RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
18 GIUGNO 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
È anche proprio della tirannide avere come compagni di tavola e d’ogni giorno i forestieri anziché i concittadini poiché questi gli sono nemici, quelli non hanno motivo di contesa con lui [il tiranno]
Questi e altrettanti mezzi sono caratteristici della tirannide e ne conservano il potere: (…) 1) che i sudditi abbiano pensieri meschini (un pusillanime non si rivolterà contro nessuno); 2) che siano in continua diffidenza l’uno dell’altro; (…); 3) che siano nell’impossibilità di agire.
ARISTOTELE, Politica, V, 11, 1314a, Laterza, 1973, Vol. 9 Opere, pag, 191-192
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SOMMARIO
Segnali dal futuro
L’OMBRA DI SOROS E LE SCELTE DI COLAO
TERRORISMO MEDIATICO. ALCUNI ESEMPI.
Ci mancava la task force sul sesso pandemicamente corretto
INDIA, COREA E TURCHIA
Gli scontri tra ceceni e nordafricani in Francia, spiegati
Abbiamo un problema: siamo in guerra, ma non lo vediamo
Amelia Earhart
Meno male che a proteggere la GEOX c’era la Polizia Postale
Mi unisco all’appello di Claudio Messora
ADDIO PARMIGIANO E PROSCIUTTO. LA UE VUOLE DISTRUGGERE IL SANO CIBO ITALIANO.
Contributi a fondo perduto: guida alla domanda online
Le imprese europee verso un ecatombe di fallimenti?
CADE UN PILASTRO FINANZIARO AL RECOVERY FUND.
FCA-PSA nel mirino dell’UE: aperta indagine sulla fusione
Popolare di Bari: dal Tesoro un via libera da €430 milioni. E adesso?
Fusione UBI-Intesa: è arrivato anche l’ok dell’Ivass. E adesso?
Perché il colosso Intesa-Ubi può scuotere l’Italia
Le monete nuove dell’imperatore
Ci risiamo: l’Ue vuole sostituirci con i migranti
ICONOCLASTIA o iconoclasmo
Smart working: resterà la modalità di lavoro prevalente
Pensioni più leggere dal 2021: ecco perché e chi subirà il taglio
1000 MILIARDI DI DOLLARI: IL PIANO DI INVESTIMENTI DI TRUMP SPAVENTA PERFINO I REPUBBLICANI
Perché bisogna capire in fretta dove ha sbagliato l’Oms
I TG NON L’HANNO DETTO
Bravo, centrodestra: nessun aiutino al regimetto di Conte
Onfray: la sinistra è morta, s’è venduta al Grande Fratello
Cina, nuovo focolaio a Pechino: tutta colpa del salmone?
Pandemia, app e tecnologia: Lo spettro della sorveglianza digitale
DAL LIBRO DEL PROF. GIULIO TARRO “COVID19, IL VIRUS DELLA PAURA”
EDITORIALE
Segnali dal futuro …
Manlio Lo Presti – 18 giugno 2020
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Non mi soffermo su tutte le implicazioni sociali, economiche, psicologiche e simboliche che sottendo alla prigionia di milioni di persone innocenti attanagliate soprattutto dalla paura, fino a configurarsi il reato di:
- procurato allarme, per aver seminato il panico e fatto percepire una situazione volutamente aggravata per fini di potere e di controllo della popolazione,
- minacce aggravate e continuate da parte delle forze dell’ordine,
- abuso d’ufficio, per le pesantissime multe comminate sulla base di meri provvedimenti amministrativi, contrabbandati per “decreti”,
- altro tradimento, per le numerose violazioni della normativa italiana attuale e delle Costituzione in almeno 12 articoli e l’inerzia scandalosa dell’effervescente morphing del colle e della totale impotenza o, peggio, connivenza di un Parlamento quasi totalmente composto da gente ricattata duramente e di cui ben il 30% è pagato dalla Francia con soldi, cattedre universitarie, incarichi governativi e in grandi imprese multinazionali per facilitare il passaggio delle attività patrimoniale italiane in mani straniere,
- mancata tutela degli interessi nazionali: i servizi segreti nazionali sono stati inermi, collusi o inascoltati
TUTTO CIÒ PREMESSO
Stanno circolando strani segnali che non fanno presagire nulla di buono per gli italiani:
- fusioni e concentrazioni bancarie hanno una accelerazione, sicuramente programmata e affinata nel periodo di detenzione della popolazione italiana, per spostare 4.250 miliardi di euro risparmiati verso altri Paesi mediante fusioni e concentrazioni, con il colpevole silenzio degli organi di controllo che si giustificano dietro un ossessivo e cinico “legalismo” e nulla di più;
- debito pubblico irredibimibile collocabile forzosamente in Italia e facilitato nella sua diffusione con la creazione di una figura contrattuale bancaria defiscalizzata unicamente per la detenzione in portafoglio di titoli aventi un preciso codice di identificazione ISIN. Il collocamento sarebbe quindi deciso ex abrupto con il sistema della rasoiata (alla Giuliano Amato, per capirci) però finalizzata al collocamento dei titoli pubblici ad una prefissata percentuale del saldo disponibile ad una certa data;
- incremento del lavoro da casa, mirante alla desertificazione delle città più facilmente controllabili in caso di rivolte sociali che esploderanno con le ulteriori decine di milioni di disoccupati dopo settembre;
- finanziamenti non ancora erogati: il Paese deve cuocersi ancora di più per rendere urgenti ed irrevocabili le misure economiche di salvataggio del Paese SEMPRE NELL’INTERESSE DEGLI ITALIANI, OVVIO E FATE PRESTO!!!!!!!!!!!!!!!
- Imposta patrimoniale: uno spauracchio agitato a bella posta quando qualcuno tenta di pensarla in modo diverso da quanto decretato dalla SCREDITATA E VENDUTA CUPOLA DE’ NOANTRI;
- scarcerazioni di oltre 400 criminali mafiosi eccellenti: cosa dovranno fare costoro per risarcire la liberazione? Cosa vorranno fare gli alti comandi? Per evitare il voto e almeno fino alla scadenza del presidente della repubblica, potranno fare ricorso ad attentati con migliaia di morti per bloccare il processo sociale e civile del Paese. Non a caso, i telegiornali irregimentati stanno diffondendo qua e le notizie di azioni di sedicenti “gruppi anarchici” che incendiano e danneggiano, ma niente di serio, per ora;
- Iconoclasmo a raffica. Statue assaltate e/ imbrattate;
- Censura storica e letteraria ex post di Dante, Shakespeare, Verdi, Croce, Ungaretti, Montanelli, di cartoni animati, di film come Via col vento, ecc.;
- Opinioni mediche contrastanti: il Paese deve rimanere dentro un permanente shock cognitivo. La gente NON DEVE CAPIRE NULLA!
I primi cinque punti sono i più pericolosi perché pregiudicano il futuro economico. I seguenti stanno costringendo l’Italia ad uno stato di caos permanente.
P.Q.M.
La convergenza distruttiva dei due gruppi di debolezza ridurrà il nostro martoriato Paese alle condizioni di un Paese latinoamericano o africano.
Permanendo lo stato di cose appena descritto, non vedo all’orizzonte soluzioni possibili e, soprattutto, condivise per evitare l’insorgenza di una disordinata e sanguinosa guerra civile in un Paese invaso da milioni di nordafricani, bangladini (da 12.000 km di distanza e non ucraini più vicini) assatanati e convinti che il territorio è una preda da spolpare e danneggiare a piacimento, mentre si attendono le più massicce e numerose ondate successive…
Con il perdurare di questo stato di cose, la via d’uscita pacifica si fa sempre più lontana!
IN EVIDENZA
L’OMBRA DI SOROS E LE SCELTE DI COLAO
Gli inviti al Bel Respiro di Giuseppe Conte hanno destato nello scrivente il ricordo d’una cena, organizzata e pagata a Bruxelles da George Soros nel 1994. Si può ammettere con certezza che gli unici non partecipanti, e per libera scelta, furono l’architetto Roberto Mezzaroma (allora europarlamentare) e chi vi scrive. È difficile asserire quanto quel diniego abbia influito sulle rispettive fortune, ma corre obbligo rammentare che, la fine della libertà economica italiana sia iniziata per mano del potente speculatore ungherese naturalizzato Usa. Si rifiutava l’invito, l’ammucchiata politico-pennivendola, perché profondamente indignati verso l’uomo (Soros) che aveva orchestrato prima la caduta di Craxi tramite i suoi sicari sul Britannia e poi la speculazione allo scoperto sulla lira, decretando la morte dell’Italia per via giudiziario-finanziaria.
L’attuale ricetta Conte per il rilancio del Paese è tutta imperniata sull’indebitamento sociofamiliare, come catalizzatore (falso ed ingannevole) di crescita economica. Ma questa ricetta è totalmente mutuata dal Soros pensiero, è la visione che esclude il risparmio, l’accantonamento, l’autofinanziamento. Sopratutto brucia la sedimentazione patrimoniale di una nazione. Una ricetta distruttiva, che apre a speculazioni e svendite: ma che Vittorio Colao (allievo di Soros) appoggia totalmente. Colao opera nei desiderata dei potenti della Terra, ovvero quel notabilato interessato alle opere d’arte italiane (statue, quadri, monumenti, ville…). Non è certo un mistero che Vittorio Colao abbia incontrato a Londra i ricchi banchieri tedeschi, olandesi e danesi prima degli Stati Generali: le malelingue dicono che i signoroni della finanza abbiano consegnato al manager l’elenco delle opere d’arte a cui sono interessati.
Nell’elenco sono da escludere quelle già nei forzieri della Deutsche bank, per lo più tele tra il Quattrocento ed il Settecento depositate per sicurezza: tutto patrimonio italiano che si può tranquillamente già dare per perso. Del resto da Berlino a Francoforte, da Amsterdam ad Anversa, da Amburgo a Copenaghen, hanno costruito teche di vetro similari a quella che ingloba a Roma l’Ara Pacis: è lecito sospettare le riempiano presto delle nostre opere d’arte, come già la Germania guglielmina fece col morente impero turco, a cui sottrasse (per risarcimento di qualche debituccio) dall’intero ellenismo nell’Asia minore (Pergamo) sino alla porta di Damasco. Il Pergamon Museum di Berlino è nato così, sui problemi finanziari d’una Turchia al crepuscolo, e dovettero attendere Ataturk perché nessuna opera d’arte valicasse più il Bosforo. Faremo anche noi italiani come i greci? Oggi per vedere il trionfo della civiltà ellenistica, ovvero l’Altare di Pergamo, occorre viaggiare sino a Berlino.
Le nostre opere d’arte sono già state valutate, e gran parte coprirebbero i mille miliardi d’esposizione debitoria che ci viene rinfacciata da Austria, Germania, Olanda, Belgio, Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia, nonché dalle società di rating e dagli “investitori istituzionali”. Questi ultimi, tutti legati alle grandi banche d’affari ed agli 007 finanziari che organizzarono l’incontro sullo yacht Britannia, e dopo ventotto anni sono a Roma per gli Stati Generali. Sembra di vivere una storia capitata a Parigi durante l’occupazione tedesca, quando un alto ufficiale ebbe ad esclamare “i francesi non meritano culturalmente e moralmente di detenere l’arte… che i musei partano per Berlino”.
Bignami sull’ispiratore
George Soros risulterebbe condannato all’ergastolo in Indonesia e alla pena di morte in Malesia, per una speculazione sulle monete locali che ha ridotto alla fame entrambi i Paesi. Anche nella filantropica Francia è stato condannato per insider trading a pagare una multa di due miliardi e mezzo di dollari: s’è appellato alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, ma nonostante le “raccomandazioni internazionali” la condanna è stata confermata. A causa delle numerose condanne in tutto il Pianeta, da alcuni anni opera principalmente da Londra. Finanzia con le sue fondazioni molti partiti (tra cui due italiani) col fine di legiferare per la liberalizzazione della droga in Italia (e nel mondo): attraverso l’Università di Harvard ha fatto raccomandare uno studio che propaganda la “produzione e traffico di droga come rimedio agli eccessivi deficit di bilancio”.
Il Wall Street Journal accusa Soros d’essere l’autore delle campagne di vendita allo scoperto degli hedge fund (fondi speculativi) con l’obiettivo di portare l’euro alla parità “uno a uno” col dollaro: parallelamente, Soros chiede ai governi di rafforzare il sistema di controllo sovranazionale dell’euro attraverso gli Eurobond. Soros è il sostenitore del TTIP: sistema che metterebbe in crisi il nostro interscambio commerciale. La speculazione su Lira e Sterlina nel 1992 è fruttata a Soros 3 miliardi di dollari: un ceffone a Londra e la morte del sistema italiano. La magistratura italiana non ha spiccato alcun mandato di cattura per il finanziere, anzi magistrati ed accademici hanno insignito Soros nel 1996 d’una laurea honoris causa all’Università di Bologna (consegnatagli direttamente da Romano Prodi).
In quel 1996, veniva avviata dalla Guardia di Finanza un’inchiesta sui fatti del ’92, per constatare se “influenti italiani abbiano operato illegalmente dietro banche e speculatori ricavando un guadagno accodandosi a Soros nella speculazione contro la lira”: l’inchiesta veniva bloccata da poteri riconducibili al Csm. Secondo il settimanale Il Mondo, tra i nomi c’erano quelli di Romano Prodi, Enrico Cuccia (ex Bankitalia e Mediobanca), Guido Rossi (Calciopoli), Luciano Benetton… ed indicibili poteri forti dell’epoca.
“Sono certo che le mie attività speculative hanno avuto delle conseguenze negative – dichiarava nel 2000 ad una giornalista Sky americana -. Ma questo fatto non entra nel mio pensiero. Non può. Se io mi astenessi da determinate azioni a causa di dubbi morali, allora cesserei di essere un efficace speculatore. Non ho neanche l’ombra di un rimorso perché ho fatto un profitto dalle speculazioni. L’ho fatto semplicemente per far soldi… i dieci mesi dell’occupazione nazista in Ungheria furono i più belli della mia vita, così avventurosi…”.
Soros finanzia Barack Obama dal 2004, poi è il terzo azionista della Idg (coop rossa controllata dalla Lega delle Cooperative). Soros ha ammesso in diretta televisiva Cnn di aver “finanziato la rivoluzione colorata dell’Ucraina di piazza Maidan per favorire l’inserimento di una giunta amica degli Stati Uniti”. In passato aveva già finanziato la rivoluzione arancione in Ucraina, la “rivoluzione delle rose” in Georgia, la “rivoluzione dei tulipani” in Kirghizistan, la “rivoluzione zafferano” in Myanmar e la rivoluzione verde in Iran. Rivoli finanziari verso Black Bloc e Popolo Viola in Italia sarebbero riconducibili a Soros. Suoi seguaci politici sono stati Tony Blair, Bill Clinton, François Mitterrand, Jacques Attali, Gerhard Schröder, Christine Lagarde, François Hollande, Romano Prodi, Julya Tymoschenko, Victoria Nuland… Giuseppe Conte, Vittorio Colao, i Benetton. Finanzia dall’Huffington Post agli ambientalisti, dalle Femen alle Pussy Riots. Soros vorrebbe meno sovranità anche per gli Usa, a favore di organismi sovranazionali come Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale: si auto-definisce “estremista ambientale”, vede se stesso come “una figura messianica” e non un efficace speculatore. Finanzia Ong, arcigay, manualetti per i migranti sulla rotta Balcanica… e nuovi partiti in grado di far deflagrare i bilanci degli stati. Circa quindici anni fa trattava con l’allora ministro venezuelano Maduro sulla lista dei nuovi partiti amici in Europa. Si vorrebbe chiarezza almeno su quest’ultimo punto.
FONTE:http://www.opinione.it/politica/2020/06/17/capone_politica_george-soros-conte-governo-italiano-colao/
TERRORISMO MEDIATICO. ALCUNI ESEMPI.
Agenzia ANSA:
Coronavirus: Usa, più morti che nella prima guerra mondiale
“Il bilancio dei morti provocati dal coronavirus negli Stati Uniti ha superato anche quello delle vittime americane della prima guerra mondiale. Nel primo conflitto mondiale, ricordano i media internazionali, morirono 116.516 americani, mentre il conteggio aggiornato della Johns Hopkins registra ad oggi 116.963 decessi”.
In 2020, an estimated 606.520 people will die of cancer in the United States
In USA quest’anno moriranno di cancro 606.520 persone – Senza che ciò comporti titoli come:
Cancro: in USA, 5 volte più morti che nella prima guerra mondiale!
I morti per infarto e cause cardiocircolatorie sono un po’ di più: Heart disease: 647. 457
BRASILE:
(Le morti per cancro in Brasile, nel 2018, sono state 559.371 – Nessun allarme di Mentana )
(E intanto la Palamara si arrocca)
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/terrorismo-mediatico/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Ci mancava la task force sul sesso pandemicamente corretto
17 06 2020
Quando il gioco si fa duro, i duri fanno una task force. Un’altra? Un’altra: spirata quella di Vittorio Colao, un pomposo florilegio di banalità a base di “resilienza” e “sburocratizzazione” condite da disegnini bimbiminkia style, si annuncia un nuovo comitato scientifico che, tanto per cambiare, ci dirà come stare al mondo. E anche, crepi l’avarizia, come mettere al mondo. Ma che, davero davero? E come no: se lo devi fare, il Grande Fratello, lo devi fare fino in fondo, fino al Grande Bordello se occorre. E per quanto noi se ne abbia piene le task di queste “force” che servono a niente e vengono giubilate con tanti saluti e una pedata nel prestigioso sedere manageriale, lorsignori no, non si rassegnano, a loro non basta mai.
Adesso si sono accorti che, ma chi l’avrebbe mai detto, sotto lockdown si combinava poco e niente: lo ha stabilito la solita imperscrutabile ricerca, questa condotta da Durex, che è un marchio cui tutti noi siamo stati prima o poi legati, quello dei preservativi (“goldoni”, in slang scolastico) e la ricercona ha constatato che nove italiani su dieci con tutte quelle ore da riempire, non ci facevano niente; i pochi che si cimentavano, andavano incontro a scarsissima gratificazione: “And I try, and I try, and I try, and I try, but I can’t get no satisfaction“. Vedi però la scienza, che scoperte che ti fa: non si tromba più, invasi come siamo da ansia, nevrosi, depressione, manie di persecuzione, miraggi. I siciliani, nella loro infinita saggezza popolare, c’erano arrivati senza ricerche e senza task force: “La minchia non vuole pensieri”.
Invece durante la cattività di pensieri che si agitano a folate come nere lenzuola di fantasmi sconvolti ne arrivano anche troppi e uno, sempre quello, avvolge tutti gli altri: quanto durerà questa non vita, quanto potremo resistere ancora? Il sesso è un’attività gioiosa, giocosa, complice: se diventa via di fuga, non porta da nessuna parte, non salva, si risolve in uno squallore da morte a Venezia, da Casanova felliniano. In fondo, la faccenda è molto semplice, come la felicità di Trilussa e l’aveva colto il filosofo Paki dei Nuovi Angeli intorno al 1970: “Basta dir uakadì uakadù, prova un po’ quando lei non vuol più, la più bella che ci sia non resiste alla magia, basta dir uakadì uakadù”. Tutto molto semplice, anche se c’è una dottoressa Sonia De Balzo, sessuologa specialista in psicologia clinica e dello sviluppo dell’Ospedale Cotugno di Napoli e membro (ma forse è meglio dire membra) della nuova task force, che la mette giù dura: “La pandemia che ha colpito il nostro Paese ci ha costretto per motivi di sicurezza all’isolamento sociale.
Questa condizione ha generato degli effetti psicosessuali a breve e a lungo termine”. Insomma, sostiene De Balzo che l’amico prediletto non balza più. Miii, che scanto! Tutto ciò considerato, al governo hanno deciso di farci una task force per formattarci pure lì; per riconfigurarsi nel segno di una sessualità più responsabile, ecocompatibile, sostenibile, cock lives matter. Il volo pare un po’ pindarico, ma soprattutto padulo: si sente puzza di fregatura, quando s’arrizza una task force; la cui missione, difatti, nel caso specifico è ancora una volta assai fumosa, in perfetto supercazzolese: “Diventa di primaria importanza sollecitare l’opinione pubblica ad adottare un approccio consapevole su quanto ci accade intorno al fine di promuovere un’opera di sensibilizzazione riguardo alla prevenzione del contagio del virus Covid-19, e ancor di più, del virus dell’Hiv e delle altre malattie a trasmissione sessuale”.
Ci siamo: col pretesto della prevenzione e della sicurezza, si pretende l’”approccio consapevole”, cioè zinzare come la vuole il governo: il processo di cinesizzazione procede spedito. Capo della task force sessuale, l’infettivologo del Sacco di Milano, Massimo Galli; altri membri, absit injuria verbis: la succitata sessuologa De Balzo del Cutugno di Napoli, il dottor Alberto Venturini, psicologo psicoterapeuta cognitivo comportamentale della Struttura complessa Malattie infettive dell’ospedale Galliera di Genova e la dottoressa Alessandra Scarabello, dermatologa presso l’Inmi Spallanzani di Roma. Molte teste pensanti, speriamo non troppi galli nel pensatoio. Viva la task, ci fa copulare sani, viva la task. Viva la task, quanti galli lavorano solo per noi, sentite qua l’infettivologo in chief: “La crisi causata da Covid offre l’opportunità di ripartire ‘bene’ anche da questo punto di vista, cogliendo l’opportunità di programmi educativi volti ad estendere i comportamenti responsabili anche all’ambito sessuale”. I programmi educativi per fare l’amore, non mette subito un brivido e non di piacere? Ma chi è che si produce a comando? E poi, secondo quali canoni, regole e procedure? Ci sarà una autocertificazione anche per questo? Lanceranno una nuova app, “Inc*li”, per monitorare i dissidenti? E i consulenti, che non mancano mai, stavolta chi saranno: Valentina Nappi, Rocco Siffredi e Malena? E i mitici virologi-utilité, che solo a vederli uno si eccita, da Roberto Burioni a Ilaria Capua, dove li mettiamo? E non ci sarebbe un posticino per alcuni numi tutelari della sinistra consapevole, da Christian Raimo a Michela Murgia, da Roberto Saviano a Vladimir Luxuria, così tutte le quote sono coperte?
E, se è vero che il supermanager Colao si è scoperto essere un supercopione, questi da chi cloneranno semmai? Dal Kamasutra, dal Libretto Rosso, da Cappuccetto Rosso, da Porci con le Ali? O da Pornhub, che comunque funziona molto meglio dell’Inps? Grande è la confusione sotto il letto, la situazione è indecente. Se poi anche per omogeneizzarci in questa pratica antica come l’umanità (per forza…), dovessero inventarsi un vaccino, sappiamo già per quale via ci verrà somministrato. Altro che il gioco si fa duro, qui è una mosceria irreversibile, una cura Ludovico che Anthony Burgess manco se la sognava; dopo la riconfigurazione della parola, del pensiero, dell’energia, dell’ambiente, della storia, dei monumenti, della salute, dell’alimentazione, dei vizi & desideri anche l’ultima frontiera, la più privata, la più individuale, la più anarchica, volendo, è stata travolta: come sempre per il nostro bene, stanno apparecchiando pure il piacere o quel che ne resta.
Manca solo che posizionino una dinamo alla fonte, in modo da generare energia trombina, naturalmente sottoposta ad equa tassazione. Ma ci arriveremo. E, alla fine, ci diranno quanto è bello farlo in senso sociale, equo-solidale, come baccalà, senza fantasia, senza libertà, senza estro, senza parlarci, incapsulati nel plexiglas, fasciati da mascherine. E tutti in treccine, si capisce. Oltre la distopia, c’è il prof Mandrillo, l’infettivologo in missione per conto di Conte.
“Non lasceremo indietro nessuno”, aveva promesso Giuseppi strafogandosi di stuzzichini a villa Pamphilj. Era una profezia e i risultati di questo ultimo, definitivo esperimento asociale verranno celebrati agli Strati generali da tenersi nel famoso ex manicomio di Mombello a Limbiate.
FONTE:https://www.nicolaporro.it/ci-mancava-la-task-force-sul-sesso-pandemicamente-corretto/
CONFLITTI GEOPOLITICI
INDIA, COREA E TURCHIA
18 Giugno 2020 posted by Giuseppina Perlasca
LE CRISI CHE DANNO UNA SIMPATICA SPINTA VERSO LA FINE DEL MONDO
Mentre l’occidente è impegnato a leccarsi le ferite del Covid-19, spesso, come in Europa, senza trovarne una vera soluzione (ma vi spiegheremo oggi più avanti il perchè), ci sono tre gravissime crisi internazionali che rischiano di evolvere al livello di conflitti globali, di cui una rischia di coinvolgerci direttamente.
La prima è quella di cui non parla nessuno, praticamente, nei media mainstream italiani: la crisi fra India e Cina. con venti morti almeno da parte indiana e 35 circa da parte cinese, cifra non ufficialmente confermata, lo scontro nella valle di Galwan è la più sanguinosa dal 1964 e mostra come non ci possa essere una facile soluzione ai conflitti di confine fra questi due paesi. Basta vedere come sono scoppiati gli scontri: i reparti militari dei due paesi si sono disarmati e si sono incontrati per concordare un ritiro dall’area montana, ma tutto è degenerato e siamo passati a quella che Einstein definiva la quarta guerra mondiale: si sono scontrati a pugni, coltellate, sassi e bastonate, e ci sono stati morti e feriti anche perchè alcuni sono caduti nel fiume, a più di 5000 metri, morendo assiderati. Gli indiani accusano i cinesi di “Salami-slicing landgrabbing” cioè di impossessarsi dei territori una fettina alla volta, contando su mezzi logistici maggiori, ma l’esercito indiano ha già messo in luce che, questa volta , questo non avverrà senza costi umani per la Cina. Sono in programma dei colloqui ad alto livello, ma per ora non hanno raggiunto nulla, perchè la Cina è troppo avida territorialmente e l’India ha una forte spinta nazionalistica.Se non si è assistito ad un rinnovarsi degli scontri a livello più elevato è, al momento, solo per la difficoltà di mantenere reparti militari attivi oltre i 5000 metri che costituiscono il campo di battaglia: i soldati provenienti dalle pianure necessitano di un paio di settimane di acclimatamento per essere operativi a queste altitudini. Nel frattempo i politici indiani spingono per cancellare i contratti infrastrutturali conclusi con le aziende cinesi. Il conflitto si spinge a livello economico.
La Corea del Nord sta alzando il livello del confronto con quella del Sud. Dopo aver fatto esplodere l’ufficio di collegamento fra le due Coree ed aver annunciato che rioccuperà il proprio lato della zona demilitarizzata, ha anche annunciato che i sud coreani !”Pagheranno” per i propri peccati. questi consistono nell’aver lasciato che i disertori nord coreani lanciassero dei palloni con attaccai volantini in cui si spiega la realtà dei fatti, una provocazione che il governo ufficiale di Seul ha affermato che interromperà. Nello stesso tempo però il governo Moon , del sud, ha anche detto che risponderà con al forza ad eventuali altre provocazioni. Raramente questi scontri fra Sud e Nord giungono ad un livello militare, ma con il Nord in una situazione non chiara, fra crisi economica e COVID-19, non si sa come potrebbe evolvere la situazione. Nel caso di conflitto militare il Sud sarebbe prevalente, ed anche in modo facile, ma c’è l’incognita nucleare.
Turchia. La Turchia sta agendo su due fronti: in Siria – Iraq ieri è partita la maggior campagna di bombardamenti degli ultimi mesi con la quale Ankara ha colpito le basi del PKK nel nord dell’Iraq, attaccando quelli che sono gli alleati degli USA e le migliori garanzie occidentali contro l’ISIS. Poi c’è il fronte libico, ove Erdogan il Sultano sta agendo attivamente al fianco di Al Sisi, rendendo ridicolo l’embargo ONU delle armi e sbarcando navi intere di carri armati, munizioni e miliziani. Quando la fregata francese Courbet ha deciso di controllare un cargo turco diretto a Misurata si è vista fermare in maniera molto aggressiva da una fregata turca, con i radar per la direzione di tiro attivi ed i mariani turchi in assetto da combattimento sul ponte. Immagini satellitari hanno rivelato che la nave turca ha sbarcato carri armati M60 e miliziani a Misurata, preparando quindi un attacco verso Haftar, appoggiato da Russia, Egitto ed Emirati e non sgradito a USA e Francia. Parigi ha reagito duramente affermando che la presenza nella NATO di Ankara è, a questo punto, un controsenso. Parigi ha ragione, ma ha anche torto: ora sta pagando il proprio isolamento mediterraneo. Un serio blocco navale della Libia non può essere fatto senza l’Italia: se l’Italia fosse stata attivamente coinvolta la fregata turca birichina si sarebbe trovata due Eurofighter con un po’ di missili Maverick a spiegare come gira il mondo, nell’arco di una quindicina di minuti. Però alla prossima nave carica di carri armati cosa succederà ?
FONTE:https://scenarieconomici.it/india-corea-e-turchia-le-crisi-che-danno-una-simpatica-spinta-verso-la-fine-del-mondo/
Gli scontri tra ceceni e nordafricani in Francia, spiegati
Sono scene di guerra civile quelle che provengono dal capoluogo della provincia francese della Borgogna, Digione, e che stanno ormai andando avanti dalla sera dello scorso venerdì a seguito di un attacco subito da un cittadino di origini cecene nel quartiere popolare di Gresilles. Gli scontri, che hanno coinvolto oltre 100 individui ceceni provenienti – secondo l’agenzia di stampa Reuters – da tutta la Francia e la popolazione di origine nordafricana locale hanno provocato gravi danni alla città di Digione. Stando infatti a quanto riportato dalla testata francese Le Monde, nel corso degli ultimi quattro giorni sarebbero stati incendiati numerosi veicoli e cassonetti della spazzatura, al punto di generare uno scenario di guerriglia urbana che la Francia non affrontava da anni. E nonostante i tentativi del governo francese di minimizzare l’accaduto, la sensazione è quella che – insieme alle altre manifestazioni che sta affrontando in questi giorni Parigi – l’ordine pubblico della Francia stia in questi giorni sfuggendo di mano.
La Francia invierà un contingente aggiuntivo di polizia
Francois Rebsamen, sindaco di Digione, aveva denunciato nelle scorse ore la mancanza di adeguate forze di polizia nel dipartimento che hanno contribuito al veloce peggioramento della situazione. A seguito di ciò, il ministro degli interni francese ha promesso un’invio di un contingente aggiuntivo a difesa del quartiere, sostenendo come la risposta ritardata fosse “obbligata” a causa del rischio di scontri armati con le bande armate attive durante la notte. Tuttavia, nonostante la presa di posizione netta promessa dal governo di Parigi, la sensazione è che anche questa volta le tempistiche non siano state completamente azzeccate, mettendo in pericolo la stessa popolazione di Gresilles.
Una delle possibilità è quella che intende la scelta delle forze dell’ordine all’interno di un quadro più ampio e delineato anche dalle contestuali proteste del Black Lives Matter e che hanno frenato un intervento vigoroso sin dalle prime ore. Con le crescenti pulsioni tra manifestanti e polizia, una dispersione violente – e magari ripresa – delle bande attive a Digione sarebbe potuta divenire inoltre fraintesa molto velocemente, alimentando gli squilibri all’interno del Paese; e soprattutto, mettendo in difficoltà ancora maggiori lo stesso esecutivo parigino.
Covid, Bande e BLM: Macron è sotto assedio
È dallo scoppio delle proteste dei trasporti dello scorso inverno che il presidente della Francia Emmanuel Macron si trova di fronte ad uno scenario che sino allo scorso anno non si sarebbe nemmeno potuto immaginare. Negli ultimi sei mesi, infatti, sono accaduti più imprevisti alla Francia ed al suo governo rispetto a quanto affrontati sino a quel momento dal suo insediamento. Dopo le contestazioni per la riforma delle pensioni, sono infatti comparse sullo scenario della Francia la pandemia di coronavirus, la recessione economica, le proteste del movimento Blm e, adesso, anche il pericolo derivante dalle guerriglie urbane portate avanti dalle bande armate. Uno scenario da incubo che si è paventato, date le tempistiche, quasi dal giorno alla notte.
Tutto questo mentre per l’ennesima volta l’esecutivo della Francia e il suo presidente sono di nuovo al centro delle proteste della popolazione, situazione che ha obbligato infatti lo stesso Macron a presentarsi in diretta televisiva di fronte al popolo lo scorso 14 giugno. E con le difficoltà contingenti con le quali si è trovato a fare i conti anche a livello internazionale (dalla crisi dei commerci alle debolezze evidenziate dall’alleato Khalifa Haftar in Libia) e nazionali (con gli exit poll delle comunali) il leader di En Marche! si è ritrovato ancora una volta con le spalle al muro. Questa volta, però, la sensazione è che uscirne indenne sarà complicato quanto mai prima.
FONTE:https://it.insideover.com/societa/gli-scontri-tra-ceceni-e-nordafricani-spiegati.html
Abbiamo un problema: siamo in guerra, ma non lo vediamo
Houston, abbiamo un problema. Il pubblico si spella le mani, pro o contro i suoi gladiatori di cartapesta, mentre là fuori impazza una specie di guerra mai vista, spaventosa, insidiosissia perché subdola: c’è in giro un killer, travestito da infermiere. Ha anche aperto una macelleria sfrontata, fino a ieri impensabile: e il peggio non è neppure la disinvoltura delle amputazioni senza anestesia (le pagine oscurate, i blog censurati, i video desaparecidos), ma il fatto che metà del pubblico sbeffeggi come vittimisti e inguaribili visionari gli autori delle denunce “bannate”, cancellate con un colpo di spugna. E’ il pubblico che trova normale che nell’anno 2020 dopo Cristo, non in Corea del Nord ma in un paese dell’Unione Europea, il governo istituisca una sorta di Ministero della Verità, senza vergognarsi di filtrare le informazioni destinate ai sudditi, a loro volta ben divisi in due ostinate tifoserie cementate da un rancore surreale, fuori luogo. Che il genere fantasy sia forse il più appropriato, per descrive l’attuale situazione psico-politica, lo suggerisce il lessico usato da un cardinale nel promuovere Donald Trump come “figlio della luce”, nemico del tenebroso Deep State che usa questa stranissima emergenza sanitaria per imprigionare il mondo nel cerchio magico della paura, oscurando l’orizzonte di una libertà democratica erroneamente data per scontata, ormai al sicuro per sempre.
Una avventurosa semplificazione, quella di monsignor Carlo Maria Viganò, che si inserisce bene nella narrazione “mitologica” di Q-Anon, l’armata-fantasma dei giustizieri del Bene, scesi in campo contro il Male. Parola di Gioele Magaldi, spettacolare demolitore di verità solo apparenti, a sua volta regolarmente silenziato dalle redazioni come anche il suo bestseller “Massoni”, che già nel 2014 anticipava il menù che ci saremmo trovati di fronte. Una cupola di potentissimi oligarchi, cinici e spregiudicati, pronta a scatenare l’inferno in Terra pur di non perdere il potere con il quale in questi decenni si è declassata l’economia a superstizione, svuotando la politica nel limbo della post-democrazia. Un mondo orwelliano, in cui – come ricordava amabilmente due anni fa il tedesco Günther Oettinger – sono i mercati (e non gli elettori) a stabilire da chi farsi governare. I Mercati: definizione quasi metafisica, come se gli speculatori non fossero soggetti in carne e ossa, con amici e nemici, affezionati clienti e politici a libro paga. Deep State: altra entità quasi soprannaturale, come se lo stesso Trump non fosse sorretto, a sua volta, da una parte di quello Stato Profondo che, per mestiere, è abilitato a progettare manovre insospettabili e spesso inconfessabili, indicibili, inclusi gli attentati che poi vengono attribuiti alla manovalanza bruta, magari islamista.
Dopo la lettera di Viganò alla Casa Bianca, anche Magaldi – esponente italiano del network massonico progressista – ha fatto avere un messaggio a Trump: occhio, Donald, a non lasciarti mettere in quell’angolino vetero-tradizionalista in cui vorrebbe relegarti il monsignore, che ti dipinge come paladino di valori arcaici, quelli di chi avversa i diritti civili. Al presidente americano, Magaldi ricorda il ruolo determinante – svolto proprio dai grembiulini progressisti – nella sua sorprendente elezione del 2016, con un mandato preciso: smontare dall’interno il potere letale del Deep State finto-democratico e fermare la sua principale macchina da guerra, il regime cinese sdoganato (in tempi non sospetti) da personaggi come Kissinger, interessati a farne un modello per un Occidente non più libero. Ha grandi credenziali, Kissinger: è stato il sommo regista del golpe in Cile contro Allende, nonché il vero editore del manifesto “La crisi della democrazia”, in cui si sostiene che di troppa democrazia si possa morire. Lunga storia: per Bob Dylan – nientemeno – questa vicenda comincia dieci anni prima, con l’omicidio (tuttora impunito) di John Kennedy, il campione della libertà che per primo puntò il dito contro quel Deep State, minacciando di disciogliere e smembrare la Cia di Allen Dulles. Era un incorreggibile complottista, Kennedy?
Un prestigioso collega di Kissinger, lo stratega Zbigniew Brzezinski, reclutò un certo Osama Bin Laden in Afghanistan contro i sovietici. Poi Osama sarebbe ricomparso tanti anni dopo (non più come amico), dando sostanza iconica e credibilità propagandistica al Pnac, il Piano per il Nuovo Secolo Americano ordito dai Bush, per poi finalmente defungere: già nel 2001, malato di reni, o (a scelta) giustiziato in Pakistan nel 2011 – secondo Obama – al termine di un blitz dei Navy Seals, poi tutti morti a Kabul a bordo del loro elicottero. Questo accadeva comunque a valle delle Grandi Decisioni, risalenti al 1999, quando il democrat Bill Clinton stracciò il Glass-Steagall Act con il quale Roosevelt nel 1933 aveva deciso di proteggere il risparmio privato dalla speculazione finanziaria. Ottenuti da Clinton i pieni poteri, Wall Street cominciò a fare politica sul serio, al posto dei politici. In Europa, la legge del taglione (finanziario) fu istituzionalizzata a Maastricht, dopo aver “ripulito” il vecchio continente dai potenziali guastafeste: l’obsoleto Aldo Moro, l’ex socialista Mitterrand ridotto alla ragione neoliberista (la graziosa invenzione del tetto del 3% alla spesa pubblica). Per liquidare Craxi bastò Tangentopoli, mentre per lo svedese Olof Palme – leader carismatico della sinistra socialista europea – ci vollero le pallottole.
Crollarono, le Twin Towers, secondo i media per effetto della collisione di due aerei: erano così fragili, quei grattacieli, che – per prevederne la demolizione controllata – il Comune di New York aveva preteso la possibilità di installare, nelle fondamenta, niente di meno che delle bombe atomiche. E’ tutto scritto nelle carte edilizie della municipalità, ma non sono argomenti che interessino i reporter di oggi: «Ne caccerei 9 su 10», ha ricordato Seymour Hersh, Premio Pulitzer e cavallo di razza di un giornalismo oggi estinto e che, ai tempi, era capace di far dimettere i presidenti degli Stati Uniti, quando esistevano ancora gli editori puri, interessati solo a vendere copie e non a fabbricare format mentali per conto dei loro padroni. Il coro assordante dei cialtroncelli si premurò si sbeffeggiare, come inguaribile nostalgico, il Giulietto Chiesa che si era permesso di lanciare un avvertimento profetico e solitario: «Sconfitto Gorbaciov, la fine della guerra fredda – anziché in un sogno – si trasformerà nell’incubo della guerra permanente». Jugoslavia, Somalia, Cecenia, Iraq e Afghanistan, Libia, Siria, Yemen. Un altro visionario complottista, affetto dalla stessa malattia mentale degli sventurati Kennedy?
A parlare direttamente al fantasma di Jfk ha provveduto Bob Dylan, a fine marzo, mettendo in relazione l’omicidio di Dallas con l’oscura sovragestione dell’attuale “terrorismo sanitario”. Un gioco orchestrato a reti unificate, sull’onda della pandemia più strana e più sospetta della storia, esplosa in una città il cui nome fino al giorno prima non diceva niente a nessuno: Wuhan. Alla nuova Cina, il superpotere finanziario storicamente favorito da Bill Clinton si era rivolto già nel 2001, appena tre mesi dopo il crollo delle Torri Gemelle, regalando a Pechino un posto d’onore nel Wto. Il gigante asiatico sarebbe diventato la manifattura del mondo, a basso costo, grazie a un dumping sfacciato: niente complicazioni democratiche, zero tutele sindacali, nessuna costosa normativa per limitare l’inquinamento industriale. Vent’anni dopo, in rapidissima successione, accadono due eventi: Donald Trump – per la prima volta, in due decenni – frena l’espansione cinese imponendo dazi, e a stretto giro esplode il coronavirus. A ruota: l’Italia adotta il protocollo Wuhan, seguita (malvolentieri) dal resto dell’Europa. Boris Johnson, ostile al lockdown, finisce in terapia intensiva: cioè dove già era stato relegato il suo sosia nel 2012, nell’inquietante cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Londra. E l’altro avversario della quarantena, Trump, deve vedersela con un’America improvvisamente impazzita alla vigilia delle elezioni, in rivolta per l’oscena uccisione di un nero da parte della polizia.
Tutto casuale, si capisce, per le sardine sott’olio che credono ancora alla Befana, e che magari pensano che sia stata la cicogna, due secoli fa, a introdurre nella storia del mondo un’anomalia assoluta, chiamata democrazia. In Italia, a squarciare il velo ha provveduto proprio Gioele Magaldi: furono le logge massoniche del Settecento, ricorda, a dichiarare guerra all’assolutismo monarchico, sostenuto dall’oscurantismo vaticano. E’ la massoneria, il convitato di pietra della nostra storia: sono stati i grembiulini a inventarsi un mondo basato su libere elezioni, anziché sul diritto dinastico. Squadra e compasso: piaccia o meno, è da lì che viene la modernità. Poi c’è chi si è fatto prendere la mano, nel Novecento, tendendo a imitare l’aristocrazia che gli antenati avevano abbattuto. Kissinger è un bell’esempio della nuova massoneria oligarchica. Spesso si spendono i nomi di Soros, Bill Gates e tanti altri, dai Rockefeller ai Rothschild, fino ai loro galoppini europei come Macron e Angela Merkel. Poi però qualcosa si è rotto, in quella cupola: le prime diserzioni, racconta Magaldi, si sono avute di fronte alla svolta terroristica dei Bush, inaugurata con Al-Qaeda e proseguita con l’Isis. E ora, pochi prima dello tsunami-coronavirus, a salutare la compagnia sono stati pezzi da novanta del gotha finanziario: Mario Draghi, Christine Lagarde, la stessa dirigenza del Fondo Monetario Internazionale. Contrordine: mettere fine all’orrore dell’austerity pianificata per impoverire le masse, rendendole sottomesse.
Ed è esattamente a quel punto, osserva Magaldi, che ci siamo tutti ritrovati chiusi in casa, con l’obbligo di indossare mascherine secondo i dettami di una opacissima Oms finanziata dai cinesi. Uno schema di potere spregiudicato, capace di ricorrere alla minaccia sanitaria della pandemia per scatenare il caos e ricattare il pianeta, sospendendo la nostra libertà? A Trump, i professori della paura hanno rotto le uova le paniere: aveva risollevato l’economia americana, che adesso è a pezzi. E sempre alla vigilia delle presidenziali, si assiste a scene da guerra civile. Tutto montato ad arte – sostiene monsignor Viganò – per abbattere Trump, unico vero ostacolo all’affermazione (testualmente) del Nuovo Ordine Mondiale. Questo è sicuramente vero, ammette Magaldi, che però corregge il porporato: è sconcertante, dice, che Viganò opponga a Trump “la massoneria” nel suo insieme, come se non sapesse che lo stesso Trump è massone, e che è sostenuto da massoni progressisti, alcuni dei quali sono presenti in quel Deep State che non è affatto un Moloch monolitico: è capace di nefandezze, certamente, ma è anch’esso spaccato in due. Chi non lo capisce, si candida a restare in eterno all’oscuro della verità che si va dipanando sotto i nostri occhi, dietro gli schermi della manipolazione, anche in un paese in apparenza periferico come l’Italia, e che invece è un autentico epicentro della battaglia in corso.
Lo disse chiaramente, Magaldi, all’esordio del precario governo gialloverde: quello del 2018 era un esperimento sostenuto da massoni progressisti, di cui la controparte oligarchica aveva una paura matta, al punto da premere su Mattarella per sabotare in partenza la nomina di Paolo Savona all’economia. Esperimento fallito, peraltro: come già Renzi, battagliero solo a parole, anche Di Maio e Salvini non hanno osato impuntarsi, contro la governance europea che penalizza il Belpaese. Così si è arrivati alla rottura, ed è spuntato il vero Conte. Il misterioso “avvocato del popolo”, sorretto da influenti amicizie vaticane di marca andreottiana, è riuscito in una specie di miracolo: recludere gli italiani agli arresti domiciliari, rovinando l’economia. L’altra notizia: per mesi, i concittadini hanno subito di tutto, senza fiatare. Un governo debolissimo e traballante si è trasformato nel terminale europeo di una specie di regime, ma in molti sembrano non accorgersene. I più conservatori, cioè gli hoolingan della sedicente sinistra, arrivano a tifare per Conte solo perché, nel teatrino politico nazionale, ha osato scontrarsi con l’inguardabile Salvini. E non vedono che neppure Salvini ha detto una parola contro lo scempio della libertà che ha permesso all’ex “avvocato del popolo” di sbatterlo in carcere, il popolo italiano, a pane e acqua (e con una pioggia di multe salatissime per i trasgressori).
Nel film “L’attimo fuggente”, la scolaresca trova il coraggio, alla fine, di ribellarsi al sopruso dell’istituzione che ha deciso l’ingiusta cacciata del professor Keating: si arrampicano sui banchi, i ragazzi, sfidando l’autorità costituita. Invece in Italia, oggi, c’è chi non si vergogna di canzonare, come piagnucoloni, gli involontari eroi dell’informazione, del calibro di Massimo Mazzucco e Claudio Messora, a cui il regime ha cancellato uno dopo l’altro i video più scomodi, rimuovendoli da YouTube. Mezzo paese è moralmente in rivolta: i migliori medici italiani hanno scoperto come neutralizzare il Covid, ma vengono silenziati da politici-maggiordomi (Zingaretti, Speranza) che si affrettano a prenotare tonnellate di vaccini, come se il virus fosse ancora una minaccia. Certo non è di oggi, il silenzio assordante di giornali e televisioni su temi come questo, decisivi per la vita delle famiglie. La novità, semmai, è che al regime non basta più il solo fatto di ignorarle, le voci fastidiose: ora si premura di spegnerle, incoraggiato dal Burioni che esorta i magistrati a chiudere “ByoBlu”. Il problema è drammatico, conferma un giornalista indipendente come Fabio Frabetti, di “Border Nights”: è chiaro a tutti che una certa informazione libera può sopravvivere solo se trova la forza di costruire piattaforme autonome, svincolate da YouTube e dagli altri social media del mainstream.
Magaldi, assiduo ospite proprio di “Border Nights”, la vede in modo diverso: è scettico rispetto a un’operazione-risveglio fondata solo sull’informazione indipendente. Troppo elevato il divario tra le voci della verità e il volume della menzogna quotidiana. L’autore di “Massoni”, leader del Grande Oriente Democratico e presidente del Movimento Roosevelt, ragiona a livello di Deep State: ai piani alti del potere, dice, sono in corso grandi manovre, di cui poi – a valle – una narrazione come quella di cui Q-Anon fornisce un’interpretazione che finisce per essere deformante e semplificatoria. Però, fra Trump e l’Italia – è la sintesi – c’è davvero pochissima distanza: da una parte i massoni che si battono per la democrazia, dall’altra la filiera che collega il peggior Deep State americano al “partito di Wuhan”, oggi all’offensiva, con il suo piano virtualmente totalitario. Se la Casa Bianca cede e l’Italia capitola, sotto i diktat dei signori di cui Conte è solo il prestanome, la partita è persa. Le condizioni sono proibitive: dopo il lockdown peggiore d’Europa che ha messo in ginocchio l’economia, e di fronte ai vaccini in arrivo, al tracciamento digitale e al distanziamento eterno, c’è ancora chi sembra non capire: crolla il cielo, si scatenano divinità infernali minacciando di deformare il mondo per sempre, ma l’occhio non vuole proprio saperne di spingersi oltre la Nutella e i moijto del piccolo, irrilevante, odiatissimo Salvini.
(Giorgio Cattaneo, 18 giugno 2020).
FONTE:https://www.libreidee.org/2020/06/abbiamo-un-problema-siamo-in-guerra-ma-non-lo-vediamo/
CULTURA
Amelia Earhart
1 Ottobre 2019 – Cristina Di Giorgi
Vita avventurosa di una anticonformista che, a bordo del suo aereo, ha superato ogni limite e si è fatta esempio per le donne di ogni tempo.
Quando le esponenti dell’universo femminile – soprattutto quelle cocciute, testarde, anticonformiste e sopra le righe – si mettono in testa di fare qualcosa, il più delle volte ci riescono, forse e soprattutto quando il qualcosa in questione sono imprese che hanno dell’incredibile. È ad Atchinson, cittadina del Kansas, che il 24 luglio 1897 emette i primi vagiti colei che riuscirà, nel corso di un’intensissima vita, a diventare una bandiera dello spirito di avventura, del coraggio ed un limpido esempio per tutte le donne che si troveranno a vivere e a farsi strada nel corso del secolo breve.
Pochi anni dopo la sua nascita, la madre Amy e il padre Edwin si trasferiscono a Des Moines nell’Iowa, alla ricerca di un lavoro e per tale motivo, preferiscono lasciare a casa, almeno inizialmente, le due figlie Amelia e Muriel, nata nel 1899. I primi anni della sua vita li trascorre dunque dai nonni ad Atchinson, dove tra l’altro la sua famiglia è piuttosto conosciuta: Alfred Gideon Otis, nonno materno di Amelia, era stato un giudice federale e successivamente aveva ricoperto l’incarico di responsabile della Atchison Savings Bank.
Fin da subito la maggiore delle Earhart dimostra di avere un carattere estremamente ribelle e anticonformista: al contrario di quel che ci si aspetterebbe da una bambina, infatti, Amelia scala alberi, esplora il vicinato, colleziona vermi e farfalle, va a caccia di topi con un fucile calibro 22. Nel 1904 poi, con l’aiuto di uno zio, costruisce una piccola rampa, che viene quindi assicurata al capanno degli attrezzi di casa. L’esuberante ragazzina si arrampica fino in cima e, a bordo di una cassetta di legno, si lancia nel vuoto. L’atterraggio è disastroso, ma per fortuna se la cava solo con qualche livido. È la sua prima, seppure anomala, esperienza di volo.
La bambina inoltre, crescendo, inizia a tenere un album in cui raccoglie articoli di giornale riguardanti donne che hanno avuto successo in campi prevalentemente maschili – tra cui direzione e produzione di film, legge, pubblicità, management e ingegneria meccanica –. L’incontro che segnerà per sempre la sua vita, quello con gli aerei, avviene quando Amelia – che nel frattempo, insieme alla sorella, nel 1908 si era riunita ai genitori – ha appena 10 anni. Ma lì per lì non ne rimane particolarmente colpita.
“E’ una cosa di filo arrugginito e di legno e non sembra affatto interessante”
Così dirà con tono assente dopo aver visitato con il padre la fiera aeronautica dell’Iowa a Des Moines. L’infanzia prosegue e la giovane ancora non si rende conto di quanto quel primo contatto con il mondo dell’aviazione sarà determinante. Dopo essersi diplomata alla Hyde Park High School di Chicago nel 1916, frequenta la Ogontz School for Girls di Filadelfia in Pennsylvania. Lascia l’istituto dopo soli due anni per andare in Canada – dove la sorella si era trasferita dopo il matrimonio – a seguire un corso per diventare infermiera presso la Croce Rossa: la sua idea è quella di mettersi a disposizione dello Spadina Military Hospital di Toronto per curare i soldati feriti durante la Grande Guerra.
In questo periodo – siamo nel 1918 – Amelia contrae la terribile influenza spagnola, dalla quale si riprende dopo oltre un anno. La convalescenza comunque non trascorre invano: la ragazza infatti la passa leggendo molto e istruendosi in meccanica. In seguito approfondisce gli studi infermieristici studiando medicina alla Columbia University di New York. Il 28 dicembre del 1920, a 23 anni, accade qualcosa di determinante: la giovane Earhart va ad raduno aeronautico presso il Daugherty Airfield a Long Beach in California e sale per la prima volta su un aereo per un breve volo turistico – dura meno di dieci minuti – nei cieli sopra Los Angeles.
“Quando raggiunsi la quota di due o trecento piedi, seppi che dovevo volare”
Queste le sue parole fatidiche raccontando di quell’esperienza. Una coriacea caparbietà le farà ottenere presto l’agognato risultato: inizia infatti a prendere lezioni di volo, facendo grossi sacrifici per pagarle. E con l’aiuto economico della mamma e della sorella – il padre, riferiscono i biografi, ha problemi di alcolismo, fatto che gli rende difficile mantenere a lungo un impiego e quindi una rendita economica sufficiente per mantenere la famiglia – nel 1922 compra il suo primo aero: un biplano Kinner Airster di seconda mano dipinto di giallo brillante battezzato simpaticamente “Canarino”. Nella primavera del 1923 Amelia consegue il brevetto di pilota – è la sedicesima donna al mondo a conquistare tale risultato – e comincia la sua carriera nei cieli salendo, a bordo di “Canarino”, ad un’altitudine di 14 mila piedi – circa 4300 metri –.
È il primo record femminile battuto dalla giovane Earhart, che non si ferma qui nonostante le difficoltà economiche – a causa di alcuni investimenti azzardati, perde quasi tutto ed è costretta a vendere il “Canarino” e un altro piccolo aeroplano che aveva acquistato – e i ricorrenti problemi di salute legati ad una sinusite cronica contratta quando si era ammalata di spagnola. Dopo il divorzio dei genitori, a metà degli anni Venti, Amelia e la madre si trasferiscono a Boston.
Qui la ragazza viene operata con successo per curare la sinusite e torna all’università. Ma ci resta poco, perché non può permettersi di pagare gli studi. Si trova quindi un lavoro come assistente sociale in una struttura specializzata, che le consente di mantenersi e continuare a volare. Ed è proprio mentre sta lavorando che, un pomeriggio di aprile del 1928, Amelia riceve una telefonata. All’altro capo dell’apparecchio, una voce maschile le chiede:
“Ti piacerebbe essere la prima donna a volare sull’Atlantico?”
Lei ovviamente non se lo farà ripetere due volte ed accetta immediatamente. Prima di partire i coordinatori del progetto – tra loro l’editore e pubblicitario George Palmer Putnam, che poi si innamorerà di Amelia e, il 7 febbraio 1931, si unirà a lei in matrimonio – rilasciano un’intervista a New York. Quindi, dopo una serie di rinvii dovuti a condizioni meteo avverse, il 17 giugno 1928, da Trepassey Harbour, avviene il decollo. A bordo del Fokker F7 chiamato simbolicamente “Friendship”, oltre ad Amelia ci sono il pilota Wilmer Stults e il meccanico e co-pilota Lou Gordon. La Earhart non ha particolari compiti da svolgere.
“Wilmer pilotò per quasi tutto il tempo. Io ero solo un bagaglio. Venni trasportata come un sacco di patate”
Dirà la stessa Amelia. Ma quando l’aereo, poco meno di 21 ore dopo, prende terra a Burry Port – in Galles –, i riflettori sono puntati tutti su di lei. Al ritorno negli Stati Uniti Amelia lei e i suoi compagni vengono accolti, a New York, da una folla festante. E sono invitati ad un ricevimento alla Casa Bianca dall’allora Presidente americano Calvin Coolidge. È solo l’inizio per quella che ormai tutti considerano un’eroina nazionale. Anche grazie ai consigli di George Putnam – che le fa da manager, organizzando la sua sempre più piena agenda di impegni –, la Earhart diventa infatti una vera e propria star.
Oltre a campagne pubblicitarie, partecipazioni a conferenze e incarichi presso varie compagnie aeree, la giovane “Regina dell’aria” non manca di scrivere articoli e libri, prontamente pubblicati da colui che nel frattempo è diventato suo marito. Il suo primo best seller, dedicato all’avventura a bordo di “Friendship”, si intitola “20 hours-40 minutes” – seguiranno, negli anni successivi, “The fun of it” e “Last flight”, pubblicato postumo –. Tutto questo le garantisce la tranquillità finanziaria – i proventi delle sue numerose attività sono infatti sufficienti a eliminare qualsiasi problema economico – che le consente sia di proseguire nella sua sfolgorante carriera di aviatrice sia, cosa a cui tiene moltissimo, di dedicarsi alla promozione dell’aviazione, in particolare quella femminile.
L’8 aprile 1931 Amelia compie una nuova impresa stabilendo il record mondiale di altitudine (18415 piedi, 5613 metri) a bordo di un Pitcairn Pca2 e in seguito, il 20 maggio 1932, diventa la prima donna al mondo a compiere la trasvolata oceanica in solitaria: fino a quel momento ci era riuscito, nel 1927, soltanto Charles Lindbergh – da qui il soprannome di “Lady Lindy”, con il quale da quel momento venne sempre più spesso chiamata –. Il decollo, a bordo di un Lockheed Veda, avviene da Harbour Grace, Terranova. L’atterraggio, dopo un volo durato 14 ore e 56 minuti, doveva essere a Parigi, ma a causa di problemi meteo, avviene a Culmore – non lontano da Derry, in Irlanda del Nord –. A proposito della sua ennesima impresa, l’aviatrice racconta:
“Dopo aver spaventato la maggior parte delle mucche nel vicinato mi sono fermata nel cortile di un contadino”
Il quale le chiese se arrivava da molto lontano:
“Dall’America”
Risponde lei soddisfatta. Tale avventura, inevitabilmente, consacra Amelia come la donna più celebre della storia dell’aviazione. E le frutta, tra l’altro, diversi riconoscimenti tra cui la Medaglia d’Oro della National Geographic Society, consegnatale direttamente dal Presidente americano in carica Herbert Hoover e la Disginguished Flying Cross, conferita dal Congresso degli Stati Uniti per la prima volta ad una donna. Senza contare la straordinaria accoglienza ricevuta nel corso del viaggio che fece in Europa, tra le varie tappe, immancabile sarà l’Italia: durante il suo soggiorno nella Capitale.
A testimonianza di tale visita, vi sono alcuni filmati dell’Istituto Luce in cui la si vede passeggiare insieme al marito all’interno del Colosseo e all’Idroscalo di Roma, la celebre aviatrice ebbe tra l’altro occasione di incontrare l’allora Capo del Governo Benito Mussolini e Italo Balbo, anch’egli come è noto celebre aviatore. Il 25 agosto del 1932 l’inarrestabile Earhart conquista un altro primato e diventa la prima donna ad attraversare in volo gli Stati Uniti – da Los Angeles a Newark, nel New Jersey – senza scalo. Un volo durante il quale copre una distanza di circa 3938 chilometri, durato 19 ore ininterrotte. Nel frattempo, coniugando i suoi primati con attività tipicamente femminili, Earhart diventa disegnatrice di moda.
Crea, oltre ad una linea di bagagli per i viaggi aerei, un capo particolare di abbigliamento sportivo appositamente pensato per le donne aviatrici e composto da pantaloni morbidi corredati da cerniere e grosse tasche. L’11 gennaio 1935, inoltre, compie la trasvolata, sempre in solitaria, dell’Oceano Pacifico da Honolulu – Hawaii – ad Oakland – in California –. Un volo di 2.408 miglia a bordo di un Lockheed L10 Electra, durante il quale Amelia, infreddolita, per scaldarsi apre un thermos di cioccolata calda:
“È stata la tazza di cioccolata più interessante che abbia mai bevuto. Ero seduta ad ottantamila metri nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico, da sola”
Sempre più determinata a conquistare successi dove altri avevano fallito, pochi mesi dopo – aprile 1935 –, Amelia è la prima a volare da Los Angeles a Città del Messico e da qui a Newark. Dopo l’atterraggio una grande folla festante invade la pista e si precipita attorno all’aereo di Amelia. Che racconta:
“Sono stata salvata da alcuni poliziotti, uno dei quali, nella mischia, mi ha preso il braccio destro e un altro la gamba sinistra. Però poi uno ha iniziato ad andare da una parte e l’altro si è mosso nella direzione opposta”
Il risultato è stato un fugace assaggio, per l’aviatrice, della tortura dello stiramento.
“Comunque era bello essere tornata a casa”
Conclude bonariamente lei stessa. Nel frattempo la giovane Earhart entra alla Purdue University come visiting faculty member, ovvero membro della facoltà in visita, per consigliare le donne sulla loro carriera e come consulente tecnico per il Dipartimento dell’Aeronautica. Poco dopo, nel 1937, Amelia, che sta per compiere quarant’anni, inizia a dedicarsi a tempo pieno alla programmazione di un progetto monumentale al quale sta pensando già da qualche mese, convinta del fatto che:
“la preparazione, come ho detto spesso, rappresenta i due terzi del successo di ogni impresa”
Si tratta della circumnavigazione del globo in aereo seguendo la rotta equatoriale, quella più lunga – 47.000 chilometri –. I finanziamenti li ottiene dalla Purdue University e l’aereo prescelto è un bimotore Lockheed L10 Electra appositamente modificato secondo le specifiche della stessa Earhart – la fusoliera era stata attrezzata con un serbatoio più grande in modo da poter garantire sufficiente carburante per percorsi lunghi –. Quanto all’equipaggio, la sua prima scelta come navigatore è il capitano Harry Manning, ex comandante della “President Roosvelt”, la nave che aveva riportato indietro Earhart dall’Europa nel 1928.
Il secondo navigatore è Fred Noonan, grande esperto di navigazione sia marina sia aerea. I piani dell’aviatrice erano di volare con Noonan fino a Howland – tratto particolarmente difficile della traversata –, di proseguire con Manning fino all’Australia e di concludere il viaggio da sola. Nonostante un primo tentativo, effettuato nel marzo 1937 e non andato a buon fine (nel corso dello stesso, tra l’altro, l’aereo dell’aviatrice viene seriamente danneggiato), Amelia non si perde d’animo.
“Ho la sensazione che ci sia solo un altro buon volo per me. E spero che sia questo”
Dice prima di partire nuovamente da Miami il 1° giugno dello stesso anno insieme a Fred Noonan. Facendo rotta verso est, dopo diverse tappe in Sud America, Africa, India e Asia, i due giungono a Lae, in Nuova Guinea, il 29 dello stesso mese. Avevano già percorso più o meno 35 mila chilometri. Ne restavano circa 11 mila di navigazione sul Pacifico. A mezzanotte del 2 luglio 1937, il biplano “Electra” decolla da Lae per fare la tappa successiva, la più impegnativa. Destinazione: l’Isola di Howland – un minuscolo atollo lungo 2km e largo un chilometro e mezzo a metà strada tra Lae e le Hawaii distante oltre 4000 km –.
Per raggiungerla senza problemi, dall’aereo di Earhart e Noonan è stato rimosso, per far spazio a contenitori di carburante aggiuntivo, ogni oggetto non essenziale al volo. La motovedetta ITASCA della Guardia Costiera americana, inoltre, incrocia al largo dell’isola per dare via radio le indicazioni necessarie ad atterrare sulla piccola striscia di terra e altre imbarcazioni statunitensi navigano lungo la rotta con le luci accese, per indicare la direzione.
“Howland è un posto così piccolo nel Pacifico che ogni aiuto per localizzarlo deve essere disponibile”
Sottolinea in proposito Earhart. I rapporti meteorologici sono favorevoli, ma Amelia trova il cielo coperto e piogge intermittenti. Il che rende difficile per Noonan l’orientamento direzionale mediante le stelle. All’avvicinarsi dell’alba, Earhart si mette in contatto radio con l’ITASCA e riferisce che il tempo è nuvoloso. Poco dopo chiede aiuto per trovare la rotta. Il cutter risponde, ma lei non riesce a sentire. Alle 7.42 del mattino del 3 luglio, l’ITASCA intercetta la seguente comunicazione:
“Dovremmo essere sopra di voi ma non riusciamo a vedervi. Il carburante sta per finire. Non siamo riusciti a raggiungervi via radio. Stiamo volando a 1000 piedi”
La nave cerca di rispondere, ma l’aereo sembra non sentire. Alle 8.45, un altro messaggio:
“Stiamo volando in linea nord sud”
Poi più nulla. Mancavano circa 10mila chilometri di volo sul Pacifico alla fine della prima trasvolata mondiale di una donna.
“Prendetemi se ci riuscite”
Aveva detto Amelia poco prima di salire a bordo del suo aereo a Lae. Furono le sue ultime parole pronunciate sulla terraferma. Ad Howland infatti, come si è visto, l’Electra non arrivò mai. Se ne sono perse le tracce nei pressi dell’isola Nikumaroro, circa 1000 km dopo Lae. Amelia sapeva che quello che faceva era pericoloso e che ogni volo poteva essere l’ultimo. Anche per questo, prima di una delle sue imprese, lascia al marito una lettera in cui gli scrive che conosceva i rischi della sua attività ma che li avrebbe corsi comunque, perché volare era ciò che desiderava veramente. E conclude affermando che
“Le donne devono provare a fare le cose come hanno provato gli uomini. Quando falliscono, il loro fallimento deve essere solo una sfida per gli altri”
Per cercare Earhart e Noonan viene organizzata una mobilitazione senza precedenti – la più estesa della storia navale –, autorizzata dal presidente Franklin Delano Roosvelt in persona: in essa sono impiegate 9 navi e 66 aerei. Un’operazione che purtroppo non ha avuto successo. Le manovre, che durano 16 giorni, vengono interrotte a malincuore dal governo USA il 19 luglio, dopo che sono stati spesi 4 milioni di dollari e battute 250 mila miglia quadrate di Oceano.
La notizia della scomparsa di Amelia fa presto il giro del mondo e a proposito del destino della celebre aviatrice – dichiarata ufficialmente morta dalla corte di Los Angeles il 5 gennaio 1939 – vengono inizialmente prese in considerazione diverse possibilità. La più probabile è che lei e Noonan siano affogati in seguito ad ammaraggio dovuto ad un guasto meccanico o all’esaurimento imprevisto di carburante per un calcolo errato. Oppure che siano morti dopo un periodo di sopravvivenza in un atollo dell’area in cui l’Electra è precipitato.
Qualcuno ha poi ritenuto che l’aviatrice e il suo navigatore, costretti ad un atterraggio di emergenza, siano stati fatti prigionieri dai giapponesi e da costoro giustiziati in quanto ritenuti spie straniere. Altri ancora hanno addirittura piuttosto fantasiosamente ipotizzato che Amelia si sia salvata e sia tornata in America, facendo volontariamente perdere le proprie tracce nascosta dietro una nuova identità. Il destino dei “Lady Lindy” è rimasto a lungo avvolto nel mistero. Dal luglio 1937 in poi sono state effettuate diverse ricerche, alcune delle quali si sono concluse con scoperte interessanti ma non esaustive.
Tra esse vi furono quelle del Gruppo internazionale per il recupero di veicoli storici “Tighar”, che già dalla fine degli anni Ottanta ha iniziato a lavorare sul caso Earhart e facendo numerose spedizioni a Nikumaroro. Nel corso delle stesse sono stati rinvenuti diversi reperti tra cui, a quanto risulta, resti di un vasetto di crema che l’aviatrice era solita usare, pezzi di due bottigliette degli anni 30, ossicini di animali tra le pietre di un focolare e, nel luglio 2012 – come testimoniato da un filmato subacqueo –, parti di un relitto aereo che potrebbero essere appartenuti all’Electra di Amelia Earhart.
Recentemente, inoltre, sono stati diffusi i risultati di un’analisi pubblicata nel marzo 2018 sulla rivista Forensic Anthropology che avrebbe stabilito che i resti ossei trovati nel 1940 sull’isola di Nikumaroro nell’Oceano Pacifico dalla spedizione britannica, guidata dall’ufficiale e pilota Gerard Gallagher, insieme ad alcuni oggetti poi andati perduti, quasi certamente appartengono ad Amelia. Inizialmente furono attribuiti ad un uomo, ma Richard Jantz del Centro di Antropologia Forense dell’Università del Tennessee – prima di lui, nel 1998, un gruppo di antrop0ologi aveva ribaltato tale ipotesi affermando che i resti potevano appartenere ad una donna di alta statura, bianca e di origine europea – ha riesaminato le misurazioni fatte all’epoca. Grazie a tecniche innovative e ad un particolare programma assai diffuso tra gli esperti del settore da lui stesso elaborato, ha concluso che:
“Finché non verranno fornite prove definitive che i resti non sono quelli di Amelia Earhart, l’argomento più convincente è che siano i suoi”
La figura di Amelia Earhart e il suo mito hanno avuto largo spazio sul grande schermo, nella letteratura e nella musica. Le sono infatti stati dedicati due film – il primo, uscito nel 2009, è intitolato semplicemente Amelia e il secondo, Amelia Earhart: The Final Flight, è stato trasmesso in tv negli usa nel 1994 –, due documentari/inchiesta che ripercorrono la sua storia, intitolati rispettivamente Where’s Amelia Earhart? National Geographic 2008 e Amelia Earhart: The Lost Evidence, History Channel, 2017. Diversi furono i brani musicali, tra i quali Amelia di Joni Mitchell e L’Aviatrice di Antonella Ruggiero.
Alla memoria di Amelia è poi intitolato il faro di Howland Island, costruito poco dopo la sua scomparsa. A Culmore, in Irlanda del Nord – dove l’aviatrice è atterrata dopo la trasvolata oceanica in solitaria –, c’è un piccolo museo che la ricorda. In tutti gli Usa, inoltre, le sono state intitolate strade, scuole e aeroporti, mentre Atchinson, la sua città di nascita, è divenuta un memoriale permanente della vita e delle imprese di Amelia Earhart il cui spirito, può essere sintetizzato con questa sua frase:
“Alcuni di noi hanno grandi piste di decollo costruite per loro. Se ne hai una, decolla! Ma se non ce l’hai, renditi conto che è tua responsabilità prendere un badile e costruirtene una da solo, per te e per quelli che seguiranno dopo di te”
Amelia fu dunque simbolo di perseveranza, passione e audacia. Ma anche potentissimo stimolo a fare di tutto per inseguire le proprie ambizioni e speranze. Come lei diceva spesso:
“La cosa più difficile è la decisione di agire. Il resto è solo tenacia. Le paure sono tigri di carta. Puoi fare tutto ciò che decidi di fare. Puoi agire per cambiare e controllare la tua vita e il percorso che fai è la vera ricompensa”
FONTE:https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/storia/amelia-earhart/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Meno male che a proteggere la GEOX c’era la Polizia Postale
Qualcuno mi dica che non è vero. Lo chiedo per favore.
Rassicuratemi e tranquillizzate tutti. La notizia apparsa su TrevisoToday il 14 giugno 2018 e quelle che lo stesso giorno sono uscite su La Tribuna di Treviso e Il Gazzettino rientrano nelle fake news, vero?
Nell’articolo si legge una importante dichiarazione dell’amministratore delegato di GEOX secondo la quale “La firma di questo Protocollo con la Polizia Postale e delle Comunicazioni rappresenta per Geox il naturale completamento di un importante percorso già da tempo intrapreso, mirato al rafforzamento di tutti i suoi sistemi di sicurezza informatica. La massima protezione ed il costante monitoraggio delle nostre infrastrutture e dei nostri dati, con l’ indispensabile corollario di garanzia del valore unico di brevetti, tecnologie, informazioni commerciali e dati sensibili di clienti e collaboratori, rappresentano per Geox un obbiettivo strategico imprescindibile. La collaborazione e lo sforzo sinergico sviluppato grazie al Protocollo mi auguro rappresenteranno un ottimo esempio di condivisione di obbiettivi e risorse tra pubblico e privato, che speriamo davvero altri operatori del nostro settore decidano di seguire”.
Chi odia Matteo Mascazzini, AD del colosso di Montebelluna, al punto di metterlo al centro dell’imbarazzante situazione di paralisi informatica dopo le entusiastiche premesse che hanno incorniciato l’accordo con la Polizia di Stato?
Soprattutto sono questi i risultati della “cooperazione mirata, di pubblica utilità, tra Enti pubblici e privati, così come previsto dal quadro Strategico Nazionale e dal Piano Nazionale per la Protezione Cibernetica e la Sicurezza Informatica” di cui parla il cronista de La Tribuna?
Sistemi in tilt e azienda bloccata è l’esito di quello che la dirigente della Polizia Postale ha definito “il potenziamento dei sistemi di controllo e protezione di quel territorio virtuale che è Internet e che, proprio come avviene nel mondo reale, è diventato un luogo in cui enti pubblici e società private investono grandi risorse, anche finanziarie, per sviluppare ed offrire servizi indispensabili per il Paese che si basano su meccanismi tanto complessi quanto vulnerabili ai quali, proprio per tale motivo, è necessario garantire alti livelli di sicurezza” come si legge nell’articolo?
La sicurezza informatica – ma forse ne ho una percezione viziata per aver cominciato ad occuparmene solo nel 1986 – è qualcosa di diverso dalla redazione di buoni propositi, dalle strette di mano, dalle foto ricordo e dal “vin d’honneur” con cui si brinda alla serenità ancora tutta da conquistare.
I nodi arrivano sempre al pettine.
Nel dettagliato articolo del quotidiano veneto si legge anche che “Concretamente la collaborazione partirà dalla condivisione ed analisi di informazioni idonee a prevenire attacchi o danneggiamenti che possano pregiudicare la sicurezza delle infrastrutture informatiche della GEOX, per arrivare alla segnalazione di emergenze relative a vulnerabilità, minacce ed incidenti in danno della regolarità dei servizi di telecomunicazione e all’identificazione dell’origine degli attacchi subiti dalle infrastrutture tecnologiche”.
Non vorrei scomodare Emilio Fede, ma mai come in questo frangente il commento più calzante rischia di essere il suo immortale “Che figura di m….”.
FONTE:https://www.infosec.news/2020/06/17/wiki-wiki-news/meno-male-che-a-proteggere-la-geox-cera-la-polizia-postale/
Mi unisco all’appello di Claudio Messora
Per Youtube il Parlamento italiano viola le Norme della (loro) Community
VIDEO QUI: https://youtu.be/rEKaw4VlV04
Cari italiani, il 14 maggio – come tante altre volte abbiamo fatto per tanti altri eletti – abbiamo caricato sul nostro canale Youtube le riprese del discorso dell’Onorevole Sara Cunial alla Camera dei Deputati del Parlamento italiano. Ci teniamo a sottolineare “Onorevole”, “Camera dei Deputati” e “Parlamento italiano”, perché sono i luoghi sacri della democrazia del nostro popolo. I cittadini che si trovano al loro interno sono i vostri rappresentanti e godono di immunità totale rispetto alle opinioni e alle idee espresse in aula, proprio perché nel tempio della democrazia il popolo officia il rito più sacro di tutti: si esprime, dibatte, si confronta. Le istituzioni sono emanazione diretta della nostra Carta Costituzionale e dunque non vi è nulla di più sacro, se non i cittadini stessi, ai quali l’articolo 1 attribuisce la sovranità di quella che (non a caso) è una “Repubblica parlamentare”.
Siamo abituati ormai al nuovo corso della gestione di Youtube, che rimuove video perfettamente legali, educati, civili, in linea con le leggi vigenti sulla stampa, contenenti interviste a scienziati o ricercatori universitari, a capo di gruppi di lavoro nei nostri atenei, solo perché non si limitano a ripetere a pappagallo le linee guida dell’OMS, che peraltro spesse volte si è contraddetta. Quell’OMS di cui il finanziatore più influente è Bill Gates (chiamato in causa dal discorso di Sara Cunial).
Negli ultimi due mesi ce ne siamo visti oscurare ben sette!
Mai e poi mai, tuttavia, avremmo pensato che un giorno Youtube sarebbe arrivata a rimuovere il discorso in aula di un deputato della Repubblica italiana, con la motivazione che “Viola le Norme della Community“! Un discorso già tradotto in molte lingue e condiviso da molti altri cittadini del mondo.
Cari italiani, il 14 maggio – come tante altre volte abbiamo fatto per tanti altri eletti – abbiamo caricato sul nostro canale Youtube le riprese del discorso dell’Onorevole Sara Cunial alla Camera dei Deputati del Parlamento italiano. Ci teniamo a sottolineare “Onorevole”, “Camera dei Deputati” e “Parlamento italiano”, perché sono i luoghi sacri della democrazia del nostro popolo. I cittadini che si trovano al loro interno sono i vostri rappresentanti e godono di immunità totale rispetto alle opinioni e alle idee espresse in aula, proprio perché nel tempio della democrazia il popolo officia il rito più sacro di tutti: si esprime, dibatte, si confronta. Le istituzioni sono emanazione diretta della nostra Carta Costituzionale e dunque non vi è nulla di più sacro, se non i cittadini stessi, ai quali l’articolo 1 attribuisce la sovranità di quella che (non a caso) è una “Repubblica parlamentare”.
Siamo abituati ormai al nuovo corso della gestione di Youtube, che rimuove video perfettamente legali, educati, civili, in linea con le leggi vigenti sulla stampa, contenenti interviste a scienziati o ricercatori universitari, a capo di gruppi di lavoro nei nostri atenei, solo perché non si limitano a ripetere a pappagallo le linee guida dell’OMS, che peraltro spesse volte si è contraddetta. Quell’OMS di cui il finanziatore più influente è Bill Gates (chiamato in causa dal discorso di Sara Cunial). Negli ultimi due mesi ce ne siamo visti oscurare ben sette!
Mai e poi mai, tuttavia, avremmo pensato che un giorno Youtube sarebbe arrivata a rimuovere il discorso in aula di un deputato della Repubblica italiana, con la motivazione che “Viola le Norme della Community“! Un discorso già tradotto in molte lingue e condiviso da molti altri cittadini del mondo.
Potete pensarla come volete su quello che Sara Cunial ha detto in aula: che è stata coraggiosa o che ha esagerato. Quello che però non dovete accettare, come cittadini italiani, è che una multinazionale straniera che opera sul suolo italiano si permetta di dire che il discorso di un Deputato della Repubblica italiana “viola le norme” della loro “community” (innanzitutto che la chiamassero comunità, visto che stanno parlando in italiano).
Se il popolo sovrano che si esprime nell’aula parlamentare viola le norme di una azienda straniera, quella azienda straniera implicitamente sta violando le norme della nostra democrazia.
Non capire questo, vale tanto quanto abbandonare ogni forma di rivendicazione dei diritti, perché equivale a riconoscere che il nostro Parlamento può essere sfregiato, disonorato, umiliato e che tutto questo sia assolutamente normale.
Provate voi ad andare in America e aprire una società dove dite che la Costituzione americana o il Congresso violano le norme che vi siete dati. Vi cacciano a calci in culo dieci minuti dopo, non prima di avervi stordito con il taser e portati via in manette. E fanno anche bene!
Faccio una domanda ai presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico ed Elisabetta Casellati, non senza rivolgermi parimenti al Presidente della Repubblica: è accettabile che le istituzioni di cui cui voi siete garanti, nell’esercizio delle loro funzioni siano giudicate incompatibili con le “Norme” che si dà una società privata straniera che opera sul nostro suolo? E se non lo è, non trovate allora doveroso levare più che una semplice voce di protesta, chiamando i responsabili aziendali a riferire in aula, come è stato costretto a fare Mark Zuckerberg di fronte al Congresso americano, per spiegare se ritengono che i lavori dell’assemblea, cioè le nostre regole democratiche, siano o meno compatibili con gli interessi aziendali perseguiti dalla loro società?
Se non lo fate, il prossimo discorso che un social network oscurerà potrebbe essere il vostro, magari quello del Presidente del Consiglio, se non a lor signori non aggrada (del resto, Twitter si permette di correggere i messaggi del Presidente degli Stati Uniti d’America), oppure addirittura quello del Presidente della Repubblica stesso.
Abbiamo spesso sentito dire la frase “ci sarà pure un giudice a Berlino!“, riferendosi a una giustizia non imparziale o corrotta, ma oggi io vorrei riformularla così: “ci sarà pure un politico in Parlamento!“. Perché se c’è, oggi è quel giorno in cui dovrebbe parlare.
p.s. dobbiamo andare sul digitale terrestre e dobbiamo farlo subito. A settembre, se ci date una mano, tutti insieme potremo affrancarci da questi comportamenti ormai divenuti inaccettabili, e rispondere unicamente alle leggi italiane, le sole “norme della comunità” che vogliamo rispettare.
Andiamo sul Digitale Terrestre!
Non so come siamo arrivati fino a qui. Abbiamo attraversato ogni sorta di difficoltà. Hanno fatto esposti contro Byoblu. Ci hanno oscurato ben sette video. Ci hanno attaccato perfino dagli Stati Uniti (NewsGuard). C’è stato il coronavirus. Eppure siamo ancora qui, siamo ancora in piedi. In questi mesi incredibilmente duri abbiamo sempre continuato a lavorare per informarvi, perché era la cosa giusta da fare. E non è stata l’informazione a senso unico di tv e giornali: vi abbiamo davvero portati sull’altra faccia della luna. Quaranta milioni di video visti e centoquaranticinquemila nuovi iscritti tra febbraio e maggio lo testimoniano come una bandiera piantata nella pietra. Oggi siamo quasi a mezzo milione di iscritti. Più ci attaccano e più ci rendono forti. Ma è solo la forza della verità. La verità non ha bisogno di niente, se non di essere mostrata.
La Tv dei Cittadini è un successo spettacolare, e il fatto che nessuno ne parli se non per tentare di chiuderla è la vostra migliore garanzia. Così come la forma di finanziamento che abbiamo scelto: niente pubblicità, niente fondi pubblici, niente erogazioni da Soros o da Bill Gates. Solo microdonazioni diffuse! Il perché è semplice: se siete in tanti a donare o a fare l’abbonamento, nessuno potrà mai fare una chiamata e dirci cosa possiamo dire e cosa no.
Ma perché siate in tanti, serve infondere fiducia: serve essere credibili, onesti, altrimenti non funziona. Spiegatelo agli altri, a quelli che hanno bisogno di milioni di euro provenienti da grandi finanziatori, per partorire un topolino. A quelli che per tentare di rendere credibili le loro balle hanno bisogno di istituire task force di Governo, perché altrimenti non riuscirebbero a convincere nessuno. A quelli che per farsi ascoltare hanno bisogno di mettere a tacere ogni altra voce, perché hanno idee deboli, e allora fanno oscurare i video dei cittadini. Con loro il finanziamento popolare non funzionerà mai, perché non sono credibili.
Ma non è finita, perché questa è una gara che non finisce mai: non si può mai smettere di correre. Adesso, cari Cittadini (con la C maiuscola), dobbiamo gettare il cuore oltre l’ostacolo, fare un altro grande salto in avanti. Siamo appena diventati una Testata Editoriale, e a giorni avremo le App tanto attese, ma dobbiamo aumentare l’organico, e dobbiamo arrivare sul digitale terrestre. Subito, non si può più attendere: già da settembre. Non esiste una scorciatoia: non c’è una via di uscita. Abbiamo sfidato il mondo e adesso dobbiamo affrontarlo, a testa alta: la Tv dei cittadini deve diventare l’ottava televisione italiana.
Già 90 mila persone hanno firmato il Manifesto del Patto per la libertà di espressione (e presto tutti riceverete istruzioni). Sosteneteci in questo sprint finale. Con un euro a testa a settembre trasmetteremo sulle vostre televisioni.
Aggiungiamo una cosa: forse non è neppure tanto importante vincere in sé e per sé, né come usciremo da questo scontro frontale contro poteri tanto forti. Quello che davvero conta, per tutti, è resistere. Nessuno è mai riuscito a resistere contro il potere. Ma se questa volta tutti noi, insieme, riusciremo a tenergli testa… E se alla fine di ogni trasmissione noi saremo ancora lì, e nessuno sarà riuscito ad impedirci di andare in onda, noi sapremo per la prima volta che i cittadini, insieme, non sono sempre e solo destinati a subire. Noi sapremo che esistiamo, e che non possiamo essere cancellati. E, quel che più conta, lo sapranno anche loro.
FONTE:https://www.maurizioblondet.it/mi-unisco-allappello-di-claudio-messora/
ECONOMIA
ADDIO PARMIGIANO E PROSCIUTTO. LA UE VUOLE DISTRUGGERE IL SANO CIBO ITALIANO.
“Farm to Fork”, un regalo ai grandi produttori industriali del Nord Europa , appoggiati dal PD.
Una della parti del Green Deal meno note, ma più devastanti si chiama “From farm to fork” una strategia, ideata dalla commissione, per ridisegnare tutto il sistema alimentare europeo. una serie di concetti che si davano per scontati, quali la qualità e la sicurezza delle produzioni alimentari, la certezza della loro disponibilità, la denominazione d’origine, il fatto di utilizzare delle ricette consolidate e sicure, viene cancellato a favore di una serie di nuovi “Principi”, quando va bene, e “Precocetti”, quando va male.
Vediamo cosa contiene “From farm to fork”:
- entro pochi anni il 25% della produzione dovrà essere biologico, anche se non ci sarà una adeguata domanda. Questo svilirà il vero biologico;
- vi è una condanna per tutto ciò che è di origine animale, compresi i prodotti tradizionali italiani come salumi e formaggi. In modo preconcetto vengono condannati, anche quando non provengono da allevamenti fortemente intensivi;
- una spinta ingiustificata verso prodotti di carattere vegetale che, comunque , possono essere manipolati anche più di quanto accada verso quelli animali. Ricordiamo che alcuni prodotti fortemente tossici, come oli ricchi grassi saturi, sono di provenienza vegetale.
- una “Economia Circolare” che si tradurrà in un forte aumento dei costi per le aziende, senza nessun beneficio oggettivo per il consumatore;
- un regime di FISCALITA’ APPESANTITA per i prodotti di origine animale (formaggi e salumi) che li danneggerà fortemente.
La Commissione con farm to Fork vuole un cambiamento di paradigma che andrà a punire i prodotti mediterranei tradizionali, consumati da secoli, come i salumi o i formaggi tipo il parmigiano, a favore di prodotti INDUSTRIALI, benchè di origine vegetale, le cui qualità sono dubbie e tutte da provare. Una vera e propria DICHIARAZIONE DI GUERRA contro Spagna, Italia, Grecia , Francia voluta da una persona di cui facciamo nome e cognome: il SOCIALISTA JENS TIMMERMANN, VICE PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE e come SOCIALISTA compagno di merende (vegane) del PD. Questi, invece di venire incontro alle associazioni dei produttori del settore, soprattutto di area Mediterranea, di rinviare Fork to Farm per superare gli effetti del COVID-19 sul settore, ha imposto invece una ACCELERAZIONE che porterà alla chiusura di molte aziende ed alla sparizione di molti prodotti tradizionali.
Quello che ignorate è che dal 2021 verrà imposta la RIFORMULAZIONE DEGLI INGREDIENTI DEI PRODOTTI. Cioè i prodotti tradizionali dovrebbero CAMBIARE LE LORO FORMULE per potersi adattare agli ordini della commissione e, magari includere prodotti di origine vegetale. NIENTE PIU’ PARMIGIANO FATTO SOLO DI LATTE CAGLIO E SALE. NIENTE PIU’ PROSCIUTTO CRUDO DI COSCE CONTROLLATE. Magari imporranno il Parmigiano con il latte di soia.
Il tutto avviene mentre il governo italiano a parole agisce, ma in pratica DORME. L’unica cosa che può salvare il nostro cibo e le nostre aziende sarebbe UNA FORTE MOBILITAZIONE POPOLARE CONTRO QUESTA FOLLIA. Tanto più che le nostre aziende agricole sono all’avanguardia per quanto riguarda la sostenibilità ecologica delle produzioni, il tutto senza bisogno di inutili forzature di Timmermann. Però sappiamo quanto i ̶C̶O̶M̶U̶N̶I̶S̶T̶I̶ SOCIALISTI siano massimalisti e non guardino in faccia a nessuno nel raggiungimento dei loro obiettivi a favore del grande capitale.
Quindi, se volete ancora mangiare il Parmigiano o un buon Prosciutto, o Pecorino, se volete che le nostre aziende agricole sopravvivano, MOBILITATEVI. Tutti contro TIMMERMANN , l’Olandese che vuole la fine del mangiare bene e dei prodotti mediterranei.
Se colte approfondire leggetevi la MALVAGIA BANALITA’ DI FARM TO FORK diretttamente QUI. Non fatevi ingannare dagli slogan e pensate come, realmente, si possano perseguire questi obiettivi se non con una PRODUZIONE INDUSTRIALE DI MASSA .
FONTE:https://scenarieconomici.it/addio-parmigiano-e-prosciutto-la-ue-vuole-distruggere-il-sano-cibo-italiano-farm-to-fork-un-regalo-ai-grandi-produttori-industriali-del-nord-europa-appoggiati-dal-pd/
Contributi a fondo perduto: guida alla domanda online
Contributi a fondo perduto, la guida alla domanda online: ecco tutti i passaggi da seguire per una corretta compilazione della richiesta del finanziamento a fondo perduto e per l’invio all’Agenzia delle Entrate.
Contributi a fondo perduto, ecco la guida alla domanda online all’Agenzia delle Entrate. Vediamo passo dopo passo quali sono i passaggi da seguire per richiedere il finanziamento a fondo perduto introdotto dall’articolo 25 del decreto Rilancio.
La domanda si inoltra online all’Agenzia delle Entrate, usufruendo dello specifico modello messo a disposizione. La domanda per il contributo può essere trasmessa dal soggetto stesso, oppure da un intermediario con delega di consultazione al Cassetto fiscale del richiedente.
Per la trasmissione dei dati il richiedente può scegliere tra due modalità:
- l’applicazione desktop telematico;
- servizio web, disponibile nell’area riservata del portale “Fatture e Corrispettivi” del sito dell’Agenzia delle Entrate.
Si può fare domanda per il contributo a partire dal 15 giugno, fino alla scadenza del 13 agosto. Gli eredi che continuano l’attività per conto del soggetto deceduto, invece, possono fare domanda per il finanziamento dal 25 giugno, fino al 24 agosto 2020.
Vediamo ora, passo dopo passo, quali sono i passaggi da seguire per fare domanda online per i contributi a fondo perduto all’Agenzia delle Entrate.
Contributi a fondo perduto: guida alla domanda online. Come accedere al portale “Fatture e Corrispettivi”
Il contributo a fondo perduto previsto dal decreto Rilancio è destinato a titolari di partita IVA esercenti attività d’impresa, lavoro autonomo e di reddito agrario che hanno subìto una riduzione del fatturato a causa dell’emergenza coronavirus. I requisiti per poter fare domanda per il finanziamento a fondo perduto sono in questo articolo di approfondimento.
Il primo step è quello di accedere nella propria area riservata dei servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate, tramite SPID, le credenziali Entratel/Fisconline oppure mediante la Carta Nazionale dei Servizi (CNS).
Come anticipato, può fare domanda per il contributo a fondo perduto
Come anticipato, può fare domanda per il contributo a fondo perduto anche un intermediario abilitato. Se il commercialista ha l’autorizzazione per accedere al Cassetto fiscale del richiedente, allora dovrà effettuare l’accesso a Entratel/Fisconline.
A questo punto siete entrati nel portale Fatture e Corrispettivi:
Dopo l’accesso alla propria area riservata, bisogna cliccare sul link “Servizi per compilare e trasmettere l’istanza” nell’area Contributo a Fondo Perduto, in basso a sinistra della schermata.
A questo punto, cliccare sul link “Predisponi e invia istanza (o Rinuncia)”.
Ricordiamo che l’istanza di rinuncia va compilata in caso di contributo non spettante.
Contributi a fondo perduto: guida online alla compilazione della domanda
Una volta completato l’accesso al portale Fatture e Corrispettivi si può procedere con la compilazione vera e propria della domanda per il contributo a fondo perduto.
Si dovrà barrare una delle caselle all’interno del riquadro “Requisiti” se:
- l’attività è iniziata dopo il 31/12/2018;
- il domicilio fiscale o la sede operativa è nel territorio dei Comuni in cui lo stato di emergenza per eventi calamitosi era in vigore quando è stato dichiarato lo stato di emergenza sanitaria (ovvero il 31 gennaio 2020);
- se il richiedente fa parte di una categoria diversa da quelle previste dall’articolo 25 del decreto Rilancio.
Bisogna poi indicare l’importo dei ricavi e compensi nel 2019, scegliendo tra tre diverse opzioni.
Infine, bisogna indicare l’importo complessivo delle fatture e dei corrispettivi riferiti a operazioni effettuate nel 2019 e nel 2020:
A questo punto, cliccare su “Acquisisci i dati” per salvare quanto compilato.
Contributi a fondo perduto, guida alla domanda online: riepilogo e invio all’Agenzia delle Entrate
Una volta salvati i dati, nel portale Fatture e Corrispettivi si apre una scheda di riepilogo della domanda.
Verificata la correttezza dei dati, si può procedere con la trasmissione della domanda cliccando su “Invia istanza”.
Nella sezione “Invii effettuati” c’è un riepilogo delle istanze inviate, delle ricevute e delle comunicazioni, anche dell’eventuale rifiuto della domanda.
È possibile consultare l’esito della domanda nell’apposita sezione.
Nella suddetta sezione l’Agenzia delle Entrate indica da quando sarà possibile verificare l’esito della propria domanda per il contributo a fondo perduto.
FONTE:https://www.dettiescritti.com/wp-admin/post-new.php
Le imprese europee verso un ecatombe di fallimenti?
Sono dati allarmanti quelli che la Compagnie française d’assurance pour le commerce extérieur (Coface), la principale società francese operante nel campo dell’assicurazione dei crediti commerciali alle imprese private, ha rilasciato circa le previsioni sulla tenuta delle imprese nel Vecchio Continente in seguito alla crisi del coronavirus.
Coface, riporta Le Monde, prevede per la sola Francia un +21% nei fallimenti d’impresa, destinati a suo avviso a toccare quota 60mila imprese e a distruggere 200mila posti di lavoro. Un trend che si manifesterà in maniera analoga, con intensità diverse, in tutto il continente, per un’ampia gamma di settori in larga parte sovrapponibili: nei prossimi mesi verrà a galla la reale portata della recessione mondiale, oggi parzialmente celata dalle misure accomodanti dei governi, dai crediti a fondo perduto, dalle garanzie alla liquidità, dalle manovre sulla cassa integrazione e dal rinvio delle scadenze fiscali. Inoltre, la scarsa attività dei tribunali ha rallentato il numero di procedure di fallimento in diversi Paesi.
Nel futuro prossimo i nodi verranno al pettine: secondo lo studio di Coface pubblicato martedì 16 giugno, prosegue Le Monde, il dato sarà “più o meno lo stesso in Spagna (+22%), significativamente più alto nel Regno Unito (+37%) e in Italia (+37%), nonché nei Paesi Bassi (+36%)”. Dati non molto lontani da quelli raccolti in Italia da Confcommercio, che stima in oltre un’impresa su quattro la percentuale delle società a rischio chiusura, registrando così il peggior dato europeo.
Cosa genererà una possibile ondata di fallimenti di così vasta portata? Sostanzialmente ciò che si rischia è un profondo attrito tra il volume delle emissioni monetarie e dei crediti erogati e la loro solvibilità, specie sul fronte, sempre cruciale, dei crediti al consumo. Consumatori privati e piccole e medie imprese, specie nella fase di start-up, potrebbero rappresentare l’inizio del processo di insolvibilità di crediti pensati come misura emergenziale per scavalcare la crisi, dopo la quale però i singoli non potranno andare avanti se non con le proprie forze.
“La liquidità può essere infinita ma non è detto che chi ne dispone la indirizzi verso coloro che ne hanno bisogno, se costoro non sono in grado di restituirla perché non solvibili”, fa notare Milano Finanza, la quale aggiunge che la crisi “avrà un pesante impatto sulla propensione al rischio e quindi sulla circolazione della liquidità immessa nel sistema”. La barriera, in questo caso, è tra quei settori ad alto tasso d’occupazione, alto valore aggiunto e forte vulnerabilità a un ciclo di fallimenti di grandi player che in tutta Europa hanno ricevuto iniezioni di liquidità senza precedenti e l’ampia platea di piccole e medie imprese troppo spesso abbandonate e mantenute semplicemente a galla nella speranza di tempi migliori.
Tra le prime si segnalano i campioni della Difesa, foraggiati dalla Francia a piene mani, le compagnie di trasporto aereo, le società ferroviarie e le società di cantieristica e trasporto navale. Nel secondo gruppo numerose categorie che in Italia abbiamo imparato a conoscere: baristi, ristoratori, piccoli artigiani, liberi professionisti, operatori dei servizi alla persona e via dicendo. Un capitolo a parte va riservato, ovunque in Europa, alle imprese della galassia del turismo, per le quali si aspetta una Spoon River di chiusure e fallimenti da qua a fine anno.
Dati come quelli sui fallimenti che i Paesi europei rischiano gettano un’ombra sull’intero complesso di misure messe in campo nel contesto comunitario dai Paesi per garantire con la liquidità a pioggia un po’ di respiro ai loro settori economici. Non a caso il Paese che rischia meno fallimenti è la Germania, dove l’incremento potrebbe contenersi al 12% e dove, soprattutto, lo Stato ha provveduto a una serie di misure volte a dare ristoro anche oltre la fine della pandemia, con un programma che ha nella riduzione dell’Iva il suo cardine. Anche gli altri Stati dovranno mettere in campo misure incisive per dare un segnale di svolta: e tra questi annoveriamo l’Italia, dove tra una passerella e l’altra il governo Conte II cerca di coprire la sua totale assenza di idee.
FONTE:https://it.insideover.com/economia/le-imprese-europee-verso-un-ecatombe-di-fallimenti.html
CADE UN PILASTRO FINANZIARO AL RECOVERY FUND.
Gli USA bloccano i colloqui sulla Digital Tax
Giugno 18, 2020 posted by Leoniero Dertona
La prima colonna della prevista copertura del Recovery Fund, cioè la “Digital tax” sui giganti del web rischia di andarsene, almeno che non si voglia entrare in una guerra commerciale con il nostro principale cliente mondiale, gli USA: infatti Stati Uniti hanno sospeso i colloqui con i paesi europei per un nuovo quadro fiscale globale per società tecnologiche, come Google ,Facebook e Alphabet , secondo quanto riportato da Financial Times.
Il segretario al Tesoro degli Stati Uniti Steven Mnuchin ha scritto una secca lettera a quattro ministri delle finanze europei avvertendoli che le discussioni avevano raggiunto un “punto morto”. Inoltre ha affermato che gli Stati Uniti che non potrei essere d’accordo su modifiche temporanee alla legge fiscale globale che potrebbero colpire le grandi aziende tecnologiche , che hanno quasi per il totale sede negli USA.
Mnuchin ha inoltre avvisato che se le nazioni europee volessero provare ad applicare la propria imposta digitale contro le società tecnologiche statunitensi, non esiterebbe a rispondere con l’applicazione di sanzioni commerciali di risposta. Quindi questa strada per incrementare le entrare della commissione, così come stabilito dalla Commissione, si sta rivelando un vicolo cieco. Del resto perché gli USA dovrebbero lasciar tassare delle proprie società quando possono comodamente eludere il sistema di tassazione europeo e fare quello che vogliono? Se va bene verseranno qualcosa in più di tasse a Washington, se va male comunque verseranno dei dividendi più polposi che andranno soprattutto nelle tasche di cittadini americani.
Tolta questa strada, almeno per ora, alla Von Der Leyen non resta che la tassazione diretta dei cittadini europei, sia tramite il prelievo IVA, sia tramite le tasse e tassette ecologiche, sia tramite i dazi alla frontiera comunque pagati da maggiori prezzi per i cittadini europei.
FONTE:https://scenarieconomici.it/cade-un-pilastro-finanziaro-al-recovery-fund-gli-usa-bloccano-i-colloqui-sulla-digital-tax/
FCA-PSA nel mirino dell’UE: aperta indagine sulla fusione
18 Giugno 2020
La fusione FCA-PSA sotto i riflettori: perché l’Unione europea ha aperto un’indagine sul merger?
La fusione tra FCA e PSA sotto la lente d’ingrandimento dell’Unione europea, che nelle ultime ore ha confermato di aver avviato un’indagine sull’operazione.
Al centro delle discussioni il tema della concorrenza, riguardante nello specifico il settore dei veicoli commerciali leggeri, dove il merger potrebbe determinare una concentrazione eccessiva.
L’indagine della Commissione UE ha riacceso i fari dell’intero mercato sulla fusione FCA-PSA, ma le dirette interessate hanno tirato dritto.
Fusione FCA-PSA: i motivi dell’indagine UE
A rendere note le decisioni del blocco è stato come di consueto l’esecutivo comunitario, che grazie all’indagine dovrà valutare eventuali effetti negativi sulla concorrenza risultanti dalla fusione tra FCA e PSA.
Più nello specifico, la Commissione UE guarderà da vicino gli effetti del merger sul settore dei veicoli commerciali leggeri, ossia quelli sotto le 3,5 tonnellate.
“I van sono un mercato sempre più importante, Fiat e Peugeot hanno una forte posizione nel settore in molti Paesi UE, valuteremo attentamente”,
ha dichiarato la commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager.
Quest’ultima ha ricordato che l’eventuale concentrazione nel settore non gioverebbe a Stati quali Belgio, Croazia, Repubblica Ceca, Francia, Grecia, Ungheria, Italia, Lituania, Lussemburgo, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Regno Unito.
Un problema inesistente per il comparto automobili, dove la concorrenza è più ampia e meno esposta a rischi del genere.
La reazione delle società
L’annuncio della Commissione non ha scalfito il sentiment delle dirette interessate, le quali hanno confermato ancora una volta la loro intenzione di portare a termine la fusione i cui preparativi – si legge in un comunicato congiunto – stanno andando avanti come da programma.
“Le autorità antitrust di diverse giurisdizioni hanno già dato la loro approvazione, tra cui Stati Uniti, Cina, Giappone e Russia,”
hanno tenuto a sottolineare.
L’antitrust europeo adesso dovrà prendere una decisione sulla fusione FCA-PSA e dovrà farlo in un arco di tempo non superiore ai 90 giorni lavorativi, dunque entro il 22 ottobre prossimo.
FONTE:https://www.money.it/fusione-FCA-PSA-motivi-indagine-UE
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
Popolare di Bari: dal Tesoro un via libera da €430 milioni. E adesso?
18 Giugno 2020
Il salvataggio della Popolare di Bari entra nel vivo con le ultime decisioni del MEF. Le novità
Il salvataggio di Banca Popolare di Bari ha compiuto un nuovo passo in avanti.
Nel pomeriggio di ieri, mercoledì 17 giugno, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha comunicato di aver autorizzato il versamento di 430 milioni di euro che serviranno a rilanciare le sorti dell’istituto pugliese. La partita però è ancora tutta da giocare.
Salvataggio Popolare di Bari, novità: le ultime decisioni del MEF
Sul proprio sito ufficiale il Tesoro ha pubblicato il decreto con il quale è stato ufficialmente autorizzato il versamento di 430 milioni di euro in conto capitale, da far arrivare nelle casse di Banca del Mezzogiorno – Mediocredito Centrale, “per il tramite di una corrispondente operazione in favore della controllante Invitalia”.
Questo denaro avrà un ruolo fondamentale nel salvataggio della Popolare di Bari, un salvataggio che dovrà però passare ancora attraverso diverse fasi.
La somma autorizzata dal MEF permetterà a Mediocredito Centrale di guidare il piano di rilancio della pugliese che sarà a sua volta sottoposto all’esame degli azionisti; questi ultimi si riuniranno il 29 e il 30 giugno prossimi.
Tra i pilastri del salvataggio, ha ricordato il Ministero:
- assorbimento perdite tramite Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi;
- trasformazione della popolare in società per azioni;
- ricapitalizzazione;
- definitiva realizzazione del nuovo piano industriale.
Le condizioni necessarie per evitare di dover restituire i soldi al MEF, invece, saranno le seguenti:
- destinazione dell’intera somma al rafforzamento patrimoniale mediante versamenti in conto capitale;
- autorizzazione della BCE;
- trasformazione in spa;
- sottoscrizione da parte di Banca del Mezzogiorno – Mediocredito Centrale dell’aumento di capitale nella pugliese.
FONTE:https://www.money.it/salvataggio-Popolare-di-Bari-novita-MEF-autorizza-430-milioni
Fusione UBI-Intesa: è arrivato anche l’ok dell’Ivass. E adesso?
17 Giugno 2020
Fusione UBI-Intesa: nuovo passo in avanti con il via libera dell’Ivass. E adesso?
La fusione tra UBI e Intesa Sanpaolo ha ricevuto anche la benedizione dell’Ivass, l’istituto per la vigilanza sulle assicurazioni.
A confermare le iniziali indiscrezioni riportate dalla stampa nazionale è stato proprio l’istituto di Carlo Messina, tramite comunicato stampa pubblicato oggi sul suo sito ufficiale.
Fusione UBI-Intesa: l’ok dell’Ivass
L’offerta pubblica di scambio sulle azioni di Massiah è stata lanciata dal gruppo di Messina lo scorso 17 febbraio. Da quel momento in poi l’intero comparto ha atteso con ansia la realizzazione della fusione UBI-Intesa anche se il coronavirus ha in qualche modo distolto l’attenzione dal dossier.
Oggi, a quattro mesi esatti dalla presentazione dell’Ops, l’istituto torinese ha ricevuto dall’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni l’autorizzazione preventiva ad acquistare indirettamente una partecipazione di controllo in BancAssurance Popolari e partecipazioni qualificate in Aviva Vita e Lombarda Vita.
Un via libera necessario, quello dell’Ivass, viste le condizioni della fusione tra UBI e Intesa, che permetterebbero a quest’ultima di detenere quote rilevanti nelle società di bancassurance dell’altra.
“Si rende inoltre noto che Intesa Sanpaolo ha anche ricevuto l’autorizzazione preventiva dell’autorità lussemburghese Commission de Surveillance du Secteur Financier all’acquisizione indiretta di una partecipazione di controllo in Pramerica Management Company SA, con sede in Lussemburgo,”
ha concluso il comunicato.
Occhi su Consob
La palla a questo punto passerà alla Consob, che dovrà esprimersi sul prospetto informativo dell’operazione. Quando quest’ultimo verrà reso noto si potranno effettuare le opportune valutazioni (sia da parte degli azionisti che del cda di UBI).
Attenzione poi anche alle pronunce definitive dell’Antitrust, che ha espresso qualche dubbio sull’operazione cosa che ha portato Intesa e BPER a rivedere l’accordo per la cessione di un ramo d’azienda.
D’ora in avanti, gli step necessari alla fusione tra UBI e Intesa continueranno ad essere monitorati con costante attenzione.
FONTE:https://www.money.it/Fusione-UBI-Intesa-e-arrivato-anche-l-ok-dell-Ivass
Perché il colosso Intesa-Ubi può scuotere l’Italia
Carlo Messina, il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, con una mossa tanto repentina quanto ben costruita, ha dato una zampata nell’asfittico mondo delle imprese italiane. Ha scelto come preda la migliore delle banche di seconda fascia, l’Ubi, riportata in vita da uno dei più bravi manager bancari in circolazione, e cioè Victor Massiah. Si pensava che Ubi potesse comprare qualche rivale: è stata comprata.
I modi possono sembrare poco urbani; proprio nel giorno in cui Massiah raccontava il futuro della sua banca in solitaria, si è beccato la scalata. Eppure Intesa ha fatto tesoro dalle sue incertezze del passato: un’operazione con le assicurazioni Generali saltò proprio perché trapelò sui giornali. Ecco perché l’acquisizione è stata annunciata come un fulmine a ciel sereno e – cosa rarissima nel mondo della finanza internazionale – è rimasta segreta, escludendo così operazioni preventive grazie ad informazioni privilegiate.
Nasce così un colosso in Italia, e il settimo gruppo bancario in Europa. Ma restiamo ancora dei nani. Basti pensare che la sola JpMorgan ha un valore pari alle dieci più importanti banche europee messe insieme. Ieri i mercati finanziari hanno premiato la preda (come era inevitabile, vista la valorizzazione implicita nell’acquisto), ma anche il predatore. Segno che il mercato ritiene che si crei ricchezza per tutti. La nascita di un nazionale, nel settore del credito, avviene nel momento di maggior debolezza della politica.
Con generosità, ben calcolata, Messina si è fatto assistere dall’istituto che un tempo era suo rivale, e cioè Mediobanca. La personalità più eminente di Intesa e Ubi, e cioè il professor Bazoli, ha dichiarato di non essere stato messo al corrente dell’operazione. Difficile però pensare che sia stata organizzata contro il suo parere.
Tutti piccoli dettagli di un puzzle che ci fanno ritenere come sia nato in Italia un nuovo punto di riferimento anche politico. Nel senso più nobile del termine. Se l’offerta dovesse essere accettata, Intesa Sanpaolo racchiuderebbe in sé gran parte di quello che resta dell’establishment italiano. Non più solo una banca di sistema, non più solo il centro per la soluzione dei pasticci combinati da politica e imprese. Diventa un imprescindibile attore politico di un Paese desertificato. In cui mancano da anni punti di riferimento dell’economia.
FONTE:https://www.nicolaporro.it/perche-il-colosso-intesa-ubi-puo-scuotere-litalia/
Le monete nuove dell’imperatore
la rivoluzione monetaria post-Covid19
Speriamo di poter raccontare presto questa nuova edizione di una vecchia fiaba.
Nei testi di economia la primavera del 2020 segna la fine della scarsità monetaria, prima in Europa e poi nel resto del mondo.
Tutto avvenne per un processo spontaneo, naturale, che solo pochi fra i soliti ignoti riconobbero fin dalle prime fasi, assistendo impotenti al fiasco delle loro armi classiche: né l’ipnosi mediatica né la repressione poliziesca poterono impedire lo sviluppo autonomo degli eventi. Sarebbe stato come tentare di fermare la pioggia o, appunto, il ritorno della primavera dopo un inverno economico prolungato e inasprito con ogni possibile artificio finanziario, comunicativo, politico e militare.
La famigerata “moneta-debito”1 era stata lo strumento tanto subdolo quanto micidiale per asservire individui, imprese e nazioni, nel nord e nel sud del mondo. Solo pochi stati ribelli, i cosidetti “Stati Canaglia”2, vi si erano opposti, ma furono ricondotti all’ovile “con le buone” (sanzioni economiche e colpi di stato telecomandati) o “con le cattive” (bombardamenti, invasioni, esemplare impiccagione o linciaggio dei riottosi leader).
Un controllo globale così efficace e pervasivo sembrava destinato a consolidarsi sempre più, invece collassò in breve tempo, a causa degli stessi meccanismi che fino ad allora lo avevano garantito. Tutto sfuggì di mano a seguito della diffusione quasi-epidemica di un virus, Covid19, poco più letale della comune influenza stagionale. Il primo focolaio epidemico si manifestò in Cina, e si sarebbe risolto in un “fuoco di paglia” come era già accaduto nel 2002 e nel 2012 con virus della stessa famiglia. Questa volta, invece, i padroni del mondo vollero strafare. Vollero cogliere l’occasione per rimandare a cuccia il gigante asiatico che stava reclamando un posto sempre più prominente nel consesso globale. Così scatenarono i propri media e, in un intervallo di tempo che ancora oggi fa la fortuna degli astrologi (esattamente fra il capodanno occidentale e quello cinese), la paura e l’odio globale furono concentrati sulla Cina, mettendola al tappeto economicamente. Per pochi mesi.
Però non tutte le ciambelle riescono col buco: quel virus, e ancor più i media, si comportarono come un boomerang che tornò indietro e colpì il cacciatore con un effetto molto più devastante di quanto non avesse fatto con la preda.
Il cacciatore fu colpito proprio sul naso (l’Italia): ci fu un modesto sanguinamento che si poteva risolvere con un semplice tampone. Invece a quel punto si commise l’errore fatale, peraltro imposto dal sadomasochismo strutturalmente insito in quel sistema di potere: al cacciatore non parve vero di poter dare una bella lezione anche al proprio naso che, da sempre, egli giudicava troppo lungo e troppo largo, sgraziato, impertinente al punto da voler competere coi nasini francesi o con le perfette piramidi nasali teutoniche…
A dir la verità, da almeno cinquant’anni il cacciatore aveva intrapreso una serie di interventi di liposuzione sul proprio corpo, e in particolare su quel nasone, ma ora si presentava l’occasione per un intervento più radicale, e si procedette senza esitare né porsi dubbi sulle possibili controindicazioni. Del resto una crioterapia simile aveva funzionato “egregiamente” cinque anni prima sul mento (la Grecia) che era stata “troppo spavalda”.
Ebbene, prima che l’équipe iniziasse l’intervento vero e proprio, bastò anestetizzare quel naso e gli eventi procedettero autonomamente, naturalmente, in pochi minuti…
Adesso chiudiamo questa metafora e torniamo alla storia reale: non furono pochi minuti ma poche settimane. Poche, ma quante bastarono a far crollare l’intero castello di carta del sistema finanziario-monetario mondiale.
L’Italia ebbe le frontiere sigillate, le scuole e i luoghi di ritrovo chiusi; restarono in funzione solo le attività produttive essenziali. 60 milioni di cittadini segregati in casa, col permesso di uscire solo per fare la spesa o per altre necessità inderogabili.
Decidere tali misure era stato arduo per i leader italiani, ma tutto sommato si rivelò facile da eseguire e da far rispettare, con tanti mugugni ma con pochi incidenti degni di nota. La psicosi collettiva era stata messa nel conto, anzi, era parte integrante del piano: non solo quello di rimandare a cuccia la Cina ma anche, e soprattutto, quello di avere cittadini occidentali sempre più spaventati, quindi sempre più docili. Del resto in Europa vigeva incontrastato il principio: punirne uno per educarne cento!
Insomma, tutto sembrava procedere ancor meglio del previsto, e invece l’autolesionismo di tutte quelle manovre prese a rivelarsi quando il governo italiano fu costretto a emanare ogni giorno, più volte al giorno, provvedimenti urgenti per tamponare le falle che si andavano progressivamente aprendo nell’intero sistema-paese, con un effetto domino inesorabile. Solo per citare alcune tappe fondamentali: le scuole chiuse provocarono una impennata dei congedi lavorativi parentali per la necessità di custodire e accudire i bambini; la sospensione delle attività sociali comportò la paralisi di gran parte del settore terziario; la sospensione o riduzione delle attività produttive non essenziali colpì il settore secondario, e anche in parte quello primario.
Tralascio i passaggi intermedi e arrivo subito alla conclusione: l’economia reale subì un rallentamento drammatico, ma si adattò spontaneamente e tempestivamente ai nuovi equilibri che erano imposti dai bisogni essenziali. Anzi, molti autori segnalarono importanti e duraturi effetti collaterali, sia individuali che sociali e ambientali, indubbiamente positivi.
La finanza crollò, e non mi riferisco alle quotazioni di borsa, ma a qualcosa di ben più fondamentale. Infatti si potè bloccare o ridurre tutto, tranne il pagamento degli stipendi. E si dovette sospendere pro tempore anche la riscossione di tasse e imposte, dapprima in settori ristretti, poi sempre più allargati e infine, dopo solo pochi giorni, in ogni settore.
Mano a mano che queste misure calmavano gli animi in Italia, cresceva il malcontento nel resto d’Europa, con rimpalli di recriminazioni e accuse, minacce, ultimatum incrociati fra Roma, Bruxelles, Parigi, Berlino. Più forte di tutti urlava il cartello di Visegràd, mentre la Troika (BCE, FMI, Commissione) restava in disparte più che poteva. I media mainstream, non potendo ignorare quel frastuono, seguivano la classica strategia di spostare continuamente l’attenzione su questioni marginali, perciò si dibatteva su tutto tranne che su stipendi e tasse. Epperò in Italia gli stipendi continuavano a essere pagati, e le tasse non venivano riscosse, in uno strabismo collettivo europeo in cui gli italiani svolgevano davvero, e ora per obbligo, il ruolo che fino ad allora era stato loro affibbiato secondo stereotipi più o meno fondati: quello delle cicale.
Fatto sta che la BCE taceva e pagava. Rimproverava e pagava. Lanciava ultimatum e pagava…
Intanto si moltiplicavano i focolai epidemici in Europa e USA, non abbastanza da eguagliare i tassi di mortalità che ogni anno reclama la comune influenza stagionale, ma più che abbastanza per alimentare la guerra di tutti contro tutti, in una specie di gioco dei quattro cantoni in cui l’accusatore di ieri diventava l’untore di oggi: uno scenario in apparenza comico, e in sostanza tragico.
Poi, in capo a tre mesi, quella virosi si spense, tanto che oggi viene menzionata solo in testi ultraspecialistici di medicina e scienze biologiche. Però qualsiasi studentello di scuola secondaria sa che cosa sia la “Primavera 2020”. Magari non capisce bene quando i suoi genitori parlano dei tempi in cui bisognava lavorare sodo per pagare l’affitto o il mutuo e altri strani balzelli, però, se interrogato, lui risponde a pappagallo: “la primavera 2020 segnò la fine della scarsità monetaria!”. Perché? Perché un terzo degli europei si trovò costretto a fare la cicala, magari non per tre mesi come gli italiani, ma quanto bastò perché tutti, cicale e formiche in tutta Europa, si rendessero conto che stipendi, tasse, mutui, bollette non venivano pagati con monete d’oro, metallo davvero scarso, e neppure più con banconote: venivano pagati con gli elettroni di un sistema computerizzato.
E tutto si può dire degli elettroni, tranne che siano scarsi!
– “Già, confesso che anch’io, all’epoca, tiravo il libretto in faccia agli studenti se all’esame non rispondevano a pappagallo: “gli elettroni che girano nel sistema informatico bancario mondiale svolgono la stessa funzione che in passato svolgeva l’oro, quindi devono essere scarsi!”.
– “Eravamo tutti così: per metà narcotizzati e per metà ricattati, se no te la sognavi la cattedra universitaria!. Oggi ti prendono per pazzo se rispolveri qualche vecchia teoria economica, mentre, prima del 2020, veniva preso per pazzo chiunque mettesse in dubbio il “sacrosanto principio della scarsità monetaria”.”
Quel castello di carte si sgretolò perché gli europei, grazie a quell’epidemia viral-mediatica, fecero una serie di esperienze concrete e collettive che smentirono categoricamente tre secoli di teorie e prassi monetarie.
Dapprima essi constatarono che l’economia reale, sia pure temporaneamente dimezzata, procedeva senza intoppi. Intanto i loro introiti, moltiplicati per la sospensione delle tasse e di tanti altri pagamenti, nonché per il crollo delle spese voluttuarie e consumistiche, permettevano loro di mettere da parte in un mese quanto prima non riuscivano a risparmiare in un anno. Un’ulteriore gradevole sorpresa venne in estate, quando tutti poterono permettersi lunghe e agiate vacanze, con famigliari o amici, grazie a una frazione dei soldi messi da parte in primavera.
A nulla valsero gli ammonimenti delle Cassandre che, con la BCE in testa, anticipavano sciagure sotto forma di “un ritorno ai tempi dell’inflazione a due cifre”. Anzi, più le Cassandre imperversavano sui media, più i lavoratori alzavano barricate in difesa dei benefici (ri)conquistati, e meno l’inflazione accennava a crescere. Col senno di oggi gli “esperti” di quei giorni si rivelano o palesemente confusi o reticenti, comunque pervicacemente aggrappati ai dogmi della “moneta-debito”.
– “Aggrappati per amore o per forza, con i diktat del FMI, e con la pistola della NATO alla tempia! Bisogna dire che quel virus fu davvero ‘provvidenziale’ perché paralizzò gli USA nei mesi successivi, permettendo a noi di liberarci dal vecchio giogo. Oggi il dollaro è una fra le tante monete nel paniere mondiale, e gli stessi cittadini statunitensi ne sono felici, ma allora il loro “stato profondo” avrebbe scatenato una guerra mondiale pur di difendere il monopolio del dollaro…
– “Già. Così il FMI dovette ammettere quello che oggi è pacifico: che l’inflazione non deriva affatto da eccesso di moneta ma da scarsità di beni e servizi essenziali. E che nella categoria “essenziale” si può ben inserire tutto quanto soddisfa i bisogni non solo fisici, ma anche psichici, sociali ed estetici delle persone e dei gruppi organizzati.
Oggi, con un’economia sostenibile al 95%, non c’è praticamente limite alla produzione di beni e servizi. La robotizzazione diffusa ci consente di lavorare poche ore, qualche giorno alla settimana, e solo per passione, per diletto, o comunque per scelta. Caduto lo spauracchio dell’inflazione, ognuno di noi percepisce la rendita di base universale incondizionata, dalla culla alla tomba, e le accuse di “fare la cicala” non hanno più ragion d’essere perché chi vuole fare la formica, anche solo un po’, ottiene incentivi monetari più che generosi (moneta-credito, senza tasso di interesse).
– “E ti ricordi le tasse? Oggi le studiamo come un oggetto archeologico…”.
– “In effetti la persistenza fino al XXI secolo di strumenti così iniqui sul piano sociale, e addirittura controproducenti sul piano economico, sfida ogni comprensione storica: si spiega solo con un pervicace disegno imposto e mantenuto ad oltranza da elite antidemocratiche. L’alternativa più razionale, il demurrage3, era già stata sperimentata con successo un secolo prima, e con l’avvento dei computer poteva essere un gioco da ragazzi, almeno a partire dal primo giorno del 2000. Ce n’è voluto del tempo, ma oggi abbiamo un mondo più giusto, più sostenibile, e più pacifico. E finalmente noi economisti rendiamo merito ai pionieri4 che prima del 2020 ignoravamo, o addirittura denigravamo…”.
– “Benedetta Primavera 2020!. Un virus che ebbe scarso rilievo nella storia della medicina scardinò l’economia classica, semplicemente rivelando che l’imperatore era nudo”.
1Fino al 2020 ogni emissione monetaria comportava un debito matematicamente inestinguibile, in crescita inesorabile.
3La moneta elettronica, appena emessa, incomincia a perdere valore a un tasso intrinseco, come gli elementi radioattivi. Cioè: la tassa è intrinseca in ogni unità monetaria, invece che colpire le attività produttive.
FONTE:https://www.pressenza.com/it/2020/03/le-monete-nuove-dellimperatore/
IMMIGRAZIONI
Ci risiamo: l’Ue vuole sostituirci con i migranti
17 06 2020
“Fate cinque figli, il futuro dell’Europa è vostro” disse il presidente turco Erdogan nel 2017 ai musulmani residenti in Europa, una dichiarazione che seguiva quella dell’algerino Boumedienne nel 1974 all’Onu: “Il ventre delle nostre donne ci darà la vittoria”.
Di sicuro il tema della demografia sarà centrale nei prossimi decenni e sembra essersene accorta, con colpevole ritardo e con soluzioni tutte da chiarire e approfondire, anche l’Unione europea.
FONTE:https://www.nicolaporro.it/ci-risiamo-lue-vuole-sostituirci-con-i-migranti/
LA LINGUA SALVATA
ICONOCLASTIA o iconoclasmo
ICONOCLASTIA o iconoclasmo (dal gr. εικών “immagine” e κλάω “spezzo”). – Con questa parola è indicato quel movimento contro l’uso e il culto delle sacre immagini che fu provocato dall’imperatore bizantino Leone III Isaurico (717-741) e che, per oltre un secolo, agitò profondamente l’Impero e la Chiesa, dividendo i fedeli in due partiti avversi: quello dei fautori (iconoduli) e quello dei nemici delle immagini (iconoclasti).
Intorno alle cause e al carattere dell’iconoclastia varie sono le opinioni degli studiosi. Secondo alcuni quel moto fu determinato da ragioni esclusivamente religiose; secondo altri, da ragioni in prevalenza politiche e sociali. Diversi sono stati anche i giudizî espressi sul suo valore, considerandolo alcuni come un’odiosa persecuzione contro un uso consacrato dalla tradizione ecclesiastica, altri come un nobile tentativo di ricondurre il culto alla purezza primitiva. Le divergenze provengono, anche, dal fatto che le fonti di cui disponiamo sono unilaterali essendosi conservate solo le opere degl’iconoduli. Senza entrare in minuti particolari, fissiamo alcuni punti che ormai si possono considerare come assodati dall’indagine storica e che contribuiscono a chiarirne l’origine e gli scopi: 1. un’opposizione al culto delle immagini si era manifestata nel seno stesso della Chiesa sin dai primi secoli del cristianesimo e aveva dato anche origine ad atti di distruzione. Agl’inizî del secolo VIIl e prima dell’avvento di Leone al potere, erano del tutto ostili a quel culto i Pauliciani e i Monofisiti, i quali nelle provincie orientali dell’Impero costituivano un elemento importante della popolazione e una forza della quale lo stato non poteva non tener conto. 2. Il culto delle immagini là dove era in onore, specialmente in Costantinopoli, in Grecia e in alcune provincie dell’Anatolia, aveva assunto forme di mania religiosa che rasentavano l’idolatria. Ora, questa degenerazione del culto non soltanto era in contrasto con la retta dottrina della Chiesa, la quale vietava l’adorazione delle immagini considerando queste solo come un mezzo di edificazione del fedele, ma accresceva sempre più, a detrimento dell’autorità dello stato, l’ascendente del clero, in particolare dei monaci, sul popolo, mentre d’altro canto acuiva in certe regioni asiatiche il dissidio fra ortodossi ed eterodossi e favoriva la propaganda e l’avanzata dei musulmani. 3. Gl’imperatori iconoclasti, specialmente della dinastia isaurica, erano in genere uomini di profonda fede che rivolsero tutte le loro energie alla difesa del cristianesimo contro gli assalti dell’Islam e alla restaurazione interna dello stato. La riforma iconoclastica entrava nel piano di questa restaurazione. 4. Il moto, nei suoi diversi momenti, pur mantenendo ferma l’opposizione alle immagini, variò di contenuto e d’intensità; da principio fu rivolto quasi esclusivamente contro le degenerazioni del culto e non colpì se non coloro che con la forza o con atti di rivolta reagirono contro gli esecutori della legge. Crescendo l’opposizione e immedesimandosi questa nel monachismo, si passò a una radicale abolizione non solo del culto ma anche dell’uso delle immagini e a una violenta persecuzione contro gl’iconoduli. Attenuatasi poi la passione religiosa, la lotta fu diretta contro il monachesimo.
Il primo periodo corrisponde al regno di Leone III. Questi emanò due decreti iconoclastici: uno nel 726, l’altro nel 730. Quale fosse il contenuto esatto di quei decreti noi non sappiamo non essendoci essi pervenuti. Sembra che vi si ordinasse la rimozione di alcune immagini e se ne vietasse, in termini generali, il culto senza comminare pene speciali ai trasgressori. A ogni modo, il provvedimento suscitò una vera tempesta: si ebbero violenti tumulti a Costantinopoli e rivolte in Grecia e in Italia, dove furono uccisi alcuni funzionarî imperiali fra cui l’esarca Paolo. Il papa Gregorio II protestò altamente e il suo successore Gregorio III, in un concilio convocato a Roma nel 731, lanciò la scomunica contro i persecutori delle immagini. Anche il patriarca bizantino, Germano, disapprovò i decreti imperiali, mentre li accettarono non pochi vescovi, specialmente delle provincie anatoliche, e alti funzionarî civili e militari. Contro gli oppositori Leone procedette con fermezza: deposto Germano, elevò al patriarcato Anastasio che sottoscrisse il secondo decreto iconoclastico; punì i responsabili dei tumulti e dell’uccisione dei funzionarî pubblici; non avendo la possibilità di colpire il papa, staccò l’Italia meridionale, la Sicilia, la Dalmazia e l’Illiria dalla giurisdizione ecclesiastica di Roma subordinandole al patriarcato di Costantinopoli; ma non sembra che abbia proceduto né a una sistematica distruzione delle immagini, né a condanne d’iconoduli, per la semplice accusa di essere adoratori delle immagini. La persecuzione si scatenò sotto il regno del suo figlio e successore Costantino V (741-775). Deciso a portare a compimento la riforma iniziata dal padre, egli volle che l’iconoclastia apparisse non come un semplice provvedimento di politica imperiale, ma come l’instaurazione della retta dottrina della Chiesa. A questo scopo, nel 753, riunì a Hieria, sulla riva asiatica del Bosforo, un concilio perché deliberasse intorno al culto delle immagini. Al concilio parteciparono non meno di 300 vescovi e i lavori si prolungarono per circa sei mesi. Dai frammenti delle deliberazioni a noi pervenuti sembra che, più che una discussione in contraddittorio, nel concilio si facesse il processo contro le immagini e i fautori del loro culto. L’arte della pittura, in quanto riproduce il Cristo e i Santi, fu detta empia e sacrilega; il culto delle immagini, vera idolatria introdotta da Satana per profanare il cristianesimo; fu scagliato l’anatema contro il patriarca Germano, contro Giovami Damasceno, il più strenuo difensore di quel culto. Il decreto finale fu di severa condanna. Di questa deliberazione Costantino si servì in modo implacabile. Le immagini furono distrutte o ricoperte con altri disegni; i sostenitori del loro culto, perseguitati: molti di essi furono imprigionati e mandati a morte. Più che tutti furono presi di mira i monaci. Sfrattati dai loro monasteri, imprigionati o costretti ad abbandonare l’abito e a ritornare al secolo, privati dei loro beni, parve che si volesse distruggere totalmente l’ordine monastico. Le violenze contro di loro furono tante e così spietate che alcuni storici si domandano se in realtà la riforma iconoclastica avesse di mira la lotta contro le immagini o non piuttosto la guerra contro il monachismo. Leone IV (775-780) seguì le orme paterne: ma alla sua morte essendo, per la minorità di Costantino VI, passato il governo nelle mani della vedova Irene, s’iniziò un moto di reazione contro l’iconoclastia. Allontanati a poco a poco dalle cariche più importanti della Chiesa e dello stato gl’iconoclasti, riannodati i rapporti con Roma, Irene nel 786 convocò un concilio a Costantinopoli per riformare i decreti di quello del 753. Il concilio fu disperso da una sommossa dai soldati della guardia imperiale, ostili alle immagini, ma fu nuovamente adunato l’anno seguente a Nicea. In esso furono revocati i decreti del 754 e restaurato il culto delle immagini, con la riserva, però, che a queste si dovesse non l’adorazione ma la semplice venerazione. Ai monaci furono restituiti i monasteri confiscati, ma si procedette nello stesso tempo a una rifoma dei loro ordinamenti e alla condanna del traffico delle cose sacre (simonia). Non ostante queste deliberazioni, la lotta fra iconoclasti e iconoduli continuò: ma è impossibile delinearla, tanto la questione religiosa fu allora svisata e piegata ai fini politici nel contrasto fra Irene e il figlio Costantino VI. Il successore di questa, Niceforo (802-811), senza essere un iconoclasta, si dovette preoccupare della potenza acquistata dai monaci tanto che ne riprese la persecuzione rinfocolando i dissidî appena sopiti. La lotta riarse con veemenza sotto Leone V (813-820). Un nuovo concilio, da lui convocato nella chiesa di Santa Sofia in Costantinopoli, rimise in vigore i decreti iconoclastici del 754 e furono prese misure severissime contro gli iconoduli. Ma la questione religiosa ormai non era se non un pretesto per colpire il partito monastico che in quel momento aveva una grande forza ed era diretto dall’abate del monastero di Studion, Teodoro. Ciò a cui si mirava da parte del monarca era di mantenere fermo il principio, che i suoi predecessori avevano sempre proclamato, d’intervenire negli affari ecclesiastici; da parte degl’iconoduli, di far trionfare, contro la secolare tendenza del cesaropapismo della corte, l’assoluta indipendenza della Chiesa di fronte allo stato. Gli atti di violenza cui si abbandonarono Leone V e i suoi due immediati successori, Michele II (820-829) e Teofilo (829-842) non furono meno gravi di quelli di Costantino V: il patriarca Niceforo deposto, Teodoro Studita esiliato, molti monaci uccisi oppure puniti con pene atroci, come il bruciamento delle mani per avere dipinto icone. Ma furono quelli gli ultimi guizzi della grande lotta. Ormai erano tutti stanchi e l’attaccamento del popolo e d’una grandissima parte del clero al pio uso di venerare le immagini era, dopo tante persecuzioni, più vivo che mai. Alla morte di Teofilo la moglie, che fu a capo dello stato quale reggente per il figlio minorenne Michele III, poté, senza incontrare resistenze, ristabilire il culto in un concilio convocato a Costantinopoli nell’843. Da allora il programma iconoclastico fu abbandonato.
Quali risultati ebbe la grande lotta? Nel punto principale, il culto delle immagini, fallì del tutto; ma, d’altra parte, essa fece trionfare il programma politico e l’assolutismo monarchico si affermò definitivamente sulla Chiesa orientale. Per l’arte, se da un lato furono distrutti icone, avorî, miniature, mosaici di pregevole lavoro, dall’altro si creò un nuovo tipo d’arte decorativa con scene profane, che rinnovò le antiche forme, diventate ormai trite, e migliaia di monaci e artisti, sfuggendo alla persecuzione, emigrarono nell’Italia meridionale, nella Cappadocia, in Armenia, nella Balcania, dove diffusero l’arte bizantina. Una conseguenza diretta dall’iconoclastia fu la perdita dell’esarcato di Ravenna che passò ai papi e l’acuirsi del dissidio fra la Chiesa romana e Bisanzio che doveva presto portare alla loro definitiva scissione. La perdita di parte dell’Italia, per quanto dolorosa per l’Impero, fu compensata dal rinnovamento interiore e dal ridestarsi dello spirito combattivo dello stato che ebbe un periodo di rinascita e di potenza nei secoli IX-X.
In Occidente la questione delle immagini ebbe anche ripercussioni teologiche. Costantino V cercò di conciliarsi i vescovi franchi; poi l’imperfetta traduzione degli atti del II concilio di Nicea provocò la reazione dell’episcopato franco espressa nei Libri carolini (v. carolini, libri) e nel secondo canone del concilio di Francoforte (794); confermata da un concilio di Parigi (825) essendosi Michele II rivolto a Lodovico il Pio. Contrarî alle immagini furono Agobardo di Lione (v.) e Claudio di Torino (v.); favorevole, tra gli altri, Walafrido Strabone.
Bibl.: L. Maimbourg, Hist. de l’hérésie des Iconoclastes, voll. 2, Parigi 1683; K. Schwarzlose, Der Bilderstreit, ein Kampf der griechischen Kirche um ihre Eigenart u. ihre Freiheit, Gotha 1890; L. Bréhier, La Querelle des images, VIII-IX siècles, Parigi 1904; N. Iorga, Les origines de l’iconoclasme, in Bull. sect. hist. de l’Acad. roumaine, XI, Bucarest 1924; H. Leclercq, Culte et querelle des images, in Cabrol et Leclercq, Dict. d’archéologie et de liturgie, VII, coll. 180-302, Parigi 1927; G. Ostrogorsky, Studien zur Gesch. des byz. Bilderstreits, Breslavia 1929; A. A. Vasiliev, Hist. de l’Emp. byz., cap. V, trad. franc., Parigi 1932.
FONTE:http://www.treccani.it/enciclopedia/iconoclastia-o-iconoclasmo_%28Enciclopedia-Italiana%29/
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
Smart working: resterà la modalità di lavoro prevalente
17 Giugno 2020, di Mariangela Tessa
La pandemia di Covid-19 ha avuto un forte impatto su tutti gli aspetti della quotidianità, introducendo profondi cambiamenti nel contesto professionale, organizzativo e sociale che non si limiteranno al breve periodo.
Si pensi per esempio allo smart working. Se prima della pandemia solo il 31% dei dipendenti poteva usufruire dello smart working, e non su base quotidiana, allo stato attuale, i lavoratori che proseguono completamente l’attività da remoto rappresentano quasi l’80%.
È uno dei risultati emersi dalla ricerca “Lo smart working in Italia, tra gestione dell’emergenza e scenari futuri” condotta da ANRA, Associazione Nazionale dei Risk Manager, e Aon, che ha analizzato come è cambiata la vita lavorativa degli italiani nella ricerca.
La ricerca ha coinvolto dipendenti di aziende di tutte le dimensioni, ricevendo forte riscontro da grandi imprese (45%) e micro e piccole imprese (44%) e ha avuto un duplice obiettivo: fornire, da un lato, una panoramica su problematiche/vantaggi riscontrati dalle imprese italiane nell’affrontare la conversione al lavoro agile, tra fine febbraio e inizio marzo; dall’altro, comprendere in che modo questo possa rimanere come strumento nel futuro, e in quale misura modificherà l’organizzazione e la quotidianità lavorativa.
Dal sondaggio Anra, emerge inoltre che le aziende che in precedenza non usufruivano di questa modalità basavano la propria decisione sulle possibili problematiche relative a pianificazione, gestione e controllo delle attività (44%), sulla mancanza di una strumentazione idonea (29%) o sul timore di un calo della produttività (26%).
I lavoratori hanno riscontrato che oltre il 70% delle proprie attività può essere svolto da remoto, anche se rimane una certa difficoltà nella pianificazione e gestione delle attività (che però scende dell’11% rispetto alla percezione pre-Covid), probabilmente perché la repentinità imposta dall’emergenza non ha consentito una migliore organizzazione in tal senso.
“Tra i motivi d’impedimento all’utilizzo dello Smart Working prima dell’emergenza, numerosi sono stati i riferimenti a una ‘mancanza di cultura’ tra i piani alti, un preconcetto legato alla mancanza di fiducia nei propri dipendenti che si trovano a fare lo stesso lavoro, ma da casa, secondo tempi e ritmi diversi. Questa visione si è ‘allentata’ quando lo Smart Working è entrato a far parte della nostra quotidianità, seppure, in maniera forzata: le aziende hanno performato bene, nonostante le difficoltà che tutte le organizzazioni, in misura minore o maggiore, hanno riscontrato.” commenta Alessandro De Felice, Presidente ANRA.
La ricerca ha poi indagato vantaggi e svantaggi dello Smart Working. Ai primi posti, in entrambi i casi, si ritrovano elementi correlabili al fattore tempo e al bilanciamento tra vita lavorativa e non. Tra i pro, il 47% evidenzia infatti la possibilità di gestire con più autonomia i propri orari di lavoro e il 43% un migliore equilibrio tra vita privata e professionale.
Tra i contro, pesano invece la mancanza di separazione tra ambiente lavorativo e domestico (48%) e soprattutto la grande difficoltà nel limitare le ore dedicate al lavoro (58%). Polarizzazioni che sembrerebbero contraddirsi ma sono in realtà dovute al fatto che i lavoratori si sono trovati a passare da un estremo all’altro, e dunque le loro percezioni sono risultate estremizzate.
Che la particolarità della situazione abbia influito sulle risposte emerge anche nella rilevazione in merito alla convinzione che lo smart working rimarrà come modalità di lavoro principale anche nel “New Normal”: lo sostiene il 48% di chi ne ha effettivamente usufruito, ma addirittura il 64% di chi non ne ha avuto la possibilità. Una differenza che si spiega considerando che chi ha effettivamente sperimentato il lavoro agile ne ha una visione più lucida, disincantata, avendone sperimentati effettivi vantaggi e svantaggi.
FONTE:https://www.wallstreetitalia.com/smart-working-restera-la-modalita-di-lavoro-prevalente/
Pensioni più leggere dal 2021: ecco perché e chi subirà il taglio
15 Giugno 2020, di Alessandra Caparello
Assegni pensionistici più leggeri dal 1° gennaio 2021 secondo quanto ha stabilito il decreto 1.06.2020 sulla revisione triennale dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo. Dal 1 gennaio 2021, in pratica, i coefficienti di trasformazione eroderanno il montante contributivo per chi andrà in pensione.
Secondo la riforma Dini, il montante contributivo accumulato dal 1996 in poi è soggetto a rivalutazione media quinquennale legata all’andamento del Pil. Dal 2012, viene aggiornato ogni tre anni e il prossimo aggiornamento è previsto a partire dal prossimo anno quando verrà recepita anche la variazione del Pil negativo.
In base al decreto approvato a giugno, le pensioni decorrenti dal prossimo anno avranno una quota contributiva più leggera per effetto dei nuovi coefficienti che si applicheranno per le pensioni che avranno decorrenza dal 1° gennaio 2021, quindi non sono interessati i soggetti già pensionati, nonché coloro che accederanno alla pensione il 1° dicembre 2020.
I nuovi coefficienti sulle pensioni in vigore dal 2021
Il taglio dei coefficienti, che oscillava da 4,20% in corrispondenza dei 57 anni a 6,513% per chi accedeva a pensione con 71 anni, dal prossimo anno si abbassa tra 4,186% e 6,466%. A conti fatti, come scrive Il Sole 24 Ore, una dipendente pubblica con 67 anni di età e con meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, e quindi con una quota contributiva dal 1° gennaio 1996 e con un montante contributivo di circa 681mila euro, vedrà calare il suo assegno complessivo da 64mila euro a 63.700 euro.
Per i lavoratori con almeno 18 anni di contributi entro il 1995 invece l’impatto sarà minore considerato che la quota contributiva viene calcolata dal 1° gennaio 2012. Ciò comporta che a fronte di un montante contributivo di 100mila euro, derivante da uno stipendio annuo di 30mila, la quota contributiva di pensione scenderà da 5.604 euro a 5.575 euro, con un taglio di 29 euro lordi annuali.
FONTE:https://www.wallstreetitalia.com/pensioni-piu-leggere-dal-2021-ecco-perche-e-chi-subira-il-taglio/
PANORAMA INTERNAZIONALE
1000 MILIARDI DI DOLLARI: IL PIANO DI INVESTIMENTI DI TRUMP SPAVENTA PERFINO I REPUBBLICANI
I senatori repubblicani si sono spaventati quando Trump ha presentato loro un piano di investimenti infrastrutturali colossali: ben 1000 miliardi di dollari.
Secondo il leader della maggioranza repubblicana, lo stesso partito di Trump, Mitch McConnell, sarebbe necessario prima rifinanziare il piano di costruzioni autostradali per 287 milioni di dollari, prima di lanciarsi in nuove leggi di finanziamento. I repubblicani della camera si attendono che questo che ridotto perchè, oltre al piano autostradale da 287 milioni, c’è il piano CARES da 2200 miliardi ed un piano di aiuti di emergenza di 487 miliardi di dollari, vediamo che si tratta di una somma complessiva enorme, che rischia di far esplodere il deficit dello stato. Ricordiamo che l’anno scorso si andò, brevemente, ad una chiusura del governo per una legge di finanziamento dei parchi per 17 miliardi di dollari. Qui si parla di migliaia di miliardi divisi in più piani.
A marzo Trump twittò a proposito di un piano infrastrutturale che avrebbe dovuto arrivare a 2 miliardi di dollari. Questo piano enorme però incontrò l’ostilità dei senatori repubblicani i quali gettarono molta acqua sul fuoco fino a , letteralmente , spegnerlo. Ora però le cose sono diverse, sia perchè diverso è il momento, sia per un approccio più logico:
- si avvicinano le elezioni, per cui è necessario mostrare che il governo sta facendo qualcosa per l’economia reale;
- ora non ci sono più dubbi sui danni economici portati dal COVID-19 e si è capito che bisogna spendere tanto subito, per evitare di spendere ancora di più e dopo;
- l’approccio non è più “Spendiamo 2 miliardi”, ma “Cosa offriamo con un miliardo”, concentrandosi quindi non sulla cifra ma sulle realizzazioni. Si parla della Banda Larga nelle aree rurali e di nuove infrastrutture idriche per 17 miliardi. Tutte opere che porteranno un impatto tangibile sulla popolazione.
Intanto questi nuovi investimenti gonfieranno il deficit federale, che già marciava sui 3,7 miliardi di dollari. Però ora non è momento di risparmio.
FONTE:https://scenarieconomici.it/1000-miliardi-di-dollari-il-piano-di-investimenti-di-trump-spaventa-perfino-i-repubblicani/
Perché bisogna capire in fretta dove ha sbagliato l’Oms
Francesco Boezi
17 GIUGNO 2020
Il professor Davide Zella si definisce l”ala destra” del professor Robert Gallo. Zella è originario di Pavia, ma lavora negli Stati Uniti, nello specifico in Maryland, da molti anni ormai. Dirige il Laboratory of Tumor Cell Biology e, nel corso di queste settimane, il suo nome è balzato agli onori delle cronache per via di uno studio sulle sequenze genetiche del Sars-Cov2. Zella è insomma uno di quegli italiani che ha assistito all’epidemia che ha attecchito nel Belpaese da lontano. Ma la virologia degli Stati Uniti è decisamente un ambito privilegiato tra quelli da cui i fenomeni possono essere indagati. E ora gli States, per stessa ammissione del professore, si trovano in un punto pandemico diverso rispetto al nostro. In questi mesi, abbiamo avuto a che fare con parecchi esperti di virus. Virologi che hanno presentato argomentazioni e tesi molto diverse tra loro. Nella nazione governata da Trump, invece, le cose sembrano andare in maniera diversa. Siamo partiti da questa semplice considerazione.
Come mai tutta questa confusione scientifica? Negli States sembra prevalere il pragmatismo..
Bella domanda. La scienza ha bisogno di pareri difformi, perché procede per ipotesi. Il bello della scienza in effetti è proprio questo. Bisogna però bilanciare il tutto. In situazioni come questa del Sars-Cov2, occorre una centralizzazione, per trovare il cuore, le risorse, del problema. Non è facile riuscire a risolvere tutto. Certo è che se durante momenti difficili la televisione dà spazio a tutti i punti di vista, le persone, gli spettatori, non possono che fare confusione. L’esempio sulla bontà dell’utilizzo delle mascherine, in questo senso, rappresenta ormai un classico.
Voi avete studiato le sequenze genetiche di questo virus. Si può parlare di ceppi diversi o di mutazioni specifiche?
Nel momento in cui una persona decide di classificare certi organismi, deve porre dei limiti. Non stiamo parlando delle differenze tra il genoma dell’uomo e quello di un topo: in quel caso le differenze, per quanto mitigate dalle percentuali, sono evidenti. Un discorso diverso riguarda gli organismi virali: in quella circostanza bisogna stabilire una soglia. Perché si opera all’interno di una stessa famiglia. Una mutazione determina una differenza tra ceppi o no? Per definizione è chiaro che una mutazione può produrre due organismi diversi, ma poi bisogna vedere quanto questa mutazione influisce nel complesso del virus. Delle differenze proteiche, in caso di mutazione, ci sono. Ma molte mutazioni non cambiano il comportamento dell’organismo.
E quindi?
Esistono mutazioni che non producono effetti significativi e mutazioni che, pur apparendo a cluster, non generano differenze rilevanti, ma producono classificazioni. E poi mutazioni che gli algoritmi dei computer interpretano come completamente diverse, assegnando dunque quel virus ad una nuova specie. Parlo di qualcosa di pesante, come una ricombinazione. Se cambia qualcosa in un gene che non ha effetto sul corpo umano, c’è un cambiamento, ma noi non ce ne accorgiamo. Si tratta di un continuum in cui è facile perdersi. Molto dipende dal livello della soglia stabilita da chi studia il virus. All’inizio di questa storia, noi abbiamo notato una mutazione in Europa sulla polimerasi. Bastava a dire che il virus sta cambiando? Era diverso dal cinese, questo sì.
La conclusione è che il virus si sta indebolendo o no?
Studiare la contagiosità non può prescindere dalla disponibilità di modelli. Le cliniche, come sa, erano intasate. Dal punto di vista di un laboratorio? Noi stiamo riaprendo adesso. Questo per farle capire come oggi si stia rincorrendo il virus. Non mi risultano al momento studi che possano dare una risposta definitiva. Mi sento di dire che, per intuito e per via del continuum temporale delle mutazioni, il virus stia a mano mano andando via. Ci aiuta anche l’epidemiologia: il Sars-Cov2 ha colpito l’Europa, e duramente l’Italia, Spagna, Francia e Inghilterra, poi è emigrato verso gli Stati Uniti, e ora sta colpendo in Africa ed in Sud America. Rispetto alla parte iniziale, direi che il Sars-Cov2 sta recedendo. Con buone probabilità, assoceremo questo fenomeno a delle mutazioni che ci racconteranno di come il nuovo coronavirus sia diventato meno cattivo. I dati puntano in questo senso, mi riferisco ai Proff. Zangrillo e Caruso. Poi manca ancora la prova fondamentale. E dunque uno scienziato non può che avere timore nell’affermare delle certezze.
Lei è lombardo. Come se lo spiega quello che è accaduto nella sua Regione?
Mentre in Cina venivano pubblicate le prime notizie, noi negli Stati Uniti abbiamo partecipato ad un seminario tenuto da un medico cinese, che proveniva proprio da Wuhan. Un medico che parlava in termini di situazione drammatica. Le difficoltà di gestione sono derivate dai numeri comunicati. La Cina ha contato 3mila morti. Difficile generare un allarme con quei numeri. La prima Sars ha comportato 700 morti, ma il mondo non se n’è quasi accorto. Le antenne non si sono alzate perché 3mila morti possono non essere sufficienti a sollevare il giusto allarme a livello percettivo. E poi c’erano tutte le questioni politiche aperte, con gli aperitivi di Sala e così via. C’è stato anche un tentativo di esorcizzare.
A che livello si è sbagliato?
Roma, dal centro, ha cercato di capire cosa stesse accadendo. La Lombardia, come situazione decentralizzata, ha dovuto operare sul campo. Un sistema non rodato che funziona solo se l’allarme scatta in modo totale. Se fosse stata l’Ebola, ce ne saremmo accorti subito, per via del tasso di mortalità. Con questa situazione, i sistemi sanitari di tutto il mondo non potevano essere pronti a gestire un fenomeno del genere. Poi serviranno linee guida nuove. Il caso lapalissiano è quello delle Rsa: non è possibile che un paziente con la tosse faccia dentro e fuori dagli ospedali e dalle Rsa. Ora ragioniamo col senno del poi: adesso è facile. Mi metto nei panni degli amministratori: non c’era un’esperienza pregressa che servisse da monito. Di sicuro le linee guida erano drammaticamente insufficienti per affrontare quello che è successo. La cosa giusta da fare? Chiudere tutto subito. Ma dalla Cina sono stati comunicati 3mila morti ed era impossibile avere la giusta percezione del dramma.
Qual è la situazione negli Stati Uniti adesso?
Negli Stati Uniti siamo dalle due alle tre settimane dietro all’Italia. Non hanno aiutato le proteste di questi giorni: nel momento in cui hai quel tipo di assembramento, è possibile che la situazione si complichi. Degli Stati stanno rispondendo meglio, degli Stati stanno rispondendo peggio. Qui dipende molto dalla densità abitativa e dal clima. New York non è il Montana. A parità di distanziamento sociale e misure come le mascherine, anche il clima gioca il suo ruolo. Ci sono dei punti in cui il virus sta crescendo ovunque e punti in cui il virus sta scomparendo. Qui in Maryland siamo a circa 400-500 casi al giorno, con un calo delle ospedalizzazioni.
Ma è vero che negli States la pandemia è stata poco gestita?
Dipende dal punto di vista. Per i Democratici la pandemia è stata gestita male, ma loro all’inizio battevano forte sul non chiudere i voli per non fare discriminazioni razziali. Anche qui c’è stata una motivazione di carattere politico. Trump è in qualche modo riuscito a blindare il territorio, ma all’inizio gli Stati non hanno implementato dei meccanismi in grado di operare mediante un tracciamento certosino. Adesso e’ meglio, ma non siamo ancora alla situazione ottimale. Le colpe sono distribuibili. Si poteva fare meglio? Sì. Poteva andare peggio? Sì. Non eravamo preparati? Non in maniera adeguata. Il Center for Disease Control and Prevention (CDC) e la Food and Drug Administration all’inizio non hanno dato il meglio, visti i ritardi nella messa a punto dei test diagnostici.
E l’Oms?
Non voglio far polemica. L’Oms si è difesa dicendo che ha segnalato tutto, ma il sistema chiaramente non ha funzionato. Bisogna capire dove non ha funzionato. Non è che Trump abbia ragione nel dire che l’Oms non ha funzionato. Non c’è neppure bisogno di citare Trump perché anche l’Oms ha ammesso che il sistema non ha funzionato, nonostante le segnalazioni. Bisogna comprendere a che livello comunicativo il meccanismo, l’ingranaggio, si è inceppato. Le informazioni sul campo, al livello cinese, non c’erano. Non è passato subito il messaggio: “Attenzione, c’è un problema enorme”. Perché non è passato il messaggio? Questo è il punto focale su cui conviene riflettere. L’Oms serve, ma è uno strumento burocratico e centralizzato. Un organismo centralizzato deve avere delle informazioni sul campo, altrimenti non serve a niente. Dai territori devono arrivare informazioni tempestive. Se l’Oms avesse lanciato l’allarme dinanzi ad una pandemia simile alla prima Sars, e il mondo avesse implementato le chiusure come le abbiamo vissute, tutto si sarebbe fermato per 700 morti. E la polemica sarebbe stata inversa. Dunque molto, se non tutto, dipende dalle corrette informazioni che provengono dai territori. Il problema comunque va capito, perché va risolto.
FONTE:https://it.insideover.com/societa/perche-bisogna-capire-in-fretta-dove-ha-sbagliato-loms.html
POLITICA
I TG NON L’HANNO DETTO
Venerdì scorso, a Digione, un sedicenne ceceno viene aggredito da coetanei maghrebini, per un affare di droga. Finisce all’ospedale Richiamati dai social alla vendetta, ceceni da tutta la Francia si sono radunati a Digione; accolti da maghrebini, diversi dei quali armati di kalashnikov, altri di sbarre di ferro. Sparatorie confuse con armi automatiche, corse in auto, incendi, fumo da zona di guerra.. Un uomo di 38 anni colpito alla schiena – non ne viene detta l’etnia – è gravissimo.
https://twitter.com/dupontaignan/status/1272640893070323713https://twitter.com/i/status/1272887294098378754
Disordini sono esplosi di nuovo a Parigi.
Infermiere e personale sanitario provato dal superlavoro, lo stress e infezione spesso contratta in prima linea, che manifestavano agli Invalides, sono state prima applaudite dai poliziotti, ma poi – non è chiaro perché, gli agenti e i manifestanti della sanità si sono scontrati
FONTE:https://www.maurizioblondet.it/i-tg-non-lhanno-detto/
Bravo, centrodestra: nessun aiutino al regimetto di Conte
17 06 2020
Non si può manifestare, a meno di non essere antifa oppure inginocchiati Black lives matter, ché ai loro corpi santi il Covid fa un baffo. Né si può quasi fornicare, o almeno lo si dovrebbe fare seguendo le linee guida del sesso pandemicamente corretto a cui sta lavorando Massimo Galli dell’ospedale Sacco di Milano. Ci hanno imposto mascherine sulla cui utilità tutta la comunità scientifica discute, ma anche qui solo se non sei un invitato al party di nove giorni a Villa Doria Pamphilj (neppure il fondatore di Playboy, Hugh Hefner, li organizzava così lunghi) dove invece ci si stringe la mano rigorosamente a volto scoperto.
Lasciateci almeno il diritto di criticare il governo e di sapere che esistono nel Paese forze politiche che vorrebbero fargli tirare le cuoia. E invece no. Sembra che stare all’opposizione sia una condotta moralmente riprovevole, un gesto che qualifica chi lo mette in pratica o anche chi osa semplicemente annunciarlo a metà tra l’untore e il buzzurro: l’opposizione come delitto sanitario ed estetico.
Una pressione quotidiana che esercitano, tutti i dì feste incluse, i giornali del regimetto (ma poi forse neanche cosi “etto”) piddopentastellato, in cui però il bastone del comando pare più nelle mani del “partito romano”, la cui formula chimica è Qbd (Quirinale Burocrazia DeepState), più sostegno esterno del Vaticano. Oggi ad esempio su uno dei giornali del regimetto, che non per caso sono anche quelli del partito unico del virus, La Stampa, Marcello Sorgi, il gran cerimoniere del partito romano, dopo aver scritto peste e corna di Matteo Salvini conclude che egli, avendo intercesso con Viktor Orban, non avrebbe più motivo di “stare all’opposizione e di rifiutarsi di collaborare con il governo nella nuova emergenza”.
Ma se Salvini è cosi tanto una ciofeca, perché lo volete con voi? La stessa domanda andrebbe rivolta a Giuseppe Conte, che non passa giorno senza insultare l’opposizione e cercare di dividerla, però subito dopo la vuole collaborante. Mai si è visto un governo dotato in teoria di una propria maggioranza, implorare così continuamente l’aiuto della minoranza: un appello in politica contro natura, visto che chi detiene il potere tende a non cederlo agli altri.
A meno che Conte non sia convinto o sia stato convinto da qualcuno che la collaborazione di Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi sarebbe più simile a una sottomissione, cioè a un sostegno diretto o indiretto senza nulla di sostanzioso in cambio. Allora sì, che si capirebbe: quale capo di governo non sogna di essere privo di opposizione? Come l’imprenditore che, diceva Luigi Einaudi, è il primo nemico della concorrenza, perché vorrebbe essere il monopolista del suo settore, così in politica. E Conte non ha tutti i torti a anelare a qualcosa del genere: in fondo, nella prima fase della emergenza, l’opposizione si era effettivamente eclissata senza ottenere nulla in cambio, quindi logico che egli pensi il miracolo possa ripetersi.
Nonostante le tendenze attovagliatrici presenti in alcuni esponenti dell’opposizione (in Italia le rivoluzioni cominciano in strada e finiscono a tavola, diceva Leo Longanesi) per il momento le sirene sembrano siano state scacciate, almeno da Lega e da Fratelli d’Italia. I quali benissimo hanno fatto a lasciare l’aula in segno di protesta verso un esecutivo che ha prima nascosto il virus, poi l’ha sottovalutato, quindi ci ha incarcerato tutti senza passare dal Parlamento (e in Ungheria non sono più sottomessi come invece ancora noi allo stato di emergenza), infine ha mandato virologi nelle tv di regime pubbliche e private a tifare “forza virus” e ora, di fronte alla pandemia economica, si chiude per nove giorni in un party a metà tra Playboy e Bildberg, rimandando qualsiasi intervento strutturale a dopo l’estate, quando saremo tutti morti.
Si capisce che Conte voglia usare i corpi di Salvini e Meloni come scudo nei confronti dei forconi che arriveranno, o più ingenuamente pensi che Lega e Fdi possano controllarli. Ma, nonostante i richiami a sedersi a tavola del governo, provenienti dall’eterno, trasformistico e consociativo, potere romano, i nostri sanno benissimo che il momento in cui smettessero i panni dell’oppositore il vuoto verrebbe immediatamente riempito e i loro consensi finirebbero a picco. Dopo gli Stati generali c’è sempre la ghigliottina per chi li ha organizzati: ma non credo che Salvini e Meloni vogliano perdere la testa.
Marco Gervasoni, 17 giugno 2020
FONTE:https://www.nicolaporro.it/bravo-centrodestra-nessun-aiutino-al-regimetto-di-conte/
Onfray: la sinistra è morta, s’è venduta al Grande Fratello
Che mondo ci lascerà, la pandemia? Lo stesso, ma peggiore. Modificherà il lavoro, l’insegnamento, i viaggi, gli spostamenti, le relazioni intersoggettive, gli equilibri tra città e campagna. Il telelavoro, la sostituzione della “presenza” con la “distanza”, aumenterà i poteri della società del controllo, che ha raccolto il testimone della vecchia società totalitaria. Il virtuale soppianterà il reale ogni volta che sarà possibile, e a governare sul virtuale ci sarà il Big Brother. Del resto, non poteva essere altrimenti, visto che l’ha inventato lui. Nel mio libro “Teoria della dittatura” descrivo Amazon, Facebook, Netflix, Google e Apple come la più articolata forma totalitaria che esista. Come contrastare il loro potere oggi, dopo che sono state, durante la pandemia, le piattaforme gratuite per relazioni umane, lavoro, scuola e intrattenimento? Questa è in effetti la questione politica per eccellenza. In passato il fascismo, di destra o di sinistra che fosse, era vistoso: si presentava armato, con stivali ed elmetto; usava la polizia, l’esercito, i servizi segreti, le prigioni, i campi recintati con filo spinato e le torri di guardia. Oggi invece il fascismo non si vede, ma di tanto in tanto assistiamo ai suoi effetti.
Il Big Brother orwelliano è più scaltro di tutti i servizi di polizia e di intelligence mai esistiti, perché noi stessi siamo allo stesso tempo vittime e carnefici di questo dispositivo di sorveglianza e di controllo. Non è mai esistita tanta servitù volontaria sul nostro pianeta quanta ce n’è oggi. La Boétie ci ha già dato la ricetta per sottrarci: «Siate risoluti a non servire più, ed eccovi liberi». Per farlo, però, bisogna prima rendersi conto di essere asserviti, perché non c’è schiavo peggiore di chi si crede un padrone. La scuola repubblicana che insegnava a ragazzi e ragazze a leggere, scrivere, far di conto e pensare senza guardare alle loro origini sociali è morta nel maggio del ‘68. È stata sostituita da un dispositivo ludico, nel quale l’apprendimento di contenuti è stato abbandonato in favore della sollecitazione di un ipotetico genio infantile. La scuola, che una volta produceva cittadini, adesso produce pecore di Panurgo in catena di montaggio. La moralizzazione della rete, che tra le altre cose implicherebbe di far rispettare le leggi di un paese anche ai social network, è un pio desiderio: in rete, in forma anonima, si può essere negazionisti, revisionisti, antisemiti, misogini, fallocrati e quant’altro.
Dobbiamo adattarci alla realtà: tutto questo è segno del decadimento della nostra civiltà e dell’avvento di un altro mondo, che avrà più a che vedere con Orwell e Huxley che con Dante e Cartesio. La felicità non può essere l’ultima parola in un mondo in cui c’è chi ritiene che non ci sia nulla di sbagliato nell’ottenere la propria felicità a scapito degli altri. La lotta contro l’autoritarismo è materia per caratteri temprati, che abbiano il senso dell’interesse generale e la capacità di mettere da parte la propria felicità in nome dell’ideale superiore della virtù civica, come fece Catone il Vecchio. La sinistra europea, in tutto questo? La sinistra è morta nel marzo del 1983 con François Mitterrand, che ha presentato l’Europa liberale come un progresso storico che avrebbe portato la piena occupazione, l’amicizia tra i popoli, la fine del razzismo e delle guerre, la prosperità economica. La propaganda fu così insistente da riuscire a far approvare il Trattato di Maastricht nel 1992, anche se per un pelo. In seguito, anno dopo anno, il popolo si è reso conto che gli avevano venduto un prodotto adulterato, che produceva il contrario di quello che prometteva.
Una volta al potere, Mitterrand è rimasto di sinistra per ventidue mesi: dopo la cosiddetta “svolta dell’austerità” del 1983 ha abbandonato il socialismo e, fino alla fine del suo secondo settennato, nel 1995, ha fatto politiche di destra continuando a presentarsi come un uomo di sinistra. La “sinistra” al governo ha fatto politiche di destra mentre a parole continuava a dire di essere di sinistra, e la sua schizofrenia è stata sostenuta da gran parte del popolo francese, che sembrava come incantato. Questa “sinistra” ha vissuto cinque anni pietosi con la presidenza di François Hollande e adesso è morta, rea di non aver mai denunciato questa truffa di dimensioni storiche. De Gaulle era un uomo di sinistra sostenuto dalla destra, e Mitterrand era un uomo di destra sostenuto dalla sinistra. È il grande malinteso del XX secolo.
De Gaulle è l’uomo che ha inventato la Resistenza. È l’uomo che ha creato la Francia libera, arma da guerra che ha contribuito alla liberazione dell’Europa. Come capo di Stato ha ripristinato le libertà civili e ha respinto con un solo gesto il rischio dell’imperialismo americano e contemporaneamente il progetto stalinista sostenuto dai comunisti armati. Ha dato il diritto di voto alle donne, ha decolonizzato molti paesi dell’Africa nera e ha messo fine alla guerra d’Algeria. È l’uomo della previdenza sociale e della pillola contraccettiva. È l’uomo che non ha fatto sparare sulla folla nel Maggio ‘68 e che risponde al ‘68 con la partecipazione, con un progetto che fa così tanta paura alla destra che alla fine si convince a eliminarlo dalla scena con la scusa del referendum del 1969. Infine e soprattutto, è l’uomo della rettitudine e della linearità, della moralità. Un contemporaneo di Catone il Vecchio.
(Michel Onfray, dichiarazioni rilasciate a Roberto Saviano per l’intervista “Muore la libertà, con i nostri clic”, pubblicata da “Repubblica” il 12 giugno 2020. Apprezzato filosofo francese progressista, estremamente critico verso Emmanuel Macron, Onfray ha appena pubblicato “Teoria della dittatura”, edito in Italia da Ponte alle Grazie).
SCIENZE TECNOLOGIE
Cina, nuovo focolaio a Pechino: tutta colpa del salmone?
La situazione è più grave del previsto. Il nuovo focolaio di Covid-19 individuato nel mercato di Xinfadi, a Pechino, ha costretto le autorità cinesi a entrare in “modalità di guerra” per prevenire una nuova Wuhan. Negli ultimi quattro giorni sono stati riscontrati 106 casi: quanto basta per avere tra le mani una situazione “estremamente grave” a due passi dai palazzi del potere.
Nel tentativo di arginare, o quanto meno limitare, il focolaio, ben 29 comunità situate nei pressi del distretto meridionale di Fengtai sono state isolate. “Dobbiamo prendere la prevenzione e il controllo dell’epidemia come il compito più importante e urgente al momento”, hanno affermato i funzionari. La municipalità di Pechino lancerà una campagna di ispezione e sanificazione di mercati all’ingrosso, mercati di ortaggi, ristoranti e mense estesa all’intero perimetro della capitale.
Intanto i venditori e gli operatori aziendali saranno tutti sottoposti a test dell’acido nucleico. Le scuole saranno di nuovo chiuse. La popolazione è incoraggiata a lavorare da casa, ma la produzione non verrà fermata. Il governo municipale ha inoltre chiesto ai residenti di indossare mascherine in luoghi affollati e chiusi e ha imposto test a chiunque sia intenzionato a lasciare la città.
Il giallo del mercato di Xinfadi
Questa, dunque, è la situazione a Pechino. Ma per quale motivo si è creato un focolaio del genere nella capitale cinese? Forse la macchina della prevenzione cinese si è inceppata, non rilevando la presenza di un cittadino malato che ha poi diffuso il virus nel mercato di Xinfadi? O forse, questa volta, la causa non è la trasmissione da uomo a uomo ma una contaminazione ambientale?
Le ipotesi sono tutte lì sul tavolo, come ha scritto in un tweet il quotidiano cinese Global Times, che ha citato quanto dichiarato dal governo municipale di Pechino. I riflettori non sono puntati sul pangolino o qualche altro animale selvatico. Si pensa che i prodotti venduti al mercato siano stati contaminati da un tagliere usato per il salmone, ipotesi che ha portato i principali supermercati delle città di tutta la Cina a rimuovere il pesce dagli scaffali.
Anzi: la Cina è arrivata addirittura al punto di sospendere tutte le importazioni di salmone. Secondo quanto riferisce Reuters, infatti, il gigante asiatico ha interrotto le importazioni dai fornitori europei di salmoni per paura di un loro collegamento al focolaio di Covid-19.
Le importazioni di salmone
Gli esperti affermano che è improbabile che il pesce possa essere il portatore della malattia. Eppure la Cina non ha intenzione di correre alcun rischio. Norway Royal Salmon e Bakkafrost, due aziende che erano solite rifornire Pechino di salmone, hanno annunciato di aver interrotto tutte le vendite.
Ancora non sappiamo come abbia fatto il virus a penetrare nel mercato di Xinfadi. Dalle prime indiscrezioni, in base alle tracce genetiche rinvenute sul “luogo del delitto”, pare che il nemico invisibile possa essere arrivato dall’Europa. Il principale sospettato? Il salmone, che la Cina importa congelato, tra gli altri, da Australia, Norvegia, Cile, Isole Faroe e Canada.
Ricordiamo che nell’ex Impero di Mezzo il mercato cinese del salmone ha sfondato il tetto dei 700 milioni di dollari. E che le importazioni cinesi di salmone ammontano al 5% delle importazioni globali. In attesa di ulteriori indagini, il Dragone ha detto basta al salmone.
FONTE:https://it.insideover.com/societa/cina-nuovo-focolaio-a-pechino-tutta-colpa-del-salmone.html
Pandemia, app e tecnologia: Lo spettro della sorveglianza digitale
Mentre gli Stati si preparano a misure di contrasto prolungate per il nuovo Coronavirus, i governi si interrogano sull’utilità e la necessità dell’uso delle nuove tecnologie.
Le misure di sanità pubblica sono sempre dipese da forme di sorveglianza. Lo stesso contact tracking, anche se effettuato personalmente dagli operatori sanitari, alla fine non è altro che una forma di sorveglianza a ritroso, un’indagine approfondita sui comportamenti, le abitudini e i contatti del singolo individuo. Ma oggi si pone il problema di far fare un salto tecnologico a queste forme di invasione nella vita privata dei cittadini.
La popolazione mondiale sta affrontando misure restrittive e limitazioni ai diritti fondamentali senza precedenti, mai viste nei paesi democratici. I confini legali vengono ogni giorno messi in discussione come dei retaggi del passato che impediscono un’efficace lotta al virus. La paura dell’ignoto innesca false notizie, teorie della cospirazione e diffonde panico. E i cittadini risultano, quindi, sempre più aperti a ogni possibile cambiamento.
Paradossalmente, però, le due superpotenze tecnologiche, USA e Cina, non si sono distinte particolarmente nel contrasto alla pandemia, nonostante il più vasto apparato di sorveglianza elettronico, sistemi di intelligenza artificiale tra i migliori al mondo e leggi che consentono un’intrusività inimmaginabile in un paese europeo.
Nell’ottica del contrasto al virus le istituzioni di molti Stati si stanno concentrando su una soluzione tecnologica di contact tracing. Con piccole differenze tra loro, questi sistemi garantiscono la minimizzazione dei dati, cioè vengono utilizzati solo identificatori anonimi (se il telefono venisse rubato si otterrebbero solo un elenco di codici inutili per qualsiasi identificazione) e le autorità sanitarie non ricevono nessun dato se non in casi di necessità (quando un utente le contatta o viene trovato infetto). Inoltre prevengono abusi dei dati, perché tutti ricevono solo una quantità minima di informazioni strettamente connesse alle esigenze (ad esempio, i cittadini non ricevono nessun dato identificativo, ma solo un warning). I dati vengono conservati solo per il tempo necessario e poi cancellati (tempi tra 14 e 28 giorni). Infine le app possono essere rimosse dopo l’emergenza.
Avvocato e blogger, si interessa di diritto applicato ad internet e alle nuove tecnologie di comunicazione. valigiablu.it
DAL LIBRO DEL PROF. GIULIO TARRO “COVID19, IL VIRUS DELLA PAURA”
INCOMPETENZA, ARROGANZA, IRRESPONSABILITA’
“Di epidemie in Italia ne ho viste davvero tante. Il colera a Napoli nel 1973, il ‘Male oscuro’ nel 1978, le innumerevoli epidemie influenzali che congestionavano l’Ospedale Cotugno, dove ero Primario. E tantissime ne ho viste all’estero. Ho visto panico, disorganizzazione, eroismi, infamie; ho conosciuto scienziati che preparavano armi biologiche e progettavano epidemie; giornalisti e dirigenti di blasonate organizzazioni che, verosimilmente, gonfiavano la minaccia di qualche virus per conto di aziende produttrici di vaccini, ricercatori che, pur di avere il loro momento di gloria, attestavano qualsiasi sciocchezza in Tv; politici che minimizzavano il contagio pur di non perdere il loro consenso… . Credevo, quindi, di aver visto di tutto”.
“Ma mai avrei immaginato di vedere tanta incompetenza, arroganza, superficialità, irresponsabilità, quelle con le quali si è tentato di affrontare il virus del Covid-19. Una emergenza che avrebbe potuto riproporre uno scenario non molto dissimile da quello di tante epidemie influenzali che, periodicamente, sferzano anche il nostro Paese e che, invece, per sciagurate scelte, ha comportato dapprima un numero elevatissimo di vittime e poi ha lasciato il nostro Paese in ginocchio”.
… “Se questa tragedia si è verificata, grande è la responsabilità di tanti ‘esperti’ che pur di troneggiare in Tv non hanno avuto remore (oltre a dichiarare tutto e, il giorno dopo, il suo contrario) ad assecondare dissennate scelte che, se non avessero avuto qualche ‘avallo’ scientifico, avrebbero scatenato le piazze”.
…
“Questo libro nasce proprio per questo. Dall’amarezza e dalla rabbia nel constatare l’opportunismo di tanti ‘esperti’ che ora, paventando un fantomatico catastrofico ritorno del Covid-19, servilmente, si dichiarano entusiasti delle vessatorie – e inutili – misure che saranno messe in atto, prima tra tutte l’obbligatorietà della già fallimentare vaccinazione antiinfluenzale”.
“Stessa amarezza e rabbia per tante persone trasformate dal terrore profuso in questa emergenza in ipocondriaci burattini animati dai suddetti ‘esperti’. Un asservimento reso totale da tanti canti patriottici cantati dai balconi contro il ‘nemico virus’. Un fenomeno illuminante sulla vulnerabilità della nostra società agli stravolgimenti della realtà imposti dal Potere”.
UNA MANIPOLAZIONE DEI DATI
“La cosa più penosa della faccenda è che i dati dei ‘contagiati’ (raccolti a casaccio dalle Regioni e che, quindi, non erano l’indice di alcunchè) rivestivano caratteri di ufficialità nella comunicazione istituzionale dove venivano affiancati al numero dei ‘deceduti’. La questione ‘morti per Covid-19’ invece che ‘morti con Covid-19’ (e cioè se questo virus sia stata la causa principale della morte e se era presente nell’organismo di persone in procinto, comunque, di morire per altre patologie o per vecchiaia), è stata oggetto di innumerevoli polemiche che, comunque, non hanno impedito al Governo di continuare a divulgare il numero di non meglio specificati ‘Deceduti’ seguito dalla farisaica dicitura ‘in attesa di conferma Istituto Superiore di Sanità’. In realtà già il 13 marzo il direttore dell’ISS annunciava che solo per due persone, tra le tante ascritte come ‘morte per Coronavirus’, si poteva – per l’assenza di gravi patologie pregresse e per l’età – confermare questa diagnosi. Il 17 marzo un verdetto ancor più inequivocabile: su 355 cartelle cliniche esaminate, solo 12 decessi possono essere ascritti come ‘morti per Coronavirus’”.
“In più, per valutare la letalità del virus, l’esatto numero dei morti, avrebbe dovuto essere rapportato non già ai pochi positivi a tampone presentati come ‘contagiati’, ma alle stime del numero degli infettati in Italia che venivano già pubblicate da autorevoli istituti di ricerca”.
… VACCINI? NON UNA SOLUZIONE: UN PROBLEMA
Un illuminate focus sulle aree di Bergamo e Brescia. Zone in cui “appare verosimile una ipotesi tutta da verificare ma già rigettata con sdegno, senza che sia stata fatta una sola indagine al riguardo. E cioè che possa essere stata la straordinaria campagna di vaccinazione anti-meningococco C – svoltasi nella provincia di Bergamo (21.331 vaccinati) e di Brescia (12.200 vaccinati) – e la periodica campagna vaccinale contro l’influenza (che avrebbe registrato nelle suddette province adesioni, a detta dei media, ‘superiori ad ogni aspettativa’) a determinare in molte persone un abbassamento delle difese immunitarie che le hanno rese particolarmente vulnerabili al Covid-19”.
Citazione dell’avv. F. Ierardi – Whattsapp 17 giugno 2020
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