RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 9 OTTOBRE 2020

https://it.wikipedia.org/wiki/Il_porto_delle_nebbie_(film)

RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI

9 OTTOBRE 2020

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

La gente si ama. No la gente non si ama: non ne ha il tempo

Michèle Morgan e Jen Gabin nel IL PORTO DELLE NEBBIE, 1938, b/n, 90′

https://it.wikipedia.org/wiki/Il_porto_delle_nebbie_(film)

In : SUONALA ANCORA SAM, Bompiani, 2001, pag. 361

 

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SOMMARIO

Le armi della dissonanza cognitiva
LA OPEN DI CARRAI È OLTRE PALAZZO VECCHIO
Il golpe mondiale avanza, ora testano la nostra obbedienza
Medici contro l’Oms: pandemia inventata e cure censurate
Che cosa c’è sullo scaffale del cinema L’autobiografia di Woody Allen
Caro amico no-mask, ti ascolto
LA GUERRA AL GENDER È UN DOVERE
In Toscana mai nessuna emergenza Covid-19, lo studio che lo rivela
Vladimiro Giacché – Come fanno a privatizzare tutto? Sul modello del sacco della Germania est
Kissinger vede scenari simili alla prima guerra mondiale
IL PENSIERO CRITICO È L’UNICO ANTIDOTO ALL’OTTUSA MEDIOCRITÀ CHE CI CIRCONDA
Vi presento Jonathan Galindo
Criptovaluta Nano, fallisce la piattaforma Bitgrail
L’allarme dei penalisti: dalla riforma del processo ulteriore erosione delle garanzie difensive
Smart working, controllo a distanza dei lavoratori e efficienza produttiva
Renzi confessa: “A gennaio milioni di disoccupati: sarà una carneficina”
Quattro ONG (fra cui la Sea Watch) accusate di traffico di esseri umani – dai servizi greci.
Un virus impegnato politicamente.
Mentre si ammassano truppe per il Mes, un test IBM…
La falsa scienza al servizio di una falsa narrativa

 

 

EDITORIALE

Le armi della dissonanza cognitiva

Manlio Lo Presti – 9 ottobre 2020

https://controllomentale.wordpress.com/tag/dissonanza-cognitiva/

La propaganda ha varie parentele. La più importante fra queste è la pubblicità commerciale.

La propaganda è una pratica antica. Veniva costruita da numerosi corifei arruolati negli ambienti esclusivi e piuttosto chiusi della poesia, della prosa e della filosofia nel mondo antico. Oggi, con le dovute differenze, la procedura è la stessa …

Arma di propaganda di estrema efficacia è stata la religione organizzata ed amministrata da una casta sacerdotale i cui ranghi sono da sempre alimentati mediante cooptazione dall’alto. Il sinedrio era costituito da un numero ristretto di componenti, per ovvie ragioni di controllo che era più agevole con numeri bassi e per la  ricattabilità dei prescelti.  Oggi questa operazione si sta realizzando in Italia con la diminuzione dei parlamentari …

Una gerarchia strettissima e rigidissima non consentiva la diffusione di messaggi differenziati. Il verbo era diffuso monoliticamente in tutte le periferie dell’impero grazie alla alacre opera di legioni di sacerdoti, spie, soldati, commercianti sotto mentite spoglie, mendicanti, viandanti poco visibili sotto laceri vestiti, ecc. ecc. ecc.

La propaganda, come vulgata dei poteri – tempo per tempo in vigore – sono il basamento invisibile del dominio dei pochi detentori della “PAROLA NASCOSTA” e infaustamente “PERDUTA” nel corso dei secoli.

La propaganda subisce infinite mutazioni morfologiche e teleologiche legate alla modificazione delle strutture gerarchiche, dei contenuti da diffondere e preservare dalle eresie, con apposite e ben organizzate polizie e psicopolizie. Oggi è la stessa cosa, ma utilizzano una selva infernale di giocattoli elettronici.

I saperi che si articolano attorno ai perimetri del Potere hanno una costante: l’autocensura.

Il titanico filosofo Ludwig Wittgenstein afferma nella ultima riflessione del suo TRACTATUS LOGICO PHILOSOPHICUS: ciò di cui non si può perlare, si deve tacere. E’ stato preceduto dal TAO TE KING che, nella preziosa edizione di Adelphi, all’ultima riflessione dice: chi parla nonsa; chi sa non parla.

Arpocrate, importante divinità misterica dell’antico Egitto, è il dio del silenzio, riassume la sua summa teorica nel gesto di appoggiare l’indice sulle labbra chiuse! Il silentium è la via maestra dele movimento benedettino costruito sul raccoglimento del pensiero umano come via possibile per il contatto con la Totalità, con l’Altrove.

Ben’altra cosa è quindi la propaganda. In questa pratica dapprima dilettantistica, i messaggi sono tutti elaborati ad usum Delphini e quindi non sono veritieri per definizione, salvo qualche spiraglio quando serve per minacciare ben precisi “destinatari” antagonisti.

La pratica di disinformazione,  direbbero oggi, si affina grazie alle elaborazioni, studi, ricerche di antropologi, sociologi, psicologi, tecnici della sovversione, della subornazione, del caos. Gente reclutata da università e/o centri di ricerca pubblici e soprattutto privati. Sono gli SPIN DOCTORS, quelli capaci di “far girare le cose” come desidera la casta nascosta dei munifici ma permalosi e vendicativi committenti!

Ogni teorema, secondo la sottilissima opinione di Michel Foucault, creatore della BIOPOLITICA e uno dei 33 immortels del Collège de France, è una versione aggiornata di modelli di controllo sociale, soprattutto dei corpi dei controllati. Non a caso, oggi, le pratiche di potere farmaceutico predicano l’uso irrinunciabile di vaccini, di farmaci anche in tenera età, di utilizzo di dispositivi elettronici da iniettare nel corpo, collari, elettronici, e in antico, elettroshock, ecc. ecc. ecc.

Quindi, la libertà intesa come rimozione di condizionamenti non è realizzabile perché confligge – perdendo spesso la battaglia – con i rimodellamenti delle tecniche di oppressione e di controllo.

TUTTO CIO PREMESSO

Possiamo afferma in sisntesi che le tecniche del dominio e quindi della capacità delle élites di mantenere la propria supremazia sono le seguenti:

  1. La teoria della rana bollita
  2. La finestra di Overton
  3. il metodo Ludovico

Ne fanno metodico uso le reti televisive, giornalistiche, il web diffondendo soprattutto una mareai di notizie irrilevanti, e una marea di notizie interessanti in cotraddizione fra loro:

IL CITTADINO NON DEVE CAPIRE NULLA

Mi fermo qui. Qualche curioso proseguirà una ricerca personale.

Riprenderò l’argomentazione in una prossima occasione …

(segue)

 

 

IN EVIDENZA

LA OPEN DI CARRAI È OLTRE PALAZZO VECCHIO

“Perché nessuno vuole mettere il naso e andare a vedere cosa c’è intorno (e soprattutto dietro) a questi assegni? – scrive Alessandro Maiorano in “L’usciere “maledetto” di Palazzo Vecchio” – eppure i politici ci hanno abituati che con le case non c’è da scherzare, li ricordiamo tutti d’altronde i casi di Gianfranco Fini (quello del cognato e la famosa “cugina”), Claudio Scajola (quello della casa con vista sul Colosseo “a sua insaputa”), o lo stesso Matteo Renzi con la casa affittata e pagata da Marco Carrai a via Alfani…”.

Alessandro Maiorano ha intuito che, sulla testa dei leader politici pende l’ipoteca di consorterie concentriche. Lo ha toccato con mano, comprendendo che, come in un gioco di scatole cinesi, i politici toscani sono frutto d’accordi tra logge massoniche bancarie (attive a Siena e Firenze) e referenti nazionali di fondi d’investimento esteri (la Fondazione Open di Marco Carrai è filiazione della Open Society Foundations di George Soros). Ma non solo in Toscana è così, la regola è ormai globale. A tal punto radicata da condizionare la nascita dei Governi, partendo dalle candidature per finire all’elezione di oltre l’ottanta per cento dei parlamenti mondiali.

È stato calcolato in più di duecento studi di settore che, a livello mondiale, solo uno scarso quindici per cento fra deputati e senatori eletti non farebbe capo ad interessi lobbistici: l’argomento è spiegato e documentato in “Rappresentanza degli interessi oggi. Il lobbyng nelle istituzioni politiche europee e italiane” di Maria Cristina Antonucci per Carocci editore, in “Democrazie sotto pressione. Parlamenti e lobbies nel diritto pubblico comparato” di Pier Luigi Petrillo per edizioni Giuffrè, come in “I gruppi di interesse” di Liborio Mattina per Il Mulino. L’elenco delle pubblicazioni è davvero lungo, e si potrebbe andare a ritroso nel tempo, scoperchiando i finanziamenti offerti a George Washington dalle compagnie commerciali, come gli aiuti che non pochi rappresentati inglesi ed olandesi ricevevano dalle società estrattive con interessi nelle colonie. Parafrasando William Makepeace Thackeray “solo a Barry Lyndon, per quanto abile, non venne fatta grazia d’ottenere un degno finanziatore”: Stanley Kubrick precisava che non fosse sufficiente essere un grande avventuriero, che necessitasse anche adeguato lignaggio, tradizione.

La lunga tradizione lobbistica degli Stati Uniti, abbinata alla consolidata democrazia liberale, ha permesso che l’uomo comune non venisse totalmente schiacciato dagli interessi dei gruppi di potere: anzi in non pochi casi, grazie alle “class action” (“azioni collettive”, che da noi stentano a decollare) i cittadini sono stati risarciti per milioni di dollari dalle multinazionali chimico-farmaceutichepetrolifereimmobiliari e speculative in senso lato.

“Le cose più recenti come quelle legate alle Fondazioni, in ultimo le vicende legate alla ‘Open’ – sostiene Carlo Taormina (giurista e prefatore del libro “L’usciere ‘maledetto’ di Palazzo Vecchio”) – sarebbero e sono una miniera anche al fine di conoscere i misteriosi percorsi per cui un quarantenne, già altamente blasonato da almeno dieci anni, possa essere giunto ai vertici del potere e della politica. Sotto questo profilo – afferma Taormina – per vie diverse, Renzi è stato l’antesignano di Conte e di entrambi non si conosce quali siano i reali poteri da cui provengono e che li hanno sostenuti e sostengono”.

Chi scrive ha incontrato qualche giorno fa Taormina e Maiorano per presentarne il libro a Roma, l’iniziativa veniva organizzata da Riccardo Corsetto di “StopEuropa”. Nell’incontro mi è premuto sottolineare che, probabilmente, Marco Carrai (come evidenzia lo stesso Taormina) è certamente un referente di gruppi internazionali che ha condizionato l’operato di Renzi.

“Non si deve dimenticare – nota Taormina – l’operazione tentata da Renzi di infilare Carrai nel settore della cybersecurity, costituente ormai il presente e il futuro dello Stato, dell’Europa e soprattutto dell’economia”. Certamente, il raffinato intrigo economico tra gli adepti dei “cerchi armonici” senesi e quelli dei “gigli magici” fiorentini è di parecchio preesistente alla nascita del fenomeno renziano.

Va da sé che, Il Fatto Quotidiano Giuseppe Pipitone (che devono giustamente scrivere da indignati in “Giustizia & Impunità”) sappiano che dietro il ricorso accolto dalla Cassazione in favore di Carrai ci sarà probabilmente stato un lavoro estenuante di avvocati e lobbisti, uniti nell’intento di dissequestrare documenti e pc della Fondazione Open perché la gente (il popolo credulone) non possa conoscere le “esoteriche” verità ed interconnessioni tra fondifondazioni ed interessi sovranazionali.

“Open, i finanziatori della fondazione che hanno beneficiato di scelte del governo Renzi: dal gruppo Gavio alla lobby del tabacco – scrive il Fatto Quotidiano del 5 settembre 2020 – nell’ordinanza di conferma del sequestro, inoltre, il Riesame aveva sottolineato il ruolo di Carrai quale socio di due società in Lussemburgo tra loro collegate”.

La domanda che in pochi si pongono è se sia stato Carrai a cercare Soros, o viceversa. Che George Soros finanzi tutti (ma proprio tutti) lo scoprirono lo scrivente e l’architetto Roberto Mezzaroma (all’epoca eurodeputato di Forza Italia): entrambi disertammo una cena offerta dal filantropo, poi sapemmo che vi si erano accomodati giornalisti e politici d’ogni parte politica (dall’ex An ai Verdi).

La Open Society Foundations di Soros, come s’evince dal suo prospetto informativo, è una delle più grandi fondazioni private al mondo: supporta gruppi per i diritti umani, con un budget annuale di oltre mille milioni di dollari, e poco meno del dieci per cento dei fondi di Open Society vengono investiti in Europa.

Soros dice che “la maggior parte di questi finanziamenti si concentra sul sostegno alle istituzioni democratiche… e sulla lotta alle discriminazioni nei confronti di gruppi minoritari, compresa la popolazione rom”.

Nel 2008 la Open Society Foundations di Soros ha iniziato ufficialmente a lavorare in Italia: supportava economicamente le battaglie legali contro la concentrazione della proprietà dei media da parte dell’amministrazione Berlusconi. I fondi stanziati annualmente dalla Open Society Foundations in Italia ammontano a circa il 2,5 per cento dei finanziamenti assegnati dalla fondazione all’area europea (stima aggiornata fino al 2017). Ma a parte le collaborazioni con le fondazioni filantropiche italiane (come la Fondazione Nando Peretti, la Fondazione Italiana Charlemagne e la Fondazione con il Sud e la Compagnia di San Paolo) la Open Society ha soprattutto finanziato la battaglia legale contro le televisioni di Berlusconi. E su quest’ultimo punto si spalanca il grande mistero delle connessioni (e collaborazioni) con la Open di Marco Carrai. Soprattutto il dubbio che un eventuale patto del Nazareno sia anche servito per siglare una pace tra le lobby internazionali.

Infatti il gradimento internazionale per Marco Carrai al vertice della cybersecurity europea (e forse globale) era giunto anche da parte dei grandi fondi d’investimento, dalle fondazioni, dagli investitori istituzionali.

FONTE: http://www.opinione.it/politica/2020/10/09/ruggiero-capone_usciere-maledetto-di-palazzo-vecchio-alessandro-maiorano-carlo-taormina-albatros/

 

Il golpe mondiale avanza, ora testano la nostra obbedienza

In questo momento, le élite stanno testando le reazioni delle persone e il loro grado di sottomissione alle loro prevaricazioni. Stanno, in altre parole, preparando la popolazione mondiale al livello di obbedienza assoluta che sarà richiesto per entrare a far parte del Nuovo Ordine Mondiale. Non ci sarà infatti spazio per il dissenso. I dissidenti saranno messi al bando e trattati alla stregua di elementi indesiderati da eliminare. In questo senso, l’imposizione delle mascherine, oltre a verificare il grado di sottomissione del popolo, aiuta il regime a comprendere facilmente chi non si allinea alla dittatura. E’ un modo per poterli individuare rapidamente e vessarli con abusi e sanzioni illegali e incostituzionali. In questo modo, la dittatura cerca di spezzare anche la volontà di chi non vuole allinearsi, avvertendolo del futuro che lo attende se non si adegua. Questa seconda fase, per quanto potrà sembrare difficile da credere, si annuncia persino più autoritaria di quella di marzo. I controlli che stanno per arrivare saranno non molto dissimili da quelli previsti per la legge marziale. Si inizia già a parlare dell’esercito per le strade per far rispettare le imposizioni della dittatura.

Occorre che la popolazione venga “educata” e sottomessa completamente per poter procedere spediti verso il governo unico mondiale sognato dai Rockefeller. I governi nel mondo si stanno attenendo fedelmente all’agenda di questo piano. Nuove Mascherine all'apertochiusure sono già state decise. A New York hanno già chiuso nove quartieri. Parigi sembra destinata a seguire la stessa strada. Il governo eversivo Pd-M5S sembra orientato a seguire la stessa strategia, stavolta servendosi delle Regioni per avviare delle chiusure locali che produrranno quasi lo stesso effetto di una chiusura generalizzata a livello nazionale. A quel punto, l’economia italiana e mondiale rischierà davvero di implodere. Solo per quello che riguarda l’Italia, quest’anno si attende un calo del Pil del 13%. A Roma hanno già chiuso 5.000 negozi, e a Venezia è già partito lo shopping delle attività fallite da parte degli albanesi e dei capitali stranieri. Il porto di Taranto è finito in mani cinesi, mentre quello di Trieste è stato comprato da una società tedesca. Il paese è stato messo all’asta e i danni delle precedenti chiusure sono stati già pesantissimi. Se si chiude nuovamente, si rischia di raggiungere crolli del Pil pari a quelli del 1944, dove questo indicatore scese del 18,7%.

Il pane mancherà sulla tavola e le rivolte a questo punto si faranno sempre più inevitabili. Non ci sarà da sorprendersi se, una volta giunti a questo scenario di disordini generali, la dittatura ricorrerà alle forze armate contro civili inermi. L’operazione Covid dunque sta per toccare un punto ancora più alto di destabilizzazione che servirà a generare il caos desiderato dal sistema per arrivare verso l’ordine mondiale autoritario voluto dalle élite. A questo punto, l’unico intralcio sui piani del mondialismo è rappresentato solamente dall’America. Solo la superpotenza di questa nazione può mettere un freno all’avanzare del nuovo autoritarismo globale. Senza gli Stati Uniti, è praticamente impossibile arrivare al compimento di un governo unico mondiale. In questo senso, Trump è stato l’elemento imprevisto e non calcolato dal sistema, che il Deep State vuole disperatamente Thomas Zimmertogliere dalla scena. Il giornale di riferimento della sinistra progressista internazionale, il “Washington Post”, pochi giorni fa pubblicava un tweet nel quale scriveva di immaginare come sarebbe il mondo se non si dovesse più pensare a Trump.

E’ questo ciò che vuole il sistema. Vuole togliere di mezzo l’ultimo grande ostacolo che separa il mondo dal Nuovo Ordine Mondiale, ovvero Donald Trump. Dopo resterebbe la sola Russia di Putin, che verrebbe attaccata come ha già fatto capire il candidato democratico Joe Biden. In America, il Deep State militare sta suggerendo apertamente di rovesciare il presidente con un colpo di Stato qualora non volesse lasciare spontaneamente la Casa Bianca anche in caso di una sua rielezione. Dipende tutto da questo, dunque. In queste ore si decide se si avrà ancora la possibilità di vivere in un mondo libero o sotto il giogo dell’autoritarismo globale. Quali saranno le sorti dell’umanità, dunque? Molti anni fa, nel 1983, Thomas Zimmer, un prete cattolico mistico, predisse l’avvento di Donald Trump alla Casa Bianca, quando ancora questa ipotesi era praticamente impensabile. Padre Zimmer disse che il compito di Trump, una volta eletto presidente, sarebbe stato quello di riportare l’America a Dio. La prima parte di quella previsione si è avverata. Ora resta da capire se sarà così anche per la seconda parte.

(Cesare Sacchetti, estratto da “Trump positivo al Covid: la mossa per mettere fine all’operazione terroristica Covid e fermare il Nuovo Ordine Mondiale?”, post pubblicato sul blog “La Cruna dell’Ago” il 5 ottobre 2020).

FONTE: https://www.libreidee.org/2020/10/il-golpe-mondiale-avanza-ora-testano-la-nostra-obbedienza/

 

 

 

Medici contro l’Oms: pandemia inventata e cure censurate

«L’Oms ha creato un coronavirus infodemico per simulare una pandemia». Allarme gonfiato, dati falsificati e terapie oscurate. E’ un’accusa terribilmente esplicita, quella rivolta all’Organizzazione Mondiale della Sanità. La firmano medici e operatori sanitari del Belgio, autori di una lunga lettera alle autorità statali, chiedendo che l’ente sanitario internazionale venga addirittura indagato. La lettera, che ripercorre tutta la gestione dell’emergenza, dall’inizio ad oggi – osserva “ByoBlu” – arriva ad una precisa conclusione: «L’attuale gestione della crisi è diventata del tutto sproporzionata e causa più danni che benefici». Aggiungono i medici belgi «Chiediamo la fine di tutte le misure e un ripristino immediato della nostra normale governance democratica». Rivogliono anche «tutte le nostre libertà civili», confiscate attraverso lockdown e restrizioni. La lettera, scrive ancora “ByoBlu”, ha avuto immediatamente un forte impatto sull’opinione pubblica, non solo del Belgio ma di tutto il mondo. «L’analisi proposta, infatti, potrebbe riferirsi a qualsiasi altro Stato che in questi mesi, e in parte ancora oggi, ha limitato alcune delle libertà fondamentali dei propri cittadini».

I medici chiedono ai politici «di essere informati in modo indipendente e critico nel processo decisionale e nell’attuazione obbligatoria delle misure per il coronavirus». In altre parole, vogliono «un dibattito aperto, dove tutti gli esperti siano Tedros Adhanom Ghebreyesusrappresentati senza alcuna forma di censura». Dopo il panico iniziale che circondava il Covid-19, «i fatti oggettivi ora mostrano un quadro completamente diverso: non c’è più alcuna giustificazione medica per qualsiasi politica di emergenza». Secondo i sanitari belgi, «l’attuale gestione della crisi è diventata del tutto sproporzionata e causa più danni che benefici». Per questo, chiedono «la fine di tutte le misure», nonché ritorno alla piena legalità democratica, perché «una cura non deve essere peggiore del problema». Infatti, aggiungono, «il danno collaterale ora causato alla popolazione avrà un impatto maggiore – a breve e lungo termine – rispetto al numero di persone ora salvaguardate dal coronavirus». Le severe sanzioni applicate? «Sono contrarie ai valori formulati dal Consiglio supremo della Sanità belga», ovvero «scienza e competenza, qualità, imparzialità, indipendenza e trasparenza».

Da un lato, sempre secondo i medici del Belgio autori della denuncia, le restrizioni «non sono sufficientemente fondate sulla scienza», e dall’altro la rigorosa politica repressiva sul coronavirus «contrasta fortemente con la politica minima del governo quando si tratta di prevenzione delle malattie, rafforzando il nostro sistema immunitario attraverso uno stile di vita sano». Tutte cose che contrastano con l’obbligo delle mascherine, il divieto di attività all’aria aperta, il distanziamento sociale e l’isolamento sociale, la quarantena obbligatoria e alcune assurde misure igieniche. «All’inizio della pandemia, le misure erano comprensibili e ampiamente supportate – ammettono i medici – anche se c’erano differenze nella loro attuazione nei vari paesi». Attenti: «L’Oms aveva originariamente previsto una pandemia che avrebbe causato il 3,4% di vittime, in altre parole milioni di morti, e un virus altamente contagioso per il quale non erano disponibili cure o vaccini». La preoccupazione per un’emergenza così grande, che avrebbe messo ko gli ospedali, «ha portato a una situazione di allarme globale, mai vista nella Lockdownstoria dell’umanità». Così, il lockdown «ha messo fuori uso l’intera società e l’economia», mentre l’allontanamento sociale «è diventato la nuova normalità, in previsione di un vaccino di salvataggio».

A poco a poco, però – secondo i medici – i fatti oggettivi hanno mostrato una realtà completamente diversa: «Il Covid-19 ha seguito il corso di una normale ondata di infezione simile a una stagione influenzale». Poco affidati i tamponi, che producono troppi falsi positivi, deformardo la percezione della realtà: «Se qualcuno risulta positivo al test, ciò non significa che quella persona sia effettivamente infetta clinicamente, sia malata o che si ammalerà». Notizia incresciosa: nei paesi che non hanno effettuato nessun lockdown – come Svezia e Islanda – le curve epidemiche sono simile a quelle degli Stati messi in quarantena. Altra annotazione clinica: «Solo le persone con un sistema immunitario debole o difettoso dovrebbero essere protette da un’igiene approfondita o da un allontanamento sociale». A salvaguardare le altre basta il sistema immunitario: quello che ci protegge regolarmente da centinaia di virus, di cui nemmeno ci accorgiamo. Molti evidenti, al contrario, gli effetti – catastrofici – del distanziamento: «L’isolamento sociale e il danno economico hanno portato a un aumento di depressione, ansia, suicidi, violenza intrafamiliare e abusi sui minori», al punto che «è molto più probabile siano proprio l’isolamento e la quarantena ad avere conseguenze fatali».

E poi: sicuri che sia vero, quello che ci hanno raccontato a reti unificate? Un virus altamente contagioso, capace di produrre “milioni di morti” e senza alcun trattamento sanitario in grado di neutralizzarlo? Falso: «La mortalità si è rivelata molte volte inferiore al previsto, e prossima a quella di una normale influenza stagionale (0,2%)». Non solo: «Il numero di decessi “corona” registrati sembra sovrastimato». La stragrande maggioranza dei pazienti deceduti aveva 80 anni o più, e soffriva di mali molto seri: cuore, diabete, malattie polmonari pregresse. «La stragrande maggioranza delle persone infette (98%) non si è ammalata, o si è ripresa spontaneamente». Poi c’è il capitolo (scandaloso) della crociata scatenata da “The Lancet” contro l’idrossiclorochina, sulla base di uno studio falsato e quindi poi ritirato. Quel farmaco, infatti, funziona: rappresenta «una terapia economica, sicura ed efficiente per coloro che mostrano gravi sintomi di malattia». Idrossiclorochina, zinco e azitromicina: «L’applicazione rapida di questa terapia porta al recupero e spesso impedisce il ricovero». Ed è vergognoso che, Terapia intensivadopo il falso allarme del “Lancet”, alcuni paesi – come l’Olanda – l’avessero addirittura proibita. E il peggio è che, nei casi in cui il Covid ha innescato problemi di coagulazione sanguigna (tromboflebiti polmonari) il rimedio – l’intubazione – è stato nefasto e volte mortale.

Ora sappiamo – scrivono i sanitari belgi – che il problema era causato da una risposta immunitaria esagerata, con coagulazione intravascolare nei vasi sanguigni polmonari. «La somministrazione di fluidificanti del sangue e desametasone e l’eliminazione della ventilazione artificiale, che è stata riscontrata causare ulteriori danni al tessuto polmonare, significa che anche questa temuta complicanza non è praticamente più fatale. Non è quindi un virus killer, ma una condizione ben curabile». E mentre oggi i media continuano a straparlare di “contagi” come fossero casi patologici, sappiamo come avviene la diffusione del virus? Ormai sì, dicono i belgi: «La diffusione avviene per gocciolamento (solo per pazienti che tossiscono o starnutiscono) e aerosol in stanze chiuse e non ventilate». Di conseguenza, «la contaminazione non è quindi possibile all’aria aperta». Non solo: «Il tracciamento dei contatti e gli studi epidemiologici dimostrano che le persone sane (o portatori asintomatici testati positivamente) sono virtualmente incapaci di trasmettere il virus. Le persone sane quindi non si mettono a rischio a vicenda».

Tutto ciò, quindi, «mette seriamente in discussione l’intera politica di allontanamento sociale e maschere orali obbligatorie per le persone sane: non c’è una base scientifica, per questo». Le mascherine? Servono in contesti «in cui avvengono contatti con gruppi a rischio comprovati», per esempio negli ospedali, perché «riducono il rischio di infezione da goccioline tramite starnuti o tosse». Per gli gli individui sani, invece, «le mascherine sono inefficaci contro la diffusione di infezioni virali». Oltretutto, indossare una mascherina non è privo di effetti collaterali: «La carenza di ossigeno (mal di testa, nausea, stanchezza, perdita di concentrazione) si verifica abbastanza rapidamente». Problemi respiratori, iperventilazione e Distanziamentoacidificazione tossica dell’organismo, per la troppa anidride carbonica respirata (cosa che «influisce sulla nostra immunità»). Secondo alcuni esperti, addirittura, «un uso inappropriato della mascherina può causare una maggiore trasmissione del virus».

Una seconda ondata di coronavirus? Non scherziamo: dati alla mano, «la stragrande maggioranza delle persone “infette” positivamente testate appartiene alla fascia d’età della popolazione attiva, che non sviluppa alcun sintomo o si limita a sviluppare sintomi limitati, a causa del buon funzionamento del sistema immunitario. Quindi nulla è cambiato: il picco è finito». Ma il guaio è che le misure in vigore costringono i medici a “tradire” il Giuramento di Ippocrate, laddove dice: “Informerò correttamente i miei pazienti. E anche sotto pressione, non userò la mia conoscenza medica per pratiche che sono contro l’umanità”. Il “primum non nocere”, che ogni medico assume come regola, è inoltre «minato dalla prospettiva della possibile introduzione di un vaccino generalizzato, che non è soggetto a test preventivi approfonditi». Dolenti note: le indagini sulle vaccinazioni antinfluenzali «mostrano che in 10 anni siamo riusciti solo tre volte a sviluppare un vaccino con un tasso di efficienza superiore al 50%». Ammettiamolo: «Vaccinare i nostri anziani sembra essere inefficace. Oltre i 75 anni di età, l’efficacia è quasi inesistente».

A causa della continua mutazione naturale dei virus, un vaccino è al massimo una soluzione temporanea, che richiede ogni volta nuovi vaccini. E un vaccino non testato solleva seri interrogativi: «Non desideriamo utilizzare i nostri pazienti come cavie», dichiarano i sanitari belgi. «Su scala globale, si prevedono 700.000 casi di danno o morte a causa del vaccino. Se il 95% delle persone sperimenta il Covid-19 praticamente senza sintomi, il rischio di esposizione a un vaccino non testato è irresponsabile». In questo, una enorme responsabilità ricade sui media: hanno amplificato il panico e citato solo i tecnici governativi, rinunciando a fare reportage oggettivi. «La versione ufficiale secondo cui era necessario un blocco, che questa era l’unica soluzione possibile e che tutti stavano dietro a questo blocco, ha reso difficile per le persone con una visione diversa, Belgiocosì come per gli esperti, esprimere un’opinione diversa. Le opinioni alternative sono state ignorate o ridicolizzate». E questo, aggiungono i medici, «riteniamo non si adatti a uno Stato costituzionale libero e democratico: questa politica ha anche un effetto paralizzante e alimenta la paura e la preoccupazione nella società».

Si è spesso parlato di una “guerra” con un “nemico invisibile” che deve essere “sconfitto”. «L’uso nei media di frasi come “eroi della cura in prima linea” e “vittime del coronavirus” ha ulteriormente alimentato la paura, così come l’idea che abbiamo a che fare a livello globale con un “virus killer”». Peccato che fosse tutto falso. E ha generato una vera e propria psicosi, nella popolazione: «Questa non è informazione, è manipolazione». Ed ecco l’affondo contro l’Organizzazione Mondiale della Sanità: «Deploriamo il ruolo dell’Oms, che ha chiesto che l’infodemia (cioè tutte le opinioni divergenti dal discorso ufficiale, anche da esperti con opinioni diverse) sia messa a tacere da una censura mediatica senza precedenti». Non solo: «Chiediamo urgentemente ai media di assumersi le loro responsabilità: chiediamo un dibattito aperto, in cui tutti gli esperti siano ascoltati». Ne va dei diritti umani, che – aggiungono i belgi – sono stati calpestati dalle leggi d’emergenza, istituite sulla base di una presunta pandemia da milioni di morti, smentita dai fatti: «Il Covid-19 non è un killer virus, ma una condizione ben curabile con un Mascherinetasso di mortalità paragonabile all’influenza stagionale. In altre parole, non c’è più un ostacolo insormontabile alla salute pubblica. Non esiste lo stato di emergenza».

I medici del Belgio chiedono quindi la fine immediata di tutte le misure anti-Covid. «Mettiamo in dubbio la legittimità degli attuali esperti di consulenza, che si incontrano a porte chiuse», accusano. «Chiediamo un esame approfondito del ruolo dell’Oms e della possibile influenza dei conflitti di interesse in questa organizzazione». La stessa Oms, largamente finanziata dalla Cina, è stata anche «al centro della lotta contro “l’infodemia”, cioè la censura sistematica di tutte le opinioni dissenzienti nei media: ciò è inaccettabile per uno Stato democratico governato dallo Stato di diritto». I medici belgi rivolgono dunque un appello pubblico alle associazioni professionali e a tutti i sanitari, affinché esprimano la loro opinione sulle misure attuali. «Attiriamo l’attenzione e chiediamo una discussione aperta in cui i tutti possano e osino parlare». Con questa lettera aperta – concludono – denunciamo la verità: e cioè che, in questo caso, il rimedio è peggiore del male, quando non è basato «su una solida scienza», ma su una colossale operazione di propaganda che (quella sì) ha messo a repentaglio la salute e la sicurezza sociale di milioni di persone, in tutto il mondo.

FONTE: https://www.libreidee.org/2020/10/medici-contro-loms-pandemia-inventata-e-cure-censurate/

 

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

Che cosa c’è sullo scaffale del cinema L’autobiografia di Woody Allen

Leggere le pagine in cui Woody Allen si racconta è un po’ come guardare un suo film. Narrazione in prima persona, spumeggiante come sa essere soltanto il gusto dei suoi paradossi. Le battute folgoranti che profumano di aforismi anche se non lo sono. Perché il regista di Brooklyn è così. Sbarazzino e sincero. Modesto fino a definirsi un mediocre. Perenne insoddisfatto ancora in cerca – a 84 anni suonati – del capolavoro che manca alla sua filmografia. Come se Manhattan. La rosa purpurea del Cairo. Come se Io e Annie o Zelig o infiniti altri titoli – da Prendi i soldi e scappa a Un giorno di pioggia a New York – fossero solo insignificanti commediole. E allora perché prendere in mano e leggere un libro dal titolo sconcertante – A proposito di niente (La Nave di Teseo, pp. 398, 22 euro) – che sembrerebbe non aver nulla da dire… Ebbene, la risposta è semplice. Per imparare come si diventa Woody Allen senza saperlo. E stupirsi di come esistano grandi autori che non sappiano di esserlo. Le quattrocento pagine scarse sono un torrentizio e talvolta disordinato ma interessantissimo resoconto, che assomiglia a una seduta fiume dallo psicologo in cui il paziente – Allan Stewart Konigsberg, venuto al mondo il 30 novembre ma nato ufficialmente l’1 dicembre 1935 perché portava male cominciare una vita dall’ultimo giorno del mese – snocciola otto decenni e mezzo tra le sue non molte passioni e altrettanto circoscritte sofferenze. La musica jazz. La comicità. L’autorialità, nella scrittura prima che nelle riprese. Le donne. Ma forse sarebbe meglio dire l’amore, perché Woody, la stoffa del Casanova non l’ha mai avuta. Eterosessuale convinto, anzi convintissimo come il suo credo politico democratico, si è legato – sposandole o fidanzandosi – solo a quelle sbagliate. Tranne, forse, l’ultima. Soon-Yi, coreana, classe 1970, trentacinque anni meno di lui e figlia adottiva della sua compagna di allora.

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Già, Mia Farrow. Un capitolo lunghissimo e particolareggiato, in un volume che di capitoli non ne ha. Le accuse infondate di molestie pedofile. Corona di spine sulla testa di un re senza trono. E nonostante il proscioglimento a cui i medici hanno “costretto” i giudici per mancanza di prove fisico-documentali e di testimonianze dirette, a papà Allen – che aveva adottato la piccola Dylan, falso oggetto delle sue attenzioni, e il fratello maggiore Moses che ha scagionato il genitore – è rimasto il divieto di vedere i suoi figli. Condanna che pende sul capo del regista, al quale è stato permesso di sposare Soon-Yi, maggiorenne all’epoca del loro innamoramento e delle impudiche foto sequestrate e, con lei, ha perfino potuto adottare altre due figlie – una coreana e una americana – che nessun magistrato gli avrebbe concesso se gli abusi fossero stati realmente accertati. Dov’è dunque l’orrido orco…. Mistero di una giustizia a due facce che fa acqua oltreoceano come in casa nostra. E in epoca di #MeToo ha pure sconfinato. Hillary Clinton – guarda un po’ chi parla – ha rifiutato la donazione del regista per la campagna presidenziale. Questa autobiografia non è stata pubblicata in America. Un giorno di pioggia a New York non è mai stato proiettato negli Stati Uniti e Timothée Chalamet, il protagonista-controfigura di Woody, si è rammaricato di essere apparso in un suo film devolvendo il suo ingaggio in beneficienza. Regole del movimento ispirato proprio dal figlio biologico Ronan, avuto dalla Farrow, che ha misconosciuto il padre sostenendo le false tesi messe in circolazione dalla vendicativa mammina. Insomma anche un dio può precipitare all’inferno. Molti nemici, molto onore si dice fra gli uomini e chi ha difeso Woody c’è stato. Selena Gomez. Elle Fanning. Pedro Almodòvar. Ray Lotta. Alan Alda. Catherine Deneuve. Charlotte Rampling. Isabelle Huppert. Jude Law. Non molti altri, i più hanno fatto a gara per sottrarsi educatamente a proposte del newyorkese. Non ci si spinge oltre, insomma. Gli odiatori – o forse sarebbe meglio dire gli adulatori del sistema – sono fuggiti tutti e anche per un monumento del cinema il casting di Rifkin’s festival, in prima mondiale a settembre nella rassegna di San Sebastiàn e in uscita nelle sale a fine anno, non è stato dei più semplici. Così va il mondo. Davanti al bicchiere mezzo vuoto “ho sempre visto la bara mezza piena”, ha commentato il regista, perché “di vivere nel cuore e nella mente del pubblico non mi importa niente, preferisco vivere a casa mia”.

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FONTE: https://blog.ilgiornale.it/giani/2020/10/02/che-cosa-ce-sullo-scaffale-del-cinema-lautobiografia-di-woody-allen/

 

 

 

 

ATTUALITÁ SOCIETÀ COSTUME

LA GUERRA AL GENDER È UN DOVERE

La guerra al gender è un dovere

Ha fatto scalpore l’uscita del presidente della Regione Emilia-RomagnaStefano Bonaccini, sulle cure gratis ai transessuali. In Emilia-Romagna il cambio di sesso sarà a spese dal Servizio sanitario regionale. A tutti coloro che vorranno cambiare la propria natura saranno fornite gratuitamente le cure ormonali. Inoltre il supporto della Regione si estenderà anche ai familiari dei soggetti con disforia di genere, i quali potranno partecipare a tutte le iniziative per le persone gaylesbiche, transessuali, transgender e intersex. Fissate bene questi termini, perché questa è la nuova composizione sociale secondo la sinistra. E, badate, che le cure sono accessibili anche per i minori, cioè sarà possibile cambiare sesso fin da bambini. Non è troppo per continuare a tollerare?

La notizia ha colpito perché nelle stesse ore le agenzie di stampa dettavano altre due notizie riguardanti raccapriccianti casi di cronaca: l’omicidio efferato dei due fidanzati di Lecce per mano del giovane ex convivente e il suicidio dell’undicenne di Napoli, che si è lanciato dall’undicesimo piano a causa dei giochi autolesionistici del web. La contestualità tra l’annuncio di Bonaccini e l’orrore della cronaca non è passata inosservata, perché di fronte al dolore e allo sgomento ci si sarebbe aspettati un altro momento per la propaganda alle politiche Lgbt.

Invece, il fluido governatore piddino ha premeditatamente lanciato le novità per i transessuali come una provocazione. Proprio così, provocazioni su provocazioni sempre più estremiste. La sinistra delle nuove frontiere dell’identità, temendo eventuali spinte involutive, affretta il processo di trasformazione attraverso prese di posizione e provvedimenti stringenti.

D’altro canto, quale altro argomento forte possono vantare? Ha detto bene Marcello Veneziani nel suo editoriale sull’Enciclica di Papa Bergoglio che l’uguaglianza e la fraternità a cui si rifanno la Chiesa bergogliana e la sinistra immigrazionista non sono quelle della dottrina e di molti santi, piuttosto si avvicinano agli ideali delle Rivoluzione francese che introdussero il Terzo Stato così come oggi si cercano introdurre le identità Lgbt accanto a quelle biologiche tradizionali, oltre alla sostituzione etnica per produrre caos contro il conservatorismo tradizionale. L’operazione infatti non è solo quella di garantire tolleranza e tutela contro le omo-trans-fobie, ma piuttosto ribaltare l’assetto sociale universale per affermare accanto alla natura uomo-donna le altre nature. Cioè l’avvento del nuovo ordine mondiale del potere ateo, marxista e transessuale.

A mio parere questo processo ha un committente in alto, nelle gerarchie vaticane degli scandali pedofili e della corruzione, dove si pensa di celare il male della Chiesa nella percezione estesa dell’omosessualità con sostegni poderosi alle lobby Lgbt e con il sodalizio con una sinistra deviata in queste pratiche nel caos della pandemia e della globalizzazione. Fin qui la sinistra, e il potere oscuro che la finanzia, ha fatto e disfatto senza incontrare quasi nessuna seria opposizione, così che chiunque abbia espresso dissenso è incappato nell’accusa di razzismo intolleranza. È del tutto mancato il dibattito biologicosacroserio sulle diversità. Ma siamo certi che queste aperture siano la volontà della maggioranza degli italiani e che rispecchino il profilo culturale ed identitario del nostro Paese, oltre che religioso? Oppure la maggioranza artificiosa e la guerra alle urne sono la dimostrazione che è in atto un colpo di mano?

Se siamo arrivati fin qui è dipeso dalla tiepidezza, superficialità e faciloneria con cui il centrodestra ha derubricato la questione. I leader dell’opposizione, da Matteo Salvini a Giorgia Meloni, si sono affermati genericamente contro l’immigrazione e contro le politiche stataliste, ma non hanno corrisposto un programma forte e incisivo che stabilizzasse l’umanità sui ragionevoli principi eterosessuali per respingere le devianze. Sono stati al gioco e non hanno mobilitato intellettuali, storici, professionisti, ma anche donne e giovani, cioè l’elettorato diffuso, a fare quadrato.

Chi dice che omo, lesbo, trans siano benedetti e che sia sana la società che propongono? Le critiche post-regionali hanno aperto riflessioni e dibattiti e nei tre partiti fanno sapere che il metodo per le prossime Comunali punterà a nomi della società civile. Uno scossone è in atto. Ma non basta. Occorre un “patto dei valori”, che ristabilisca il credo sociale e morale in cui la società flagellata dagli estremismi possa riconoscersi. La guerra al gender è un dovere.

FONTE: http://www.opinione.it/politica/2020/10/09/donatella-papi_guerra-gender-valori-diversit%C3%A0-lgbt/

Caro amico no-mask, ti ascolto

Sarebbe troppo facile liquidare il tutto dicendo che solo gli stupidi cascano per le fake news e gridano al complotto

Mario è arrabbiato perché non può andare allo stadio.  Possono andarci solo mille tifosi e sicuramente non toccherà a lui.  “È colpa dei politici che ci impauriscono perché vogliono avere il controllo delle nostre vite e farci credere quello che vogliono loro.  Si, vabbè, c’è chi muore di Covid ma molti sono già malati di altro, quindi è tutta un’esagerazione. E poi dobbiamo girare con quel bavaglio di mascherina che ci fa respirare molta più anidride carbonica, toglie l’ossigeno e ci avvelena lentamente”

Mi sento impotente davanti agli effetti delle fake news su un giovane ragazzo che non riconosco più.  Resisto all’impulso di mandarlo a quel paese, mi sforzo ad ascoltare le sue tesi per creare un dialogo costruttivo e verificare i fatti insieme a lui. Troppo tardi per farlo ragionare?

Sarebbe facile liquidare il tutto dicendo che solo gli stupidi cascano per le fake news e gridano al complotto. Mario è intelligente e allora perché sembra sul punto di non ritorno? Leggo che anche Miguel Bosé in Spagna ha perso la madre per il Covid ma al tempo stesso invita gli spagnoli a protestare contro le misure anti-pandemia.

Forse Mario nega l’evidenza perché ha paura di ciò che non conosce.  Un amico psicologo mi ha detto che il suo comportamento è un modo di manifestare l’ansia e confrontarsi con il trauma del Covid. Ma l’ansia aumenta ed è come se Mario si stesse costruendo una nuova realtà per sottrarsi alla realtà. Per lui un evento clamoroso come la pandemia non può che avere una causa più importante come un complotto orchestrato da oscure massonerie e poteri forti senza nome e senza volto.

Parlando con Mario mi domando se io stesso sono al riparo da qualsiasi influenza.  Quando un certo numero di persone crede in un’idea è più facile pensare che ci sia qualcosa di serio alla base. Né ho sempre la voglia e il tempo per controllare le notizie, anche il mio cervello è sovraccarico di informazioni. E poi quando mi convinco di una cosa, fino a che punto sono aperto al confronto con chi non condivide le mie idee?  Facebook amplifica il tutto: il mio bianco si oppone al tuo nero senza vie di mezzo e se non sei d’accordo con me te le dico di tutti i colori.

Facciamo una passeggiata sui Navigli e ci fermiamo in un bar. Ho una mascherina in più nel caso Mario non l’avesse portata, invece con un gesto di stizza la tira fuori dallo zaino e si mette “il bavaglio nazionale”.

“Ma cos’è sta farsa, la metti per 10 secondi poi ti siedi e la togli”, mentre pompa una spruzzata di gel dal dispenser e si strofina le mani.  Dopo qualche sorso di birra siamo più rilassati. Gli spiego che esistono siti di disinformazione, alcuni si limitano alla creazione di fake news perché le condivisioni generano introiti pubblicitari, altri hanno obiettivi di destabilizzazione politica e propongono teorie del complotto. Mi guarda incredulo, allora tiro fuori il tablet dal mio zaino e gli faccio vedere l’articolo della BBC sui siti di fake news a Veles, in Macedonia, che reclutano scrittori di contenuti per re-interpretare eventi realmente accaduti e provocare paura e rabbia nei lettori con esagerazioni e utilizzo di immagini di altri eventi.

“Mario guarda che ci caschiamo tutti!  Per questo non dobbiamo abbassare la guardia.  Fai domande a chi ti dice che siamo manipolati. Chi ci manipola? Quali sono le loro strategie? Chi sono i poteri forti? Poi riparliamone. Neanche i giornalisti sono indenni dalle fake news, anche loro che dovrebbero essere i nostri garanti della veridicità delle fonti possono soccombere all’eccesso di informazione, figuriamoci noi che vogliamo verificare le notizie senza subire tutto passivamente”.

Mario rilancia con i poteri forti, la massoneria e per assurdo ha aderito ad una generica petizione contro la mancanza di libertà dell’informazione.   Gli occhi sono più rossi di rabbia che di alcool, sento che lo sto perdendo.   Provo a parlare di calcio per stemperare il clima, ma mi metto la zappa sui piedi.  Solo uno su mille ce la fa ad entrare allo stadio.

Torno a casa sconfitto ma deciso a mantenere intatto il canale di comunicazione. Se liquidiamo tutti i negazionisti come stupidi e ignoranti, rischiamo solo di isolarli ancor di più. Restiamo aperti al confronto con tutti i Mario a cui teniamo.  Teniamo viva in loro una speranza per il futuro. A tutti gli eventi di grande portata come l’attacco alle Torri Gemelle, tsunami o l’attuale pandemia Covid corrispondono l’aumento di casi di depressione, disturbo da stress post-traumatico, abuso di sostanze, disturbi comportamentali, violenza domestica e abuso su minori. Il Covid è ancora più pernicioso, il suo ingrediente aggiuntivo è il distanziamento sociale che può portare a un distanziamento mentale.

È tornato l’obbligo di mascherina all’aperto e Mario rischia di regredire nella sua realtà alternativa, di non farcela più, di reagire male o andare in depressione. Ascoltiamolo.

FONTE: https://www.infosec.news/2020/10/09/news/cittadini-e-utenti/caro-amico-no-mask-ti-ascolto/

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

In Toscana mai nessuna emergenza Covid-19, lo studio che lo rivela

 

Di Filippo Della Santa, ComeDonChisciotte.org

Da ormai sette mesi, siamo in uno stato di allerta permanente. Prima di arrendersi alla paura per quel che è successo a Wuhan e New York, e per quello che sta capitando oggi a Parigi o Madrid, pensiamo sia fondamentale guardare a quello che si è verificato nei nostri territori, per poi cercare risposte più ampie e globali.

Abbiamo provato ad andare in profondità, studiando ciò che ci circonda, dal basso verso l’alto: statistiche ufficiali e cifre istituzionali, partendo da uno specifico ambito locale senza mai perdere di vista la situazione nazionale, variegata e non uniforme,  e quella internazionale, per capire l’emergenza.

Quale emergenza? Per cercare di comprenderlo, procediamo a campione e proviamo ad esaminare ciò che ha affrontato una delle venti regioni italiane.

Immediatamente, il linguaggio burocratico, farraginoso e ripetitivo della sua massima istituzione, ci dimostra come anche la Toscana tremi dal terrore e navighi a vista nella tempesta scatenata dal Covid-19. Essa “si conferma al 10° posto in Italia come numerosità di casi, con circa 388 casi per 100.000 abitanti a fronte di una media italiana di circa 507 casi per 100.000 abitanti. Il tasso grezzo di mortalità è pari a 31,0 x 100.000 abitanti, rispetto alla media italiana di 59,2 x 100.000 abitanti ” [1].

Come possiamo decifrare questi dati ufficiali in eventi reali? In data 30 settembre, il totale dei decessi attribuiti al Sars-Cov-2 è stato di 1164 (a fronte di 14827 casi positivi), mentre i guariti complessivi erano 10261.

Il picco massimo di ricoveri in terapia intensiva (1 aprile 2020) risultava essere di 297 pazienti, a fronte di 447 posti disponibili e con altri 220 attivabili in caso di necessità. L’andamento si era poi normalizzato nelle settimane successive (Figura 1).

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Figura 1: Ricoveri giornalieri in terapia intensiva per Covid-19, marzo-giugno – Elaborazione CDC su dati A.R.S. 

Ripercorriamo ciò che è già Storia, fino alla “nuova normalità” che viviamo: l’Italia ha subito uno stato di blocco totale dal 10 marzo al 18 maggio, giorno in cui è avvenuta la cosiddetta “riapertura”, mentre a partire dal 3 giugno è stato possibile viaggiare di nuovo a livello interregionale.

Con la fine delle misure di contenimento, contrariamente a quegli studi che, per metà giugno, prevedevano migliaia di nuovi ricoveri in terapia intensiva (in realtà, sono state 207), la situazione toscana non è peggiorata dal punto di vista sanitario, anzi si è avuto un progressivo e costante miglioramento sia per quanto riguarda il numero dei decessi, sia per quanto riguarda lo stato clinico dei pazienti positivi al tampone, come reso noto dall’Agenzia Regionale di Sanità (A.R.S.) [Figura 2, Figura 3].

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Figura 2: Andamento decessi giornalieri per Covid-19, fonte: Protezione Civile e A.R.S.

Dal grafico sottostante (Figura 3), possiamo osservare come solo il 2,67% dei casi positivi individuati nel mese di settembre appena trascorso, abbiano presentato uno stato clinico che va da severo a critico, contro il 43,21% del mese di marzo.

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Figura 3: Stato clinico al tampone (rapporto x 100), periodo 24/02 – 20/09, fonte: A.R.S.; ISS

Nonostante questi dati più che rassicuranti, Enrico Rossi, allora presidente, andò in controtendenza varando una serie di provvedimenti (ad integrazione dei DPCM nazionali), tra cui l’Ordinanza n.71 del 4 luglio (in vigore fino alla fine dello stato di emergenza) che prevede la possibilità di isolamento in albergo sanitario per i soggetti positivi [2]. Non possiamo dimenticare l’Ordinanza n.26 del 6 aprile, con la quale si imponeva l’obbligo di mascherina anche all’aperto, in grandissimo anticipo rispetto al provvedimento nazionale che sarebbe poi arrivato ad agosto.

Durante il mese di settembre, abbiamo avuto un incremento di casi positivi, che non si è fortunatamente tradotto in un proporzionale aumento di ricoveri.

Nella Tabella 1, da noi elaborata tramite i dati forniti dalla Regione Toscana, si nota il picco dei tamponi effettuati nell’ultimo periodo, rispetto ai primi mesi dell’anno; nonostante l’aumento dei test, abbiamo avuto il crollo del numero dei soggetti positivi e dei ricoverati nelle terapie intensive.

Tabella 1: Elaborazione CDC su dati A.R.S.

Periodo 15 marzo – 30 aprile
Totale casi positivi 8722
Totale tamponi 137254
Rapporto casi positivi/tamponi [%] 6,35
Rapporto ricoveri terapie intensive/casi attivi (media periodo) 6,07 %
Periodo 15 agosto – 30 settembre
Totale casi positivi 4066
Totale tamponi 276775
Rapporto casi positivi/tamponi [%] 1,47
Rapporto t.i./casi attivi (media periodo) 0,60 %

Possiamo osservare l’andamento dei ricoveri in terapia intensiva per tutto il periodo che va dall’inizio dell’emergenza al 30 settembre (Figura 4). A seguito della già menzionata normalizzazione dei ricoveri, è possibile dedurre che l’attuale incremento di casi positivi sia semplicemente dovuto ad un netto aumento del numero di tamponi effettuati.

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Figura 4: Andamento ricoveri in terapia intensiva per Covid-19, 25/02 – 30/09 – Elaborazione CDC su dati A.R.S. 

Tale incremento, pur tralasciando i dubbi relativi alla classicazione dei malati Covid [3], è più che evidente.

Non stiamo certo svelando un mistero, ce lo mostra – tramite il suo sito – la stessa Regione Toscana (Figura 5).

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Figura 5: Tamponi giornalieri effettuati, fonte: Protezione Civile e Regione Toscana

Quello che però manca nel sito dell’A.R.S., alla sezione I dati del Covid-19 in Toscana e in Italia“, è una contestualizzazione più ampia degli eventi. Proviamo a fare chiarezza su questo punto, considerando il periodo semestrale che va da gennaio a giugno, comprendente quindi anche i mesi di marzo e aprile, e per tale periodo ricaviamo le statistiche relative alle persone decedute per ogni tipo di causa, con riferimento agli anni che vanno dal 2015 al 2020 (dati ISTAT).

Iniziamo dal basso, da un piccolo comune della lucchesia, Borgo a Mozzano (Figura 6).

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Figura 6: Andamento decessi, Comune di Borgo a Mozzano (LU)-, Elaborazione CDC su dati Istat

Nei primi sei mesi del 2020, possiamo osservare un numero di decessi inferiore rispetto a quello degli ultimi cinque anni.

Estendendo lo studio e sommando i valori parziali relativi ai singoli comuni, ricaviamo la situazione per l’intera provincia, sintetizzata nei grafici sotto riportati (Figura7, Figura 8): la curva relativa al primo semestre del 2020 (di colore rossonon evidenzia significative differenze in termini di andamento rispetto al semestre gennaio-giugno degli ultimi sei anni. Quindi, ciò significa che il numero totale dei decessi è inferiore rispetto al passato.

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Figura 7: Andamento decessi, Provincia di Lucca – Elaborazione CDC su dati Istat
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Figura 8: Decessi totali, semestre gennaio-giugno, anni 2015-2020, Provincia di Lucca – Elaborazione CDC su dati Istat

Nel grafico di Figura 8 sono evidenziati i valori finali, al 30 giugno, relativi alle persone decedute per ogni tipo di causa in provincia di Lucca.

Possiamo osservare, come il totale relativo al 2020 sia prossimo alla media calcolata con riferimento al periodo 2015-2020 (in particolare abbiamo avuto 16 decessi in più rispetto alla media, su un totale di oltre 2300).

Inoltre, i valori risultano inferiori rispetto a quelli raggiunti negli anni 2015 e 2017.

Al fine di ampliare lo studio, per osservare eventuali differenze con le altre zone della Toscana, abbiamo quindi esteso la ricerca alle città vicine, ed infine alla regione nel suo insieme.

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Figura 9: Decessi totali, semestre gennaio-giugno, anni 2015-2020, Elaborazione CDC su dati Istat

Da tale lavoro, sintetizzato nell’elaborato riportato in figura 9, si ricava come in ogni provincia e nell’intera regione, i decessi complessivi verificatisi nei primi sei mesi dell’anno siano perfettamente inquadrabili in una situazione in linea con quanto avvenuto nei 5 anni precedenti (in particolare abbiamo avuto circa 164 decessi in più rispetto alla media del periodo 2015-2020, su un totale di oltre 22.200).

Addirittura si evidenziano numeri inferiori agli anni 2015 e 2017, fatto riscontrabile sia in ogni singola provincia, sia a livello regionale.

Visto quanto osservato in questo studio, eventuali e localizzati episodi di emergenza sanitaria verificatisi negli ospedali toscani, non sarebbero quindi da addebitarsi alla qualità dell’emergenza Sars-Cov-2, ma alla gestione politica e organizzativa del comparto Sanità: mancanza di strutture, di personale, di mezzi, di linee guida chiare e coerenti.

Guardando invece al contesto nazionale, non possiamo dimenticare le autopsie sconsigliate dal Ministero della Salute [4] e tutte le altre problematiche relative a quelle cure che sono state ostacolate [5]: ciò ha indubbiamente contribuito all’aggravamento della situazione.  Nonostante tale contesto, i nostri medici ed i nostri infermieri, sempre in prima linea, hanno dimostrato il loro grande valore all’intera comunità.

Alla luce di quanto descritto in questo report, dati alla mano, possiamo affermare che la Toscana non ha vissuto e non sta vivendo un’emergenza Covid-19.

Proprio per queste considerazioni, è ancora più importante, oggi, capire quali siano le scelte politiche più opportune da compiere per salvaguardare la salute e la vita civile. Prima della paura, del panico e delle notizie dai focolai di Parigi e Madrid, sarebbe importante capire veramente cosa è successo e cosa sta accadendo nei nostri territori.

Tutto questo, per il rispetto che dobbiamo a chi non c’è più e a chi ha subito e sta subendo i danni più gravi da tutta questa triste, preoccupante ed epocale vicenda.

L’Italia intera attende risposte serie e responsabili, per il futuro di tutti.

Di Filippo Della Santa, ComeDonChisciotte.org

05.10.2020

Filippo Della Santa. Ingegnere, appassionato di musica. Insofferente alla mancanza di logica e agli abusi di potere, trascorre le sue giornate immerso nell’attualità, cercando rifugio nelle “Terre dell’Eterno Inverno” per ricaricare le energie.

PER APPROFONDIRE SCARICA LA DOCUMENTAZIONE ELABORATA PER LO STUDIO:

NOTE:

[1]= https://www.ars.toscana.it/banche-dati/dati-sintesi-sintcovid-aggiornamenti-e-novita-sul-numero-dei-casi-deceduti-tamponi-per-provincia-e-per-asl-della-regione-toscana-e-confronto-con-italia-con-quanti-sono-i-decessi-per-comune?provenienza=home_ricerca&dettaglio=ric_geo_covid&par_top_geografia=090

[2]= “Ordina di dare mandato ai Dipartimenti della Prevenzione delle Aziende sanitarie di effettuare, per ogni nuovo caso positivo, una valutazione puntuale dell’ambiente domiciliare per l’isolamento domiciliare del caso positivo e, in caso di sovraffollamento o di situazione logistica sfavorevole che non permetta una gestione in sicurezza di tale provvedimento, e di contestuale rifiuto all’isolamento volontario in albergo sanitario, di proporre al Sindaco, in qualità di Autorità Sanitaria Locale, l’emissione di un’ordinanza contingibile e urgente a tutela della salute pubblica che prescriva, ai sensi dell’articolo 50 del D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL), l’isolamento in albergo sanitario

[3]

  • https://www.globalresearch.ca/what-is-covid-19-sars-2-how-is-it-tested-how-is-it-measured-the-fear-campaign-has-no-scientific-basis/5722566
  • https://www.nytimes.com/2007/01/22/health/22whoop.html
  • https://archive.is/YTAqF
  • Dott. Stefano Scoglio – https://www.nogeoingegneria.com/effetti/salute/i-tamponi-covid-19-producono-fino-al-95-di-falsi-positivi-confermato-dallistituto-superiore-di-sanita/

[4]= “Per l’intero periodo della fase emergenziale non si dovrebbe procedere all’esecuzione di autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati di COVID-19, sia se deceduti in corso di ricovero presso un reparto ospedaliero sia se deceduti presso il proprio domicilio.”  – fonte: https://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/renderNormsanPdf?anno=2020&codLeg=73832&parte=1%20&serie=null

[5] =

SITOGRAFIA

Sito ufficiale ISTAT

Sito ufficiale Istituto Superiore di Sanità
Sito ufficiale Regione Toscana
Sito Il Sole 24 ore, sezione”Coronavirus in Italia, i dati e la mappa

Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org

FONTE: https://comedonchisciotte.org/esclusiva-cdc-in-toscana-mai-nessuna-emergenza-covid-19-lo-studio-che-lo-rivela/

Vladimiro Giacché – Come fanno a privatizzare tutto? Sul modello del sacco della Germania est

Vladimiro Giacché - Come fanno a privatizzare tutto? Sul modello del sacco della Germania est
In questa autentica pietra miliare della controstoria delle cose, l’economista Vladimiro Giacché svela a Byoblu come hanno fatto a privatizzare, depredare, spogliare e piegare la Germania dell’Est, collaudando così un sistema che ha dato i suoi frutti anche in Grecia e che, attraverso il grimaldello della moneta unica, l’Euro, si sta concretizzando anche in Italia. È l’Anschluss, l’annessione. E sta succedendo adesso.
VIDEO QUI: https://youtu.be/9HdgSVnHt8M
FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-vladimiro_giacch__come_fanno_a_privatizzare_tutto_sul_modello_del_sacco_della_germania_est/11_23434/

CONFLITTI GEOPOLITICI

Kissinger vede scenari simili alla prima guerra mondiale

Kissinger vede scenari simili alla prima guerra mondiale

Gli Stati Uniti devono ripensare alla propria egemonia e parlare alla Cina per imporre limiti alla loro concorrenza, perché l’alternativa è la creazione di condizioni simili a quelle che hanno preceduto la prima guerra mondiale, ha avvertito Henry Kissinger.

“I nostri leader ed i loro leader devono discutere i limiti oltre i quali non si devono spingere nelle minacce, e come definirli”, ha spiegato Kissinger, un diplomatico di punta durante l’amministrazione Nixon, a cui è attribuito il merito di aver orchestrato il riavvicinamento degli Stati Uniti alla Cina.
“Si può dire che è totalmente impossibile, ma se lo è, scivoleremo in una situazione simile alla prima guerra mondiale”, ha avvertito.

Lo sviluppo di tecnologie come l’intelligenza artificiale (AI) ha inaugurato un balzo in avanti forse diverso da qualsiasi altro dall’introduzione della stampa, rendendo il mondo troppo complesso per l’unilateralismo, secondo l’ex segretario di stato USA.

Washington ha bisogno di “un nuovo modo di pensare” che riconosca che oggi nessun Paese è in grado di “raggiungere una superiorità unilaterale tanto nella strategia quanto nell’economia che nessuno sarà in grado di minacciarla” , ha aggiunto.

“Questa è una grande sfida per qualsiasi amministrazione, e non è una sfida di parte, è una sfida storica perché non possiamo rivederla ogni quattro-otto anni, e se non possiamo essere chiari nel nostro paese su questo, possiamo” trattare con altri paesi.” Kissinger ha suggerito che i colloqui proposti con la Cina dovrebbero essere condotti per molti anni a prescindere dalla partigianeria negli Stati Uniti.

L’ex diplomatico ha emesso il suo avvertimento ieri durante un evento virtuale ospitato dall’Economic Club di New York. L’economista John Williams, che presiede la Federal Reserve Bank di New York, è stato l’altro ospite della discussione.

L’amministrazione Trump ha portato avanti los contro con la Cina su più fronti. Tra le altre cose, ha imposto dazi sulle esportazioni cinesi negli Stati Uniti, ha fatto pressioni sulle società tecnologiche e di comunicazione cinesi fuori dai mercati americani e ha tentato di incolpare Pechino per i danni causati dalla pandemia Covid-19.

La retorica anti-cinese è stata in qualche modo adottata dal suo rivale democratico alle elezioni presidenziali, Joe Biden, anche se sostenne l’adesione della Cina all’Organizzazione mondiale del commercio.

L’ampia promessa di essere duri con la Cina, contrariamente a come lo descrive la campagna di Trump, potrebbe o meno tradursi in politica, nel caso in cui Biden vincesse la presidenza a novembre.

FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-kissinger_vede_scenari_simili_alla_prima_guerra_mondiale/82_37675/

 

 

 

CULTURA

IL PENSIERO CRITICO È L’UNICO ANTIDOTO ALL’OTTUSA MEDIOCRITÀ CHE CI CIRCONDA

DI FABIANA CASTELLINO    25 GIUGNO 2020

Nel 1784 il filosofo tedesco Immanuel Kant scrisse il famoso per quanto breve trattato intitolato Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?, in cui scriveva: “L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità quale è da imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto, senza la guida di un altro”. Queste parole sono poi diventate il motto di un’intera epoca storica, e aleggiano ancora come un invito alle generazioni attuali e future. Con “minorità” Kant intendeva uno stato infantile, in cui l’uomo si adagia e si aspetta di essere guidato da qualcuno superiore a lui. Kant, invece, col suo motto sapere aude (“Abbi il coraggio di usare la tua intelligenza”), invita gli uomini a usare la propria ragione, a essere autonomi, e responsabili della propria libertà. La condizione di minorità è infatti imputabile a se stessi, dato che è l’uomo che si rifiuta di pensare da sé.

Non si tratta però soltanto di una condizione intima e personale, in cui gli esseri umani coltivano le proprie capacità e conoscenze, quello di Kant è un invito politico e pubblico. La libertà dell’uso della propria ragione è anzitutto un vantaggio sociale, perché sapere e mettere a disposizione le proprie conoscenze significa garantire il progresso non solo della società attuale, ma anche alle generazioni future. Si tratta perciò non solo di una priorità personale, ma anche collettiva.

Ritratto di Immanuel Kant

Nell’abbondanza di informazioni che possediamo oggi, abbiamo scambiato la libera circolazione di notizie per un progresso sociale di per sé. Tuttavia, oggi si hanno delle grandi difficoltà a comprendere le informazioni, e di conseguenza a usarle per vivere meglio. È proprio qui la differenza fra conoscenza e possesso di informazioni. La conoscenza è la selezione e l’uso di saperi che ci consentono di vivere meglio secondo diversi aspetti, psicologico, emotivo, economico, personale; il possesso di informazioni è una quantità di notizie e fatti, tolti dal proprio contesto e non utilizzabili. La conoscenza ha a che vedere con l’imparare, e dunque saper agire al meglio; il possesso di informazioni con l’avere, ma nulla di più. Siamo di fatto una società che crede di non aver bisogno di “usare” il proprio pensiero, perché ha molte, troppe informazioni a disposizione di tutti.

Nel suo libro Figli di un io minore. Dalla società aperta alla società ottusa, Paolo Ercolani scrive che “il problema è che la nostra è l’epoca dell’assalto frontale al pensiero. La società è organizzata e improntata secondo una modalità radicalmente e scientificamente contraria alla ragione, alla riflessione, al dialogo pensante che dovrebbe accomunare gli individui uniti nel consesso sociale”. Di fatto, se Kant sperava in un sistema politico in cui prevalesse l’autonomia del cittadino, perché ognuno fosse capace di usare il proprio pensiero, Paolo Ercolani descrive la nostra società come una “società ottusa”. Per società ottusa si intende “un duplice senso: indicando qualcosa di estraneo alla ragione e alla conoscenza (quindi stupida); rimandando alla chiusura rispetto a codici, meccanismi e valori che non siano quelli asettici e impersonali del profitto economico e del progresso tecnologico (quindi disumana)”. Quindi non solo una società in cui le persone hanno rinunciato a qualcosa che le renda umane, ma in cui la gestione delle vite è destinata alla guida della logica del mercato e della tecnologia. Esattamente il contrario di quanto intendeva Kant.

Guidati completamente dalla crescita di mercato e dal progresso, abbiamo accantonato il nostro pensiero critico; ma è solo attraverso di esso che possiamo modificare la realtà in cui viviamo. “Solo il pensiero consente l’interpretazione, quindi la critica e possibilmente un’azione in grado di modificare i fatti stessi, in quanto permette un’azione in grado di modificare i fatti stessi, in quando permette di immaginare, concepire e provare a costruire una realtà diversa”, continua Ercolani.

Paolo Ercolani

L’emergenza del COVID-19 sta ormai svelando il volto della società ottusa, con tutti i suoi limiti. L’epidemia ha messo in risalto gli effetti di una politica che ha preferito incrementare il profitto economico, anche attraverso tagli alla sanità pubblica e alla cultura, piuttosto che porre al centro i cittadini. L’epidemia sta inoltre dimostrando il fatto che la popolazione non sia effettivamente in grado di gestire l’enorme flusso di informazioni che riceve. Non solo molti non sono stati e non sono in grado di distinguere il vero dal falso (lo dimostra l’enorme diffusione di fake news legate alla malattia sui social e i canali di comunicazione come whatsapp), ma nemmeno di interpretare quanto è stato detto, cioè di comprendere profondamente le informazioni in un contesto determinato e agire di conseguenza (cosa che ha portato e porta ancora a comportamenti irresponsabili e scorretti).

Questo accade sia a causa dell’analfabetismo funzionale, in cui rientra un’altra percentuale della nostra popolazione, sia perché stiamo scontando l’abitudine a farci guidare da sistemi impersonali e astratti. A questo proposito Ercolani sottolinea come, in questa epoca, la diffusione delle notizie segua in primis le norme della velocità e della superficialità. “Se la velocità non lascia all’uomo il tempo di cogliere le informazioni con cui viene in contatto, né elaborare e tradurle in conoscenza autonoma […], la superficialità con cui vengono trasmesse non gli fornisce lo spazio per andare in profondità e dunque di appropriarsene”.

Manifestazione dei gilet arancioni, giugno 2020

Se non si ha il tempo di elaborare le informazioni che si ricevono e distinguerle fra loro, come si può agire di conseguenza? Ci si è invece fatti guidare dalla paura e dal panico, e questo è stato testimoniato dalle centinaia di italiani che dalla Lombardia hanno assaltato i treni per tornare al Sud, rischiando di diffondere ancora di più il virus. Non si è stati in grado di porre delle priorità, preferendo farsi guidare dai propri istinti e dal proprio tornaconto. “L’uomo non è soltanto ragione, ma anche un contenitore di volontà e desideri in nome dei quali è disposto sovente a sacrificare la ragione stessa”, dice ancora Ercolani.

In Lezioni di meraviglia, Andrea Colamedici e Maura Gancitano provando a spiegare come si è giunti alla costruzione di una società di questo tipo scrivono che “siamo drogati di stimolazioni che ci tengono in sospeso tra risveglio e morte per paura di vivere e morire, di non discendere nell’ignoto che abita entrambe le condizioni, e galleggiamo in quella terra disperata e scintillante chiamata benessere”. Nella società ottusa si è perso di vista che cosa debba intendersi davvero con il termine “benessere”, e non si tratta di un’abbondanza di informazioni, meccanismi economici e dati che ci informino, ma di avere la possibilità di essere persone responsabili di se stesse e di essere quindi considerate dalla politica in quanto tali. Incapaci di trovare risposte perché disabituati a porci domande, affidando quasi completamente la nostra vita a ingranaggi in cui la cosa più importante è essere funzionanti  e performanti, abbiamo dimenticato come si pensa in modo critico, cioè come si parla con se stessi, con gli altri e con il mondo che ci circonda.

La soluzione per uscire dalla società ottusa la dava già Kant. Bisogna avere il coraggio di pensare da sé, di condividere le conoscenze e le idee, imparare a riconoscere il vero dal falso. Ercolani sottolinea che le due istituzioni che possono contrastare la società ottusa sono la scuola e la politica, se si troverà il modo di far sì che esse stesse non ne siano inglobate. Se la scuola cesserà di essere intesa come un’azienda che plasma funzionari, ma tornerà al suo ruolo di educare e guidare diverse personalità, e se la politica smetterà di curarsi più dei meccanismi finanziari, ma ritornerà alle sue origini, cioè alla ricerca del bene morale e sociale, che è prendersi cura degli uomini, allora la società ottusa forse piano piano cesserà di esistere.

In un momento come quello che stiamo vivendo, in cui la sensazione preponderante è quella di impotenza, è importante rendersi conto che la società ottusa non ci è piombata addosso all’improvviso, ma l’abbiamo eretta noi, mattone dopo mattone. Abbiamo permesso che crescesse sempre di più, accantonando il pensiero libero, l’unico che possa renderci adulti, “maggiorenni”, indipendenti. Il pensiero critico, la conoscenza libera e continua sono le nostre armi più forti contro la società ottusa, fatta di minorenni del pensiero.

FONTE: https://thevision.com/cultura/pensiero-critico-societa-ottusa/

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Vi presento Jonathan Galindo

Il creatore della maschera.sarebbe Dusky Sam, artista e videomaker americano appassionato di effetti speciali

Jonathan Galindo è una deep legend di cui si parlava già anni fa su Reddit e in vari Paesi, similmente alla Momo Challenge e alla Blue Whale Challenge. La maschera con le fattezze di un Pippo deforme ed umanizzato (detta: Cursed Goofy) non è rimasta soltanto un meme ma è diventato un creepypasta, ovverosia una moderna leggenda metropolitana a tema horror che in poco tempo riesce ad essere virale grazie a condivisioni e copia-incolla soprattutto tramite social network o catene di messaggi.

Quel che sappiamo per certo riguarda il “genitore” della maschera. Dusky Sam, un artista e videomaker americano appassionato di effetti speciali e di produzione di maschere, ha segnalato in un tweet di aver creato l’immagine del Cursed Goofy per un proprio “bizzarro e personale piacere”, ed ha pubblicamente denunciato l’utilizzo deviato che qualche “cercatore di brividi” sta facendo della sua creazione per compiere atti di violenza e bullismo.

Sembra infatti che l’avatar inquietante appartenga a profili social (TikTok ed Instagram in primis) che invitano a compiere delle vere e proprie sfide destinate a scaturire in fatti di cronaca nera. Le minacce o ritorsioni sono possibili dal momento che l’account sembrerebbe carpire l’IP delle vittime. O almeno: questo è il racconto.

Il problema è che la viralità di un racconto può comunque produrre effetti significativi, in modo analogo all’effetto Werther per cui dalla notizia di un suicidio possono scaturire condotte imitative (e dunque: ulteriori suicidi).

Il rischio effettivo è che si generino dunque comportamenti di imitazione della “leggenda” da parte di cybercriminali che ricorrerebbero all’avatar oramai noto per perpetrare minacce, ricatti, azioni di cyberbullismo o adescamento di minori.

Bisogna ricordare che un mero contatto via social non può rendere pubblicamente accessibile le nostre informazioni personali a meno che noi stessi non le abbiamo fornite (ad esempio pubblicandole su profili collegati) o abbiamo creato una “porta” utilizzabile per il cybercriminale (ad esempio: aprendo un link o un allegato ricevuto). È bene inoltre ricordare che se questi impiegherà la leva emotiva della paura, potrà facilmente ottenere gli accessi desiderati senza che la vittima se ne renda conto in maniera lucida e razionale, portandola anche a non denunciare l’accaduto a genitori, amici o forze dell’ordine.

Il ruolo educativo del genitore nei confronti dei minori, che sono le potenziali vittime ideali di queste challenge criminali in quanto soggetti maggiormente vulnerabili e spesso poco consapevoli dei rischi del digitale, è imprescindibile. Un bilanciamento fra un effettivo controllo (genitoriale) dell’attività online dei minori e l’educazione degli stessi al corretto impiego dei molteplici strumenti offerti dal mercato, così come ai pericoli e agli “schemi” ricorrenti tipici delle attività di aggressione online, costituisce il primo baluardo da cui si può fondare una difesa effettiva e concreta. Tanto da Jonathan Galindo quanto da ogni suo successore.

FONTE: https://www.infosec.news/2020/10/08/news/tutela-dei-minori/vi-presento-jonathan-galindo/

 

 

 

FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI

Criptovaluta Nano, fallisce la piattaforma Bitgrail

Tribunale, Firenze, sez. fallimentare, sentenza 21/01/2019 n° 18

Giorgio Maria Mazzoli – Avvocato

Con sentenza n. 18/2019 pubblicata in data 21 gennaio 2019 il Tribunale di Firenze ha dichiarato il fallimento della società BG Services S.r.l. (già Bitgrail S.r.l.), che gestiva la piattaforma exchange denominata Bitgrail, ben notaagli addetti del settore per le vicende connesse alla fraudolenta sottrazione di un rilevantissimo importo di criptovaluta Nano (XRB).

 

https://www.altalex.com/~/media/Altalex/allegati/2019/tribunale-firenze-fallimento-sentenza-18-2019%20pdf.pdf?la=it-IT

Come è noto la citata piattaforma è stata gestita per lungo tempo dalla ditta individuale1 facente capo al medesimo soggetto che avrebbe in un secondo momento provveduto, quale socio di maggioranza, a costituire la menzionata società e, solo successivamente, ad opera diretta di quest’ultima.

Dalla sentenza in commento emergono diversi aspetti, sia in punto di fatto, che in punto di diritto, che richiedono una disamina.

Sul piano fattuale è anzitutto emerso che:

a) le criptovalute affidate alla piattaforma dagli utenti erano da essa fatte sistematicamente confluire in un unico wallet centrale (avente la natura di hot wallet) le cui chiavi private restavano nella esclusiva responsabilità del gestore della stessa piattaforma;

b) per effetto di ciò non sarebbe stato possibile distinguere quali criptovalute, tra quelle gestite dalla piattaforma tramite il citato wallet centrale, appartenessero ai singoli utenti, se non sulla base della contabilità interna della piattaforma;

c) né sarebbe stato in alcun modo possibile, una volta verificatasi la fraudolente sottrazione di Nano dalla piattaforma, determinare a quale utente appartenessero le criptovalute sottratte;

d) tutte le operazioni di scambio sulla piattaforma erano effettuate dal gestore dell’exchange dando esecuzione ad istruzioni ricevute dagli utenti che non avevano, quindi, alcuna possibilità di gestire autonomamente le criptovalute detenute attraverso il medesimo exchange;

e) le cause della fraudolenta sottrazione di Nano dalla piattaforma sarebbero da rinvenire nella sommatoria di prelievi multipli che l’exchange stesso avrebbe erroneamente inviato alla rete Nano a fronte di richieste uniche di prelievo effettuate dagli utenti (in sostanza il software di gestione della piattaforma, ricevuta la richiesta di prelievo dell’utente, quando non rilevava l’esecuzione della connessa specifica transazione in uscita2, inviava in automatico alla rete Nano ulteriori transazioni di pari importo generando così i prelievi multipli);

f) alcuni utenti si sarebbe resi conto, e peraltro sin dal periodo compreso tra il maggio 2017 e dicembre del medesimo anno (e non, come poi denunciato dal titolare della piattaforma, dal febbraio 2018), di tale falla e ne avrebbero quindi approfittato (gli utenti richiedevano un prelievo di un certo importo di criptovaluta Nano e ne ricevevano il doppio se non addirittura un multiplo);

g) il gestore dell’exchange si sarebbe reso conto dell’ammanco di criptovaluta Nano sin dal mese di luglio 2017;

h) la ragione per cui la rete Nano ha potuto processare la stessa transazione in modo multiplo sarebbe dipesa dal fatto che l’exchange conservava tutta la criptovaluta Nano in un unico wallet che presentava per forza di cose un saldo attivo sufficiente a soddisfare molteplici prelievi a fronte di un’unica richiesta dell’utenza (la criptovaluta Nano usciva dal wallet centrale dell’exchange anche se l’utente, magari, non aveva, sul proprio conto virtuale aperto presso lo stesso exchange, un saldo sufficiente);

i) la gestione della piattaforma sarebbe avvenuta con grave negligenza (sarebbe addirittura emerso che l’exchange non avrebbe nemmeno provveduto ad un confronto periodico del saldo del proprio hot wallet con quello risultante dalla contabilità interna, che avrebbe evidentemente consentito da subito di rilevare i prelievi fraudolenti).

In punto di diritto il Tribunale di Firenze ha invece affermato, anzitutto, che le criptovalute possono essere considerate quali “beni” ai sensi dell’art. 810 c.c. in quanto esse possono costituire oggetto di diritti, il che sarebbe stato asseritamente riconosciuto anche al livello normativo avendo il legislatore nazionale considerato le stesse (con il D.Lgs. 90/2017) quale mezzo di scambio.

La stessa Corte ha tuttavia aggiunto che lo scambio di criptovalute avviene “in un sistema pattizio e non regolamentato in cui i soggetti che vi partecipano accettano – esclusivamente in via volontaria – tale funzione, con tutti i rischi che vi conseguono e derivanti dal non rappresentare la criptovaluta moneta legale o virtuale (in altre parole, non vi è alcun obbligo giuridico dei partecipanti al “microsistema” di accettare pagamenti di beni o servizi con criptovaluta)”.

Il Tribunale ha inoltre ritenuto pacifico che le criptovalute siano fungibili, condizione, questa, che, per come si dirà infra, ha assunto un peso dirimente per consentire all’Autorità Giudiziaria di dichiarare il fallimento della società che gestiva l’exchange.

Facendo dunque leva sulle circostanze di fatto innanzi indicate e sulle argomentazioni giuridiche sopra riferite il Tribunale ha sviluppato le seguenti conclusioni:

1) la piattaforma aveva nel caso specifico certamente il pieno ed esclusivo controllo delle criptovalute ad essa affidate dagli utenti e finanche la facoltà di servirsi di tali criptovalute in autonomia;

2) il rapporto negoziale tra exchange e utente doveva perciò essere qualificato in termini di deposito, con l’aggiunta che tale deposito si dovrebbe propriamente qualificare come irregolare e conseguente applicabilità dell’art. 1782 c.c.;

3) quand’anche tale rapporto fosse qualificato quale deposito regolare resterebbe intatta la responsabilità del gestore della piattaforma potendo trovare infatti applicazione l’art. 1780 c.c. secondo cui la perdita della disponibilità della cosa determina la liberazione del depositario da ogni obbligo verso il depositante solo qualora (i) detta perdita sia dipesa da fatto non imputabile al primo e (ii) il medesimo abbia provveduto a denunziarla immediatamente; condizioni che, nella specie, per le circostanze di fatto sopra riportate, non sarebbero state soddisfatte;

4) ad analoghe conclusioni si sarebbe dovuti addivenire anche nell’ipotesi in cui si fosse ritenuto che il rapporto tra utente ed exchange dovesse essere ricostruito in termini diversi dal deposito o come rapporto misto a deposito: d’altra parte, secondo il Tribunale, in questo specifico caso vi sarebbero stati elementi sufficienti per affermare in ogni caso la responsabilità contrattuale dell’exchange in forza degli artt. 1176 c.c. (sulla diligenza richiesta in sede di esecuzione delle obbligazioni) e 1218 c.c. (sulla responsabilità contrattuale del debitore).

Da quanto sopra consegue, anzitutto, che l’exchange ha certamente assunto nella specie la proprietà delle criptovalute depositate ed il correlativo obbligo, a fronte dei depositi effettuati dagli utenti sulla piattaforma, alla restituzione del tantundem eiusdem generis, con il rilevantissimo corollario per cui il depositario avrebbe dovuto mantenere sempre a disposizione dei depositanti la quantità integrale di criptovaluta depositata, con un coefficiente di cassa del 100%.

La sentenza in commento presenta profili di rilevantissimo interesse su cui occorre soffermarsi, taluni dei quali possono essere certamente condivisi, mentre altri risultano invece discutibili.

Partendo da questi ultimi v’è anzitutto da esaminare l’affermazione secondo cui le criptovalute costituirebbero “beni” ex art. 810 c.c. in quanto oggetto di diritti.

L’affermazione non pare affatto condivisibile e, peraltro, risulta contraddetta dalla stessa sentenza nella parte in cui si riconosce espressamente che le criptovalute sono però scambiate “esclusivamente in via volontaria” senza che vi sia “alcun obbligo giuridico dei partecipanti al “microsistema” di accettare pagamenti di beni o servizi con criptovaluta”.

Tale circostanza, evidentemente, costituisce l’elemento cardine che consente di distinguere le criptovalute dalla moneta legale, rispetto alla quale, come è ben noto, trovano invece applicazione le disposizioni di cui agli artt. 1277 c.c. (secondo cui “[i] debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale”) e 693 c.p.3 (secondo cui “[c]hiunque rifiuta di ricevere, per il loro valore, monete aventi corso legale nello Stato, è punito con la sanzione amministrativa fino a lire sessantamila”).

Per la moneta a corso legale, quindi, è perfettamente configurabile un diritto in capo a chi ne abbia la disponibilità (ovverosia il diritto a spenderla ed a vederla accettata in pagamento), così come sussiste, dall’altra parte, un obbligo a carico di chi debba ricevere un pagamento ad accettarla, pena l’applicazione delle sanzioni indicate dalla legge; elementi che, ovviamente, vengono a mancare nel caso delle criptovalute.

Orbene è del tutto evidente che per queste ultime, proprio perché gli scambi avvengono, così come osservato dallo stesso Tribunale di Firenze, in un sistema volontario in cui nessuno è obbligato ad accettarle in pagamento, non è possibile configurare nemmeno un diritto, in capo a chi ne abbia la disponibilità, di utilizzarle per effettuare un pagamento verso qualsivoglia altro soggetto.

D’altra parte la teoria generale del diritto insegna che non può configurarsi un diritto (o altra posizione giuridica attiva) se non in presenza, dall’altro lato, di un obbligo (o altra posizione giuridica passiva) gravante sulla generalità dei consociati (in caso di diritti assoluti) o, quantomeno, su uno specifico soggetto (in caso di diritti relativi).

In altri termini, se non v’è un obbligo ad accettare criptovalute in pagamento pare chiaro che non possa configurarsi nemmeno un diritto a spenderle in capo a chi ne abbia la disponibilità.

Su questo specifico aspetto la sentenza in commento appare quindi errata e contraddittoria, anche se l’errore di cui trattasi non ha inciso sull’esito del procedimento, giacché nell’iter argomentativo della sentenza la qualificazione delle criptovalute quali “beni” serve ai soli fini dell’applicazione delle norme dettate per quelli che abbiano natura fungibile ed avendo riguardo, specificamente, a quelle dettate in materia di deposito.

Alla medesima conclusione (quella, cioè, secondo cui al rapporto tra utente ed exchange dovrebbero applicarsi, almeno in relazione ad ipotesi analoghe a quella di specie, le norme dettate in tema di deposito irregolare) si sarebbe d’altra parte ben potuti addivenire in ogni caso anche solo in ragione del fatto che le criptovalute, al pari della moneta a corso legale (o, per riprendere la lettera dell’art. 1782 c.c., del “denaro”), hanno certamente natura fungibile.

E si consideri che rispetto al denaro, cui risultano direttamente applicabili i principi del già citato art. 1782 c.c., da tempo la dottrina ha sviluppato la tesi secondo cui non sarebbe nemmeno propriamente configurabile un diritto di proprietà in capo a chi lo detenga.

Al più dovrebbe correttamente parlarsi di “disponibilità” dello stesso in funzione del fatto che il “denaro, nascendo come mezzo volto a favorire gli scambi tra merci in veste di intermediario universale, trova la sua essenza nel valore di scambio e quindi nell’attitudine a circolare come mezzo di pagamento. Per cui la disposizione ne rappresenta sempre la destinazione ultima4 (ferma restando la configurabilità in capo a chi ne abbia la disponibilità del diritto derivante dall’art. 1277 c.c. e del correlativo obbligo, a carico della generalità dei consorziati ex art. 693 c.p., di accettarlo in pagamento; elementi, questi, che però, per come detto, difettano nel caso delle criptovalute).

Non è dunque tanto la natura di “bene” (che, come tale, può costituire oggetto di diritti, a partire dal diritto di proprietà) a determinare l’applicabilità delle norme in tema di deposito irregolare, quanto la fungibilità, che può ovviamente essere pacificamente riconosciuta al denaro, sebbene esso non possa nemmeno formare propriamente oggetto di un diritto di proprietà e possa configurarsi quale “bene” al più solo a motivo della sua materialità (carattere che, invece, evidentemente difetta nelle criptovalute, attesa la relativa natura esclusivamente digitale).

In altri termini, l’estensione delle norme dell’art. 1782 c.c. al rapporto tra utente ed exchange può ben giustificarsi in ragione della sostanziale assimilazione tra il denaro (il cui deposito presso terzi determina l’applicazione di tali norme per espressa previsione di legge) e le criptovalute; assimilazione, questa, che fa evidentemente leva sulla sussistenza di una eadem ratio e, più precisamente, sulla circostanza che, nell’uno e nell’altro caso, si ha comunque riguardo a mezzi di pagamento/di scambio, ferme ovviamente le altre caratteristiche che consentono di differenziare la moneta a corso legale forzoso dalle criptovalute (che le criptovalute abbiano natura di mezzo di pagamento o di scambio è ovviamente certo sia alla luce della qualificazione offerta dalla nota sentenza C-264 della Corte di Giustizia UE, sia in ragione di quella indicata direttamente al livello normativo sia a livello nazionale, giuste le previsioni dell’art. 1, comma 2, lett. qq), del D.Lgs. 90/20175, sia a livello dell’Unione Europea, giuste le previsioni dell’art. 1 della Direttiva (UE) 2018/843 del Parlamento europeo e del Consiglio, meglio nota come “Quinta Direttiva AML”6).

Ciò premesso risulta dunque pienamente condivisibile, considerate le specificità del caso sul piano fattuale, l’affermazione secondo cui al rapporto tra exchange e utente possono applicarsi le norme dettate in termini di deposito irregolare, così come quella circa la responsabilità della piattaforma nel caso di specie anche in virtù degli artt. 17801176 e 1218 c.c.

Ultima considerazione di rilievo riguarda l’affermazione secondo cui la qualificazione del rapporto tra utente ed exchange in termini di deposito irregolare comporterebbe anche l’obbligo per quest’ultimo di mantenere sempre a disposizione dei depositanti la quantità integrale di criptovaluta depositata, con un coefficiente di cassa del 100%.

Trattasi, all’evidenza, di un principio fondamentale in forza del quale, nonostante non vi sia norma che lo sancisca in termini espressi, agli exchange sarebbe preclusa ogni forma di riserva frazionaria, da ritenersi quindi già oggi contra legem.

(Altalex, 7 febbraio 2019. Nota di Giorgio Maria Mazzoli)

 

NOTE

1. Si noti che il Tribunale di Firenze, con separata sentenza, ha dichiarato il fallimento in proprio anche della ditta individuale in questione.

2. Rilevante il fatto che la verifica delle transazioni in uscita sarebbe stata effettuata dall’exchange con modalità scarsamente affidabili, ovverosia mediante la sola consultazione del servizio esterno di block explorer Railblocks, che però, essendo nella sostanza un nodo della rete Nano, poteva ben essere non sincronizzato come il nodo gestito direttamente dalla stessa piattaforma e quindi non riportare transazioni già eseguite su input di quest’ultima.

3. La fattispecie prevedeva originariamente la sanzione dell’ammenda, cui è poi stata sostituita quella amministrativa per effetto della depenalizzazione operata dall’art. 33, lett. A), L. n. 689/1981.

4. Cfr. Caggiano, Il denaro tra proprietà e credito, le logiche dell’appartenenza, in Contratto e Impresa, 2/2009, p. 493.

5. La norma definisce la valuta virtuale come “la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.

6. La norma ha introdotto il punto (18) all’art. 3 della Direttiva (UE) 2015/849 definendo la valuta virtuale come “una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”. Vale rilevare come nella definizione adottata al livello europeo vi sia un chiaro indice atto a differenziare le valute virtuali dalle nozioni di valuta e di moneta: la norma sancisce infatti in via espressa che la valuta virtuale “non possiede lo status giuridico di valuta o moneta”.

ALLEGATI

https://www.altalex.com/~/media/Altalex/allegati/2019/tribunale-firenze-fallimento-sentenza-18-2019%20pdf.pdf

FONTE: https://www.altalex.com/documents/news/2019/02/07/criptovaluta-nano-fallisce-la-piattaforma-bitgrail

 

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

L’allarme dei penalisti: dalla riforma del processo ulteriore erosione delle garanzie difensive

giust

No alle ulteriori contrazioni delle garanzie difensive, no alla violazione delle regole del contraddittorio, no alla riduzione a simulacro delle impugnazioni; sì al rilancio dei riti speciali, sì al rafforzamento delle garanzie difensive per la realizzazione dei principi del giusto processo. E’ una bocciatura senza appello quella dell’Unione delle Camere Penali che, audita alla Camera sul disegno di legge governativo di riforma del processo penale, lancia l’allarme su una ulteriore contrazione delle garanzie dopo quelle già perpetrate nella legislatura.

“Il disegno di legge – osservano i penalisti – interviene random sulle fasi del processo, senza realmente incidere sulla certezza dei tempi delle indagini, ma prevedendo ulteriori erosioni delle garanzie difensive al dibattimento. Basti segnalare l’estensione dei meccanismi di recupero delle prove dichiarative nel caso di mutamento di un componente del collegio giudicante; in buona sostanza non sarebbe più possibile la rinnovazione della testimonianza davanti al Giudice della decisione e le ragioni che la rendevano assolutamente necessaria potranno essere rappresentate solo con l’atto di appello”.

Quanto si tempi di indagine, fatta la legge trovato l’inganno, ancora una volta ai danni del primato della legge subordinato alla discrezionalità giudiziaria. “Si interviene – è la contestazione mossa dall’Ucpi – prevedendo una responsabilità disciplinare nel caso di multiple violazioni dei tempi delle indagini ma non viene stabilita alcuna sanzione processuale per garantirne il rispetto ed anzi è demandato all’Autorità Giudiziaria il potere di individuazione dei criteri di selezione dei procedimenti a trattazione prioritaria. E’ evidente – chiosa l’Unione – che questa è responsabilità di politica criminale che non può che appartenere al Potere Legislativo”.

Altra nota dolente, la prescrizione. Il governo, dopo aver già falcidiato questo istituto di civiltà, torna sul luogo del delitto senza risolvere alcun problema come aveva promesso un anno fa. Lo schema di disegno di legge prevede infatti “una rivisitazione della disciplina della prescrizione, ferma restando la sua sostanziale abolizione dopo la sentenza di primo grado, nonostante vi fosse stato l’impegno delle forze politiche chiamate a comporre la nuova maggioranza dopo la crisi di governo del 2019 ad una radicale revisione. Si prevedono semplicemente – notano i penalisti – improbabili responsabilità disciplinari, che non hanno ovviamente alcun ruolo di garanzia rispetto ai diritti dei soggetti coinvolti nel processo penale”.

“Inaccettabili” vengono inoltre giudicati “gli interventi sul sistema delle impugnazioni che, nella loro previsione, aboliscono la collegialità per una grande parte dei processi in grado di appello, limitando la portata cognitiva del giudizio e addirittura prevedendo una sorta di ruolo – stralcio presso le Corti di appello”.

E pensare che avvocatura e magistratura – circostanza inedita o quasi – avevano presentato a un tavolo di consultazione convocato dal governo proposte unitarie per il rilancio dei riti speciali e per un serio progetto di depenalizzazione. “Sostanzialmente aggirate”, attaccano le Camere penali. “Se da un lato aumenta il limite edittale per poter accedere al cosiddetto patteggiamento, dall’altro si rimpolpa l’elenco delle ostatività e la disciplina del giudizio abbreviato continua ad impedire alla difesa l’individuazione di prove necessarie per la decisione”.

Di qui l’appello dei penalisti ai deputati giuristi presenti in Commissione, affinché, “al di là dello schieramento politico di appartenenza, non consentano ulteriori menomazioni del sistema accusatorio, come quelle previste dal disegno di legge di riforma, mettendo a disposizione le tante proposte maturate in sede di consultazione per l’obiettivo della realizzazione della ragionevole durata del processo”.

FONTE: https://loccidentale.it/lallarme-dei-penalisti-dalla-riforma-del-processo-ulteriore-erosione-delle-garanzie-difensive/

 

 

 

LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

Smart working, controllo a distanza dei lavoratori e efficienza produttiva

Sebbene ritenuti sinonimi, lavoro agile e smart working hanno tratti distintivi specifici

La crisi pandemica ha fatto sì che sempre più aziende ricorressero, vuoi per abbassare i costi vuoi per evitare i contagi tra i dipendenti, al lavoro agile o smart working.
Sebbene ritenuti sinonimi, queste modalità lavorative hanno tratti distintivi specifici: mentre nel lavoro agile, così come previsto dalla legge 81/2017, l’esecuzione del rapporto di lavoro subordinato avviene “senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro”, nello smart working – inteso come telelavoro – il dipendente svolge le sue mansioni da casa, andando a rispettare il proprio orario di lavoro come se fosse in ufficio.

Alcune aziende, tanto in Italia quanto all’estero, scegliendo di ricorrere a tali modalità di prestazione di lavoro, hanno adottato alcuni software per monitorare l’effettiva presenza dei loro impiegati davanti al computer e valutarne le prestazioni poiché un timore comune tra i datori di lavoro resta sempre quello che i lavoratori subordinati si sottraggano alle loro mansioni.

Sul mercato non mancano società che, così come per il monitoraggio a distanza degli esami degli studenti, offrono servizi ad hoc.

Hubstaff ad esempio è una società americana che fornisce un software nato per monitorare i soggetti freelance e riconvertito con la pandemia del Covid-19 al monitoraggio dei dipendenti attraverso screenshot e report; in alcune configurazioni può anche andare a vedere gli url consultati, i movimenti del mouse o i battiti sulla tastiera, tracciare le app e seguire attraverso un sistema gps i dipendenti.
Sneek invece offre una tecnologia che scatta foto dei lavoratori più virtuosi attraverso le webcam dei loro computer portatili e le carica per farle vedere ai colleghi per spronarli.

Buona parte dei dipendenti ritiene che questi software di monitoraggio siano troppo invasivi e minino la loro riservatezza: dal momento che gli impiegati sono pienamente consapevoli del fatto che il software è in uso, questi non hanno modo di trascorrere il tempo visitando siti web o social network neppure nei momenti di pausa poiché potrebbero essere registrati.

Ma non manc, B/Na chi ritiene, seppur in minoranza, che in tal modo si è più spronati: dover esser vestiti in un certo modo e non rimanere in pigiama, mantenere degli orari prestabiliti, sapere che qualcuno valuta il lavoro passo passo e non soltanto il risultato finale aiuta a ritrovare le motivazioni ed essere efficienti, sebbene sotto pressione.

Il punto centrale resta il rispetto del principio di proporzionalità nell’attività monitoraggio.
Sebbene gli imprenditori ed i dirigenti che hanno scelto questo tipo di software ritengano che sia buono per mantenere la produttività ai livelli pre-covid, vi sono studi che sottolineano il rischio di far venir meno il rapporto di fiducia con i dipendenti.
Alcuni psicologi sostengono che i datori di lavoro possono ottenere migliori risultati motivando i propri dipendenti piuttosto che concentrandosi sull’analisi dei dati, potenzialmente irrilevanti, come il numero tasti premuti sulla tastiera.
Se poi le società scegliessero comunque di persistere nel monitoraggio a distanza, non resta loro altro da fare che disciplinare dettagliatamente le modalità di controllo, rendendone edotti i dipendenti e fornendo delle linee guida ai dirigenti per prevenire l’uso improprio dei software o il sovra-monitoraggio.

FONTE: https://www.infosec.news/2020/10/09/news/risorse-umane/smart-working-controllo-a-distanza-dei-lavoratori-e-efficienza-produttiva/

Renzi confessa: “A gennaio milioni di disoccupati: sarà una carneficina” (VIDEO)

VIDEO QUI: https://videos.files.wordpress.com/BgNeNN1H/trim.71405f02-06de-4ecc-9479-48fee40d8d72_dvd.mp4
“Io contiano? No io sono diventato molto preoccupato, nel senso che son tutti bravi a chiacchierare in questa fase, ma da qui a sei mesi verrà giù una carneficina occupazionale che noi non la immaginiamo nemmeno. Se ci fossero le previsioni del tempo della politica, invece di dire che domenica piove o c’è freddo, dobbiamo dire che tra gennaio e febbraio, quando avverrà lo sblocco dei licenziamenti, ci sarà una bufera”. Ad ammetterlo l’ex premier Matteo Renzi, intervistato da Myrta Merlino, ospite stamattina a L’Aria che Tira su La7.
FONTE: https://stopcensura.org/renzi-confessa-a-gennaio-milioni-di-disoccupati-sara-una-carneficina-video/

PANORAMA INTERNAZIONALE

Quattro ONG (fra cui la Sea Watch) accusate di traffico di esseri umani – dai servizi greci.

(dai giornali greci, con traduzione automatica)

Documenti segreti rivelano giochi di “spionaggio” a Lesbo: le due donne e l’intelligence in Turchia

Lo scorso maggio, due agenti dell’intelligence greca si sono recati in Turchia, facendosi come migranti clandestini. Iniziava così l’operazione Alcmena dei servizi. I due agenti sono riusciti ad entrare in contatto con chi si occupava del traffico delle persone e hanno fatto il tragitto per l’isola di Lesbo a bordo di una nave.

Le indagini sono ora contenute in un voluminoso fascicolo, che è un atto d’accusa legale contro 33 membri di quattro ONG con sede in Germania, Austria e Norvegia; dove vengono v menzionati dati e movimenti di due persone specifiche, che avevano persino accesso diretto anche siti web “chiusi” del governo turco, ossia che richiedono codici speciali per entrarvi.

Si tratta di due donne, una cittadina austriaca e una norvegese, che hanno vissuto sulle coste della Turchia negli ultimi 2 anni e coordinato i flussi migratori illegali verso il nostro paese. La loro colpevolezza è , secondo la polizia ellenica, “pienamente chiarito”.

Le 2 imputate reclutavano sulla costa turca migranti che non erano riusciti a raggiungere le isole greche, a causa della forte presenza di navi della Guardia Costiera greca e di Frontex. Un loro scopo era quello di ottenere dai migranti fotografie delle navi greche sia della Marina militare che della Guardia Costiera ma anche di Frontex, che hanno inviato a Lesbo, ai membri delle altre tre ONG accusate, in modo che potessero sapere in qualsiasi momento se queste navi erano ormeggiate o di pattuglia in mare.

Tipico è il caso di due afgani reclutati da ONG e che scattavano continuamente foto nel porto di Mitilene. Le indagini della NSA e dell’Antiterrorismo sono iniziate progressivamente dal 23/05/2020 e sono culminate con l’incendio doloso del quartier generale di Moria, dove hanno cominciato a venire alla luce chiari segnali di coinvolgimento, fino all’istigazione dell’incendio doloso del campo delle 4 ONG.La svolta nelle indagini è avvenuta il 5 settembre quando i funzionari della sicurezza di Lesbo e gli ufficiali della guardia costiera coordinati con i funzionari della NSA e dell’antiterrorismo, hanno svolto una ricerca su un cabinato attraccato a Mitilene (il capoluogo di Lesbo),che era stato acquistato da una specifica ONG con sede in Germania.

Da quella nave, attraverso un apposito software, venivano intercettate le conversazioni della Guardia Costiera, tramite una specifica ONG che era attiva anche a Lesbo. Lì sono state trovate prove incriminanti sull’azione di 33 persone, tutti membri delle 4 Ong che sono addirittura accusate di spionaggio: 19 tedeschi, 2 svizzeri, un francese, un bulgaro e uno spagnolo. Tra queste prove trovate sulla nave, il fascicolo menziona in particolare i codici attraverso i quali fornivano informazioni ai migranti sulla costa turca dal telefono di bordo della nave, lo stretto rapporto con un sito web specifico che direttamente informava i migranti sugli spostamenti dei greci e FRONTEX sulle coste turche, dati sui flussi migratori, mappe dei porti di Chios, Lesbo e Samos, mappe con punti di partenza dei migranti dalla Turchia, istruzioni ai migranti in modo che attraverso il sito web dell’AP accesso diretto ai loro punti di guida ai porti naturali di Lesbo e allo stesso tempo comunicazione diretta con i membri delle ONG per la fornitura di informazioni.

Le autorità hanno trovato le istruzioni per eseguire il sito Web AP che fungeva anche da telefono Internet. In effetti, è stato scoperto che questo sito web è stato uno dei primi a far circolare le fake news turche su presunti immigrati uccisi sul fiume Evros dalla scariche della polizia greca. Le quattro ONG sono: la ben nota Sea Watch, Mare LiberumFFM (Forschungsgesellschaft Flucht & Migration) e Josoor. [Quest’ultima una discussa ONG americana creata da migranti siriani che ha base a Izmir, sotto la protezione della polizia di Erdogan]. Tutte e quattro le ONG hanno utilizzato la piattaforma “Alarm Phone”. 2 delle suddette ONG hanno sede a Berlino, nello stesso indirizzo.

L’incendio finale doloso

Il 15 settembre scorso, il grande campo-profughi allestito mell’isola di Lesbo, Moria, e riempito così sistematicamente e spietatamente dalle ONG, è stato incendiato. La natura dolosa dell’incendio è comprovata: la polizia ha arrestato quattro afgani praticamente sul fatto; altri non sono stati arrestati perché minorenni. Come effetto di questa deliberata distruzione, 12 mila profughi sono senza riparo: e la Germania si guarda bene di prenderseli, li vuole scaricare a Ungheria, Polonia… Questo incendio corona significativamente questa azione spietata, ostinata, ben finanziata con cabinati acquistati e stipendiati regolari sulle coste turche e greche , e telefoni satellitari, sostenuta contro il popolo greco.

Il campo profughi dopo la sua distruzione per incendio doloso.

Nulla di caritatevole e umanitario; questa è la spudorata manifestazione dell’imperialismo germanico spilorcio, del disprezzo di una cancelliera che che dopo aver spogliato il paese per assicurare i lucri delle sue banche, reso in miseria ognuno dei suoi abitanti con un decennio politiche di svalutazione interna imposta dall’ “Europa”, gli infligge le decine di migliaia di immigrati, e suo carico, del popolo che ha saccheggiato. Non escluderei che l’incendio sia stato programmato perché, essendo stata smantellata l’organizzazione, l’operazione era diventata impossibile.

“Darebbero fuoco al paese pur di governarne le ceneri” (cit)

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/quattro-ong-fra-cui-la-sea-watch-accusate-di-traffico-di-esseri-umani-dai-servizi-greci/

 

 

 

POLITICA

Un virus impegnato politicamente.

Ricevo e volentieri ripubblico. Niente di nuovo, ma, come già successo 40 anni fa per l’HIV, abbiamo la novità di un virus “intelligente”: cioè che si comporta in maniera diversa a seconda di dove si trova! Pensate: con l’AIDS/HIV si scopriva che i virus sanno dove si trovano, e si comportano diversamente, dando sintomi, malattie ed esiti diversi a seconda della nazione in cui s trovano, anche col Covid abbiamo lo stesso “comportamento”… (ovviamente in contraddizione con la logica e la biologia).

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Rimarchevole che tutti i paesi che ora stanno continuando la pagliacciata del covid (finti test, finti positivi, epidemia di test, ricoveri di persone sane e inasprimento ingiustificato delle restrizioni, sono gli stessi che devono accedere al Recovery Fund (con l’unica eccezione dell’UK che ha altre dinamiche).
Infatti gli unici Stati che continuano l’Operazione Corona sono Spagna, Italia e Francia, la Germania molto meno. I Paesi del blocco di Visegrad non stanno facendo campagne di test sistematiche e hanno restrizioni minime e solo sulla carta (come hanno avuto sin dall’inizio). Polonia Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria. Non hanno nessun caso di covid al momento. Di questi tre Paesi uno solo ha l’Euro, e nessuno ha dovuto chiedere il Recovery Fund.
La Croazia ha la sua moneta e si è tirata fuori. Idem l’Olanda, che è nell’Euro ma non ha fatto nessuna politica covidiana ed è stata anche contraria al Recovery Fund addirittura. La Svezia il covid ormai non sa neanche cosa sia, ma per ovviare a un rallentamento globale delle esportazioni ha immesso liquidità: la Svezia ha la propria moneta sovrana, e così anche la Danimarca, Paese non covidiota che la praticamente adottato la linea svedese e che ha la propria moneta anch’essa. Potremmo dire altrettanto della Svizzera, solo che non fa parte dell’Unione Europa.

Da questo si evince che al momento nell’Europa continentale è la UE che sta facendo da cinghia di trasmissione fra i Padroni del Vapore e lo strumento di ricatto in questo è l’emissione di moneta.
Follow the money, not viruses…

MES nell’aria, bollette aumentate del 15%, vaccini obbligatori evocati ogni dieci secondi, abolizione del contante, studenti come nei lager, prestazioni sanitarie ormai quasi solo a pagamento, continua campagna terroristica in atto, nuove restrizioni delle nostre più elementari libertà in arrivo.
Mica stanno approfittando del covid…nono!!!
Per carita’, chi è quel becero complottista che pensa cio?!

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Non muore nessuno se non si va dal #parrucchiere per due mesi. Al massimo muore quel salone (e magari il titolare è tua sorella, tua mamma, tuo zio).
Non muore nessuno saltando la ceretta dall’#estetista. Al massimo chiude quello studio… che magari è di tua figlia, tua moglie.
Non muore nessuno saltando due mesi di #Danza . Al massimo chiude quella Scuola … che magari è di tua figlia, tua moglie di tua sorella ed è aperta da 30 anni.
Puoi anche non andare in #palestra per 60 giorni. Chissenefrega. Al massimo non riaprirà più. E magari è di tuo padre.
Al #ristorante? Ma cucinate a casa vostra… che tanto quando saranno metà in ginocchio tu potrai ottimizzare l’arte dell’uso del lievito che hai messo a fuoco in questi mesi. Sperando che il ristorante non sia di tuo figlio.
#Sartoria? Ma davvero vai ancora dalla sarta? Ma compra su Amazon come tutti! Anche se la sartoria l’ha fondata tua nonna.
E che dire dei #bar? Meglio se chiudono, no? Così tuo marito torna a casa prima la sera. Sperando che tuo marito non sia il proprietario di quel locale.
#Contadini? Ma dai!!! Che le mele dalla Polonia riusciamo ancora a prenderle e del sano vino all’etanolo lo importiamo senza problemi.

Esiste un punto in cui le misure per contrastare il #virus uccidono più del virus stesso.

È FACILE DIRE DI STARE A CASA QUANDO HAI LO STIPENDIO GARANTITO. MA NON #ANDRA’TUTTOBENE# A CASA DI TUTTI

FONTE: https://www.ingannati.it/2020/10/04/un-virus-impegnato-politicamente/

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

Mentre si ammassano truppe per il Mes, un test IBM…

di Leo Essen

Giovedì 8 ottobre IBM ha annunciato uno split che porterà alla nascita di una NewCo, la quale fornirà servizi legati al cloud ibrido aperto e all’Intelligenza artificiale, mentre il settore tradizionale del Global Technology Services rimarrà in capo alla vecchia società.

Si tratta di una mossa che intende riposizionare IBM su un segmento di prodotti a più alto valore aggiunto.

Negli anni Novanta, ha detto Arvind Krishna, amministratore delegato IBM (reuters.com), abbiamo ceduto la rete, nel 2000 abbiamo ceduto i PC, e circa 5 anni fa abbiamo ceduto i semiconduttori.

Adesso tocca al GTS, ovvero a quei servizi centralizzati che riguardano la vendita (o l’affitto) e la gestione di mainframe e software o servizi cloud tradizionali a grandi aziende (banche, assicurazioni, pubblica amministrazione, treni, energia elettrica, gas, agenzie fiscali, medicina, eccetera).

La nuova frontiera è l’applicazione dell’intelligenza artificiale al Cloud Ibrido. In questa prospettiva è da intendere l’acquisizione nel 2019 per 34 miliardi di Red Hat.

Già nel 2017, sul suo blog, Arvind Krishna diceva che nonostante l’ampio progresso tecnologico, i moderni sistemi di transazione rimangono pesantemente gravati da pratiche antiquate. Tutto ciò crea un “attrito” che rallenta il commercio globale e ostacola la fornitura di servizi. Le banche, ad esempio, emettono ancora lettere di credito agli importatori, pratica rimasta pressoché invariata per 700 anni dalla sua origine nell’Italia medievale.

Questa pratica richiede un impegno costoso e dispendioso in termini di tempo e intermediazione bancaria.

Anche le normative transfrontaliere, i ritardi doganali, le frodi e la corruzione sono attriti che aggiungono uno strato significativo di costi, tempo e complessità al commercio globale e ai flussi aziendali.

Un test IBM ha stabilito che le pratiche burocratiche, da sole, rappresentavano il 15% del costo di una spedizione di prodotti dall’Africa all’Europa [balza all’occhio la convergenza tra queste tecniche di ingegneria aziendale e l’attacco pervasivo alla burocrazia – leggi lavoratori pubblici].

L’introduzione in questa catena di transazioni del blockchain e dell’intelligenza artificiale può portare all’abbattimento di quel 15% di costi, realizzando un risparmio (sottostimato) di 300 miliardi di dollari.

La stessa tecnologia, introdotta nella gestione dei pagamenti (di cui il pagamento elettronico e la banca virtuale rappresentano, per così dire, il livello del prodotto semilavorato), porterà a una ridefinizione delle tecniche contabili – dunque della fiscalità, della tassazione e della riscossione – che determinerà una trasformazione repentina, straordinaria o forse anche una dissoluzione delle tecniche classiche dell’amministrazione statale.

Il primo tassello di questa nuova scienza dell’amministrazione delle strutture complesse è la costruzione e gestione dei cosiddetti Data Lake, bacini di informazioni non raffinate (materia prima) in cui nessun dato viene rimosso o filtrato prima di eseguirne lo storage.

Per capirci, oggi l’agenzia delle entrate raccoglie dati collezionati alla fonte con schemi precisi di ingresso: imponibile, irpef, addizionale regionale, addizionale comunale, Imu, Tari, detrazioni, deduzioni, credito di imposta, iva, irap, eccetera. Idem le altre agenzie statali.

Nel caso dei Data Lake non sussistono vincoli rigidi di ingresso, o tag fissi o unici. I repository archiviano pool di dati al loro stato naturale, come se fossero forme fluide non ancora filtrate o suddivise in pacchetti. Il flusso dei dati proviene da più fonti e si riversa nel Lake, quindi viene archiviato nel suo formato originale.

I dati all’interno di un Data Lake vengono trasformati solo nel momento in cui occorre analizzarli e, successivamente, viene applicato uno schema per procedere all’analisi. Questo schema è definito “schema on read”, perché i dati vengono elaborati solamente nel momento in cui sono pronti per essere utilizzati (redhat.com)

Il secondo tassello è rappresentato dall’edge computing, in grado di intermediare il Date Lake con l’IoT (Internet of Things), dove il tema dei ritardi e i problemi nella potenza di elaborazione sono di importanza capitale. Si pensi alla gestione di una smart car, in cui l’automobile (intelligenza artificiale + Data Lake + elaborazione e trasmissione dati) deve decidere in millesimi di secondi se ciò che una telecamera vede sulla strada è un effetto ottico, un abbaglio, una sagoma, un cartone per terra, una busta di plastica gonfia di aria, una persona, un altro veicolo, un camion che sbarra la strada, e prendere una decisione – frenare, sbattere, investire, sterzare e finire in un dirupo, uccidere il passante o uccidente il “conducente”, eccetera.

In tutto ciò, sia il problema della latenza (rispetto alla quale il 5g è un avanzamento non sufficiente) e il problema della decisione – decisione demandata all’intelligenza artificiale – richiedono risposte veloci, adeguate, sicure, e che mettono in campo anche scelte etiche.

L’edge computing consente di spostare sul cloud le parti complesse di calcolo, riservando a una rete distribuita di altri computer in sede il compito di raccolta dati e formulazione delle domande e produzione di risposta, realizzando quella nuova infrastruttura chiamata proprio cloud ibrido.

Dunque, la ristrutturazione (per usare un termine vecchio e chiarificatore, quanto funesto), potrà riguardare il settore bancario, la ragioneria, le agenzie demaniali, fiscali, di riscossione, l’intero settore delle assicurazioni (sopratutto le polizze salute), la filiera sanitaria (medico di base, laboratori di analisi, clinica specialistica), la logistica, i trasporti internazionali, dogane, interporti, aeroporti, eccetera. Si tratterà di una meccanizzazione, rispetto alla quale, la democrazia diretta, espressa con il click su piattaforma informatica, apparirà come un viaggio in aereo rispetto al teletrasporto.

FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-mentre_si_ammassano_truppe_per_il_mes_un_test_ibm/34357_37679/

 

 

 

La falsa scienza al servizio di una falsa narrativa

Francesco Finocchiaro

Siccome, come già detto più volte, ormai tutto il castello si regge sull’imbroglio dei tamponi, è necessario approfondire cosa sono per smascherare questa immensa presa in girop, e più che volentieri pubblico quanto ricevuto.

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 CECITA’ COGNITIVA

E niente, oggi giorno se provi a contestare la versione ufficiale dei fatti, se ti poni domande, se sollevi dubbi, se mostri l’illogicità di certe disposizioni, la mancanza di buonsenso di certe regole, l’assenza di evidenze scientifiche per giustificare norme fuori da ogni logica, questo non crea apertura mentale, ma ostilità. Non si capisce se sia più la paura, a indurre a credere che lo Stato emani regolamentazioni ritenute serie e valide, o la mancanza di adeguata informazione, oppure semplicemente, la cecità. In effetti, e lo so per esperienza, quando si è indotti a credere ad una versione dei fatti, e quella versione viene continuamente fatta passare davanti agli occhi e attraverso le orecchie, quando viene ripetuta fino alla nausea, …

Mia osservazione: fa MENO paura credere alla narrazione del virus, cattivo sì ma “contenibile” che non ad un apparato statale in malafede che ci iganna ed imbroglia tutti i santi giorni che il buon Dio manda sulla terra. Per questo si preferisce credere al virus.

Sono mesi che scriviamo sui tamponi e sulla tecnologia PCR, crediamo che i tempi siano maturi per scrivere qualcosa in più che forse potrà farvi orientare meglio tra le teorie dei vari virologi o presunti tali. L’argomento è ostico ma crediamo che ognuno possa, e debba, farsi un’idea propria. Vorremmo andare al nocciolo della questione a costo di addentrarci in dettagli tecnici, ma viceversa sarebbe impossibile farci capire e farvi capire perchè i numeri dei positivi al Covid conteggiati giornalmente soffrano di un grave “peccato originale”.

Al fine di contenere e monitorare l’andamento di una epidemia, il parametro che più ci interessa è ovviamente la “contagiosità”, cioè quella capacità di un microrganismo patogeno di trasferirsi da un soggetto ad un altro.

Al momento l’unico strumento che stiamo usando per valutare questo aspetto è il tampone e seguente analisi Real Time PCR, applicando di fatto l’equazione:

POSITIVITA’ AL TAMPONE = SOGGETTO CONTAGIOSO

considerando dunque la positività al tampone requisito unico e sufficiente a stabilire se un soggetto è contagioso.
E’ corretto scientificamente questo comportamento?
La tecnologia PCR, che abbiamo già discusso in precedenza, è una tecnica strumentale usata per vari scopi, ma di per sè NON è un test diagnostico. Può essere un elemento molto utile in una diagnosi, a condizione che si abbia un “riferimento” con cui comparare i risultati.

In questo studio pubblicato su Lancet
https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(20)30868-0/fulltext

gli autori ci dicono: ”che tutti i ricercatori vanno a stimare per quanto tempo un soggetto può essere ritenuto contagioso andando a ricercare l’ RNA virale nei campioni”. Finchè ritrovano RNA nei campioni considerano il soggetto contagioso, ma in realtà definire un soggetto “contagioso” è un processo molto laborioso che NON può basarsi solo sulla rilevazione di Rna virale.

Infatti per molti virus respiratori (Sars, Mers, influenza) è ben noto il fatto che l’ rna virale può essere rilevato molto oltre la fine dell’infezione.
Nel caso del morbillo, ad esempio, il virus può essere rilevato anche 6-8 settimane dopo la scomparsa del virus vitale.
Il sistema immunitario degrada i virus rompendo il loro involucro o aggregando più particelle virali, ma l’acido nucleico viene eliminato lentamente nel tempo.”

Altra osservazione mia: pur essendo hameriano e non sostenendo la teoria degli elementi patogeni come causa delle malattie, è necessario combattere l’assurdità della narrazione corrente dimostrando la sua infondatezza nelle sue stesse assunzioni di base

In un altro articolo Tom Jefferson scrive:
La PCR è un test molto sensibile, e ciò significa che rileva anche la più piccola frazione di un virus che sta cercando, amplificando il campione milioni di volte (fino a 1000 miliardi di volte dico io, con 40 cicli). In ogni caso, un frammento non è un virus intero, capace di replicarsi e infettare altri esseri umani. E’ solo una piccola parte della struttura virale ciò che viene rilevato dai primer della PCR, non l’intero virus. Solo virus interi possono infettarci.
In aggiunta il numero di cicli di amplificazione necessario per raggiungere un risultato positivo è raramente riportato. Noi sappiamo che questa è un’informazione vitale per interpretare il risultato. Un alto numero di cicli può rilevare piccoli frammenti e dare risultato positivo, ma un basso numero di cicli è senz’altro un elemento più giusto per identificare i soggetti contagiosi che richiedono la quarantena.”

Ogni ciclo di PCR raddoppia la quantità del campione.

Dunque il numero di cicli di PCR necessario a far apparire fluorescenza (e dunque positività) è un’informazione vitale, senza la quale non è possibile fare valutazioni cliniche ed epidemiologiche, eppure tutti i risultati che vengono diffusi omettono di darci questa informazione.

Allo scoppio della pandemia non era disponibile ovviamente una tecnica certificata per rilevare il Sars-Cov-2, dunque si è proceduto a diramare le linee guida per autorizzare in “emergency use” (EUA) l’uso dei saggi relativi al covid, trovate per esempio le specifiche USA a questo link
https://www.fda.gov/media/139516/download

In questo testo troviamo alcuni dettagli fondamentali.

1- il testo specifica che il test funziona con 3 primer, 2 relativi al nucleocapside ( N1 specifico per il Sars-Cov-2 e N3 generico invece per i coronavirus ) e l’ultimo specifico per un gene che codifica per una proteina spike specifica del Sars-Cov-2.

2- Il test viene eseguito scegliendo una Ct ( Ciclo Soglia, è il ciclo della reazione di PCR scelto come riferimento ) estremamente alta, nello specifico 39 cicli, in pratica tutto lo spettro della PCR. Vale a dire che il test darà risultato positivo per ogni segnale di fluorescenza che appare nei primi 39 cicli.

3- Sebbene un eventuale virus di Sars-Cov-2 contenga gli elementi per dare positività a tutti e 3 i primer presenti nel test, poichè ovviamente possiede tutte e 3 le porzioni geniche che il test cerca, dalla tabella su come interpretare i dati apprendiamo che anche se solo 1 primer è positivo, il test da come esito la positività, e già questo è molto strano perché se nel campione fosse presente un virus vitale tutti e 3 i primer dovrebbero dare positività.

Dunque così funziona un test ( negli USA ), se rileva in un tampone, entro 39 cicli, uno di quei 2 pezzi di genoma, da positività. Questo vuol dire contagiosità?

Ma 39 cicli è praticamente il massimo numero di cicli a cui si può spingere la PCR, parliamo di numeri molto grandi, talmente grandi che è impossibile considerare uguali ( e ugualmente positivi=contagiosi ) una positività emersa al 25° ciclo ed una al 38°, è evidente che il secondo campione contiene una carica virale praticamente nulla.

Ma allora come facciamo a interpretare questi risultati?

In uno studio di agosto
https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.08.04.20167932v3
Tom Jefferson ci conferma che non c’è uno standard, non esiste valore di Ct di riferimento che ci permetta di dire che al di sotto di tale valore il soggetto è contagioso, al di sopra invece no.
Solo un breve cenno, come vedete dal grafico sottostante il Ct é il punto in cui la curva di fluorescenza incontra la linea di Threshold. Questa linea è posizionata in automatico dal software ma può essere spostata dall’operatore, e conferisce il significato al test.

Non esistendo un parametro viene analizzato tutto lo spettro della PCR, rilevando dunque positività anche totalmente non contagiose.
Lo studio rileva la necessità di eseguire uno studio multi-laboratorio per cercare di correlare la Cycle Threshold al grado di contagiosità, ma al momento manca e purtroppo i vari laboratori nei vari studi, quando si parla di positivi, non rivelano il numero di cicli in cui è stata rilevata la positività, rendendo impossibile per i ricercatori esterni fare considerazioni in merito.

Al momento, dunque,Tom Jefferson afferma che “Definire un livello soglia predittivo di contagiosità dovrebbe essere fattibile ed è necessario per poter fare diagnosi di virus respiratori usando i test molecolari.

Ricordiamo che il rilevamento del virus vitale si fa con coltura in vitro del campione che ha dato positività. Solo se c’è crescita virale si può supporre che il campione riveli “contagiosità”.
In un’altra review di giugno
https://covid-19.sciensano.be/sites/default/files/Covid19/30300630_Advice_RAG_interpretation%20PCR.pdf

Ci si pone la questione : “è possibile distinguere un positivo che è contagioso da uno che non lo è?”

“Esaminando 79 studi abbiamo rilevato che sebbene gli autori riscontrassero Rna virale per un tempo molto prolungato ( anche 83 giorni), i virus vitali sono stati riscontrati al massimo dopo 8 giorni dalla fine dei sintomi. Bullard e Al hanno infatti rilevato nessuna crescita virale in campioni con una Cycle Threshold superiore a 24 oppure da campioni prelevati 8 giorni dopo la scomparsa dei sintomi, anche tra i casi con un esordio con alta carica virale. “

Un’altra conferma della nostra analisi ci viene dalle dichiarazioni di Roberto Rigoli, primario del reparto di microbiologia di Rovigo, che trovate a questo link
https://www.rovigooggi.it/n/102146/2020-08-23/il-coronavirus-ormai-si-e-spento-per-trovarlo-si-amplifica-il-segnale-di-positivita?fbclid=IwAR0QLurH2GxUKwP47AsP1DsLWkA74YOMhn-SWHz0_BcxmGIkgEm33LL5ESs

«Dei 60mila tamponi effettuati – spiega Rigoli – 210 sono risultati positivi; ma 199 di essi lo erano in maniera molto modesta, tanto che abbiamo dovuto amplificare molto il “segnale” per trovare i virus….

Hanno dovuto amplificare molto il segnale? A quanti cicli hanno rilevato la positività?

Ma il nostro obiettivo dovrebbe essere stabilire la potenziale contagiosità di un soggetto, non quello di rinvenire a qualunque costo tracce di rna virale, dunque perché amplificare così tanto il segnale se l’evidenza scientifica ci dice che oltre un certo numero di cicli il rischio di infettività è praticamente nullo?

Perché non si è provveduto subito a fare uno studio che potesse fornire un indice di riferimento che potesse essere applicato in tutti i laboratori in modo uniforme e invece si è lasciati liberi i ricercatori di “amplificare” a piacimento i parametri col risultato che con tutta probabilità una grossa fetta dei “positivi asintomatici” sono soggetti assolutamente sani e non infettivi?

Tom Jefferson afferra il nocciolo della questione quando afferma che…
“un approccio binario SI/NO all’interpretazione della PCR non validata da coltura virale darà origine a falsi positivi con la reclusione di un grande numero di persone che non sono più infette”

Sarebbe come se un test per il colesterolo rispondesse solo Alto o Basso!

In assenza di un valore sarebbe impossibile per il medico intraprendere qualsivoglia azione terapeutica.
Se un uso così “alla leggera” dei tamponi si poteva giustificare nella fase iniziale dell’epidemia, quando fra l’altro la carica virale media era decisamente più alta e i test erano effettuati solo su soggetti sintomatici, oggi appare scientificamente insensato un uso così indiscriminato su soggetti totalmente asintomatici, peraltro senza avere idea di che valore di carica virale ricercare per poter attestare una effettiva contagiosità del soggetto.

Kary Mullis affermava che con la PCR, amplificando, rendi positiva anche l’acqua.

Cos’è, o cosa dovrebbe essere un test? Dovrebbe essere qualcosa che aiuti un medico a formulare una diagnosi o più in generale a capire lo stato di salute dei suoi pazienti, non di certo qualcosa che sostituisca il medico e che gli inponga una diagnosi anche al di là di evidenti contraddizioni cliniche.

È possibile che un medico possa avallare una diagnosi fatta da un dispositivo senza neanche vedere il paziente? Siamo alla fine della medicina clinica?

FONTE: https://www.ingannati.it/2020/10/08/la-falsa-scienza-al-servizio-di-una-falsa-narrativa-di-francesco-finocchiaro/

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