RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
10 FEBBRAIO 2021 SPECIALE FOIBE
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
A che serve il bavaglio che può essere inghiottito?
STANISLAW J. LEC, Pensieri spettinati, Bompiani, 2006, PAG. 168
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SOMMARIO
Le foibe, il ricordo e l’oblio
Foibe, il Giorno del Ricordo tra dolore e rabbia: «Quegli italiani massacrati, fu pulizia etnica»
Foibe
Foibe. Cinquant’anni di silenzio
Che cosa furono i massacri delle foibe
Le vicende dei confini orientali
Foibe ed Esodo: scambio di (cortesi) argomentazioni
Giorno del Ricordo – a cura della Lega Nazionale
Invocazione per le vittime delle Foib
Foiba di Vines
Ricordando le vittime delle foibe, mostra delle associazioni Anmig e Ancr Barleta
Viaggio nella “Foiba di Campastrino”.
10 febbraio “Giorno del Ricordo”: anche 200 siciliani nelle foibe perché “italiani”
“FOIBA ROSSA”. CONSIDERAZIONI SU UN FUMETTO SULLE FOIBE
Il dramma delle Foibe
MAGAZZINO 18
Sharon Ritossa – Foibe
Foibe, l’esule Egea Haffner: “Stato riconsideri onorificenza a Pahor”
Il Pd censura le vignette sulle Foibe “Offendono il nostro partito e l’Anpi”
Foibe, un saggio storico con fotografie rarissime o inedite
Foibe, Rizzetto (FdI): proposta di legge per punire il negazionismo
“Foibe? Fu pulizia etnica, ma non solo…”
Speciale Foibe – 1 / Quanti morti in fondo all’abisso?
SITOGRAFIA
STORIA
Le foibe, il ricordo e l’oblio
“Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città… Non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già scarsi”.
È Salvini, è CasaPound o il Fronte Nazionale che scrive dei migranti?
Nossignori, è l’Unità, organo del Pci, del 30 novembre 1946 a proposito dei profughi istriani, dalmati, giuliani. Italiani doc, che secondo i comunisti fuggivano non da un nemico “ma impauriti dall’alito di libertà che precedeva o coincideva con l’avanzata degli eserciti liberatori”.
Capito? I comunisti infoibatori erano “alito di libertà”, “eserciti liberatori”. E i profughi, cacciati dalle loro case, sopravvissuti alle foibe, erano abusivi da respingere…
Le foibe e l’esodo furono il frutto di un triplice odio: odio etnico, verso gli italiani; odio ideologico dei comunisti verso i fascisti o presunti tali; odio di classe verso i borghesi giuliani. Per questo furono una concentrazione speciale di orrore e crudeltà.
La giornata del ricordo è l’ultima commemorazione dedicata all’amor patrio istituita in Italia. Resta lì, orfana spaesata nel calendario dell’oblio, destinata a sopravvivere in un’indecorosa semi-clandestinità che volge alla rimozione graduale, fino alla sua definitiva estinzione.
Le altre ricorrenze nazionali, superstiti di vecchia data, galleggiano semi-sommerse: il 4 novembre vivacchia, rifugiata nella domenica più vicina e celebra le forze armate, il 24 maggio è sparita, il 17 marzo fu una breve meteora che apparve per i 150anni dell’unità d’Italia e poi sparì, dopo un’indecente manfrina di chi non la voleva istituire per micragnosi calcoli economici.
Sono artificialmente tenute in vita il 2 giugno e soprattutto il 25 aprile che è poi l’unica giornata rimasta davvero festiva nel calendario. Ma quelle date dicono poco al cuore della gente, suscitano residui risentimenti ma sempre più vaghi sentimenti.
Non c’è una giornata dedicata all’amor patrio, una festa dell’Italia, una celebrazione della comunità nazionale sentita e condivisa che ci colleghi alla storia e in positivo alla nascita dell’Italia e non alla guerra civile e mondiale.
Le foibe finirono nell’omertà sin da quando furono perpetrate. Perché tiravano in ballo le responsabilità del Pci e di un’ala cospicua della lotta partigiana nei massacri, perché incrinavano il rapporto con la vicina Yugoslavia di Tito, perché c’era il tabù della cortina di ferro che spartiva i due mondi, l’occidente filoamericano e l’est filosovietico.
Ancora oggi è proibito dire che gli infoibatori erano comunisti e che anche il Pci italiano aveva contribuito a sostenere l’operazione foibe. Nei documenti il Pci sosteneva che non si dovesse rinunciare a quella che veniva definita “la tattica delle foibe” (ovvero lo sterminio).
I rapporti e gli incontri tra Togliatti e i capi dell’operazione sterminio erano continui: da Mosca a Bari. Perché non parlare anche in questo caso di collaborazionismo e poi di negazionismo o dimenticazionismo?
Le foibe furono per decenni il ricordo atroce di una minoranza di profughi e il ricordo polemico di una minoranza di “patrioti”, in prevalenza legati al vecchio Movimento Sociale Italiano.
Solo mezzo secolo dopo cominciarono lentamente a risalire dal buio e ad affacciarsi timidamente nei libri di testo e nelle commemorazioni ufficiali, strappare messaggi ai Capi dello Stato e infine vedersi in tv in sceneggiati assai edulcorati in cui mai si parlava di partigiani comunisti ma solo vagamente di titini e dove non si capiva cosa fosse realmente accaduto; sembravano storie private, locali e famigliari, vicende avulse dalla storia.
Infine avvenne l’ufficializzazione del ricordo con l’istituzione della giornata.
Ma è durata poco l’attenzione, legata alla destra al governo, a volte alimentata dall’assurda pretesa di bilanciare l’enfasi via via crescente negli anni alla Shoah.
Per ogni ricordo delle foibe ci sono cento ricordi istituzionali e mediatici della Shoah. Ma l’olocausto, come impropriamente si definisce, riguarda più popoli e più paesi. I numeri delle vittime, si dice, sono imparagonabili.
Però la storia delle foibe assume grande rilievo, più rilevante della stessa shoah, se le foibe diventano il capitolo nostrano del più terribile ciclo di vittime del comunismo nel mondo, che si contano – come si sa – in decine di milioni. Uccisi in tempo di guerra e di pace.
Ma le comparazioni sono odiose e insensate.
Di solito le giornate dedicate a ricordare nascono quando i ricordi appassiscono. Un po’ come quando un anziano comincia ad annotare sul diario quando deve prendere la pasticca e quando è il compleanno della moglie: la memoria sta per andarsene, il ricordo si appanna, e allora nasce la necessità di farsi un nodo al fazzoletto della mente.
Più che dall’amore e dalla premura, la necessità di fissare il ricordo nasce dall’arteriosclerosi galoppante, dalla mente che si fa più labile e incerta e dallo svanire di quell’evento nel nostro cuore. Quando il ricordo è forte e vivo non c’è bisogno di dedicarvi una giornata ufficiale e rituale per ricordare.
L’Italia, ricca di storia millenaria, converte la sua bulimia di eventi in anoressia; la sua memoria antica, sovraccarica, si rovescia in amnesia e rimozione. “Scurdammoce o’ passato” resta alla fine l’unico inno nazionale. Ci unisce il patto dell’oblio.
FONTE: http://www.marcelloveneziani.com/articoli/le-foibe-ricordo-loblio/
Foibe, il Giorno del Ricordo tra dolore e rabbia: «Quegli italiani massacrati, fu pulizia etnica»
Foibe, Il Giorno del Ricordo: tra le pagine della storia rimossa e rinnegata
In compenso, Raiplay proporrà in diversi momenti della giornata, lo speciale “Il ricordo delle Foibe” e i contenuti learning raccolti nella collezione “Il giorno del ricordo”. Materiali d’archivio, testimonianze e reportage delle Teche. Contenuti disponibili nell’antologia Il ricordo delle Foibe: titolo emblematico mirato proprio a mantenere viva la memoria su una delle pagine più dolorose della storia d’Italia. Uno speciale che racconta non solo la tragedia di tutti coloro che morirono in condizioni atroci nelle Foibe. Ma anche le sofferenze di quanti si videro costretti ad abbandonare per sempre le loro case in Istria e in Dalmazia. Avvenimenti drammatici che sono parte integrante della nostra vicenda nazionale. E che restano radicati nella memoria. Anche in un Paese come il nostro, che ha a lungo rimosso quelle colpe e quei lutti.
Sylos Labini: «Sulle foibe, una cortina di omertà dolorosa e vergognosa»
Ricordo, memoria: parole chiave che dovrebbero fungere da monito per la riscoperta di pagine di storia dimenticate o opportunamente occultate. Restituendo a esse la corretta chiave di lettura educativa contro ogni negazionismo o tendenza alle interpretazioni distorte e contestualizzate. Una battaglia storica. Civile e morale, in difesa del nostro passato. E a tributo del sacrificio di tutti quegli italiani massacrati e dimenticati e per il riconoscimento di quelle tragiche pagine di guerra civile su cui, rileva all’Adnkronos il regista e attore Edoardo Sylos Labini, «la sinistra ha gettato fumo negli occhi». «In Italia la sinistra ha gestito per decenni la comunicazione quasi fosse una sorta di regime. Alcune cose non si potevano dire».
«La sinistra non ha fatto altro che gettare fumo negli occhi»
E ancora. «Sulle foibe c’è stata una cortina di omertà dolorosa e vergognosa. Un grande senso di colpa, il loro, di non voler raccontare questa pagina tragica della storia italiana», dichiara il cineasta che nel 2018 ha lanciato il movimento Culturaidentità, in merito alla Giornata del Ricordo, per non dimenticare i massacri delle foibe, l’esodo giuliano-dalmata. Aggiungendo in calce: «Purtroppo la storia la scrivono i vincitori. E la sinistra non ha mai fatto realmente un mea culpa sulla foibe. Lo ripeto, il monopolio della sinistra, il suo strapotere sulla comunicazione, è sotto gli occhi di tutti. Pagine tragiche le foibe – conclude quindi sylos Labini – pagine tragiche di guerra civile. E la sinistra non ha fatto altro che gettare fumo negli occhi».
Giordano Bruno Guerri: «Una pulizia etnica sugli italiani in quanto italiani»
Parole a cui fanno eco quelle di Giordano Bruno Guerri che, a sua volta, torna a parlare di «una pulizia etnica vera e propria occultata troppo a lungo». Un orrore che ha travolto «gli italiani proprio in quanto italiani, e non per motivi politici». Un dolore «terribile» su cui è calato l’onta del negazionismo e la vergogna del silenzio. Un dramma che si rinnova nel Giorno del Ricordo, in occasione del quale Giordano Bruno Guerri, presidente della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani, torna a denunciare colpe e silenzi complici. «Le foibe sono state una cosa terribile che si tenuta occultata troppo a lungo. E delle quali è giusto che si parli», ha dichiarato all’Adnkronos lo storico, saggista, giornalista e accademico italiano. «Fu una pulizia etnica vera e propria come ne se avvenute tante nel mondo durante la Seconda Guerra Mondiale».
«Non c’erano motivi politici: le vittime delle foibe non erano oppositori»
«Un fatto», prosegue, «che ci tocca particolarmente perché riguardava italiani, proprio in quanto italiani. E non per motivi politici. Le vittime – sottolinea infatti Giordano Bruno Guerri – non c’entravano nulla. Non erano oppositori o altro. Avrebbero potuto diventarlo, e in quanto tali, vennero eliminati in un modo particolarmente crudele. Perché spesso li buttavano giù vivi o moribondi, solo per risparmiare il colpo di pistola». Guerri ricorda infine che, un anno fa, al Vittoriale degli Italiani, «abbiamo sepolto il sindaco di Fiume, il senatore Gigante, che è stato fucilato e buttato in una foiba nel 1945. Ho voluto onorare in questo modo il ricordo di tutti quelli che hanno condiviso quel destino». Un destino tragico che ha segnato in maniera indelebile confine orientale italiano col sangue delle vittime delle foibe. E col dolore dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati, nel secondo dopoguerra.
FONTE: https://www.secoloditalia.it/2021/02/foibe-il-giorno-del-ricordo-tra-dolore-e-rabbia-quegli-italiani-massacrati-fu-pulizia-etnica/
Foibe
Con il termine foiba, che deriva dal latino fovea, vengono chiamati gli inghiottitoi naturali tipici delle aree carsiche; tali abissi si prestano assai bene a far scomparire in maniera rapida oggetti di dimensioni anche notevoli nelle zone in cui la natura rocciosa del terreno rende problematico lo scavo. In tal senso nella Venezia Giulia (ex province di Trieste, Gorizia, Pola e Fiume) le f. vennero largamente utilizzate durante la Seconda guerra mondiale e nel dopoguerra, per liberarsi dei corpi di coloro che erano caduti a causa degli scontri tra nazifascisti e partigiani, e soprattutto per occultare le vittime delle ondate di violenza di massa scatenate a due riprese – dapprima nell’autunno del 1943 e successivamente nella primavera del 1945 – da parte del movimento di liberazione sloveno e croato e delle strutture del nuovo Stato iugoslavo creato da Tito. Furono principalmente i cadaveri di vittime delle fucilazioni a essere gettati nelle f. e in altre cavità artificiali, quali, per fare un esempio, le cave di bauxite dell’Istria oppure il pozzo della miniera di Basovizza, ma in alcuni casi nell’abisso furono precipitate anche persone ancora in vita. Talvolta infatti i condannati venivano fatti allineare sull’orlo della f. e legati fra loro con filo di ferro; successivamente coloro che venivano colpiti dalla scarica trascinavano giù, insieme a loro, gli altri. Particolarmente note sono la ‘foiba dei colombi’ di Vines, in Istria (nella attuale Repubblica di Croazia), dalla quale vennero recuperati, nel 1943, ben 84 corpi, e il pozzo di Basovizza, nei pressi di Trieste, divenuto poi monumento nazionale, in cui nel 1945 venne gettato un numero imprecisato di persone. Testimonianze dell’epoca raccolte da parte britannica parlano di alcune centinaia di vittime, mentre da parte italiana vennero diffuse cifre assai superiori, fondate però unicamente sulla cubatura dei detriti presenti nel pozzo. Le esplorazioni di tale cavità sono state ostacolate dalla ingente massa di materiali, compresi proiettili inesplosi, che vi furono gettati dagli iugoslavi allo scopo di celare la strage, e non hanno prodotto significativi risultati.
Non tutte le vittime delle due ondate di violenza hanno però trovato la morte nelle f.: anzi, buona parte degli scomparsi perì in altro modo, soprattutto nelle carceri e nei campi di concentramento iugoslavi. Tuttavia, il forte impatto emotivo derivante dalla scoperta dei primi ‘infoibamenti’ nell’ottobre del 1943, ha fatto sì che da quel momento il termine foibe fosse usato per definire nel loro complesso le stragi avvenute nella Venezia Giulia, mentre infoibati sono stati in genere considerati tutti coloro che vennero uccisi nel corso delle medesime stragi. Un simile uso simbolico del termine è all’origine di notevoli equivoci sul piano interpretativo e ha offerto inoltre ampio spazio al negazionismo. Appare quindi opportuno, al fine di comprendere meglio tanto le dimensioni quanto il significato delle violenze di massa, fare uso dell’espressione stragi iugoslave, al cui interno rientra anche la modalità specifica dell’infoibamento.
Quanto alle dimensioni del fenomeno, le stime sono rese problematiche dalla natura delle fonti. Le ipotesi più attendibili parlano di circa 600-700 vittime per il 1943, quando a essere coinvolta fu soprattutto l’Istria, e di più di 10.000 arrestati – in massima parte, ma non esclusivamente, di nazionalità italiana -, alcune migliaia dei quali non fecero ritorno nel 1945, quando l’epicentro delle violenze fu costituito da Trieste, Gorizia e Fiume. Nel complesso, un ordine di grandezza tra le 4000 e le 5000 vittime sembra essere attendibile; cifre superiori si raggiungono soltanto conteggiando anche i caduti che si ebbero da parte italiana nella lotta antipartigiana.
La prima ondata di violenze si ebbe dopo l’8 settembre. Crollate le strutture dello Stato italiano, i tedeschi occuparono in un primo momento soltanto i centri strategici di Trieste, Pola e Fiume, mentre nell’interno dell’Istria il potere venne assunto dal movimento di liberazione iugoslavo. In un quadro di generale confusione insorsero i contadini croati, affluirono le formazioni partigiane operanti nell’entroterra croato e ovunque vennero instaurati i ‘poteri popolari’. Subito cominciarono gli arresti. Accanto a squadristi e gerarchi locali vennero prelevati podestà, segretari e messi comunali, carabinieri, guardie campestri, esattori delle tasse e ufficiali postali: un segno questo della diffusa volontà di spazzare via chiunque potesse fare ricordare l’amministrazione italiana. Nell’insurrezione, però, i connotati etnici e politici si saldavano inestricabilmente con quelli sociali; in tal modo bersaglio delle retate divennero anche i possidenti italiani, vittime dell’antagonismo di classe che coloni e mezzadri croati avevano accumulato nei confronti dei proprietari italiani. Sorte simile venne riservata a molti dirigenti, impiegati nonché capisquadra di imprese industriali, cantieristiche e minerarie. Ben presto però, il campo delle violenze si allargò fino a coinvolgere tutte le figure maggiormente rappresentative delle comunità italiane (dagli avvocati alle levatrici), vittime di una fiammata di furore nazionalista che però non era fine a sé stessa, ma piuttosto funzionale a un disegno politico di distruzione della classe dirigente italiana, considerata un ostacolo per l’affermazione del nuovo corso politico. Significativamente, negli stessi giorni a Pisino il Comitato popolare di liberazione proclamò l’annessione della regione alla Croazia e la cittadina divenne il centro della repressione: vi fu creato un tribunale rivoluzionario e nel castello fu concentrata la maggior parte degli arrestati provenienti da altre località dell’Istria. Di questi, numerosi furono uccisi nel corso delle successive settimane di settembre, molti altri vennero eliminati in massa ai primi di ottobre quando, di fronte a un’offensiva tedesca, le autorità popolari decisero di liberarsi di tutti i prigionieri, i quali potevano trasformarsi in pericolosi testimoni.
Nel clima di selvaggia rivolta contadina, con la sua commistione di rancori etnici, familiari e di interesse, in cui trovarono posto anche casi di distruzione dei catasti, di linciaggio e di violenze sessuali, si innestò dunque la violenza programmata. Fonti croate del tempo confermano come uno dei compiti prioritari affidati ai poteri popolari in Istria fosse proprio quello di ‘ripulire’ il territorio dai ‘nemici del popolo’: una formula questa che, nella sua indeterminatezza, si prestava a comprendere tutti coloro che non collaboravano attivamente al movimento di liberazione.
La seconda ondata di violenze di massa ebbe inizio nei primi giorni di maggio del 1945, quando le truppe iugoslave giunsero nella Venezia Giulia. Appena cessati i combattimenti, infatti, centinaia di militari della Repubblica sociale italiana caduti prigionieri furono passati per le armi (lo stesso accadde a quelli tedeschi) e migliaia di altri furono avviati verso i campi di prigionia – fra i quali particolarmente famigerato fu quello di Borovnica – dove fame, violenze e malattie mieterono un gran numero di vittime.
Nella logica dell’eliminazione delle forze armate nemiche esistenti sul territorio rientra anche la deportazione delle unità della Guardia di Finanza, che non avevano mai partecipato ad azioni antipartigiane, e di molti membri della Guardia civica di Trieste. In entrambi i casi, si trattava di formazioni che, largamente infiltrate dal Comitato di liberazione nazionale (CLN), avevano partecipato sotto i suoi comandi alla battaglia finale contro i tedeschi, e tale circostanza permette di chiarire come l’obiettivo reale dell’azione repressiva condotta nei loro confronti consistesse nella liquidazione di qualsiasi forma di potere armato non inquadrato nell’armata iugoslava. Esplicite sono al riguardo le indicazioni presenti nelle fonti, che sottolineano la preoccupazione dei dirigenti del Partito comunista sloveno per l’esistenza a Trieste di strutture politiche e di forze militari non soltanto non disponibili a rendersi subalterne nei confronti del movimento di liberazione iugoslavo, ma pure impegnate a cercare un’autonoma legittimazione antifascista agli occhi della popolazione e degli anglo-americani. Conseguentemente, a essere perseguitati furono anche i combattenti delle formazioni partigiane italiane, le quali, sotto la guida del CLN, avevano lanciato il 30 aprile a Trieste un’insurrezione contro i tedeschi, apertamente concorrenziale rispetto alla liberazione che arrivava sulla punta delle baionette iugoslave.
Contemporaneamente, le autorità iugoslave diedero il via a un’ondata di arresti che diffuse il panico tra la popolazione italiana, soprattutto a Trieste e Gorizia. Parte degli arrestati venne subito eliminata, molti di più vennero deportati e perirono spesso in prigionia. Obiettivi delle retate, oltre ai membri dell’apparato repressivo nazifascista (fra i quali gli aguzzini dell’Ispettorato speciale di pubblica sicurezza per la Venezia Giulia, le cui atrocità erano state invano denunciate fin dal 1942 dal vescovo di Trieste), ai quadri del fascismo giuliano, e a elementi collaborazionisti, furono anche partigiani italiani i quali non accettavano l’egemonia iugoslava ed esponenti del CLN giuliano – dal quale i membri del Partito comunista italiano (PCI) erano usciti fin dall’autunno del 1944, per aderire alle tesi iugoslave – con sloveni anticomunisti e a molti cittadini privi di particolari ruoli politici, tuttavia di chiaro orientamento filoitaliano. La medesima volontà di eliminare chiunque potesse opporsi alle pretese egemoniche dei poteri popolari condusse le autorità iugoslave a perseguitare a Fiume anche gli autonomisti zanelliani – i seguaci di R. Zanella, che nel primo dopoguerra si erano battuti contro G. D’Annunzio per la costituzione di uno Stato libero di Fiume – che godevano di largo seguito in città e che sicuramente non potevano essere imputati di simpatia per il fascismo.
Sloveni e croati contrari al nuovo regime non vennero trattati meglio degli italiani, ma è fra questi ultimi che si ebbe la stragrande maggioranza delle vittime, e la ragione è semplice. Su un tessuto di consolidati conflitti nazionali, si inseriva un dato di fatto: al di fuori della classe operaia, tra gli italiani era quasi generale la contrarietà nei riguardi dell’annessione alla Iugoslavia, e ciò li rendeva automaticamente sospetti e bisognosi quindi, agli occhi delle autorità, di una severa ‘pulizia’ politica. Viceversa, tra gli sloveni e i croati della Venezia Giulia, la prospettiva dell’annessione alla Iugoslavia, a lungo desiderata, aveva fatto in genere passare in secondo piano perplessità e dissensi, che pur in altre parti della Slovenia e della Croazia erano stati piuttosto frequenti, nei confronti del movimento di liberazione guidato da Tito. Non si ebbero quindi nelle province giuliane le stragi di domobranci e ustaša (rispettivamente, collaborazionisti sloveni e croati) che avvennero invece, nei medesimi giorni, immediatamente a est del vecchio confine italo-iugoslavo.
Il tema delle f. ha suscitato fino agli ultimi anni del 20° sec. limitato interesse nella storiografia italiana, e ciò per almeno due ragioni. In primo luogo, la generale disattenzione per le vicende del confine orientale, su cui pesavano gli echi di una stagione di conflittualità fra Italia e Iugoslavia che, a partire dagli anni Sessanta, appariva del tutto superata e che si preferiva quindi non ricordare. In secondo luogo, la rimozione compiuta da parte della storiografia di sinistra, che scontava sull’argomento le difficoltà derivanti dal sostegno offerto nel 1945 dai comunisti giuliani all’amministrazione iugoslava responsabile degli eccidi, dalla politica tutt’altro che lineare tenuta dal PCI sulla questione di Trieste, e dalla diffusa ammirazione per il ‘modello iugoslavo’. A ogni modo, nel corso di un sessantennio si sono succedute proposte interpretative che hanno conservato per lungo tempo una capacità di presa dovuta assai più ai loro legami con i percorsi del dibattito politico che non alle loro capacità esplicative. Del tutto prive di senso si sono così dimostrate le ipotesi negazioniste – già dominanti nella storiografia iugoslava – che avevano ripreso, trasformandolo in ‘verità di Stato’, il giudizio espresso fin dal 1945 dal governo di Tito, secondo il quale “da parte del governo jugoslavo non furono effettuati né confische di beni, né deportazioni, né arresti, salvo che […] di persone note come esponenti fascisti di primo piano o criminali di guerra” (nota iugoslava del 9 giugno 1945).
Speculare alla precedente, ma, come quella, tutta interna allo scontro politico del dopoguerra, è la tesi del ‘genocidio nazionale’ degli italiani, che riproduce la memoria diffusa dei protagonisti del tempo, ma che non è mai riuscita a dimostrare la strumentalità diretta delle stragi rispetto a un preventivo disegno di ‘pulizia etnica’. A parte il numero delle vittime – certo elevato, ma lontano da qualsiasi dimensione di genocidio – la repressione iugoslava del 1945 ebbe infatti sicuramente anche finalità intimidatorie nei confronti dell’intera comunità italiana: esse però sembrano da collegare non tanto a un progetto di espulsione, che prese corpo soltanto in anni successivi, quanto alla volontà di far comprendere nel modo più drastico agli italiani che sarebbero potuti sopravvivere nelle terre passate sotto il controllo iugoslavo solo se si fossero adattati senza riserve al nuovo regime, accettandone tutte le conseguenze di ordine politico, nazionale e sociale.
Maggiore spessore hanno alcune valutazioni elaborate a partire dagli anni Settanta del 20° sec. (G. Fogar, G. Miccoli, T. Sala), che hanno consentito di inserire gli episodi del 1943 e del 1945 all’interno di una più lunga vicenda di oppressione e di violenze, iniziata con la politica snazionalizzatrice del fascismo nei confronti degli sloveni e dei croati, proseguita con l’aggressione italiana contro la Iugoslavia e culminata con la repressione nazifascista contro il movimento partigiano. In tale prospettiva, le stragi sono apparse un fenomeno di reazione largamente spontaneo, una sorta di brutale e spesso indiscriminata ‘resa dei conti’ da parte di popolazioni esasperate nei confronti dei loro persecutori. Si è così pervenuti a una prima storicizzazione del fenomeno, con l’individuazione delle responsabilità del fascismo nello scoppio della crisi che travolse l’italianità adriatica. Questa valutazione ha però trascurato gli elementi di programmazione pur esistenti nella repressione avviata dalle autorità iugoslave e legati non tanto a una volontà ‘barbarica’ di sterminio degli italiani, quanto a una ponderata strategia di annichilimento del dissenso. Quest’ultimo aspetto è stato invece esplorato a partire dalla fine degli anni Ottanta in una serie di contributi (Apih 1988; Foibe, 1997; Pupo, Spazzali 2003) che hanno posto in luce il rapporto esistente tra le violenze della primavera del 1945 e il più generale processo della presa del potere in Iugoslavia da parte di un movimento rivoluzionario a guida comunista, protagonista di una guerra di liberazione che era anche guerra civile diretta all’eliminazione fisica degli avversari, i cui echi si prolungarono, in termini di scontri armati e di uccisioni, fino al 1946. La formula interpretativa più aderente a tale realtà, che nella Venezia Giulia combinava inestricabilmente obiettivi sia di rivalsa nazionale, sia di affermazione ideologica e, infine, di riscatto sociale, è apparsa quella dell”epurazione preventiva’, diretta a eliminare dalla società giuliana tutti gli oppositori, anche soltanto presunti, al disegno politico di cui i nuovi poteri erano espressione: un progetto che era al tempo stesso nazionale e ideologico, dal momento che consisteva nell’annessione della Venezia Giulia alla Iugoslavia comunista.
È questa una lettura dei fatti che, senza sottovalutare il ruolo del nazionalismo sloveno e croato, e del loro inserimento nell’ambito della politica di potenza della nuova Iugoslavia, pone al centro dell’attenzione il problema dell’affermazione del comunismo mediante la lotta armata, e che sottolinea perciò la distanza dell’esperienza giuliana da quella vissuta nei medesimi giorni dal resto d’Italia. Le stragi del 1945, infatti, non hanno nulla a che vedere con la Resistenza italiana, non soltanto perché essa non vi partecipò, ma perché radicalmente diverse erano le situazioni. Nell’Italia centro-settentrionale, infatti, la liberazione fu in molte aree seguita da un erompere di azioni di sangue che segnava la conclusione di conflitti che si erano aperti nel 1919-22, ma che si svolgeva al di fuori dalle strutture di uno Stato che sarebbe stato ricostruito secondo principi liberal-democratici, e non si collegava nemmeno ad alcun disegno politico complessivo, posto che l’opzione rivoluzionaria era stata scartata dal PCI. Nella Venezia Giulia invece la violenza di massa costituiva uno degli elementi portanti di una rivoluzione vittoriosa che si trasformò senza soluzione di continuità in un regime stalinista, capace di convertire in violenza di Stato l’aggressività nazionale e ideologica presente nei quadri partigiani.
BIBLIOGRAFIA
E. Apih, Trieste, Roma-Bari 1988.
Foibe. Il peso del passato, a cura di G. Valdevit, Venezia 1997.
G. Oliva, Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell’Istria, Milano 2002.
G. Rumici, Infoibati (1943-1945). I nomi, i luoghi, i testimoni, i documenti, Milano 2002.
R. Pupo, R. Spazzali, Foibe, Milano 2003.
R. Pupo, Il lungo esodo. Istria: le persecuzioni, le foibe, l’esilio, Milano 2005.
G. Scotti, Dossier foibe, San Cesario di Lecce 2002.
FONTE: https://www.treccani.it/enciclopedia/foibe_%28Enciclopedia-Italiana%29/
Non sappiamo se, ed in che misura gli Italiani, alla mercé delle manipolazioni dei mass-media sempre strumentalizzati, abbiano avuto la possibilità di recepire il messaggio.
Gli slavi del Sud sono popolazioni che, a seguito di esperienze storiche traumatizzanti quali secoli di dominio ottomano, tre anni di guerriglia partigiana, decenni di regime marxista, sono portati a vivere ogni contesa di carattere religioso, politico, etnico, in maniera violenta e radicale, dove la brutalità e la crudeltà non conoscono confini. d’altra parte, questa, una realtà che avrebbe dovuto essere ben recepita dal nostro popolo perchè, nel corso dell’ultimo conflitto, almeno 400.000 soldati italiani si sono alternati come truppa di presidio in Jugoslavia ed hanno visto con i propri occhi cosa significasse la lotta tribale che tormentava quel paese: serbi contro croati, cattolici contro greco-ortodossi e mussulmani, partigiani comunisti contro cetnici realisti, ustascia e guardie bianche contro tutti, in un’orgia di stragi, torture, vendette, efferatezza. Ma in tutto questo, e torniamo a riferirci ai mass-media, non si poteva e doveva parlare per due ottimi motivi. Innanzitutto in Jugoslavia aveva trionfato il comunismo e sottolineare gli aspetti deteriori di un paese che aveva abbracciato questa fede voleva dire schierarsi e comportava un’alzata di scudi da parte delle sinistre. Era opportuno tacere per non essere accusati di fascismo ed incorrere nella riprovazione generale. Poi c’era un secondo eccellente motivo, e cioè che la fine del secondo conflitto mondiale aveva visto la Jugoslavia (Slovenia e Croazia si dovrebbe dire oggi) impadronirsi di tre province nelle quali la popolazione di lingua italiana era da sempre stata maggioritaria: quelle di Pola, Fiume, Zara. Questa occupazione, oltre a mutilare ingiustamente la Nazione, aveva comportato l’esodo di 350.000 nostri fratelli, e criticare la Jugoslavia significava fare del “revanschismo”, disobbedire agli ordini e nuocere agli interessi degli Stati Uniti.
Sulla “pulizia etnica” come concepita dai nostri confinanti ad oriente, silenzio assoluto, come silenzio assoluto si doveva osservare sulla maniera spietata con la quale era stata praticata ai nostri danni.
Il termine “foibe” è stato così per cinquanta anni oggetto di una accurata rimozione, almeno negli ambienti ufficiali. Sappiamo bene che questa rimozione non riguarda i nostri lettori, ma ci sia consentito di cogliere l’occasione per fare qualche precisazione. Il termine “foiba”, pozzo naturale che si riscontra con grande frequenza nel terreno carsico della provincia di Pola, è stato convenzionalmente usato a proposito di tutte le eliminazioni di carattere politico ed etnico effettuate nelle province orientali. In effetti le “foibe” riguardano solo una piccola parte delle 15.000 – 20.000 persone di cittadinanza e lingua italiana che sono state assassinate in quella zona dal 1943 al 1950. I dalmati, i fiumani, gran parte dei goriziani uccisi sono stati fatti sparire in mille ingegnosi modi che nulla hanno a che vedere con gli orridi carsici. Ciò non toglie che il termine “foibe” abbia assunto un significato particolare nella “pulizia etnica” effettuata a nostro danno ed abbia avuto un grandissimo rilievo nel terrorizzare, soggiogare, costringere alla fuga i nostri connazionali.
Si cominciò a parlare di “foibe” in Istria ed a Trieste nell’ottobre del 1943, quando l’offensiva tedesca permise di riprendere il controllo del territorio, restato per tre settimane alla mercé degli slavo-comunisti. Erano spariti da 1000 a 1500 nostri fratelli che erano stati prelevati dalle loro abitazioni e deportati. Spariti nel nulla? No! Ben presto si potè accertare che erano stati uccisi gettandoli nelle “foibe”. Si procedette al recupero di quelli per i quali l’operazione era più facilmente effettuabile è tutti videro le salme già intaccate dal processo di putrefazione: uno spettacolo orrendo. Ma dalle indagini ed ancor più dalle autopsie si seppe come molti fossero morti dopo una crudele agonia, in quanto non erano state sufficienti nè le pallottole nè la caduta ad assicurare una rapida fine. Anzi si disse che, ad arte, spesso i morituri erano stati spinti a coppia nel baratro, dopo che una sola delle vittime aveva ricevuto il colpo d’arma da fuoco. Fu evidente che chi aveva organizzato la strage, l’aveva premeditata in maniera di colpire la fantasia della gente e renderla folle di terrore. Ovviamente fra gli scomparsi molti erano fascisti, ma molti erano solamente istriani di lingua, costumi, tradizioni, sentimenti italiani e la loro uccisione era la componente principale di un piano satanico.
Una “pulizia etnica” studiata a tavolino e portata a compimento con la massima determinazione, ed un attento lettore dei fatti della Bosnia e dintorni, non può fare a meno di rilevare l’attualità di questa tecnica, nella quale sarebbe fuorviante far distinzione fra croati, serbi, bosniaci. All’appello mancano solo gli sloveni, ma anche di costoro, cinquanta anni fa, avemmo le prove della inclinazione a certe soluzioni radicali.
I nostri marxisti e gli epigoni degli stessi hanno sempre cercato di imporre il silenzio su questa dolorosissima pagina della nostra storia. Come hanno fatto? In molti casi negandola e, quando questa rimozione totale non era configurabile, si sono trincerati dietro la motivazione ufficiale accampata dagli sloveni e dai croati. Si è trattato, hanno sostenuto, di fatti sporadici frutto di una esasperazione popolare scatenatasi come reazione a venti anni di brutalità e violenze fasciste.
Con questa nota documentata intendiamo confutare questa tesi di comodo. I comunisti italiani giunsero alla “resistenza” ed agli anni quaranta attraverso un lungo tirocinio, forgiati da esperienze derivanti da trenta anni di lotte e tentativi rivoluzionari. Dalla rivoluzione di ottobre del 1917, alla guerra di Spagna del 1936, si era sviluppata la teoria, collaudata poi con la pratica, che il potere popolare si poteva affermare ed imporre solo mediante l’eliminazione delle classi parassitarie. “E il sangue che fa girare le ruote della storia”: ed era necessario annientare il nemico perchè il nuovo mondo si affermasse. Di questo orientamento avemmo le conseguenze anche in Italia. Durante i lunghi mesi della guerriglia partigiana, ovunque fu possibile, le formazioni comuniste procedettero alla eliminazione fisica dei nemici politici e di classe, al dì là di ogni cautela e finzione tattica. Quando si pervenne alla crudele primavera del 1945, accanto alle vendette private ed alle liquidazioni strascico di una guerra civile, numerosissime furono le uccisioni mirate ed aventi un carattere classista. Questo aspetto è universalmente accettato, con particolare riferimento a certe zone come la rossa Emilia, dove si protrassero clamorosamente anche nel 1946. I comunisti istriani, triestini, goriziani inquadrati nel P.C.I., non potevano logicamente avere una valutazione diversa dai compagni di Bologna, Modena, Vercelli, Novara ecc, ecc.
Irrilevante era per loro il fatto che in Istria i nemici di classe fossero italiani, considerando un pregiudizio senza peso qualsiasi problema di nazionalità. Se i compagni croati e sloveni prendevano l’iniziativa della liquidazione dei borghesi, degli intellettuali, dei possidenti, si trattava di una iniziativa proletaria da appoggiare, perchè nella futura società, distinzioni di nazionalità non avrebbero avuto senso. Trovare le prove di questa complicità non è facile anche se l’atteggiamento di costoro è già sufficientemente eloquente. Quando nell’autunno del 1946 fu chiaro che Gorizia e Monfalcone erano perdute per la loro causa, vi furono almeno 3000 comunisti italiani che passarono il confine: un esodo contro corrente rispetto a quello dei nostri 350.000 esuli. Meglio la Jugoslavia marxista di Tito che l’Italia di De Gasperi, anche se gran parte dei 3000 rimpatriò furtivamente nel 1948 quando Tito venne cacciato dal mondo comunista. Abbiamo però trovato una prova eloquente della approvazione dei comunisti italiani di Trieste all’operazione “foibe”.
Nel 1979 l’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia “Istituto Gramsci” pubblicò i tre volumi “Le brigate Garibaldi nella Resistenza-Documenti” a cura di Claudio Pavone. In circa 2000 pagine è documentata la vita delle formazioni partigiane comuniste attraverso testi ufficiali, lettere, relazioni, messaggi colleganti comandi divisionali, brigate, distaccamenti garibaldini. Un lavoro di grande impegno che dimostra l’ampiezza della partecipazione comunista alla Resistenza in Italia dal luglio 1943 alla fine maggio 1945. Non c’è dubbio che i documenti siano stati accuratamente selezionati affinché non finisse di pubblico dominio quanto si riteneva opportuno rimanesse riservato. Ma su 2000 pagine è sempre possibile incorrere in un errore! Ed ecco la perla sulle “foibe”. Prendiamo il 1° volume e leggiamo da pagina 179 a pagina 182, documento 41 datato (… ) dicembre 1943 ed intestato “Il comitato federale di Trieste del P.C.I. al comandante del battaglione “Trieste”. Comincia con le parole: “Rispondiamo al rapporto del 21 dicembre 1943”, e per tre pagine commenta le notizie ricevute, dà consigli, ordini, suggerisce, commenta. Ad un certo punto bisogna giudicare su una perplessità sorta fra i compagni del battaglione “Trieste” a proposito dei carabinieri di Villa Decani. Quei militi avevano dimostrato volontà di collaborazione. Era stato corretto accettarla? Ecco la risposta. “Nel caso dei carabinieri di Villa Decani ben fatto, (omissis) non rinunciando con ciò alla tattica delle foibe” quando si scovano fuori fascisti responsabili di azioni contro la popolazione, ex dirigenti e responsabili del regime fascista dimostratisi particolarmente reazionari; dirigenti responsabili dell’attuale fascismo repubblicano, del governo del venduto Mussolini, membri della milizia e della Guardia Nazionale Repubblicana; collaboratori aperti, decisi ed attivi dei tedeschi, spie, ecc. ecc. La “tecnica delle foibe” e non “fatti sporadici frutto dell’esasperazione popolare……” come volevasi dimostrare.
“Storia del XX Secolo” 1995,
di Teodoro Francesconi)
Che cosa furono i massacri delle foibe
I massacri delle foibe e l’esodo dalmata-giuliano sono una pagina di Storia che per molti anni l’Italia ha voluto dimenticare: ospitiamo l’intervento di Luciano Garibaldi, storico e giornalista, che racconta i sanguinosi eventi che seguirono la fine della seconda guerra mondiale.
Nel 2005 gli italiani furono chiamati per la prima volta a celebrare il «Giorno del Ricordo», in memoria dei quasi ventimila nostri fratelli torturati, assassinati e gettati nelle foibe (le fenditure carsiche usate come discariche) dalle milizie della Jugoslavia di Tito alla fine della seconda guerra mondiale.
La memoria delle vittime delle foibe e degli italiani costretti all’esodo dalle ex province italiane della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia è un tema che ancora divide. Eppure quelle persone meritano, esigono di essere ricordate.
Per questo motivo proviamo a ricostruire quegli eventi drammatici, e a capire come mai questa tragedia è stata confinata nel regno dell’oblio per quasi sessant’anni. Ma andiamo con ordine.
LA FINE DELLA GUERRA. Nel 1943, dopo tre anni di guerra, le cose si erano messe male per l’Italia. Il regime fascista di Mussolini aveva decretato il proprio fallimento con la storica riunione del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943. Ne erano seguiti lo scioglimento del Partito fascista, la resa dell’8 settembre, lo sfaldamento delle nostre Forze Armate.
Nei Balcani, e particolarmente in Croazia e Slovenia, le due regioni balcaniche confinanti con l’Italia, il crollo dell’esercito italiano aveva fatalmente coinvolto le due capitali, Zagabria (Croazia) e Lubiana (Slovenia).
Dove si trovano le principali foibe.
LA VENDETTA DI TITO. Qui avevano avuto il sopravvento le forze politiche comuniste guidate da Josip Broz, nome di battaglia «Tito», che avevano finalmente sconfitto i famigerati “ustascia” (i fascisti croati agli ordini del dittatore Ante Pavelic che si erano macchiati di crimini), e i non meno odiati “domobranzi”, che non erano fascisti, ma semplicemente ragazzi di leva sloveni, chiamati alle armi da Lubiana a partire dal 1940, allorché la Slovenia era stata incorporata nell’Italia divenendone una provincia autonoma.
La prima ondata di violenza esplose proprio dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani jugoslavi di Tito si vendicarono contro i fascisti che, nell’intervallo tra le due guerre, avevano amministrato questi territori con durezza, imponendo un’italianizzazione forzata e reprimendo e osteggiando le popolazioni slave locali.
Con il crollo del regime – siamo ancora alla fine del 1943 – i fascisti e tutti gli italiani non comunisti vennero considerati nemici del popolo, prima torturati e poi gettati nelle foibe. Morirono, si stima, circa un migliaio di persone. Le prime vittime di una lunga scia di sangue.
Durante il fascismo l’italianizzazione della Dalmaazia e della Venezia Giulia venne perseguita seguendo, nelle intenzioni, il modello francese (attraverso una serie di provvedimenti aventi forza di legge come l’italianizzazione della toponomastica, dei nomi propri e la chiusura di scuole bilingui); nei fatti, il modello fascista.
Tito e i suoi uomini, fedelissimi di Mosca, infatti, iniziarono la loro battaglia di (ri)conquista di Slovenia e Croazia – di fatto annesse al Terzo Reich – senza fare mistero di volersi impadronire non solo della Dalmazia e della penisola d’Istria (dove c’erano borghi e città con comunità italiane sin dai tempi della Repubblica di Venezia), ma di tutto il Veneto, fino all’Isonzo.
IL FRENO DEI NAZISTI.Fino alla fine di aprile del 1945 i partigiani jugoslavi erano stati tenuti a freno dai tedeschi che avevano dominato Serbia, Croazia e Slovenia con il pugno di ferro dei loro ben noti sistemi (stragi, rappresaglie dieci a uno, paesi incendiati e distrutti).
Ma con il crollo del Terzo Reich nulla ormai poteva più fermare gli uomini di Tito, irreggimentati nel IX Korpus, e la loro polizia segreta, l’OZNA (Odeljenje za Zaštitu NAroda, Dipartimento per la Sicurezza del Popolo). L’obiettivo era l’occupazione dei territori italiani.
Nella primavera del 1945 l’esercito jugoslavo occupò l’Istria (fino ad allora territorio italiano, e dal ’43 della Repubblica Sociale Italiana) e puntò verso Trieste, per riconquistare i territori che, alla fine della prima guerra mondiale, erano stati negati alla Jugoslavia.
LA LIBERAZIONE DEGLI ALLEATI. Non aveva fatto i conti, però, con le truppe alleate che avanzavano dal Sud della nostra penisola, dopo avere superato la Linea Gotica. La prima formazione alleata a liberare Venezia e poi Trieste fu la Divisione Neozelandese del generale Freyberg, l’eroe della battaglia di Cassino, appartenente all’Ottava Armata britannica. Fu una vera e propria gara di velocità.
Gli jugoslavi si imadronirono di Fiume e di tutta l’Istria interna, dando subito inizio a feroci esecuzioni contro gli italiani. Ma non riuscirono ad assicurarsi la preda più ambita: la città, il porto e le fabbriche di Trieste.
Schema di una foiba tratto da una pubblicazione del 1946 del CNL istriano.
Infatti, la Divisione Neozelandese del generale Freyberg entrò nei sobborghi occidentali di Trieste nel tardo pomeriggio del 1° maggio 1945, mentre la città era ancora formalmente in mano ai tedeschi che, asserragliati nella fortezza di San Giusto, si arresero il 2, impedendo in tal modo a Tito di sostenere di aver «preso» Trieste.
La rabbia degli uomini di Tito si scatenò allora contro persone inermi in una saga di sangue degna degli orrori rivoluzionari della Russia del periodo 1917-1919.
I NUMERI DELLE VITTIME. Tra il maggio e il giugno del 1945 migliaia di italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia furono obbligati a lasciare la loro terra. Altri furono uccisi dai partigiani di Tito, gettati nelle foibe o deportati nei campi sloveni e croati. Secondo alcune fonti le vittime di quei pochi mesi furono tra le quattromila e le seimila, per altre diecimila.
Fin dal dicembre 1945 il premier italiano Alcide De Gasperi presentò agli Alleati «una lista di nomi di 2.500 deportati dalle truppe jugoslave nella Venezia Giulia» ed indicò «in almeno 7.500 il numero degli scomparsi».
In realtà, il numero degli infoibati e dei massacrati nei lager di Tito fu ben superiore a quello temuto da De Gasperi. Le uccisioni di italiani – nel periodo tra il 1943 e il 1947 – furono almeno 20mila; gli esuli italiani costretti a lasciare le loro case almeno 250mila.
Recupero di resti umani dalla foiba di Vines, località Faraguni, presso Albona d’Istria negli ultimi mesi del 1943.
COME SI MORIVA NELLE FOIBE. I primi a finire in foiba nel 1945 furono carabinieri, poliziotti e guardie di finanza, nonché i pochi militari fascisti della RSI e i collaborazionisti che non erano riusciti a scappare per tempo (in mancanza di questi, si prendevano le mogli, i figli o i genitori).
Le uccisioni avvenivano in maniera spaventosamente crudele. I condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo fil di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini delle foibe. Quindi si apriva il fuoco trapassando, a raffiche di mitra, non tutto il gruppo, ma soltanto i primi tre o quattro della catena, i quali, precipitando nell’abisso, morti o gravemente feriti, trascinavano con sé gli altri sventurati, condannati così a sopravvivere per giorni sui fondali delle voragini, sui cadaveri dei loro compagni, tra sofferenze inimmaginabili.
Soltanto nella zona triestina, tremila sventurati furono gettati nella foiba di Basovizza e nelle altre foibe del Carso.
La stratificazione della foiba di Basovizza.
IL DRAMMA DI FIUME E IL DESTINO DELL’ISTRIA.A Fiume, l’orrore fu tale che la città si spopolò. Interi nuclei familiari raggiunsero l’Italia ben prima che si concludessero le vicende della Conferenza della pace di Parigi (1947), alla quale – come dichiarò Churchill – erano legate le sorti dell’Istria e della Venezia Giulia. Fu una fuga di massa. Entro la fine del 1946, 20.000 persone avevano lasciato la città, abbandonando case, averi, terreni.
LA CONFERENZA DI PACE DI PARIGI. Alla fine del 1946 la questione italo-jugoslava era divenuta per molti un peso che intralciava la soluzione di altre e ancora più importanti questioni: gli Alleati volevano trovare una soluzione per Vienna e Berlino; l’Unione Sovietica doveva sistemare la divisione della Germania. L’Italia era alle prese con la gestione della transizione tra monarchia e repubblica.
In sostanza bisognava determinare dove sarebbe passato il confine tra Italia e Jugoslavia. Gli Stati Uniti, favorevoli all’Italia, proposero una linea che lasciava al nostro Paese gran parte dell’Istria. I sovietici, favorevoli ai comunisti di Tito, proposero un confine che lasciava Trieste e parte di Gorizia alla Jugoslavia. La Francia propose una via di mezzo, molto vicina all’attuale confine, che sembrava anche l’opzione più realistica, non perché rispettava le divisioni linguistiche, ma perché seguiva il confine effettivamente occupato dagli eserciti nei mesi precedenti.
Il dramma delle terre italiane dell’Est si concluse con la firma del trattato di pace di Parigi il 10 febbraio 1947. Alla fine, alla conferenza di Parigi venne deciso che per il confine si sarebbe seguita la linea francese: l’Italia consegnò alla Jugoslavia numerose città e borghi a maggioranza italiana rinunciando per sempre a Zara, alla Dalmazia, alle isole del Quarnaro, a Fiume, all’Istria e a parte della provincia di Gorizia.
Giovane esule italiana in fuga trasporta, insieme ai propri effetti personali, un tricolore
L’ESODO.Il trattato di pace di Parigi di fatto regalò alla Jugoslavia il diritto di confiscare tutti i beni dei cittadini italiani, con l’accordo che sarebbero poi stati indennizzati dal governo di Roma.
Questo causò due ingiustizie. Prima di tutto l’esodo forzato delle popolazioni italiane istriane e giuliane che fuggivano a decine di migliaia, abbandonando le loro case e ammassando sui carri trainati dai cavalli le poche masserizie che potevano portare con sé. E, in seguito, il mancato risarcimento.
La stragrande maggioranza degli esuli emigrò in varie parti del mondo cercando una nuova patria: chi in Sud America, chi in Australia, chi in Canada, chi negli Stati Uniti.
INTERESSE POLITICO IN ATTI D’UFFICIO. Tanti riuscirono a sistemarsi faticosamente in Italia, nonostante gli ostacoli dei ministri del partito comunista che – favorevoli alla Jugoslavia – minimizzarono la portata della diaspora.
Emilio Sereni, che ricopriva la determinante carica di ministro per l’Assistenza post-bellica, e sul cui tavolo finivano tutti i rapporti con le domande di esodo e di assistenza provenienti da Pola, da Fiume, dall’Istria e dalla ex Dalmazia italiana, anziché farsene carico e rappresentare all’opinione pubblica la drammaticità della situazione minimizzò la portata del problema.
Rifiutò di ammettere nuovi esuli nei campi profughi di Trieste con la scusa che non c’era più posto e, in una serie di relazioni a De Gasperi, parlò di «fratellanza italo-slovena e italo-croata», sostenne la necessità di scoraggiare le partenze e di costringere gli istriani a rimanere nelle loro terre, affermò che le notizie sulle foibe erano «propaganda reazionaria».
IL GIORNO DEL RICORDO. Come è stato possibile che una simile tragedia sia stata confinata nel regno dell’oblio per quasi sessant’anni? Tanti, infatti, ne erano passati tra quel quadriennio 1943-47 che vide realizzarsi l’orrore delle foibe, e l’auspicato 2004, quando il Parlamento approvò la «legge Menia» (dal nome del deputato triestino Roberto Menia, che l’aveva proposta) sulla istituzione del «Giorno del Ricordo».
La risposta va ricercata in una sorta di tacita complicità, durata decenni, tra le forze politiche centriste e cattoliche da una parte, e quelle di estrema sinistra dall’altra. Fu soltanto dopo il 1989 (con il crollo del muro di Berlino e l’autoestinzione del comunismo sovietico) che nell’impenetrabile diga del silenzio incominciò ad aprirsi qualche crepa.
Il 3 novembre 1991, l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga si recò in pellegrinaggio alla foiba di Basovizza e, in ginocchio, chiese perdono per un silenzio durato cinquant’anni. Poi arrivò la TV pubblica con la fiction Il cuore nel pozzo interpretata fra gli altri da Beppe Fiorello. Un altro presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, si era recato, in reverente omaggio ai Caduti, davanti al sacrario di Basovizza l’11 febbraio 1993.
Così, a poco a poco, la coltre di silenzio che, per troppo tempo, era calata sulla tragedia delle terre orientali italiane, divenne sempre più sottile e finalmente tutti abbiamo potuto conoscere quante sofferenze dovettero subìre gli italiani della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.
Luciano Garibaldi
Alla tragedia delle foibe, l’autore, Luciano Garibaldi, giornalista e storico, ha dedicato, assieme a Rossana Mondoni, quattro libri editi dalle edizioni Solfanelli: «Venti di bufera sul confine orientale», «Nel nome di Norma», dedicato al ricordo di Norma Cossetto, studentessa triestina tra le prime vittime della violenza rossa, «Il testamento di Licia», approfondito dialogo con la sorella di Norma Cossetto, e «Foibe, un conto aperto».
9 febbraio 2021
FONTE: https://www.focus.it/cultura/storia/che-cosa-furono-i-massacri-delle-foibe
Le vicende dei confini orientali
Alla fine della Seconda guerra mondiale, mentre tutta l’Italia, grazie all’esercito Anglo-Americano, veniva liberata dall’occupazione nazista, a Trieste e nell’Istria (sino ad allora territorio italiano) si è vissuto l’inizio di una tragedia: la “liberazione” avvenne ad opera dell’esercito comunista jugoslavo agli ordini del maresciallo Tito.
350.000 italiani abitanti dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia dovettero scappare ed abbandonare la loro terra, le case, il lavoro, gli amici e gli affetti incalzati dalle bande armate jugoslave. Decine di migliaia furono uccisi nelle Foibe o nei campi di concentramento titini. La loro colpa era di essere italiani e di non voler cadere sotto un regime comunista.
Trieste, dopo aver subito più di un mese di occupazione jugoslava, ancora oggi ricordati come “i quaranta giorni del terrore“, visse per 9 anni sotto il controllo di un Governo Militare Alleato (americano ed inglese), in attesa che le diplomazie decidessero la sua sorte.
Solo nell’ottobre del 1954 l’Italia prese il pieno controllo di Trieste, lasciando l’Istria all’amministrazione jugoslava.
E solo nel 1975, con il Trattato di Osimo, l’Italia rinunciò definitivamente, e senza alcuna contropartita, ad ogni pretesa su parte dell’Istria, terra italiana sin da quando era provincia dell’Impero romano.
LE PAGINE NON SCRITTE DELLA NOSTRA STORIA
Una delle tante pagine non scritte della nostra storia recente è l’Esodo di 350 mila fiumani, istriani e dalmati che, dal 1945, si riversarono in Italia con tutti i mezzi possibili: vecchi piroscafi, macchine sgangherate, treni di fortuna, carri agricoli, barche, a nuoto e a piedi. Una fuga per restare italiani, un vero Esodo biblico, affrontato con determinazione, verso un’Italia sconfitta e semidistrutta, quale reazione al violento tentativo di naturalizzazione voluta nella primavera del 1945, dalla ferocia dei partigiani slavi.
Improvvisamente l’Istria, Fiume e la Dalmazia furono oscurate dall’ombra livida di un destino incerto e rosso di sangue innocente. La gente era bloccata dalla paura dei rastrellamenti improvvisi, delle delazioni, delle vendette e delle notizie di infoibamenti, di affogamenti e di fucilazioni che la giustizia sommaria di sedicenti tribunali del popolo irrogava a chi era colpevole di essere italiano. Le città cominciarono a svuotarsi. Da Fiume fuggirono 54 mila su 60 mila abitanti, da Pola 32 mila, da Zara 20 mila su 21 mila, da Capodistria 14 mila su 15 mila.
A questi 350.000 italiani, gli unici a pagare il prezzo della sconfitta italiana nella seconda guerra, non è mai stato riconosciuto un degno indennizzo per tutto ciò che avevano perso né è mai stata riconosciuta la dignità di entrare nella Storia d’Italia, cancellati dai libri, dai dibattiti politici e culturali, dai giornali e dalla televisione. Solo nel 2004 la Repubblica italiana riconosce le tragedie del confine orientale con una giornata, il 10 febbraio, dedicata al ricordo delle Foibe e dell’esodo istriano, fiumano e dalmato.
I RAGAZZI DEL ’53
Cinquant’anni fa Trieste visse un autunno intriso di speranza ma colorato di sangue. Si era agli ultimi momenti del governo militare alleato, il ritorno dell’Italia a Trieste sembrava cosa fatta, ma fra il 4 e il 6 novembre del 1953, la piazza si animò e, da una situazione di dissidio che, probabilmente, poteva essere controllata, si giunse allo scontro. Sei triestini: Addobbati, Paglia, Montano, Zavadil, Manzi e Bassa, persero la vita. Numerosi furono i feriti. Qualcuno venne arrestato. Altri, per evitare che ciò accadesse, furono allontanati dalla città proprio grazie al pronto intervento della Lega Nazionale.
Si era al culmine di un decennio tremendo e tremendo fu quel novembre di cinquant’anni fa.
In occasione del Cinquantenario del ritorno di Trieste all’Italia il Presidente della Repubblica ha insignito della Medaglia d’Oro al Valore Civile i 6 triestini che hanno dato la vita per la patria in quei giorni del ’53.
FONTE: http://www.leganazionale.it/index.php/approfondimenti/49-schede-di-storia/60-le-vicende-dei-confini-orientali
Foibe ed Esodo: scambio di (cortesi) argomentazioni
Alcuni dubbi di un nostro cortese lettore, e le risposte del Presidente della Lega Nazionale
Email inviata dal signor Roberto Pellati di Modena:
Sono un appassionato di storia contemporanea e in particolare del problema del confine orientale. Considero il comunismo uno dei peggiori mali della storia dell’umanità, tuttavia non posso dimenticare che le foibe, la mutilazione territoriale con connesso esodo, non sono per niente figli del comunismo bensì del nazionalismo slavo (che tale sarebbe stato anche con un regime ustascia o anche democratico) aggravato inoltre dalla voglia di vendicarsi per i torti (snazionalizzazione culturale, divieto dell’uso delle lingue slave, italianizzazione forzata dei cognomi, ecc…) subiti ad opera degli italiani dal 1920 al 1941 diventati poi crimini dal 1941 al 1943 (guerra di aggressione, fucilazioni di massa, internamenti in campi di concentramento con relativi maltrattamenti e uccisioni).
Io non riesco a capire alcune cose della vostra filosofia:
1) Non parlate mai dei crimini commessi dagli italiani ma solo di quelli subiti, quando i secondi sono (almeno in parte) conseguenza (comprensibile sul piano logico anche se non giustificabile su quello morale) dei primi. Un approccio non demagogico prevederebbe dopo 50 anni di trattare quegli argomenti in modo completo e con reciprocità.
2) Vi lamentate del fatto che il trattato di pace del 1947 sia stato un trattato ingiusto: è vero avete ragione, ma dimenticate che la storia ha ampiamente dimostrato che tutti i trattati di pace sono ingiusti a cominciare da quello di Rapallo del 1920 che ha inglobato entro i confini italiani ampi territori a prevalente componente slovena e croata.
3) Contestate il Trattato di Osimo, dimenticando che non ha fatto altro che prendere atto e ufficializzare una situazione internazionalmente accettata e di fatto immodificabile (se non con la guerra) venutasi a creare col Memorandum di Londra del 1954. E tutti sapevano che in quel momento quella che veniva chiamata per pudore “linea di demarcazione” in realtà era un vero e proprio confine di stato italo-jugoslavo. Il Trattato di Osimo ha solo chiamato quel confine col suo vero nome.
4) Parlate ancora di tragedia dimenticata, ma io sono almeno 20 anni che sento parlare in continuazione di foibe e di esodo.
E’ vero che fino ai primi anni 80 se ne parlava poco e che per motivi di politica internazionale si è cercato di insabbiare l’argomento ma è anche vero che in cambio si è ottenuto l’insabbiamento dei processi ai criminali di guerra italiani in iugoslavia (per non parlare di quelli in etiopia, libia e altri possedimenti).
Italiani brava gente è una bufala: chi scatena una guerra non è brava gente ma solo assassini (e non vale a ridurne la portata il fatto che eravamo in compagnia di assassini peggiori di noi quali erano i tedeschi).
Per concludere io, pur rispettando il dolore dei familiari degli assassinati nelle foibe e delle vittime dell’esodo, considero il vostro (e quello delle istituzioni italiane)modo di trattare l’argomento come troppo parziale e di conseguenza demagogico.
Sono d’accordo invece sulle vostre osservazioni in merito all’infame atteggiamento che sempre hanno avuto sull’argomento i comunisti italiani.
Cordiali saluti
LA RISPOSTA DEL PRESIDENTE DELLA LEGA NAZIONALE AL SIGNOR PELLATI:
Caro Signor Pellati,
La ringrazio per la Sua mail del 4 marzo e cercherò di fornirLe i chiarimenti richiesti.
1) Sono convinto che il primo criterio dello storico debba essere quello di definire l’oggetto di cui parla. Nel nostro caso sono convinto che Foibe ed Esodo debbano essere inquadrati nell’ambito della terza guerra mondiale (quella iniziata il 1 maggio 1945 e terminata a Berlino nel 1989).
2) In tale ottica Foibe ed Esodo hanno costituito strumenti messi in atto dallo Stato comunista jugoslavo in fase di costituzione ed hanno avuto quali vittime sia italiani che sloveni e croati (in Slovenia a pochi chilometri ad est di Gorizia ci sono stati migliaia e migliaia di sloveni assassinati, a guerra finita, dai comunisti di Tito).
3) Ciò chiarito sta benissimo che si parli dei contesti storici precedenti: la II Guerra Mondiale, lo scontro tra Totalitarismi, il fascismo in Italia, la I Guerra Mondiale caratterizzata dall’esplosione delle identità nazionali e, prima ancora, la politica criminale degli Asburgo che ha fatto nascere in queste terre un conflitto tra le etnie slave e quella italiana, laddove per secoli ai tempi di Venezia, la convivenza era stata assolutamente pacifica e proficua.
4) Non accetto viceversa la logica “giustificazionista” implicita nell’affermare “è vero ci sono state le Foibe, però prima c’è stato…..” . E’ una logica che si fonda sul presupposto barbarico di legittimare la vendetta e la legge del taglione nei rapporti tra i popoli e gli Stati. In questa logica il 12 giugno 1945 quando i titini hanno lasciato Trieste, gli italiani di Trieste che avevano subito la tragedia delle Foibe avrebbero dovuto o almeno potuto scatenarsi nella caccia allo slavo, nelle rappresaglie e nelle vendette. Niente di tutto ciò è avvenuto come nessuna violenza antislava è stata messa in atto dalle decine di migliaia di esuli istriani arrivati a Trieste e finiti nei campi profughi grazie al comunismo di Tito. Aggiungo che tali comportamenti dei triestini e dei profughi istriani sono ovviamente apparsi assolutamente naturali perché – tra le genti civili – la vendetta non è un diritto, non è una giustificazione ma solo una colpa e un comportamento bestiale.
5) Il discorso sul Trattato di Pace del 1947 e quello di Rapallo del 1920 potrebbe essere molto lungo. Certo è che dopo Rapallo non si è verificato l’esodo che si è verificato dopo il Trattato di Pace.
6) Il Trattato di Osimo: se era inutile perché lo si è fatto?
7) Il silenzio sulla tragedia delle Foibe e dell’Esodo senz’altro non ha impedito che se ne potesse parlare. Certo se ne è parlato molto ma molto meno rispetto ad altri temi ed è anche vero che è stata necessaria la fine del comunismo perché il livello di informazione potesse crescere. Resta il fatto, scandaloso, che tutta la pubblicistica che gira nell’ambito scolastico è ancora caratterizzata dalla rimozione di questi temi.
8) Apprezzo che Lei condivida il mio giudizio negativo sul Comunismo. Peraltro, a quindici anni dal fallimento del sistema comunista quanti film abbiamo visto sui gulag sovietici, sui massacri realizzati in tutte le parti del mondo in nome della Rivoluzione Comunista? Sicuramente molti ma meno molti di quelli che sono stati prodotti (doverosamente) sui crimini scandalosi ed inqualificabili del nazismo. C’è evidentemente nel campo della cultura e della comunicazione un perdurare di certi meccanismi di condizionamento ideologico. Mi auguro che ce ne libereremo al più presto.
Spero con queste osservazioni, necessariamente sommarie, di averLe almeno parzialmente chiarito le nostre posizioni e sarò comunque ben lieto di proseguire in qualsiasi occasione tale chiarimento.
Cordiali saluti. Il Presidente – avv. Paolo Sardos Albertini
FONTE: http://www.leganazionale.it/index.php/approfondimenti/49-schede-di-storia/1175-foibe-ed-esodo-scambio-di-cortesi-argomentazioni
Giorno del Ricordo – a cura della Lega Nazionale
Il Giorno del Ricordo delle Foibe e dell’Esodo di Istriani Fiumani e Dalmati. Un racconto per le scuole, le università e per tutti coloro che vogliono conoscere una argomento spesso nascosto dalla storiografia ufficiale.
A cura della Lega Nazionale, si ringrazia il prof. Stefano Pilotto
VIDEO QUI: https://youtu.be/x8N9czQ4eKM
VIDEO QUI: https://youtu.be/JojdIq8wags
VIDEO QUI: https://youtu.be/CTE2e-TfR9Y
FONTE: http://www.leganazionale.it/index.php/approfondimenti/49-schede-di-storia/1989-giorno-del-ricordo-a-cura-della-lega-nazionale
Invocazione per le vittime delle Foibe
di Mons. Antonio Santin Vescovo di Trieste
1959
O Dio, Signore della vita e della morte, della luce e delle tenebre, dalla
profondità di questa terra e di questo nostro dolore noi gridiamo a Te.
Ascolta, o Signore, la nostra voce.
Noi siamo venuti qui per innalzare le nostre povere preghiere e deporre i nostri fiori, ma anche per apprendere l’insegnamento che sale dal sacrificio di questi Morti. E ci rivolgiamo a Te, perché Tu hai raccolto l’ultimo loro grido, l’ultimo loro respiro.
Questo calvario, col vertice sprofondato nelle viscere della terra, costituisce una grande cattedra, che indica nella giustizia e nell’amore le vie della pace.
Ebbene, Signore, Principe della Pace, concedi a noi la Tua pace. Dona conforto alle spose, alle madri, alle sorelle, ai figli di coloro che si trovano in tutte le foibe di questa nostra triste terra, e a tutti noi che siamo vivi e sentiamo pesare ogni giorno sul cuore la pena per questi Morti, profonda come le voragini che li accolgono.
Tu sei il Vivente, o Signore, e in Te essi vivono. Che se ancora la loro purificazione non è perfetta, noi Ti offriamo, o Dio Santo e Giusto, la nostra preghiera, la nostra angoscia, i nostri sacrifici, perché giungano presto a gioire dello splendore del Tuo Volto.
E a noi dona rassegnazione e fortezza, saggezza e bontà. Tu ci hai detto: “Beati i misericordiosi perché saranno chiamati figli di Dio, beati coloro che piangono perché saranno consolati”, ma anche beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati in Te, o Signore, perché è sempre apparente e transeunte il trionfo dell’iniquità.
FONTE: http://www.lefoibe.it/storie/preghiera.htm
Foiba di Vines
Recuperate dal Maresciallo Harzarich dal 16.10.1943 al 25.10.1943 cinquantuno salme riconosciute. In questa Foiba, sul cui fondo scorre dell’acqua, gli assassinati dopo essere stati torturati, finirono precipitati con una pietra legata con un filo di ferro alle mani. Furono poi lanciate delle bombe a mano nell’interno. Unico superstite, Giovanni Radeticchio, ha raccontato il fatto.
Riuscì a sopravvivere Giovanni Radeticchio di Sisano.
Ecco il suo racconto: “Addì 2 maggio 1945, Giulio Premate accompagnato da altri quattro armati venne a prelevarmi a casa mia con un camioncino sul quale erano già i tre fratelli Alessandro, Francesco e Giuseppe Frezza nonché Giuseppe Benci. Giungemmo stanchi ed affamati a Pozzo Littorio dove ci aspettava una mostruosa accoglienza; piegati e con la testa all’ingiù fecero correre contro il muro Borsi, Cossi e Ferrarin. Caduti a terra dallo stordimento vennero presi a calci in tutte le parti del corpo finché rinvennero e poi ripetevano il macabro spettacolo. Chiamati dalla prigionia al comando, venivano picchiati da ragazzi armati di pezzi di legno.
Alla sera, prima di proseguire per Fianona, dopo trenta ore di digiuno, ci diedero un piatto di minestra con pasta nera non condita. Anche questo tratto di strada a piedi e per giunta legati col filo di ferro ai polsi due a due, così stretti da farci gonfiare le mani ed urlare dai dolori. Non ci picchiavano perché era buio.
Ad un certo momento della notte vennero a prelevarci uno ad uno per portarci nella camera della torture. Ero l’ultimo ad essere martoriato: udivo i colpi che davano ai miei compagni di sventura e le urla di strazio di questi ultimi. Venne il mio turno: mi spogliarono, rinforzarono la legatura ai polsi e poi, giù botte da orbi. Cinque manigoldi contro di me, inerme e legato, fra questi una femmina. Uno mi dava pedate, un secondo mi picchiava col filo di ferro attorcigliato, un terzo con un pezzo di legno, un quarto con pugni, la femmina mi picchiava con una cinghia di cuoio.
Prima dell’alba mi legarono con le mani dietro la schiena ed in fila indiana, assieme a Carlo Radolovich di Marzana, Natale Mazzucca da Pinesi (Marzana), Felice Cossi da Sisano, Graziano Udovisi da Pola, Giuseppe Sabatti da Visinada, mi condussero fino all’imboccatura della Foiba. Per strada ci picchiavano col calcio e colla canna del moschetto. Arrivati al posto del supplizio ci levarono quanto loro sembrava ancora utile. A me levarono le calze (le scarpe me le avevano già prese un paio di giorni prima), il fazzoletto da naso e la cinghia dei pantaloni. Mi appesero un grosso sasso, del peso di circa dieci chilogrammi, per mezzo di filo di ferro ai polsi già legati con altro filo di ferro e mi costrinsero ad andare da solo dietro Lidovisi, già sceso nella Foiba. Dopo qualche istante mi spararono qualche colpo di moschetto. Dio volle che colpissero il filo di ferro che fece cadere il sasso. Così caddi illeso nell’acqua della Foiba. Nuotando, con le mani legate dietro la schiena, ho potuto arenarmi. Intanto continuavano a cadere gli altri miei compagni e dietro ad ognuno sparavano colpi di mitra. Dopo l’ultima vittima, gettarono una bomba a mano per finirci tutti. Costernato dal dolore non reggevo più.
Sono riuscito a rompere il filo di ferro che mi serrava i polsi, straziando contemporaneamente le mie carni,poiché i polsi cedettero prima del filo di ferro. Rimasi così nella Foiba per un paio di ore. Poi, col favore della notte, uscii da quella che doveva essere la mia tomba”
FONTE: http://www.lefoibe.it/storie/racconto.htm
Ricordando le vittime delle foibe, mostra delle associazioni Anmig e Ancr Barleta
Foiba
L’arte per commemorare il Giorno del Ricordo
La solennità del Giorno del Ricordo è stata istituita nel 2004, fissandola al 10 febbraio, per conservare e rinnovare la Memoria della tragedia degli Italiani e di tutte le Vittime delle Foibe, dell’esodo dalle loro terre di Istriani, Fiumani e Dalmati nel Secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Per commemorare questa pagina buia e tragica della nostra Storia, le Associazioni Anmig (Associazione Nazionale fra Mutilati e Invalidi di Guerra) e Ancr (Associazione Nazionale Combattenti e Reduci) sezione di Barletta e Borbiago (Ve), in stretta collaborazione con il Ctim (Comitato Tricolore per gli Italiani nel Mondo) nella persona di Vincenzo Arcobelli, presidente e del Segretario Generale Roberto Menia, uno dei firmatari sulla legge del Giorno del Ricordo, da sempre attente a voler contribuire alla divulgazione di fatti, eventi e personaggi del XX secolo, organizzano una mostra con l’esposizione di pannelli ed una scultura moderna concepita dall’artista barlettano Roberto Piccinni a tema.
Tale mostra prenderà il via oggi, martedì 12 febbraio, presso la Scuola Secondaria di I grado “Baldacchini-Manzoni”, in via A. Bruni a Barletta con la pregiata presenza della Presidentessa della Commissione consiliare alla Cutura Stella Mele, per poi spostarsi presso la sede ANMIG in via Capua a Barletta, ove resterà esposta per tutto il mese di febbraio con ingresso libero.
Il Segretario Generale Ctim On. Roberto Menia ha immediatamente inviato una lettere di complimenti all’iniziativa svolta dalle suddette associazioni e per far sentire la propria voce, voce espressa da colui che per anni ha lottato affinchè il 10 Febbraio fosse giornata der Ricordo, di Riconciliazione ed Unità Nazionale. Nello stesso comunicato è stato inviato uno stralcio di ricordi di un Esule che proprio a Barletta dimorò per circa due anni. Il Presidente ANMIG/ANCR, Ruggiero Graziano, invita la cittadinanza a voler visitare la suddetta mostra che vuole essere un omaggio a tutte le vittime della ferocia dei regimi dittatoriali e un contributo a voler tener vivo il ricordo di una strage per troppi anni ingiustamente ignorata, ma che merita attenzione e riflessione alla pari di tante altre tragedie che hanno segnato la lunga e difficile conquista della nostra libertà affinché anche le nuove generazioni siano custodi di una Memoria indispensabile alla tutela dei diritti di tutti i popoli.
FONTE: https://www.barlettaviva.it/notizie/le-opere-dell-artista-di-barletta-roberto-piccinni-in-mostra/
Viaggio nella “Foiba di Campastrino”.
di Andrea Cionci da La Verità di oggi
Stanno ancora laggiù, come rifiuti tra i rifiuti, dimenticati da tutti. Sono i ragazzi italiani e tedeschi gettati – a guerra finita, si badi – nella “Foiba di Campastrino” un inghiottitoio di tipo carsico che, tuttavia, non si trova in Istria o nell’area giuliano-dalmata, bensì nella occidentalissima Liguria, in provincia della Spezia. Nulla a che vedere, dunque con i feroci partigiani del IX Corpus del maresciallo Tito, ma con quelli nostrani, azionisti e comunisti. Sul fondo del crepaccio biancheggiano ancora cumuli di ossa, costole, tibie e femori. I teschi sono scivolati via da quegli elmetti di foggia italiana e germanica che arrugginiscono insieme, alla rinfusa, nell’atmosfera satura di umidità. Tondeggianti i primi, squadrati e “celtici” i secondi, quei coppi di acciaio sono gli ultimi testimoni di un’alleanza militare che, giusta o sbagliata che fosse, non ha conosciuto voltafaccia e tradimenti. Li indossavano i soldati della Wehrmacht e della X Mas di stanza nei forti che circondano il Golfo che, dove difendevano le batterie costiere amalgamati in reparti misti.
“Furono due le precipitazioni – spiega l’avvocato Emilio Guidi, membro del locale Comitato onoranze – la prima avvenne durante la guerra. Mentre la 148^ divisione tedesca si sganciava verso la Pianura padana, un suo reparto forse rimasto senza ordini o tagliato fuori, scelse la strada verso Genova. I militari incapparono presso san Benedetto, nei 400 partigiani comunisti e azionisti delle divisioni “Vanni” e “Giustizia e Libertà”. Dopo aspri combattimenti, circa dieci soldati rimasti ancora in vita, furono catturati e ristretti in una casupola di legno nel bosco, priva del tetto. Qualcuno parla di un tentativo di fuga, fatto sta che i partigiani lanciarono dentro la baracca delle bombe a mano e li ammazzarono tutti. Per disfarsi facilmente dei corpi li gettarono nella foiba di Campastrino. La seconda precipitazione fu gravissima, perché avvenuta a guerra finita e coinvolse i 50 prigionieri italo-tedeschi del castello di Calice, gestito dal partigiano azionista Luigi Carbonetto. Costui, dovendo consegnarli agli americani presso La Spezia, li affidò a un gruppo di partigiani rossi che già detenevano altri 20 tedeschi nella caserma di GNR di Via Vecchio ospedale a La Spezia. Era il primo maggio e i comunisti celebrarono la Festa dei Lavoratori a modo loro. Invece di consegnarli agli americani, li portarono a Campastrino e qui, come raccontava lo stesso Carbonetto, li infoibarono”. La gran parte di quegli 80 soldati è ancora laggiù, dato che una strozzatura dell’inghiottitoio rende molto difficile il recupero dei resti ammassati sul fondo. Ad aggravare la situazione, una quantità di residuati bellici, bombe, mine, proiettili che rendono pericoloso il recupero. Nel corso dei decenni sono stati effettuati tre tentativi. Il primo, del 1972 , fu effettuato dallo scopritore della foiba, Giuseppe Zanelli che era stato ufficiale nel Regio Esercito e poi nella X Mas e nelle Brigate nere. Costui volle verificare le dicerie su Campastrino e fece inviare giù un gruppo speleologico. Durante l’estrazione delle prime ossa fu recuperata anche una Tellermine (mina anticarro) tedesca che condusse i Carabinieri a bloccare l’operazione.
In quell’occasione furono rinvenute tre piastrine di riconoscimento tedesche. Sappiamo quindi i nomi di almeno due soldati: Walter Demann e Karl Abe. Il terzo era un marinaio della Kriegsmarine, ma non si poté comprendere il nome. I resti furono poi composti in una cassetta di zinco, benedetti e inumati nel cimitero tedesco del Passo della Futa. Successivamente, una seconda esplorazione fu effettuata da Onorcaduti, il comitato di onoranze della Difesa, che effettuò il recupero di altre ossa. Infine, nel 2007, lo storico Marco Pirina, studioso delle foibe deceduto da qualche anno, organizzò un’equipe di volontari specializzati che arrivò certamente sino in fondo alla foiba, verificando come vi fosse stata gettata anche quella enorme quantità di detriti e rifiuti che, ancor oggi e per molti metri d’altezza, ricopre gli scheletri rimasti. Il Comitato per le Onoranze de La Spezia si augura che anche grazie a un interessamento dell’Ambasciata tedesca venga effettuato un completo recupero dei resti umani o che, almeno, su quella foiba venga posta una lapide commemorativa per ricordare i caduti che giacciono lì sotto. Dovrà comunque essere un cippo robusto per resistere ai vandalismi di cui sono immancabilmente oggetto i lacerti di una memoria scomoda.
FONTE: https://www.quasimezzogiorno.org/news/viaggio-nella-foiba-di-campastrino/
10 febbraio “Giorno del Ricordo”: anche 200 siciliani nelle foibe perché “italiani”
MONTI SICANI – Sono ormai divenute sinonimo di “pulizia etnica”: le foibe oggi non sono più soltanto in Venezia Giulia i grandi inghiottitoi (o caverne verticali, o pozzi), tipici della regione. Sono il simbolo di un eccidio, commesso per motivi etnici e/o politici ai danni della popolazione italiana dell’Istria, della Venezia Giulia e della Dalmazia, avvenuti durante la seconda guerra mondiale e negli anni immediatamente seguenti.
Fra il 1943 e il 1947 sono gettati, vivi e morti, quasi diecimila italiani, di cui oltre 200 i siciliani. Cammarata commermoa oggi un suo concittadino “infoibato”, il giovane finanziere Emanuele Bongiovanni, in memoria del quale nel 2010 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in una solenne cerimonia al Quirinale, consegnò una medaglia al valore a Vito e Vincenzina Bongiovanni fratello e sorella del militare infoibato.
Il Giorno del ricordo si celebra in Italia il 10 febbraio in memoria di tutte le vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata. Istituito con la legge n. 92 del 30 marzo 2004, concede anche un riconoscimento ai congiunti degli infoibati.
Perché le foibe? La prima ondata di violenza esplode subito dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicano contro i fascisti (che avevano prima “italianizzato” e poi occupato la regione nel 1941) e gli italiani non comunisti. Vengono torturati, massacrati, affamati e poi gettati nelle foibe circa un migliaio di persone. Li considerano “nemici del popolo”. Ma la violenza aumenta nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l’Istria. Le truppe del maresciallo Tito si scatenano contro gli italiani. A cadere dentro le foibe ci sono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini. È una carneficina che testimonia l’odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti. La persecuzione prosegue fino alla primavera del 1947, fino a quando, cioè, viene fissato il confine fra l’Italia e la Jugoslavia. Ma il dramma degli istriani e dei dalmati non finisce: cessato l’orreore delle foibe inizia l’esodo istriano o esodo giuliano-dalmata, quell’importante fenomeno di diaspora che si verificò al termine dall’Istria, dal Quarnaro e dalla Dalmazia da parte della maggioranza dei cittadini di lingua italiana e di coloro che diffidavano del nuovo governo jugoslavo, in seguito all’occupazione di tali regioni da parte dell’Armata popolare di liberazione della Jugoslavia del maresciallo Tito.
FONTE: https://www.magaze.it/wps/2012/02/10/10-febbraio-giorno-del-ricordo-anche-200-siciliani-nelle-foibe-perche-italiani/
“FOIBA ROSSA”. CONSIDERAZIONI SU UN FUMETTO SULLE FOIBE
Copertina del fumetto “Foiba rossa”
ABSTRACT
La storia di Norma Cossetto, laureanda istriana figlia di un dirigente fascista locale trovata morta sul fondo di una foiba all’indomani dell’8 settembre 1943, ha guadagnato negli ultimi anni una crescente popolarità. L’articolo esprime una serie di considerazioni su “Foiba Rossa – Norma Cossetto storia di un'italiana”, un fumetto realizzato con il contributo dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia pensato per il pubblico più giovane e per la distribuzione agli studenti. Dopo una rapida disanima dei contributi introduttivi, vengono discusse le scelte narrative e l’aderenza alla realtà storica dei fatti rappresentati. Infine, vengono proposte alcune considerazioni sulle possibilità espressive del genere graphic novel rispetto a episodi storici connessi ad aspetti fortemente macabri ed intensamente politicizzati come quello in questione.
DA ROSSO ISTRIA A FOIBA ROSSA
Oltre che del film Rosso Istria, di cui Novecento ha già parlato in marzo (Rosso Istria: un mese dopo), la figura di Norma Cossetto, una giovane donna uccisa in Istria nel 1943, è stata recentemente protagonista del fumetto Foiba Rossa – Norma Cossetto storia di un’italiana. Il lavoro, edito per i tipi della casa editrice Ferrogallico collegata alla più nota Altaforte edizioni, è stato pubblicato in varie edizioni. Nel dicembre del 2018 è stato stampato in una versione speciale con copertina bianca su cui campeggia il logo dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. A questa variante, realizzata con il contributo statale ex legge 72/2001 ”interventi a tutela del patrimonio storico e culturale delle comunità degli esuli italiani dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia”, fa riferimento la presente riflessione. Si tratta, come chiarito nelle prime pagine, della terza edizione ”indirizzata in maniera più specifica al mondo della scuola“, distribuita agli studenti di alcune scuole del Veneto in occasione dell’ultima ricorrenza del Giorno del ricordo.
NON SOLO FUMETTO
Il volumetto si giova di quattro brevi contributi. Nel primo, con il quale il Presidente dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia Renzo Codarin descrive le ragioni e le finalità dell’opera, la portata dell’esodo istriano viene stimata nella cifra di 350.000 persone. Si stabilisce inoltre un forte nesso causale con le ”stragi compiute dall’Esercito di liberazione nazionale jugoslavo e dai suoi collaborazionisti comunisti italiani“; lo stesso esodo viene quindi definito senza mezzi termini una forma di pulizia etnica.
Il secondo contributo, del vicepresidente della Federazione delle Associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati Davide Rossi, qualifica gli esuli sempre in ”oltre 350.000“ e stima il numero delle vittime delle foibe in “quasi 10.000“.
Al dirigente della Lega Nazionale e del Comitato 10 Febbraio Lorenzo Salimbeni spetta dunque un intervento, di inquadramento storico. In esso le vittime delle foibe istriane dell’autunno 1943 vengono stimate in ”un migliaio circa“. Nella parte dedicata all’invasione nazifascista della Jugoslavia si sostiene che le azioni di disturbo effettuate dai partigiani, ”attentati, imboscate e assalti a presidi isolati comportavano in base alle leggi di guerra la reazione e la rappresaglia delle truppe regolari, che procedevano a deportazioni, fucilazioni e incendi di villaggi”. Si avvalla inoltre la vulgata, non confermata dalla ricerca storica, per cui i bombardamenti di Zara nel 1944 sarebbero stati causati da una precisa richiesta di Tito agli angloamericani, mentre l’esplosione di alcuni ordigni sulla spiaggia di Vergarolla nei pressi di Pola, il 18 agosto 1946, sarebbe stata provocata da ”elementi collegati all’Ozna, la spietata polizia segreta del nascente regime jugoslavo”. Quanto alle vittime delle foibe in senso lato, si afferma genericamente che ”alcune stime giungono a quota 10.000, le più prudenti parlano di 5.000”.
Infine Emanuele Merlino, autore del soggetto e della sceneggiatura, firma un contributo dai toni essenzialmente emotivi.
L’INCIPIT
Il fumetto vero e proprio consta di 53 pagine. Esso è strutturato come il racconto immaginario del fantasma di Norma Cossetto nel giorno del conferimento alla defunta di una laurea honoris causa, l’8 maggio 1949.
Una descrizione idilliaca dell’Istria nei secoli, di cui viene sottolineato l’aspetto latino e veneziano, culmina nell’esaltazione dell’Impresa di Fiume d’annunziana, ”perché essere italiani in Italia non è soltanto burocrazia: è amore, poesia e destino”. La narrazione viene quindi introdotta, con frequenti salti cronologici, attraverso circostanze immaginarie ma di alta pregnanza simbolica, tra cui il matrimonio dei genitori scandito da grida “viva l’Italia, viva l’Istria”. Il racconto della storia familiare della Cossetto prende l’abbrivio dal salvataggio del mezzadro Drazen (in croato esiste eventualmente il nome Dražen), feritosi lavorando nei campi, ad opera del padre. La figura di Giuseppe Cossetto è introdotta dalla descrizione “papà è una persona importante…ed è amato…”, una scelta riduttiva rispetto all’evidenza che costui fosse il podestà di Vižinada (Santa Domenica di Visinada) nonché segretario politico del Fascio locale e commissario governativo delle Casse Rurali, un ente noto per aver gestito il credito fondiario in moda tale da penalizzare la popolazione croata e slovena. La bontà di Giuseppe si esplica del resto in una cornice fortemente padronale, al punto che il mezzadro viene da questi portato in ospedale nonostante ”sporcherà la macchina“.
L’adolescenza di Norma viene quindi descritta con poche pennellate caratteristiche, tra cui l’adesione al fascismo spiegata attraverso la semplice considerazione che ”Noi abbiamo sognato tanto di essere italiani / Non era scontato / C’è chi è morto per liberarci (Sic!). Dobbiamo esserne all’altezza“. Lo scoppio della Seconda guerra mondiale coincide con gli studi universitari, un periodo che trascorre tra compagni di studio morti in Africa e classi di scuola improvvisamente decimate per la morte dei padri degli studenti in Russia. La situazione in Istria sembra comunque tranquilla dal momento che, nonostante ”si dic[a] che gruppi di banditi comunisti aspettino l’occasione per attaccarci in casa nostra“, secondo Norma “qui in Istria fino a che ci sarà l’esercito saremo al sicuro“.
ESTATE 1943
La prosecuzione degli eventi nell’estate del 1943 viene a questo punto introdotta da una palese invenzione storica, che configura in qualche modo un salto di qualità rispetto all’intenso patriottismo dei toni, fin qui prevalente. Viene infatti presentata un’inverosimile riunione di capi partigiani jugoslavi avvenuta a Zagabria nell’”estate del 1943“, durante la quale viene deciso di ”cacciare i tedeschi e i fascisti“ nonostante in Istria “siano praticamente tutti italiani“. La scarsa immaginazione del disegnatore permette di svelare la manipolazione con sicurezza; le immagini dell’inesistente riunione di Zagabria, città che nell’estate del 1943 era ancora sotto il controllo degli Ustaša croati cui tedeschi e italiani avevano consegnato il potere dopo lo smembramento della Jugoslavia nel 1941, sembrano infatti letteralmente ricalcate sulle celebri fotografie del Quartier generale jugoslavo scattate sull’isola di Vis (Lissa) nel 1944.
La decisione dell’annessione alla Jugoslavia dell’Istria e di un non meglio definito ”Litorale“ sarebbe stata effettivamente presa dagli organi della resistenza jugoslava nell’autunno del 1943, ovvero dopo l’Armistizio di Cassibile dell’8 settembre, non prima. Il palese falso storico serve invece a sostenere l’idea, priva di alcun sostegno documentale e fattuale, di un disegno preordinato alla base delle uccisioni nell’autunno del 1943. Il nesso proposto è così stretto che un ordine di Tito, evidentemente spiccato durante la predetta riunione, giunge nel paese della Cossetto il 10 settembre, con l’istruzione di ”cacciare e liquidare“ tutti gli italiani. La circostanza, del tutto immaginaria e fuorviante, spinge uno dei presenti a suggerire di ”cominciare“ dai Cossetto. Si tratta proprio di ”Drazen”, il mezzadro che Giuseppe Cossetto aveva trasportato in ospedale poche pagine prima a costo di imbrattare l’automobile.
A questo punto il ritmo della narrazione, prima assai lasco, si infittisce. Vengono presentati in rapida successione un primo arresto di Norma durante il quale questa dichiara perentoriamente che ”non sarà mai né comunista né jugoslava“, il ritorno del padre Giuseppe da Trieste dove si era unito a una formazione fiancheggiatrice dei nazisti abbandonando la famiglia – fatto reale – solo per incontrare la morte per mano dell’ingrato ”Drazen” e infine l’uccisione di Norma. Immaginariamente destata dal sonno dallo sparo diretto al padre mentre si trovava prigioniera dei partigiani, la ragazza rifiuta un’ultima offerta di aderire alla causa dei suoi aguzzini prima dello stupro vero e proprio, scandito dalle affermazioni di scherno dei partigiani che, a scanso di equivoci, indossano degli strani cappelli sormontati da enormi stelle rosse: ”Ragazzi divertitevi!” ”Io vado per primo. Tenetela ferma” (mentre si sbottona i pantaloni), “Fermi! Vi prego!”, ”Mamma! Aiuto! Mamma”, “Oggi ci prendiamo tutto quello che vogliamo perché, da oggi, tutto quello che è vostro diventa nostro”.
L’EPILOGO
Le ultime tavole ritraggono il corpo di Norma agonizzante, legato con delle corde ad un tavolo, coi seni lasciati scoperti dalla camicetta e una pozza di sangue tra le gambe. Un ulteriore rivolo di sangue si dipana dal braccio sinistro per riversarsi, in un espediente grafico quantomai azzardato, sulla componente testuale del frontespizio della tesi di laurea, con tanto di stemma dell’Università di Padova. Il fiotto di sangue si dipana ancora nella tavola successiva, a comporre una mappa approssimativa dell’Istria e la dicitura “La nostra Istria: rossa per la terra, rossa per la nostra passione, rossa per il nostro dolore”.
Infine le ultime due pagine sono riservate ad un breve riepilogo della vicenda di Norma narrato in prima persona:
“Mi chiamo Norma Cossetto. Italiana d’Istria. Sono stata seviziata, violentata e successivamente infoibata ancora viva presso Villa Surani la notte tra il 4 e il 5 ottobre 1943. Non fui la sola. Insieme a me altri 10.000 italiani furono vittime della violenza dei partigiani comunisti”.
LA FAMIGLIA COSSETTO E LA MACCHINA AMMINISTRATIVA FASCISTA
L’uccisione di Norma Cossetto è un episodio tipico del fenomeno delle “foibe istriane”, ovvero delle uccisioni verificatesi come conseguenza della dissoluzione dell’esercito italiano dopo l’Armistizio di Cassibile, cui fece seguito in Istria un’insurrezione. La tipicità consiste nell’evidenza che proprio su persone coinvolte nella macchina amministrativa fascista – che in questa regione nazionalmente mista adottò politiche discriminatorie verso i non-italiani – quali furono i Cossetto, si abbatté di preferenza la furia degli insorti. Sebbene il Partito comunista jugoslavo abbia tentato di mettersi alla testa della rivolta, e questa abbia ottenuto a posteriori un riconoscimento all’interno degli apparati celebrativi della Jugoslavia comunista, risulta evidente che le strutture di partito vi abbiano esercitato un’influenza ridotta e tardiva. Lo stesso Tito non era stato informato dai vertici militari occidentali, nonostante la Jugoslavia aderisse al loro schieramento, dell’imminente sbando dell’esercito italiano, della qual cosa ebbe a lamentarsi ufficialmente. L’ultimo tentativo tedesco di eliminare fisicamente Tito, l’operazione “Mossa del cavallo” (Operation Rösselsprung), sarebbe del resto fallito nel maggio del 1944 nella forma di un attacco diretto al quartier generale del movimento partigiano che ancora si trovava in Bosnia, e in ogni caso è del tutto irreale l’ipotesi dell’organizzazione di un’operazione di uccisione sistematica di italiani all’interno dei confini dello Stato italiano, vale a dire in un territorio che fino a quel momento era stato particolarmente “difficile” per l’attività partigiana illegale in un periodo in cui l’esercito partigiano stava per lo più organizzandosi in zone geograficamente impervie. Una prova indiretta delle descritte circostanze è fornita dalla consistenza numerica delle vittime, stimata nella cifra di cinquecento, a fronte di una popolazione complessiva di centinaia di migliaia di persone.
ISTRIA, FOIBE E INSURREZIONE
Scartata la tesi del massacro anti-italiano pianificato, proposta principalmente da ambienti neofascisti e militanti, risulta più convincente quella di un’insurrezione eterogenea nei riferimenti e negli obiettivi politici ma determinata a vendicarsi, in un vuoto di potere che sembrava favorire la componente slovena e croata della società istriana, dei maltrattamenti subiti durante il fascismo. Le vendette in Istria ricoprirono la durata di poche settimane; la regione, a partire dai primi giorni di ottobre, venne infatti conquistata dai nazisti che dapprima sbaragliarono la modesta resistenza opposta dai partigiani organizzatisi nel frattempo, – lo Stato maggiore dell’Esercito di Liberazione della Croazia aveva inviato propri emissari per organizzare la rivolta il 23 settembre – poi si abbandonarono a varie forme di rappresaglia sulla popolazione locale causando migliaia di vittime. L’Istria venne quindi integrata, assieme grossomodo all’attuale Friuli – Venezia Giulia fino ai confini del ’39 e alla cosiddetta Provincia di Lubiana di fatto annessa dopo l’invasione della Jugoslavia nel 1941, nell’Adriatisches küstenland, una formazione politica sotto il diretto controllo del Terzo Reich.
NARRARE LA COMPLESSITÀ: UNA SFIDA DIFFICILE MA NON IMPOSSIBILE
Ora, se la ricchezza delle vicende delle zone mistilingui dell’Alto Adriatico – una storia che interseca la complessità dei processi di nazionalizzazione e politicizzazione in un contesto post-imperiale, la competizione politica e territoriale tra i regimi fascisti italiano e tedesco e fra questi e lo stato fantoccio dello Stato indipendente di Croazia, fino alla questione di Trieste che si dipana nella Guerra fredda – mal si addice alle potenzialità narrative del fumetto, ciononostante sarebbe forse stato lecito aspettarsi comunque qualcosa di più di quanto “Foiba rossa” ha da offrire, a maggior ragione stante la sua distribuzione agli studenti.
Al di là dei casi di esplicita manipolazione di cui si è detto, il prodotto evidenzia infatti una struttura narrativa che, in assenza di una “trama” vera e propria, procede per salti che evocano, con abbondante retorica, una visione mitica e romanticizzata, ideologica della storia di quello che non può più dirsi Alto Adriatico, riducendosi invece, in una formula dal chiaro impatto emotivo e dalla precisa connotazione ideologica, al vecchio concetto del “Confine orientale”.
COSA SAPPIAMO (DAVVERO) DI NORMA COSSETTO
La stessa Norma fa la propria comparsa, in fasce, appena a pagina 40, peraltro con l’invocazione “Cura la tua pianta Norma, cura le tue radici e la nostra terra che tanto ha sofferto ma che ora è libera e che ora crescerà”. Le vicende relative alla vita adulta della Cossetto, quelle che, se meglio sviluppate, avrebbero potuto dare spessore al personaggio e alla storia, si riducono ad appena 25 pagine ripartite tra attività sportive, conversazioni politiche (“Tanta politica, tanta Italia”) e gli anni dell’Università a Padova rappresentati in cinque pagine tra conversazioni amicali, studio in biblioteca e una scena ambientata fuori da un cinema. Si tratta all’incirca della metà dell’estensione dedicata alla sequenza che inizia con l’arresto di Norma e si conclude con il truculento stupro. A proposito di queste ultime pagine è inoltre opportuno rilevare che, come per altri degli scomparsi nei tumultuosi giorni d’autunno 1943 in Istria – fatto del tutto comprensibile tenendo presente il contesto di guerra e i numerosi ribaltamenti di potere – le informazioni disponibili sulla fine della Cossetto sono estremamente scarne.
Al di là del rapporto dell’ufficiale che coordinò il recupero del cadavere agli inizi del mese di dicembre, le circostanze dell’arresto e dell’esecuzione di Norma si prestarono ad una fioritura di ricostruzioni inverificabili, spesso mutualmente contraddittorie. La circostanza, nota, è alla base del giudizio di Spazzali, per cui, nel suo primo lavoro di ricostruzione sulle foibe del 1990, “L’ampia letteratura di quegli anni e del dopoguerra dedicherà un consistente spazio alla morte e al rinvenimento di Norma Cossetto, intrecciando incontrollate fantasie e presunte testimonianze” (Foibe. Un dibattito ancora aperto. Editrice Lega Nazionale, Trieste 1990, p. 149). A fronte di una simile confusione sarebbe forse stato preferibile tralasciare questa parte o alludervi con grande delicatezza; nel fumetto, al contrario, delle svariate ipotesi e dicerie sulla fine della Cossetto viene data la preferenza a quelle più disturbanti e morbose.
UN GIUDIZIO NEL (E DI) MERITO
Volendo dunque tratteggiare alcune considerazioni conclusive, i quattro brevissimi contributi iniziali, non concordando nemmeno sul numero delle vittime complessive delle foibe, non aiutano a fare chiarezza rispetto a un contesto storico che nel fumetto viene a malapena evocato, quando non dissimulato e affogato nella retorica. Modesti anche gli aspetti materiali dell’opera, a partire dalla copertina che lo fa assomigliare a un lavoro artigianale più che a un prodotto destinato al mercato. Non volendo addentrarsi nel merito più propriamente “fumettistico”, preme rilevare almeno la presenza di errori di traduzione nei testi in croato, come ad esempio la mancata concordanza di genere nell’ultima vignetta a pagina 70 (nonostante la cura dell’aspetto linguistico risulti affidata a tale Fulvio Varlijen), oltre che scelte incomprensibili nella rappresentazione dei rumori onomatopeici (ad esempio il “crack” per la fucilata esplosa sempre a pagina 70).
Una considerazione a parte va fatta per la violenza grafica nella scena dello stupro, del tutto superflua a livello narrativo, fino al balzano espediente horror dei fiotti di sangue – unico utilizzo del rosso nel fumetto che è altrimenti in bianco e nero – che disegnano mappe e testi. Al di là delle considerazioni di gusto, desta una certa sorpresa che un prodotto del genere sia stato distribuito da amministratori locali a degli studenti, per i quali non sembra assolutamente un prodotto indicato.
OBIETTIVO: GIOVANI
Infine, stante la scelta dichiarata del fumetto di rivolgersi a un pubblico particolarmente giovane, sembra lecito chiedersi quale idea della storia dell’Istria durante la Seconda Guerra mondiale possa farsi un ragazzo a seguito della lettura. Il lavoro, come già detto, manca di elementi seppur minimi di contesto e schiaccia una storia almeno pluridecennale sulle raccapriccianti tavole in cui una ragazza giace in agonia legata ad un tavolo. Proprio questa circostanza potrebbe indurre un adolescente a rifiutare un materiale così sgradevole. Il fumetto per il resto manca sia di linearità nella narrazione che di capacità di immedesimazione con personaggi di cui perfino la protagonista è a malapena abbozzata.
Con l’originale espediente di mettere in bocca ai partigiani jugoslavi parole in croato sottotitolate a piè di pagina, “Foiba rossa” si avvicina per un certo verso ai fumetti sulla Guerra di liberazione diffusi nella Jugoslavia socialista, come il celebre “Mirko i Slavko” dal nome dei due giovani corrieri partigiani protagonisti. Questi fumetti che pure, per un certo verso, proponevano una visione mitica della storia, erano però decisamente più composti nell’estetica nonché, proponendo avvincenti storie di guerra, assai più interessanti per un pubblico di ragazzi, il che li rese una lettura assai popolare negli anni Sessanta.
BIBLIOGRAFIA
- Accati, Luisa e Cogoy, Renate (a cura di), Il perturbante nella storia. Le foibe: uno studio di psicopatologia della ricezione storica, Verona, QuiEdit, 2010.
- Ballinger, Pamela, La memoria dell’esilio – Esodo e identità al confine dei Balcani, Il veltro editrice, Roma 2010.
- Pirjevec, Jože, Foibe: Una storia d’Italia, Einaudi, Torino 2009.
- Spazzali, Roberto, Foibe: un dibattito ancora aperto. Tesi politica e storiografica giuliana tra scontro e confronto, Editrice Lega Nazionale, Trieste 1990.
- Tenca Montini, Federico, Fenomenologia di un martirologio mediatico. Le foibe nella rappresentazione pubblica dagli anni Novanta ad oggi, Kappa Vu, Udine, 2014.
- Zamparutti L (2017), Brava gente and the counter re(public) of Italy: constructing the foibe as a national symbol. Romance Studies 35: 12–30.
FONTE: http://www.novecento.org/uso-pubblico-della-storia/considerazioni-su-un-fumetto-sulle-foibe-6132/
Il dramma delle Foibe
Foiba di Basovizza e Monrupino (Trieste)
Oggi monumenti nazionali. Diverse centinaia sono gli infoibati in esse precipitati.
Foiba di Scadaicina sulla strada di Fiume.
Foiba di Podubbo – Non è stato possibile, per difficoltà, il recupero.
Il Piccolo del 5.12.1945 riferisce che coloro che si sono calati nella profondità di 190 metri, hanno individuato cinque corpi – tra cui quello di una donna completamente nuda – non identificabili a causa della decomposizione.
Foiba di Drenchia – Secondo Diego De Castro vi sarebbero cadaveri di donne, ragazze e partigiani dell’Osoppo.
Abisso di Semich – “…Un’ispezione del 1944 accertò che i partigiani di Tito, nel settembre precedente, avevano precipitato nell’abisso di Semich (presso Lanischie), profondo 190 metri, un centinaio di sventurati: soldati italiani e civili, uomini e donne, quasi tutti prima seviziati e ancor vivi. Impossibile sapere il numero di quelli che furono gettati a guerra finita, durante l’orrendo 1945 e dopo. Questa è stata fina delle tante Foibe carsiche trovate adatte, con approvazione dei superiori, dai cosiddetti tribunali popolari, per consumare varie nefandezze. La Foiba ingoiò indistintamente chiunque avesse sentimenti italiani, avesse sostenuto cariche o fosse semplicemente oggetto di sospetti e di rancori. Per giorni e giorni la gente aveva sentito urla strazianti provenire dall’abisso, le grida dei rimasti in vita, sia perché trattenuti dagli spuntoni di roccia, sia perché resi folli dalla
disperazione. Prolungavano l’atroce agonia con sollievo dell’acqua stillante. Il prato conservò per mesi le impronte degli autocarri arrivati qua, grevi del loro carico umano, imbarcato senza ritorno…” (Testimonianza di Mons. Parentin – da La Voce Giuliana del 16.12.1980).
Foibe di Opicina, di Campagna e di Corgnale – “Vennero infoibate circa duecento persone e tra queste figurano una donna ed un bambino, rei di essere moglie e figlio di un carabiniere …”(G. Holzer 1946).
Foibe di Sesana e Orle – Nel 1946 sono stati recuperati corpi infoibati.
Foiba di Casserova sulla strada di Fiume, tra Obrovo e Golazzo. Ci sono stati precipitati tedeschi, uomini e donne italiani, sloveni, molti ancora vivi, poi, dopo aver gettato benzina e bombe a mano, l’imboccatura veniva fatta saltare. Difficilissimi i recuperi.
Abisso di Semez – Il 7 maggio 1944 vengono individuati resti umani corrispondenti a ottanta – cento persone. Nel 1945 fu ancora “usato”.
Foiba di Gropada – Sono recuperate cinque salme. ” Il 12 maggio 1945 furono fatte precipitare nel bosco di Gropada trentaquattro persone, previa svestizione e colpo di rivoltella “alla nuca”. Tra le ultime: Dora Ciok, Rodolfo Zuliani, Alberto Marega, Angelo Bisazzi, Luigi Zerial e Domenico Mari”
Foiba di Vifia Orizi – Nel mese di maggio del 1945, gli abitanti del circondario videro lunghe file di prigionieri, alcuni dei quali recitavano il Padre Nostro, scortati da partigiani armati di mitra, essere condotte verso la voragine. Le testimonianze sono concordi nell’indicare in circa duecento i prigionieri eliminati.
Foiba di Cernovizza (Pisino) – Secondo voci degli abitanti del circondario le vittime sarebbero un centinaio. L’imboccatura della Foiba, nell’autunno del 1945, è stata fatta franare.
Foiba di Obrovo (Fiume) – È luogo di sepoltura di tanti fiumani, deportati senza ritorno.
Foiba di Raspo – Usata come luogo di genocidio di italiani sia nel 1943 che nel 1945. Imprecisato il numero delle vittime.
Foiba di Brestovizza – Così narra la vicenda di una infoibata il “Giornale di Trieste” in data 14.08.1947. “Gli assassini l’avevano brutalmente malmenata, spezzandole le braccia prima di scaraventarla viva nella Foiba. Per tre giorni, dicono i contadini, si sono sentite le urla della misera che giaceva ferita, in preda al terrore, sul fondo della grotta.”
Foiba di Zavni (Foresta di Tarnova) – Luogo di martirio dei carabinieri di Gorizia e di altre centinaia di sloveni oppositori del regime di Tito.
Foiba di Gargaro o Podgomila (Gorizia) – Vi furono gettate circa ottanta persone.
Capodistria – Le Foibe – Dichiarazioni rese da Leander Cunja, responsabile della Commissione di indagine sulle Foibe del capodistriano, nominata dal Consiglio esecutivo dell’Assemblea comunale di Capodistria: “Nel capodistriano vi sono centosedici cavità, delle ottantuno cavità con entrata verticale abbiamo verificato che diciannove contenevano resti umani. Da dieci cavità sono stati tratti cinquantacinque corpi umani che sono stati inviati all’Istituto di medicina legale di Lubiana. Nella zona si dice che sono finiti in Foiba, provenienti dalla zona di S. Servolo, circa centoventi persone di etnia italiana e slovena, tra cui il parroco di S. Servolo, Placido Sansi. I civili infoibati provenivano dalla terra di S. Dorligo della Valle. I capodistriani, infatti, venivano condotti, per essere deportati ed uccisi, nell’interno, verso Pinguente. Le Foibe del capodistriano sono state usate nel dopoguerra come discariche di varie industrie, tra le quali un salumificio della zona”
Foiba di Vines – Recuperate dal Maresciallo Harzarich dal 16.10.1943 al 25.10.1943 cinquantuno salme riconosciute. In questa Foiba, sul cui fondo scorre dell’acqua, gli assassinati dopo essere stati torturati, finirono precipitati con una pietra legata con un filo di ferro alle mani. Furono poi lanciate delle bombe a mano nell’interno. Unico superstite, Giovanni Radeticchio, ha raccontato il fatto.
Cava di Bauxite di Gallignana – Recuperate dal 31 novembre 1943 all’8 dicembre 1943 ventitré salme di cui sei riconosciute. Don Angelo Tarticchio nato nel 1907 a Gallesano d’Istria, parroco di Villa di Rovigno. Il 16 settembre 1943 – aveva trentasei anni – fu arrestato dai partigiani comunisti, malmenato ed ingiuriato insieme ad altri trenta dei suoi parrocchiani, e, dopo orribili sevizie, fu buttato nella foiba di Gallignana. Quando fu riesumato lo trovarono completamente nudo, con una corona di spine conficcata sulla testa, i genitali tagliati e messi in bocca.
Foiba di Terli – Recuperate nel novembre del 1943 ventiquattro salme, riconosciute.
Foiba di Treghelizza – Recuperate nel novembre del 1943 due salme, riconosciute.
Foiba di Pucicchi – Recuperate nel novembre del 1943 undici salme di cui quattro riconosciute.
Foiba di Surani – Recuperate nel novembre del 1943 ventisei salme di cui ventuno riconosciute.
Foiba di Cregli – Recuperate nel dicembre del 1943 otto salme, riconosciute.
Foiba di Cernizza – Recuperate nel dicembre del 1943 due salme, riconosciute.
Foiba di Vescovado – Scoperte sei salme di cui una identificata.
Altre foibe da cui non fu possibile eseguire recupero nel periodo 1943 – 1945: Semi – Jurani – Gimino – Barbana – Abisso Bertarelli – Rozzo – Iadruichi.
Foiba di Cocevie a 70 chilometri a sud-ovest da Lubiana
Foiba di San Salvaro.
Foiba Bertarelli (Pinguente) – Qui gli abitanti vedevano ogni sera passare colonne di prigionieri ma non ne vedevano mai il ritorno.
Foiba di Gropada.
Foiba di San Lorenzo di Basovizza.
Foiba di Odolina – Vicino Bacia, stilla strada per Matteria, nel fondo dei Marenzi.
Foiba di Beca – Nei pressi di Cosina.
Foibe di Castelnuovo d’Istria – “Sono state poi riadoperate – continua il rapporto del Cln – le foibe istriane, già usate nell’ottobre del 1943”.
Cava di bauxite di Lindaro
Foiba di Sepec (Rozzo)
FONTE: https://www.giorgioperlasca.it/il-dramma-delle-foibe/
MAGAZZINO 18
Sharon Ritossa – Foibe
Il Pd censura le vignette sulle Foibe “Offendono il nostro partito e l’Anpi”
I responsabili dem a Firenze negano l’autorizzazione per la mostra di Krancic. «Vogliono negare il ricordo della tragedia»
Perché la sinistra è così. Quando si tratta dei suoi va bene tutto. Quando, invece, a fare satira sono gli altri, allora non passa nulla.
Come ogni ricorrenza delle Foibe che si rispetti, anche quest’anno, un po’ prima del 10 febbraio, è buriana. Al centro del tirassegno questa volta c’è il volto di Alfio Krancic, 71 anni, 40 dei quali trascorsi a disegnare vignette (e da 26 per il Giornale). Lui è particolarmente sensibile al tema delle Foibe in quanto, insieme alla sua famiglia, è stato esule da Fiume nel 1949, quando aveva appena un anno, fuggendo in un campo profughi a Firenze, dove poi si è stabilito.
Ebbene, in questi anni Krancic ha disegnato tante vignette sulle Foibe. E al responsabile giovani di Forza Italia di Firenze, Davide Loiero, è venuta l’idea di allestirne una mostra itinerante con una ventina di vignette tra i vari quartieri di Firenze. Missione impossibile. Nella liberal democratica Firenze, i presidenti dei quartieri eletti dal Pd hanno negato l’autorizzazione ad ospitare l’esposizione. «Il tutto seguendo il solito grottesco protocollo – spiega il capogruppo di Forza Italia in consiglio comunale Jacopo Cellai . Al Q1 ci hanno detto che la decisione spettava al sindaco Nardella; al Q4 che se ne parlava l’anno prossimo, ma che sarebbero dovute essere esposte anche le vignette di altri disegnatori. La risposta più goffa è quella della presidente Perini del Q3 che su Whatsapp ci ha scritto che quelle vignette erano offensive per presidenti della Repubblica, Anpi e Pd. Se non è censura questa Il fatto è che per la sinistra fiorentina meno si parla di Foibe, meglio è».
E la Perini mette una toppa che è peggio del buco: «Non è una questione di censura è una questione di educazione e di buon senso». A questo punto Krancic non ce la fa più a stare zitto: «Nella mia satira cerco sempre di colpire di fioretto e mai col bastone. Mi si accusa di attaccare i presidenti della Repubblica? Non è vero: solo Napolitano che non andò a Basovizza. Sull’Anpi poi cosa posso dire? Ogni anno ne inventano unaproprio loro parlano di satira volgare».
Ma da quando in qua la satira ha bisogno di giustificarsi? Abbiamo mai sentito Vauro Senesi o Sergio Staino scusarsi per le loro vignette d’odio? Esempi. Staino, 2010. Bobo dice alla figlia: «Novantasei membri del governo polacco spariti di colpo». E lei: «La solita storia, a chi tutto e a chi niente». Riferendosi al governo Berlusconi e alla tragedia aerea che decimò l’esecutivo della Polonia. Vauro, 2016: disegna un piatto di sterco con sopra le candeline, il numero 80 e sotto la scritta «Habby Birthday Silvio».
«Sarebbero queste le vignette educate e di buon senso? continua Krancic -. La verità è solo una: nel 2004 quando ci fu un’apertura, la sinistra ha inghiottito a forza il boccone amaro delle Foibe. Ma quel pasto pesante crea ogni anno reflussi gastrici dolorosi. Abbiano allora il coraggio di dirlo: eliminiamo il ricordo delle Foibe e basta. Tanto ogni anno è la solita musica».
Come ogni ricorrenza delle Foibe che si rispetti, anche quest’anno, un po’ prima del 10 febbraio, è buriana. Al centro del tirassegno questa volta c’è il volto di Alfio Krancic, 71 anni, 40 dei quali trascorsi a disegnare vignette (e da 26 per il Giornale). Lui è particolarmente sensibile al tema delle Foibe in quanto, insieme alla sua famiglia, è stato esule da Fiume nel 1949, quando aveva appena un anno, fuggendo in un campo profughi a Firenze, dove poi si è stabilito.
Ebbene, in questi anni Krancic ha disegnato tante vignette sulle Foibe. E al responsabile giovani di Forza Italia di Firenze, Davide Loiero, è venuta l’idea di allestirne una mostra itinerante con una ventina di vignette tra i vari quartieri di Firenze. Missione impossibile. Nella liberal democratica Firenze, i presidenti dei quartieri eletti dal Pd hanno negato l’autorizzazione ad ospitare l’esposizione. «Il tutto seguendo il solito grottesco protocollo – spiega il capogruppo di Forza Italia in consiglio comunale Jacopo Cellai . Al Q1 ci hanno detto che la decisione spettava al sindaco Nardella; al Q4 che se ne parlava l’anno prossimo, ma che sarebbero dovute essere esposte anche le vignette di altri disegnatori. La risposta più goffa è quella della presidente Perini del Q3 che su Whatsapp ci ha scritto che quelle vignette erano offensive per presidenti della Repubblica, Anpi e Pd. Se non è censura questa Il fatto è che per la sinistra fiorentina meno si parla di Foibe, meglio è».
E la Perini mette una toppa che è peggio del buco: «Non è una questione di censura è una questione di educazione e di buon senso». A questo punto Krancic non ce la fa più a stare zitto: «Nella mia satira cerco sempre di colpire di fioretto e mai col bastone. Mi si accusa di attaccare i presidenti della Repubblica? Non è vero: solo Napolitano che non andò a Basovizza. Sull’Anpi poi cosa posso dire? Ogni anno ne inventano unaproprio loro parlano di satira volgare».
Ma da quando in qua la satira ha bisogno di giustificarsi? Abbiamo mai sentito Vauro Senesi o Sergio Staino scusarsi per le loro vignette d’odio? Esempi. Staino, 2010. Bobo dice alla figlia: «Novantasei membri del governo polacco spariti di colpo». E lei: «La solita storia, a chi tutto e a chi niente». Riferendosi al governo Berlusconi e alla tragedia aerea che decimò l’esecutivo della Polonia. Vauro, 2016: disegna un piatto di sterco con sopra le candeline, il numero 80 e sotto la scritta «Habby Birthday Silvio».
«Sarebbero queste le vignette educate e di buon senso? continua Krancic -. La verità è solo una: nel 2004 quando ci fu un’apertura, la sinistra ha inghiottito a forza il boccone amaro delle Foibe. Ma quel pasto pesante crea ogni anno reflussi gastrici dolorosi. Abbiano allora il coraggio di dirlo: eliminiamo il ricordo delle Foibe e basta. Tanto ogni anno è la solita musica».
Foibe, un saggio storico con fotografie rarissime o inedite
Le immagini mai viste: i brindisi del presidente Saragat con Tito e la consegna della più alta onorificenza italiana al Maresciallo, gli oltraggi ancora oggi agli infoibati. Le verità negate di una tragedia italiana
Il volume «Verità infoibate. Le vittime, i carnefici, i silenzi della politica» di Fausto Biloslavo e Matteo Carnieletto, in allegato con «Il giornale» a 8,50 euro più il prezzo del quotidiano in occasione del giorno del ricordo, da accesso anche ad un ricco repertorio di immagini e contenuti speciali, di tipo multimediale, che solo in parte anticipiamo in questa pagina.
In alto le fotografie mai viste prima della visita del presidente Giuseppe Saragat a Belgrado nel 1969 e la consegna della più alta onorificenza della Repubblica italiana al Maresciallo Tito (Archivio storico della presidenza della Repubblica).
Nella foto grande verticale e nelle foto a centro pagina i nostri soldati appena rilasciati dai lager yugoslavi, dopo la guerra, ridotti a scheletri umani come gli ebrei dei campi di concentramento. A fianco nella sezione «documenti» pote vedere anche alcuni dei rapporti dell’intelligence italiana sull’ubicazione di foibe e fosse comuni ancora inesplorate, che sono stati desecretati. Il lavoro di esplorazione delle foibe resta lungo e complesso come potete vedere dalla foto centrale. Tra i documenti esclusivi disponibili grazie a «Verità infoibate» anche la lettera dell’attuale presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden, scritta a Tito nel 1979 ringraziandolo «per la graziosa ospitalità» e quella del compianto Sergio Marchionne agli esuli.
GALLERIA IMMAGINI QUI
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/cultura/foibe-saggio-storico-fotografie-rarissime-o-inedite-1922962.html
Foibe, Rizzetto (FdI): proposta di legge per punire il negazionismo
21.1.2020 – 14:47 – “Nuove misure per punire il negazionismo e attribuzione alle associazioni di esuli Fiumani, Istriani e Dalmati di un ruolo primario per difendere la storia del confine orientale”. È quanto chiede il deputato di Fratelli d’Italia Walter Rizzetto, con una proposta di legge presentata stamane e sottoscritta da tutti i deputati del gruppo. In una nota, Rizzetto dichiara: “Chiediamo che le associazioni di esuli siano interpellate dagli enti locali prima di autorizzare o concedere spazi per lo svolgimento di eventi sulle foibe, e che siano le sole ad essere coinvolte nell’elaborazione dei piani di formazione ed insegnamento nelle scuole, per garantire una testimonianza autentica di quegli accadimenti per troppo tempo occultati. Ciò anche allo scopo di estromettere enti e soggetti che in passato, nell’intraprendere tali iniziative sulle foibe, hanno rappresentato quei tragici fatti in modo distorto per meri fini politici. Chiediamo inoltre una modifica al codice penale affinché sia previsto specificamente come reato l’apologia e negazione degli eccidi delle foibe. Abbiamo il dovere di rendere giustizia ai nostri connazionali trucidati, necessità ancora più sentita dopo la recente scomparsa, all’età di 99 anni, di Giuseppe Comand, ultimo testimone delle foibe, deceduto a Latisana in provincia di Udine”.
Nel testo presentato da Fratelli d’Italia, vengono richieste in particolare una variazione dell’Art. 604-bis, terzo comma, del Codice Penale, con l’inserimento dopo le parole: “apologia della Shoah”, delle seguenti: “, dei massacri delle foibe”; il già menzionato inserimento come interlocutore delle associazioni di esuli Fiumani, Istriani e Dalmati che siano riconosciute quali componenti del tavolo di coordinamento Governo-Esuli attivo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri o che perseguano a fini statutari il ricordo dell’italianità delle terre di Istria, Fiume e Dalmazia e delle vicende relative all’esodo e alle foibe, e la diffusione della conoscenza nelle scuole, nei limiti degli stanziamenti di bilancio del Ministero della Pubblica Istruzione, attraverso iniziative nelle scuole sui fatti storici legati alle foibe anche prevedendo dei corsi di formazione per insegnanti e studenti, affidati a docenti che ne garantiscano il carattere scientifico.
FONTE: https://www.triesteallnews.it/2020/01/21/foibe-rizzetto-fdi-proposta-di-legge-per-punire-il-negazionismo/
“Foibe? Fu pulizia etnica, ma non solo…”
Il Giorno del Ricordo di domenica scorsa ha lasciato dietro di sé una scia di polemiche. Da Croazia e Slovenia sono giunte diverse note di appunto nei confronti di esponenti politici italiani. Il presidente sloveno, Borut Pahor, ha persino scritto una lettera al capo dello Stato, Sergio Mattarella, nella quale esprime “preoccupazione” per quelle che definisce “dichiarazioni inaccettabili da parte di rappresentanti di alto livello della Repubblica italiana in occasione della commemorazione delle vittime delle foibe che vogliono creare l’impressione che sia stata una pulizia etnica”. Ma l’uccisione sistematica degli italiani dell’Istria, della Dalmazia, di Fiume non fu forse una pulizia etnica? In Terris ne ha parlato con il prof. Gianni Oliva, autore di numerosi saggi sul Novecento tra cui alcuni sulle foibe e sull’esodo, già esponente del Pci e dunque insospettabile di simpatie nostalgiche per fez e camice nere.
Professore, fu o no pulizia etnica?
“Fu una pulizia etnica-politica. Etnica perché colpì la comunità italiana, politica perché mirava a portare la Jugoslavia al tavolo delle trattative rivendicando un territorio che non avesse riferimenti con l’Italia. Furono eliminati personaggi che avevano avuto un ruolo nel vecchio regime fascista, ma anche tutti gli esponenti del Comitato nazionale di liberazione della Venezia-Giulia, cioè gli anti-fascisti, nonché i comunisti italiani contrari all’annessione. Furono eliminati coloro che rappresentavano l’intellighenzia, i professori, così come coloro che rappresentavano lo Stato, i dipendenti statali. L’esercito di Tito era nazional-comunista, perseguiva l’obiettivo politico del comunismo usando però il cemento del nazionalismo per tenere insieme i popoli della Ex Jugoslavia”.
Quanti furono gli infoibati?
“Le cifre sono sempre ballerine in queste circostanze. Io credo sia corretta quella delle 8-10mila persone uccise, perché emerge dalle relazioni che gli ufficiali inglesi e americani, giunti a Trieste qualche giorno dopo i titini, scrissero agli alti comandi a Caserta. Questi ufficiali erano super-partes, non avevano alcun interesse a sovrastimare né a sottostimare le cifre, in quanto avevano bisogno di relazionare ai loro superiori quanto stava realmente accadendo. Certo non c’erano le condizioni per fare conteggi dettagliati, ma credo sia una stima attendibile”.
C’è chi ritiene che la cifra sia esagerata…
“Qualcuno sostiene che le persone uccise sarebbero all’incirca 5mila. Non capisco che differenza faccia, mi pare che nulla toglierebbe al carattere stragista del fenomeno”.
L’alternativa alla morte era spesso la fuga. Quanti furono gli esuli?
“Gli esuli ritengo siano stati tra i 300 e i 320mila, ma anche qui non è facile essere precisi perché molti fuggirono negli Stati Uniti e in Australia senza passare per l’Italia: senz’altro dopo l’annessione dell’ex Jugoslavia, l’80% degli italiani che abitava l’Istria e la Dalmazia se ne andò”.
Questa pagina storica, per decenni relegata all’oblio, è stata definitivamente sdoganata?
“Credo che il primo sdoganamento sia avvenuto nel 1996, quando si sono ritrovati a parlarne all’Università di Trieste Gianfranco Fini, da poco presidente di Alleanza Nazionale, e Luciano Violante, presidente della Camera ed esponente del Pds. Fu la prima volta che esponenti di due parti che avevano da un lato enfatizzato e dall’altro negato il fenomeno, si ritrovarono a parlarne insieme come di un fatto storico da riconoscere tutti come un pezzo della storia d’Italia. Poi ci sono state pubblicazioni, la prima è stata la mia nel 2000, nonché un percorso politico che ha portato il Parlamento, nel 2004, a riconoscere il Giorno del Ricordo”.
Come valuta, tuttavia, i tentativi ancora esistenti di ridurre o negare il fenomeno?
“Li valuto come intemperanze cui viene dato un rilievo maggiore rispetto alla loro consistenza. So che c’è stato qualche tentativo qua e là di Anpi locali di ridimensionare il fenomeno: assolutamente sbagliato, ma non così significativo dal punto di vista quantitativo. Piuttosto, mi sono reso conto in questi giorni, girando in tutta Italia per fare conferenze, che i giovani ne sanno pochissimo. E non perché a scuola non se ne voglia parlare, ma perché si studia poco la storia contemporanea: tutti gli studenti sanno che c’è stato Annibale, in pochi sanno che c’è stato Aldo Moro assassinato dalle Brigate Rosse o il maresciallo Tito ad imperversare nel confine orientale. Se un ministro dell’Istruzione avesse il coraggio di dire che la storia si studia dalla Rivoluzione francese in poi, facendo un grande quadro d’insieme di tutto ciò che c’è stato prima, si perderebbe una parte bella del nostro passato remoto ma si conoscerebbe meglio il retroterra sul quale costruire il presente”.
Riemerge periodicamente la questione delle pensioni agli ex partigiani jugoslavi…
“Da punto di vista giuridico non so come funzioni. La sensazione comunque è che in Italia ci siano persone che percepiscono la pensione pur essendosi macchiate di crimini gravi e delittuosi. Ricordo che si parlò per molti anni del fatto che la pensione fu riconosciuta al capo dei partigiani responsabili dell’eccidio di Porzus ai danni dei partigiani bianchi della Brigata Osoppo. Sicuramente hanno usufruito della pensione anche degli infoibatori. Ho l’impressione però che certe polemiche, condite dai toni di alcuni esponenti politici, siano attizzate non per capire la storia, bensì per alimentare strumentalizzazioni. Lo scopo della storia non è questo, è capire perché i fatti accadono. Nel caso specifico, va capito come mai l’ideologia nazional-comunista ha causato tutti quei morti e tutti quei profughi”.
A proposito di polemiche: si chiede che venga revocata l’onorificenza che la Repubblica italiana riconobbe in passato al maresciallo Tito…
“Io vivo a Torino, dove è pieno di vie intitolate ad esponenti di casa Savoia, che pure sono rimaste anche dopo il referendum del 2 giugno ‘46 con cui siamo diventati una Repubblica. Ho la sensazione che molti uomini politici abbiano una tale difficoltà a differenziarsi sui progetti per il futuro che finiscono per differenziarsi per le bandierine sul passato”.
FONTE: https://www.interris.it/news/italia/foibe-fu-pulizia-etnica-ma-non-solo/
Speciale Foibe – 1 / Quanti morti in fondo all’abisso?
Roma, 4 feb – Quando si affronta il dramma delle foibe ci si scontra subito con un quesito brutale: quanti furono i morti? Ora, la contabilità cimiteriale è una pratica tetra e in verità piuttosto noiosa, molto efficace nella comunicazione propagandistica ma poco utile a capire la complessità dei fenomeni. E tuttavia, poiché la storia si fonde spesso con la politica, ragionare di numeri risulta alla fine inevitabile.
Il gruppetto scomposto che è andato a interrompere lo spettacolo di Simone Cristicchi a Firenze ha diffuso volantini e comunicati in cui possiamo leggere passi del genere:
Il “moto di odio e di furia sanguinaria” [si sta citando una frase di Napolitano – ndr] dovrebbe riferirsi alle 798 vittime ufficialmente ritrovate nelle cosiddette foibe, cioè le cavità carsiche presenti in territorio giuliano e istriano, fra il 1943 e il 1945. Infatti, nonostante i numeri sparati a caso di volta in volta dai vari esponenti politici, dall’estrema destra alla sinistra più ossequiosa, gli unici corpi ritrovati furono quelli che il maresciallo dei Vigili del Fuoco Harzarich ripescò nel biennio ’43-’45 (ribadiamo: fonte ufficiale fascista, quindi interessata ad amplificare l’accaduto). Poi più nulla. A ben vedere, in un contesto territoriale e temporale in cui morirono 50 milioni di persone, parlare di “moto di odio e di furia sanguinaria” sfiora il controsenso.
La falsificazione è palese. Del resto liquidare il capitolo foibe con la mera contabilità dei corpi effettivamente ritrovati è semplicemente folle. Primo, per le difficoltà oggettive del compito di riesumazione (del resto una delle ragioni dell’infoibamento è appunto l’occultamento dei corpi). Secondo, perché l’espressione “foibe” è chiaramente una sineddoche (figura retorica che sta a indicare una parte per il tutto) in cui vengono convenzionalmente incluse anche le vittime di campi di concentramento, processi sommari etc. che pure non finirono nelle cavità carsiche, esattamente come nella letteratura sulla sorte degli ebrei nella Seconda guerra mondiale si parla sia delle fucilazioni sul fronte dell’est che dei campi di concentramento. Quanto al “contesto territoriale e temporale in cui morirono 50 milioni di persone”, definire il ragionamento capzioso è dire poco. Come se immensi sconvolgimenti durati anni su interi continenti fossero paragonabili a stragi perpetrate in pochi mesi su una minuscola porzione d’Italia. Come se, in generale, il massacro grande “mangiasse” il massacro piccolo, secondo una logica per cui Hiroshima potrebbe essere liquidata con una nota a pie’ pagina nei libri di storia.
Quanto alla difficoltà di ragionare sui morti effettivamente ritrovati, si consideri solo che nella famigerata foiba di Basovizza si è dovuto, macabramente, ragionare per “metri cubi di cadaveri” per avere un’idea dell’entità delle uccisioni avvenute in quel luogo.
Scrisse tempo fa il Corriere della Sera:
Un cippo sulla foiba di Basovizza, sulla lastra di pietra che chiude per sempre la voragine in cui furono precipitati i martiri di Trieste e della Venezia Giulia, ne riporta incisi i livelli. In origine la profondità risultava di 300 metri. Nel 1918 era di 228: la differenza era costituita da depositi di detriti, di carbone e di munizioni gettate là dentro dopo la guerra mondiale. Nel 1945, all’ultima misurazione, la foiba era profonda 135 metri: la differenza, stavolta, si doveva ai cadaveri degli italiani assassinati precipitandoli, spesso vivi, nell’abisso. Quanti? Forse 2.000, ma un conto esatto non si potrà mai fare. Fu detto, con brutale espressione, che a Basovizza c’erano 500 metri cubi di morti. Quattro per metro cubo.
Ma è possibile, in generale, fare una stima delle vittime totali del dramma istriano che superi l’offensiva cifra di poche centinaia ma che ridimensioni anche i numeri influenzati dallo choc del momento, quando si arrivò a parlare di 40mila morti?
Secondo i calcoli di Luigi Papo per il Centro studi Adriatici per il periodo 1943-1945 abbiamo: 994 salme esumate da foibe, pozzi minerari, fosse comuni; 326 vittime accertate ma non recuperate; 5.643 vittime presunte sulla base delle segnalazioni locali o altre fonti; 3.174 vittime nei campi di concentramento e di lavoro jugoslavi, computate sulla base di segnalazioni o altre fonti. Quindi ben 10.137 persone mancanti in seguito a deportazioni, eccidi e infoibamenti per mano jugoslava. A questa cifra andrebbero poi aggiunte le vittime di ben trentasette fra foibe e cave di bauxite per le quali non è stato possibile alcun accertamento pur “essendo nella certezza che ivi furono compiuti altri massacri”. In questo modo la cifra finale sarebbe di 16.500 vittime.
Lo storico Gianni Oliva (che ha avuto anche incarichi politici nel Pci, poi nel Pds fino al Pd) ha scritto nel suo Foibe (Mondadori) che le vittime delle prime foibe, quelle del settembre-ottobre 1943, sarebbero fra le 500 e le 700. Più complessa la questione per i fatti del 1945. Scrive lo storico:
Dal confronto fra i dati contrastanti a disposizione, si può tuttavia ipotizzare la stima di circa diecimila persone eliminate nelle foibe o nei campi di concentramento, una cifra di riferimento che va presa con precauzione, ma che vale ad inquadrare il fenomeno entro le reali dimensioni di eccidio che esso ha assunto.
Altri storici danno cifre inferiori. Scrive per esempio Marina Cattaruzza in L’Italia e il confine orientale (Il Mulino):
Il numero complessivo degli scomparsi tra il 1943 e il 1945 nei territori occupati temporaneamente o definitivamente da unità partigiane o filojugslave o dall’esercito di liberazione jugoslavo sembrerebbe oscillare tra 4000 e 5000 persone.
Più prudentemente, uno dei massimi storici dell’esodo, Raoul Pupo, dichiara:
Quando si parla delle vittime delle foibe l’importante è l’ordine di grandezza, che è di alcune migliaia.
Di più, forse, non ne sapremo mai. Di sicuro la forbice, purtroppo molto ampia, fra 5000 e 15.000 racchiude l’esatta entità del fenomeno. Il che, inquadrato nel contesto della limitata porzione spaziale e temporale in cui avvennero gli eccidi, della brutalità disumana che li accompagnò, fra stupri, sevizie e torture, dell’esodo che ne seguì e di cui riparleremo, della rimozione storica durata per anni e anzi accompagnata dalla colpevolizzazione tanto degli storici che degli stessi sopravvissuti – tutto questo, dicevamo, contribuirà a far sanguinare ancora per molto tempo quella ferita nazionale chiamata “foibe”.
FONTE: https://www.ilprimatonazionale.it/politica/quanti-furono-i-morti-delle-foibe-5300/
SITOGRAFIA
LINK DI ARTICOLI INSERITI IN RASSEGNA
http://www.marcelloveneziani.com/articoli/le-foibe-ricordo-loblio/
https://www.treccani.it/enciclopedia/foibe_%28Enciclopedia-Italiana%29/
https://digilander.libero.it/irredentismoitaliano/silenzio.html
https://www.focus.it/cultura/storia/che-cosa-furono-i-massacri-delle-foibe
http://www.lefoibe.it/storie/preghiera.htm
http://www.lefoibe.it/storie/racconto.htm
https://www.barlettaviva.it/notizie/le-opere-dell-artista-di-barletta-roberto-piccinni-in-mostra/
https://www.quasimezzogiorno.org/news/viaggio-nella-foiba-di-campastrino/
http://www.novecento.org/uso-pubblico-della-storia/considerazioni-su-un-fumetto-sulle-foibe-6132/
https://www.giorgioperlasca.it/il-dramma-delle-foibe/
https://www.exibart.com/evento-arte/sharon-ritossa-foibe/
https://www.interris.it/news/italia/foibe-fu-pulizia-etnica-ma-non-solo/
https://www.ilprimatonazionale.it/politica/quanti-furono-i-morti-delle-foibe-5300/
LINK PER APPROFONDIRE
https://www.lospiffero.com/ls_ballatoio_article.php?id=2642#
https://www.patriaindipendente.it/primo-piano/fuori-dalla-politica-la-tragedia-delle-foibe/
https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2019/02/14/von-banditen-erschossen-su-mattarella-e-le-foibe/
https://www.imolaoggi.it/2020/08/09/foiba-di-jazovka-riesumati-i-resti-di-814-vittime/
https://comedonchisciotte.org/sulle-foibe-e-altro/
https://comedonchisciotte.org/la-fatica-del-ricordare/
https://comedonchisciotte.org/la-congiura-del-silenzio/
https://www.agi.it/cronaca/giorno_ricordo_foibe_mattarella-4978053/news/2019-02-09/
https://www.panorama.it/foibe-giorno-ricordo
https://www.historicaleye.it/foibe-la-strage-italiani-insabbiata-dal-governo/
https://www.scomunicando.it/notizie/la-verita-negata-foibe-la-memoria-cancellata/
https://www.vicenzapiu.com/leggi/giorno-foibe-riflessioni-memoria/
http://www.nazionefutura.it/attualita/le-foibe-tra-nuovi-ritrovamenti-e-vecchi-negazionismi/
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