RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
22 GENNAIO 2021
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
È difficile cavarsela con gli errori dell’epoca:
se ci si oppone ad essi, si è soli;
se ci si lascia irretire, non se ne cava né onore né gloria.
J.W. GOETHE, Aforismi sulla natura, SE, 1994, pag. 55
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SOMMARIO
In Calabria niente è come sembra.
SOVVERSIONE IDEOLOGICA SECONDO LE TECNICHE DEL KGB
Il web disattiva l’hashtag #1984. Per avvicinarne la realizzazione?
Ora vogliono colpire la casa Patrimoniale? Cosa ci aspetta
CADAVERI ECCELLENTI, E ROSI OLTRE L’ILLUMINISMO CATASTROFICO
GIORNATA DI RACCOLTA DEI FARMACI 9-13 FEBBRAIO 2021
Il nuovo piano pandemico e lo spettro dell’eugenetica
Morte celebrale a 10 anni per un gioco su social. Cos’è la blackout challenge
Riduzione dell’aspettativa di vita dei bambini per scuole chiuse
L’arte della guerra nel XXI secolo. Guerra asimmetrica e imprese militari private
Galileo Galilei: negazionista ante litteram
Lista degli agenti russi e cinesi contro Pfizer
Navalny, pover’uomo
Eutanasia globalista
Tutti i problemi della Bce (di cui nessuno parla) spiegati in 5 grafici
La Cgia di Mestre svela il bluff dei “ristori
L’Africa è pronta ad esplodere. L’Europa a sparire
Collare elettronico per il distanziamento sociale dei lavoratori
“Melania Trump escort”, la voce costata 3 milioni di dollari
IL GRAN RESET IN ITALIA SI ATTUERÀ CON IL CONTE TER
L’avvocato dei morti viventi: l’Italia in mani straniere
L’era dell’ultima religione: dall’eugenetica alla pandemia
“Jedi Blue”: l’accordo segreto firmato da Google e Facebook
Storia dell’Armenia
Quel fascista di Gramsci (o forse no)
PCI: un secolo di omissioni e rimozioni
EDITORIALE
In Calabria niente è come sembra.
Manlio Lo Presti – 22 gennaio 2021
Il parlamentare Cesa viene inquisito due giorni dopo il suo voto contro Conte. Sarà un caso??
È un fatto storico che in tutto il mondo i poteri vigenti cerchino di azzoppare tutti coloro che si oppongono. Il caso Cesa non fa eccezione. Piuttosto, tale vicenda conferma che il reclutamento dei quadri dirigenti politici sono COOPTATI solo se sono soggetti a ricatto diretto esecutivo frontale individuale (droga, pedofilia, sesso, cocaina, soldi).
Sono accuratamente evitate le persone preparate, affidabili e oneste perché non sono malleabili, sono meno ubbidienti e sovente si ribellano.
IL RICATTATO INVECE NON TRADIRA’ MAI finché percepisce che l’eventuale suo voltafaccia produce più danni che vantaggi.
Un altro caso di azzoppamento per mano giudiziaria è stato in Francia l’ex presidente della commissione europea Strauss-Kahn quando si mise in corsa per la presidenza ma poi vinse Sarkozy. Nella ex-italia, l’azzoppamento fu fatto ad Andreotti quando in molti si accorsero che egli voleva andare al Quirinale e, PER MANO GIUDIZIARIA, FU BLOCCATO E ACCUSATO DI AVER BACIATO RIINA…. tempismo eccezionale!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Resta da farsi numerose domande sull’inquietante ruolo dell’attuale responsabile della procura di Catanzaro. A chi risponde costui? QUESTA È LA DOMANDA CHE VA FATTA PER CAPIRE IL CASO CALABRIA in particolare e sul ruolo del potere giudiziario in generale nel nostro Paese.
TUTTO CIÒ PREMESSO
Ancora qualcuno pensa che le 8 (otto) mafie che dilagano e prosperano nella ex-italia esistano per commerciare esclusivamente droga, armi, organi umani e neo-schiavi???
Queste strutture hanno lo scopo principale, ancorché nascosto, di RICICLARE E SPOSTARE CENTINAIA DI MILIARDI DI EURO AL GIORNO utilizzati per finanziare governanti di staterelli satelliti e servilmente allineati e per pagare gli eserciti privati che uccidono milioni di civili. Una azione ignobile che gli eserciti ufficiali non vogliono fare (pensiamo alla creazione di Mostri come Milosevic e Mladic che gli ALTI COMANDI ATLANTICI buttarono a mare e processarono quando la loro protezione era diventata troppo imbarazzante).
P.Q.M.
Le otto mafie, che sono il braccio armato della gang politica per scopi di riciclaggi, percepiscono mediamente il 20% circa su ogni operazione di spostamento, lavaggio e ricollocamento fondi (quasi totalmente per scopi militari).
Come disse David Goldman:
gli umani decidono prima per motivi umanitari, giusti, condivisibili, sociali, e … poi per il motivo “vero”
TEMI TRATTATI
#Calabria #Cesa #Conte #COOPTAZIONE #droga #pedofilia #sesso #cocaina #soldi #ricattati #traditori #tradimento #Strauss Kahn #Sarkozy #Andreotti #Riina #mafia #mafie #Catanzaro #riciclare #riciclaggio #2000miliardialgiorno #Milosevic #Mladic #alticomandiatlantici #politica #politici #poteregiudiziario #magistratura #poteriatlantici
IN EVIDENZA
SOVVERSIONE IDEOLOGICA SECONDO LE TECNICHE DEL KGB
- Impareggiabile lezione storica sulla Sovversione Ideologica attuata dal marxismo-leninismo mondiale e autentiche profezie sui diktat che stanno esautorando i cittadini inermi, ignari e impreparati del mondo odierno
- Regalo impagabile da parte di Yuri Bezmenov, ex-informatore-spia del KGB, disertore e nemico giurato del social-comunismo rampante che sta devastando il pianeta
- Social-Comunismo male oscuro e contagiante che non dà scampo
ILLUMINANTE INTERVISTA A YURI ALEXANDROVIC BEZMENOV
Questa è una importante e profetica intervista (video completo inserito a fine trascrizione) rilasciata nel 1984 dal giornalista della RIA Novosti moscovita nonché ex-informatore KGB Yuri Alexandrovic Bezmenov (1939-1993). Brillante studioso di economia e dotato di eccellenti doti comunicative oltre che di spirito umoristico, dopo essersi reso conto totalmente delle falsità e degli orrori del regime sovietico, riparò da disertore nel 1970 in Canada, dove adottò per sicurezza un nuovo nome: Tomas David Shuman.
È a Montreal che ha cominciato a lavorare per la CBC dove ha conosciuto Tess, sua futura moglie. Negli anni ’80 si è poi trasferito a Los Angeles, periodo durante il quale ha scritto alcuni libri e tenuto varie lezioni sulle tattiche di sovversione sovietica. Nel ’93 è morto colpito da una grave malattia cardiaca.
In effetti, dai video a disposizione si evince facilmente il punto forte di Bezmenov, impareggiabile e geniale docente di strategie di dominio ideologico, e nel contempo persona fisicamente tesa, dal respiro corto, troppo concentrata nel voler offrire al mondo libero uno spaccato rivelatore sulle brutalità psicologiche del sistema sovietico.
IN QUESTA TESINA:
I 4 STADI DELLA PRESA DI POTERE MARXISTA
GLI AMERICANI DEVONO TIRAR VIA LE BANANE DALLE ORECCHIE E DEVONO APRIRE GLI OCCHI
Tu usi spesso il termine “Sovversione Ideologica” che è tipico del linguaggio politico russo-sovietico, e temo che gli americani non lo capiscano appieno, esordisce l’intervistatore G. Edward Griffin. Non è così, risponde Bezmenov. Trattasi di un processo legittimo e aperto. Tutto quello che devono fare gli americani è tirar fuori le banane dalle loro orecchie e aprire bene i loro occhi, e potranno scoprire che non c’è di mezzo alcun mistero né alcun significato segreto. Mi rendo conto che i termini spionaggio e intelligence appaiono più romantici ed eccitanti e so pure che fanno vendere più deodoranti tramite gli spot pubblicitari, ed è per questo che i produttori hollywoodiani impazziscono per i romanzi stile James Bond. Tuttavia, nella realtà, l’enfasi del KGB e dei vari servizi segreti non ha nulla a che vedere con l’area di intelligence.
LE MISURE ATTIVE DEL KGB NON HANNO NIENTE DI SPETTACOLARE E DI CINEMATOGRAFICO
Secondo la mia opinione e secondo i disertori del mio calibro, solo il 15% del tempo, del danaro e delle risorse umane viene speso in tale tipo di spionaggio cinematografico, mentre l’85% è un processo lento, meno spettacolare e appariscente, che noi chiamiamo per l’appunto Sovversione Ideologica o Misure Attive o, nel linguaggio del KGB, Guerra Psicologica, tutte cose che significano basilarmente cambiare-la-percezione-della-realtà-in-ciascun-americano, in modo tale che, nonostante l’abbondanza di informazioni a propria disposizione, nessuno sia in grado di arrivare a sensate conclusioni e alla difesa di se stesso, della propria famiglia, della propria comunità e della propria nazione.
Si tratta di un enorme brainwashing, di un lavaggio del cervello, di un processo lento ed inesorabile diviso in 4 fasi essenziali, la prima delle quali si chiama demoralizzazione.
1 – DEMORALIZZAZIONE
Servono dai 15 ai 20 anni per demoralizzare una intera nazione. Come mai tanti anni? È quello il tempo richiesto per indottrinare una generazione di studenti nel paese nemico all’ideologia opposta che in questo caso è il marxismo-leninismo, una ideologia che è stata pompata nelle tenere menti di almeno 3 generazioni di studenti americani senza essere nemmeno controbilanciata dai valori di base del patriottismo americano.
GENTE CONTAMINATA E SOVIETIZZATA AI POSTI DI COMANDO NEGLI STATI UNITI D’AMERICA
Il risultato di questo processo tuttora in atto è che si può vedere come la maggioranza della gente laureatasi negli anni ’60, o comunque degli intellettuali di quegli anni, sta oggi occupando tutte le posizioni di potere nel governo, nella amministrazione civile, nei mass media, nel sistema educativo. Sei bloccato con loro, non te ne puoi liberare, sono contaminati irrimediabilmente, sono ormai programmati a pensare e a reagire a determinati stimoli e in determinati modelli. Non riesci a fargli cambiare opinione persino mettendogli sotto gli occhi contro-informazioni autentiche e provate dove si dice bianco al bianco e nero al nero. Non si riesce a cambiare la percezione che queste persone hanno, e ancor meno il loro comportamento. In altre parole ciò dimostra che il processo di demoralizzazione nei loro confronti si è completato in modo irreversibile.
Per liberarsi di questa situazione, rieducando una consistente massa ormai rovinata e compromessa, hai bisogno di altri 15 o 20 anni nei quali potrebbero educare una nuova generazione di gente dotata di spirito patriottico e di comune buon senso, capace cioè di agire in favore e nell’interesse reale della società statunitense.
DISSIDENTI E DISADATTATI CAUSANO DANNI IN TUTTI I REGIMI
Questa gente, contaminata dal marxismo-leninismo galoppante, è favorevole a una apertura indiscriminata al concetto sovietico di vita. Questa è la stessa gente che sarà poi in futuro eliminata. Una volta scoperta nella pratica cosa significa davvero una “società bella, di uguaglianza e giustizia sociale” di stampo marxista, queste persone saranno frustrate e sconvolte, e arriveranno a ribellarsi. E il regime marxista-leninista non tollera questo tipo di gente, che è destinata a ingrossare le file dei dissidenti. Diversamente che negli attuali Stati Uniti d’America, in una futura USA marxista-leninista non ci sarà posto per gente di questo tipo.
TANTE MANFRINE SULL’UGUAGLIANZA DA PARTE DI GENTE CHE È SIMBOLO DELLA DISEGUAGLIANZA
In America puoi diventare famoso come Daniel Ellsberg o ultra-ricco come Jane Fonda facendo il dissidente, criticando il Pentagono. Nel futuro queste persone saranno semplicemente schiacciate come degli scarafaggi. Nessuno sarà disposto a pagare un centesimo per le loro belle e nobili idee di uguaglianza.
Il processo di demoralizzazione negli USA di questi ultimi 25 anni si è basilarmente già completato. Attualmente è andato anche oltre le speranze e le aspettative dei compagni comunisti che non si sognavano un successo del genere, un successo tremendo di tale portata, e per giunta attuato dagli americani agli americani, ossia contro gli americani, grazie alla mancanza di standard morali e di valori patriottici.
LA DEMORALIZZAZIONE RENDE GLI UOMINI ZOMBI, AUTOMI PRIVI DI ANIMA E DI PERSONALITÀ
Avere accesso a libera informazione non è di alcuna importanza per una persona demoralizzata. I fatti reali non le dicono niente. Persino se glieli espongo con la prova di autentici documenti, con fotografie chiare, o persino se la prendo con la forza e la porto in Unione Sovietica e le faccio visitare un campo di concentramento, lei rifiuterà di credere, a meno che qualcuno non le dia un bel calcio nel grasso sedere con uno scarpone militare. Ma fino a quel momento non capirà. Questi sono i tragici effetti della demoralizzazione.
Basilarmente l’America è bloccata da questo deprecabile fenomeno e, a meno che non parta istantaneamente a rieducare una nuova generazione di americani, mettendoci dai 15 ai 20 anni di tempo per cambiare la marea della percezione ideologica, il paese non potrà essere riportato alla normalità e al patriottismo.
2 – DESTABILIZZAZIONE
La fase successiva si chiama destabilizzazione. In questa circostanza il sovvertitore non si interessa nemmeno delle tue idee e delle tue abitudini di vita, del fatto che tu mangi cibo spazzatura e che tu diventi grasso a dismisura. Bastano da 2 a 5 anni per destabilizzare una nazione. Quello che realmente importa sono le cose essenziali, ovvero l’economia, le relazioni con l’estero, i sistemi di difesa, e si può vedere con chiarezza che nelle aree più sensibili come difesa ed economia l’influenza delle idee marxiste-leniniste negli USA è assolutamente preponderante. Non avrei mai potuto credere 14 anni fa, quando giunsi per la prima volta in questa parte del mondo, che il processo di sovversione ideologica e di destabilizzazione sarebbe stato così veloce.
È in questa fase che i sinistroidi idealisti, quelli che credono nella bellezza del modello sovietico o comunista, noti anche come useful idiots (utili idioti), servono il loro scopo strumentale di sovvertire la nazione. Una volta finito il loro compito e resi conto dell’inganno, queste persone diventano i peggior nemici del regime, ed è per questo motivo che verranno messi immediatamente in linea davanti ad un muro e giustiziati.
È per questo motivo che i miei istruttori del KGB erano specifici nel non prestare attenzione ai sinistroidi, ma puntavano più in alto, ai grossi media conservatori, produttori cinematografici ricchi sfondati, intellettuali accademici, persone ciniche ed egocentriche che riescono a guardarti negli occhi con espressione angelica e mentirti. Questi sono i tipi di persone che il KGB punta a reclutare, persone prive di principi morali, avide ed egocentriche.
3 – CRISI
La 3° fase del processo trasformativo di una nazione si chiama semplicemente crisi. Possono bastare 6 settimane per mandare un paese ai limiti della crisi e della paralisi totale. Basta vedere cosa succede nei paesi del Centro America prima e dopo le loro frequenti crisi.
4 – NORMALIZZAZIONE
Dopo un violento cambio di potere e di struttura economica si ha un periodo cosiddetto di normalizzazione, che può anche durare indefinitivamente. Normalizzazione è una espressione cinica nata dalla propaganda sovietica allorquando i carri armati di Leonid Breznev invasero la Cecoslovacchia nel 1968. La stessa situazione si avrà negli Stati Uniti se si lascia che questi fessi (schmucks) portino il paese in crisi totale e in rovina, promettendo ogni genere di vantaggi e regali, promettendo persino il paradiso in terra, ma con in testa l’obiettivo reale di destabilizzare l’economia e il principio della libera concorrenza di mercato, con l’obiettivo di installare un governo tipo Grande Fratello a Washington tramite dittatori benevolenti come Walter Mondale. Un Walter Mondale capace di promettere molte cose irrealizzabili e insostenibili. Un Walter Mondale pronto a recarsi a Mosca per baciare il sedere alla nuova generazione di assassini sovietici. Un Walter Mondale bravo a creare la falsa illusione che la situazione è sotto controllo, mentre le cose non stanno così. La situazione è al contrario disgustosamente fuori controllo.
NON È IL CASO DI CONFONDERE GUERRA E PACE
La maggior parte dei politici americani, i media e il sistema educativo stanno istruendo un’altra generazione di gente a pensare che il loro paese sta vivendo in tempo di pace. Idea totalmente falsa e peregrina. Gli Stati Uniti sono in stato di guerra, una guerra globale non dichiarata contro i principi-base e i fondamenti del proprio sistema e del proprio stile di vita. Il paradosso è che l’iniziatore di questa guerra non è il compagno Yuri Andropov, Segretario Generale del Partito Comunista Sovietico ma, per quanto possa sembrare ridicolo, è il sistema comunista mondiale, la cospirazione comunista planetaria. Che questo spaventi la gente o no, io me ne frego. Se non sei già spaventato da adesso, dalla situazione attuale, niente altro sarà in grado di spaventarti in futuro.
L’UNICO BUCO IN CUI SALVARSI RIMANE TRA I PINGUINI DELL’ANTARTIDE
Ma non devi nemmeno diventare paranoico su questa faccenda. Quello che sta ora realmente accadendo, diversamente che nel caso mio, ti mette a disposizione diversi anni da vivere ancora, a meno che gli USA si risveglino con un ordigno pronto a deflagrare e che sta scandendo i secondi fatali, annunciando che il disastro si sta avvicinando a grandi passi. Diversamente da me tu non avrai nessun posto dove disertare, a meno che non decidi di vivere nell’Antartide assieme ai pinguini. Gli Stati Uniti sono l’ultima landa di libertà e opportunità.
IL SOCIAL-COMUNISMO È UNA PATOLOGIA SOTTILE E CONTAGIANTE, UN MALE OSCURO CHE NON DÀ SCAMPO
Deve subentrare come punto primo rimediale uno straordinario sforzo nazionale per educare la gente allo spirito del patriottismo. E, come punto secondo, bisogna spiegare a tutti senza mezzi termini i reali pericoli del social-comunismo, welfare, politiche assistenziali, governi Grande Fratello. Se la gente non riesce a percepire i gravi rischi che sta correndo, niente altro potrà aiutare gli Stati Uniti d’America, e potrete dire addio a ogni vostra libertà. Alla libertà di fare quello che volete, di essere spesso omosessuali e di usufruire delle mille altre concessioni che attualmente avete. Tutte le stranezze e le fruizioni odierne evaporeranno in una manciata di secondi, e perdendo le libertà perderete pure il vostro prezioso e privilegiato livello di esistenza.
NON ESISTE AL MONDO UN PROBLEMA PIÙ GRAVE E URGENTE SE NON QUELLO DI ANNIENTARE LA TIRANNIA
Occorre tener presente che parte della popolazione americana è convinta che il pericolo è reale e che deve forzare i governi dei singoli stati federali dell’Unione. Non mi riferisco all’invio di lettere e di circolari o alla firma di petizioni, o al blocco di tutte le nobili attività ai fini di cambiare la situazione. Sto parlando di forzare il governo federale USA a interrompere ogni aiuto e ogni concessione al comunismo, poiché non esiste al mondo un problema più urgente ed esplosivo se non quello di fermare il complesso industriale-militare sovietico, impedendogli di distruggere quel che rimane del mondo libero. E questo è molto facile, si tratta di non dare credito, non dare tecnologia, non dare danaro, non dare riconoscimento politico e diplomatico all’URSS.
L’IDIOZIA DELLE APERTURE COMMERCIALI VERSO I REGIMI COMUNISTI
La gente di tutte le Russie, 270 milioni di persone maramaldeggiate e oppresse vi sarà eternamente grata se bloccherete ogni aiuto a un gruppo di assassini che siedono ai posti di comando al Cremlino e che il presidente Reagan chiama rispettosamente governo, mentre governa poco più del niente e poco più del minimo di quella grande complessità che è la Russia. Vessare la propria gente non significa affatto governare. L’economia sovietica ha tutto sommato una struttura uniforme con risposte e soluzioni molto semplici.
NESSUNA ILLUSIONE, VIVETE CON UN ORDIGNO A TEMPO PIAZZATO SOTTO IL LETTO
In ogni caso la sola strada percorribile per voi americani è quella di educare voi stessi a comprendere cosa sta accadendo intorno a voi. Non state affatto vivendo in un regime di pace. Siete semmai in tempo di guerra e vi rimane poco tempo prezioso per mettervi in salvo. Non avete molto tempo a disposizione, specialmente le nuove generazioni. Non c’è molto tempo per lasciarsi andare, per convulsioni, per masturbazioni, per la disco music, tutte cose che scompariranno dall’oggi al domani.
LA CORDA CHE VOI DISINVOLTAMENTE COMMERCIALIZZATE INCLUDE I VOSTRI NODI SCORSOI
Per quanto concerne i capitalisti e i ricchi uomini d’affari, farebbero bene a riflettere. Stanno vendendo con profitto la corda dalla quale penzoleranno molto presto, a meno che non blocchino al più presto il loro insaziabile desiderio di guadagnare e di mantenere rapporti commerciali coi mostri del comunismo sovietico. Gente che finirà male tra non molto e che pregherà di essere fatta fuori, ma che invece verrà mandata in Alaska, magari a dirigere una industria di schiavi.
NON HO LASCIATO LA MIA GENTE E LA MIA TERRA PER VENIRE QUI A RACCONTARE LE STORIELLE DI JAMES BOND
So che suona scomodo e imbarazzante. So che gli americani non amano ascoltare cose spiacevoli, ma io ho disertato e sono fuori-uscito dal mio paese non certo per raccontarvi delle storielle sulle idiozie stile James Bond, o per proporvi spionaggi-spazzatura insensati e tipici della sotto-cultura cinematografica. Sono venuto a parlare di cose serie e di sopravvivenza. Questo sistema ha bisogno di sopravvivere. Mi potete chiedere cosa significa per me sopravvivenza. Oggi io mi trovo sulla stessa vostra barca. Se affondiamo, andiamo a fondo assieme, e non c’è altro posto in cui riparare da disertori.
Yuri Bezmenov (Ritocchi, titolo e sottotitoli di Valdo Vaccaro)
Intervista completa in inglese da vedere tutta (il segmento riportato inizia a 1:07:10)
VIDEO QUI: https://youtu.be/zgmg2VFX058
COMMENTO DI VALDO VACCARO
UNA TESTIMONIANZA E UN MONITO
Tra quando Bezmenov, onore e pace alla memoria, diede sfogo alle sue drammatiche amarezze, e il tempo in cui viviamo sono passati quasi 40 anni. Alcune delle sue affermazioni potrebbero suonare eccessive ed obsolete, mentre non è così, restando esse una testimonianza formidabile e del tutto attuale nella sostanza, nonché un monito per i tempi di oggi e i tempi a venire.
FONTE: https://www.valdovaccaro.com/sovversione-ideologica-secondo-le-tecniche-del-kgb/
Orwell è fra noi
Il web disattiva l’hashtag #1984. Per avvicinarne la realizzazione?
Le piattaforme web hanno disattivato l’hashtag #1984, evocativo dell’omonimo romanzo di Orwell. Cioè uno può anche scriverlo (come sono umani loro), ma cliccandoci sopra non succede un bel niente: ergo, è impossibile stabilire il collegamento fra contenuti che è la funzione propria degli hashtag.
E’ l’ultima notizia in ordine di tempo dopo le ben note vicende che hanno riguardato gli account social di Donald Trump e non solo. Ed è uno scenario che fa paura, perché accresce la sensazione che ai contenuti visionari della letteratura orwelliana la realtà si stia pericolosamente avvicinando.
Non c’è bisogno di rinverdire alla luce delle moderne acquisizioni tecnologiche l’antica disputa tra apocalittici e integrati per comprendere che prima o poi sarebbe arrivato il giorno nel quale l’insidia per la nostra libertà sottesa alle comodità e alle opportunità offerte dalla Rete sarebbe divenuta più evidente. Il problema è che quando ciò accadrà – e forse non siamo lontani – avremo devoluto talmente tanto della nostra vita alle varie piattaforme web che sarà difficile tornare indietro e recuperare un po’ di senso della misura.
Non si pensi soltanto ai social o ai sistemi di messaggistica: abbiamo digitalizzato le nostre relazioni economiche e bancarie, i più banali pagamenti e le grandi transazioni finanziarie, le pratiche burocratiche, gli spostamenti logistici, l’intrattenimento, i dati sanitari e chi più ne ha più ne metta. Il che, lo ribadiamo, presenta delle indubbie comodità. Ma comporta anche dei rischi che in momenti come questi si intravedono con particolare chiarezza.
Per questo – anche per questo – di un presidio di libertà alla guida della prima potenzia mondiale c’era un disperato bisogno. Per ritardare il giorno del brusco risveglio. E per questo i padroni del web sono entrati così prepotentemente in campo.
FONTE: https://loccidentale.it/82002-2
Ora vogliono colpire la casa Patrimoniale? Cosa ci aspetta
Tra i banchi dell’attuale maggioranza resta l’ipotesi di una patrimoniale. L’Ance tuona: “Rischi grossi per l’economia”. Cosa può accadere
Che in questo momento di difficoltà economiche (oltre che politiche) si possa pensare ad una nuova tassa sulla casa sembrerebbe quantomeno ‘paradossale”, eppure l’ipotesi c’è ed è tutt’altro che remota.
Già lo scorso dicembre, difatti, durante i lavori in parlamento era uscito un provvedimento con cui si sarebbe impegnato il governo “a inserire in prossimi provvedimenti legislativi una riforma delle imposte patrimoniali oggi vigenti”.
Nei fatti, l’idea che circola è quella di una nuova forma di tassazione sulla ricchezza – una sorta di patrimoniale – rivolta a coloro i quali abbiano un patrimonio superiore ai 500mila euro compresi beni come la prima casa.
Con 19 sì, sei astenuti e 462 contrari la Camera ha bloccato questa misura su cui, però, parte del Pd e di Leu potrebbero tornare alla carica. Negli scorsi giorni, ad esempio, Nicola Fratoianni di Leu aveva scritto su facebook : “Anche la Banca d’Italia si esprime a favore di una patrimoniale […] Secondo l’istituto aiuterebbe a redistribuire la ricchezza e incentiverebbe impieghi più produttivi delle risorse, soprattutto in un Paese con un’elevata evasione fiscale come, purtroppo, il nostro. E il rischio che i capitali fuggano all’estero, uno degli argomenti più forti dei nostri detrattori, oggi sarebbe ridotto grazie al continuo scambio di informazioni tra amministrazioni fiscali“.
Ad essere colpito dalla patrimoniale, però, sarebbe soprattutto il ceto medio che vedrebbe “aggredito” un bene primario il cui valore, negli scorsi anni, è stato sfalsato da speculazioni, scarsi investimenti pubblici nell’edilizia sociale e popolare e da una (forse voluta) disattenzione al settore edile.
Da Forza Italia è già arrivato il no categorico all’ipotesi patrimoniale, con Deborah Bergamini che – ribadendo le posizioni già espresse da Giorgio Mulè – ha dichiarato: “Chiunque siano i responsabili e ovunque siano nascosti, sappiano che il nuovo governo Conte riproporrà la patrimoniale. Lo ha messo nero su bianco Fratoianni alla Camera dei Deputati. A chi ha già perso molto con la crisi economica, con la patrimoniale toglieranno anche quel poco che rimane. Forza Italia con il presidente Berlusconi non lo permetterà. Difendere le proprietà e i risparmi degli italiani, soprattutto in una fase di grande emergenza come quella che stiamo vivendo, è un imperativo“.
Ma di cosa si tratta e quali potrebbero essere gli effetti di una patrimoniale sulla casa… andiamo per ordine
Cosa è una patrimoniale
La patrimoniale è un’imposta che riguarda i beni sia mobili che immobili. L’imposta riguarda, pertanto, denaro, case, azioni, valori preziosi, obbligazioni e può “colpire” le persone fisiche e quelle giuridiche.
Si definisce imposta e non tassa perché viene corrisposta non per un servizio ricevuto ma per servizi che lo Stato o gli Enti pubblici corrispondono alla collettività. La patrimoniale può essere, inoltre, fissa o variabile: nel primo caso riguarda tutti i contribuenti per lo stesso importo mentre, nel secondo caso, varia in relazione al patrimonio.
Infine, queste imposta può essere periodica – versata con cadenza regolare – o “straordinaria”, cioè applicata una sola volta.
Secondo i dati della Cgia di Mestre relativa all’annualità 2017, si contavano circa una quindicina di patrimoniale tra cui: bollo auto, l’imposta di bollo, il canone Rai, l’imposta su aeromobili e imbarcazioni, le tasse sulle successioni, donazioni e transazioni finanziarie.
Il valore, sempre relativo al 2017, era di circa 46miliardi di euro di cui le imposte sugli immobili hanno consentito all’Erario di incassare 21,8 miliardi anche considerando che l’Italia è tra i paesi europei con i più alti tassi di proprietà da parte delle famiglie (superiore al 70%, mentre in Francia sono il 65%, in Germania il 51%. Dati Acer – Associazione dei Costruttori Edili di Roma e Provincia).
L’idea di agire con una patrimoniale sulla casa, come riportato in un precedente articolo de IlGiornale.it, nascerebbe dall’intento di alleggerire il carico fiscale sui lavoratori aumentando, invece, le tasse sui consumi e sulla ricchezza, “considerato (non si sa da chi. Ndr) meno dannoso per la crescita”.
Difatti, questa nuova Imu colpirebbe soprattutto il ceto medio essenziale alla ripresa dell’economia del nostro Paese, che già si trova ad essere tassato, in media, tra il 38 e il 43%. Una patrimoniale, quindi, potrebbe rappresentare un aggravio di spesa con effetti estremamente negativi sul portafoglio delle famiglie degli italiani.
“Un aumento della tassazione di un bene come quello della casa – dichiara Nicolò Rebecchini, presidente dell’Associazione dei Costruttori di Roma – avrebbe un pericoloso effetto negativo per le famiglie che spesso, con grande sacrificio, hanno acquistato la propria abitazione o quella per i propri figli”.
Quali tasse sulla casa esistono già
La proprietà di una casa implica il pagamento di alcune tasse tra cui, in primis, l’Imu (senza dimenticarsi di Tasi, Tari). L’imposta unica municipale concede l’esenzione dal pagamento per le prime case ad eccezione solo dei seguenti immobili di lusso:
- Categoria catastale: A/1; Tipologia di immobile: Abitazioni di tipo signorile
- Categoria catastale: A/8; Tipologia di immobile: Abitazioni in ville
- Categoria catastale A/9; Tipologia di immobile: Castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici
Secondo quanto previsto dalla legge di Bilancio 2020, l’esenzione prima casa si applica anche alle pertinenze classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, fino a un massimo di un’unità per categoria.
Il Mef ha stabilito che le aliquote per le prime case appartenenti alle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 siano del 5 per mille con la facoltà dei Comuni di ridurre o aumentare dell’1 per mille e di applicare un’ulteriore riduzione di 200 euro.
Sulle seconde case, invece, viene applicata un’aliquota minima dell’8,6 per mille che può arrivare fino al 10,6 o maggiorata ulteriormente fino all’11,4 su delibera del Comune che deve stabilire le aliquote entro il 28 febbraio. L’idea di un reinserimento dell’Imu sulla prima casa attraverso una patrimoniale rappresenterebbe, pertanto, un vero salasso per il ceto medio effetti negativi non solo sul portafoglio delle famiglie ma sull’intera economia.
“Un’eventuale patrimoniale sulla casa – dichiara Rebecchini – oltre ai riflessi negativi sull’economia in generale, evidenzierebbe un paradosso: da una parte aumenterebbero le entrate per l’erario per la maggiore tassazione e, dall’altra, si avrebbe una diminuzione delle stesse a causa dei minori investimenti”. “Approcciare con questo metodo al bene casa evidenzierebbe – continua il presidente Acer – una confusione a livello Istituzionale in quanto, da una parte lo Stato interviene con incentivi fiscali dedicati alle famiglie (superbonus), per consentire la trasformazione green del patrimonio immobiliare e, dall’altro, ridurrebbe fortemente l’impatto con una tassazione dello stesso patrimonio incentivato”.
Quali sarebbero gli effetti di una patrimoniale sulla casa
Per capire gli effetti di una patrimoniale sulla casa basta fare due calcoli. Prendiamo come esempio le grandi città dove il costo di una casa – anche di piccole dimensione – rappresenta una spesa ingente.
Tra la casa di proprietà, i risparmi e tutto il resto, il tetto di 500mila euro significherebbe andare a colpire buona parte del ceto medio italiano che si si troverebbe a pagare una tassa tra lo 0,2-0,5% e il 2% a seconda del valore del proprio patrimonio.
Facciamo un esempio… Fabio e Maria abitano con i propri 2 figli a Roma. Lei è un’insegnate e lui un commerciante e nell’anno mettono insieme una reddito di circa 60/70mila euro. Un reddito buono che gli permette di vivere in modo tranquilli senza eccessi. Sono in comunione dei beni e proprietari di 2 case frutto degli sforzi dei genitori di entrambi.
La casa di Roma è di 120 mq; nella capitale il valore medio (stima Immobiliare.it) 3.241 €/m² è di conseguenza il loro stato patrimoniale di partenza sarebbe, così, già di oltre 380mila euro. La casa in cui abitano i coniugi è stata comprata dai genitori di lui che hanno pagato il mutuo, l’Imu sulla seconda casa – fino a quando è stata di loro proprietà – e, infine, la donazione.
I genitori di lei, invece, le hanno lasciato una casa in provincia; la proprietà di Maria vale circa 100mila euro e la donna non vuole vendere per motivi affettivi nonostante, essendo seconda casa, paghi moltissime tasse.
Calcolatrice alla mano i 500mila euro di patrimonio complessivo sono stati già raggiunti e ora, oltre alle imposte altissime sulle case di Maria, anche la prima casa comporterà l’obbligo di pagare un’imposta che potrebbe oscillare tra lo 0,2/0,5% e il 2% .
“È venuto il momento che il Parlamento affronti una riforma fiscale che inquadri in maniera chiara ed inequivocabile quali sono gli obiettivi e le strategie per la casa”, conclude il presidente dell’Ance di Roma: “In altre parole, i processi di rigenerazione del patrimonio esistente finalizzati a dare una migliore sicurezza e funzionalità delle abitazioni, la riqualificazione delle periferie, per ridurre il disagio sociale, sono un obiettivo fortemente voluto o sono solo dichiarazioni di facciata per poi andare nelle direzione opposta?”
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/economia/casa-rischio-patrimoniale-ecco-cosa-pu-succedere-1917857.html
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
CADAVERI ECCELLENTI, E ROSI OLTRE L’ILLUMINISMO CATASTROFICO
In un certo senso, Il contesto è un libro datato. Non sto mettendo in forse il suo livello estetico, indiscutibile in quella fusione di tragicità imperscrutabile e di ironia amara, altamente formalizzate nella risentita prosa di Leonardo Sciascia, è assai alto. Dico proprio, letteralmente, della sua datazione: che, pur se non lo affermassero le cronologie letterarie, si collocherebbe indiscutibilmente nella indistinta stagione breve che sta fra i giorni che seguono il ’68/’69 e i giorni che precedono 1l ’73/’74, ovvero (quello che poi sapremo essere stato) l’inizio degli italiani “anni di piombo”: proprio attorno a quel 1971, cioè, in cui il pamphlet iniziò ad essere pubblicato (sul n. 1, gennaio-febbraio 1971, della rivista siciliana Questioni di letteratura, non vedendo la luce il resto che un paio di anni dopo).
E si capisce, dunque, certo senza condividere, che, all’epoca, la lettura del libro portasse un critico pur acuto come Mario Spinella a precisare che lo scrittore di Racalmuto non fosse da ritenere uno “apertamente schierato nel campo della rivoluzione intendendo per rivoluzione la prospettiva socialista”; un filosofo pur lucido come Lucio Lombardo Radice a classificare “il romanzo” come “marcusiano”, (nel senso, spregiativo, di illustrazione della “ideologia del fallimento storico della classe operaia”); e un politico pur aperto come Emanuele Macaluso a precisare che Sciascia, non comunista e non rivoluzionario, era un coltivatore di frutti “antilluministici e antidemocratici”. Si capisce, dicevo, benché appaia vistosa la glaciale “ideologicità”, caduca di quei giudizi; e susciti angoscia l’irrazionale visione, in essi implicita, delle “magnifiche sorti e progressive»; e dia brividi tanta trionfalistica sicumera pseudo-illuministica circa le virtù palingenetiche della Cosa, che già allora (e da tempo, fra l’autunno del ’56 e l’agosto del ’68: tra Budapest e Praga, si vuol dire) avrebbe dovuto essere vista e detta, da chiunque avesse intelletto libero e onestà di parola, un gigantesco colosso d’argilla eretto sulle lacrime e sul sangue dei popoli, come poi si vide chiaramente, e inoppugnabilmente, appena un quindicennio più tardi.
Ma il ragionamento implicito nello Sciascia de Il contesto non è questo, del re nudo o della eucaristica Cosa disvelata. Esso è piuttosto quello, che risente in qualche modo il un ’68, e presenta in qualche altro modo gli anni di piombo, del fisiologico coinvolgimento di tutto e di tutti (incluso dunque il Partito Rivoluzionario Internazionale) nella prassi dell’occultamento e del compromesso, nella politica della coincidenza fra ragion di stato e ragion di partito, nel mescolamento per convenienza “realistica”, di menzogna e verità (“Ma la ragion di partito… Voi … La menzogna, la verità: insomma… – Cusano quasi balbettava.”). Almeno, oggettivamente; nella realtà inoppugnabile del testo, delle sue scansioni e delle sue allusioni. In tale senso, e non in altro, “datate”: ovvero impregnate di uno “Zeitgeist“, d’inizio anni ’70, che fu di quelle brevi stagioni indistinte. e non di prima o di dopo.
Diverse, semmai, furono le soggettive intenzioni dello scrittore. Che egli stesso chiarì, in una nota al romanzo, dove confessò come quella che inizialmente avrebbe voluto essere la parodia di un fatto di cronaca, gli fosse poi andata per altro verso: “ché ad un certo punto la storia cominciò a muoversi in un paese del tutto immaginario; un paese dove non avevano più corso le idee, dove i principi – ancora proclamati e concimati – venivano quotidianamente irrisi, dove le ideologie si riducevano in politica a pure denominazioni del gioco delle parti che il potere si assegnava, dove soltanto il potere per il potere contava”. E qui, invece della “datata”, (nel senso anzidetto) oggettività del romanzo, abbiamo delle soggettive intenzioni assai più presaghe del futuro – il nostro attuale presente – che legate allo spirito dell’epoca: quando ancora le ideologie non erano mero gioco delle parti, le idee avevano ancora qualche residuo ma apprezzabile corso, e i principi (almeno alcuni) conservavano ancora un loro peso.
Datato nei risultati, e presago nelle intenzioni, Il contesto si offre, dunque, al lettore odierno, con questa sua duplice tensione, che obbliga chi ne scorra le pagine a una duplice attenzione: da un lato, alla lettera del suo diegetico procedere in “paese immaginario”, post-sessantottesco e pre-settantasettesco, imprigionato nel circolo chiuso del presente invivibile e della rivoluzione impossibile; dall’altro, agli interstizi del suo inespresso, alle suggestioni implicite, alle induzioni fantastiche, all’”immaginario”, insomma che esso suscita con il “senno di poi” alla luce o al buio di questo fine secolo, quando il gioco delle parti non ha più nemmeno il mascheramento delle ideologie. Tutto ciò per dire che il film Cadaveri eccellenti (1976) di Francesco Rosi – tratto appunto dal lungo racconto, o breve romanzo, Il contesto – mi pare più ispirato al patrimonio intenzionale che a quello espressivo del testo di Sciascia, più alle induzioni fantastiche che il libro può generare nel suo lettore, che alle allusioni epocali che esso può fargli cogliere, più al presago inconscio del romanzo (anche i romanzi ne hanno uno, eccome!) che alla sua cosciente referenzialità.
Naturalmente, ancora una volta, non sto facendo questione di livelli estetici. Non mi pongo, né pongo, il problema se il film sia più “bello”, del romanzo, o se il romanzo sia più “bello”, del film; dilemma che sarebbe due volte privo di senso: la prima perché, in termini di principio, non sono mai agevolmente comprensibili i raffronti fra risultati di pratiche estetiche assolutamente diverse tra loro, quali il “fare letteratura”, e il “fare cinema” (senza che la questione muti sostanzialmente, anche quando il film si ispira ad un libro, riprendendone il plot o i personaggi), pure se è di solito questo che si fa discorrendo di film “tratti da”; la seconda perché, in termini concreti, non sto parlando della qualità dei due diversi procedimenti di formalizzazione della “story“, quanto dell’eco differente che la Storia ha nei due testi, e della distinta riverberazione che assume, in ciascuno di essi, il pur in ambedue inconciliato contrasto fra la verità e la realtà. Non di qualità, dunque, è questione, ma al più di modernità (e attualità), che è tutt’altro concetto.
“Questo film – dichiarò a suo tempo Francesco Rosi – è un lungo viaggio attraverso i mostri e le mostruosità del potere: è una ricapitolazione visiva di tutte le aberrazioni, di tutte le degenerazioni del potere in cui mi sono imbattuto nella vita. Tutti i miei film, d’altronde, sono un viaggio, allo stesso tempo eccitante e malinconico.“. Questa dichiarazione dell’autore di Cadaveri eccellenti ci suggerisce se non la chiave, per lo meno una chiave di lettura del film: il suggerimento è di porlo in catena con gli altri film del regista e di vederlo, dunque, come il capitolo di un progressivo discorso, che inizia dal 1958, la data d’esordio ufficiale di Rosi. Il cinema di questo autore è infatti, da La sfida (1958) in poi – con le uniche eccezioni de I magliari (1959) e di C’era una volta (1967) – un lungo e coerente itinerario, teso a distinguere, dialetticamente, tra il reale e il vero, cioè tra la muta, o mistificata, realtà, dei fatti, e l’inquietante, ambigua, dubbiosa verità, del loro senso.
La laica metodologia di tale approccio alle cose consiste essenzialmente nel decantare le apparenze e nel trasformare la loro rappresentazione in un ordito labirintico, all’interno del quale un personaggio mediatore, della posizione del regista (o il regista stesso in veste di narratore e rievocatore dei fatti) pratica l’esercizio di un dubbio sistematico, di una «messa in discussione» radicale della logica apparente; ma non in nome di una Verità astratta e taumaturgicamente illuminante, bensì in nome di un metodo dove il dubbio, cioè la razionale messa in gioco della ragione esistente (da cui, appunto, la laicità, materialistica si dovrebbe dire, dell’approccio) è il modo per giungere al vero. E, poiché il maggiore scarto tra realtà e verità è offerto, per antonomasia, dal Potere (che consiste, anzi, nell’istituzionalizzazione di questo scarto), ecco che il cinema di Rosi ha come oggetto unico e costante, multiforme nella specie delle sue apparenze ma uniforme nell’ ideologia dell’occultamento che lo caratterizza, il Potere.
Insomma, e in altri termini: la catena tematicamente coerente (al di là della variata differenziazione delle storie), che emerge dalla produzione di Sciascia, va da Le parrocchie di Regalpetra a Il contesto (via Gli zii di Sicilia, Il consiglio d’Egitto, Morte dell’inquisitore, L’onorevole, A ciascuno il suo, La controversia liparitana, nonché gli scritti de La corda pazza) e, dopo Il contesto, a Todo modo e oltre (fino al pamphlet su L’affaire Moro), e denuncia la costante di una preoccupazione etico-filosofica; catena tematicamente coerente che emerge dalla produzione di Rosi, va da La sfida a Cadaveri eccellenti (via Salvatore Giuliano, Le mani sulla città, Il momento della verità, Uomini contro, Il caso Mattei, Lucky Luciano) e, dopo Cadaveri eccellenti, a Cristo si è fermato a Eboli e oltre (fino a Tre fratelli), e denuncia la costante di una preoccupazione etico-politica.
Fra queste due costanti, quella di Sciascia e quella di Rosi, vi è evidentemente forte assomiglianza, abbondante consonanza (si pensi alle splendide pagine che Sciascia ha scritto sul Giuliano: “Bellissimo, intenso film, mai la Sicilia era stata rappresentata nel cinema con così preciso realismo, con così minuziosa attenzione“), funzionale prossimità; ma esse non sono affatto identiche: si muovono lungo percorsi diversi e mirano a diversi obbiettivi.
Ciò spiega, dunque, perché l’odierna rilettura delle pagine de Il contesto (come delle quasi contigue pagine di Todo modo) sembri, oggi più che mai, ad un ventennio di distanza da quel pamphet, investire le categorie atemporali dell’Etica, laddove la rilettura di Cadaveri eccellenti (come, per altro verso, del Salvatore Giuliano), sembri, oggi più che mai, pur a distanza dal film, investire le categorie storiche della Politica, offrendo – rispetto al testo letterario – più una interpretazione di quello che abbiamo definito il suo inconscio (storico-politico), che un’illustrazione del suo cosciente, aspetto di moralità.
Luttuoso viaggio in un territorio di morte, dove un Potere imperscrutabile semina cadaveri e realizza una funerea ideologia dell’autoconservazione, il film si apre, stupendamente, su un sotterraneo pieno di mummie fissate nella polverosa eternità di una bocca aperta in un urlante spasimo, di un’occhiata svuotata, di uno scheletro gessoso e si chiude su due cadaveri e sulla negazione della verità che li riguarda; inizia (diversamente dal libro che parte con una lunga descrittiva processuale e poliziesca) in una museale catacomba stipata di immoti teschi, e si conclude (salvo il poscritto, finale) in un museo dove l’algida immobilità delle statue sembra essersi trasmessa ai due corpi inerti di Rogas (Lino Ventura) e di Amar, che giacciono, morti, sul pavimento (anche qui diversamente dal libro, il poscritto, è preceduto dalle riflessioni-confessioni di Cusano sul duplice omicidio della Galleria Nazionale). Questa struttura a Ringkomposition quasi perfetta, attesta la precisione, etico-politico appunto, del discorso di Rosi: il cerchio mortale, apertosi sulla morte, nella morte si chiude, comprendendo al proprio interno l’indagatore e gli indagati, le vittime e i mandanti, chi congiura e chi, senza sottrarsi al Sistema di Governo, segue, “dall’interno” appunto (ii sistema poliziesco, cui anche Rogas appartiene), le piste della congiura. Ma, contrariamente a quanto accade nel testo letterario, nel testo cinematografico è “mortale” soltanto tutto ciò che è nel cerchio; ed è vitale ciò che ne è fuori (tanto fuori da non divenire in alcun modo personaggio della fiction e da essere rappresentato soprattutto, se non soltanto, in quelle intromissioni della cronaca che sono, nel film, gli accennati “materiali d’attualità”).
In altre parole, il pessimistico e universale illuminismo catastrofico di Sciascia viene assunto da Rosi, ma mutato in un più circoscritto e meglio precisato discorso su un paese in mano a chi “malgoverna da trent’anni”. Non a caso nella grande festa (un motivo tipico del cinema di Rosi: si pensi a Il momento della verità) in casa dell’armatore Pattos, il regista concentra ministri di governo e contestatori di comodo, poliziotti e signore dell’alta società, scrittori “impegnati” e rappresentanti del “bel mondo”; ma mancano i giovani che hanno manifestato ai funerali, le masse che sono scese nelle piazze, i “gruppettari”, interrogati negli scantinati della polizia.
Se la festa è insomma il luogo dell’esistente, l’altrove, è il luogo dell’esistibile.
Contrariamente a quanto accade ne Il contesto, in Cadaveri eccellenti c’è, infatti, un “altrove”, rispetto al “paese dove non avevano più corso le idee”. Perché, per Rosi, l’Opposizione ha due anime: quella di chi contrasta il governo e si oppone a coloro che dominano soltanto per succedere al loro posto; e quella di chi contrasta il sistema di Potere e, nelle piazze e nelle strade, si oppone per riportare la Realtà alla Verità, rompendo quella che Pasolini definì l’”anarchia del potere”.
In Sciascia il catastrofismo era totale, il giudizio è categoriale, l’immagine ghignante del potere è onnivora, la questione è filosofica: Il contesto descrive un mondo in cui l’Esistente è immutabile e la Rivoluzione beatamente (per gli uni) o rassegnatamente (per gli altri) impossibile. In Rosi la catastrofe ha un donde e un dove, il giudizio è storico, l’immagine orrorifica del potere ha un hic et nunc, la questione è politica. Per l’autore di Cadaveri eccellenti il mondo è modificabile: dal labirinto del Reale si esce sottoponendolo al dubbio, contestandolo in nome del Vero.
LINO MICCICHÉ
Redazione, ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema
FONTE: https://www.as-cinema.com/cadaveri-eccellenti-oltre-illuminismo-catastrofico/
ATTUALITÁ SOCIETÀ COSTUME
GIORNATA DI RACCOLTA DEI FARMACI 9-13 FEBBRAIO 2021
Comunicato stampa
La selezione dei fragili
Il nuovo piano pandemico e lo spettro dell’eugenetica
L’ultimo piano anti-pandemico ufficialmente approvato risale al 10 febbraio 2006, così che, ben dopo un anno dall’inizio della pandemia da covid-19 si è deciso di confezionarne uno nuovo, le cui bozze stanno già creando non pochi problemi.
Un passaggio in particolare, del documento lungo ben 140 pagine con cui si predispongono le misure per una eventuale nuova emergenza pandemica, suscita perplessità di carattere sia etico che giuridico, cioè il passaggio in cui si legge che «quando la scarsità rende le risorse insufficienti rispetto alle necessità, i principi di etica possono consentire di allocare risorse scarse in modo da fornire trattamenti necessari preferenzialmente a quei pazienti che hanno maggiori probabilità di trarne beneficio».
Posto che l’articolo 32 della Costituzione non effettua alcuna distinzione in tal senso assicurando in modo inequivoco la tutela del diritto alla salute di tutti, cioè sia di chi può trarne maggior beneficio, sia di chi, invece, purtroppo, può trarne beneficio minimo, occorre effettuare alcune riflessioni sul punto di una bozza che si spera possa essere modificata in rispetto della Costituzione, della persona e dello Stato di diritto.
In primo luogo: non si comprende perché il sistema sanitario debba garantire, in caso di scarse risorse, proprio coloro che potrebbero avere maggiori benefici, piuttosto che coloro che potrebbero averne di meno, posto che sono proprio questi ultimi i più fragili e, dunque, i più bisognosi di assistenza sanitaria.
In secondo luogo: non si comprende chi effettivamente potrebbe essere ricompreso in tale categoria così genericamente e maldestramente indicata. Si tratterebbe inoltre di un criterio stabilito ex ante, o ex post soltanto dopo un accertamento clinico del singolo soggetto?
Se non si trattasse di un riferimento al quadro clinico, infatti, in tale categoria potrebbero essere ricompresi gli anziani, i disabili, i malati cronici, i malati terminali, i soggetti con patologie rare e tutti coloro che versano già in condizioni precarie di salute e che vedrebbero sacrificato il proprio diritto alla salute e alla vita costituzionalmente tutelati, per di più senza neanche il loro consenso, e il tutto nell’epoca dell’affermazione del principio di autodeterminazione come principio supremo dell’ordinamento.
In terzo luogo: una tale tipologia di selezione è evidentemente una selezione eugenetica che mira a scartare i più fragili nonostante i divieti di simili prassi sanciti in varie normative internazionali fra cui si richiamano in proposito l’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, l’art. 11 della Convenzione di Oviedo, e l’art. 14 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo.
Alla luce di tutto ciò emerge con evidente chiarezza il paradosso di base secondo cui il diritto alle cure sarebbe garantito, dalla bozza del nuovo piano anti-pandemico, soltanto per coloro che godono di buona salute, con sacrificio “ex lege” di tutti gli altri che non godono del medesimo privilegio.
Si comprende agilmente che una simile impostazione non può che essere radicalmente respinta in quanto contraria a tutti i principi giuridici (principio personalistico, principio di uguaglianza formale e sostanziale, principio di autodeterminazione, principio di solidarietà, principio di sussidiarietà ecc) cristallizzati dalla Costituzione e dalla natura stessa dello Stato di diritto, sperando in una solerte modifica del suddetto piano anti-pandemico che rischia di risolversi, nella sua essenza, in un piano grottescamente anti-umano.
FONTE: https://loccidentale.it/il-nuovo-piano-pandemico-e-lo-spettro-delleugenetica/
Morte celebrale a 10 anni per un gioco su social. Cos’è la blackout challenge
È stata dichiarata in morte cerebrale la bimba di 10 anni, in coma dopo l’asfissia che ieri sera ha causato un arresto cardiocircolatorio in seguito, a quanto pare, a una sfida estrema di soffocamento sul social TikTok. La famiglia ha acconsentito alla donazione degli organi della piccola che si trova all’ospedale dei Bambini di Palermo, tra la disperazione dei familiari e degli amici. Sulla vicenda indaga la polizia che ha sequestrato lo smartphone. La procura della Repubblica ha aperto un fascicolo e la procura dei minori si è attività ipotizzando il reato di istigazione al suicidio.
Secondo le prime ricostruzioni fornite dal padre, ieri sera la bambina stava giocando nel bagno di casa. La piccola aveva una estremità di una accorda stretta attorno al collo e l’altra parte attaccata alla barra porta-asciugamani, come se fosse impiccata. Accanto a lei lo smartphone. Per liberarla è stato necessario tagliare la corda, ma la piccola non dava segni di vita dopo l’assurda prova di resistenza nota come ’blackout challenge’ (nella foto in alto lo screenshot di un video pubblicato su TikTok).
La piccola, come spiega l’ospedale è arrivata al pronto soccorso alle 21.04, in arresto cardiorespiratorio, accompagnata dai genitori che avrebbe inutilmente chiamato il 118. Subito in codice rosso, «ha usufruito delle manovre di rianimazione cardiopolmonare e il cuore ha ripreso il battito. Ha quindi subito eseguito una Tac encefalo che ha evidenziato una situazione di coma profondo da encefalopatia post anossica prolungata». Alle 23, in condizioni critiche è stata ricoverata in terapia intensiva, ma non è stato possibile salvarla.
FONTE: https://www.iltempo.it/attualita/2021/01/21/news/blackout-challenge-tiktok-bambina-10-anni-morte-celebrale-palermo-gioco-estremo-social-network-sfida-25955751/
BELPAESE DA SALVARE
Riduzione dell’aspettativa di vita dei bambini per scuole chiuse
“Ci sono ormai gli studi sui DANNI che il persistente lockdown sta creando. Riduzione dell’aspettativa di vita per i bambini” (cit.)
qui uno studio pubblicato dal Journal of the American Medical Association
Stima dei risultati scolastici dei bambini statunitensi e degli anni di vita persi associati alla chiusura della scuola primaria durante la pandemia del coronavirus del 2019
Dimitri A. Christakis, MD, MPH1Wil Van Cleve, MD, MPH2Frederick J. Zimmerman, PhD3
Affiliazioni autore Informazioni sull’articolo
JAMA Netw Open. 2020; 3 (11): e2028786. doi: 10.1001 / jamanetworkopen.2020.28786
“Il nostro modello analitico decisionale ha rilevato che la mancata istruzione durante il 2020 potrebbe essere associata a una stima di 13,8 milioni di anni di vita persi (IC 95% 2,5-42,1) sulla base dei dati di studi statunitensi e una stima di 0,8 (IC 95% 0,1-2,4) milioni anni di vita persi sulla base dei dati di studi europei. Questa stima della perdita dell’aspettativa di vita sarebbe stata probabilmente maggiore di quanto sarebbe stato osservato se lasciare aperte le scuole primarie avesse portato a un’espansione della prima ondata di pandemia.
Significato: Questi risultati suggeriscono che la decisione di chiudere le scuole primarie pubbliche statunitensi nei primi mesi del 2020 potrebbe essere associata a una diminuzione dell’aspettativa di vita per i bambini statunitensi.
(Segue l’abstract: lo si può leggere con traduzione automatica)
https://jamanetwork.com/journals/jamanetworkopen/fullarticle/2772834
Esortazione del Washington Post:
“Per amore della Terra, si smetta di viaggiare”
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/riduzione-dellaspettativa-di-vita-dei-bambini-per-scuole-chiuse/
CONFLITTI GEOPOLITICI
L’arte della guerra nel XXI secolo. Guerra asimmetrica e imprese militari private
Guerre ibride
Quello di “guerra ibrida (o asimmetrica)” è un concetto ormai ampiamente utilizzato non solo dagli esperti di relazioni internazionali o di strategia militare, ma anche dai giornalisti. Con esso si intende un’azione ostile in cui l’avversario viene aggredito utilizzando una combinazione di operazioni di intelligence, sabotaggio, guerra informatica e supporto a insorti locali attivi sul territorio nemico.
Il concetto, però, ha un ventaglio di significati talmente ampio che può riferirsi anche ad iniziative in cui manca una componente militare attiva. Il presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko, ad esempio, ha definito la pressione diplomatica messa in atto dagli Stati membri dell’Unione Europea contro di lui e le contestuali proteste di piazza svoltesi nel suo paese una “guerra ibrida”. Prima di lui, gli stessi funzionari americani, compreso l’ex Segretario di Stato Rex Tillerson, classificarono le “interferenze russe” nelle elezioni statunitensi come “una guerra ibrida“.
L’uso ambiguo del termine da parte dei politici oscura, però, i cambiamenti cruciali che stanno effettivamente avvenendo sul campo di battaglia.
La maggior parte dei conflitti moderni, dagli eventi ucraini del 2014 alle guerre in Libia, Siria, Yemen fino a quella recente in Nagorno-Karabakh, avvengono in modalità di guerra ibrida.
Il confronto diretto tra potenze ha lasciato il posto all’uso sofisticato di combattenti per procura, nonché all’utilizzo massiccio di azioni militari a distanza in cui diventa difficile perfino individuare chi stia pilotando un drone e a quale attore impegnato sul campo risponda. A ciò si aggiungono le operazioni nel cyberspazio e la guerra nell’ambito dell’informazione, in cui il giornalista finisce per essere un vero e proprio soldato, ma su un fronte speciale: quello della propaganda.
Proxy-actors: perché sono necessari
L’elemento più importante della moderna guerra ibrida restano in ogni caso i combattenti per procura, i contractors. Il fenomeno delle “guerre per procura” esiste da tempo ed era particolarmente diffuso durante la Guerra Fredda, nonché ampiamente codificato, come testimoniano il famoso pamphlet di Carl Schmitt Teoria del Partigiano o le ampie riflessioni sulla guerra rivoluzionaria elaborate in quel periodo in Italia e in tutta Europa. Nel 1964 il politologo americano Karl Deutsch definì la “guerra per procura” “un conflitto internazionale tra due potenze straniere, combattuto sul suolo di un paese terzo, camuffato da conflitto civile, e in cui manodopera, risorse e territorio di esso vengono utilizzati per il raggiungimento di obiettivi e strategie estere preponderanti”.
Una definizione più contemporanea di “guerra per procura” è stata fornita da Daniel L. Byman della Brookings Institution, secondo il quale essa viene intrapresa “quando una grande potenza istiga o gioca un ruolo importante nel sostenere e dirigere una parte in un conflitto, ma conduce direttamente solo un piccola parte dello stesso”.
Andrew Mumford, docente di strategia militare e vicedirettore della School of Politics and International Relations presso l’Università di Nottingham, definisce la guerra per procura come “impegno indiretto in un conflitto da parte di terzi che desiderano influenzarne l’esito strategico”.
Una simile definizione riflette un cambiamento sostanziale del significato di guerra per procura rispetto a come il fenomeno è stato inteso durante la Guerra Fredda. Oggi la guerra per procura è qualsiasi conflitto condotto per mano di altri.
In effetti da quando gli Stati Uniti all’inizio degli anni 2000 hanno adottato una dottrina strategica incentrata sul concetto di network, in base al quale azioni ostili possono essere condotte non solo contro avversari immediati, ma anche contro alleati, i conflitti per procura sono diventati ancora più complessi. Di fatto, sono stati gli USA i primi a riconoscere apertamente le nuove strutture flessibili della guerra moderna.
In Siria, ad esempio, sono stati gli americani ad organizzare i curdi delle Forze Democratiche Siriane per combattere l’ISIS. Oggi, grazie ad esse, essi controllano i giacimenti petroliferi della Siria e sono in condizione di usare il fattore curdo per esercitare pressioni su Bashar Assad e sulla Turchia (sebbene essa sia formalmente un alleato degli Stati Uniti).
In Yemen, l’Iran utilizza da anni i ribelli Houthi in funzione anti-saudita ed anti-emiratina, mentre gli stessi Emirati Arabi Uniti sostengono in quello scenario il Southern Transitional Council, ovvero i separatisti dello Yemen meridionale che combattono contro i ribelli Houthi. Tuttavia, il Southern Transitional Council ha periodicamente condotto attacchi anche contro gli alleati dei sauditi, il partito islamista Islah e le truppe del presidente Hadi. Ora, formalmente Arabia Saudita ed EAU sono alleati in questo conflitto, eppure la “guerra per procura” consente loro di condurre, attraverso gli attori ingaggiati sul campo, un confronto più flessibile, con una certa elasticità nell’atteggiamento da tenere nei confronti anche di coloro che almeno formalmente dovrebbero essere considerati alleati, ma che in qualunque momento potrebbero rivelarsi avversari.
Inoltre, per condurre una moderna guerra per procura, spesso non è solo importante organizzare formazioni sul campo, ma anche avere sempre a disposizione “forze per procura” che possono essere spostate da un fronte all’altro. Per l’Iran, ad esempio, questa esigenza è ottemperata dalle brigate Liwa Fatemiyoun e Liwa Zainebiyoun dell’IRGC, composte da rifugiati provenienti dall’Afghanistan e dal Pakistan. Altri players, invece, utilizzano a questo scopo le PMC (Private Military Companies). Non a caso, secondo Andrew Mumford “le PMC sono pronte a diventare in futuro l’elemento principale delle guerre per procura“.
Gli esperti concordano sul fatto che le imprese militari private presentino due importanti vantaggi rispetto all’esercito regolare: costano meno e non causano la cosiddetta “sindrome del Vietnam” nella società civile. Esso sono divenute una componente fondamentale e decisivo della politica internazionale e sono impiegate in numerosi conflitti armati in tutto il mondo. Il loro status particolare, e per molti versi opaco, ne consente l’uso anche in aree in cui alcuni Stati preferiscono agire senza ufficializzare la presenza dei propri soldati.
Di norma, queste strutture lavorano a stretto contatto con le agenzie militari e di intelligence dei loro paesi. Le PMC sostengono la reputazione e altri costi associati alla morte e alle ferite dei combattenti che non sono presenti negli elenchi dell’esercito regolare, svolgendo di fatto lo stesso lavoro.
L’Italia
Il paese più vicino all’Italia dove è in corso una guerra per procura è la Libia. Il dispiegamento in Libia di combattenti siriani addestrati e organizzati dalla Turchia ha dimostrato che Ankara è stata in grado di trasformare l’esercito nazionale siriano ribelle in una “compagnia di ventura”, da impiegare ovunque necessario. Si tratta, in pratica, di una formula a metà strada tra il modello iraniano e le classiche PMC occidentali, dal momento che i siriani operano sotto il controllo della PMC turca SADAT.
La Libia è l’estero vicino più importante dell’Italia, sia sotto il profilo della sicurezza (controllo dei flussi migratori illegali), sia per l’approvvigionamento energetico, eppure il futuro di questo paese è sempre più condizionato dalla volontà di Turchia e Russia. Tanto Ankara quanto Mosca, infatti, stanno utilizzando attivamente attori per procura sotto forma di PMC (SADAT e Gruppo Wagner), mentre Roma continua a muoversi nello scenario libico, alla vecchia maniera, tramite accordi con i vari soggetti politici e la presenza di un piccolo contingente delle proprie Forze Armate.
E’ evidente che Roma dovrebbe rimodulare la propria strategia per garantire i propri interessi nazionali e la propria capacità di influenza in Libia e in altre aree del mondo vitali per l’Italia. Ed è altrettanto palese che anch’essa ha la necessità di dotarsi di moderni strumenti finalizzati alla guerra per procura sul modello delle PMC. D’altronde l’Italia ha già una buona esperienza di partenariati pubblico-privati nell’ambito della sicurezza marittima (come dimostra il caso Marò), che può essere estesa anche agli scenari di conflitto terrestri.
Vale la pena a questo punto mettere a confronto i tre principali modelli di PMC: quello occidentale (principalmente americano), quello russo e quello turco, per capire quale potrebbe essere più adatto al caso italiano. Per effettuare la comparazione, utilizzeremo i seguenti parametri: addestramento ed esperienze di combattimento, ideologia e risultati conseguiti.
Addestramento ed esperienze di combattimento
Normalmente, negli Stati Uniti (prenderemo ad esempio Blackwater, oggi ribattezzata Academi) e in Russia (Wagner Group) le PMC sono formate prevalentemente da ex militari, inclusi ex membri delle unità speciali.
Blackwater ha guadagnato notorietà nel 2007 allorchè una sua unità ha ucciso 17 civili iracheni e ferito 20 persone in Nisour Square a Baghdad, per cui quattro contractors americani sono stati condannati negli Stati Uniti, ma recentemente graziati dal presidente Donald Trump.
Blackwater, poi Academi, (entrata a far parte di Constellis nel 2014), ha avuto esperienze di guerra in Iraq e Afghanistan. Altre PMC statunitensi sono invece presenti in Somalia.
Si ha inoltre notizia di una sulla loro partecipazione alla guerra in Yemen dalla parte della coalizione anti-Houthi.
L’esperienza dei russi, invece, è per certi aspetti molto più contenuta, ma al tempo stesso più intensa. Nel 1979 furono impiegati contro i mujaheddin in Afghanistan e, successivamente, contro i ribelli in Cecenia. Considerando che la maggior parte delle guerre per procura vengono combattute in paesi musulmani e che gli europei sono osteggiati soprattutto da gruppi islamici irregolari, i russi possono vantare un’esperienza unica nell’affrontare questo genere di minaccia. Il Wagner Group, infatti, è composto in gran parte da veterani dei conflitti in Afghanistan e Cecenia che conoscono molto bene questo nemico.
La principali esperienze delle PMC americane sono legate alla protezione delle strutture e delle missioni diplomatiche, oppure ad azioni mirate finalizzate all’eliminazione di nemici. In Yemen, ad esempio, i contractors statunitensi sono stati ingaggiati dagli Emirati Arabi Uniti per assassinare i leader del partito Islah, alleato dell’Arabia Saudita, nonostante essa sia a sua volta alleata degli Emirati nella coalizione anti-Houthi (Abu Dhabi considera Islah, ramo yemenita dei Fratelli Musulmani una potenziale minaccia).
I russi, invece, vantano una notevole esperienza nelle operazioni di combattimento sul campo. È stato proprio il Gruppo Wagner, in Siria, a scontrarsi con l’Isis, liberando porzioni significative del paese, compresa Palmyra, riconosciuta dall’UNESCO patrimonio dell’umanità.
Mentre le PMC americane hanno esperienza soprattutto per quanto concerne il controllo di un territorio occupato, i russi sono maestri nella controffensiva e vengono spesso impiegati per respingere terroristi o gruppi radicali e per procedere alla liberazione di importanti aree strategiche. Non a caso, il Gruppo Wagner in Siria, oltre Palmyra, ha dato un importante contributo alla liberazione delle regioni orientali e centrali della seconda città più grande della Siria, Aleppo, alla riconquista dei giacimenti di gas Shaer nella provincia settentrionale di Homs e rottura dell’accerchiamento dell’Isis contro la città di Deir Ezzor.
In conclusione, dunque, le PMC russe rispetto a quelle americane e occidentali vantano una maggiore esperienza di combattimento in termini di contrasto all’offensiva avversaria, nonché nell’ambito della difesa e nell’addestramento degli alleati.
La turca SADAT, invece, è nata nel 2012 ed è un fenomeno molto particolare. Inizialmente essa era controllata da ex militari di matrice islamista che avevano riscontrato difficoltà di inserimento e di carriera nell’esercito regolare di Ankara, da sempre fortemente connotato in senso laico. L’Esercito Nazionale Siriano (una delle principali milizie anti-Assad) è una sua diretta emanazione e gli istruttori di SADAT hanno preso parte direttamente ad operazioni di combattimento in Siria e in Libia e, secondo diverse fonti, nella recente guerra in Nagorno-Karabakh a favore dell’Azerbaigian, dove è stata ripetutamente segnalata la presenza di mercenari siriani, il cui arrivo nel Caucaso poteva essere realizzato soltanto grazie alla collaborazione di SADAT.
SADAT ha una notevole esperienza nella guerra asimmetrica, ma a causa dell’uso di combattenti ribelli siriani è caratterizzato da una disciplina molto inferiore rispetto a quella di un esercito regolare. La Turchia promuove attivamente il “marchio” SADAT, soprattutto nei paesi musulmani. Secondo diversi questa PMC è presente nelle basi turche in Somalia e Qatar. In essa fattore islamista gioca un ruolo importante che la rende inaffidabile per l’Italia.
L’ideologia
Il profilo del fondatore di Blackwater, Eric Prince, dimostra come alla base delle PMC americane ci sia una base ideologica. Prince si è autodefinito un figlio del libero mercato, vicino al mondo della finanza e all’estrema destra protestante americana (sebbene formalmente Prince sia cattolico).
Le PMC americane sono uno strumento organico dell’egemonia USA, promuovono l’eccezionalismo americano e sono fautrici di un mondo unipolare. Come la maggior parte delle PMC, lavorano a stretto contatto con i servizi militari e di sicurezza del loro paese.
Anche il profilo del fondatore del SADAT, il generale turco Adnan Tanriverdi, la dice lunga sul sostrato ideologico dell’organizzazione.
Di tendenze islamiste, vicino al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, il generale è sempre stato considerato una pecora nera nelle forze armate turche, orgogliose del loro secolarismo. Tuttavia, la guerra in Siria, e il successivo intervento turco nel conflitto militare libico, hanno fatto aumentare notevolmente le sue quotazioni.
Dal 2016 Tanriverdi è consigliere ufficiale del presidente turco ed ha ricoperto questo ruolo fino a poco tempo, all’inizio del 2020, quando è scoppiato uno scandalo: Tanriverdi ha pubblicamente dichiarato che si stava preparando all’avvento del Mahdi, una figura escatologica che nel mondo musulmano annuncia la Fine del Mondo e la battaglia decisiva delle forze dell’Islam contro il Male.
Nonostante lo scalpore suscitato, né Tanriverdi né SADAT hanno perso la loro posizione speciale e, anzi, SADAT è stato attivamente coinvolto nell’invio di mercenari siriani in Libia.
Il generale Tanriverdi ha continuato a professarsi politicamente islamista e, attraverso il Center for Strategic Studies of Advocates of Justice (ASSAM) di cui è presidente, è impegnato a sostenere la creazione della confederazione islamica Asrika (Asia + Africa).
Ingaggiare SADAT, pertanto, significa adottare un modello ideologico non meno rigido di quello americano, volto a diffondere nel mondo i valori occidentali e l’ideologia dei diritti umani, ma nel caso dell’organizzazione turca finalizzato alla costruzione di un progetto islamista, dietro il quale si cela la Fratellanza Musulmana, classificata come estremista e terrorista in molti paesi del mondo.
Il modello russo si presenta come fortemente alternativo ai due analizzati. Mosca, nell’ambito delle relazioni internazionali, è fortemente orientata sui principi del multipolarismo, che ritiene che ogni civiltà disponga di un proprio sistema di valori, in base al quale le varie nazioni sono legittimate a costruire il proprio particolare sistema politico. Coerentemente con questo approccio, le PMC russe tendono a non imporre modelli ideologici ai loro partner, il che rappresenta un vantaggio allorchè ad ingaggiarle sono paesi terzi, la cui sovranità, almeno in teoria, viene rispettata. Non è un caso che la collaborazione dei russi sia stata spesso richiesta dai governi ufficiali, ad esempio quello siriano e quello della Repubblica Centrafricana. Diverso è il caso libico – dove il Gruppo Wagner è intervenuto a sostegno del generale Khalifa Haftar – che però presenta alcune peculiarità, a cominciare dal fatto che entrambi i governi rivali (a Tripoli e Bengasi) mancano di piena legittimità.
A caratterizzare i combattenti delle imprese militari private russe sono, infine, un forte senso di patriottismo e una certa mistica della guerra, intesa come percorso di autorealizzazione esistenziale.
Risultati conseguiti
Andiamo ora a considerare i risultati effettivamente raggiunti dalle PMC in esame.
In Iraq e in Afghanistan la questione del ritiro delle truppe statunitensi è all’ordine del giorno, tuttavia in nessuno dei due paesi gli Stati Uniti hanno raggiunto gli obiettivi che si erano prefissi. Il terrorismo, innanzitutto, non è stato sconfitto, al contrario, in Iraq, ad esempio, proprio l’invasione americana ha provocato la nascita dell’Isis. Lo stesso è accaduto in Somalia, dove le PMC occidentali sfruttano la scomparsa dell’elemento statuale per rafforzare il loro potere, lasciando, però, che il paese diventi grande esportatore di terrore e instabilità in tutto il continente africano.
Certo, in Iraq gli americani hanno conseguito il controllo di importanti giacimenti petroliferi, ma il prezzo pagato è stato salato e ha comportato la distruzione dello Stato iracheno e il rafforzamento nell’area dell’Iran, storico nemico degli Stati Uniti, assai più pericoloso per Washington di quanto non fosse Saddam Hussein. Tutto questo senza contare che l’immagine degli USA e delle PMC americane è stata gravemente compromessa nella regione dallo scandalo Blackwater.
La SADAT turca, da parte sua, è riuscita in questi anni ad espandere notevolmente le aree sottoposte al controllo dei gruppi islamisti tanto in Siria quanto in Libia. La realtà è che l’alleanza con vari gruppi armati illegali ha creato un terreno fertile per la crescita del fondamentalismo islamico e del terrorismo, che continuano a rappresentare una costante minaccia per la sicurezza dei paesi vicini e dell’Europa. La stessa Turchia, il cui presidente Erdogan ha ampiamente foraggiato i gruppi più radicali per utilizzarli a proprio vantaggio, corre il rischio di vedere i propri clientes rivoltarglisi contro all’improvviso. A tal proposito basta ricordare che lo stesso Bin Laden era originariamente un alleato degli Stati Uniti.
Ma a prescindere dall’ideologia di base, il modello SADAT presenta ulteriori svantaggi. Ovunque sia intervenuto (in primis Siria e Libia), dopo essere riuscito a stabilizzare il conflitto, esso si è rivelato incapace (o in ogni caso tutt’altro che desideroso) di modificare in modo significativamente gli equilibri di potere e di pacificare il territorio sostenendone la ricostruzione.
Al contrario le PMC russe, ad esempio in Siria, non solo sono riuscite a sconfiggere l’ISIS, ma hanno contribuito a trasformare il paese in un baluardo contro l’estremismo islamico. In Siria lo stato laico è stato preservato, ha ripreso il controllo del proprio territorio e oggi Damasco è un affidabile alleato di Mosca, che viene percepita positivamente anche dalla popolazione locale, dimostrando che oltre alla battaglia sul campo e possibile vincere anche quella reputazionale, nonostante gli orrori della guerra.
In effetti il Gruppo Wagner in Siria, Libia e Repubblica Centrafricana ha saputo presentarsi principalmente come una forza in grado di garantire ordine e sicurezza, anche attraverso l’addestramento e lo sviluppo delle forze armate regolari locali.
Da questa comparazione emerge come i vari modelli operativi esistenti presentino tutti punti di forza e criticità. Ciò che resta indifferibile è l’esigenza italiana di non sottrarsi alla necessità di dotarsi di strumenti che le consentano di partecipare a pieno titolo, anche sul versante militare, alla competizione globale, mantenendo, ovviamente, una linea nelle relazioni internazionali e nell’approccio agli scenari di conflitto coerente con il proprio multilateralismo e con l’ancoraggio all’architettura di legalità internazionale definita dalle Nazioni Unite.
FONTE: https://loccidentale.it/larte-della-guerra-nel-xxi-secolo-guerra-asimmetrica-e-imprese-militari-private/
CULTURA
Di Giacomo Ferri, ComeDonChisciotte.org
Chi non conosce il grande astronomo, vissuto tra il XVI ed il XVII secolo, Galileo Galilei?
Chi non ha mai sentito parlare della notoria vicenda, che vide Galileo contrapporsi alla Chiesa Apostolica Romana, sulla teoria della terra che gira attorno al sole e non viceversa?
Penso che chiunque di noi italiani abbia studiato a scuola, almeno una volta, la storia di questo illustre personaggio, le sue scoperte e le sue vicende controverse.
Galileo Galilei è stato quello che oggi, inteso come momento storico, verrebbe definito un negazionista.
Perché negazionista? Non perché negasse le teorie astronomiche sostenute dalla Chiesa, anche se sarebbe più corretto usare il termine negatore, ma perché oggi verrebbe automaticamente definito, con un termine improprio, negazionista.
Col termine negazionista, negli ultimi mesi, non si identifica più qualcuno che nega in modo irrazionale l’esistenza della Shoah, o meglio dell’Olocausto ebraico, avvenuta durante la Seconda Guerra Mondiale, ma in senso molto ampio coloro che negano l’esistenza del Covid-19.
Qualcuno potrebbe chiedere “e dunque, qual è il problema se si etichetta qualcuno con l’appellativo di negazionista?”, di problemi ve ne possono essere, dapprima perché si va a sminuire, in modo sostanziale, il significato intrinseco di questo termine, come anticipato poc’anzi, coniato per riferirsi a coloro che non riconoscono l’Olocausto, che negano sia mai avvenuto e, in un certo qual modo, si offende la memoria di quel popolo decimato per questioni razziali.
In ultimo, con quel termine, più o meno indirettamente è come dare del nazista a qualcuno, cosa che ritengo essere molto, ma molto, grave!
Il problema dell’utilizzo improprio del termine negazionista, del quale bisogna ringraziare i media del mainstream, è l’aver creato un sistema becero ed ignorante (nel senso latino del termine), che con la loro smania di etichettare a tutti costi, di ghettizzare e stereotipare qualunque comportamento, persona o gruppo di individui, al fine di farli rientrare in modo forzoso in una categoria, sminuiscono il pensiero altrui e, in modo fattuale, la libertà di poterlo esprimere.
Normalmente, chi viene etichettato come negazionista, è colui che ha un pensiero diverso rispetto al Covid-19, diverso da quello indicato dal governo, o dalla televisione, ma che non necessariamente rientri nella categoria dei negazionisti, ma cerco di spiegarmi meglio.
Nella suddetta categoria ci possiamo trovare:
– quelli che, effettivamente, non credono all’esistenza del Covid-19;
– quelli che credono alla sua esistenza e ritengono che esso sia stato creato o diffuso deliberatamente;
– quelli che credono all’esistenza del Covid, ma non concordano con i dati relativi alla contagiosità, letalità e mortalità di questo virus;
– quelli che non credono all’efficacia dei tamponi, al loro utilizzo indiscriminato o ad essi come mezzo di controllo unico ed inconfutabile;
– quelli che non credono all’utilità delle mascherine come mezzo salvifico dal contagio del virus, mettendo in dubbio la loro utilità e ritenendo che esse siano anche nocive;
– quelli che credono che le restrizioni di clausura, o quarantena, non siano utili per difenderci dal contagio, non lo siano state e che, al contempo, siano dannose dal punto di vista salutare ed economico;
– quelli che ritengono che i mass media abbiano attuato una condizione di terrorismo mediatico e psicologico;
– quelli che ritengono che la crisi economica sia più grave di quella sanitaria;
– ed in generale quelli che esercitano il proprio pensiero in modo differente dalla massa.
A questo punto, vedendo che all’interno di questa etichettatura rientrano così tante tipologie di pensiero, si manifesta quindi il dubbio che il termine venga usato solo per chiudere la bocca al libero pensatore di turno e niente di più.
Ma torniamo a questo punto a Galileo ed alla teoria copernicana a cui lui si rifaceva.
Galileo è stato certamente un fisico, un matematico ed un astronomo, ma anche un astrologo e le sue teorie, oltre che le sue pratiche, non erano certo viste di buon occhio da tutta la Chiesa Cattolica, molti di loro lo ritenevano un ciarlatano, oltre che un eretico, e questo ha portato prima ad un ammonimento nel 1616 ed, in seguito, ad un processo vero e proprio che vedrà Galileo, nel 1633, costretto ad abiurare le sue scoperte e le sue teorie.
Il povero astronomo si è trovato a scontrarsi contro i dogmi della Chiesa, che non prevedevano la possibilità di mettere in dubbio che la terra, e quindi l’uomo, unica creatura di Dio, fosse al centro dell’universo.
Oggi, quell’astronomo e libero pensatore, che fu anche filosofo, per le motivazioni che ho già evidenziato, verrebbe immediatamente etichettato come negazionista, messo alla berlina dal sistema, gli sarebbe impedito di parlare pubblicamente e sarebbe tacciato di eresia. Pertanto, oggi come ieri, Galileo o chi come lui, prima o poi verrebbe costretto ad abiurare e a sottomettersi al sistema.
Quanti moderni Galileo, in questi mesi, vengono denigrati perché portatori di teorie non inclini alla “Chiesa Plutocratica” che in Italia è comandata dal vescovo Giuseppe Conte?
Quanti virologi e scienziati si sono visti soppiantare da veterinari, parassitologi e microbiologi dal grembiule muratorio, che hanno acquisito notorietà ed autorevolezza grazie al mainstream?
La Chiesa Cattolica nel 1992, 359 anni dopo l’abiura di Galileo, ha chiesto scusa per bocca di Papa Giovanni Paolo II ed ha cancellato la Condanna al Silenzio che era stata imposta sulla figura del Galilei e sulla sua teoria, scuse leggermente tardive aggiungerei, considerando che la teoria eliocentrica, alla fine, è stata accettata dalla stessa chiesa già nel 1822.
A prescindere dal fatto che per chiedere scusa la chiesa ci abbia messo 359 anni o che, per accettare la teoria copernicana, sostenuta e riveduta dal Galileo, ci siano voluti 206 anni, quello che realmente mi preoccupa è che questo possa avvenire anche nei confronti di quegli scienziati che suggerivano già da febbraio e marzo alcuni metodi di cura e di prevenzione del Covid-19!
Certo, non vedremo mai un governo chiedere scusa pubblicamente, non lo vedremo per le morti avvenute per aver curato male i pazienti, semplicemente perché i medici hanno adottato il protocollo del Ministero della Salute, protocollo suggerito dalla Cina, che prevedeva l’intubazione dei pazienti anziché utilizzare l’ossigenazione superficiale, come l’India invece ha fatto per conto suo; non assisteremo mai alle scuse pubbliche per aver ostacolato la sperimentazione e la cura attraverso il plasma iperimmune, metodo già noto per la cura della Spagnola; o per l’utilizzo dell’idrossiclorochina abbinata all’azitromicina, demonizzata dal The Lancet con un articolo, successivamente ritirato, ma che ormai aveva dato il pretesto ad alcuni governi, tra cui quello italiano, per mettere al bando questo tipo di cura; l’assunzione delle vitamine C e D, come prevenzione e cura per le sindromi influenzali e parainfluenzali, messe alla berlina come fossero sistemi creati da maghi ed alchimisti.
Queste ed altre cose purtroppo non le vedremo mai.
Ma a noi, credo di parlare per molti di noi, non interessano le scuse, ma interessa che lo Stato dia il via ad un sistema che, anche tacitamente, metta in atto una serie di programmi per la cura e la prevenzione della malattia che si sviluppa dall’infezione del virus Sars-cov2, che non si fossilizzi al solo obiettivo del “vaccino a tutti i costi” e che non guardi all’interesse economico delle grandi case farmaceutiche.
Lo so già, il mio è un pensiero utopistico, ma è l’augurio che faccio a noi tutti.
Per concludere, in modo più leggero, questa vigilia di Natale è apparso un articolo del comico Daniele Luttazzi su Il Fatto Quotidiano, articolo che è rimbalzato un po’ in tutta la rete, quella che potremmo definire come la rivincita di Galileo Galilei nei confronti della religione. Il Luttazzi si è inventato una direttiva dell’Unione Europea che paragona le religioni a cartomanti, astrologi, medium, piazzisti e venditori ambulanti e che esorta i vari ministri di culto di avvertire i loro fedeli che “[…] ciò che offrono è solo una forma di intrattenimento, non provata scientificamente”. Luttazzi, nella sua follia, aggiunge un approfondimento de Le Figaro dove spiega che “[…] all’ingresso dei luoghi di culto dovranno essere affissi cartelli per avvertire i potenziali fedeli di non prendere la religione troppo sul serio. […] Ai fedeli, inoltre, si dovrà spiegare in modo chiaro che le leggende religiose non sono che allegorie astrologiche del transito del Sole nel cielo[…] ” (1).
Non so quale fosse l’intento di Daniele Luttazzi, se vedere come un articolo surreale si propaga nella rete, chi e come avrebbe ripreso il suo scritto, ma fatto sta, leggendolo, mi sono tornate alla mente certe immagini, come quando il monaco Martin Lutero affisse alla porta della chiesa di Wittenberg le pagine con le sue tesi, che affrontavano i grandi problemi della fede e del peccato, della grazia e della penitenza.
Mi auguro che l’articolo rimanga una fantasia dell’autore e che non risuoni, in futuro, come una profezia non ascoltata del giornale diretto da Marco Travaglio, altrimenti il rischio sarà che, in nome della scienza, esca fuori un moderno Torquemada ed inizi la sua inquisizione contro gli uomini di fede, obbligando il malcapitato di turno all’abiura, al rinnegamento della propria fede o alla morte!
Ad ogni modo, non posso che dire: sono davvero tempi difficili!
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Di Giacomo Ferri, ComeDonChisciotte.org
NOTE
(1) = Daniele Luttazzi, “Lunedì l’Unione Europea equipara tutti i religiosi a cartomanti e astrologi“, Il Fatto Quotidiano, 24 dicembre 2020 – https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/24/lunedi-lunione-europea-equipara-tutti-i-religiosi-a-cartomanti-e-astrologi/6047085/
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Due pesi e due misure – Un crescendo di incoerenze, dai VIP allo Stato
Di Giacomo Ferri
In questo video, frutto di più di un mese di raccolta di video e documenti, potrete assistere alle incoerenze sanitarie italiane. Dagli spettacoli televisivi, alle feste dei VIP, alla quotidiana parzialità tra attività private e attività pubbliche, tutto ruota attorno alla mancanza di coerenza e di giusta informazione, che ci portano a dire, con disappunto, “due pesi e due misure!”. Il video è venuto più lungo del previsto, ma ogni giorno che passava incappavo in nuove contraddizioni che non potevo non aggiungere. Troverete alcune cose che magari avete già notato ed altre che vi coglieranno di sorpresa, alcune su cui vi siete soffermati ed altre su cui non avete potuto farlo, ma vi consiglio di guardarlo fino in fondo, perché ci sono delle parzialità davvero interessanti.
Buona visione: https://youtu.be/BS33_thsk2E
FONTE: https://comedonchisciotte.org/galileo-galilei-negazionista-ante-litteram/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Lista degli agenti russi e cinesi contro Pfizer
Dobbiamo a Il Foglio questa rivelazione di eccezionale valore:
Ema Leaks e propaganda russo-cinese contro il vaccino Pfizer
Gli attacchi hacker all’Ema, la diffusione di fake-news da parte di esponenti del regime cinese e dell’account del vaccino russo Sputnik V. Minare la credibilità del vaccino, di chi lo produce e di chi l’ha autorizzato indebolisce l’Europa e allontana l’uscita dall’emergenza”.
Siamo perfettamente d’accordo: le notizie che criticano il vaccino Pfizer o segnalano effetti collaterali letali vanno soppresse, non devono apparire perché sono falsità diffuse dalla propaganda russo-cinese, confezionate apposta per indebolire l’Europa.
Siamo lieti di contribuire a denunciare e smascherare agenti russi e cinesi infiltrati, onde siano presi i più severi provvedimenti.
Qui il quotidiano israeliano Haaretz, notorio covo di simpatizzanti per Pechino e Mosca
Migliaia di israeliani sono risultati positivi al coronavirus dopo il primo vaccino
Oltre 12.600 israeliani hanno contratto l’infezione Covid dopo la vaccinazione https://www.haaretz.com/israel-news/thousands-of-israelis-tested-positive-for-coronavirus-after-first-vaccine-shot-1.9462478
La notizia di cui sopra è falsa e non dovrebbe mai essere stata stampata. Israele è il paese con la più alta percentuale di vaccinati per 100 mila abitanti, e invece di lodare le guarigioni ottenute, cosa fanno questi prezzolati al soldo di Putin?
“Il quotidiano israeliano Calcalist riferisce che il Comitato Helsinki per i diritti umani dovrebbe pubblicare un comunicato in cui si afferma che Pfizer sta conducendo esperimenti umani non autorizzati.
L’organizzazione internazionale volta a garantire i diritti dell’uomo, istituita sulla base dell’Atto di Helsinki del 1975 della Conferenza sulla sicurezza e cooperazione in Europa, dovrebbe presentare un esposto al Ministero della Salute israeliano relativo alla vaccinazione di massa promossa dallo Stato Israeliano con Pfizer, in quanto si tratta di uno studio clinico e necessita di un’approvazione preventiva.
Il Comitato Helsinki potrebbe anche chiedere al Governo israeliano di interrompere il trasferimento di informazioni sulla vaccinazione di massa alla Pfizer.
La Dottoressa Tehila Schwartz-Altshuler del Center for Democratic Values and Institutions afferma: “Dire che questo non è un esperimento è una bugia”.
Insomma vorrebbero trascinare Pfizer davanti a un nuovo tribunale di Norimberga.
E a riportarlo – inaudito! – è l’organo dei coloni che occupano i territori palestinesi! Chi poteva immaginare che la direzione è in mano a hackers filo-cinesi?
Israel National News – Helsinki to declare Pfizer performing unauthorized human experiment
L’ultimo report della farmacovigilanza israeliana segnala 13 casi di paralisi facciale dopo la somministrazione del vaccino Covid.
Ma questo lo riporta direttamente Russia Today, quindi si smentisce da sé: propaganda dell’FSB
https://www.rt.com/news/512736-israel-facial-paralysis-13-covid-vaccine/
13 Israelis suffer FACIAL PARALYSIS after taking Pfizer Covid jab, amid influx of reports detailing adverse effects — RT World News
At least 13 Israelis have experienced facial paralysis after being administered the Pfizer Covid-19 vaccine, a month after the shot.
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/lista-degli-agenti-russi-e-cinesi-contro-pfizer/
DIRITTI UMANI
Navalny, pover’uomo
Ma quale Novichok : quel 20 agosto, sull’aereo che lo portava da Tomsk a Mosca, Aleksei Navalny è collassato per “una crisi metabolica [inibizione della colinesterasi] causata dalla combinazione di alcol, litio e benzodiazepine prese dallo stesso Navalny”.
Queste sostanze sono state trovare nelle sue urine dai medici dell’ospedale di pronto soccorso di Omsk dove l’aereo col malato ha fatto scalo di emergenza per lui – strano comportamento, se volevano ucciderlo – e, cosa più importante, sono le stesse sostanze trovate nelle urine dai medici della Charité di Berlino, dove i russi hanno lasciato che fosse portato come chiedevano Merkel e Macron.
Il litio trovato dai medici di Berlino nel sangue di Navalny è comunemente usato per curare i disturbi bipolari. È noto che deprime la butiril colinesterasi che i test di laboratorio di Navalny hanno rivelato anche nell’ospedale tedesco. In più, diabetico, prende “per stabilizzare il suo livello di insulina con la ben nota metformina, altro farmaco noto per essere un inibitore della colinesterasi.
Le prove mediche tedesche del presunto attacco sono state pubblicate dai medici che hanno curato Navalny alla Charité, guidati da Kai-Uwe Eckardt, – che, fatto significativo, è uno specialista del diabete non di veleni, il 22 dicembre sulla rivista medica britannica The Lancet . Le prove biomediche e farmacologiche sono state esposte in quattro appendici che sono state pubblicate separatamente da The Lancet e sottoposte a peer review separatamente (una circostanza eccezionale, secondo i ricercatori medici). Leggere questa prova qui [6] .
La pubblicazione del 22 dicembre non rivela un’identificazione più specifica da parte di Eckardt e dei medici di Berlino. Hanno scritto nel loro caso clinico di “avvelenamento grave con un inibitore della colinesterasi“; ma che fosse provocata dal nervino, si guardano bene dal dirlo. Ma allora da dove salta fuori l’accusa che si è trovato il Novichok, sostenuta con furia dalla Merkel e da tutto l’Occidente?
L’ affermazione che i medici di Berlino fanno nel loro rapporto secondo cui Navalny era stato avvelenato con un agente nervino Novichok proveniva non dal loro test o trattamento, ma dal laboratorio di Monaco dell’Istituto di farmacologia e tossicologia dell’esercito tedesco (IPTB) “diversi giorni dopo aver stabilito la diagnosi di avvelenamento da inibitori della colinesterasi ”.
I risultati dell’IPTB non sono stati forniti ai pubblici ministeri russi per le loro indagini, né l’identificazione chimica del presunto composto dell’agente nervino è stata divulgata pubblicamente, né ai pubblici ministeri che l’hanno richiesta. rimangono segreti di stato per la Germania e la NATO; per i dettagli di quella storia, leggere questo [9] .
Peggio: Eckardt e il suo gruppo riconoscono anche che il lavoro dell’IPTB “non ha influenzato le decisioni terapeutiche“. Ossia che hanno continuato a trattare il paziente come un diabetico che ha abusato di psicofarmaci, e non col trattamento altamente specifico obbligatorio nei casi di avvelenamento da organofosforo e agenti nervini.
Se si deve credere alla prova di Lancet dell’assunzione di droghe da parte di Navalny, egli aveva consumato un cocktail potenzialmente letale di farmaci che, se combinato con alcol e una condizione diabetica preesistente, avrebbe potuto innescare il impatto dell’inibitore della colinesterasi. “Quando un individuo prende benzodiazepine, di solito diventa così offuscato e confuso da perdere il controllo di ciò che ha assunto”, osserva lo psichiatra medico. il livello di alcol 0,2 nell’urina riportato dal test dell’ospedale di Omsk il 20 agosto “è un livello estremamente alto”. ” Il risultato del test 0.2 è stato riportato per la prima volta dall’urina di Navalny da Alexander Sabaev, capo tossicologo dell’ospedale russo, il 10 ottobre. “Era nelle urine, ma non nel sangue. Ciò suggerisce che l’alcol è in fase di eliminazione … Il paziente non è ubriaco, ma forse questo alcol era nel sangue … ore prima. Molto probabilmente, da sei a otto ore fa. ”
La stima di Sabaev [10] poneva il consumo di alcol di Navalny tra le 10 di sera e la mezzanotte a Tomsk, prima del suo volo per Mosca.
Quando Navalny affronterà il tribunale di Mosca, la veridicità dei test clinici a Omsk e Berlino, e delle affermazioni di Navalny, sarà testata per la prima volta. Le sue cartelle cliniche complete, compresi i test di laboratorio registrati all’Ospedale di emergenza n. 1 di Omsk prima di partire per la Germania, saranno certo presentate come prove. È probabile che venga rivelata anche la sua precedente storia medica, inclusi episodi segnalati di pancreatite acuta e diabete, che i portavoce di Navalny hanno negato.
Se a Navalny è stata prescritta la metformina per il diabete e il litio per la condizione bipolare, le prove saranno disponibili per essere contestate dagli avvocati di Navalny. Le prove di chi ha detto la verità sulla festa alcolica segnalata a Tomsk, la notte prima del crollo di Navalny, saranno testate anche da pubblici ministeri e avvocati della difesa”
Fin qui John Helmer, il britannico che ha scelto la Russia quando era ancora Urss, e da Mosca scrive reportages notevoli.
NAVALNY – PROVE BIOMEDICHE E DROGHE E ARTICOLO 275 DEL CODICE PENALE RUSSO
Alla fine viene fuori un Navalny infelice, un pover’uomo sotto benzodiazepine e litio, un depresso cronico a cui una bevuta occasionale può risultare letale per le interferenze con gli psicofarmaci e quello per controllare il diabete.
Recitare al parte di “primo e più temibile avversario di Putin” che gli hanno assegnato i servizi e i media occidentali è frustrante e malagevole, come obbligare uno a camminare con scarpe di tre misure più grandi. E’ il primo a sapere che non è vero, e lo dimostra,in fondo, anche il suo ritorno in Russia : doveva suscitare clamore mediatico-politico da titoli a caratteri cubitali, ma persino i media di servizio hanno dato la notizia in tono minore e senza convinzione. Perché dopotutto, di Aleksei Navalny non gliene frega niente a nessuno. Nemmeno a quelli che lo usano.
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/navalny-poveruomo/
“Pfizer e BioNTech stanno lavorando con l’agenzia del farmaco della Norvegia per indagare sui decessi di persone anziane registrati nel Paese e associati con la vaccinazione contro il coronavirus. Lo ha fatto sapere Pfizer secondo quanto riporta l’agenzia Bloomberg sul suo sito. Secondo Pfizer, l’agenzia norvegese ha rilevato che «il numero di incidenti finora non è allarmante ed è in linea con le aspettative». La stessa Bloomberg riporta che i decessi riportati sono 29, cioè sei in più rispetto ai 23 inizialmente riferiti.”
Questa è la notizia riportata da “Il Tempo” di oggi.
Si è già detto molto, anche su DonChisciotte, sui vaccini e sulla inefficacia di essi, se tale efficacia non è comprovata da almeno 5 anni di sperimentazione.
Ma ciò che è più preoccupante nella citazione riportata sul “Tempo” è il cinismo dell’agenzia norvegese, il fatto cioè che in questa Agenzia sanno già di stare usando la popolazione per sperimentare un prodotto la cui efficacia normalmente va comprovata con cavie in laboratorio.
E poiché le cavie finiscono quasi tutte col morire, ergo, la popolazione indifesa è sottoposta, attraverso la somministrazione di un vaccino scientificamente ancora all’inizio negli studi sulla sicurezza, ad una eutanasia globale, lo sterminio programmato al quale nemmeno un genocida come Stalin aveva mai pensato quando decise la decimazione dei kulaki.
FONTE: https://comedonchisciotte.org/forum/notizie/eutanasia-globalista/
ECONOMIA
Tutti i problemi della Bce (di cui nessuno parla) spiegati in 5 grafici
21 Gennaio 2021
Davvero non è emerso nulla di interessante da questo board di inizio anno? Qualcosa sì, in ossequio al motto in base al quale il diavolo sta nei dettagli.
Il nulla formale in cui si è sostanziata ufficialmente la riunione del board della Bce è sintetizzato alla perfezione nella battuta di un trader: “Nel comunicato di dicembre si utilizzava la formula «per cento», ora invece il simbolo %”.
Sicuramente è un segnale bullish. Umorismo finanziario.
D’altronde, dopo l’aumento dei controvalori di acquisto in seno al Pepp comunicati un mese fa, insieme a nuove aste Tltro, era difficile attendersi fuochi artificiali. Soprattutto per il clima di attesa sui mercati innescato da due variabili assolutamente dirimenti:
- le prime mosse dell’amministrazione Biden,
- lo sviluppo a livello globale della campagna vaccinale, vero boost della ripresa.
Ed ecco allora che per non deludere i più ansiosi, la Bce si è limitata al compitino rassicurante: il programma di acquisto Pepp proseguirà almeno fino al marzo 2022, il debito drenato in seno al Qe verrà reinvestito per un periodo di tempo prolungato anche dopo il primo rialzo dei tassi e, soprattutto, i bond comprati sotto l’egida del programma anti-pandemia e che andranno a maturazione verranno reinvestiti fino alla fine del 2023.
Insomma, la Wonder Woman di Francoforte ha alzato lo scudo anti-spread in favore di telecamere, in modo da renderlo ben visibile.
Davvero non è emerso nulla di interessante da questo board di inizio anno? Qualcosa sì, in ossequio al motto in base al quale il diavolo sta nei dettagli. In questo caso, all’interno di una frase persa fra le molte di prammatica del comunicato ufficiale: If favourable financing conditions can be maintained with asset purchase flows that do not exhaust the envelope over the net purchase horizon of the PEPP, the envelope need not be used in full. Equally, the envelope can be recalibrated if required. Insomma, una prima, minima ma netta concessione ai falchi all’interno del board. Gli stessi che, a detta di un conoscitore della cose europee come l’ex columnist del Financial Times, Wolfgang Munchau, stanno cominciando a preparare il campo di battaglia per una sorta di tapering del Pepp, quantomeno a livello di termine delle deroghe al principio di capital key, in caso davvero il vaccino anticipasse la ripresa.
Fonte: Reuters
Questo grafico mostra la dinamica in atto: di fatto, la Bce ha sì ribadito l’ammontare del piano anti-pandemico (1,85 trilioni) e la sua estesa durata temporale ma ha anche voluto inserire in un documento ufficiale una postilla tanto inutile a livello concreto, tanto chiara e dirimente a livello simbolico. Si sottolinea – per la prima volta messo nero su bianco – infatti che l’envelop potenziale nel suo massimale di intervento potrebbe non essere utilizzato del tutto ma, altresì, si ribadisce che in caso di necessità potrebbe invece essere ricalibrato.
Di fatto, il corrispettivo della convocazione di una conferenza stampa all’Onu per confermare che se non piove, sarà sereno. Ma proprio per questo conta l’inserimento di una banalità tale in un contesto di ufficialità: un monito, un primo sassolino infilato nella scarpa di chi pensava di poter correre tranquillamente verso orizzonti infiniti (e sempre più strutturali) di monetizzazione del deficit, causa Covid ed emergenza macro accessoria.
Quella di oggi è stata la conferenza stampa del non detto, in realtà. O, se si preferisce, un esercizio di stile di lettura fra le righe. Perché nonostante il silenzio generale sul tema, quasi una conventio ad escludendum in nome del minimo sindacale di senso del pudore, tutti erano concentrati su un unico argomento. Non a caso, Bloomberg ieri, alla vigilia della conferenza stampa di Christine Lagarde, ha rilanciato il seguente grafico:
Fonte: Bloomberg
Come mostra questo grafico, c’è ormai la certezza che la Bce stia operando in modalità di informale e non dichiarato – ancorché fattivo e funzionale – controllo sulla curva dei rendimenti. Esattamente come la Bank of Japan o quella australiana, come mostra questo altro grafico:
Fonte: Reuters
Peccato che, a differenza della due Banche centrali appena citate, l’Eurotower debba fare riferimento a 19 rendimenti obbligazionari sulla scadenza del decennale. E non a uno solo. Di fatto, lo stesso vice-presidente della Bce, Vitor Constancio, in un tweet di risposta a una domanda sul tema, ha gridato involontariamente al mondo come il Re fosse nudo: The only way the ECB could apply a sort of yield curve control approximately like Japan would be to concentrate purchases of countries’ bonds on e.g. 10 years maturities without fixing any target for the 19 yields, hoping to attain some desired levels by calibrating well the amounts bought… The policy would not need any certificates issuing. Di fatto, negando la possibilità ufficiale di operare strategicamente in tal senso ma anche certificando la eventuale non necessità di formalizzare un utilizzo «estroso» e limitato della guideline nipponica, Constancio lo ha confermato.
Sarà per questa ennesima, minuscola deroga a nientemeno che il mandato statutario della stessa Eurotower che i falchi in seno al board hanno richiesto l’inserimento di quella frasetta, apparentemente innocua e scontata, rispetto all’utilizzo dell’envelop? Qualcosa sta sfuggendo di mano, sottotraccia.
L’allarme lanciato da Wolfgang Munchau, quasi un annuncio solenne di imminente vendetta della Corte di Karlsruhe tramite il suo cavaliere nero, Jens Weidmann, appare più chiaro. Soprattutto, se letto attraverso questa lente di ingrandimento, piuttosto che quella parziale dell’insofferenza di Bundesbank e Paesi frugali verso la mera sospensione del criterio di limite per emittente e accettazione del debito greco come collaterale: se il Rubicone che Christine Lagarde intende varcare, facendosi scudo della pandemia come alibi, è quello di YCC policy in senso stretto, il banco potrebbe saltare.
Fonte: Bloomberg/Commerzbank
Perché se questa tabella, elaborata non a caso da Commerzbank, mostra come il Consiglio direttivo sia formalmente in mano alle colombe capitanate dalla presidentessa, la realtà è quella di un equilibrio già oggi precario e che rischia di incrinarsi del tutto, in caso il falco dei falchi decidesse di utilizzare il suo asso nella manica: appunto, il mandato costituzionale della Corte di Karlsruhe a disimpegnare la Bundesbank dal Pepp, causa violazione del principio di proporzionaità.
Ed essendo proprio la permanenza della deviazione dal vincolo di capital key – garanzia di spread sereni per Italia, Spagna, Portogallo e Grecia nei prossimi trimestri – direttamente legata all’extra indebitamento tedesco per l’anno appena iniziato e al conseguente aumento della platea di Bund monetizzabili dalla Bce, l’equazione appare elementare.
Forse per questo, Christine Lagarde si è sentita in dover di sottolineare come gli spread dei bond governativi sono benchmark fondamentali per la condizioni finanziarie ma la Bce non si sta focalizzando e non si focalizzerà su alcuno spread in particolare?
Insomma, al netto di un indiretto e silenzioso quanto esplicito invito a operare carry trade sui bonds dell’eurozona, prima di terminare in una spirale orwelliana di giapponesizzazione, il board di oggi ha segnato un primo, piccolo aumento della crepa nel muro di compattezza del contrasto emergenziale al virus.
Da un lato il fronte del Nord, dall’altro il Club Med. Come nel 2011. In mezzo, Christine Lagarde. E una certezza, confermata da questo grafico finale:
Fonte: Bloomberg
Non solo se vi vuole ammazzare il volume di trading reale di un bond sovrano, l’estremizzazione del Qe rappresentata dal controllo sulla curva dei rendimenti appare l’arma letale. Ma, soprattutto, attenzione agli immediati effetti collaterali di una simile scelta di obiettivo esplicito sulle dinamiche di rendimento: uscire da quel circolo vizioso diventa una sfida.
Perché nel momento stesso in cui gli investitori – reali, non un’onnivora Banca centrale – avranno percezione del fatto che quell’obiettivo stia per essere abbandonato, scaricheranno bonds e faranno salire i costi di finanziamento in maniera incontrollata. E quelle poche parole contenute nel comunicato potrebbero essere un avvertimento al riguardo.
FONTE: https://www.money.it/Problemi-Bce-5-grafici
La Cgia di Mestre svela il bluff dei “ristori”: coperto appena il 7% dei 423 miliardi di fatturato andati in fumo
“Sebbene in termini assoluti la somma sia certamente importante, i 29 miliardi di euro di aiuti diretti erogati fino ad ora dal Governo alle attività economiche coinvolte dalla crisi pandemica sono stati del tutto insufficienti a lenire le difficoltà subite dagli imprenditori. Se, infatti, rapportiamo questi 29 miliardi alla stima riferita alle perdite di fatturato registrata l’anno scorso dalle imprese italiane, importo che sfiora i 423 miliardi di euro, il tasso di copertura è stato pari a poco meno del 7 per cento circa: un’incidenza risibile. E in attesa dei nuovi ristori previsti nei prossimi giorni, l’arrabbiatura e il malessere tra gli operatori economici sono sempre più diffusi, in particolar modo tra coloro che conducono attività di piccola dimensione”. I numeri messi su bianco dall’Ufficio studi della CGIA di Mestre certificano il disastro in cui versano le imprese italiane e svelano tutta la falsa retorica sui cosiddetti ristori.
L’Ufficio studi della CGIA, infatti, stima che dei quasi 423 miliardi di riduzione del fatturato registrata nel 2020 (pari ad una contrazione del -13,5 per cento rispetto l’anno prima), almeno 200 miliardi sarebbero ascrivibili alle imprese dei settori che sono stati costretti a
chiudere per decreto.
E i risultati per il mondo delle imprese sono devastanti. Secondo l’ultima indagine realizzata dall’Istat – condotta su un campione di quasi 1 milione di imprese con oltre 12 milioni di addetti che, nel complesso, rappresentano quasi il 90 per cento del valore aggiunto e circa tre quarti dell’occupazione complessiva delle imprese dell’industria e dei servizi – sono quasi 292 mila le attività che si trovano in una situazione di crisi profonda. Attività che danno lavoro a quasi 1,9 milioni di addetti e producono un valore aggiunto che sfiora i 63 miliardi di euro. Il numero medio di addetti per impresa di questo cluster così in difficoltà è pari a 6,5. Micro imprese che, pesantemente colpite dall’emergenza sanitaria, non hanno adottato alcuna strategia di risposta alla crisi e, conseguentemente, sono a rischio chiusura. Sempre da questa indagine emerge che i settori produttivi più coinvolti da queste 292 mila attività sono il tessile, l’abbigliamento, la stampa, i mobili e l’edilizia. Nel settore dei servizi, invece, spiccano le difficoltà della ristorazione, degli alloggi, del commercio dell’auto e altri comparti come il commercio al dettaglio, il noleggio, i viaggi, il gioco e lo sport.
FONTE: https://loccidentale.it/la-cgia-di-mestre-svela-il-bluff-dei-ristori-coperto-appena-il-7-dei-423-miliardi-di-fatturato-andati-in-fumo/
IMMIGRAZIONI
L’Africa è pronta ad esplodere. L’Europa a sparire
FONTE: http://micidial.it/2021/01/lafrica-e-pronta-ad-esplodere-leuropa-a-sparire/
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
Collare elettronico per il distanziamento sociale dei lavoratori
renovatio21.com
I lavoratori delle fabbriche francesi hanno protestato contro quelli che hanno chiamato «collari per cani», apparecchiature che consentirebbero il distanziamento sociale nei luoghi di lavoro.
Si tratta, a tutti gli effetti, di collari elettronici dotati di sensori non dissimili a quelli usati per gli animali.
Gli operai d’Oltralpe hanno bollato la proposta come un «attacco alla libertà individuale» poiché i datori di lavoro stanno cercando di far loro indossare i dispositivi per applicare le restrizioni durante il lavoro.
I dispositivi di allarme emettono un rumore e si accendono se i lavoratori si avvicinano a meno di due metri insieme, ma sono stati stroncati da un sindacato operaio perché condurrebbero verso una «infantilizzazione» dei dipendenti.
I collari con allarme dovrebbero essere introdotti dalla società di igiene Essity, che vuole che i suoi operai li indossino al collo.
Il sindacato CFDT ha detto all’agenzia AFP che si tratta di «un sistema paragonabile a quelli che cercano di dissuadere i cani dall’abbaiare».
VIDEO QUI: https://youtu.be/oFes5fmpCoE
Christine Duguet, una rappresentante sindacale del CFDT, ha suggerito che i dispositivi «finiranno nei bidoni della spazzatura o rimarranno in un armadio», aggiungendo che «questa è una totale assurdità».
La sindacalista Duguet ha anche espresso preoccupazione per il fatto che la società tenterà di mantenere il sistema in vigore come «misura di sicurezza» anche dopo la fine della pandemia.
Il dispositivo, scrive Summit News, è prodotto da una società belga chiamata Phi Data, che offre anche un dispositivo simile che può essere attivato da chi lo indossa se sente che qualcuno si avvicina troppo.
In realtà, chi conosce la tecnologia Internet of Things (IoT) sa che questo tipo di dispositivi sono pronti da anni, e non vengono implementati, almeno in Occidente, a causa, appunto, delle possibili pressioni sindacali. Ora, con l’abbrivio pandemico, il sogno nel cassetto diventa realtà: collare per i lavoratori, in attesa dell’anello al naso vero e proprio.
È possibile tuttavia realizzare sistemi di controllo bio-logistico della classe lavoratrice molto più invasivi di quelli progettati per il distanziamento sociale: con un semplice sensore da polso – come quelli di uno smartwatch qualsiasi – non è possibile solo stabilire la posizione del lavoratore, ma anche il suo relativo impegno: pensate al numero di battiti cardiaci che deve mantenere un magazziniere, per esempio; se il cuore del lavoratore non batte abbastanza velocemente, probabilmente non sta facendo il suo dovere.
La Cina, che Conte poche ore fa ha definito come un alleato dell’Italia al pari degli USA, si è ovviamente già spinta oltre: come riportato da Renovatio 21, i cinesi sono pionieri dell’hardware di lettura dell’attività mentale (cioè, della concentrazione, basicamente) negli studenti, con intere classi di bambini sottoposte in maniera massiva a interfacce cervello-macchina.
La tecnologia IoT, che pone un microchip in ogni oggetto presente nella realtà, naturale o artificiale che sia, è esaltata dai libri del fondatore del Movimento 5 Stelle Gian Roberto Casaleggio. Il tema è discusso in profondità nel libro del fondatore di Renovatio 21 Roberto Dal Bosco, Incubo a 5 stelle (2014).
Fonte: https://www.renovatio21.com/collare-elettronico-per-il-distanziamento-sociale-dei-lavoratori/
19.01.2021
- Collare elettronico per il distanziamento sociale dei lavoratori
- “Jedi Blue”: l’accordo segreto firmato da Google e Facebook
- Diritti umani e vaccino, il Comitato Helsinki contro Pfizer
- In Germania sette infermieri hanno rifiutato il vaccino e sono stati licenziati
- Moni Ovadia furioso: “Teatri e cinema chiusi ma si dà priorità a Sanremo, siamo un paese miserabile”
FONTE: https://comedonchisciotte.org/collare-elettronico-per-il-distanziamento-sociale-dei-lavoratori/
PANORAMA INTERNAZIONALE
“Melania Trump escort”, la voce costata 3 milioni di dollari
Ha chiesto scusa Alan Friedman per la sua uscita su Melania Trump. Il giornalista e commentatore politico l’aveva definita una “escort” commentando le sue immagini mentre lasciava la Casa Bianca con il Presidente uscente degli Stati Uniti Donald Trump, suo marito. “Donald Trump si mette in aereo con la sua escort e vanno in Florida”. A poco è servito il tentativo di correggersi: “ehm, la moglie…”. Ancora meno un secondo di addossare la responsabilità a un problema di traduzione. Una bufera.
Si è scusato poi Alan Friedman. E la questione è diventata politica, con la destra a chiedere l’indignazione della sinistra, la sinistra a sentirsi dare delle accusa di femminismo a targhe alterne, la Rai a prendersi buona parte delle critiche. Non è la prima volta che Melania Trump è raggiunta da tali insinuazioni. L’ex First Lady, lontana anni luce da queste polemiche, almeno per il momento, modella, imprenditrice, in fuga dall’ex Jugoslavia comunista: il suo un sogno Americano non meno di quello del marito tycoon. La rampa di lancio tra Milano, Parigi e New York. E quindi, mentre il marito correva per la Casa Bianca, raggiunta dalla rivelazione totalmente infamante del The Daily Mail nell’agosto 2016.
L’articolo scriveva che Melania aveva lavorato per un servizio di escort quando faceva la modella. Citando in giudizio il Daily Mail e General Trust la causa, chiedendo 150 milioni di dollari di risarcimento, accusava anche il media di aver pregiudicato un’opportunità di lavoro di valore multimilionario. Il 18 febbraio la causa venne modificata, spostando il focus sul disagio emotivo. Un paio di mesi è durata la cosa: risolta tra le parti con un “accettiamo che le accuse mosse alla Signora Trump non sono vere, le ritiriamo e le ritrattiamo … abbiamo raggiunto un accordo a pagare i danni”. L’accordo raggiunto tra le parti, come riportato da Reuters, è stato di 2,9 milioni di dollari.
Un caso che ha preceduto quello di Friedman. Il giornalista e analista politico in prima battuta si era giustificato: “Stavo traducendo dall’inglese. La parola che volevo usare era accompagnatrice, mi è uscito escort”. E poi si è scusato, ritrattando tutto, riconoscendo la sparata fuori luogo: “Ho fatto una battuta infelice, di pessimo gusto, è andata male. Sai che sono contro i misogini e i maschilisti”, ha aggiunto in diretta a L’aria che tira a Myrta Merlino. Per il caso il direttore di Rai1 Stefano Coletta è stato convocato in commissione di Vigilanza Rai martedì prossimo, 26 gennaio, alle ore 20. Sul tavolo non solo la questione relativa a Friedman: la discussione riguarderà, come anticipato dall’AdnKronos, anche il capitolo ‘sicurezza’ del Festival di Sanremo, i mancati spazi di approfondimento della rete ammiraglia in casi come quello dell’assalto a Capitol Hill e altre questioni.
FONTE: https://www.ilriformista.it/melania-trump-escort-la-voce-costata-3-milioni-di-dollari-190359
POLITICA
IL GRAN RESET IN ITALIA SI ATTUERÀ CON IL CONTE TER
Per il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la forma è salva, ergo il terzo governo di Giuseppe Conte può prendere forma. Questo perché, con alchimie sul limite del “truffaldino”, è stata dimostrata l’esistenza d’una maggioranza posticcia, utile solo a far vedere che si può varare un esecutivo e, soprattutto, con la certezza che non verrebbe più messa alla prova almeno sino ai primi mesi del 2022. Perché, fatto il governo, soprattutto certi che non si dovrebbe più ricorrere a scostamenti di bilancio (aggiustamenti sul genere delle vecchie finanziarie che richiedono passaggi parlamentari) Conte andrebbe avanti solo con decretazioni di vario genere, senza più sottostare ai desiderata parlamentari, a quelle regole di democrazia che per decenni avrebbero, secondo i grillini, ingessato l’Italia. Poi, entrando a luglio la democrazia italiana nel “semestre bianco”, periodo di tempo c
orrispondente agli ultimi mesi del mandato di Mattarella, il governo viene blindato dalle regole e non può cadere: non si può andare ad elezioni. Ne deriva che Conte lavorerà ai fianchi la politica per chiedere, come segno di stabilità e spirito istituzionale, che vi sia un Mattarella bis. Poi “Giuseppi” tirerà dritto dal 2022 sino a fine legislatura, ovvero marzo 2023: per quella data le pressioni internazionali avranno già detto che Conte è l’Angelo Merkel d’Italia, che lo Stivale dovrebbe dare un segno di stabilità politico-economica con un ennesimo governo Conte (che ormai avrà già un suo partito centrista e legato alla componente cattolica di San Gallo).
Mai risultato migliore per Conte: proprio da queste pagine avevamo lanciato la regola del “Conte regna finché l’economia è bloccata”. Ne deriva che l’avvocato potrebbe benissimo adempiere al compito affidatogli dai suoi signori dei forum economici internazionali (Davos, G20): ovvero bloccare economicamente l’Italia, portare l’indebitamento pro capite e nazionale sino al limite d’oggettiva irreversibilità, sostituire la democrazia con la legalità burocratica, favorire il processo di Gran Reset che passa inevitabilmente attraverso il falò del risparmio medio e l’azzeramento dei patrimoni immobiliari (verrebbero conferiti secondo George Soros ad un fondo Onu che gestirebbe immobili e terreni dei paesi in default per corrispondere il “reddito universale”, ovvero la “povertà sostenibile”). Va aggiunto che i senatori a vita (a cui non auguriamo certo la morte) sono consci che non verranno più disturbati per eventuali votazioni, perché Giuseppi farà tutto da sé decretando per decreto. Nei piani alti del salotto beninformato si narra sia stato Mario Monti a spiegare ai senatori a vita le ragioni del Gran Reset in Italia: del resto, vi sono situazioni omologhe in tutte le vetuste democrazie occidentali. Oggi tutti si meravigliano per l’augurio di fallimento fatto da Monti alle imprese italiane, eppure (in pochi) dovrebbero rammentare che fu proprio il “premier del rigore” ad auspicare durante il suo governo (Monti regnava dal 16 novembre 2011 al 21 dicembre 2012) il “Gran Reset” dell’economia italiana attraverso licenziamenti di massa, ed un duro colpo a risparmio e patrimoni immobiliari. Durante quel “governo tecnico” si disse che, più del 60 per cento delle botteghe italiane non servono socialmente, che fanno solo tirare a campare chi le conduce Quindi dovrebbero chiudere per favorire le nuove pulsioni internazionali, ovvero l’accordo tra grande distribuzione e commercio elettronico: parole che abbiamo ascoltato nuovamente sotto pandemia, quando gli economisti graditi al mainstream hanno spiegato su giornali e televisioni che la chiusura di negozi, bar, ristoranti, teatri e cinema è economicamente ininfluente; anzi, queste chiusure favorirebbero la transizione verso l’economia digitale e la vita virtuale (acquisti online, vacanze virtuali, socializzazione via social network).
I signori del Gran Reset 2020/2021 hanno solo colto al volo, forti della loro rendita di posizione politico-economica, l’opportunità legata al Covid: ovvero utilizzare la pandemia per realizzare finalmente la nuova scala sociale, che secondo i loro pensatori salverebbe il pianeta dall’uomo. Per dirla in soldoni, sa tanto di sceneggiatura d’un vecchio film di fantascienza anni Settanta: in alto i signori filantropi del pianeta, in mezzo polizia e robot-computer, e sotto più dell’ottanta per cento dell’infelice umanità (ormai senza casa, senza risparmi, senza un lavoro fisso e con limiti alla procreazione). Ma torniamo alla nostra Italia, che ora assisterà all’indifferenza dell’esecutivo rispetto ad ogni pulsione parlamentare: un governo retto da maggioranza inesistente si porrà col Parlamento come un antico signore con i fantasmi che popolano la sua magione di famiglia. Il Conte potrà dire ai suoi “non fate caso, sono solo fantasmi”, come Marcello Mastroianni in “Fantasmi a Roma” di Antonio Pietrangeli. Oggi Mario Monti ispira il Conte terzo, quindi anche gli stessi grillini che nel 2011 lo attaccavano perché filiazione del Bilderberg e dell’Open Society di George Soros. Ecco perché Mario Monti scrive, sul Corriere della Sera, che “diviene perciò importante porsi con urgenza il problema di quanto abbia senso ristorare con debito, cioè a spese degli italiani di domani, le perdite subite a causa del lockdown. Quando per molte attività lo Stato sarebbe meglio che favorisse la ristrutturazione o la chiusura”.
Monti è chiaro, e vede nella pandemia un fondamentale arma economica per chiudere coercitivamente attività commerciali ed artigianali: quel “Gran Reset” che secondo l’élite dovrebbe in Italia favorire la chiusura delle attività con fatturato annuo inferiore ai duecentomila euro e con meno di cinque dipendenti. Perché uno degli obiettivi del “Gran Reset” è l’assestamento e stabilità delle macro-aree attraverso la concentrazione di risorse, capitali e patrimoni nelle ferree mani dei delegati dall’accordo tra grande distribuzione e commercio elettronico (in Italia la trattativa tra Amazon di Jeff Bezos e le gestioni Coop e Conad). Per concludere, Conte ha sulle spalle l’arduo compito di tirare dritto sino a marzo 2023, di dimostrarsi indifferenze a cospetto di pulsioni parlamentari e di piazza, di malessere e povertà, di fallimenti e suicidi. Il “Gran Reset” ha un prezzo per la coscienza, e Monti invita Giuseppe a non curarsi degli italiani inviluppati nelle malebolge.
FONTE: http://www.opinione.it/politica/2021/01/21/ruggiero-capone_gran-reset-conte-monti-soros-pandemia-semestre-bianco-bilancio-elezioni/
L’avvocato dei morti viventi: l’Italia in mani straniere
Come Vlad l’Inestinto, Giuseppe Conte sopravvive a se stesso a modo suo, fingendo di essere vivo tra le anime morte del Parlamento italiano, cioè i disperati peones del patetico “uno vale uno” e la puntuale ciurma dei voltagabbana di cui è provvida la gloriosa tradizione italica. Sbiadisce il finto outsider Matteo Renzi, campione dello spreco: l’unico autentico talento affabulatorio comparso sulla scena, da anni, subito messosi al servizio della guerra santa dei Marchionne e dei Burioni, dei Tony Blair d’ogni tempo, dei signori di BlackRock a cui regalare il succulento boccone di Poste Italiane, azienda in ottima salute e dunque semi-privatizzata ad personam. Sul trono sembra restare il sempre più precario Re Travicello di Volturara Appula, con la sua rete di servizi segreti e cardinali che lo utilizzò già nel 2018 come testa di legno, infiltrato dormiente del vero potere, allarmato dalle inquietudini elettorali che sembravano agitare il partito-chiesa dei No-Tap, No-Muos, No-Ilva, No-Tutto.
Unico vero pericolo, il roboante Salvini: stop agli sbarchi selvaggi (la farsa opaca dell’accoglienza) e il fantasma della “flat tax” come bandiera per reclamare il recupero della sovranità finanziaria, perduta in virtù dell’euro-sottomissione contro cui prometteva di battersi Paolo Savona, subito fulminato da Mattarella. Tolta la maschera, resta in sella l’eterno, solidissimo super-potere (straniero e trasversale, anti-italiano benché supportato da valenti collaborazionisti) che utilizza da quasi trent’anni gli ominicchi di quello che i 5 Stelle, ora alleati, fino al 2019 chiamavano il Partito di Bibbiano, cioè la “gioiosa macchina da guerra” progettata da eminenti officine internazionali e affidata a Massimo D’Alema e Giorgio Napolitano con attorno una variopinta congerie di personaggi di calibro infinitamente minore, dall’acefalo Bersani (oggi rappresentato da un fior di ministro come Speranza) all’altrettanto sconcertante Zingaretti, l’aparatchik romano-sovietico che voleva imporre ai medici la vaccinazione antinfluenzale, oltre 100 milioni di euro (questa risulta la spesa, condivisa con la Calabria) finiti sostanzialmente nella spazzatura, insieme agli altri 14 milioni di euro per le mascherine acquistate e mai consegnate alla Regione Lazio.
Opportunismo tattico: i grigi mestatori del Pd sono riusciti persino a utilizzare Renzi per neutralizzare il grottesco cesarismo di Conte, i cui “azionisti di riferimento” gli avevano chiesto di affidare l’intero malloppo del Recovery Plan a pochi commissari di stretta fiducia, bypassando non solo il Parlamento, ma anche i partiti al governo. Grazie all’insurrezione renziana, si dice, si è raggiunto almeno un risultato: far diventare digeribile il Recovery, cestinando l’oscena versione proposta in prima battuta da “Giuseppi”, per conto dei poteri a cui risponde, in proprio. Poteri che impongono l’ennesima genuflessione dell’Italia, ma stavolta in un’ottica minacciosamente terminale, quella del Grande Reset che vorrebbe la morte civile della nazione, la fine delle piccole imprese e l’eutanasia della democrazia, a colpi di decreti, a cui gli ex cittadini (possibilmente sudditi) dovrebbero piegarsi, marcendo nella paura fino a rinunciare a vivere.
Giganteggia la Cina, sulla “cavalcata dei morti” guidata da Conte: la Cina a cui Bergoglio, reduce da una storica alleanza anche formale con i Rothschild, ha affidato il potere di nomina dei vescovi cattolici. Troneggia l’oligarchia transnazionale che ha fatto di tutto per sfrattare l’indocile Donald Trump, e che in Europa ha bisogno di un’Italia azzerata, già annientata nel Mediterraneo, e domani estinta anche come player economico. E’ il paese dove il signor Elkann incassa miliardi per l’ex Fiat e fabbrica mascherine pagate dal governo, però le tasse le versa all’estero. In più stipendia giornalisti (”Stampa” e “Repubblica”, “l’Espresso”) e cede l’Fca ai francesi e l’Iveco ai cinesi, senza che l’eroico Landini batta ciglio, neppure di fronte al genocidio sociale di milioni di lavoratori. Zingaretti e colleghi si apprestano a regnare su una specie di cimitero, con l’aiuto dei “volonterosi responsabili”. Come sempre, tratteranno: chiederanno ai padroni per quanto tempo ancora il capo dei becchini, formalmente, dovrà essere il loro piccolo, oscuro avvocato pugliese.
(Giorgio Cattaneo, 21 gennaio 2021).
FONTE: https://www.libreidee.org/2021/01/lavvocato-dei-morti-viventi-litalia-in-mani-straniere/
SCIENZE TECNOLOGIE
L’era dell’ultima religione: dall’eugenetica alla pandemia
C’è un filo sottile che collega certo ecologismo ideologico, ben rappresentato dalla più recente icona del progressismo liberal, Greta Thunberg, e una forma di cieca e assoluta fiducia nella tecnologia e nella scienza, che permane anche quando queste ultime non riescono a dare certezze, come è avvenuto, purtroppo, durante la pandemia globale di Coronavirus tutt’ora in corso. Ambientalismo e scientismo acritico sembrano infatti presentarsi, anche e paradossalmente in un’epoca segnata, più che dalla laicità, da un diffuso atteggiamento laicista, come due tra i molteplici aspetti di una nuova forma di pseudo-religiosità, caratterizzata, come le vere religioni, da un approccio assolutamente fideistico.
È quella che due autori di grande competenza nei rispettivi campi, come il saggista ed esperto di religioni orientali Gianluca Marletta e il medico e saggista Paolo Gulisano, cultore di Storia della medicina, hanno definito, nel loro ultimo saggio, edito da Giubilei Regnani – Historica Edizioni, “L’ultima religione”. Tale definizione, peraltro, è anche il titolo del saggio. Che va letto partendo da un presupposto: quello che, come spiega Marletta, “l’uomo a-religioso non esiste. Può esistere chi non crede nel ‘trascendente’ ma non chi non crede a nulla. Le ideologie della modernità, in larga misura atee, sono state delle ‘religioni’ a tutti gli effetti. C’è chi non crede in un Principio superiore ma, al contempo, crede fermamente in un Caso onnipotente che può generare la vita, l’intelligenza e l’uomo per pura ‘fortuna’. Ogni atto della vita, in qualche misura, è un ‘atto di fede’. Peraltro, nel mondo attuale, il materialismo ateo modello ottocentesco è ormai passato abbastanza di moda: il ‘mondo nuovo’ che da qualche parte si ha in progetto di creare non sarà assolutamente a-religioso, benché potrà rifiutare le Religioni intese in senso tradizionale. Per questo abbiamo definito Ultima Religione l’ideologia oggi imposta globalmente: una religione coi suoi dogmi, i suoi precetti validi per le masse, i suoi ‘prodigi’ e persino, come vedremo, con una sua apocalittica ed una sua escatologia”.
“L’ultima religione – aggiunge Paolo Gulisano – è una forma di idolatria: un mix di buonismo, di ecologismo, di Cristianesimo senza Cristo. Ma non solo: in un mondo che non crede più in Dio, cosa rimane? I dogmi dello scientismo. Non è Dio che salva, ma un farmaco prescelto e annunciato dallo stesso Nuovo Ordine Mondiale. Ciò perchè tra i nuovi idoli c’è la Dea Salute. Una divinità alla quale si è pronti a sacrificare tutto, a partire dalle libertà”.
Le origini di questa moderna pseudo-religione vengono individuate dai due autori in una circostanza storica ben definita: quella dell’Impero Britannico del XIX secolo. “L’ideologia dominante del mondo odierno – spiega infatti Marletta- è ‘malthusiana’ ma molti punti di vista: denatalismo, dissoluzione dei legami familiari, controllo della popolazione, sono tutti concetti che derivano da Malthus. Naturalmente, si tratta di un malthusianesimo 2.0, colorato d’arcobaleno, riverniciato a volte della retorica sentimentale dei ‘diritti’ e della ‘difesa dell’ambiente’, purificato dai più indigesti presupposti razzisti e classisti che andavano di moda nell’800 inglese… ma della stessa ideologia stiamo parlando”.
“Ormai da più di mezzo secolo – prosegue Gulisano – si sta diffondendo e imponendo nella cultura una mentalità ossessionata dal problema della sovrapopolazione. Dal Club di Roma ai giorni nostri questa ideologia ha sostenuto la necessità di una drastica riduzione delle nascite. Qualcuno pensa che la stessa epidemia e i mezzi utilizzati per affrontarla non siano altro che la soluzione finale a questo ‘problema’. Le virgolette sono d’obbligo, perché in realtà se nel mondo ci sono ampie sacche di miseria, la causa non è certo nel fatto che “siamo in troppi”, ma nel fatto che le risorse non sono distribuite secondo giustizia. Anzichè ridurre i commensali a tavola, occorrerebbe aumentare le portate”.
Se, però, la rivoluzione industriale che determinò l’egemonia di quel Regno Unito dell’Ottocento nel cui seno fu partorito il pensiero malthusiano contribuì in maniera determinante all’eclisse del sacro, in futuro “il ‘mondo nuovo’ propugnato dalle elìte – come spiega ancora Marletta – non sarà necessariamente anti-religioso (non stiamo più nell’800 o nella prima metà del 900): l’importante è che le Religioni tradizionali vengano svuotate di contenuto, ‘purificate’ da intralci dottrinali o etici, dal riferimento al Principio divino – possiamo parlare più di uno psichismo che di uno spiritualismo – rese liquide per essere colate nello stampo anodino e sincretico dell’Ultima Religione. Da questo punto di vista, anche alcune autorità religiose ‘tradizionali’ sembra stiano lavorando alacremente…”.
“Nel corso della storia – sostiene inoltre Gulisano – è avvenuto spesso che alcune religioni diventassero Instrumenta Regni, delle organizzazioni poste al servizio della politica, braccia armate del potere. Oggi si vorrebbe che ciò diventasse la norma. Il Cristianesimo fin dalle origini si è posto come radicalmente alternativo al mondo. Oggi purtroppo assistiamo ad un appiattimento della Chiesa Cattolica – la Chiesa 2.0, la New Church, o addirittura Fake Church come viene definita da qualcuno- sul mondo, sulle sue parole d’ordine, sulle sue agende. Gesù Cristo duemila anni fa disse ai suoi discepoli: Voi siete nel mondo, ma non siete del mondo. Oggi sembra che i vertici ecclesistici se ne siano dimenticati”.
Nel libro non mancano diversi riferimenti al Coronavirus. Un evento che certe elité hanno accolto più come un’opportunità che come una drammatica catastrofe… “Come é stato ribadito per decenni da numerosi ‘uomini di spicco’ – commenta Gianluca Marletta – i grandi cambiamenti necessitano di grandi crisi. Da questo punto di vista, è persino secondario chiedersi se il Covid sia stato una ‘fatalità’ naturale o non piuttosto un evento indotto (anche se sul libro ci siamo posti anche questa domanda). L’importante è l’effetto prodotto: un’accelerazione straordinaria verso il Great Reset, un passo decisivo verso il ‘mondo nuovo’“. “L’arrivo del virus- sulla cui origine ci sono ancora molti misteri irrisolti- ha rappresentato – gli fa eco Gulisano – l’occasione a lungo attesa per iniziare una rivoluzione economica, sociale, politica, e perfino antropologica. Non si vuole solo cambiare le società: si vuole anche cambiare l’uomo. E’ la minaccia inquietante del Transumanesimo. Uno scenario che certamente ricorda le più spaventose distopie letterarie del ‘900. E quel che preoccupa di più è la debolezza dell’antagonismo a questo disegno, che sembra avanzare come in una guerra-lampo trovando scarsa resistenza”.
Nel libro gli autori parlano, al riguardo, di “apocalisse atea”. “L’ideologia dominante al giorno d’oggi – spiega al riguardo Marletta – ha una coloritura fortemente apocalittica, pur non avendo un riferimento specifico al Trascendente. Basti vedere quanti continui allarmi globali (anche prima del Covid) caratterizzano gli ultimi anni (allarme clima, catastrofe climatica imminente, ecc.) con tanto di previsioni precise sul punto di non ritorno dell’umanità che sarebbero degne di un veggente… L’Ultima Religione non manca della sua apocalittica, come abbiamo detto. Anzi: ha un’impostazione escatologica piuttosto evidente e prorompente”.
“Il nostro libro – conclude Paolo Gulisano – si propone di aprire gli occhi ai lettori sullo scenario inquietante che si sta profilando. In questo momento storico occorre avere una mente libera, occorre avere delle coscienze salde. E bisogna aver chiaro che di fronte alla marea montante di questa rivoluzione occorre salvare il seme, cioè l’essenziale, la verità sull’uomo. Poi, passata la tempesta, bisognerà tornare a seminare…”.
FONTE: https://blog.ilgiornale.it/puglisi/2020/12/23/lera-dellultima-religione-dalleugenetica-alla-pandemia/
“Jedi Blue”: l’accordo segreto firmato da Google e Facebook
lantidiplomatico.it
Una recente causa antitrust intentata da procuratori statunitensi contro Google, rivela che il gigante della tecnologia e Facebook hanno firmato un accordo segreto chiamato ‘Jedi Blue’ (Jedi Blue), nel quadro di un’alleanza che impedisce di fare competere tra loro, secondo quanto si legge su un articolo pubblicato dal New York Times nei giorni scorsi.
Nel 2017, la società di Mark Zuckerberg ha annunciato che stava testando un nuovo modo di vendere pubblicità online minacciando il dominio di Google su quel mercato. Tuttavia, meno di due anni dopo, Facebook ha cambiato posizione e si è unita a un’alleanza di aziende guidate da Google, che ha sviluppato un approccio simile.
Sebbene Facebook non abbia mai spiegato perché ha accantonato il suo progetto, le prove presentate il mese scorso in una causa antitrust da 10 pubblici ministeri indicano che Google aveva esteso un accordo di partner al suo potenziale rivale, in cambio di una serie di vantaggi.
I dettagli della transazione redatta nella causa intentata in un tribunale del Texas erano visibili in una versione preliminare rivista dal quotidiano.
I dirigenti di sei degli oltre 20 partner dell’alleanza hanno dichiarato al New York Times che i loro accordi con Google non includevano molti dei termini favorevoli ricevuti da Facebook e che il gigante della ricerca aveva dato un vantaggio al social network significativo sul resto.
Aste pubblicitarie
“Jedi Blue” comprende un segmento in crescita del mercato della pubblicità online chiamato pubblicità programmatica.
Tra i millisecondi da quando un utente fa clic per accedere a una pagina Web e gli annunci vengono caricati, si verifica un’asta per riempire lo spazio pubblicitario disponibile. Google ha padroneggiato quel sistema con i suoi strumenti e con l’accordo è riuscito a evitare altri concorrenti, secondo il rapporto.
Sebbene sia emerso un metodo alternativo per ridurre la dipendenza dalle piattaforme pubblicitarie di Google, la società di ricerca ha sviluppato un sistema simile chiamato Open Bidding, che consente l’accesso di terze parti.
Tuttavia, Google addebita una commissione per ogni offerta vincente e molti non sono soddisfatti della trasparenza del servizio.
La divulgazione dell’accordo segreto tra le due multinazionali ha riacceso le preoccupazioni su come le più potenti aziende tecnologiche possano stringere alleanze per frenare la concorrenza attraverso accordi privati e clausole di riservatezza.
Da parte loro, Google e Facebook hanno assicurato che tali accordi erano comuni nel settore della pubblicità digitale e hanno negato che “Jedi Blue” sia anticoncorrenziale .
Un portavoce di Facebook ha dichiarato che accordi come questo “aiutano ad aumentare la concorrenza” nelle offerte di annunci e che gli argomenti contrari sono “infondati”.
Pubblicato il 20.01.2021
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FONTE: https://comedonchisciotte.org/jedi-blue-laccordo-segreto-firmato-da-google-e-facebook/
STORIA
Storia dell’Armenia
La storia dell’Armenia è un tesoro mondiale unico, pieno di cronache di grandi civiltà, biografie di personaggi leggendari, momenti drammatici associati alla formazione del Cristianesimo.
Molte volte l’Armenia ha subito invasioni da parte di conquistatori stranieri, più di una volta sembrava che il nome stesso dell’Armenia fosse stato cancellato dalla mappa. Ma il popolo armeno è sopravvissuto, difendendo la propria esistenza nella lotta più dura.
Trentamila chilometri quadrati, che oggi occupa la Repubblica d’Armenia, costituiscono solo una piccola parte, meno di un decimo, di quell’enorme Armenia storica, le cui cronache sono diventate un capitolo a parte nella storia e nella cultura del mondo.
Le più importanti rotte commerciali e militari del mondo antico, che collegavano est e ovest, passavano attraverso gli altopiani armeni. Una posizione così favorevole dell’Armenia attirò numerosi conquistatori. Pertanto, i confini dell’antica Armenia furono soggetti a frequenti cambiamenti e gli armeni dovettero sviluppare nuove terre. Ecco perché la storia dell’Armenia è ricca e infinita.
Il nome originario armeno per questa regione era Hajq, divenuto più tardi Hajastan, denominazione attuale del Paese, traducibile come “la terra di Hajk” (termine composto dal nome “Hajk” e dal suffisso sanscrito ‘stan‘ (terra), che è tipico anche in persiano per indicare un territorio).
Secondo la leggenda e la tradizione armena, Hajk, progenitore di tutti gli Armeni, era un discendente di Noè (essendo figlio di Togarmah, che era nato da Gomer, a sua volta nato dal figlio di Noè, Yafet) e, in base alla tradizione cristiana, antenato di tutti gli armeni. Hajk si stabilì ai piedi del monte Ararat, cima centrale e più alta dell’altopiano armeno, sacra per gli armeni in quanto considerata il luogo dove si posò l’arca di Noè dopo il diluvio universale. Successivamente Hajk partì per assistere alla costruzione della Torre di Babele e, ritornato dalla Mesopotamia, sconfisse il re assiro Nimrod presso il Lago di Van, nell’Armenia occidentale, l’attuale Turchia.
Il diffuso termine Armenia fu dato alla regione dai popoli confinanti per indicare la tribù più potente presente nel territorio (gli Armeni, appunto) e che dimorava in quelle terre. Il nome Armenia si dice derivi da Armenak o Aram (un discendente di Hajk e, secondo la tradizione armena, un altro grande “padre della patria“, un grande condottiero del popolo armeno). Fonti precristiane riportano invece la derivazione dal termine Nairi (cioè “terra dei fiumi“) che è l’antico nome della regione montuosa del paese e che è usato sia da alcuni storici greci sia dall’Iscrizione di Bisotun, ritrovata in Iran e risalente al 521 a.C.
A parte il fatto che gli antichi apparvero sul territorio dell’Armenia all’inizio del Paleolitico, le prime tribù pre-armene che abitavano gli altopiani armeni sono menzionate già a cavallo tra il IV e il III millennio a.C.
All’inizio del I millennio a.C. emerse una società di classe. Le tribù degli altopiani armeni si unirono tra loro e decretarono come capitale la città di Tushpa. Si formò così l’antico stato schiavista di Urartu. Durante questo periodo si verificò un’intensa unità etnica delle tribù degli altopiani armeni e si formò la nazionalità armena.
Il Regno di Urartu, situato tra l’Asia Minore, la Mesopotamia e il Caucaso, area poi conosciuta come Armenia, era incentrato attorno al Lago di Van (oggi nella Turchia orientale). Il Regno durò dall’860 al 585 a.C. Il nome corrisponde al biblico Ararat. La civiltà di Urartu, fiorita quindi nel Caucaso e nell’Asia Minore orientale tra l’800 a.C. e il 600 a.C., fu il primo Impero Armeno.
Esso fu unificata sotto il regno del re Aramu che unificò tutti gli stati confederati. Si estendeva dal Mar Nero fino al Mar Caspio, compresa gran parte del territorio dell’attuale Turchia orientale. Visse il periodo di massimo splendore sotto il regno di Sarduri II, durante il quale Urartu controllava la Cilicia e la Siria settentrionale.
Il nome Urartu fu dato al regno dai suoi più acerrimi nemici stanziati a sud, gli Assiri; proviene dalla fonti assire (dialetto dell’accadico), e sta per “paese di montagna“.
Alcuni studiosi ritengono che l’Ararat dell’Antico Testamento sia una variante dell’accadico “Urartu”: infatti il monte Ararat era ubicato proprio nel territorio urarteo, circa 120 km a nord della sua antica capitale. Va anche ricordato che nell’Antico Testamento “Ararat” era utilizzato anche per indicare un antico regno che si trovava a nord della Mesopotamia. Allo stesso modo le prime cronache armene (V-VII secolo) affermano che il nome originario dell’Armenia era “paese dell’Ararat”. Le variazioni forse vengono dall’armeno “Ajrarat“, che significa “terra del coraggioso” e “terra degli Armeni”.
Urartu è spesso chiamato “Regno di Ararat” in molti antichi manoscritti e testi sacri di diverse nazioni. La ragione per l’incertezza nei nomi (ad esempio Urartu e Ararat) dipende dalle variazioni presenti nelle fonti.
A volte le fonti antiche utilizzano in maniera intercambiabile “Armenia” e “Urartu” per riferirsi allo stesso paese. Per esempio, nell’Iscrizione di Bisotun in tre lingue, scolpita nel 520 a.C. per ordine di Dario il Grande di Persia, il paese è definito Arminia in antico persiano, Harminuia in elamita e Urartu in babilonese.
Inoltre, il Regno fu conosciuto come Armenia presso i Greci (e poi i Romani) che vivevano nell’Anatolia occidentale, forse perché i contatti che loro ebbero con Urartu, furono attraverso il popolo della tribù di Armen.
Tra il tardo VII e gli inizi del VI secolo a.C., il Regno Urarteo fu sostituito dal Regno di Armenia, a cui fu a capo la dinastia armena degli Orontidi.
Esempi di questa straordinaria civiltà sono rappresentate non solo dall’esistenza della scrittura, dallo sviluppo dell’agricoltura, dell’allevamento del bestiame e della metallurgia, ma anche dall’alta tecnologia di costruzione di città-fortezze.
Tuttavia, contraddizioni interne, mancanza di unità, l’invasione degli Assiri avvenuta all’inizio del VI secolo a.C., causarono la caduta di Urartu.
Dopo la caduta della civiltà di Urartu intorno al 600 a.C., il Regno di Armenia fu governato dalla dinastia degli Orontidi, che regnò dal 600 a.C. al 200 a.C.. Sotto gli Orontidi, l’Armenia vacillò tra l’indipendenza e la sottomissione all’Impero Persiano sotto forma di satrapia.
La dinastia degli Orontidi fu la prima dinastia nella storia dell’Armenia. Gli Orontidi stabilirono la loro supremazia sull’Armenia al tempo delle invasioni di Sciti e di Medi intorno al VI secolo a.C., periodo nel quale gli Armeni assunsero nomi e costumi iranici. I loro discendenti continuarono a regnare nel regno di Sofene per breve tempo, e di Commagene fino al 72.
Gli Orontidi, essendo legati alla corte persiana se non per lo stesso sangue sicuramente per legami matrimoniali, agirono come satrapi o governatori provinciali. Senofonte nella sua Ciropedia fa cenno al re Armeno Tigrane come alleato di Ciro il Grande. Tigrane pagava tributi ad Astiage. Suo figlio assunse anch’egli il nome di Tigrane che allo scoppiare del conflitto tra Medi e Babilonesi si rifiutò di rispettare i suoi obblighi con i Medi. In quanto erede di Astiage, Ciro richiese quei tributi. Il fatto è comprovato dalla citazione di Strabone nella sua Geografia (XI, 13.5).
Nel 521 a seguito della confusione creata dalla morte di Cambise e la proclamazione di Smerdi come re, gli Armeni si rivoltarono. Dario I di Persia inviò un generale armeno di nome Dâdarši a soffocare la rivolta, che venne poi sostituito dal persiano Vaumisa che sconfisse i ribelli armeni il 20 maggio 521. Intorno allo stesso periodo, un altro armeno di nome Arakha, figlio di Haldita, reclamò di essere figlio dell’ultimo re di Babilonia, Nabonide, e salì sul trono con il nome di Nabuccodonosor IV. Questi eventi sono registrati nelle iscrizioni Behistun secondo le quali la ribellione di Nabuccodonosor IV ebbe vita breve e fu sedata dal luogotenente di Dario, Intafrene.
Dopo la riorganizzazione dell’Impero Persiano, l’Armenia fu divisa in diverse satrapie. I satrapi d’Armenia inviarono contingenti di truppe nell’invasione di Serse contro la Grecia del 480 a.C. Nel 401 a.C. Senofonte attraversò l’Armenia con un contingente di mercenari greci, e lasciò la testimonianza della presenza di due appartenenti alla dinastia degli Orontidi, entrambi di origine persiana. Uno di essi, nobile e ufficiale di alto rango, era comandante della cittadella di Sardi e si sollevò contro Ciro il Giovane a favore di Artaserse II Memnone poco prima della battaglia di Cunassa, ma fu arrestato e giustiziato da una corte marziale. Senofonte nel suo Anabasi ci lascia una dettagliata descrizione dell’Armenia, ed afferma che la regione nei pressi del fiume Centrite, c’era un Oronte figlio di Artasyra che aveva contingenti armeni e alarodiani.
Prima della dissoluzione del dominio seleucide, uno Stato ellenistico frutto della divisione dell’impero di Alessandro Magno, di cui faceva parte il Regno Armeno, l’Armenia si divise in due, per volere del sovrano seleucide Antioco III nel 215 a.C.:
la parte occidentale del Regno, che diventò l’Armenia Minore, fu affidata al principe Zariadris.
La parte orientale fu affidata al principe Artaxias con il nome di Armenia Maggiore (di cui faceva parte anche il Gordiene), Artaxias sarà il fondatore della dinastia degli Artassidi (190 a.C. – 1 d.C.).
La dinastia degli Artassidi governò l’Armenia dal 189 a.C. fino al loro rovesciamento da parte dell’Impero Romano nel 16 d.C. Il loro regno comprese l’Armenia Maggiore, Sofene e in maniera irregolare l’Armenia Minore e parti della Mesopotamia.
Nel 201 a.C. il sovrano seleucide Antioco III il Grande conquistò l’Armenia maggiore e Sofene sconfiggendo la dinastia orontide a cui rimase al controllo di Commagene, sebbene fosse ridotta a stato vassallo. Antioco elesse Artaxias satrapo dell’Armenia Maggiore e Zariadres satrapo di Sofene. A seguito della sconfitta di Antioco da parte dei Romani nella battaglia di Magnesia nel 190 a.C., Artaxias e Zariadres si rivoltarono e, con il consenso di Roma, fondarono due regni autonomi; Artaxias sull’Armenia Maggiore e Zariadres sulla Sofene. Anche l’Armenia Minore e Commagene riguadagnarono la loro indipendenza.
Artaxias I d’Armenia è considerato uno dei sovrani più importanti nella storia armena. Egli si presentò come un discendente legittimo della dinastia degli Orontidi, sebbene non ci siano prove della sua connessione con questa famiglia. Al principio del suo regno, parti dell’altopiano armeno abitate da popolazioni di lingua armena erano ancora sotto il dominio di nazioni straniere. Artaxias I pose l’unificazione di tutte le popolazioni di lingua armena come l’obiettivo primario del suo regno. Lo storico e geografo greco Strabone ci ha lasciato il racconto delle conquiste di Artaxias I: “Dicono che l’Armenia, un tempo piccola, venne estesa grazie ad Artaxias e Zariadris, che prima erano generali di Antioco il Grande, e, dopo la disfatta di quest’ultimo, divennero re; l’uno in Sofene, Amfissene, Odomantis e in qualche altro distretto, l’altro nella regione di Artaxata. Accrebbero insieme i loro domini, sottraendo territori ai popoli limitrofi: ai Medi presero la Kaspiane, la Faunitis e la Basoropeda; agli Iberi il pedemonte del Paryadres, la Chorzene e la Gogarene, che si trova al di là del Kyros; ai Chalybes e agli Abitatori dei mosynes, la Karenitis e la Derxene, che confinano con la Piccola Armenia o ne fanno parte; ai Cataoni l’Akilisene e la zona dell’Antitauro, ai Siri la Tamonitis: per questa ragione, tutti costoro parlano la stessa lingua.” (Strabone, Geografia, XI, 14.)
Artaxias fu anche il fondatore della capitale armena Artaxata grazie all’aiuto del generale cartaginese Annibale che ottenne rifugio nel suo esilio dai Romani nella corte di Artaxias. La popolazione della precedente capitale Orontide di Ervandashat fu interamente trasferita ad Artaxata. Sono state trovate oltre una dozzina di pietre miliari sul territorio della moderna Armenia risalenti al periodo di Artaxias contenenti iscrizioni in aramaico, prima della loro scoperta l’esistenza di queste pietre era già attestata dallo storico armeno Mosè di Corene. In queste iscrizioni Artaxia si proclama discendente della dinastia degli Orontidi: Re Artaxias, figlio dell’Orontide Zariadres.
Durante il Regno di Tigrane il Grande (95 a.C. – 55 a.C.) l’Armenia raggiunse l’apice del suo potere e divenne rapidamente lo stato più potente del Vicino Oriente. I suoi confini si estendevano dal Mar Caspio al Mar Mediterraneo. Tigrane fondò una capitale in una posizione più centrale del suo regno con il nome di Tigranocerta. Larghe porzioni della regione furono in seguito conquistate dai Parti, che costrinsero la dinastia a firmare un trattato di amicizia. L’Iberia caucasica, l’Albania, e l’Atropatene furono persi dagli Artassidi ed il resto del regno diventò vassallo. I Greci dell’Impero Seleucida offrirono a Tigrane la corona del Regno Seleucida nell’83 a.C.
All’apice del suo splendore, dal 95 al 66 a.C., l’Armenia maggiore si estendeva dal Caucaso all’attuale Turchia orientale, fino alla Siria e al Libano, dando vita al secondo impero armeno sotto la guida di Tigrane II il Grande, che fondò anche una nuova capitale: Tigranocerta, di cui l’archeologia moderna non è stata ancora in grado di ritrovare la locazione. Nel 66 a.C., le legioni romane di Pompeo invasero l’Armenia maggiore e Tigrane fu costretto ad arrendersi accettando di far diventare il suo regno un protettorato romano.
Nei primi quattro secoli dopo Cristo, l’Armenia perse gradualmente la sua indipendenza. Il dominio nel regno armeno fu conteso da due potenti imperi: l’Impero Romano e lo stato persiano dei Sasanidi. Fino alla metà del I secolo, un certo numero di governanti, graditi a Roma, furono sostituiti sul trono armeno. Nella seconda metà del secolo l’influenza romana in Armenia iniziò a cedere il passo a quella orientale. Trdat, il fondatore della nuova dinastia arsacide, salì al trono armeno.
In risposta, l’imperatore romano Nerone inviò le sue legioni in Oriente sotto il comando del generale Gneo Domizio Corbulone. Diversi anni di guerra contro i Persiani non portarono il successo ai Romani i quali furono costretti ad accettare la pace. I Romani e i Persiani giunsero presto alla decisione di dividere tra loro le terre armene, di cui la maggior parte andò ai Persiani. Così nel 428 il re persiano Varakhran V trasformò l’Armenia in una provincia dello stato sasanide e pose fine alla dinastia arsacide in Armenia.
Ma più di cento anni prima, nel 301 l’Armenia adottò il Cristianesimo come religione di stato. Secondo la tradizione, la Chiesa Apostolica Armena fu istituita da due dei dodici apostoli: San Giuda e San Bartolomeo, i quali predicarono il Cristianesimo in Armenia dal 40 al 60. Tra il I e il IV secolo, la Chiesa armena fu guidata da patriarchi. Il primo cattolico della Chiesa di Armenia fu San Gregorio Illuminatore(circa 257-337). A causa della sua fede, fu perseguitato dal Re pagano d’Armenia, e “punito” con l’essere gettato nella prigione fortezza di Khor Virap. Ottenne il titolo di “Illuminatore”, in quanto illuminò lo spirito degli Armeni introducendoli al Cristianesimo.
Nel 405 fu anche creato l’alfabeto armeno da parte del monaco cristiano Mesrop Mashtots.
Nel 591, il grande guerriero bizantino e imperatore Maurizio sconfisse i Persiani e portò gran parte del territorio armeno all’interno dell’Impero. La conquista fu completata successivamente dall’Imperatore Eraclio nel 629.
Nel 645, gli Arabi musulmani del Califfato dei Rashidun attaccarono la regione conquistandola. Così l’Armenia, che un tempo aveva i suoi regnanti ed era stata sotto Persiani e Bizantini, passò sotto il dominio dei Califfi. Come Emirato di Armenia (Arminiyya), era governata da un principe, riconosciuto anche da Bisanzio, che aveva sede a Dvin, non lontano da Erevan (dinastia Bagratuni o Bagratidi).
Tuttavia, esistevano ancora zone dell’Armenia sotto l’Impero bizantino. La popolazione che abitava quelle regioni mantenne una grande influenza sull’Impero. L’imperatore Eraclio (610-641) era di discendenza armena, così come l’imperatore Filippico (711-713). L’imperatore Basilio I, che salì al trono nell’867, fu il primo di quella che è chiamata la dinastia armena, indicando così la forte presa degli Armeni sull’Impero Romano d’Oriente.
Nell’884 i principi armeni si ripresero la loro indipendenza, che difesero fino al 1045, quando furono nuovamente sottomessi da Bisanzio. In questo periodo l’Armenia visse un rinascimento culturale, politico ed economico. Fu fondata una nuova capitale, Ani ora in Turchia. La cronaca narra che Ani vantava circa 200 mila abitanti e ben 1001 chiese, in un periodo in cui le capitali europee non arrivavano a 20 mila abitanti. Con la costruzione di Ani, l’Armenia divenne una popolosa e prosperosa nazione che ebbe influenza politica sulle nazioni vicine. Tuttavia, il sistema feudale indebolì gradualmente il paese erodendo il sentimento di lealtà nei confronti del governo centrale.
La conquista bizantina fu di brevissima durata: nel 1071, dopo la sconfitta di Bisanzio da parte dei Turchi Selgiuchidi guidati da Alp Arslan nella battaglia di Manzikert, l’Armenia Maggiore fu conquistata dai Musulmani. Per fuggire dalla morte o dalla schiavitù, migliaia di famiglie lasciarono l’Armenia e si insediarono in terre straniere.
La situazione diede ai Curdi l’opportunità di espandersi nel territorio dell’Armenia. Ani, La “Città dalle 1001 Chiese” fu devastata dalle successive invasioni di tribù turche. Ma il cataclisma peggiore per Ani fu un terribile terremoto che nel XIV secolo rese la città il fantasma di sé stessa.
Il conte Baldovino I di Gerusalemme, che con il resto dell’esercito crociato attraversava l’Asia Minore verso Gerusalemme, abbandonò la missione e si rifugiò presso Thoros di Edessa. Essendo ostili ai Selgiuchidi quanto ai Bizantini, gli Armeni presero in simpatia il conte e quando Thoros fu assassinato, Baldovino I divenne capo di un nuovo regno crociato, la Contea di Edessa. Gli Armeni simpatizzavano molto per i Crociati e molti di loro combatterono al loro fianco. Quando Antiochia fu conquistata nel 1097, Costantino, figlio di Rupen, ricevette dai Crociati il titolo di barone. Nell’arco di un secolo gli eredi di Rupen furono compensati con il regno noto come Cilicia o Armenia Minore. La Cilicia fiorì sotto il governo armeno e divenne l’ultimo stato armeno del medioevo. Il regno acquistò un’identità armena ed i suoi governanti venivano chiamati armeni e non re di Cilicia. Poiché le famiglie cattoliche estesero la loro influenza sulla Cilicia, il Papa cercò di promuovere una conversione della regione al Cattolicesimo, fenomeno che divise il regno in due fazioni. La sovranità armena in Cilicia ebbe termine nel 1375 quando i Mamelucchi d’Egitto approfittarono della sua debolezza per invaderla.
Tra il IV ed il XIX secolo l’Armenia fu conquistata e governata da molti popoli, in ultimo gli Ottomani che rimasero padroni della regione per centinaia di anni, fino all’ottenimento dell’indipendenza del 1918. Mehmed II conquistò Costantinopoli nel 1453, e ne fece la capitale dell’Impero Ottomano.
Poi il Sultano invitò l’arcivescovo armeno a stabilire un patriarcato a Costantinopoli. Gli armeni di Costantinopoli crebbero vertiginosamente di numero e divennero una componente rispettabile della società ottomana. L’Impero Ottomano seguiva la legge coranica. Ciò significava che gli infedeli come Cristiani ed Ebrei dovessero pagare dei tributi straordinari.
Mentre gli armeni di Costantinopoli beneficiavano di privilegi, gli altri armeni subivano le angherie dei vari pascià e pagavano esosi tributi imposti dalle tribù curde. L’Impero Ottomano cedette una piccola parte del territorio armeno all’Impero Russo a seguito delle guerre Russo-Turche (1828-1829). Nel 1839 la situazione degli armeni ottomani migliorò grazie alle riforme di Abdul Mejid I, tuttavia gli ultimi sultani, come Abdul Hamid II frenarono le riforme e causarono dei terribili massacri, come i famigerati massacri Hamidiani del 1895-96. Nel 1915, l’Impero Ottomano causò una grande migrazione di massa della popolazione armena durante la quale morirono almeno un milione e mezzo di armeni.
L’Armenia occidentale fu riconosciuta come parte della Repubblica di Armenia nel Trattato di Sèvres del 1920.
L’espressione genocidio armeno, si riferisce a due eventi distinti ma legati fra loro: il primo è relativo alla campagna contro gli armeni condotta dal sultano ottomano Abdul-Hamid II negli anni 1894-1896; il secondo è collegato alla deportazione ed eliminazione di armeni negli anni 1915-1916. Il termine “genocidio” è associato soprattutto al secondo episodio, che è commemorato dagli armeni il giorno 24 aprile.
Sul piano internazionale, ventuno stati tra i quali la Federazione Russa, hanno ufficialmente riconosciuto come genocidio gli eventi descritti.
Con la Prima Guerra Mondiale in corso, l’Impero Ottomano accusò i cristiani armeni di essere alleati della Russia imperiale e usò questo pretesto per procedere al loro sterminio. Gli eventi del 1915-1923 sono considerati dagli Armeni come un genocidio. Le autorità turche invece, affermano ancora oggi che si trattò di una guerra civile aggravata dalla malattia e dalla carestia. Il numero esatto dei morti è ancora da stabilire. Questi massacri sono celebrati tradizionalmente il 24 aprile, nel giorno dei martiri per i Cristiani armeni.
Dopo la Rivoluzione Russa del 1917 e l’ascesa al potere dei Bolscevichi, Stepan Shaumyan fu posto a capo dell’Armenia. In seguito alla Rivoluzione le truppe russe persero rapidamente il territorio armeno ottomano occupato.
La convenzione di Tiflis si ebbe nel settembre 1917 ed in essa si elesse un Consiglio Nazionale Armeno. Nel frattempo sia gli Unionisti turchi dell’Ittihad che i nazionalisti armeni si mossero per ottenere l’alleanza con i bolscevichi. Mustafa Kemal inviò alcune delegazioni a Mosca ma questa alleanza si dimostrò disastrosa per l’Armenia. La firma del patto Russo-Ottomano del 1 gennaio 1918 diede al Pascià Vehib la possibilità di attaccare la nuova Repubblica Federale Democratica Transcaucasica, cui dal 28 maggio succedette la Repubblica Democratica di Armenia.
I nazionalisti turchi combatterono contro gli armeni con la giustificazione che questi ultimi avevano commesso crimini di guerra contro le popolazioni turche delle province ottomane. Ebbe così inizio la Guerra Turco-Armena. Sotto la forte pressione di Ottomani e truppe curde irregolari, la Repubblica di Armenia dovette ritirarsi da Erzincan fino a Erzurum. A sud-est, nel Van, gli armeni resistettero ai turchi fino all’aprile 1918, ma furono costretti ad evacuare e ritirarsi in Persia. Quando i tatari azerbaigiani si affiancarono ai turchi e interruppero le linee di comunicazione, tagliarono fuori il Consiglio Nazionale Armeno di Baku ed Erevan dal Consiglio di Tiflis. Fra i due fronti, i ribelli islamici azeri rovesciarono Shaumyan e dichiararono una Repubblica Transcaucasica indipendente dalla Russia.
Il Trattato di Sèvres (10 agosto 1920) tutelava la Repubblica Democratica e si impegnava ad unirvi i territori dell’Armenia Ottomana. Tuttavia, il Trattato fu respinto dal movimento nazionale turco, guidato dal generale Mustafa Kemal, il quale rovesciò il sultanato ottomano multi-etnico di Istanbul proclamando una repubblica nazionale laica con capitale Ankara. La Guerra Turco-Armena si concluse con il Trattato di Alessandropoli (2 dicembre 1920), l’odierna Gyumri, che sancì la vittoria turca e l’annullamento delle concessioni di Sèvres. Immediatamente dopo, il 29 novembre, l’11° Armata Sovietica entrò in Armenia e il 4 dicembre 2020 prese Erevan, ponendo fine alla Repubblica Democratica.
L’Armenia fu incorporata nell’Unione Sovietica il 4 marzo 1922 come parte della Repubblica Socialista Sovietica Federativa Transcaucasica, che comprendeva anche Georgia e Azerbaijan. Subito dopo, il Trattato di Alessandropoli fu sostituito dal Trattato di Kars (11 settembre 1922), in cui la Turchia cedeva alla Russia l’Agiaria georgiana, con il porto di Batumi, in cambio delle città russo-armene di Kars, Ardahan e Iğdır.
L’Armenia Sovietica partecipò alla Grande Guerra Patriottica (Seconda Guerra Mondiale) inviando centinaia di migliaia di soldati al fronte per difendere la Madrepatria sovietica. L’Armenia beneficiò ampiamente del sistema economico sovietico, così villaggi di provincia divennero gradualmente città.
Alla fine degli anni Ottanta, con il progressivo indebolimento del sistema politico sovietico, si manifestarono tensioni sia all’interno della repubblica che con la vicina Repubblica Socialista Sovietica Azera con la quale era da decenni aperto il contenzioso sulla regione del Nagorno Karabakh. All’epoca vivevano in Armenia circa 80 mila azeri mentre circa 400 mila erano gli armeni nella vicina repubblica. I Pogrom di Sumgait a danno della minoranza armena della città aprirono una stagione di scontri etnici che culminò nel 1992 con la Guerra del Nagorno Karabakh.
Nel frattempo l’Armenia fu colpita il 7 dicembre 1988 da un violentissimo terremoto che provocò decine di migliaia di vittime.
L’Armenia dichiarò la sua indipendenza dall’Unione Sovietica il 21 settembre 1991. In ottobre di quello stesso anno venne eletto presidente della nuova Repubblica Levon A. Ter-Petrosian, che precedentemente era stato a capo dell’ex Soviet supremo dell’Armenia. Nel 1992 l’Armenia entrò a far parte dell’ONU.
Nel 1996 Ter-Petrosian fu rieletto per un secondo mandato ma, dimessosi nel 1998, il potere passò a Ṙobert K’očaryan sotto la cui presidenza le condizioni di vita degli armeni migliorarono gradualmente. I leader del successivo decennio sono stati Serž Azati Sargsyan, Presidente dell’Armenia dall’aprile 2008 all’aprile 2018 e Nikol Pashinyan, Primo Ministro in carica.
L’attuale Armenia confina con la Turchia a ovest, la Georgia a nord, l’Azerbaigian e la repubblica de facto dell’Artsakh (già Nagorno Karabakh) a est, l’Iran e l’exclave azera del Naxçıvan a sud. È quindi uno Stato senza sbocco al mare.
L’Armenia è un territorio prevalentemente montuoso, senza sbocchi sul mare, ricco di vulcani spenti, risultato di un sollevamento della crosta terrestre avvenuto venticinque milioni di anni fa che ha creato l’altopiano armeno e la catena del Caucaso Minore che si estende dal nord dell’Armenia verso sud-est, tra il Lago Sevan e l’Azerbaigian, fino al confine con l’Iran. L’Armenia si trova quindi nel cuore di un’area ad alto rischio sismico.
La popolazione secondo i dati relativi al luglio 2005 era di 2.982.904 abitanti. La popolazione è composta per la maggior parte di armeni che costituiscono (censimento del 2001) il 97,9% della popolazione; il resto comprende curdi (1,3%), russi (0,5%). Il principale fenomeno demografico che caratterizza l’Armenia è l’emigrazione. Alcune stime contano 8 milioni di armeni residenti all’estero, soprattutto in Francia e negli Stati Uniti.
La lingua ufficiale è l’armeno, anche se la quasi totalità della popolazione armena parla come seconda lingua il russo.
L’Armenia è un paese a maggioranza cristiana. La Chiesa armena vanta una tradizione antichissima, che risale al III secolo d.C. (l’Armenia è considerata la prima nazione al mondo ad aver adottato, nel 301, il cristianesimo come religione ufficiale). La Chiesa Apostolica Armena professa un cristianesimo di tipo orientale. Fortemente conservatrice e ritualistica, la Chiesa armena è per questo vicina a quella copta, a quella ortodossa siriaca e a quella Ortodossa in generale.
L’Armenia è una repubblica parlamentare.
In passato, secondo la costituzione del 2005, l’Armenia era una repubblica semipresidenziale. Il presidente della Repubblica era eletto direttamente dal popolo per un mandato quinquennale. Benché il presidente avesse forti poteri, il primo ministro doveva godere della fiducia del Parlamento.
A seguito dell’approvazione del referendum costituzionale del 2015, sono state introdotte alcune modiche alla Costituzione dell’Armenia, con efficacia a partire dalle successive tornate elettorali del 2017 e 2018: l’ordinamento statuale è mutato dal sistema semipresidenziale al sistema parlamentare, con elezione parlamentare del presidente della Repubblica (che non deve appartenere ad alcun partito politico), il cui mandato è stato prolungato da 5 a 7 anni, e il numero dei seggi parlamentari è stato ridotto da 131 a 101.
Nell’ottobre 2014 è entrata a far parte dell’Unione economica eurasiatica, che comprende Federazione Russa, Kazakistan, Bielorussia, Armenia, Kirghizistan. L’Unione eurasiatica nell’ottobre del 2019 ha anche stipulato un accordo di libero scambio con la Serbia.
Il settore primario occupa il 40% della popolazione. Si coltivano principalmente frumento, orzo, mais, patate, tabacco, ortaggi, vite e frutta. Il latte di pecora dà il famoso motal. L’Armenia è comunque costretta a importare grandi quantità di generi alimentari perché la produzione locale non è in grado di soddisfare il fabbisogno del paese. Importante è anche l’estrazione di oro, rame, zinco, ferro, argento e gas naturale.
L’Armenia è un paese altamente industrializzato. Il settore industriale è quello che conta in assoluto più addetti al lavoro. Hanno una particolare importanza le industrie di genere alimentare, cartaria, meccanica, elettrica, tessile, chimica, della gomma, del cemento e del tabacco.
Luca D’Agostini
Fonti
Каждан А. П. Армяне в составе господствующего класса Византийской империи в XI—XII вв., Изд-во АН Арм., Erevan 1975
Тревер К. В. Очерки по истории культуры древней Армении (II в. до н. э.—IV в. н. э.), М.-Л.: Издательство АН СССР, 1953
Адонц Н. Г. Армения в эпоху Юстиниана, Изд-во Ереванского Университета, 1971, Erevan 1971
Mack Chahin, The Kingdon of Armenia, Dorset Press, New York 1987
David Marshall Lang, Armenia: Cradle of Civilization, George Allen & Unwin, Londra 1980
Edward N. Luttwak, The Grand Strategy of the Roman Empire: From the First Century A.D. to the Third, Johns Hopkins University Press, Baltimora 1979
George A. Bournoutian, A History of the Armenian People: Prehistory to 1500, Mazda Publishers, Costa Mesa 1994
George A. Bournoutian, A history of the Armenian people, Volume 2: 1500 A.D. to the Present, Mazda Publishers, Costa Mesa 1994
Nicholas Adontz, Armenia in the Period of Justinian: The Political Conditions Based on the Naxarar System, Peeters Publishers, Lovanio 1970
Louise Nalbandian, The Armenian Revolutionary Movement: The Development of Armenian Political Parties through the Nineteenth Century, University of California Press, Berkeley 2020
Alberto Rosselli, L’olocausto armeno. Breve storia di un massacro dimenticato, Solfanelli, 2010 Chieti
FONTE: http://www.madrerussia.com/storia-dellarmenia/
Quel fascista di Gramsci (o forse no)
La storia di Mario, il fratello dimenticato del fondatore del Partito comunista italiano. E il giallo sulla sua fine: morì davvero mussoliniano?
Esiste un’altra storia sulla famiglia Gramsci. Una storia che pochi ricordano, ma che val la pena di raccontare.
Anche perché, a distanza di settant’anni, sono ancora molti i punti avvolti nel mistero. Per farlo, dobbiamo partire dal 24 novembre del 1979, quando Giuseppe Niccolai, un fascista all’antica, scrive sul Secolo d’Italia: “Lo sapevate? Antonio Gramsci, il santone del Pci, ha avuto un fratello. Si chiamava Mario, è stato federale del Fascio a Varese, subito dopo la marcia su Roma. Valoroso combattente in Abissinia e in Africa Settentrionale (…) Muore mussoliniano convinto. Il Pci ha provveduto a farne sparire lettere, scritti e persino il ricordo. Lo ricordiamo noi. E faranno bene le Federazioni del Msi a ricordarlo ai buoni italiani. E ai cialtroni versipelle del nostro Paese”.
A oltre trent’anni dalla sua morte, le vicende di Mario Gramsci emergevano dall’ombra. Ma solo per un attimo. Quasi nessuno si è preso la briga di verificare la sua storia e i suoi rapporti con il fratello Antonio. Ci ha pensato, Massimo Lunardelli, autore di Gramsci il fascista(Tralerighe), che ne ha ripercorso la storia. Mario è l’opposto di Antonio. Il primo è esuberante ed estroverso, il secondo è solo e pensoso. Teresina, la sorella, racconterà di lui: “È stato sempre l’allegria di casa. Tutto il contrario di Nino, per carattere. Come Nino era posato, lui era irrequieto, chiassoso, incline a bizzarrie comiche. Nino parlava poco, Mario solo cucendogli la bocca si riusciva a farlo stare zitto. A tanti spariva di casa il gatto, ed era stato lui, poi si sapeva, a farselo arrostire da un fornaio. Ricordo che una volta mamma lo aveva rinchiuso in casa. Per essere sicura che non se ne uscisse, gli aveva tolto e nascosto le scarpe. Mario, deciso a svignarsela ugualmente, s’ era tinto i piedi con lucido nero da scarpe”.
Viene mandato in seminario, ma presto si comprende che quella proprio non è la sua strada: “Voglio sposarmi, io l’idea di farmi prete non ce l’ho. Piuttosto mandateci Nino (Antonio, nda) in seminario. Lui alle ragazze non ci pensa e il prete può farlo”, si lamenta il più piccolo dei Gramsci.
Mario è un sognatore, come scriverà Antonio in una lettera alla madre: è “sempre portato a vedere guadagni favolosi e a fare castelli in aria per ogni piccola cosa”. Spinto dal desiderio di avventura si arruola nell’esercito e partecipa alla Prima guerra mondiale. Il suo libretto militare – e Lunardelli ne cita parecchi – parla chiaro: “In tutte le circostanze di servizio il Gramsci si mostrò edotto dei suoi doveri, dimostrando zelo, buona volontà e disciplina e slancio non comune per l’affezione che ha della carriera militare”. E ancora: “Il tenente Gramsci è un buon ufficiale, che si distingue sopra gli altri per attività, per capacità professionale e per elevato sentimento del dovere”.
Finisce la Prima guerra mondiale e Mario, come tanti veterani, rimane affascinato dal Fascismo. Ma solo per un attimo. Quando scoppia la Seconda guerra mondiale si arruola volontario. Viene fatto prigioniero l’11 dicembre del 1940 e poi trasferito in Australia, dove arriverà quasi un anno dopo, il 15 ottobre del 1941. “È un monarchico convinto e perciò è stato trasferito al comparto monarchico. Quando il campo è stato diviso in base alle ideologie politche, egli ha dichiarato profonda fedeltà al suo Re”. E, molto probabilmente, è così che spirò Mario Gramsci.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/cultura/fascista-gramsci-1918169.html
PCI: un secolo di omissioni e rimozioni
Cento anni fa nasceva il PCd’I, poi PCI, partito comunista italiano. Fondato da uomini che sino a poco prima erano stati compagni di strada e amici di Benito Mussolini (come lui nella corrente massimalista del socialismo italiano).
In un articolo pubblicato su L’Utopia il 23 ottobre 1913 e intitolato “Democrazia?”, Mussolini sottolineava il “dissenso teorico e pratico che ci divide dalla democrazia”. Su quel giornale scriveva anche Amedeo Bordiga, futuro fondatore del PCI.
Cosa è stato il PCI? Il partito che voleva la dittatura sovietica in Italia; il partito che all’inizio del Novecento ha diviso il paese contribuendo a impedire qualsiasi alleanza che generasse un governo stabile; che ha reso marginali i socialisti moderati… contribuendo a consegnare il Paese al vecchio compagno di strada.
E’ stato, poi, il partito che ha esultato per la vittoria del duce: “dopo di lui, toccherà a noi”; il partito che con Togliatti, nel 1939, ha difeso l’alleanza tra Stalin e Hitler che portò alla II guerra mondiale (“se Stalin ha deciso di allearsi con i nazisti, dobbiamo fidarci”); il partito che ha coperto i milioni e milioni di morti dei gulag raccontando, grazie a solerti e ben pagati propagandisti, una quantità infinita di menzogne su un presunto “paradiso dei lavoratori”; il partito che ha presentato Stalin come “l’uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e il progresso dell’umanità”; il partito che all’indomani della caduta del fascismo ha scatenato la guerra civile nel triangolo della morte e ha appoggiato la pulizia etnica ai danni degli italiani infoibati…
Il partito che all’indomani della caduta del muro di Berlino – definito, con la solita capacità di mentire, “muro antifascista” – ha improvvisamente e machiavellicamente cambiato nome, diventando PDS, poi DS, poi PD…
PS in quel partito, quando ancora si chiamava PCI, è cresciuto l’attuale segretario del Pd Zingaretti.
FONTE: https://loccidentale.it/pci-un-secolo-di-omissioni-e-rimozioni/
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