per l’autunno, molto atteso dagli addetti ai lavori (forzati). Allora ci sarà una nuova stretta, appena varano il vaccino e il 5G, secondo i dettami di Colao-Tse-tung.
Intanto allo scopo di perseguire il reato di vivere, è stata istituita la Guardia del popolo, la guardia civile reclutata dai 5 Stelle & Bandiera rossa tra i pasdaran del regime; il Servizio d’Ordine del Partito Grillo e Martello vigilerà sugli italiani come l’Ovra, Organizzazione Vigilanza Repressione Asintomatici. Siamo diventati una succursale di Hong Kong, mitigata dalla nostra incapacità di pianificare la violenza di Stato (neanche quella funziona) in cui il dissenso in piazza è proibito, naturalmente per ragioni di salute; e una piccola, innocua manifestazione tricolore viene dispersa con uno spiegamento di forza che manco a Piazza Tienanmen; l’opposizione è perseguitata da associazioni di stampo mafioso e da magistrati collusi col potere ed è accusata a sua volta di agire per conto di potenze straniere e clan mafiosi. Si può tenere in cattività un popolo di 60 milioni di italiani per più di due mesi ma non si può tenere su una nave, con tutti i comfort, alcune decine di scappati di casa, per una decina di giorni. Questo è sequestro di persona, quella è profilassi sanitaria.
Nella Repubblica Impopolare Filocinese la gente non ha soldi ma la verità, somministrata dell’Istituto Nazionale Propaganda Sociale, detto Inps, afferma tramite il suo satrapo chiamato Tridico perché ha tre narici, di aver “riempito di soldi gli italiani”. Ci governa un’imitazione scadente di totalitarismo prodotta in Cina e venduta a Zingaretti a prezzi gonfiati. L’emergenza a ogni livello – sanitario, previdenziale, giudiziario, ministeriale – viene guidata da un gruppo di persone d’estrazione grillosinistra, che risultano asintomatiche al test sull’intelligenza. Non ci sono neanche i più vaghi sintomi d’intelligenza, forse ne sono immuni. E sono così puri da avere spesso il curriculum immacolato, senza una voce, almeno decente. La tv di regime rispecchia perfettamente i requisiti indicati e offre l’immagine di un paese felice di vivere sotto questa cappa totalitaria, che porta la foto di Conte nel portafoglio, adora la divinità Kasalino e segue gli ordini del regime, con poche infrazioni represse nel sangue delle multe.
Seguono a ruota i giornaloni conniventi col potere per tirar su i profitti dei loro padroni anche sotto i pechinesi della Repubblica impopolare. Avallano le peggiori incompetenze, tacciono le peggiori nefandezze, appoggiano il peggior venditore di fumo al governo. Un po’ come fa, nel suo piccolo, Renzi. La Lombardia è il loro Tibet, da reprimere e sradicare; all’uopo è stato allestito pure un giornale, la Piccola Vendetta Lombarda, che si occupa ogni giorno di spostare l’attenzione sul duo Fontana-Gallera, reputati la causa di tutti i mali. Gli Stelle & Coronas guazzano nell’emergenza perché sospende ogni libertà e riduce il paese a un asilo infantile per grillini; sospende i luoghi del sapere, dando un chiaro impulso all’estensione universale dell’ignoranza come prevede la loro costituzione; dispone dei cittadini come se fossero pupazzetti nelle mani del Pagliaccio, riduce la democrazia e la scuola, il lavoro e la vita a un video-collegamento con la Piattaforma del Grande Fratello o della Grande Sorella col rossetto (tipo Azzolina, per capirci). Ridendo e scherzando abbiamo un regime comico-totalitario che per nostra fortuna funziona male. Appena aprono le frontiere ce ne andiamo. Oppure finiamola in fretta, dateci di corsa il Mes, ma a una condizione: che ci annetta all’Austria o alla Svizzera, alla Germania, alla Scandinavia o ai Paesi Bassi (e Loschi). La troika è troppo poco.
(Marcello Veneziani, “E la dittatura impose il reato di vivere”, da “La Verità” del 26 maggio 2020).
FONTE:https://www.libreidee.org/2020/05/e-la-dittatura-dei-cialtroni-impose-allitalia-il-reato-di-vivere/
GIUSTIZIA E NORME
Prof Sinagra: magistratura corrotta, una verità scomoda
giovedì, 13, febbraio, 2020
La verità nuda e cruda sullo stato della corruzione in atti giudiziari, svelata in un’intervista esclusiva e senza filtri. Armando Manocchia intervista il professor Augusto Sinagra.
InformalTV per ImolaOggi.it
VIDEO QUI: https://www.youtube.com/watch?v=bsUx3Z9Q2wk
FONTE:https://www.imolaoggi.it/2020/02/13/prof-sinagra-magistratura-corrotta-una-verita-scomoda/
MATTARELLA “GUARDIANO” DELLO SFASCIO DELLA COSTITUZIONE
Una volta tanto quell’incredibile personaggio che in Italia è nientemeno che ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha potuto lanciare ai suoi avversari nella polemica sulla prescrizione una parola non priva di efficacia, se non per la questione in sé, non certo per la responsabilità di quella “novità” della facoltà concessa ai giudici di rendere imprescrittibile qualsiasi supposto reato con una condanna di primo grado purchessia, magari emessa al solo fine di rendere imputato a vita un cittadino antipatico al “Partito dei magistrati”. Quella parola, è “ma allora perché questo obbrobrio lo avete votato anche voi?”.
Già. La risposta non potrebbe essere che quella: “Sì, ma eravamo distratti”.
I parlamentari, che, d’altro canto si dice siano troppi, hanno, o dovrebbero avere, compiti tanto estesi e complicati che un po’ di distrazione da parte almeno di quelli di loro che poco ne capiscono della materia su cui sono chiamati ad esprimersi, è non solo possibile e frequente, ma anche in qualche modo giustificabile. Se non per i partiti, certo per i singoli deputati e senatori. E ciò si dovrebbe tenere presente quando andremo a votare sul cosiddetto “taglio” del numero dei parlamentari. Altro che esubero! Per non lasciarsi passare sotto il naso boiate come la prescrizione imprescrittibile, essi dovrebbero essere almeno il doppio di quelli che sono secondo le norme della Costituzione oggi vigenti.
E per questo la Costituzione stessa presenta esami e riesami. E conferisce alla carica suprema dello Stato, il Presidente della Repubblica, poteri che consentono (o consentirebbero) di definirlo il “Guardiano della Costituzione”, cioè della conformità alla Costituzione degli atti degli altri poteri dello Stato. Uno solo dovrebbe dunque farsi carico di questa “distrazione” di assemblee numerose, con commissioni, comitati, esami in prima e seconda lettura?
Sissignori. Il Presidente della Repubblica dispone di un apparato al Quirinale che gli consentirebbe di non far passare inosservati e quindi di mettere il suo veto a molti degli svarioni, tali per incostituzionalità, delle leggi che, votate in Parlamento, egli, invece, promulga.
Credo che quella sulla prescrizione sia stata una topica la cui responsabilità, fa carico, oltre che a Parlamento ed ai partiti, a Sergio Mattarella che la sua “guardiania” della Costituzione dovrebbe esercitarla proprio e soprattutto nelle materie dei diritti civili e per la difesa dei cittadini da abusi legislativi che non sono meno gravi, anzi, lo sono assai di più degli abusi di potere commessi con singoli atti di singoli funzionari.
Né la questione è limitata solo a queste non piccole né trascurabili questioni della prescrizione-imprescrittibile. Il declino, il malessere delle istituzioni repubblicane, gli sfregi che le maggioranze e i governi degli ultimi tempi stanno arrecando al tessuto costituzionale ed alle libere istituzioni della Repubblica, avvengono senza che Mattarella si avvalga del suo potere-dovere di rimandare al Parlamento le più che frequenti norme violatrici del dettato costituzionale.
Perché? Mattarella non è privo di preparazione giuridica. Se non si avvale di questo suo potere di “Guardiano della Costituzione” non è certo per ignoranza o distrazione. È per una scelta. Fare questo suo dovere gli sembrerà portare acqua alle lotte contro le debolezze, instabilità e precarietà delle maggioranze stesse e dell’Esecutivo, dei governi che egli ha faticato a mettere in piedi tra scontri e contrapposizioni mai visti prima.
“Guardiano”, invece che della Costituzione, sembra lo sia della precaria baracca di queste marionette che oggi sono, purtroppo, in Parlamento. “Guardiano” di un po’ di (molto poca) stabilità (velenosa) dei governi. “Guardiano” non della Costituzione, ma del tirare avanti purchessia, assistendo, giorno dopo giorno, alla demolizione delle libere e valide Istituzioni.
Sto offendendo il Capo dello Stato? Non credo proprio. Lo offende assai di più il silenzio complice di chi fa finta di non vedere. E la “benevola comprensione” per questa tolleranza zoppa di Mattarella che è, oltre ad una complicità, una spinta, quasi un’impossibile giustificazione dei barbari vandali che detengono il potere.
Poco, anzi, molto poco, che valga il mio pensiero, non lo nasconderei per un gesto di pur doveroso rispetto verso il Capo dello Stato. Che si rispetta assecondandolo in ciò che di meglio sa e vuole fare per la cosa pubblica.
FONTE:http://www.opinione.it/editoriali/2020/02/13/mauro-mellini_mattarella-costituzione-governo-maggioranza-prescrizione-bonafede/
IMMIGRAZIONI
Perché tanti immigrati bengalesi? La risposta si chiama Brac, la grande Ong che li finanzia
I migration loan
Attraverso la Brac Bank, l’organizzazione bengalese concede micro crediti, i cosiddetti migration loan “per facilitare l’emigrazione all’estero dei lavoratori del Bangladesh”. I beneficiari del micro credito accedono a programmi di orientamento prima della partenza e a programmi di integrazione dopo essere arrivati nel Paese prescelto. Dal 2006, quasi un milione di “potenziali migranti” hanno avuto accesso a questi programmi. Quasi 360 milioni di dollari sono stati erogati dalla Brac in micro crediti, una parte di questi sono finiti nelle tasche dei bengalesi che si preparavano a emigrare all’estero.
I migration loan non sono prestiti a fondo perduto, ma un vero sistema di finanziamento che concerne anche la restituzione di quanto ricevuto per emigrare. Quindi i bengalesi dovranno restituire i soldi ricevuti alla Brac. I proventi derivanti dai micro crediti rappresentano la prima voce presente nelle entrate dell’organizzazione (59 per cento), ben 555 milioni di dollari nel 2018.
I remittance loan
Non solo migration loan. La Brac fornisce micro credito anche alle famiglie degli immigrati rimaste in Bangladesh, attraverso i remittance loan (prestiti sulle rimesse che l’immigrato spedirà ai familiari in Bangladesh dal Paese straniero) allo scopo di “garantire l’insediamento di un lavoratore emigrato all’estero, salvaguardando la famiglia a casa”, consentendo “alle famiglie di beneficiare più rapidamente del potenziale aumento del reddito”.
I micro crediti usati per l’immigrazione clandestina
Nessun controllo e salvaguardia però sono forniti dalla Brac ai beneficiari dei prestiti che si avventurano nel viaggio verso l’Europa e l’Italia. Infatti, è noto che i bengalesi sbarchino in Italia clandestinamente dopo essersi imbarcati sui barconi della morte dei trafficanti in Libia. Nel Paese nordafricano i cittadini del Bangladesh arrivano illegalmente attraversando il confine orientale, successivamente all’atterraggio in un aeroporto dell’Egitto. Una parte dei migration loan presumibilmente finiscono nelle tasche dell’organizzazione criminale della tratta di esseri umani. Una ulteriore conseguenza della concessione di questi micro crediti è l’indebitamento a cui si assoggettano i bengalesi e le loro famiglie. Se il progetto di un facile guadagno all’estero dovesse fallire, gli immigrati tornati in Bangladesh dovrebbero comunque restituire l’ammontare del debito contratto. Da quanto emerso, sembrerebbe quindi che i veri beneficiari siano i bilanci della Brac, i fatturati delle società che si occupano di rimesse dall’estero (ogni rimessa prevede una percentuale dovuta alla società per il servizio), e pure i guadagni criminali dei trafficanti di esseri umani.
Francesca Totolo
(Una inchiesta magistrale)
FONTE:https://www.maurizioblondet.it/perche-tanti-immigrati-bengalesi-la-risposta-si-chiama-brac-la-grande-ong-che-li-finanzia/
ONU smentisce la sinistra: migranti non sono profughi
26, maggio, 2020L’ONU smentisce le balle raccontate agli italiani dalla sinistra: i migranti non sono profughi, non fuggono dalla fame e dalla guerra e la metà di loro aveva un lavoro nel Paese dal quale ha finto di fuggire.
Chi li chiama profughi mente: sono clandestini, migranti economici puri e semplici.
Il dossier sul Fatto: partono per cercare fortuna, “in Gambia avevo una vita confortevole”
FONTE:https://www.imolaoggi.it/2020/05/26/onu-smentisce-la-sinistra-migranti-non-sono-profughi/
PANORAMA INTERNAZIONALE
RIVOLTE NEGLI USA? RICORDATEVI DI NIXON…
Giugno 3, 2020 posted by Guido da Landriano
I media “Progressisti” presentano i saccheggi negli USA come una risposta alla presidente Trump. Per dire quanto sia distorta la comunicazione , soprattutto di certe piattaforme fortemente sbilanciate verso sinistra, come Twitter, fate una prova pratica: scrivete “Racist” nel riquadro di ricerca di twitter e quindi guardate “Persone”. Il risultato è il seguente:
Inutile dire che Trump non ha mai espresso nessun pensiero di carattere razzista, è appoggiato da una parte della comunità di colore ed ha espresso il proprio appoggio ai manifestanti pacifici che protestano per quanto succeso a George Floyd. Però, evidentemente Twitter non la pensa così.
I democratici si stanno giocando il tutto per tutto sostenendo Antifa che, volenti o nolenti, è dietro alla parte più violenta dei saccheggi. Eppure questa gente si dimentica quello che successe, in situazioni perfino peggiori, nel 1968.
Il 4 aprile 1968 veniva ucciso a Memphis, nel Tennessee, Martin Luther King Jr, il predicatore non violento per l’uguaglianza razziale negli USA. Subito dopo iniziarono delle manifestazioni pacifiche e delle rivolte violente. Decine di città americane furono coinvolte con il peggio a Washington, New York, Chicago, Baltimora, Cincinnati. Molto morti, centinaia di attività saccheggiate e dati alle fiamme, interventi della guardia nazionale talvolta sfociati in dure repressioni.
In questo clima tutti prevedevano che Humber Humphrey, il candidato democratico, avrebbe battuto facilmente Richard Nixon, quello che poi sarà chiamato “Trickie Dickie”, un abile politico, ma non un uomo nuovo (era stato vicepresidente di Eisenhower negli anni cinquanta), aveva perso contro Kennedy, aveva perso una corsa come governatore della California (Raegan la vincerà), insomma non una figura su cui qualcuno avrebbe puntato qualcosa. Humber Humphrey doveva fare una passeggiata, invece perse, con oltre 500 mila voti di distacco. I motivi?
- la divisione nel campo democratico, con il democratico George Wallace che si prese 9 milioni di voti. Come mai Wallace corse contro Humphrey? Semplicemente perchè era si un “Democratico” e governatore dell’Alabama, ma era anche un convinto segregazionista. Perchè i razzisti, all’epoca, erano i democratici, mica i repubblicani ….
- perchè il ceto medio americano si compattò dietro a Nixon, visto comunque come il male minore rispetto ad un Humphrey che non appariva sufficientemente in grado di garantire la sicurezza dei cittadini.
Ecco che un perdente sicuro viene trasformato in un vincente. Perchè in politica vale, aumentata, la terza legge di Newton: quando un corpo esercita una forza su un altro corpo, il secondo esercita una forza uguale e contraria al primo. Solo che il politica la reazione è spesso superiore all’azione.
Quello che sta succedendo negli USA, in quelli più profondi, lo vediamo in queste immagini:
A Coeur D’Alene, Idaho, quando è corsa voce che gruppi di manifestanti stavano arrivando in città, il centro è stato occupato da uomini armati decisi a difendere la propria comunità:
Maher Kawash
✔@MaherKXLY
More of the same in downtown Coeur d’Alene as people are armed, saying they’re protecting the city. They say there have been a few protestors here today, but it’s been pretty quiet.
They say they’ll be here as long as they need to be tonight to keep the city safe. @kxly4news
In California si sono confrontati manifestanti per la morte di George Floyd e gruppi di autodifesa armati, il tutto con la polizia nel mezzo. Per fortuna ha vinto il buon senso.
As hundreds protest in Upland, tensions are now rising between Trump supporters and George Floyd Activists. Currently police are monitoring the protest.
Più questi scontri continueranno, più il ceto medio-povero, costituito principalmente proprio da figli di immigrati, gente che gestisce o lavora in negozi e piccole attività al dettaglio distrutte da questi scontri, si sposterà a favore di Trump in modo molto deciso, al punto di imbracciare le armi.
Siete sicuri che questi scontri non porteranno alla vittoria di Trump?
FONTE:https://scenarieconomici.it/rivolte-negli-usa-ricordatevi-di-nixon/
Se la Svezia ha ragione, il Resto del Mondo ha torto
FONTE:http://micidial.it/2020/05/se-la-svezia-ha-ragione-il-resto-del-mondo-ha-torto/
ANTHONY FAUCI: NEGLI USA BISOGNA PROIBIRE LA COMUNIONE.
1 Giugno 2020 31 Commenti —
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, la polemica sulla comunione – sì, o no, e come – in tempi di Covid 19 non si limita ovviamente solo all’Italia. Per questo abbiamo pensato che fosse interessante offrirvi una traduzione di alcuni brani di un articolo apparso sulla rivista America. Buona lettura.
La rivista dei gesuiti “America”,, quella di cui è direttore at large padre James Martin, l’attivista della causa LGBT all’interno della Chiesa cattolica, una delle voci più note del progressismo cattolico negli USA ha voluto intervistare Anthony Fauci, il Direttore dell’Istituto Nazionale per le allergie e le malattie infettive, il grande sodale di Bill Gates e della macchina di produzione dei vaccini a gogò in tema di messa e di comunione. Per sapere qualche cosa di più su Anthony Fauci, e sui suoi collegamenti, potete dare un’occhiata a questo sito; ma basta fare una ricerca combinata Fauci-Gates per trovare molte cose. Fauci fra l’altro è stato allievo di due scuole gestite dai gesuiti, Regis High School a New York and il College of the Holy Cross a Worcester ….
E così, mentre molti Stati in tutto il paese cominciano a ammorbidire l’ordine di stare a casa, Anthony Fauci, sostiene le chiese dovrebbero adottare misure di “buon senso” per proteggere i fedeli e la comunità in generale, come la richiesta di indossare la mascherina, la pratica della distanza sociale e il divieto di cantare. Per quanto riguarda la distribuzione della Comunione, ha detto: “Penso che per il momento bisogna solo impedirla”.
Fauci sostiene che le Chiese dovrebbero “limitare il numero di persone, in modo da non avere persone sui banchi proprio accanto agli altri”, ha detto. Alla domanda se pensa che la Comunione possa essere distribuita in modo sicuro, il dottor Fauci ha risposto “no”, soprattutto in alcune zone.
“Se il sacerdote è sull’altare, separato dai fedeli da dieci, quindici metrri, non penso che sia assolutamente necessario per lui usare le maschere”, ha detto. “Ma le persone che sono a meno di sei, dieci metri l’una dall’altra ne hanno davvero bisogno”.
Inoltre, il canto dovrebbe essere scoraggiato, ha detto il dottor Faucis, perché aumenta drasticamente la distanza che le goccioline percorrono, aumentando la possibilità di diffondere l’infezione.”Quando si canta, la quantità di goccioline e di aerosol che escono è davvero, per certi versi, spaventosa”, ha detto.
E alla domanda se pensa che la Comunione possa essere distribuita in modo sicuro, il dottor Fauci ha risposto “no”. Il dottor Fauci ha espresso preoccupazione non solo per una coppa condivisa per il vino consacrato, ma anche per la distribuzione delle ostie, e ha suggerito di aspettare fino a quando l’epidemia non sarà più controllata prima di reintrodurre la Comunione. Ha detto che l’interazione tra il sacerdote e più persone che ricevono la Comunione rende la distribuzione non sicura. “Quante volte un prete può lavarsi le mani, arriva alla Comunione, la mette in mano a qualcuno, gliela mettono in bocca… è quel tipo di interazione stretta che non si vuole quando si è nel bel mezzo di un’epidemia mortale”, ha detto.
FONTE:https://www.maurizioblondet.it/anthony-fauci-negli-usa-bisogna-proibire-la-comunione/
Come possono gli haters democratici rappresentare anche i bianchi?
FONTE:http://micidial.it/2020/02/come-possono-gli-haters-democratici-rappresentare-anche-i-bianchi/
La decolonizzazione d’Israele è iniziata
Ormai da tre quarti di secolo una colonia anglosassone, diventata arsenale USA, cerca di conquistare tutte le terre dal Nilo all’Eufrate (Egitto, Palestina, Giordania, Libano, Siria e parte dell’Iraq). Da anni i cittadini di questa colonia aspirano a trasformarla in uno Stato normale. Con la nomina di un governo bicefalo, questo conflitto d’altri tempi è a uno snodo: due primi ministri, esponenti delle due visioni politiche, si paralizzeranno a vicenda. Saranno possibili soltanto progressi in campo sociale e sanitario, accelerando ulteriormente la modernizzazione della società e, quindi, la fine del sogno coloniale.
- Israele è ora l’unico Paese al mondo a essere governato da due primi ministri: una situazione insostenibile.
La nomina di un governo di coalizione non chiude l’accanita battaglia, lunga sei anni, tra due visioni opposte e inconciliabili d’Israele [1], né la paralisi governativa di un anno e mezzo. Al contrario, segna l’inizio dell’agonia di uno dei due protagonisti e la trasformazione del Paese in uno Stato normale.
Non è un caso che il contrasto sia scoppiato sotto i colpi sferrati ai privilegi degli studenti delle yeshivah dall’ex sovietico Avigdor Liberman. L’ex ministro della Difesa, sostenendo che la religione non può essere pretesto per dispensare qualcuno dal servizio nazionale, ha contestato il cuore della menzogna su cui è stato fondato l’Israele di 72 anni fa.
La sollecitazione del generale Ehud Barack a disfarsi di Benjamin Netanyahu per via giudiziaria è fallita. I fautori del sogno coloniale sono ancora lì. Hanno gettato i loro concittadini in una sorta di terrore, convincendoli di essere minacciati dagli stranieri. Come ai tempi del ghetto, per “proteggerli” li hanno chiusi al di là di un Muro, che li separa persino dai connazionali arabi.
Non dimentichiamo che Israele non è frutto della cultura ebraica, ma del volere dei puritani inglesi [2].
Nel XVII secolo il Lord Protettore Cromwell s’impegnò a creare uno Stato ebraico in Palestina, obiettivo in seguito abbandonato con la restaurazione dinastica. Nel XVIII secolo anche i leader della guerra d’Indipendenza degli Stati Uniti, epigoni di Cromwell, si espressero a favore della creazione del nuovo Stato. Regno Unito e Stati Uniti si possono perciò considerare padrini naturali di questa nuova entità. Nel XIX secolo il primo ministro della regina Vittoria, Benjamin Disraeli, teorizzò il sionismo quale strumento dell’imperialismo britannico e inscrisse la “Restaurazione d’Israele” nel programma del Congresso internazionale di Berlino del 1878. All’epoca, nessun ebreo appoggiava il bislacco progetto.
- Teorico dell’Impero britannico, Cecil Rhodes fu primo ministro della Colonia del Capo (Sudafrica). Creò la compagnia diamantifera De Beers e diede il proprio nome alla Rodesia. Lo statuto dell’Agenzia Ebraica è copia di quello redatto da Rhodes per la colonizzazione dell’Africa australe.
Bisognò attendere che in Francia scoppiasse l’affare Dreyfus perché Theodor Herzl s’impegnasse a convertire la diaspora ebraica al sionismo anglo-americano. Herzl concepì un sistema coloniale sul modello di quello realizzato in Africa da Cecil Rhodes, riuscendo ad associarvi progressivamente molti ebrei atei.
Quando, durante la prima guerra mondiale, i governi britannico e statunitense furono occupati dai puritani (David Lloyd George e Woodrow Wilson), i due Paesi conclusero un accordo per la fondazione d’Israele. Il principio di una patria per le popolazioni ebraiche (foyer national juif) fu pubblicamente espresso in una lettera del ministro degli Esteri, Lord Balfour, a Lord Rothschild; successivamente, il presidente Wilson stabilì ufficialmente che la creazione d’Israele era uno dei 14 obiettivi di guerra degli Stati Uniti. Alla conferenza di pace [di Parigi del 1919], l’emiro Faysal [capo della delegazione araba] sottoscrisse il progetto sionista e s’impegnò a sostenerlo.
Con l’aiuto della borghesia locale, nonché a scapito del popolino, alcuni ebrei cominciarono a colonizzare la Palestina Mandataria e quindi ad affrancarsi da Londra. Nel 1948 un ebreo ateo, Ben Gourion, stavolta anticipando di cinque anni il modello di Rhodes, proclamò l’indipendenza d’Israele prima che le Nazioni Unite ne avessero definito i confini. Fu allora che i rabbini apportarono massicciamente il loro sostegno al progetto coloniale.
La Palestina subisce da 72 anni una guerra senza fine. A conclusione di successive ondate migratorie, lo Stato d’Israele s’inventò di sana pianta una “cultura”, appartenente a un immaginario popolo – composto da etnie che vanno dal Caucaso all’Etiopia –, costruita su una lingua artificiale (l’odierno ebraico non c’entra molto con l’antica parlata e si scrive in caratteri aramaici) e una storia fittizia (nonostante gli ammonimenti dell’UNESCO, si è confusa l’antica città-Stato di Gerusalemme con lo Stato d’Israele). L’assimilazione di questa creazione intellettuale al progetto coloniale puritano si è consolidata attorno a un’interpretazione sacralizzata di alcuni crimini nazisti, definiti “olocausto” dai puritani e “shoah” dagli ebrei.
Niente in questa costruzione artificiale resiste all’analisi. Tutto è finalizzato ad accreditare una continuità di un Popolo e di uno Stato che altro non sono che una colonia anglosassone.
Tutti gli Stati coloniali sono scomparsi, a eccezione d’Israele, dove però oggi, col passare del tempo, è nata la maggior parte degli israeliani. Oggi vi coabitano due concezioni dello Stato: – quella dei fautori del colonialismo anglosassone, che rivendicano la sovranità sulle terre dal Nilo all’Eufrate. Si pensano come un’isola dei pirati, che offre rifugio a criminali del mondo intero e rifiuta ogni accordo di estradizione. Si proclamano “popolo eletto”, superiore a ogni altro, e considerano Israele “Stato Ebraico”; – quella delle persone che invece vogliono vivere in pace con i vicini, indipendentemente dalla loro religione o etnia, o dal loro ateismo. Non vogliono aver nulla a che fare con i sogni coloniali dei secoli scorsi, però non vogliono abbandonare niente di quanto ereditato dai padri, anche se frutto di ruberie. Vorrebbero che venissero risolti gl’incredibili problemi sociali della loro patria.
Sono due visioni inconciliabili, incarnate dai due primi ministri, Benjamin Netanyahu e il suo supplente, generale Benny Gantz.
Questo tandem non potrà risolvere in alcun caso i conflitti con i popoli arabi. Al più potrà prendere in esame le terribili ingiustizie del Paese. Per esempio, oggi in Israele circa 50 mila cittadini reduci dai campi della morte nazisti sopravvivono come possono, senza aiuti da parte dello Stato, che li ignora, pur avendo incassato, con il pretesto di salvarli, i loro indennizzi.
Tempo e Demografia pressano: dopo tre elezioni legislative inutili, la decolonizzazione d’Israele è iniziata.
[1] “The Geopolitical Approach: Two States for Two Peoples”, by Commanders for Israel’s Security, Voltaire Network, 30 October 2014. La soluzione a due Stati sancisce una disuguaglianza essenziale fra ebrei e arabi. È profondamente razzista, ma rappresenta una rottura rispetto al progetto di conquista coloniale, cui contrappone una forma di pace. L’assassinio nel 1995 del suo ideatore, primo ministro Yitzhak Rabin, dimostra che Israele non è ancora pronto a rinunciarvi.
[2] “Chi è il nemico?”, di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia) , Rete Voltaire, 5 agosto 2014.
FONTE:https://www.voltairenet.org/article210001.html
POLITICA
BAGNAI: QUATTRO GIORNI PER ESAMINARE IL DECRETO LIQUIDITA’. LAVORO IMPOSSIBILE
Il problema di lavorare con il governo Conte, anche volendo migliorare la qualità dei suoi provvedimenti, è che i tempi dati per lo studio dei provvedimenti sono sempre troppo ristretti. Le norme sono modificate sino all’ultimo momento, poi rimangono tempi ristrettissimi, quasi nulli, per studiarlo, valutarne gli effetti, e, soprattutto, studiare le migliaia di emendamenti collegati.
A cosa serve una Commissione Bilancio e Tesoro se non ha tempo di studiare i provvedimenti ?
VIDEO QUI: https://youtu.be/vygGV4HtgEA
FONTE:https://scenarieconomici.it/bagnai-quattro-giorni-per-esaminare-il-decreto-liquidita-lavoro-impossibile/
Il sovranista ad una dimensione: il caso “NATO”
La sovranità si applica a cose che hanno più dimensioni, anche se nella nostra testa ce ne entra solo una alla volta. [Pierluigi Fagan]
Pierluigi Fagan | Il sovranista ad una dimensione: il caso “NATO”
Redazione13 luglio 2018megachip.info
La NATO nasce improvvisamente (dai francesi in giù nessuno ne sapeva niente a parte i britannici ed ovviamente gli americani) nel 1949. Solo nel 1955, i sovietici si decidono ad opporgli il Patto di Varsavia. Poi l’URSS collassa tra l’89 ed il ’91 e la NATO si espande ad est, cooptando i Paesi prima di area russa. Oggi colleziona 29 membri di cui 26 europei, due americani (USA e Canada) e – per il momento – i turchi. Quale interesse militare hanno in comune questi associati a quasi settanta anni dalla fondazione del patto? In effetti nessuno. A cosa serve l’imponente macchina con sede a Bruxelles se USA e Russia sono allacciate e rispettivamente bloccate dalla dottrina della Mutual Assured Distruction nucleare dagli anni’60? A nulla, se non a spendere soldi inutilmente.
Torna in ballo la più basica delle regole geopolitiche: la geografia. Davvero il Portogallo, la Spagna, la Francia e l’Italia debbono temere una invasione russa che non siano i suoi turisti? O la Grecia che è ortodossa come lo è la chiesa russa schierata a supporto di Putin? O forse questi Paesi farebbero meglio a farsi una forza navale per presidiare il loro mare (in cui si stanno scoprendo giacimenti di gas sempre più grandi) lanciandoci sopra la più naturale delle dottrine Monroe? O non converrebbe a questi euro-mediterranei ed a gli europei del nord, una bella iniziativa comune di cyber attacco più sterilizzazione finanziaria e contro spionaggio anti islamisti in vena di jihad? Ed anche infiltrarsi nel profondo del continente africano ad intercettare le reti di sostegno alle migrazioni forzate verso di noi che tanta confusione ci stanno creando? E non ci converrebbe davvero evitare di finanziare il già pingue complesso militare industriale statunitense e magari finanziarne uno nostro che si fa anche occupazione e si sviluppa magari anche un po’ di tecno-scienza dai positivi fall-out commerciali?
Ventotto paesi NATO contribuiscono esattamente per il 28% del suo budget complessivo, gli USA da soli per il 72%, dislocando qui armi, arsenali nucleari, aerei, navi e soldati che costituiscono il necessario esito della loro ipertrofia militare imperiale. Praticamente paghiamo una tassa imperiale senza averne alcun tornaconto visto che è sì un impero, ma informale. E i sovranisti dell’ultima ora non hanno nulla da dire a riguardo? Vale solo l’euro come impedimento all’esercizio del pieno potere politico territoriale? Un veloce ripassino di storia per rammentarsi che la sovranità nasce con l’imposizione di tasse per finanziare la forza armata che difende i confini del sistema, no?
Mi sa che noi la sovranità non siamo proprio in grado di pensarla. Carcerati nelle divisioni disciplinari, vediamo sempre e solo una dimensione per volta. Chissà, magari è proprio quello che vogliono gli americani, farci scappare dalla gabbia dell’euro per correre come topini nella gabbia del loro grande abbraccio. Felici magari di aver ritrovato la lira per poi convertirla in dollari per pagargli lo shale al +20% rispetto la gas russo, visto che avendoci protetto nella difficile guerra di indipendenza delle valute, certo dobbiamo restituire il favore diventando loro clientes. E che bello sarà poi vedere i loro F35 decollare dalle nostre terre per andare a bombardare l’Iran con cui invece potremmo fare affari e così ritrovarci il costo dell’energia raddoppiato visto che ci sarà uno shock nel mercato energetico, no? O magari a quel punto comprare il petrolio dai sauditi che sono poi proprio coloro che finanziano jihadisti e buona parte delle reti occulte di migrazione dall’Africa in cui stanno combattendo la loro lotta per l’espansione egemonica finanziando le guerre locali?
La prima sovranità è quella mentale dalla quale siamo per lo più, quasi tutti, drammaticamente lontani. Tra Merkel-Macron ed Orban-Salvini forse di dovremmo dare un terzo. Forse in tema di piani B sarebbe il caso di lasciar perdere il professor Savona e dare un occhio a quello di Mélenchon.
La sovranità si applica a cose che hanno più dimensioni, anche se nella nostra testa ce ne entra solo una alla volta.
FONTE:https://megachip.globalist.it/guerra-e-verita/2018/07/13/il-sovranista-ad-una-dimensione-il-caso-nato-2027856.html
SCIENZE TECNOLOGIE
Ahiahi, signora Immuni, lei mi cade sullo stereotipo
L’immagine trasmessa dalla grafica dell’app è uno stereotipo che da decenni non corrisponde più alla realtà
Fin dalla circolazione della prima notizia che la riguardava, questa testata ha dedicato una particolare attenzione all’app Immuni, lo strumento scelto dal governo italiano per monitorare gli individui e determinare la probabilità che fossero venuti in contatto con una persona affetta da coronavirus. Un obiettivo assolutamente meritorio e condivisibile nello spirito e nel razionale, teso a minimizzare le possibilità di contagio e l’individuazione precoce delle catene di infezione.
Molti degli articoli ad essa dedicati si sono focalizzati principalmente su aspetti tecnici di robustezza del sistema, sulla valenza e sui criteri di scelta della società Bending Spoons che la realizza, e soprattutto su argomenti inerenti alla privacy dei dati – un determinante di sicurezza ancora più importante quando si discuta di aspetti sanitari. Forse alcune delle osservazioni effettuate da contributori di Infosec.news hanno avuto una valenza nell’aggiustamento del tiro da parte del governo e di Bending Spoons, ed il nostro spirito è esattamente questo. Non ci interessa fare critica per la critica, quanto piuttosto agire da watchdogs nell’ambito dell’informatica e della tecnologia, per fare in modo che la coscienza e la cultura collettiva su certi temi crescano.
In questa occasione, tuttavia, è nostro dovere osservare un altro aspetto di Immuni – un particolare apparentemente minimo, ma che è indice di un modo di pensare che non condividiamo. Sopra lo slogan Rallentiamo insieme l’epidemia, una delle grafiche dell’app rappresenta una coppia di personaggi. Un uomo al computer è apparentemente intento a lavorare; una donna con un neonato tra le braccia è apparentemente impegnata a fare la mamma. Il messaggio visuale suggerisce una società duale, con ruoli definiti e riconducibili a quella che definiremmo famiglia tradizionale, con l’uomo che lavora e la donna che fa la moglie e la mamma.
Lungi da noi abbracciare le teorie gender nelle loro varie manifestazioni più patologiche, quali lo stravolgimento della grammatica e del linguaggio per declinare al femminile o addirittura al neutro con l’asterisco, vocaboli che sono di natura maschili e viceversa. Questo tipo di perversioni mentali e di umane miserie hanno nel dibattito tra i sessi la stessa valenza del famoso dito che indica la Luna.
Siamo inoltre nemici giurati delle quote rosa, degli accessi facilitati, dei recinti e delle riserve. Ogni individuo deve essere valutato e retribuito in ragione delle sue capacità, assicurandosi che non esistano né cancelli, né corsie preferenziali.
Le vere battaglie che è necessario combattere sono quelle del rispetto reciproco, del riconoscimento delle differenze e della valorizzazione delle stesse. Vanno combattute le battaglie inerenti all’uguaglianza degli esseri umani in termini di accesso al lavoro, alle professioni e all’uguale retribuzione a parità di impiego. Vanno combattute le battaglie contro la messa in minorità di un individuo in ragione del suo sesso. Vanno contrastate con energia tutte le forme di violenza fisica, psicologica e morale. Bisogna difendere allo stesso modo le donne vittime di maltrattamenti familiari, e gli uomini che in caso di divorzio perdono i figli e rischiano la miseria.
Detto questo, l’immagine trasmessa dalla grafica della app Immuni è semplicemente uno stereotipo che non ha più, e da alcuni decenni, alcuna rispondenza nella realtà. Come questo periodo di lockdown ha dimostrato, uomini e donne raggiungono i migliori risultati quando collaborano, pur mantenendo le proprie differenze. Nell’ampio campionario di immagini che hanno riempito le nostre call Zoom e Skype in questo periodo, i bambini si affacciavano ugualmente dietro le spalle di padri e madri in teleconference. E dietro ogni padre ed ogni madre che riusciva a fare una call in solitaria, invariabilmente c’era un compagno o una compagna che nel frattempo leggeva una favola o giocava con i pastelli insieme ad uno o più bambini. Nel mondo moderno, e nella società che vorremmo vedere, una famiglia è composta da persone che si vogliono bene e si danno una mano, più simili a calciatori che si passano la palla, che a pugili impegnati a definire la propria supremazia.
Insomma, a vedere quella grafica c’è da rimanere perplessi e da domandarsi se non ci sia da rivedere qualcosa. Soprattutto perché probabilmente quell’immagine è stata elaborata da qualcuno – forse un giovane grafico – e soprattutto approvata da qualcun altro, certamente un manager di Bending Spoons.
È solo un’immagine, si dirà, non un messaggio politico o sociale. Tuttavia, come spesso si dice, in questo caso un’immagine vale mille parole.
STORIA
I TRADITORI: ROMANO PRODI – 2a parte
Continua il viaggio alla riscoperta di Romano Prodi, un “tesoro” di trovate che rischiamo di dimenticare (con il concreto rischio di ritrovarcelo fra i piedi).
Dopo la prima parte, prosegue il ritratto di uno dei traditori dell’Italia che mettiamo a fianco di Mario Monti e Giorgio Napolitano.
Grazie a Paride Lupo per il suo contributo documentale.
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Romano Prodi sulle sue privatizzazioni, versione 2
“Le mie privatizzazioni? Obblighi europei”
fonte: Il Giornale
“Erano obblighi europei. Scusi a me che ero stato a costruire l’IRI, a risanarla, a metterla a posto, mi è stato dato il compito da Ciampi, che era un compito obbligatorio per tutti i nostri “riferimenti europei” di privatizzare. Quindi si immagini se io ero così contento di disfare le cose che avevo costruito.”.
fonte, video min: 7:25
La privatizzazione di Autostrade
“La privatizzazione era obbligatoria perché era un ordine che veniva… una decisione che veniva da tutti i contesti internazionali, una decisione presa politicamente.
E la Società Autostrade – intendiamoci – quando era disciplinata e controllata rigava dritto e ha fatto tante cose.
Il problema non è dare una concessione e chiudere gli occhi, il problema è dare la concessione con le regole e poi deve aver gli ispettori, deve avere tutti i tecnici che seguono le cose, devi intervenire quando è ora. Non è un problema si o no la concessione, la concessione va data perché queste erano le regole.”Comincia già ad esserne un po’ meno orgoglioso… la colpa sta già diventando delle regole europe…
L’Eurotassa
“LE FESTE troppo lunghe diventano stucchevoli, ma questa corsa all’ Euro l’ abbiamo tanto sofferta che un sovrappiù di rallegramenti non stona. Ieri dunque è giunta da Ciampi la certezza che l’ Italia sarà dentro la moneta unica fin dall’ inizio.
Quel deficit pubblico ridotto al 2,7% del Pil è la nostra assicurazione sulla vita.
Entreremo nel club esclusivo della moneta sicura, della bassa inflazione e del credito a buon mercato, dal quale molti volevano escluderci. Abbiamo centrato un traguardo storico: sul più importante dei parametri di Maastricht, nel ’97 l’Italia ha fatto addirittura meglio di Germania e Francia.
…
Prodi, si è ricordato di estendere la gratitudine agli italiani tutti: i quali conservano, nelle buste paga fino a novembre, il ricordo di un costoso sforzo collettivo.
…
L’ Italia, memore delle dissipatezze passate, misura oggi quanto sia vantaggioso l’ essere un Paese a sovranità limitata, continuamente esaminato e giudicato da Bruxelles, da Bonn, dalla Bundesbank, da Parigi, da Aznar, e da noi giornalisti che fungiamo da grancassa alle classi dirigenti europee.
…
Francesi, tedeschi, inglesi, ancora stentano a capire come Prodi sia riuscito a prelevare la pesante Eurotassa senza che il Paese si rivoltasse contro di lui.”
Federico Rampini, Repubblica 1998
Grazie ai tagli, alle privatizzazioni, all’aumento delle tasse, l’Italia quindi centrò il miracolo del ’97, che non consistette nell’ingresso nell’Euro – per il quale fu necessaria anche l’eurotassa, ma semplicemente la riduzione del deficit dal 7% al 2,7%.
“L’eurotassa fu versata dagli italiani senza colpo ferire, ma per riportare i conti sulla rotta del fatidico 3%, fu necessaria una nuova manovra correttiva da 15.500 miliardi, varata dal Governo il 27 marzo del 1997. Un anno vissuto pericolosamente, il 1997, sull’ottovolante dei mercati e dello spread.”
L’Eurotassa fu la gabella aggiunta sul conto degli italiani per centrare l’obiettivo dell’ingresso nell’euro.
Ad deciderla fu Romano Prodi nel 1997.
Il prelievo forzoso totale fu di 11.500 miliardi di lire e venne restituita solo per il 60%, due anni più tardi.
L’ingresso nell’euro
Pur sapendo che:
“Con le monete rigide (l’euro) non abbiamo gli strumenti per reagire agli shock, agli sbagli della politica economica”
Romano Prodi era consapevole della cessione di sovranità e degli effetti di questa Europa
Romano Prodi, da presidente del partito (dal 2006 al 2008) che nel frattempo è diventato il PD (hanno avuto almeno la decenza di tagliare la parola sinistra dal nome), quando firmò il trattato di Lisbona assieme a Massimo D’Alema) era consapevole della cessione di sovranità e degli effetti di un’Europa fatta soltanto attorno ad una moneta unica con cambi fissi.
VIDEO QUI: https://youtu.be/nn50yevp1UU
Se la moneta unica che non consente flessibilità di cambio, verrà applicata a economie diverse tra di loro sarà un delirio. Perché allora ci ha fatto entrare nell’Euro prima che le contromisure e i contro bilanciamenti fossero stati attuati?
Ma secondo voi, un costruttore di automobili che vi fa salire su un’automobile senza freni, lo sta facendo in buona fede?
Moltissimi sprovveduti sono ancora convinti che ai massimi livelli della politica qualcosa del genere possa passare inosservata salvo accorgersene dopo (e non porre rimedio).
L’Italia già dal 1998 ha agganciato la lira ad un cambio fisso con l’euro svantaggioso, fissato a 1936,27. Viene in pratica sovrapprezzata, mentre il marco fa il percorso inverso, svalutandosi.
È il definitivo addio dell’economia italiana alle posizioni importanti sul panorama mondiale.
E scende dalla quinta posizione fino ad uscire persino dal gruppo del G8.
Economicamente e industrialmente l’Italia smette di contare a livello internazionale.
VIDEO QUI: https://youtu.be/YfLrDEoquxI
“La privatizzazione era obbligatoria perché era un ordine che veniva… un ordine (lapsus), una decisione che veniva da tutti i contesti internazionali, una decisione presa politicamente. E la Società Autostrade – intendiamoci – quando era
disciplinata e controllata rigava dritto e ha fatto tante cose”
fonte, video min. 31:00
VIDEO QUI: https://youtu.be/i7SoliKaxnA
“Con l’Euro lavoreremo un giorno di meno guadagnando come se lavorassimo un giorno di più”
È la citazione dell’utile idiota a comando di un vascello di carta destinato contro l’iceberg.
Più di qualunque analisi, più di qualsiasi critica, anche semplicemente di tipo lombrosiano, vale questa massima. Pronunciata non certo come auspicio, perché postuma rispetto tutte le analisi tecniche che davano per certo il baratro di fronte all’Italia, questa frase significa al livello più alto l’intelligenza di tutta la storia e dell’elettorato di “quella sinistra”.
Ed è l’epitaffio più adatto sulla lapide della nazione.
Non solo le fantasmagoriche privatizzazioni non hanno prodotto alcuno sgravio a lungo termine del debito pubblico, in costante aumento dalla fine degli anni 90, come se avessimo due IRI e non zero, a trascinarci a fondo, ma hanno rappresentato un banchetto per privati e stranieri.
Oltre alla già citata IRI, Dal 1992 le privatizzazioni hanno riguardato vendita sotto costo di:
- Italgel (valore 750 miliardi) a Nestlè (per 680 miliardi);
- GS Autogrill a Benetton per 450 miliardi, da questi ceduta alla francese Carrefour per 4.500 miliardi (sì, non è un refuso; ben 10 volte di più);
- Telecom,
- Credito Italiano;
- Imi;
- Banca Nazionale del Lavoro (BNL);
- Banco di Napoli;
- Finmeccanica- Fincantieri
- Autostrade sempre a Benetton che si tengono i ricavi e scaricano i costi sullo Stato (e sulle vittime dei crolli, vedi ponte Morandi);
- Parziale privatizzazione di Enel ed Eni (38°nell’elenco di Forbes delle prime 2000 al mondo);
- Banca d’Italia viene partecipata da banche straniere (Bnp Paribas, Allianz, Banco Bilbao, Crè dit Agricole, ecc.);
- più recente il gruppo di Poste italiane è entrato in borsa ed ha visto l’ingresso di investitori stranieri (per quote molto modeste);
- … e così via…
VIDEO QUI: https://youtu.be/s67Djtwf6nE
L’Euro? Un esperimento sulla nostra pelle, firmato Romano Prodi
VIDEO QUI: https://youtu.be/A4jXZWifI9o?list=PLx-mt3bO4NDaiLVtYNFYkzVEWBhjBRsO7
I risultati delle privatizzazioni
Insomma non stiamo parlando di enti inutili o immobili in disuso, bensì di AZIENDE STRATEGICHE nel settore bancario, militare, che il covid-19 ci ha ricordato cosa significa non avere più.
Tutte aziende che davano entrate sicure allo Stato e di cui ci siamo disfatti per assecondare il mantra dello spreco pubblico. Oggi fanno la fortuna dei privati e degli stranieri.
L’irresistibile ascesa dell’economia italiana, finalmente sgravata dagli elefantiaci pesi delle aziende di Stato, si è fatta immediatamente sentire. È letteralmente innumerevole la conta degli asset privati finiti in mano straniera dopo che l’ingombrante Stato si è fatto da parte.
A conferma che finalmente l’industria italiana ha trovato terreno fertile ed un’economia di mercato finalmente florida, facciamo un veloce elenco delle attività finite in mani straniere a partire dal 1992:
Dainese, Elettrolux, Riso Scotti, Fiorucci Salumi, Glaxo, Pomellato, Bertolli, Conbipel, Safilo, Gancia, Lumerjack, Sergio Tacchini, Ducati, Pernigotti, Carapelli, Valentino, Olio Sasso, Parmalat, Galbani, Star, Loro Piana, Eridania, Bottega Veneta, Locatelli, Invernizzi, Fendi, Orzo Bimbo, e così via.
L’Italia è rimasta un Paese arretrato da molti punti di vista. Proprio come prima insomma.
La differenza però è che oggi non ha più la guida nei settori strategici per il rilancio dell’occupazione, della ricostruzione e dell’ammodernamento del Paese.
Insomma, anche se avessimo una classe dirigente capace – cosa ben lungi dall’esistere in Italia – ci troveremmo comunque in mano ad altri soggetti; più precisamente (si fa per dire) dei mercati.
Tutti soggetti che hanno come missione il raggiungimento di obiettivi di dividendi, non il bene comune e la difesa dei più deboli o la prosperità diffusa.
Con tassi di disoccupazione costantemente superiori alla media europea, tutta la campagna mediatica contro la castacriccacorruzione oggi privata delle prebende di Stato e di fatto estromessa dalla politica, non ha prodotto i risultati promessi.
Anzi oggi i privati non devono nemmeno più scendere a patti con la politica, visto che si sono visti recapitare il patrimonio pubblico, bello infiocchettato, davanti alla porta di casa.
FONTE:https://scenarieconomici.it/i-traditori-romano-prodi-2a-parte/
Foibe a senso unico: così il Mago nasconde la verità storica
Nella cosiddetta Giornata del Ricordo, l’Italia celebra la memoria dei connazionali massacrati da Tito alla fine della Seconda Guerra Mondiale: un debito storico, verso vittime che per decenni rimasero semplicemente innominabili. Nel clima della guerra fredda, l’ipocrisia generale “impediva” ai comunisti e ai governanti italiani di accusare le forze di Tito, responsabili di quella immane strage. In questo modo, migliaia di istriani e dalmati subirono una doppia ingiustizia: prima la feroce esecuzione, poi la condanna all’oblio. Oggi, la tardiva retromarcia sulla tragedia delle foibe finisce però per oscurarne le cause: l’italianizzazione forzata delle regioni slave a sud-est della Venezia Giulia cominciò vent’anni prima, su iniziativa del fascismo. Fu l’Italia mussoliniana ad avviare la pulizia etnica in Slovenia e Croazia, perseguitando e massacrando la popolazione autoctona. Se le squadracce fasciste seminarono subito il terrore e la strage in Istria e Dalmazia, la carneficina divenne spaventosa durante la Seconda Guerra Mondiale: furono 340.000 i civili slavi sterminati dall’aprile 1941 all’inizio di settembre del 1943, nel corso di rastrellamenti e fucilazioni. Operazioni di rappresaglia, contro gli inermi, per rispondere all’azione militare delle forze partigiane jugoslave.
Di foibe, come aperta minaccia terroristica, i primi a parlare furono proprio i fascisti. Ma è come se fosse vietato ricordarlo, oggi, mentre il paese commemora gli italiani atrocemente inghiottiti dalle cavità carsiche. Si dimentica regolarmente che quel massacro, per decenni oscurato, fu una vendetta: spaventosamente inaccettabile, ma pur sempre innescata da eventi precedenti, altrettanto abominevoli. Il periodo sembra particolarmente favorevole, per cancellare interi capitoli del passato. Oggi l’Unione Europea tenta di equiparare il comunismo al nazifascismo: pessima idea, secondo uno storico come Alessandro Barbero. Mentre il fascismo durò vent’anni in Italia e il nazismo poco più di un decennio in Germania, la parola comunismo cominciò a risuonare nell’Ottocento come sinonimo di riscatto degli oppressi: 150 anni di speranze, in tutto il mondo, per lo più tradite in modo spietato dove il comunismo è andato al potere imponendo una feroce dittatura, ma comunque coltivate da milioni di persone, convinte di poter liberare l’umanità dalle catene dello sfruttamento. Sempre oggi, in modo sfrontato, Israele tenta di equiparare il virus razzista dell’antisemitismo alla semplice avversione per gli eccessi politici del sionismo, manipolando così anche la memoria dei milioni di ebrei sterminati – in quanto ebrei, non sionisti – dal nazismo hitleriano, in quell’inarrivabile unicum nella storia umana che fu la lucida pianificazione dell’annientamento su base “razziale”.
In un mondo in cui è “normale” che una superpotenza si permetta di assassinare impunemente un leader ostile in visita in un paese terzo, seppellendolo sotto una pioggia di missili, l’ultima cosa che può sorprendere è il coro nazionale italiano che, nel rendere giustamente omaggio alle vittime delle foibe titine, dimentica di interrogarsi sulle eventuali ragioni di quella tragedia: non certo per giustificarla, ovviamente, ma almeno per provare a decifrarne la genesi. La domanda mancante è quella fondamentale: perché. Nel suo studio sulla costante manipolazione della realtà, il simbologo Gianfranco Carpeoro mette a fuoco una dicotomia rivelatrice: da una parte quello che chiama “pensiero magico”, dall’altra il razionale “pensiero simbolico”. Carpeoro chiama “magico” il pensiero manipolatorio offerto dal “mago”, l’illusionista. La sua missione: indurre gli altri a fare quello che vuole lui, spiegando solo come farlo, e non anche perché. Al contrario, il “pensiero simbolico” costringe a domandarsi il perché di tutto. Come mai i partigiani di Tito gettarono nelle foibe migliaia di italiani in Istria e nella Venezia Giulia? Perché i titini erano mostri comunisti e slavi, cioè due volte cattivi. E’ imbarazzante il fatto che questa risposta – fornita dal “mago” – sia l’unica, oggi, in circolazione. Se non ci si vaccina, dal “pensiero magico”, domani colpirà ancora (non importa chi). E nessuno si accorgerà del trucco.
(Giorgio Cattaneo, 13 febbraio 2020).
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