RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
8 MARZO 2021
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Hanno la stampa, hanno la Borsa, ora hanno anche il subconscio!
KARL KRAUS, Detti e contraddetti, Adelphi, 1972, pag. 209
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SOMMARIO
La vera storia dell’otto marzo
Festa della donna: perché si festeggia l’8 marzo?
Il falso storico alle origini dell’8 marzo
Il pentito aveva già rettificato. Smontato il fango sulla Meloni
Draghi, la multinazionale Usa scriverà il Recovery: ma non era il governo dei migliori?
McKinsey e Recovery Plan, ecco il falso scandalo (e quello vero)
Rispunta la “task force” ma questa volta a pagamento. Per il Recovery Draghi si affida alla McKinsey, al centro di numerose critiche
McKinsey Settles for Nearly $600 Million Over Role in Opioid Crisis
La McKinsey nominata da Draghi farà razzia di milioni di dati sensibili in Italia
MCKINSEY, EVA REALI, VACCINI, PRESSIONI E CONFLITTI D’INTERESSE.
L’ultimo sfregio degli antifa: “No foibe no party”
Il ruolo dell’Iran in Yemen: Stati Uniti e Unione Europea vacillano
Lo scontro tra la NATO e la Russia appare inevitabile, solo una questione di tempo
L’imam britannico afferma che l’Islam è “pacifico”.
post hoc, ergo propter hoc
Attentato a Trump fallito
La critica al “conformismo democratico” di Ugo Spirito
Pensare?
BENVENUTI NELLA NUOVA DEMOCRAZIA AUMENTATA
“L’Unione europea ha portato la pace”: come ci fregano con la fallacia “post hoc, ergo propter hoc”
Allarme. Minori, pedofili senza ostacoli. La causa? Il codice privacy Ue
Speranza: entro l’estate vaccinati tutti gli italiani (che lo vorranno)
Tavares di Psa con Stellantis smonterà la presenza di Fca in Italia.
Impatti economici del Covid-19: il PIL pro-capite italiano torna ai livelli del 1993
Cos’è e come funzione la MMT in 7 punti
IL QUADRO NORMATIVO NEL SISTEMA DELLE EMISSIONI DI GAS SERRA
Le pensioni, un altro nodo per Draghi
Gran Bretagna: Offrire un terreno fertile al totalitarismo
LOCKDOWN USATI A SCOPO POLITICO
Innenministerium spannte Wissenschaftler für Rechtfertigung von Corona-Maßnahmen ein
Meloni “Con il Dpcm di Draghi tutto cambia perché nulla cambi”
Avv. Giovanni Pasceri. Intelligenza Artificiale, Algoritmo e Machine Learning
Atteri – Articolo sul transumanesimo
IN EVIDENZA
La vera storia dell’otto marzo
Gabriella Nervi – 7 marzo 2015
Fonte: ita.anarchopedia.org, it.wikipedia.org, www.senzasoste.it
a cura di Gabriella NerviLA VERA STORIA DELL’OTTO MARZOL’8 marzo era originariamente una giornata di lotta, specialmente nell’ambito delle associazioni femministe: il simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli. Tuttavia nel corso degli anni il vero significato di questa ricorrenza è andato un po’ sfumando, lasciando il posto ad una ricorrenza caratterizzata anche – se non soprattutto – da connotati di carattere commerciale.IPOTESI SULL’ORIGINE
L’origine della festa è controversa. Secondo alcuni la sua istituzione risale al 1910 nel corso della seconda Conferenza dell’Internazionale socialista di Copenaghen e sarebbe di Rosa Luxemburg la proposta di dedicare questo giorno alle donne. Secondo un’altra ipotesi Clara Zetkin, socialdemocratica tedesca, propose la Giornata internazionale della donna su “Die Gleichheit”, il giornale di cui era direttrice, e dal 19 marzo 1911 fu ufficializzata a livello internazionale. La data fu scelta perché in quel giorno, durante la rivoluzione del 1848, il re di Prussia aveva promesso, fra l’altro, il voto alle donne, promessa che poi dimenticò.
Alcune femministe italiane (Tilde Capomazza e Marisa Ombra nel libro “8 marzo. Storie, miti, riti della giornata internazionale della donna” 1987, ristampa ed. Utopia, 1991) sostengono tuttavia che non c’è nessuna prova documentata a supportare questa ipotesi. Il movimento operaio e socialista di inizio secolo ha celebrato in date molto diverse giornate dedicate ai diritti delle donne e al suffragio femminile.
Secondo altri fu la rivoluzione bolscevica a imporre l’8 marzo. Il 23 febbraio 1917 del calendario giuliano (che corrisponde appunto all’8 marzo del calendario gregoriano), le operaie di Pietroburgo manifestarono contro la guerra e la penuria di cibo.
Inoltre, le già citate Capomazza e Ombra ipotizzano che per rendere più universale e meno caratterizzato politicamente il significato della ricorrenza, si preferì omettere il richiamo alla Rivoluzione russa ricollegandosi ad un episodio non reale, ma verosimile, della storia del movimento operaio degli Stati Uniti.
La connotazione fortemente politica della Giornata della donna, l’isolamento politico della Russia e del movimento comunista e, infine, le vicende della Seconda guerra mondiale, contribuirono alla perdita della memoria storica delle reali origini della manifestazione. Così, nel dopoguerra, cominciarono a circolare fantasiose versioni, secondo le quali l’8 marzo avrebbe ricordato la morte di centinaia di operaie nel rogo di una inesistente fabbrica di camicie Cotton avvenuto nel 1908 a New York, facendo probabilmente confusione con una tragedia realmente verificatasi in quella città il 25 marzo 1911, l’incendio della fabbrica Triangle, nella quale morirono 146 lavoratori, in gran parte giovani donne immigrate dall’Europa. Altre versioni citavano la violenta repressione poliziesca di una presunta manifestazione sindacale di operaie tessili tenutasi a New York nel 1857, mentre altre ancora riferivano di scioperi o incidenti verificatesi a Chicago, a Boston o a New York.
In Italia la Giornata internazionale della donna fu tenuta per la prima volta soltanto nel 1922, per iniziativa del Partito comunista d’Italia, che volle celebrarla il 12 marzo, in quanto prima domenica successiva all’ormai fatidico 8 marzo.
Anche in Italia (dove dal dopoguerra l’8 marzo acquista nuovo impulso a partire dalla manifestazione indetta dall’Udi – che, almeno a quanto scrive la CGIL nel suo sito, sceglie come simbolo la mimosa -, nel 1946) inizialmente l’avvenimento originario (per lo meno nella tradizione socialista) sembra essere quello dello sciopero di operaie newyorkesi nel 1857, ma, a partire dagli anni 50 (e dunque in piena guerra fredda), si afferma la versione delle operaie bruciate nel rogo della loro fabbrica nel 1908.
LA STRAGE DELLA FABBRICA COTTON: UNA LEGGENDA METROPOLITANA
In Italia è molto diffusa una leggenda metropolitana che fa risalire l’origine della festa ad un grave fatto di cronaca avvenuto negli Stati Uniti, l’incendio della fabbrica Cotton a New York nel 1908. Alcuni giorni prima dell’8 marzo, le operaie dell’industria tessile Cotton iniziarono a scioperare per protestare contro le condizioni in cui erano costrette a lavorare. Lo sciopero proseguì per diversi giorni finché l’8 marzo Mr. Johnson, il proprietario della fabbrica, bloccò tutte le vie di uscita. Poi allo stabilimento venne appiccato il fuoco (alcune fonti parlano di un incendio accidentale). Le 129 operaie prigioniere all’interno non ebbero scampo.
Questa storia è in realtà un adattamento, fatto a fini propagandistici dai movimenti di sinistra, di un fatto realmente accaduto ma con tempi e modalità leggermente diverse.
Nel Museum of the City of New York, che si trova nell’Upper East Side, sono ricordati tutti gli incendi che purtroppo devastarono la città: della fabbrica “Cotton” e dell’8 marzo del 1908 non c’è traccia. Invece nel museo è narrato con immagini shock l’incendio della fabbrica “Triangle” del 1911, probabilmente la vera origine della ricorrenza dell’8 Marzo.
L’INCENDIO DELLA FABBRICA TRIANGLE
L’l’incendio in questione avvenne nel 1911 (quindi dopo, e non prima della tradizionale data di nascita della festa, il 1910), a New York, nella Triangle Shirtwaist Company. Le lavoratrici non erano in sciopero, ma erano state protagoniste di una importante mobilitazione, durata quattro mesi, nel 1909. L’incendio, per quanto le condizioni di sicurezza del luogo di lavoro abbiano contribuito non poco al disastro, non fu doloso. Le vittime furono oltre 140, ma non furono tutte donne, anche se per il tipo di fabbrica erano la maggior parte. I proprietari della fabbrica si chiamavano Max Blanck e Isaac Harris, furono prosciolti nel processo penale ma persero una causa civile.
Le donne della “Triangle” lavoravano sessanta ore la settimana e non si contavano gli straordinari imposti e poco pagati. Ma forse non era nell’estenuante orario di lavoro il vero malessere delle operaie: la sorveglianza era feroce ed era esercitata da “caporali” esterni, retribuiti a cottimo dai padroni, ognuno dei quali sorvegliava e retribuiva a sua volta sette ragazze imponendo loro ritmi massacranti, che spesso erano origine di incidenti durante le ore lavorative.
Gli ingressi erano chiusi a chiave per impedire alle lavoranti di lasciare il proprio posto di lavoro, seppure per pochi minuti. Il sindacato non era mai entrato in quella azienda. Diritti zero, sicurezza inesistente.
Gian Antonio Stella è stato il primo qualche anno fa ad associare l’8 Marzo all’incendio della “Triangle” (“Quella svista sull’8 marzo”, Corriere della Sera, 8 marzo 2004).
Quella tragedia ci riguarda da vicino perché delle 146 donne sfracellate al suolo 39 erano italiane, immigrate nella Grande Mela. Le altre erano in gran parte ebree venute negli Stati Uniti dall’Europa orientale, dalla Russia soprattutto, per sfuggire i terribili pogrom che periodicamente si abbattevano sulle povere comunità ebraiche dell’Est. Il loro “sogno americano” si infranse su un marciapiede.
CONCLUSIONI
Non siamo sicuri, ed è lo stesso Stella a sottolinearlo, che l’incendio della “Triangle” sia all’origine dell’8 Marzo. Ma forse non c’è episodio più significativo per cogliere da vicino la condizione della donna nella società industriale: sfruttata bestialmente per pochi soldi, priva di diritti, tra cui anche il diritto di voto; circondata dal pregiudizio di una presunta inferiorità morale e intellettiva rispetto all’uomo; libera solo di scegliere se morire di parto, in una fabbrica di camicie, per mano di un bruto o uccisa dalla polizia nella repressione dei frequenti scioperi dell’epoca.
Oggi la condizione della donna è decisamente mutata, ma solo nell’Occidente del mondo. Quanti incendi simili alla “Triangle” accadono nel mondo ogni giorno? Quante donne lavorano in condizioni simili?
Questa giornata benché ripresa dal movimento femminista negli anni 70 – che spesso però ne ignorava la storia – è stata spesso adoperata da partiti e sindacati per riscuotere consenso presso le “masse femminili” subendo, tra l’altro, uno svuotamento progressivo: la festa della donna (mimose, cene, serate danzanti …). Ma la carica “simbolica” dell’8 marzo non è del tutto esaurita e il motivo che l’ha ispirata, la pari dignità con l’uomo nella vita politica, sociale e familiare, è oggi più che mai attuale.
FONTE: https://www.nuovatlantide.org/la-vera-storia-dellotto-marzo/
Festa della donna: perché si festeggia l’8 marzo?
Oltre ad essere importante per le conquiste sociali e politiche ottenute dal genere femminile nel corso della storia, ai giorni nostri questa giornata assume tanti significati in più. Scopriamo quando è nata la ricorrenza e perché si festeggia
L’8 marzo è la Festa della donna. Non a tutte le donne interessa festeggiare questa ricorrenza o ricevere un piccolo regalo, che sia una mimosa o qualsiasi altro tipo di pensiero. Ma per decidere davvero cosa fare, il primo passo potrebbe essere conoscerne la vera origine: non a caso, la domanda ‘perché si festeggia l’8 marzo’ è stata la più cliccata su sia Google nel 2018 che nel 2019, e il quesito ‘perché la mimosa è diventata un simbolo’ è stato tra i dieci più cercati dell’anno.
Se tutti sono concordi nell’attribuire il senso della Festa della Donna alle conquiste sociali e politiche ottenute dal genere femminile nel corso della storia, ai giorni nostri la giornata assume un significato in più. Nell’epoca della denuncia delle molestie sessuali del ‘MeToo’ e dell’allarmante escalation di femminicidi, l’8 marzo è diventata anche una giornata per fare il punto sulla violenza di genere in Italia e nel mondo. Ma quando è nata la ricorrenza e perché si festeggia?
Quando nasce la giornata internazionale
Sull’origine della festa c’è una leggenda da sfatare. Riguarda il presunto incendio in una fabbrica di camicie di New York, che l’8 marzo del 1911 avrebbe provocato la morte di 134 operaie, intrappolate dalle uscite sbarrate dei locali. Su questo racconto, in realtà, non esiste certezza né sulle date, né sul numero di vittime, e nemmeno sulla veridicità. Eppure è l’episodio più ricordato durante questa ricorrenza per il suo valore simbolico.
La storia, in verità, è più complessa e affonda le radici nel febbraio del 1909, quando il Partito socialista americano propose di celebrare una giornata dedicata all’importanza delle donne nelle società. Iniziativa ripresa l’anno successivo dall’attivista Clara Zetkin, che durante la seconda Conferenza internazionale delle donne socialiste tenutasi a Copenaghen, riprese l’idea di fissare un giorno per questa festa. Fu però solo a Mosca nel 1921, durante la Seconda conferenza delle donne comuniste, che si stabilì l’8 marzo come data unica per tutti i paesi, in ricordo della manifestazione contro lo zar a San Pietroburgo del 1917, cui parteciparono moltissime donne. Tuttavia si deve aspettare il 1975, Anno internazionale della donna, per ottenere il riconoscimento della celebrazione ufficiale da parte dell’ONU che, nel 1977, approverà una risoluzione per dichiarare l’8 marzo ‘Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la pace internazionale’.
Perché la mimosa è diventata il simbolo delle donne
La storia è tutta italiana e risale al 1946, quando l’ex partigiana e neoparlamentare Teresa Mattei propose un fiore da abbinare alla ricorrenza che fosse più economico della violetta francese, tradizionalmente simbolo della sinistra europea. La scelta ricadde sula mimosa, il fiore che i partigiani regalavano alle staffette, ma anche una specie selvatica molto facile da trovare durante il mese di marzo e quindi accessibile a tutti.
Alcuni vivai italiani oggi coltivano un buon numero di mimose, sia le classiche varietà di Acacia dealbata, sia le meno diffuse. Qualche esempio? La Casina di Lorenzo (a Capannori, in provincia di Lucca) e Vivaio Noaro (a Camporosso, Imperia), ma la collezione più ricca in assoluto è quella del vivaio francese Pépinières Cavatore, che si trova in località Bormes-les-Mimosas, in Costa Azzurra, con oltre 150 specie e varietà, in gran parte molto curiose.
FONTE: https://www.ilpiacenza.it/social/festa-della-donna-2020-perche-si-festeggia-l-8-marzo.html
Il falso storico alle origini dell’8 marzo
feb 28th, 2020 | scritto da Antonella Bazzoli
Spesso mi sono chiesta perchè la “festa delle donne” venga celebrata proprio l’8 di marzo.
Ricercando online ci si imbatte in una lunga serie di siti che collegano l’origine della festa ad un tragico rogo, scoppiato in una filanda di New York: centoventotto operaie in sciopero, intrappolate nello stabilimento in cui il proprietario le avrebbe rinchiuse, sarebbero morte in un incendio doloso, avvenuto secondo alcune fonti nel 1857, secondo altre nel 1908.
Analizzando tali fonti, molte delle quali contradditorie e confuse, mi sono però resa conto che non esiste alcun documento storico che riporti la notizia di tale rogo, e che non vi è alcun riscontro di uno sciopero avvenuto in quegli anni in una filanda di New York.
L’intera vicenda della tragica morte delle operaie americane rappresenterebbe dunque un falso storico!
Una fake new di altri tempi, per dirla in termini che ultimamente vanno molto di moda…
Perché inventare e poi diffondere nel mondo intero una simile bugia?
E se l’episodio del rogo nella filanda fosse stato inventato di sana pianta allo scopo di nascondere le vere radici storiche della festa dell’ 8 marzo?
La risposta a tali domande si trova indagando intorno alla vera origine della “festa delle donne”.
Le prime manifestazioni e celebrazioni per i diritti delle donne non ebbero luogo nella democratica America, ma nell’Europa dell’inizio del secolo scorso. E la vera origine della “festa delle donne” va addirittura ricercata nell’ambito del Movimento Internazionale delle Donne Socialiste. A Copenhagen, per la precisione, in occasione della Conferenza Internazionale delle Donne Socialiste che ebbe luogo nel 1910.
In occasione di quell’ importante conferenza Clara Zetkin, amica e confidente di Rosa Luxembourg, propose per la prima volta una mozione per istituire la Giornata Internazionale per la Rivendicazione dei Diritti delle Donne.
La mozione ebbe subito forti ripercussioni: il 18 marzo del 1910, in Francia, fu celebrata la prima Giornata delle Donne; l’anno seguente, in Germania, la stessa festa ebbe luogo il 19 di marzo.
In Russia, invece, la manifestazione per i diritti delle donne si tenne tre anni dopo, il 3 marzo del 1913.
Queste celebrazioni annuali, e le iniziative ad esse legate, furono però presto interrotte dall’improvviso scoppio della prima guerra mondiale.
Per far sentire la propria voce e rivendicare i propri diritti, le donne socialiste dovettero aspettare il 23 febbraio del 1917, quando poterono nuovamente protestare, guidando a San Pietroburgo una grande manifestazione nell’ambito della rivoluzione russa di febbraio (rivoluzione che come è noto avrebbe portato al crollo dello zarismo).
Interessante è inoltre notare che la data della manifestazione di protesta di San Pietroburgo corrisponde esattamente al nostro 8 di marzo! Infatti, tenendo conto che il calendario giuliano (all’epoca ancora in vigore in Russia) era indietro di tredici giorni rispetto a quello corrente, si scopre che la data del 23 febbraio del calendario giuliano coincide esattamente con quella dell’8 marzo di quello gregoriano.
In seguito, nell’ambito della Seconda Conferenza Internazionale delle Donne Socialiste che ebbe luogo a Mosca il 14 giugno del 1921, venne fissata definitivamente la celebrazione della Giornata Internazionale della Donna all’8 di marzo. Tale data non fu certo scelta a caso, ma con l’intenzione di commemorare la storica rivolta femminile del 1917 a San Pietroburgo. Venne in tal modo individuato e fissato un anniversario comune, che avrebbe consentito di celebrare contestualmente a tutti i paesi la festa per la rivendicazione dei diritti delle donne.
Le successive vicende della seconda guerra mondiale, ma forse ancor di più quelle che seguirono negli anni della “guerra fredda”, contribuirono alla progressiva perdita di memoria delle vere radici storiche sulla nascita della festa della donna celebrata l’8 di marzo.
Quando si perde la memoria di un fatto o di un personaggio storico, è sempre bene chiedersi se non ci sia stata la volontà di qualcuno di mettere in atto una damnatio memoriae per motivi di opportunismo politico.
In tale ottica non si può escludere che sia stata proprio la connotazione fortemente politica della manifestazione di San Pietroburgo la causa che avrebbe portato alla successiva mistificazione dei fatti.
Il racconto dello sciopero e del falso incendio doloso scoppiato nella filanda di New York, con tutta la retorica che ne seguì, sarebbe dunque un’invenzione studiata a tavolino, creata allo scopo di far dimenticare la vera origine della lotta per i diritti delle donne, e cioè per far dimenticare che le prime voci femminili si erano alzate, non nella democratica e libera America, ma nella vecchia Europa e, peggio ancora, nella nascente Russia socialista.
Di Antonella Bazzoli – 6 marzo 2011, aggiornato 28 febbraio 2019
Per approfondimenti:
“Der 8 Marz und seine Geschichten” articolo di Natascha Vittorelli in Online-Zeitung der Universität Wien
http://www.dieuniversitaet-online.at/dossiers/beitrag/news/internationaler-frauentag-2005-1-der-8-marz-und-seine-geschichten/79.htm
FONTE: http://www.evus.it/it/index.php/news/blow-up/il_falso_storico_alle_origini_dell_8_marzo/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Il pentito aveva già rettificato. Smontato il fango sulla Meloni
Repubblica accusa la leader di FdI di un giro d’affari con i rom, ma sono attacchi infondati: “Tutto già stato ritrattato”
Dopo l’inchiesta relativa a presunti contatti e affari tra Giorgia Meloni e i rom, pubblicata sabato 6 marzo su la Repubblica, il leader di Fratelli d’Italia si è difesa.
Giorgia Meloni, come sempre accade, ci ha messo la faccia e non ha esitato un attimo a definire quelle accuse una nuova “macchina del fango” nei suoi confronti. L’impianto accusatorio contro il leader di Fratelli d’Italia non sembra reggere ed è la stessa Meloni a smontare punto per punto quanto le è stato attribuito attraverso una diretta Facebook. Come riporta anche Il Giornale in edicola oggi, le dichiarazioni sulle quali si è basata l’esclusiva de la Repubblica sarebbero già state rettificate in passato dal pentito.
“Guarda un pò cosa riporta il quotidiano Latina Oggi. L’attendibilissimo pentito dello scoop di Repubblica secondo il quale avrei consegnato 35 mila euro in una busta del pane a un clan di rom aveva ‘rettificato’ le accuse nei confronti miei e di FdI già molto tempo fa“, scrive Giorgia Meloni quest’oggi sul suo profilo Facebook, giustamente risentita per quanto sta subendo. L’accusa è di quelle che lasciano il segno. La Repubblica sostiene che un collaboratore di giustizia abbia rivelato agli inquirenti di un passaggio di soldi, esattamente 35mila euro, che la Meloni “nel 2013 fece avere al clan Travali, colpito nei giorni scorsi da 19 arresti, 35mila euro per comprare voti e attaccare manifesti“. Questi 35mila euro sarebbero stato consegnati presso un distributore della periferia di Latina all’interno di una busta del pane dal suo segretario, “venuto con una Volkswagen berlina, la stessa vettura con la quale aveva accompagnato la Meloni a Latina“.
Ma la rettifica a queste parole c’è già stata e non è arrivata oggi. Come spiega la stessa Giorgia Meloni nel suo post di Facebook, “è negli stessi atti utilizzati da Repubblica per gettare fango su di noi, ma evidentemente quella parte dei verbali non era piaciuta a chi doveva costruire accuse fondate sul nulla per attaccare l’unica forza di opposizione della Nazione“. Sono bastate meno di 24 ore a Giorgia Meloni per smontare l’intero impianto accusatorio che all’improvviso le è stato costruito contro. Non troppi giorni prima che venisse fuori lo “scoop” de la Repubblica, Guido Crosetto ipotizzava che a breve qualcuno avrebbe potuto accendere la macchina del fango: “Pronosticavo quali sarebbero stati i passi, gli argomenti e le tempistiche degli interventi a gamba tesa della magistratura. Ora quei tweet non ci sono più. Diceva che ne rimaneva una da colpire”. I tweet a cui fa riferimento non sono stati cancellati da lui, pare che Crosetto nei giorni scorsi sia stato vittima di un attacco informatico. Nel suo post, infine, Giorgia Meloni se la prende con chi ha realizzato lo “scoop”: “Che sorta di giornalismo è questo? Nessuno si vergogna per questo squallore?“.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/politica/giorgia-meloni-pentito-aveva-gi-rettificato-accuse-1929418.html
BELPAESE DA SALVARE
Draghi, la multinazionale Usa scriverà il Recovery: ma non era il governo dei migliori?
Il governo dei migliori. Così ce lo hanno spacciato quando Draghi è salito al potere. Così dei migliori che per scrivere il Recovery Plan si sono affidati al gigante americano della consulenza strategica aziendale McKinsey per la stesura del Recovery Plan. Tommaso Ciriaco e Roberto Mania su Repubblica rivelano che il contratto tra la società e il ministero dell’Economia italiano è stato firmato nei giorni scorsi. “È stato il Mef, guidato da Daniele Franco, a contattare McKinsey per accelerare la riscrittura del piano italiano e colmare i ritardi accumulati nei mesi scorsi”.
Dalla consulenza, McKinsey dovrebbe ricevere soltanto una sorta di rimborso spese. Ma in quel mondo lì niente si fa per niente e i ritorni per la multinazionale potrebbero esserci a valle dell’operazione, quando bisognerà mettere a terra tutti i progetti approvati. “Dunque l’esecutivo Draghi riparte con una collaborazione anche con il privato per scrivere il Piano italiano di ripresa e resilienza finanziato con i 209 miliardi del Next Generation Eu. Due le principali ragioni che hanno evidentemente spinto il governo a fare questa scelta: i tempi ormai ristretti — come detto — per rispettare la prima scadenza di fine aprile; e poi la scarsa attitudine della macchina burocratica del ministero dell’Economia ad affrontare con celerità un’operazione di politica economica di tali dimensioni”.
Draghi ha quindi fatto capire con questa mossa che i tecnici e le professionalità italiane non sono in grado di fare questo tipo di lavoro. “Gli uomini di McKinsey (dove ha lavorato per un decennio anche il ministro per la Transizione digitale, Vittorio Colao) affiancheranno la struttura del ministero guidata da Carmine Di Nuzzo. Sarà una collaborazione esclusivamente tecnica perché gli indirizzi politici, come è ovvio, saranno decisi in altre sedi”.
Con McKinsey si dovranno valutare i costi e l’impatto (seguendo le regole europee) dei diversi progetti. Conclude Repubblica: “Il ministero ha chiesto al gruppo americano anche di esaminare eventuali progetti già realizzati in altri Paesi. In questa corsa contro il tempo il governo italiano si è messo in una condizione simile a quella di un grande gruppo privato di fronte ad una nuova opportunità di business che non rientra però tra le sue attività principali. Una scelta delicata destinata con molte probabilità a suscitare polemiche”.
FONTE: https://www.ilparagone.it/attualita/draghi-mkinsey-recovery-plan/
Rispunta la “task force” ma questa volta a pagamento. Per il Recovery Draghi si affida alla McKinsey, al centro di numerose critiche
“Risparmiare sul cibo per i migranti” – Tra i tanti carichi assunti dalla società c’è stato anche quello di consulente dell’ Immigration and Customs Enforcement (ICE), ente statunitense che si occupa della gestione dei flussi migratori. Incarico per cui la società ha incassato 20 milioni di dollari. Nelle sue raccomandazioni per gestire al meglio le strutture di accoglienza McKinsey ha proposto tra l’altro di risparmiare sul cibo per i migranti e di inviarli in zone rurali del paese per minimizzare la spesa. Un trattamento che ha messo a disagi molti funzionari della struttura. Il contratto si è interrotto nel 2018 dopo che il New York Times ha pubblicato un’inchiesta sulle disastrose condizioni dei centri di accoglienza.
L’associazione no profit di giornalismo investigativo ProPublica ha creato una pagina web in cui sono raccolti tutti i disastri riconducibili al ruolo avuto da McKynsey. Molto si capisce già da titoli come “New York ha pagato milioni a McKinsey per un piano per ridurre la criminalità che invece è aumentata”. Il sito ricorda anche come nell’ultimo anno la società abbia fatto incetta di contratti per aiutare i governi a rispondere alla pandemia e tracciare i contagi, con risultati molto discutibili.
Arabia e Sudafrica – Nel 2016 McKynsey ha perso molti dei suoi clienti in Sud Africa dopo essere stata coinvolta in una vicenda di corruzione che ha portato alle dimissione del capo del governo di Pretoria Jacob Zuma. McKinsey aveva infatti stretto un alleanza con la società di consulenza Trillian della famiglia sudafricana Gupta che ha sfruttato le sue relazioni con Zuma per accaparrarsi illegittimamente commesse da 1,6 miliardi di dollari. McKinsey ha accettato di restituire al governo sudafricano 100 milioni di dollari e si è pubblicamente scusata con la popolazione del paese. Dal 1974 è presente in Arabia Saudita con un ruolo che è andato via via crescendo nel corso degli anni. Fino alla messa a punto nel 2015 il documento “Saudi Arabia beyond oil” commissionato dal principe Mohammed Bin Salman e in cui si suggerisce come reinventare l’economia saudita spezzandone la dipendenza dal petrolio.
Il disastro Enron del 2002 – Non che anche in tempi meno recenti McKinsey non sia stata protagonista di vicende poco edificanti. Basti ricordare il crack del colosso dell’energia statunitense Enron del 2002. Fu proprio McKinsey ad aiutare Enron a “reinventarsi” da gruppo che vendeva energia e gestiva gasdotti a società specializzata nella speculazione sui prezzi energetici utilizzando sofisticati strumenti finanziari. Del resto lo stesso numero uno di Enron Jeff Skilling proveniva da McKinsey. Finì malissimo: bancarotta, 20mila persone per la strada e senza pensione e Skilling condannato a 24 anni di prigione. Il crack spazzò via dal mercato la storica società di revisione Arthur Andersen incaricata di controllare i bilanci di Enron, mentre McKinsey riuscì a defilarsi quasi indenne, grazie soprattutto agli accordi che abitualmente firma con i suoi clienti in cui specifica che quelle fornite sono “semplici opinioni”.
McKinsey e Recovery Plan, ecco il falso scandalo (e quello vero)
Fatti, polemiche e fuffa su McKinsey e Recovery Plan. Il commento di Giuseppe Liturri
Sabato pomeriggio è stato necessario un comunicato del ministero dell’Economia per arginare la marea montante dei tanti cascati ingenuamente dal pero, alla notizia che la prestigiosa società di consulenza internazionale McKinsey era al lavoro sul Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR).
La valutazione di questo piano da parte della Commissione e la sua approvazione da parte del Consiglio, da eseguirsi entro 3 mesi dalla presentazione, sono condizione di accesso ai tanto agognati fondi del Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza (RRF).
Da via XX Settembre sono stati costretti a scoprire l’acqua calda, ribadendo l’ovvio e cioè che “gli aspetti decisionali, di valutazione e definizione dei diversi progetti di investimento e di riforma inseriti nel Recovery Plan italiano restano unicamente in mano alle pubbliche amministrazioni coinvolte e competenti per materia”.
E specificano che “l’attività di supporto richiesta a McKinsey riguarda l’elaborazione di uno studio sui piani nazionali “Next Generation” già predisposti dagli altri paesi dell’Unione Europea e un supporto tecnico-operativo di project-management per il monitoraggio dei diversi filoni di lavoro per la finalizzazione del Piano”. Il tutto avverrà con un contratto da €25.000 (appena sufficienti per pagare qualche decina di giornate/uomo di consulenti junior).
Queste parole, ripetiamo ovvie, erano rivolte a placare una gazzarra mediatica al grido di “Tradimento! Draghi lascia scrivere ai consulenti americani le nostre politiche di investimento!”. In testa al corteo (virtuale) dei manifestanti spiccava il Fatto Quotidiano seguito a ruota da tutto il fior fiore della gauche caviar, quelli sempre pronti ad indignarsi a comando, senza sapere nemmeno di cosa si stia parlando.
Noi, che di queste cose scriviamo ormai da fine maggio 2020, appena la Commissione rese noti i primi dettagli, crediamo che chi si indigna (solo) oggi possa essere inscritto in un insieme a scelta tra quello degli ipocriti, degli ignoranti, o di quelli in malafede. Con elevata probabilità di intersezione tra i suddetti insiemi.
McKinsey Settles for Nearly $600 Million Over Role in Opioid Crisis
The consulting firm has reached agreements with 49 states because of its sales advice to drugmakers, including Purdue Pharma, the manufacturer of OxyContin.
Michael Forsythe and
McKinsey & Company, the consultant to blue-chip corporations and governments around the world, has agreed to pay nearly $600 million to settle investigations into its role in helping “turbocharge” opioid sales, a rare instance of it being held publicly accountable for its work with clients.
The firm has reached a $573 million agreement with attorneys general in 47 states, the District of Columbia and five territories, according to a court filing in Massachusetts on Thursday. Separate deals were announced in Washington State, for $13 million, and in West Virginia, for $10 million. Nevada, not party to the agreements, will continue to pursue its opioid investigation, according to the attorney general’s office.
The settlements come after lawsuits unearthed a trove of documents showing how McKinsey worked to drive sales of Purdue Pharma’s OxyContin painkiller amid an opioid crisis in the United States that has contributed to the deaths of more than 450,000 people over the past two decades.
McKinsey’s extensive work with Purdue included advising it to focus on selling lucrative high-dose pills, the records show, even after the drugmaker pleaded guilty in 2007 to federal criminal charges that it had misled doctors and regulators about OxyContin’s risks. The firm also told Purdue that it could “band together” with other opioid makers to head off “strict treatment” by the Food and Drug Administration.
Maura Healey, the Massachusetts attorney general, said the investigation of the firm involved reviewing “thousands and thousands of documents and emails” that, taken together, told “the story of McKinsey’s wrongdoing.”
“Its always been about holding accountable those who created and profited off the opioid epidemic,” she said. Ms. Healey was the first state attorney general to investigate McKinsey’s business dealings with Purdue.
The consulting firm will not admit wrongdoing, according to the multistate settlement, but will agree to court-ordered restrictions on its work with some types of addictive narcotics. McKinsey will also retain emails for five years and disclose potential conflicts of interest when bidding for state contracts. And in a move similar to the tobacco industry settlements decades ago, it will put tens of thousands of pages of documents related to its opioid work onto a publicly available database.
States will use the civil penalties — $478 million of which must be paid within 60 days — for opioid treatment, prevention and recovery programs, the settlement document says. It will be the first money states will see after Purdue Pharma in October agreed to pay $8.3 billion and plead guilty to federal criminal charges over its marketing of OxyContin. Purdue declared bankruptcy, meaning the states party to that agreement will have to line up with other creditors.
In addition, members of the Sackler family, who own Purdue, agreed last fall to pay the federal government $225 million in civil penalties, and are in talks with other litigants to pay $3 billion.
Massachusetts and many other states were dissatisfied with the October deal, which the Trump administration’s Justice Department reached only days before the former president was defeated in November’s election.
The amount McKinsey is paying is substantially more than it earned from opioid-related work with Purdue or Johnson & Johnson, Endo International and Mallinckrodt Pharmaceuticals, its other opioid-maker clients, a person involved in the settlement negotiations said.
McKinsey may face still more claims in coming months. In some states, the agreements do not bar local governments from suing, and Mingo County in West Virginia, one of the hardest-hit states in the country, filed suit against McKinsey last week. The Biden administration could also take action against the firm.
In a statement on Thursday, McKinsey said it believed “its past work was lawful and has denied allegations to the contrary.”
But Kevin Sneader, the firm’s global managing partner, said: “We deeply regret that we did not adequately acknowledge the tragic consequences of the epidemic unfolding in our communities. With this agreement, we hope to be part of the solution to the opioid crisis in the U.S.”
One former partner called the settlements hugely significant because it shatters the distance that McKinsey — which argues that it only makes recommendations — puts between its advice and its clients’ actions. For decades, the firm has avoided legal liability for high-profile failures of some clients, including the energy company Enron and Swissair, Switzerland’s defunct national airline. The former partner asked for anonymity because former McKinsey employees are bound by confidentiality agreements.
Making McKinsey and its competitors even more vulnerable is the fact that in recent years they have aggressively moved into a new line of work, not only offering management advice but also helping companies implement their suggestions.
That is what happened with McKinsey at Purdue, said Phil Weiser, the attorney general for Colorado. Two McKinsey senior partners led the firm’s effort to implement plans to drive sales, working with members of the Sackler family and even overruling Purdue executives, Mr. Weiser said.
“When you see the actions of these McKinsey partners, they were almost acting as executives of the firm,” Mr. Weiser said.
The McKinsey materials released in litigation over the last two years go back as far as 2004 and are as recent as 2019.
The records highlight McKinsey’s close relationship with Purdue over many years. In 2009, the firm wrote a report for Purdue saying that new sales tactics would increase sales of OxyContin by as much as $400 million annually, and suggested “sales ‘drivers’ based on the idea that opioids reduce stress and make patients more optimistic and less isolated,” according to a lawsuit filed in 2018 by Massachusetts. McKinsey worked with Purdue executives in finding ways “to counter the emotional messages from mothers with teenagers that overdosed” on the drug.
In 2013, the federal government reached a settlement with Walgreens, the pharmacy chain, to crack down on illegal opioid prescriptions. Sales to Walgreens began to fall. According to the Massachusetts lawsuit, McKinsey recommended that Purdue “lobby Walgreens’ leaders to loosen up.”
And in a 2017 slide presentation for Purdue, McKinsey laid out several options to shore up sales. One was to give distributors a rebate for every OxyContin overdose attributable to pills they sold. The slides are notable for their granular detail. For example, McKinsey estimated that 2,484 CVS customers would overdose or develop an opioid use disorder in 2019 from taking OxyContin. CVS said the plan was never implemented.
By 2018, senior executives at McKinsey were becoming aware that they might face liability for their opioid work. After Massachusetts sued Purdue, Martin Elling, a leader in the firm’s pharmaceutical practice, wrote to another partner, Arnab Ghatak: “It probably makes sense to have a quick conversation with the risk committee to see if we should be doing anything” other than “eliminating all our documents and emails. Suspect not but as things get tougher there someone might turn to us.”
Both men were put on administrative leave pending the results of an outside investigation into whether any material was destroyed, McKinsey’s North America managing partner, Liz Hilton Segel, said in a letter to Congress in December.
On Thursday, a spokesman for McKinsey said the two men had been fired.
FONTE: https://www.nytimes.com/2021/02/03/business/mckinsey-opioids-settlement.html
FONTE: https://www.facebook.com/saracunial.camera/posts/706723170005903
L’ultimo sfregio degli antifa: “No foibe no party”
A Genova spuntano dei manifesti che inneggiano alle foibe. L’unione degli istriani: “Un’azione che tutti dovrebbero denunciare”
Dom, 07/03/2021 –
A distanza di 75 anni c’è ancora non solo chi nega le foibe, ma addirittura chi inneggia ad esse.
Non solo il 10 febbraio, quando si commemora il Giorno del Ricordo, ma tutto l’anno. Per la sinistra più radicale, infatti, le cavità carsiche in cui furono gettati gli italiani a guerra finita sono un pensiero fisso. Quasi un desiderio che non si è mai del tutto realizzato.
E così questa mattina Genova si è svegliata tappezzata di manifesti, ovviamente abusivi, in cui si inneggia alle foibe. Lo ha annunciato l’Unione degli istriani, rilanciando la scoperta di Teresa Lapolla, Antonino Sergio Gambino e dell’editore e saggista Andrea Lombardi, e postando le immagini su Facebook: “Nel capoluogo ligure sono stati affissi nelle scorse ore alcuni manifestini abusivi dal chiaro messaggio oltraggioso dei nostri drammi. ‘No Foibe, no party‘, si legge sui placati lordati di stella rossa, firmati ‘Genova antifascista‘, che hanno infastidito e indignato molti di noi. Come sempre, quando si tratta di offese a danno delle nostre tragiche vicende, la legge è magnanima, al punto che questa iniziativa non costituisce reato alcuno”.
L’Unione degli istriani fa poi notare il doppiopesismo che, sempre di più, viene portato avanti in queste occasioni: “Ben diverso sarebbe stato qualora oggetto dell’ingiuria fossero stati i campi di sterminio nazisti”.
Massimiliano Lacota, presidente dell’Unione, afferma al Giornale.it: “Si tratta di una iniziativa che, al contrario di coloro che vorrebbero minimizzare, va invece denunciata e sulla cui condanna dovrebbero essere d’accordo tutte le istituzioni regionali e cittadine, così come le forze politiche. Dopodiché sappiamo bene che rimarrà beatamente impunità, anche qualora gli autori materiali dovessero rivendicarla, perché nel nostro Paese si possono offendere i nostri drammi liberamente, senza commettere alcun reato. Ed è proprio su questo punto che va fatta una riflessione seria”. Già, perché le vittime delle foibe sono ancora considerati morti di serie B.
Anche Emanuele Merlino, presidente del comitato 10 febbraio, è intervenuto su questa vicenda: “I nostalgici del comunismo assassino del Maresciallo Tito colpiscono ancora. Adesivi dal contenuto disgustoso sono stati affissi in città da elementi ben conosciuti dell’antifascismo locale, che non trovano di meglio da fare che continuare a diffondere appelli all’odio. Invitiamo l’amministrazione comunale, che sappiamo sensibile all’argomento, a defiggere i deliranti manifestini e soprattutto a costituirsi parte civile in un procedimento a carico di chi ha ideato e attuato l’affissione abusiva. Questo triste episodio – conclude Merlino – deve spingere il Comune, i cittadini e le associazioni a intensificare le iniziative culturali e di confronto democratico, per espellere da Genova chi sminuisce o nega il dramma delle foibe e l’esodo dal confine orientale d’Italia. Noi, come sempre, siamo a disposizione per raccontare la verità.”
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/cronache/lultimo-sfregio-degli-antifa-no-foibe-no-party-1929353.html
CONFLITTI GEOPOLITICI
Il ruolo dell’Iran in Yemen: Stati Uniti e Unione Europea vacillano
- Dopo l’attacco alle installazioni petrolifere dell’Arabia Saudita, il famoso quotidiano statale Kayhan, il cui direttore è uno stretto consigliere della Guida Suprema Ali Khamenei ed è stato nominato da lui, aveva in prima pagina un articolo il cui titolo era “Gli Houthi hanno sparato un missile contro Riad. Dubai sarà la prossima”.
- Già nel 2019, gli Houthi avevano lanciato un missile contro un impianto nucleare di Abu Dhabi, un atto molto probabilmente destinato a provocare grosse perdite tra i civili. Per fortuna, il lancio del missile non andò a buon fine.
- Anche i leader iraniani hanno ammesso di aiutare gli Houthi. L’influente clerico Mehdi Tayeb ha affermato che il fallito attacco degli Houthi all’impianto nucleare di Abu Dhabi è stato compiuto in più fasi dall’IRGC con il sostegno della Marina iraniana.
- Compiacendo i mullah iraniani al potere, l’UE e l’amministrazione Biden incoraggiano il regime di Teheran e il suo gruppo terroristico, gli Houthi.
Il regime iraniano sta fornendo armi sofisticate al gruppo di miliziani yemeniti degli Houthi, che è stato riconosciuto come organizzazione terroristica dalla precedente amministrazione statunitense. Come affrontano tale questione l’Unione Europea e l’amministrazione Biden? Nella foto: i miliziani Houthi a Sanaa, in Yemen, l’11 gennaio 2021. (Foto di Mohammed Huwais/AFP via Getty Images) |
Stanno emergendo ulteriori prove, tra cui un recente rapporto delle Nazioni Unite, che mostrano che il regime iraniano sta fornendo armi sofisticate al gruppo di miliziani degli Houthi, in Yemen. Il gruppo è stato riconosciuto come organizzazione terroristica dalla precedente amministrazione statunitense.
Come affrontano tale questione l’Unione Europea e l’amministrazione Biden? L’amministrazione Biden ha sospeso alcune sanzioni per accuse di terrorismo che l’amministrazione Trump aveva imposto agli Houthi e la nuova amministrazione sta riesaminando il dossier Houthi per poter rimuovere il gruppo dalla lista delle organizzazioni terroristiche. Il segretario di Stato Antony Blinken ha dichiarato di nutrire una “profonda preoccupazione in merito al riconoscimento” degli Houthi come organizzazione terroristica. L’UE e l’amministrazione Biden sembrano essere impegnate a tracciare la strada per tornare all’accordo sul nucleare iraniano – che Teheran non ha mai firmato e che le consente alla fine di avere armi nucleari – e revocare le sanzioni contro il regime teocratico.
Il rapporto annuale delle Nazioni Unite ha inoltre rivelato che non solo gli Houthi ricevono armi dal regime iraniano, ma che vengono anche addestrati dagli apparati militari iraniani:
“Un numero crescente di prove sta a indicare che individui o entità nella Repubblica islamica dell’Iran forniscono quantitativi considerevoli di armi e loro componenti agli Houthi. Il panel sta indagando su un gruppo di individui che si recarono in Oman nel 2015 a bordo di ‘voli di soccorso’ per poi proseguire verso la Repubblica islamica dell’Iran. Uno di questi individui in seguito dichiarò di avere ricevuto un addestramento navale a Bandar Abbas e in seguito continuò ad agevolare il contrabbando marittimo per conto degli Houthi”.
Secondo il rapporto dell’ONU, il regime di Teheran consegna armi perfino nei porti yemeniti:
“Il gruppo di esperti ha documentato diverse rotte di rifornimento agli Houthi che coinvolgono navi tradizionali (dhows) nel Mar Arabico. Armi e attrezzature vengono trasbordate nelle acque dell’Oman e della Somalia su imbarcazioni più piccole, con il carico consegnato nei porti sulla costa meridionale dello Yemen e contrabbandato via terra agli Houthi o, in alcuni casi, attraverso lo Stretto del Bab-el-Mandab, direttamente nelle aree controllate dagli Houthi. La mancanza di capacità della Guardia costiera yemenita e la corruzione dilagante nelle zone controllate dal governo dello Yemen sono fattori che contribuiscono a consentire al contrabbando di prosperare nonostante una serie di sequestri di spicco”.
Il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica (IRGC) riconosciuto dal Dipartimento di Stato come un’organizzazione terroristica straniera è un importante sostenitore e finanziatore degli Houthi e ha intensificato la fornitura di armi allo Yemen. Le armi includono missili guidati anticarro, fucili di precisione e lanciarazzi.
Il gruppo terroristico degli Houthi utilizza le armi ricevute per promuovere gli interessi dei mullah. L’Arabia Saudita, rivale dell’Iran è stata l’obiettivo principale da parte di Teheran del rifornimento di armi agli Houthi. In un attacco del 2017, i miliziani Houthi presero di mira l’Arabia Saudita lanciando quattro missili balistici. I ribelli Houthi hanno inoltre rivendicato la responsabilità degli attacchi con droni a due impianti sauditi di Aramco, nel cuore dell’industria petrolifera del Regno. Gli obiettivi erano l’impianto di lavorazione del petrolio più grande al mondo, situato ad Abqaiq, nei pressi di Damman, nella provincia orientale, e il secondo giacimento petrolifero più grande del Paese, sito a Khurais. Gli Houthi possono garantire all’Iran una fondamentale leva geopolitica perché il gruppo terroristico è ora in grado di lanciare missili balistici in qualsiasi Paese del Golfo.
Dopo l’attacco alle installazioni petrolifere dell’Arabia Saudita, il famoso quotidiano statale Kayhan, il cui direttore è uno stretto consigliere della Guida Suprema Ali Khamenei ed è stato nominato da lui, aveva in prima pagina un articolo il cui titolo era: “Gli Houthi hanno sparato un missile contro Riad. Dubai sarà la prossima”.
Già nel 2019, gli Houthi avevano lanciato un missile contro un impianto nucleare di Abu Dhabi, un atto molto probabilmente destinato a provocare grosse perdite tra i civili. Per fortuna, il lancio del missile non andò a buon fine.
Anche i leader iraniani hanno ammesso di aiutare gli Houthi. L’influente clerico Mehdi Tayeb ha affermato che il fallito attacco degli Houthi all’impianto nucleare di Abu Dhabi è stato compiuto in più fasi dall’IRGC con il sostegno della Marina iraniana. Inoltre, il vice comandante della Forza Quds dell’IRGC, Esmail Ghani, ha dichiarato: “Coloro che difendono lo Yemen sono stati addestrati sotto la bandiera della Repubblica islamica dell’Iran”.
I mullah vogliono anche prendere il controllo dello Yemen, come di fatto è accaduto in altri Paesi come il Libano, mediante l’emissario Hezbollah; in Siria e in Iraq, con la Striscia di Gaza in lista d’attesa.
In effetti, questa missione rivoluzionaria del regime fa parte della sua Costituzione, il cui Preambolo recita che la Costituzione “fornisce la base per assicurare la continuazione della Rivoluzione in patria e all’estero”. E prosegue affermando:
“L’Esercito della Repubblica islamica dell’Iran e il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica (IRGC) (…) saranno responsabili non solo di controllare e preservare le frontiere del Paese, ma anche di realizzare la missione ideologica del jihad in accordo con la legge di Dio, al fine di estendere la sovranità della legge di Dio in ogni parte del mondo”.
Compiacendo i mullah iraniani al potere, l’UE e l’amministrazione Biden incoraggiano il regime di Teheran e il suo gruppo terroristico, gli Houthi.
Majid Rafizadeh, accademico di Harvard, politologo e uomo d’affari, è anche membro del consiglio consultivo della Harvard International Review, una pubblicazione ufficiale della Harvard University, e presidente del Consiglio internazionale americano sul Medio Oriente. È autore di molti libri sull’Islam e sulla politica estera statunitense.
FONTE: https://it.gatestoneinstitute.org/17154/iran-ruolo-yemen
Solo questione di tempo ma di tempo non ne avanza molto, gli USA devono agire prima che la Russia e la Cina si fortifichino ancora di più, devono disarmare l’Iran, prima che Teheran entri in possesso dell’arma atomica. Ne consegue che il conflitto, allo stato attuale, appare inevitabile.
FONTE: http://www.ilpensieroforte.it/mondo/4547-lo-scontro-tra-la-nato-e-la-russia-appare-inevitabile
FONTE: https://www.facebook.com/GSERDP/posts/1921487464655846
Attentato a Trump fallito
Attentato a Trump, Fallito il tentativo di Assassinare Trump – NUOVI DETTAGLI SUGGERISCONO IL DRONE
Come riportato il mese scorso, il proiettile di un aspirante assassino ha colpito, ma non è penetrato nella finestra della camera da letto di Trump mentre dormiva il 26 gennaio. Il vetro antiproiettile, che aveva installato di recente, probabilmente gli ha salvato la vita. E gli esperti balistici che in un primo momento hanno ipotizzato che il colpo sia stato provocato da un elicottero in bilico al largo della costa hanno respinto tale ipotesi a favore di una premessa più plausibile: un drone armato.
Una fonte nell’orbita di Trump parla in condizioni di anonimato ha fornito a Real Raw News ulteriori informazioni sullo scioccante tentativo di omicidio e sulle successive indagini.
La squadra investigativa di Trump, ha detto la nostra fonte, ha licenziato l’uomo armato in una teoria dell’elicottero dopo aver ottenuto i registri radar da Palm Beach Intl. L’aeroporto e la stazione della guardia costiera degli Stati Uniti, Lake Worth Inlet. Nessuno dei due radar aveva rilevato un elicottero entro 15 miglia da Mar-a-Lago tra le 3: 00-4: 00 di quella mattina.
Sebbene il radar sia una tecnologia imperfetta e gli elicotteri siano piccoli, la maggior parte dei sistemi radar civili e militari utilizza una tecnologia chiamata Multilaterazione, una tecnica per determinare la posizione di un “veicolo” basata sulla misurazione dei tempi di arrivo delle onde di energia con una velocità nota quando propagazione da o verso più stazioni di sistema. Insomma, se ci fosse stato un elicottero, il radar l’avrebbe rilevato.
Trump, ovviamente, non l’ha dedotto da solo. Per interpretare i dati radar, Trump ha assunto CMsgt in pensione dell’USAF. Anthony Vance, che per 12 anni è stato un operatore di controllo dell’avvicinamento radar presso la Joint Base Andrews, che allora si chiamava Andrews Airforce Base. Dopo essersi ritirato dall’esercito, Vance è stato a capo della torre di controllo presso JFK Intl. Airport, uno degli aeroporti più trafficati del mondo. Ha passato la maggior parte della sua vita a interpretare le sfumature del radar.
“Vance ha studiato i registri e ha detto di essere sicuro al 99% che nessun elicottero si trovava nelle vicinanze di Mar-a-Lago quando il proiettile ha colpito la finestra. Trump gli crede, ma era alterato e voleva delle risposte. Dopo un’ispezione più attenta dei registri radar, Vance ha visto qualcosa che pensava potesse interessare Trump “
ha detto la nostra fonte.
I registri hanno rivelato quattro contatti di superficie, o navi, entro tre miglia da Mar-a-Lago all’incirca nel momento dell’attacco.
La capacità di un radar di rilevare e tracciare i contatti con la superficie dipende da diverse variabili: condizioni del mare e atmosferiche, dimensioni della nave e, cosa più importante, se la nave ha un albero. Più alto è l’albero, maggiore è la possibilità che rifletta un segnale radar alla sorgente.
«Vance ha scoperto che il contatto più vicino era fermo a circa mezzo miglio dalla costa quando il proiettile ha colpito la finestra. In pochi minuti, quel contatto si diresse verso est e accelerò fino a 30 nodi. L’unica massa continentale a est sono le Bahamas, ma il radar ha perso la traccia dopo trenta miglia. Queste scoperte hanno fatto sì che il personale di Trump abbandonasse la teoria dell’elicottero e pensato che un drone è stato lanciato dalla nave “.
Trump ha arruolato l’aiuto di un ex ingegnere aeronautico della General Atomics, Stephen Duckworth, per rafforzare la teoria dei droni. Duckworth aveva ampie credenziali e aveva svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’MQ-1 Predator UMV delle forze armate statunitensi.
Duckworth ha escluso i droni disponibili in commercio come possibili colpevoli, ma ha detto a Trump che un drone su misura dotato di stabilizzatori giroscopici e visione notturna avanzata o ottica termica potrebbe, in teoria, sparare con un’arma apposta sul telaio.
“Sai che la CIA ha questa roba?” Secondo quanto riferito, ha detto Duckworth a Trump.
“So che abbiamo armi potenti, immensamente potenti come nessuno ha mai visto, ma non conosco i dettagli. Ecco perché ho pagato una persona come te per spiegarmelo “
ha risposto Trump.
La nostra fonte ha affermato che Vance ha approvato la teoria del drone, poiché la sezione trasversale del radar di un piccolo drone è minuscola per evitare il rilevamento, specialmente se, come presumibilmente suggerito da Duckworth, il drone era rivestito con materiale assorbente le radiazioni o vernice invisibile.
In conclusione, la nostra fonte dice che Trump ritiene Joe Biden e i gestori di Deep State responsabili del fallito tentativo di omicidio, ma non farà un’accusa pubblica fino a quando non avrà ottenuto prove inconfutabili che collegano Joe “dormiente” al crimine.
FONTE: https_www.sadefenza.org/?url=https%3A%2F%2Fwww.sadefenza.org%2F2021%2F03%2Ffallito-il-tentativo-di-assassinare-trump%2F
CULTURA
post hoc, ergo propter hoc
post hoc, ergo propter hoc Locuz. lat. «dopo questo, e quindi a causa di questo».
Sofisma per il quale si afferma l’esistenza di un rapporto di causalità tra due avvenimenti, per il solo fatto che l’uno è posteriore all’altro.
FONTE: https://www.treccani.it/enciclopedia/post-hoc-ergo-propter-hoc_%28Dizionario-di-filosofia%29/
La critica al “conformismo democratico” di Ugo Spirito
Daniele Trabucco – 3 03 2021
Ugo Spirito (1896-1979) é stato uno dei maggiori filosofi italiani, allievo di Giovanni Gentile e teorico dell’immanenza dell’individuo nello Stato, ossia la mobilitazione degli individui nelle e per le strutture create dallo Stato stesso.
Pensare?
Alessandro Bertirotti – 4 03 2021
È tutta questione di… conoscenza.
Tutti gli uomini ritengono che il pensare sia un’attività spontanea, equivalente al camminare o al respirare. In effetti,
da quando il cervello si costituisce nel mondo vitale e come unità operativa di alcuni organismi viventi, si può sostenere esista il pensiero. Tuttavia, l’estrema individualità che caratterizza lo stile del pensiero di ognuno, e le differenze esistenti tra i vari individui, suggeriscono l’idea che la capacità di pensare sia suscettibile di modificazioni.
Tutti gli uomini (o quasi tutti…) hanno per anni frequentato i banchi di scuola, apprendendo nozioni, memorizzando fatti e date. Poco tempo si è riservato invece all’apprendere un metodo per apprendere. Sembra che nella scuola viga la certezza che il pensare sia come un sottoprodotto che dovrebbe scaturire spontaneamente, dall’attenzione posta a materie specifiche.
Le questioni riguardanti l’apprendimento in generale e l’acquisizione di un metodo appaiono affascinanti e, al tempo stesso, assai complesse. Con questo articolo voglio ragionare proprio sulla formazione delle idee (miele del nostro cervello) e perché esse siano tanto importanti per gli esseri umani.
Il termine ragione è fondamentale per la filosofia ed assume in essa una molteplicità di significati. Due di essi sono fondamentali, dal nostro punto di vista: a), la ragione intesa in senso metafisico, come principio e fondamento della realtà; b), la ragione, come facoltà del pensiero umano e guida per una condotta etica.
Nella filosofia dell’antica Grecia ricorrono entrambi questi significati: il logos designa sia la legge essenziale della realtà sia la capacità dell’uomo di ragionare e di dialogare (da dia-logos, due ragioni oppure due verbi a confronto). In questa seconda accezione la ragione è intesa anche come dianoia, ossia come facoltà discorsiva, contrapponendosi ad intelletto (in greco nous), ossia alla capacità di cogliere intuitivamente le verità prime (da cui muove ogni ragionamento).
Il termine logos fa la sua apparizione nella filosofia di Eraclito, sviluppandosi poi nella filosofia degli stoici. Per questi il logos è la legge che governa tutte le cose. Esso è l’ordine razionale della natura e del cosmo, seguendo il quale l’uomo conduce una vita giusta e felice. Questa concezione, la cui evoluzione coincide con le diverse riprese del termine logos nella filosofia greca e nel pensiero cristiano dei padri della Chiesa, ritorna anche nella filosofia moderna, benché in un contesto problematico molto diverso: la filosofia sistematica di G.F. Hegel.
Per lui la ragione (denominata anche Idea e Spirito) è la legge immanente della realtà, nel suo sviluppo naturale e storico. Hegel identifica il pensiero (ragione) con l’Essere (realtà). Al tempo stesso, egli situa la ragione (intesa anche come conoscenza dell’Assoluto), al di sopra dell’intelletto, perché questo consiste nella facoltà di astrazione e nella conoscenza del particolare.
Dunque, per Hegel la ragione, intesa sia come fondamento della realtà sia come conoscenza della totalità del reale, procede dialetticamente, attraverso antitesi e contraddizioni, e perviene a collegare nella sintesi i diversi momenti della realtà, che l’intelletto invece coglie separatamente.
Per il Nostro, mentre l’intelletto considera astrattamente i concetti nelle loro reciproche esclusioni, la ragione è consapevolezza del processo grazie al quale le astratte opposizioni sono poste e superate dalla dialettica dell’Idea. La ragione pertanto non è solo forma che suggelli un contenuto dato, ma è forma che fornisce a se stessa un contenuto, grazie appunto alla dialettica del principio costitutivo del tutto, l’Idea.
Bene, penso che dovremmo riflettere, in base a quello che vi ho proposto in questo articolo, sulla nostra contemporaneità, quotidianità e chiederci cosa realmente dicono o scrivono alcune persone presenti nei media.
FONTE: https://blog.ilgiornale.it/bertirotti/2021/03/04/pensare/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
BENVENUTI NELLA NUOVA DEMOCRAZIA AUMENTATA
GOVERNI + SOCIAL NETWORK + FILANTROPI – Ilaria Bifarini
Esiste un Governo Mondiale Allargato, una Nuova Democrazia Aumentata costituita dai governi, dai grandi social network, dalle multinazionali che ritengono di conoscere i cittadini e le loro esigenze meglio di chiunque altro e dai grandi filantropi che vengono visti come i nuovi salvatori del mondo, presentati come portatori di un nuovo imperativo morale di scala planetaria. Non si tratta di una teoria del complotto né di uno scenario distopico da film di fantascienza, bensì del progetto che istituzioni come il WEF o il FMI, già da anni anticipano apertamente. Progetto che l’economista Ilaria Bifarini ha studiato documenti e dati alla mano e che ha condensato nel suo libro: “Il Grande Reset“.
“Abbiamo visto come, con il pretesto di tutelare la salute pubblica, siano stati imposti dei comportamenti del tutto inediti nei confronti della popolazione. Ad esempio è stato introdotto lo smart-working, che da tanto tempo si voleva rendere una nuova abitudine lavorativa. Finalmente, inoltre, per i fautori di questo piano di reset, si è presentata la grande occasione di introdurre la telemedicina. Vediamo come molte visite mediche vengono annullate, i protocolli di screening rimandati, mentre si lavora ad un avanzato sistema di intelligenza artificiale applicato alla medicina”.
Tuttavia il Grande Reset non consiste solo nell’introduzione di nuove, spersonalizzanti tecnologie, ma nella completa riorganizzazione della società, a cominciare dal mondo del lavoro, che non sarà più considerato un’attività umana indispensabile, come teorizzato dal grande economista John Maynard Keynes. Si andrà verso un reddito universale, svincolato dal lavoro e probabilmente subordinato alla completa adesione ai dogmi sociali dominanti. Ad esempio, il passaporto vaccinale, che fino a poco tempo fa sembrava un’idea complottista, oggi sta diventando realtà e un giorno potrebbe essere utilizzato come requisito per ottenere il reddito universale.
“Si tratta di una rivoluzione che io preferisco chiamare post-industriale, proprio perché non è legata all’attività produttiva e industriale, una rivoluzione che, come ci dice lo stesso Klaus Schwab (presidente del World Economic Forum), attraverso l’uso massiccio dell’intelligenza artificiale, è volta a cambiare non solo ciò che facciamo, ma anche chi siamo, ossia le nostre identità. Il Grande Reset è un piano distopico, un processo in corso scientificamente dimostrabile, ma nonostante ciò, chiunque ne parli viene tacciato di complottismo, che è ormai l’etichetta utilizzata per mettere a tacere chi si allontana dal depensiero unico”.
Dunque il Grande Reset può essere definito come una inaccettabile accelerazione che il Capitalismo sta attuando ad insaputa di larghissima parte della popolazione. Il passaggio a una forma di organizzazione della società in cui social network e multinazionali private assorbiranno le funzioni sociali che nella storia moderna sono state attribuite agli stati democratici. Secondo Ilaria Bifarini esiste solo un modo per uscirne:
“Bisogna tornare ad ubbidire alle leggi della natura umana. Il Grande Reset è un attentato all’essenza dell’essere umano, cioè alla sua spiritualità, alla sua anima. Noi non siamo intelligenza artificiale: nonostante quanto auspicato dal transumanesimo siamo esseri umani e non si possono sradicare gli elementi fondamentali dell’individuo: la sua coscienza, la sua soggettività e la sua libertà”.
FONTE: https://www.byoblu.com/2021/03/04/benvenuti-nella-nuova-democrazia-aumentata-governi-social-network-filantropi-ilaria-bifarini/
“L’Unione europea ha portato la pace”: come ci fregano con la fallacia “post hoc, ergo propter hoc”
Post hoc ergo propter hoc significa, letteralmente, “dopo di ciò, quindi a causa di ciò”. Vuol dire accreditare un fatto di essere la causa di un altro solo perché accaduto prima.
Tale fallacia rientra nel novero di quelle informali di inconsistenza dette anche “fondamenta cedevoli”. Come rivela la parola, si tratta di argomenti basati su presupposti infidi e poco solidi, come le sabbie mobili. E tuttavia bisogna stare comunque attenti perché essi tendono ad aggirare la nostra naturale attitudine all’analisi critica e al ragionamento logico, e quindi a persuaderci.
Il sofisma in questione viene anche ricompreso all’interno dei cosiddetti non sequitur (letteralmente: non segue, non consegue) e può essere alternativamente designato come fallacia della falsa pista perché si basa su una relazione causale erronea.
Facciamo un esempio: 1) il mattino arriva sempre dopo che il gallo ha cantato; 2) quindi, il sorgere del sole è causato dal re del pollaio. Ovviamente, questo è un caso limite e fa ridere – anche i polli – per la sua assurdità. Eppure, non avete idea di quanto spesso la “scorciatoia” sia utilizzata non già inconsciamente dai bambini in età prescolare, ma consapevolmente dagli adulti con intenzioni manipolatorie.
Una variante del post hoc ergo propter hoc è il cum hoc ergo propter hoc (significa “insieme a ciò, quindi a causa di ciò”). Ad esempio: poiché è arrivato Ronaldo e la Juve non ha vinto la Coppa dei Campioni, allora la Juve non ha vinto la Coppa dei Campioni perché ha comprato Ronaldo. Sennonché, non è scritto da nessuna parte che il campione dei campioni debba vincere (o farti vincere) per forza il trofeo più ambito.
Oppure: poiché lo Stato ha aumentato il deficit quando sono andati al governo i gialloverdi, allora i gialloverdi hanno causato l’aumento del deficit. Non è detto, infatti, che il deficit dell’anno in corso sia colpa delle politiche di un nuovo governo. Spesso dipende dalle scelte del governo precedente o, addirittura, da anomalie strutturali o di sistema come quelle che affliggono l’euro e l’Unione europea.
Ma veniamo, appunto, al caso della UE e delle argomentazioni farlocche utilizzate per rinfocolare il suo “mito” presso il grande pubblico: la strategia del post hoc ergo propter hoc è stata – ed è ancor oggi – una delle più impiegate.
In particolare, la si usa con riferimento al tema della pace.
L’argomento lo abbiamo sentito così spesso da averlo interiorizzato e fatto nostro come se si trattasse di una verità rivelata e suona, più o meno, così: l’Unione europea ha assicurato il più lungo periodo di pace e di prosperità mai conosciuto dai popoli, e dalle nazioni, del vecchio continente. Post hoc ergo protper hoc: la pace è venuta dopo l’inizio del processo di unificazione europea e pertanto la pace è stata provocata dal processo di unificazione europea. Chiunque ascolti questa solfa è portato a darla per scontata, la “beve” senza filtri e infine la fa incondizionatamente sua proprio perché essa si fonda sulla leva potentissima della suggestione mentale e linguistica rappresentata dall’equazione: A viene prima di B, quindi A ha causato B. Oppure: B è venuto dopo A, quindi B è stato causato da A; che poi è la stessa cosa.
Nel caso dell’Europa però, lo stratagemma è doppiamente fallace. Non solo perché il ragionamento è viziato, in sé e per sé, alla radice (nel senso che la precedenza di un fatto rispetto a un altro non è sufficiente a garantirci in modo rigoroso e “scientifico” che il primo abbia cagionato il secondo), ma anche perché è proprio storicamente errato. È smentito sia dalla storia passata sia dalla cronaca dei giorni presenti se non addirittura, e paradossalmente, dai probabili sviluppi di quelli futuri.
DIRITTI UMANI
Allarme. Minori, pedofili senza ostacoli. La causa? Il codice privacy Ue
Agenti al lavoro durante un’operazione anti-pedopornografica – Ansa / Polizia di Stato
Dal 21 dicembre a metà gennaio le segnalazioni in rete di materiale pedopornografico e di episodi di adescamento si sono quasi dimezzate (-46%). Non vuol dire purtroppo che c’è stata una drastica riduzione dei pedofili online. Ma che, più banalmente, le polizie postali non sono più in grado di operare.
Se non si riuscirà ad intervenire in tempi brevi, tra qualche settimana potremo illuderci di aver cancellato il problema, almeno dal punto di vista della diffusione dei dati. Non sapremo più nulla, o quasi, degli orchi in rete perché sarà stata azzerata la possibilità di individuarli.
Davvero un risultato straordinario quello ottenuto dal nuovo Codice europeo per le comunicazioni elettroniche entrato in vigore, appunto, lo scorso 21 dicembre. Insieme all’obiettivo di tutelare in modo rigoroso la privacy, sono stati messi fuorilegge anche gli strumenti informatici che fino a quella data consentivano di monitorare il mondo sommerso degli abusi sessuali on line.
Un arcipelago di perversione e di violenze che, solo nei Paesi Ue, è passato dalle 23mila segnalazioni del 2009 alle 725mila del 2019. Tre milioni le immagini pedopornografiche ‘catturate’ lo scorso anno grazie a strumenti elettronici come filtri antigrooming e photoDna, che ora però sono stati vietati. Si tratta di uno scenario che poteva essere evitato, se i negoziati tra le istituzioni europee (cosiddetto trilogo) tenutisi lo scorso 17 dicembre si fossero conclusi con un accordo per l’approvazione della proposta della Commissione di introdurre una deroga temporanea alla direttiva eprivacy – a cui fa riferimento il Codice europeo per le comunicazioni elettroniche – fosse stato approvato.
Ma come è possibile che la Ue non si renda conto di questo cortocircuito? Il problema in realtà è ben presente. I due co-presidenti dell’Intergruppo del Parlamento Europeo per la protezione dei diritti dei minori (Hilde Vautmans, liberale belga, e David Lega, svedese del gruppo dei cristiano-democratici) hanno diffuso una lettera sottoscritta da 57 deputati di diverse formazioni politiche, indirizzata a Birgit Sippel, tedesca socialista – relatrice della proposta di regolamento che introduce una deroga temporanea alla direttiva eprivacy – a Ylva Johansson, Commissaria europea per gli affari interni e all’ambasciatore Nuno Brito, in rappresentanza della presidenza portoghese del Consiglio Europeo.
L’invito è perentorio: trovare al più presto un accordo che consenta alle imprese fornitrici di servizi di comunicazione elettronica di ripristinare l’uso degli strumenti tecnologici per l’individuazione del materiale pedo-pornografico, e degli episodi di adescamento dei minori online.
Ma finora tutto tace. Birgit Sippel, e altri deputati come lei, continuano ad essere convinti che gli strumenti elettronici utilizzati per fermare gli orchi del web siano una violazione della privacy perché in grado di leggere i nostri messaggi.
Ma dovrebbe trattarsi di una preoccupazione esagerata. Le tecnologie per individuare foto e video a contenuto pedo-pornografico usano un meccanismo che riconosce le cosiddette ‘hashes’ (una sorta di impronta digitale). Cioè avviene attraverso un filtraggio automatico uguale a quello che si fa con l’anti-virus e antimalware, che abbiamo in tutti i computer.
Mentre, nel caso dell’adescamento (grooming in inglese) le tecnologie utilizzate riconoscono solo certe parole-chiave e altri indicatori specifici impiegati dai pedofili in rete per attirare le vittime. Potremmo parlare di un filtraggio automatico uguale a quello che accade con l’anti-spam dei nostri computer. Pertanto, questi strumenti informatici non sono in grado di comprendere il contenuto delle conversazioni in rete.
Ora cosa succederà? La Commissione europea ha annunciato l’intenzione di creare un Centro europeo per la prevenzione e la lotta agli abusi sessuali sui minori – anche dopo numerosi richiami da parte del Parlamento europeo proprio su iniziativa dell’Intergruppo sui Diritti dei Minori – e lavorerà a stretto contatto con l’agenzia americana e altre organizzazioni impegnate alla lotta agli abusi sessuali contro i minori in rete.
Ma quanto tempo servirà per far decollare la nuova struttura? E, in ogni caso, anche con il nuovo Centro europeo, in assenza dell’approvazione della deroga temporanea alla direttiva eprivacy, le imprese fornitrici di servizi di comunicazione elettronica saranno comunque costrette a rispettare il Codice per le comunicazioni elettroniche.
Quindi, se non si correrà ai ripari, la lotta contro gli orchi del web rischia di essere condotta con armi impari. E milioni di bambini e di ragazzi sono già diventati un bersaglio troppo facile per le strategie sempre più sofisticate dei pedofili on line.
Proteste alla Ue anche da Unicef e altre Agenzie Onu
Il silenzio imposto alla ricerca dei pedofili on line dal nuovo Codice europeo per le comunicazioni elettroniche ha suscitato l’indignazione anche dell’Unicef, del Rappresentante speciale del Segretario generale Onu per la violenza contro i minori, del Relatore speciale Onu contro lo sfruttamento sessuale dei minori, dalla Partnership dell’Onu per la lotta a tutte le forme di violenza contro i minori (UN Global Partnership to end violence against children). E poi si sono mosse realtà come Telefono Azzurro, Save the Children, Ecpat International, WeProtect Global Alliance, nonché dalla taskforce europea contro i cyber-crimini (Euctf), che riunisce tutti i capi delle unità speciali contro i cyber-crimini dei Paesi Ue, ed esponenti di Europol. Anche i ministri degli interni di Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Usa, in una dichiarazione congiunta indirizzata alla Ue, hanno avvertito degli enormi rischi per i minori in rete.
FONTE: https://www.avvenire.it/attualita/pagine/minori-pedofili-senza-ostacoli-la-causa-il-codice-privacy-ue
ECONOMIA
Tavares di Psa con Stellantis smonterà la presenza di Fca in Italia.
Il post di Coltorti (ex Mediobanca)
Le mosse di Tavares su Fca commentate da Fulvio Coltorti, già direttore area studi di Mediobanca
Mentre il presidente John Elkann disquisisce sulla propensione (immaginata) del nonno a vaccinarsi, compiacendosi della presenza di Draghi come capo del governo, il bravo Carlos Tavares comincia a smontare la presenza in Italia, cercando di salvare l’occupazione in Francia.
Era prevedibile un tale esito, verso il quale aveva portato anche l’assunzione del controllo di Repubblica, il giornale che avrebbe potuto generare i maggiori rischi sociali e di immagine (serve anche quella per vendere le auto) da queste riorganizzazioni. Le quali sarebbero venute anche con Marchionne.
Il beneficio della fusione sta infatti nell’abolizione di un concorrente che opera nelle stesse fasce di mercato e Marchionne ha molto lavorato per dare FCA ad un partner presunto più efficiente e robusto..
Ma ora nasce l’ennesimo problema per il Presidente Draghi: lo Stato ha concesso la garanzia su un mega finanziamento che con la fusione è passato, direttamente o indirettamente, al gruppo Stellantis.
La motivazione era la salvaguardia della filiera in Italia: credo che in primo luogo quella garanzia vada ritirata salvo documentate assicurazioni del gruppo beneficiato di non procedere alle riorganizzazioni che stanno emergendo. Ci sarà un problema di interlocuzione perché pare che la controparte faccia in modo di non farsi trovare.
Unica soluzione possibile: una sveglia telefonica dal finanziatore preoccupato.
Chissà quale sarebbe stato l’atteggiamento del nonno in questo nuovo frangente. Di certo più elegante, ma non è questo ora il problema.
(post di Fulvio Coltorti pubblicato su Facebook)
FONTE: https://www.startmag.it/smartcity/tavares-di-psa-con-stellantis-smontera-la-presenza-di-fca-in-italia-il-post-di-coltorti-ex-mediobanca/
Impatti economici del Covid-19: il PIL pro-capite italiano torna ai livelli del 1993
Le proiezioni dell’OCSE vedono il pil pro capite italiano tornare indietro ai valori di trent’anni fa (1993). A margine di un recente intervento a Trieste, il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha sottolineato i principali fattori negativi per la crescita in Italia e quale sentiero percorrere per la ripresa…
7 Settembre 2020 – 3′
Alla fine del 2020, il pil pro-capite italiano tornerà ai livelli del 1993. Ad affermarlo è il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco in occasione dell’Euroscience Open Forum di Trieste, sulla base delle proiezioni fatte dall’OCSE.
L’Italia è il paese che registra la peggiore performance tra le economie avanzate. Mentre la Germania è tornata indietro ai livelli del pil pro capite del 2010, la Francia e la Spagna del 2002, gli Stati Uniti del 2014, l’Italia fa un balzo indietro di 30 anni.
Stando agli scenari prodotti dall’OCSE, è stato calcolato che quest’anno vedrà il calo più marcato del reddito pro capite italiano dal 1870. A pesare è senz’altro l’emergenza sanitaria ed economica che in questi mesi sta vivendo il nostro paese.
Ma il passo indietro dell’economia italiana non è solo da attribuire alla crisi del Covid-19. Il coronavirus è stato soltanto l’ultimo di una serie di fattori che hanno bloccato la crescita economica in Italia negli ultimi decenni.
Da oltre 20 anni il problema più grande della nostra economia è stata la bassa crescita, a sua volta a causa di una crescita della produttività molto debole.
Nel suo intervento, il governatore Visco ha sottolineato che «i ritardi accumulati nell’innovazione e nell’istruzione e la loro interrelazione con le strutture del sistema produttivo sono molto probabilmente all’origine della debolezza della crescita economica italiana». La Commissione Europea classifica oggi l’Italia al diciannovesimo stato tra gli stati dell’UE per connettività.
«L’Italia è inoltre tra i paesi con il ranking più basso dell’Ocse per spesa in ricerca e sviluppo e questa è accompagnata da investimenti insufficienti nell’istruzione».
L’Italia è penultima nell’Unione europea in termini percentuale di giovani di età compresa tra 25 e 34 con istruzione terziaria ed è al primo posto per quota di giovani di età compresa tra 15 e 29 anni che non studiano né lavorano.
Il Covid ha soltanto accelerato un processo di rallentamento economico già in atto dal quale è possibile uscire solo attraverso riforme, volte a creare un ambiente più favorevole alle imprese, aumentando la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici, riducendo gli oneri amministrativi e burocratici, abbassando il peso dell’evasione fiscale e della corruzione.
FONTE: https://www.risparmiamocelo.it/impatti-economici-del-covid-19-il-pil-pro-capite-italiano-torna-ai-livelli-del-1993/
Cos’è e come funzione la MMT in 7 punti
La Modern Monetary Theory (MMT) sta infiammato i dibattiti politici ed economici negli Stati Uniti. Ecco quali sono i 7 principi cardine su cui si fonda…
di Piero Cingari – 8 Maggio 2019
La MMT (Modern Monetary Theory) è senz’altro uno dei temi più discussi nei dibattiti politici ed economici degli ultimi tempi.
Si tratta di un nuovo approccio alla macroeconomia che ribalta totalmente il modo di pensare comune alla moneta e al debito pubblico. Tutti noi infatti crediamo che uno stato debba necessariamente tassare prima di spendere. Per la MMT, il panico che si genera attorno al deficit e al debito pubblico è del tutto insensato. Ma pian piano ci arriveremo…
Le origini della MMT
La Teoria Monetaria Moderna (MMT) è una teoria economica che si sviluppa negli anni ’90 negli Stati Uniti ad opera dell’economista e investitore americano Warren Mosler.
Dopo aver fondato una società di investimenti finanziari, Mosler decide di dedicarsi alla ricerca accademica. Sin da subito, stringe rapporti con famosi economisti come Arthur Laffer, l’inventore della “Curva di Laffer” che mette in relazione la pressione fiscale con il gettito. Laffer avvicina Mosler ad un gruppo di economisti cartalisti e post-keynesiani, tra cui la docente di economia politica Stephanie Kelton. Grazie al contributo offerto di Mosler nasce così una nuova teoria economica chiamata MMT.
Cos’è la MMT?
Il punto chiave su cui si fonda la MMT è che uno stato che emette una propria valuta non presenta vincoli finanziari di bilancio.
In particolare, non è necessario che il governo imponga le tasse prima di spendere, poiché la spesa può essere finanziata facendo ricorso al denaro stampato dalla banca centrale.
In altre parole, la spesa pubblica non è più vincolata dalle entrate fiscali.
La banca centrale non è più un’istituzione separata e indipendente, come invece lo è oggigiorno la Bce in Europa, ma torna a servizio della politica fiscale del governo.
Un momento…
La MMT sostiene che non occorre fissare le imposte per sostenere qualsivoglia livello di spesa poiché la banca centrale può sempre stampare tutto il denaro necessario per finanziare il deficit pubblico.
E fin qui, potremmo dire che non c’è nulla di nuovo rispetto al celebre gioco del “Monopoli”. Ma se prendiamo come esempio gli Stati Uniti, la MMT può avere implicazioni molto interessanti.
Ma se il governo non ha bisogno delle nostre tasse, a cosa servono allora le imposte?
Secondo la MMT, le tasse hanno una duplice funzione.
In primo luogo, creano la domanda di moneta da parte di imprese e famiglie che sono costrette appunto ad ottenere denaro per pagare le tasse.
Le tasse inoltre riducono il potere di spesa all’interno dell’economia controllando l’inflazione, come spiegheremo più avanti.
La MMT dalla teoria alla pratica
La banconota da 1 dollaro, che tutti i cittadini americani tengono in tasca, rappresenta un credito da loro vantato nei confronti del governo federale. I dollari infatti non sono altro che una passività emessa dal governo federale degli Stati Uniti, sotto la promessa di accettarli nuovamente come pagamento delle tasse.
[…] Supponiamo per un attimo di trovarci in una casa in cui vive un padre con i suoi figli. Un giorno, il padre annuncia che i figli possono guadagnare banconote dopo aver compiuto varie faccende domestiche. Le banconote, di per sé, non hanno alcun valore e pertanto i bambini non trovano senso a lavorare per accumulare dei semplici biglietti di carta. Ma quando il genitore annuncia anche che per mangiare e vivere in casa si devono pagare, diciamo, 200 banconote ogni mese, le carte assumono immediatamente valore e i bambini iniziano a compiere le faccende di casa […]
Tratto da Soft Economics, Warren Mosler
Forte vero?
Qual è l’obiettivo della MMT?
L’obiettivo che si pone di raggiungere la MMT è ben diverso da quello adottato oggi dalle principali banche centrali mondiali che puntano esclusivamente a contenere l’inflazione.
Secondo la MMT, l’obiettivo del governo (e della banca centrale a suo servizio) dovrebbe essere quello di garantire la piena occupazione dei fattori produttivi (capitale e lavoro). Negli Stati Uniti, la piena occupazione equivale ad un tasso di disoccupazione pari all’incirca al 3% o giù di lì. Inoltre, se un’economia si trova al di sotto del suo massimo potenziale non si sono rischi inflazionistici derivanti dall’espansione del deficit di bilancio.
Non si tratterebbe quindi di una “monetizzazione del debito”?
Si parla di monetizzazione del debito quando un governo prende in prestito denaro dalla banca centrale per ripagare i suoi creditori. Quando questo processo è fuori controllo, la monetizzazione del debito può portare ad una massiccia svalutazione monetaria e episodi di iper-inflazione, come quello accaduto in Venezuela.
Come si difende la MMT?
Monetizzare significa convertire in denaro. La monetizzazione del debito si verifica quando un governo si indebita in valuta estera che è costretto a convertire, o monetizzare, in valuta nazionale. In un senso generale, il debito di uno stato è il denaro, e la spesa in deficit è il processo per monetizzare qualunque cosa acquisti il governo. Se quest’ultimo è in grado di stabilire il tasso di interesse che regola l’economia, la dimensione degli acquisti e delle vendite del debito pubblico non sono discrezionali.
Che ne è infine del debito pubblico?
Torniamo all’esempio del genitore e dei figli.
Supponiamo che il genitore conceda ai figli dei biglietti di carta aggiuntivi (cioè interessi) sul deposito delle banconote. I bambini potrebbero voler tenere in mano alcune banconote, da utilizzare magari tra loro per comodità.
Le banconote non necessarie per le transazioni tra fratelli possono essere depositate presso il padre e costituiscono il debito in capo al genitore.
Più alta è la promessa di banconote aggiuntive (tasso di interesse) da parte del genitore, maggiore sarà il risparmio all’interno della casa.
Si noti inoltre che il genitore non prende a prestito dai figli per finanziare i lavori domestici e l’offerta di pagare interessi (finanziare il deficit) non riduce la ricchezza (misurata dal numero di banconote) di ciascun bambino.
Un concetto molto importante sostenuto dalla MMT è che il genitore (lo stato) che emette proprie banconote non può mai fallire nel ripagare gli interessi ai propri figli (creditori). In sostanza, le nazioni completamente sovrane dal punto di vista monetario possono sempre emettere cartamoneta per effettuare qualsiasi pagamento dovuto nella loro valuta.
Riepilogando, dunque, ecco i 7 principi cardine su cui si fonda la Modern Monetary Theory (MMT):
- Lo stato è l’emittente monopolista della moneta
- La banca centrale non è un organo indipendente, ma opera a servizio del governo
- I governi non hanno bisogno di ricevere le tasse prima di spendere
- Le tasse alimentano la domanda di moneta e servono da stabilizzatore per l’inflazione
- L’obiettivo primario del governo è la piena occupazione
- Debito pubblico = credito privato
- Il governo non può mai fallire nel ripagare un debito espresso con la propria valut
FONTE: https://www.risparmiamocelo.it/cose-e-come-funziona-la-mmt-in-7-punti-2/
GIUSTIZIA E NORME
IL QUADRO NORMATIVO NEL SISTEMA DELLE EMISSIONI DI GAS SERRA
by Valerio Di Stefano – 8 03 2021
Sommario: 1. Introduzione – 2. Uno sguardo alla normativa internazionale – 3. Analisi della normativa comunitaria – 4. La normativa nazionale – 5. Conclusioni
1. Introduzione
La continua crescita economica mondiale ed in particolare quella delle economie emergenti, ha causato, negli ultimi anni, un notevole aumento del consumo di energia primaria con la conseguenza di un significativo incremento delle emissioni di gas serra. Secondo gli ultimi dati del nuovo rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), nel 2019 le emissioni totali di gas a effetto serra hanno raggiunto i valori di 59,1 giga-tonnellate di CO2 con un aumento medio dell’1,4% rispetto all’anno dal 2010 e con un picco del 2,6% nel 2019 per l’incremento degli incendi boschivi. Questi dati rischiano di mettere in discussione gli obiettivi previsti per il 2030, presentati come impegni dei singoli Paesi membri proprio in occasione dell’Accordo di Parigi.
Diversi studi, tuttavia, hanno dimostrato che, anche nel caso in cui tutti i Paesi rispettassero gli impegni sottoscritti a Parigi, le emissioni mondiali di gas serra continuerebbero a crescere anche oltre il 2030 e la temperatura arriverebbe a superare a fine secolo la soglia dei +3°C rispetto al periodo preindustriale (la temperatura media del periodo 1850–1900) con conseguenze devastanti per la società e l’economia. I danni reali e potenziali connessi alla crisi climatica, stimati dal World Economic Forum nel 2018, sono stati quantificati in 160 miliardi di dollari ponendo tra le cause principali gli eventi metereologici estremi e il fallimento delle politiche climatiche oltre che l’utilizzo crescente di combustibili fossili che soddisfano l’80% della domanda finale di energia e che solo nel 2018 hanno beneficiato di oltre 400 miliardi di $ di sussidi diretti al consumo.
Nel nostro Paese, secondo gli ultimi dati aggiornati da Eurostat al 2020, le fonti rinnovabili nel corso degli anni sono cresciute notevolmente e, anche se i Paesi del Nord Europa (Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca, Austria) soddisfano il loro fabbisogno energetico per oltre il 40% con energie da fonti rinnovabili l’Italia si attesta intorno al 18%.
Per quanto riguarda i livelli di emissioni globali di CO2, derivanti dall’uso di carbone, secondo i dati pubblicati dall’International energy agency (Iea), queste, nel 2020, dopo una piccola diminuzione nel 2019, hanno raggiunto nuovamente i livelli pre-pandemia.
2. Uno sguardo alla normativa internazionale
Sono veramente numerose le norme che disciplinano la materia delle emissioni sia a livello internazionale che comunitario e nazionale e con il presente lavoro si vuole proporre una sintesi di quelle che sono state più incisive.
Senza dubbio, la prima tappa decisiva delle politiche climatiche in ambito internazionale è stata rappresentata dalla Conferenza sull’Ambiente e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite, svoltasi a Rio de Janeiro nel 1992, durante la quale è stata approvata la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) che, partendo dalla constatazione che l’incremento di emissioni di Gas effetto serra (Greenhouse Gas – GHG) di origine antropica intensifica l’effetto serra naturale, pone l’obiettivo di “stabilizzare le concentrazioni di gas ad effetto serra nell’atmosfera ad un livello tale che sia esclusa qualsiasi pericolosa interferenza delle attività umane sul sistema climatico”. La Convenzione riconoscendo la portata mondiale dei cambiamenti climatici, chiede, sulla base del principio di responsabilità, una collaborazione dei singoli Stati che tenga conto delle rispettive capacità di contribuzione e delle loro condizioni economiche e sociali.
In questo contesto, viene istituita la Conferenza delle Parti (COP), che svolge un ruolo fondamentale nell’attuazione della politica di riduzione delle emissioni, presentandosi quale “organo supremo di questa convenzione” che vigila sulla sua regolare attuazione e su quella di qualsiasi strumento giuridico collegato a questa. La prima riunione della COP ha avuto luogo nel 1995 a Berlino, le successive sessioni sono state convocate con cadenze annuali. Al termine della terza Conferenza delle Parti (COP-3), che si è svolta a Kyoto in Giappone, è stato adottato il cosiddetto “Protocollo di Kyoto”, con l’obiettivo di ridurre, nel quinquennio 2008-2012, le emissioni di alcuni GHG di almeno il 5,2% rispetto ai livelli del 1990. L’Art. 3 del Protocollo prevede la possibilità per le Parti di assolvere agli impegni assunti tramite lo strumento dei carbon sinks, ossia attraverso pozzi di assorbimento di carbonio, e individua il principio delle “responsabilità comuni ma differenziate”. Ai paesi in via di sviluppo non viene imposto di procedere a una riduzione delle emissioni, poiché si ritiene che l’elevata quantità di GHG presenti in atmosfera sia da attribuire all’attività industriale posta in essere negli ultimi 150 anni dai paesi sviluppati e che di conseguenza debba essere richiesta a questi un’azione volta a contrastare concretamente i cambiamenti climatici. Il protocollo introduce tre meccanismi di flessibilità: la Joint Implementation (JI); l’Emission Trading (ET); il Clean Development Mechanism (CDM).
Il meccanismo della Joint Implementation, regolato dall’Art. 6, permette ad ogni Parte prevista dall’Allegato I di adempiere ai propri obblighi acquistando da ogni altra Parte dell’Allegato I delle unità di riduzione che risultano derivare da progetti volti proprio alla riduzione di emissioni di GHG di origine antropica.
L’Art. 12 disciplina il Clean Development Mechanism, che si propone di incentivare le Parti di cui all’Annex I a promuovere e a finanziare progetti di riduzione delle emissioni in Paesi non Annex I contabilizzando a proprio favore le unità di riduzione delle emissioni derivanti da tali progetti, ma anche per adempire all’obbligo di trasferire tecnologie tali da consentire uno “sviluppo pulito” nei paesi in via di sviluppo.
Il sistema di Emission Trading, previsto all’Art. 17, permette alle “Parti incluse nell’Allegato B”, con unità di riduzione di emissioni in eccesso, di commercializzarle con altre Parti che, al contrario, sono lontane dal raggiungimento del loro obiettivo, al fine di adempiere agli obblighi che derivano dall’Art 3. L’Italia aveva sottoscritto un obiettivo di riduzione del 6,5% che era stato quantificato sulla base delle indicazioni di alcuni Enti di ricerca nazionali.
Con Agenda 21, vengono identificati i 27 “principi” per declinare a livello locale lo sviluppo sostenibile e nel 2000 è stata presentata la Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite in cui si veniva ratificato l’impegno a raggiungere, entro il 2015, otto obiettivi di sviluppo del millennio, tra cui il 7° era quello di “garantire la sostenibilità ambientale”.
Una piccola evoluzione nella lotta ai cambiamenti climatici si ha con la COP-13 svoltasi a Bali, in Indonesia, nel 2007 e nello specifico con l’accordo detto Bali Road Map con cui viene avviato un processo di negoziazione basato sull’attività di un Ad Hoc Working Group (AWG-KP) volto a negoziare gli obiettivi del secondo periodo del Protocollo e dall’altro lato si stabilisce il lavoro di un Ad Hoc Working Group on Long-Term Cooperative Action (AWG-LCA) volto a stabilire gli impegni futuri delle Parti non firmatarie di Kyoto.
Pur senza alcuna formalizzazione, durante la COP-15, svoltasi a Copenaghen nel 2009, fu raggiunto un accordo tra 25 Paesi, tra cui Stati Uniti e Cina, in cui si faceva esplicito riferimento alla necessità di non superare il limite dell’aumento delle temperature del pianeta di 2°C rispetto al livello preindustriale, ed eventualmente di abbassarlo ad 1,5°C. Si prevedeva, inoltre, un impegno finanziario da parte dei paesi industrializzati a favore dei PVS di 30 miliardi di dollari l’anno tra il 2010 e il 2012 e di 100 miliardi di dollari a partire dal 2020 per favorire politiche di misure di adattamento ai cambiamenti climatici.
Il risultato più importante della COP 17, svoltasi a Durban nel 2011 è stato l’adozione della Piattaforma di Durban che si proponeva di raggiungere un nuovo accordo globale nel 2015 da applicare dal 2020, che ha riunificato nella stessa cornice negoziale i gruppi di paesi sottoscrittori e quelli non sottoscrittori del Protocollo di Kyoto.
Nel 2012, la COP 18 di Doha produsse il The Doha Climate Gateway e l’impegno di assunzione degli oneri economici da parte dei paesi industrializzati per i danni climatici patiti dai PVS (il cosiddetto meccanismo Loss and Damage). Fu, inoltre, emanato l’emendamento di Doha al protocollo di Kyoto, che prevedeva un secondo periodo di impegno dal 2012 al 2020 nella riduzione delle emissioni per tutti i Paesi sottoscrittori ad eccezione di Stati Uniti e Canada e dei PVS, compresa la Cina. Alcuni Paesi (Giappone, Russia e Nuova Zelanda) non assunsero ulteriori impegni di riduzione delle emissioni, altri si impegnarono a ridurre le emissioni del 18% rispetto ai livelli del 1990 mentre i paesi dell’UE e dell’Islanda del 20 %.
Nell’ambito della COP-21, è stato adottato l’Accordo di Parigi, entrato in vigore il 16 novembre 2016, che dispone obiettivi di riduzione tali da consentire il mantenimento dell’aumento della temperatura media terrestre entro i 2°C ed auspica un incremento degli sforzi per limitare l’aumento di temperatura a 1,5° C rispetto ai livelli preindustriali.
La 25ma Conferenza delle Parti (COP-25) tenuta a Madrid, anziché a Santiago del Cile, ha indicato come priorità le seguenti azioni: energie rinnovabili; elettro-mobilità; estrazione mineraria verde; economia circolare; oceani; foreste e agricolture resistenti al cambiamento climatico; città sostenibili e infrastrutture resistenti; finanza climatica. Di fatto i diversi Paesi non sono riusciti a raggiungere l’accordo di non superare la soglia fatidica di 2° C sopra la temperatura media terrestre preindustriale degli accordi di Parigi; da abbassare a 1,5° C, secondo gli studi scientifici, per evitare il punto di non ritorno. Con i piani attuali, si arriverebbe a + 3,2° entro fine secolo. Durante la COP 25 gli Stati Uniti hanno avviato le procedure per uscire dall’Accordo di Parigi cosa che si concretizzerà nel corso della COP 26 ma anche Arabia Saudita, Australia e Russia si sono opposti ai maggiori tagli delle emissioni. Il Brasile ha bloccato l’accordo sul mercato del carbonio rivendicando di poter conteggiare crediti vecchi mentre Cina e India non hanno attuato misure idonee alla riduzione delle emissioni.
Ulteriori importanti risultati si aspettano dalla COP 26 che doveva tenersi a Glasgow, entro la fine del 2020, ma che è stata rinviata a causa della pandemia a fine 2021. Nella conferenza in questione, tutti i Paesi dovranno presentare nuovi Piani nazionali per non superare la soglia dei 2°C sopra la temperatura media terrestre preindustriale ed essa coincide dal punto di vista temporale con la fine della fase di prolungamento del Protocollo di Kyoto e con l’avvio operativo dell’Accordo di Parigi.
3. Analisi della normativa comunitaria
L’analisi della normativa comunitaria evidenzia che mentre all’inizio con il Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea del 1957 la politica comunitaria non prendeva in considerazione il diritto ambientale successivamente c’è stata una enorme proliferazione di Direttive e Regolamenti che hanno cercato di disciplinare i diversi aspetti legati alle questioni ambientali.
Il punto di svolta può essere identificato nell’adozione del Primo Programma d’Azione Ambientale del 1973 che ha fornito un quadro di principi e obiettivi ed ha indicato le azioni da adottare, seguito da una serie di programmi in materia ambientale che continuavano ad indicare i principi e le azioni da mettere in atto per la tutela dell’ambiente.
Anche i Programmi ambientali successivi si presentano come delle dichiarazioni di intenti e si limitano a stabilire gli obiettivi prioritari da perseguire, ma non dettano norme vere e proprie.
Un decisivo passo in avanti è stato fatto con l’adozione nel 1986 dell’Atto Unico Europeo che ha introdotto nel trattato del 1956 un titolo dedicato all’ambiente, che rappresenta una specifica base giuridica nel testo del Trattato. Un ulteriore sviluppo si realizza con l’adozione del Trattato di Maastricht entrato in vigore nel 1993, che attribuisce all’azione in materia ambientale il rango di vera e propria politica e che prevede, all’Art. 2, tra i compiti dell’Unione europea quello di una “crescita sostenibile che rispetti l’ambiente”.
Dopo questo trattato con la Decisione n. 1600/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, viene approvato il Sesto Programma d’Azione Ambientale denominato “Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta” che stabilisce un piano d’azione per l’UE nel periodo luglio 2002-luglio 2012, e individua come principali ambiti d’intervento il cambiamento climatico, la natura e la biodiversità, l’ambiente, la salute e la qualità della vita, le risorse naturali e l’acqua.
Il successivo Trattato di Amsterdam, entrato in vigore nel 1999, ha previsto, all’Art. 2 del Trattato istitutivo tra gli obiettivi della Comunità Europea quello dello sviluppo sostenibile e il principio volto a favorire l’integrazione del settore ambientale nelle altre politiche europee.
Il Trattato di Nizza del 2003 non ha previsto modifiche sostanziali al precedente assetto, mentre nel 2009 il Trattato di Lisbona ha potenziato l’impegno dell’UE nel settore ambientale proponendo un approccio alla risoluzione delle problematiche ambientali di tipo globale.”
In ogni caso gli Stati membri hanno il diritto di determinare le condizioni di utilizzo delle loro fonti energetiche, di effettuare una scelta tra varie fonti energetiche e di definire la struttura generale del loro approvvigionamento energetico.
In seguito, è stato adottato con Decisione n. 1386/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2013 “Il Settimo Programma d’Azione Ambientale”, dal titolo “Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta” che si pone in continuità con il precedente programma quadro.
Per diverso tempo l’Unione europea è intervenuta nel settore ambientale con una normativa di regolamentazione diretta (command and control) attraverso la definizione di regole comuni ai principali operatori (es. fissazione di standard ambientali, divieto di ricorrere ad alcune pratiche, ecc.), che tuttavia non si è dimostrata in grado di affrontare i problemi specifici in quanto venivano imposti gli stessi obiettivi agli operatori dei diversi settori con costi molto diversi tra loro.
Successivamente viene adottato un sistema che prevede l’intervento dello Stato che istituisce tasse sull’inquinamento e introduce un sistema di incentivi e disincentivi per correggere le esternalità negative rappresentate dall’inquinamento.
In seguito, sono stati ideati i “tradable pollution rights” che prevedono l’intervento dell’autorità pubblica che, stabilito il livello massimo d’inquinamento ammissibile in una specifica area, determina la quantità complessiva di permessi di inquinamento da distribuire agli inquinatori. Ai singoli impianti non vengono imposti dei limiti alle emissioni, ma di avere un numero di permessi sufficiente a coprire le proprie emissioni, dando loro anche la possibilità di vendere i permessi in eccesso sulla base dell’esempio statunitense.
La Direttiva 2003/87/CE, conosciuta come Direttiva Emission Trading (Direttiva ET) ha istituito un proprio sistema interno di scambio di quote di emissione con l’obiettivo finale, previsto dall’Art. 1, di ridurre le emissioni ad effetto serra mediante l’istituzione di un mercato di permessi di emissione europeo, in funzione già a partire dal 2005. Poiché la suddetta direttiva non disciplinava il collegamento di questo sistema ET con i meccanismi flessibili di mercato del Protocollo di Kyoto, è stata emanata dalla Direttiva 101/2004/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 ottobre 2004 recante modifica della direttiva 2003/87/CE che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità, riguardo ai meccanismi di progetto del Protocollo di Kyoto.
Al fine di assicurare il funzionamento di un sistema sicuro e coerente di registri nazionali e il loro coordinamento, la Commissione successivamente ha adottato il Regolamento (CE) 2216/2004 della Commissione del 21 dicembre 2004 relativo ad un sistema standardizzato e sicuro di registri a norma della direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e della decisione n. 280/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio nel 2004.
Con la Direttiva 2008/101/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008, è stata modificata la direttiva 2003/87/CE al fine di includere le attività di trasporto aereo nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissioni dei gas a effetto serra successivamente dalla Direttiva 2009/29/CE adottata nell’ambito dell’ampia cornice del Pacchetto Clima-Energia. La direttiva stabilisce che il tetto alle emissioni di GHG venga stabilito a livello centrale dell’UE e che le quote debbano essere assegnate sulla base di norme disposte dalla Direttiva in questione, da ultimo modificata dal Regolamento Commissione Ue 2019/1842/Ue Emission trading- Disposizioni di applicazione della direttiva 2003/87/Ce – Modalità di adeguamento dell’assegnazione gratuita di quote di emissioni in funzione delle variazioni del livello di attività.
Le emissioni provenienti dagli impianti industriali sono disciplinate dalla direttiva 2010/75/UE che stabilisce norme riguardanti la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento proveniente da attività industriali e tese ad evitare oppure a ridurre le emissioni delle suddette attività nell’aria, nell’acqua e nel terreno e ad impedire la produzione di rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente.
Successivamente l’Unione Europea con la direttiva 2015/2193/UE ha regolamentato anche le emissioni nell’atmosfera di anidride solforosa, ossidi di azoto e polveri (particelle) originate da impianti di combustione medi ed ha emanato norme tese a monitorare le emissioni di monossido di carbonio provenienti da tali impianti, al fine di ridurre i possibili effetti nocivi per la salute umana e l’ambiente. La Commissione presenterà i risultati al Parlamento europeo e al Consiglio entro 12 mesi dalla ricezione delle relazioni nazionali sull’attuazione ed entro il 1o gennaio 2020, riesaminerà i progressi fatti in relazione all’efficienza energetica degli impianti di combustione medi e valuterà i vantaggi legati alla fissazione di norme minime di efficienza energetica ed entro il 1o gennaio 2023, valuterà la necessità di riesaminare alcuni aspetti della normativa, come ad esempio la fissazione di valori limite di emissione più restrittivi per i nuovi impianti e la regolamentazione delle emissioni di CO. A livello europeo, la Commissione mira a garantire la coerenza tra politica industriale, ambientale, agricola, climatica ed energetica per supportare lo sviluppo sostenibile con la conseguente creazione di posti di lavoro e una spinta verso l’innovazione tecnica e di processo. La Commissione Europea ha, infatti, recepito le indicazioni dell’Agenda 2030 a partire dalla Comunicazione 2016/739 “Il futuro sostenibile dell’Europa: prossime tappe. L’azione europea a favore della sostenibilità”.
La Commissione in carica, l’11 dicembre 2019, ha lanciato l’European Green Deal” identificando 8 pilastri per promuovere la trasformazione dell’economia europea per un futuro sostenibile, nell’ambito del quale ricerca e innovazione rivestono un ruolo trasversale.
4. La normativa nazionale
Il termine ambiente compare per la prima volta nella nostra Costituzione solo nel 2001, in forza della legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, volta a riformare il titolo V della Costituzione stessa.
Prima della riforma del titolo V, le leggi che disciplinavano settori specifici della materia ambientale erano rappresentate dal regio Decreto n. 1089 del 1939, riferita ai beni culturali e dal regio Decreto n. 1497 del 1939 in materia di bellezze naturali. La Costituzione ha accolto il contenuto di queste leggi all’art. 9 comma 2, laddove ha previsto che “la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”.
La giurisprudenza è intervenuta diverse volte per cercare di dare dignità costituzionale alla tematica ambientale e a tal fine è stato oggetto di studio anche l’articolo 32 della Costituzione, che stabilisce il diritto alla salute, attraverso cui è stato sancito il diritto ad un ambiente salubre, volto a limitare ed eliminare le cause di inquinamento dell’aria, dell’acqua e prevenire l’insorgenza di patologie tanto nel singolo quanto nella collettività.
Da ultimo, l’articolo 117 della Carta Fondamentale, così come riformato, regola il riparto di competenze fra Stato e Regioni, anche con riferimento alla materia ambientale. Al secondo comma, affida all’esclusiva legislazione statale “la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”18, mentre al terzo comma si attribuisce la “valorizzazione dei beni ambientali” in via concorrente allo Stato e alle Regioni.
Ulteriori norme come la Legge n. 316 del 30 dicembre 2004 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 novembre 2004, n. 273) contiene le disposizioni per l’applicazione della Direttiva 2003/87/CE in materia di scambio di quote di emissione dei gas ad effetto serra nella Comunità europea.
La norma quadro in materia di prevenzione e limitazione delle emissioni in atmosfera è costituita dal Decreto Legislativo 3 aprile 2006 n. 152, recante “Norme in materia ambientale” che nella parte V definisce la normativa che si applica a tutti gli impianti (compresi quelli civili) ed alle attività che producono emissioni in atmosfera stabilendo valori di emissione, prescrizioni, metodi di campionamento e analisi delle emissioni oltre che i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai limiti di legge.
In seguito, la Direttiva 2008/50/CE è stata recepita con il Decreto Legislativo n. 155/2010 che individua l’elenco degli inquinanti per i quali è obbligatorio il monitoraggio e stabilisce le modalità e i contenuti delle informazioni sullo stato della qualità dell’aria, da inviare al Ministero dell’Ambiente. Il provvedimento individua, inoltre, nelle Regioni le autorità competenti per effettuare la valutazione della qualità dell’aria e per la redazione dei Piani di Risanamento della qualità dell’aria nelle aree nelle quali sono stati superati i valori limite. Sono stabilite anche le modalità per la realizzazione o l’adeguamento delle reti di monitoraggio della qualità dell’aria.
Successivamente è stato emanato il Decreto Ambiente 29 novembre 2012 che, in attuazione del Decreto Legislativo n.155/2010, individua le stazioni speciali di misurazione della qualità dell’aria, e il Decreto Legislativo n.250/2012 recante “Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155, recante attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa” che integrando il precedente decreto definisce anche il metodo di riferimento per la misurazione dei composti organici volatili. Il Decreto è stato aggiornato dal D.Lgs. n.128/2010, e dal D.Lgs 4 marzo 2014, n. 46 di attuazione della direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali che oltre a modificarne le Parti II, III, IV e V, ha assorbito ed integrato i contenuti del D.Lgs. 11 maggio 2005, n. 33 di attuazione della direttiva 2000/76/CE, in materia di incenerimento dei rifiuti (abrogato a partire dal 1° gennaio 2016).
Il 13 marzo 2013 è stato emanato il DPR n. 59/2013 che, oltre a regolamentare e semplificare gli adempimenti in materia di autorizzazione unica ambientale per gli impianti non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale, obbliga gli stabilimenti, in cui sono presenti attività ad emissioni scarsamente rilevanti, all’adozione delle autorizzazioni di carattere generale riportate in Allegato I al DPR n. 59/2013 stesso.
IMMIGRAZIONI
LA LINGUA SALVATA
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
Intanto, occorre vedere quale sia stato il risultato di “quota 100”. Alla fine del 2020 le domande di pensionamento attuate sono state 267.000, perlopiù concentrate tra il 2018 e il 2019 perché nel 2020 il virus ha comportato il lavoro a domicilio o l’estensione della cassa integrazione: quindi, i possibili pensionandi hanno ritenuto opportuno rinviare l’uscita dal lavoro perché le condizioni in cui si stava svolgendo la loro attività non erano né gravose né dispendiose (per trasporti, vitto, abbigliamento, ecc.). Tuttavia quei pensionamenti anticipati hanno comportato un aumento dell’occupazione perché nel 2019, dopo le dimissioni per pensionamenti, vi è stato un aumento netto di 136.000 unità lavorative.
Ma, al di là della questione relativa alla “quota 100”, bisogna prendere in considerazione il discorso generale sulla previdenza. Com’è noto, frequentemente viene affermato da esponenti politici ed economici italiani e stranieri che la situazione previdenziale è in crisi e che quindi bisogna intervenire drasticamente per impedire una crisi generalizzata del sistema: e gli interventi proposti sono sia l’allungamento dell’età per andare in pensione sia tagli agli importi delle rendite, da attuare con diverse modalità (coefficienti di calcolo, mancati adeguamenti al costo della vita, imposte di “solidarietà” per le pensioni più elevate).
Nel mese di febbraio, il Centro Studi Iniziative Previdenziali ha presentato il suo Ottavo Rapporto sulla spesa pensionistica elaborato sulla base dei dati forniti dall’INPS, che ormai è divenuto l’unico istituto pubblico che si occupa di previdenza e assistenza. Da quel rapporto, traiamo alcuni dati significativi:
- il saldo netto della gestione previdenziale è in passivo per circa 21 miliardi di euro ma questa cifra deriva dalla somma algebrica tra l’avanzo della gestione dei dipendenti da imprese privati e da lavoratori “parasubordinati” per circa 28 miliardi e il passivo dei fondi dei pubblici dipendenti per 39 miliardi, oltre ai deficit di altre gestioni minori (coltivatori diretti, artigiani) e degli interventi assistenziali. Risulta quindi che la vasta platea dei lavoratori privati, quelli sempre oggetto degli interventi legislativi penalizzanti, ha il bilancio in attivo tra contributi versati (che non ha fatto negli anni scorsi lo Stato con i propri dipendenti) e pensioni erogate;
- questo dato è confermato dall’indice matematico, fondamentale per un sistema previdenziale. del rapporto tra lavoratori dipendenti contribuenti e pensionati pari all’1,45%;
- la spesa pensionistica vera e propria è stata di 210 miliardi che scende però a 157 perché lo Stato preleva 54 miliardi d’IRPEF sulle pensioni, ed essa è totalmente coperta dai contributi. Quella assistenziale, invece, sale a 115 miliardi: ricordiamo che il 40% delle pensioni erogate, ossia 7 milioni su 16, è totalmente o parzialmente a carico dello Stato perché i contributi versati durante la vita attiva erano insufficienti;
- l’incidenza della spesa pensionistica vera e propria sul prodotto interno lordo, dato che interessa gli analisti dei bilanci della Commissione Europea, è del 12,88%, percentuale che è in linea con la media europea.
Questi dati confermano che l’allarmismo periodicamente espresso sulle pensioni e sul loro equilibrio tecnico/economico sono infondate e pretestuose, fatte apposta per convalidare l’applicazione di rigide normative penalizzanti. Certamente l’anno 2020 ha indebolito questa situazione perché le chiusure imposte dal virus hanno comportato cessazioni di attività, diminuzione dell’occupazione, contribuzioni figurative anziché reali a causa della cassa integrazione e di altri provvedimenti di sgravio. Però i dati globali sono quelli, che non dimostrano una crisi in atto e – anzi – una sostanziale stabilità del sistema.
Vedremo ora cosa vorrà fare il nuovo governo Draghi in materia e speriamo che sia le Parti Sociali che alcuni ministri sappiano far emergere i dati veri del sistema senza penalizzare ulteriormente i lavoratori anziani i quali vorrebbero – dopo decenni di lavori spesso gravosi e sottovalutati economicamente e moralmente – avere un meritato riposo, peraltro pagato con i propri contributi.
FONTE: http://www.ilpensieroforte.it/economia/4535-le-pensioni-un-altro-nodo
PANORAMA INTERNAZIONALE
Gran Bretagna: Offrire un terreno fertile al totalitarismo
- Questa convinzione di essere sempre nel giusto è arrivata a contraddistinguere un gruppo di popolazione in cui la fascia più giovane, che conduce una vita relativamente confortevole, non ha idea di cosa siano gli orrori di una guerra, o addirittura di quelle che siano le vere difficoltà.
- Questa mancanza di rispetto, o di comprensione, della storia, insieme a una visibile necessità di inventare, importare o ridestare i risentimenti del passato, porta poi questi manifestanti a gridare vendetta per un rancore nei confronti di persone che non hanno fatto nulla per suscitarlo.
- Solo gli altri sono invitati a dare prova di tolleranza. (…) La libertà di un uomo, a quanto pare, è diventata motivo di risentimento per un altro uomo.
- Il rifiuto del patrimonio storico britannico da parte dei manifestanti, un tentativo di “cancellare” la storia, sembra una minaccia per la nazione. Non abbiamo nulla di cui essere orgogliosi. I nostri successi presumibilmente sono stati poco più che il bottino di un sistema patriarcale malvagio e bigotto. I manifestanti che giurano fedeltà agli artefici marxisti di quella narrazione, non solo offendono la memora di coloro che hanno combattuto e sono morti per le libertà che ora diamo per scontate, ma offrono altresì un terreno fertile al totalitarismo.
Quando la statua di Winston Churchill che si trova nella Piazza del Parlamento londinese è stata vandalizzata, la polizia, chiaramente tenuta in ostaggio dalla correttezza politica, è rimasta a guardare mentre il suo ruolo veniva pubblicamente compromesso da un aperto disprezzo della legge. (Foto di Isabel Infantes/AFP via Getty Images) |
Una volta gli inglesi erano noti per il loro stoicismo, per la loro capacità di affrontare le avversità, contro ogni probabilità. Il cosiddetto “blitz spirit” (l’atteggiamento di stoica determinazione e tenacia, N.d.T.) di ottant’anni fa, che ha visto la nazione “unire gli sforzi e andare avanti” malgrado i bombardamenti nazisti delle nostre città, ha contraddistinto una generazione che aveva conosciuto due guerre mondiali, senza chinare il capo.
Durante la pandemia di Covid-19, tuttavia, questo “blitz spirit” è stato visibilmente assente. Senza dubbio, ben poca è stata la determinazione a unire gli sforzi, al contrario, politici, attivisti e una popolazione sempre più frammentata non hanno fatto altro che litigare, screditarsi e insultarsi a vicenda.
Com’era prevedibile, molti tra i media di opposizione hanno rapidamente trasformato il Covid-19 in un conflitto politico. L’affermazione secondo la quale chiunque sia contrario all’uso delle mascherine, ai vaccini o ai test è di estrema destra, mentre coloro che osservano le norme in materia di sicurezza sono di sinistra, è tanto semplicistica quanto bislacca. Una pandemia letale avrebbe dovuto fungere da potente strumento di unità nazionale, ponendo fine ai litigi che hanno contraddistinto la politica britannica (e americana) in questi ultimi anni. Piuttosto, la politica identitaria ha creato fermento, rendendo più turbolento che mai un periodo già burrascoso.
Il malcontento ha spinto qualcuno a un livello di cattiveria tale da esprimere pubblicamente la speranza, ad esempio, che il premier britannico Boris Johnson non guarisse dal coronavirus. Nessuna unione nazionale in questo caso. Nessuno “blitz spirit”. Nessuna compassione. Solo rancori, rivalità e divisioni sempre più profonde.
Il “terreno” fertile, seppur impalpabile, del cyberspazio è diventato la fucina perfetta dei radicali di ogni risma, per diffondere le loro dottrine di divisione tra i giovani millenial politicamente maturi durante il lockdown. Mettere tutti contro tutti – Sinistra contro Destra, giovani contro anziani, neri contro bianchi, donne contro uomini, trans (apparentemente) contro tutti – sembra essere il loro obiettivo. Tutto ciò sembra creare un profondo risentimento tra le comunità.
Quasi ogni giorno i media riportano notizie di genitori “attaccati” dai loro figli neopoliticizzati per aver espresso sui social media opinioni “sbagliate” e “politicamente scorrette” o di persone che hanno perso il lavoro per qualcosa che potrebbero o meno aver detto anni fa. Chiunque osi mettere l’accento sull’aggettivo “Grande” di “Gran Bretagna” viene definito “razzista”. Per chi è così ingenuo da credere alla biologia di base – ossia che l’anatomia delle donne e degli uomini è differente – deve aspettarsi di essere spedito in un gulag. E chi osa dire l’impensabile, vale a dire che “tutte le vite contano”, deve prepararsi a lasciare la città.
Numerosi sobillatori – noncuranti della civiltà e della tolleranza – continuano a perpetuare l’idea, sviluppata da precoci bambini di due anni, che se gridano abbastanza a lungo i loro desideri finiranno per essere esauditi. Questa convinzione di essere sempre nel giusto è arrivata a contraddistinguere un gruppo di popolazione in cui la fascia più giovane, che conduce una vita relativamente confortevole, non ha idea di cosa siano gli orrori di una guerra, o addirittura di quelle che siano le vere difficoltà. Questa mancanza di rispetto, o di comprensione, della storia, insieme a una visibile necessità di inventare, importare o ridestare i risentimenti del passato, porta poi questi manifestanti a gridare vendetta per un rancore nei confronti di persone che non hanno fatto nulla per suscitarlo. Solo gli altri sono invitati a dare prova di tolleranza. Per molti “progressisti” non esiste una strada a doppio senso. Gli agitatori ora sembrano concentrare le loro energie e focalizzarsi sulla causa degli animali domestici, che secondo loro tutti dovrebbero abbracciare. Tra le altre cause perorate spiccano quella degli uomini che hanno cambiato sesso che dovrebbero competere negli sport femminili; c’è poi la causa a favore dell’obiettivo di tagliare i fondi alla polizia così che le comunità più svantaggiate saranno ancora più incapaci di proteggersi; e ancora, la causa dell’estensione della censura al mondo accademico e al settore tecnologico, o la necessità di erogare miliardi di fondi dei contribuenti ad altri Paesi, in cambio delle promesse di smettere di utilizzare combustibili fossili in una data remota e senza alcun controllo. Ah, e comunque, non c’è nulla da discutere. Occorre fare solo quello che viene detto.
I perturbatori Remainer che hanno trascinato la loro opposizione al Brexit il più a lungo possibile, e che hanno visto congedarsi due premier in questo processo, hanno assaporato il loro potere. È stato solo dopo la schiacciante vittoria dei Tories nel dicembre 2019 che hanno finito per abbandonare il loro sogno di ribaltare il Brexit, ma non prima di aver additato come xenofobi bigotti tutti i sostenitori dell’uscita dall’Unione Europea.
Quell’insulto è un particolare schiaffo alla popolazione di questa nazione paziente. Per decenni i britannici hanno fatto del loro meglio per muoversi al passo con i tempi inquietanti e “progressisti” in cui viviamo. L’accettazione di una serie di cambiamenti sociali spesso controversi, come le dilaganti rivendicazioni avanzate da varie lobby gender brandite come “diritti umani”, sembra sfuggire a questi progressisti, così determinati a promuovere la loro agenda identitaria. Se questo è il modo in cui viene mostrato apprezzamento per l’accettazione discreta e rispettosa da parte della popolazione britannica dei cambiamenti spesso controversi che rappresentano un “punto di svolta” nella società, allora non c’è da meravigliarsi che gran parte di questi cittadini abbia stabilito di averne avuto abbastanza di questa nuova ortodossia.
Sebbene l’epidemia di coronavirus, con le sue limitazioni di movimento, abbia per un breve periodo tacitato l’attivismo woke, ben presto gli attivisti estremisti sono tornati ad agitarsi. Fino alla morte di George Floyd, un afroamericano a quanto pare ucciso da un poliziotto bianco, questi individui erano impegnati ad attaccare le personalità di destra per non aver preso abbastanza sul serio il Covid-19. All’improvviso, niente di tutto ciò aveva più importanza. Una frenesia di proteste orchestrate da Black Lives Matter (BLM) è esplosa in tutta la Gran Bretagna, nonostante la vicenda di Minneapolis non avesse assolutamente alcuna analogia con quanto accadeva nelle strade della Gran Bretagna e nonostante il movimento BLM fosse relativamente anonimo nel Regno Unito.
Sono stati numerosi i giornalisti che hanno fatto in modo che il messaggio fosse forte e chiaro: protestare contro una forma apparente di razzismo – anche se questo atto di razzismo è stato perpetrato in un altro continente – era più importante di qualsiasi pandemia.
Pertanto, dopo mesi in cui c’era stato detto che saremmo stati perseguiti se avessimo violato le regole anti-Covid, abbiamo dovuto vedere in televisione migliaia di manifestanti che, non solo infrangevano le regole di sicurezza, ma abbattevano monumenti storici, e tutto questo a causa di una rimostranza largamente importata.
Anche se le proteste sono diventate violente, non ci sono stati arresti. Il governo aveva però precisato che qualsiasi violazione delle regole imposte dal lockdown non sarebbe stata consentita dalla legge – senza riserve o eccezioni. Probabilmente, nessuno ne era molto contento, tuttavia le regole sono state osservate – per il bene comune.
Poi, all’improvviso, è scoppiato il caos nei paesi e nelle città di tutto il Regno Unito. Nei notiziari e sui giornali, tra la violenza dei disordini civili, non solo venivano violate le regole imposte dal lockdown, ma sotto la bandiera del Black Lives Matter, veniva tollerata una serie di diffusi comportamenti antisociali. Quando la statua di Winston Churchill, situata nella Piazza del Parlamento londinese è stata vandalizzata, la polizia, chiaramente tenuta in ostaggio dalla correttezza politica, è rimasta a guardare mentre il suo ruolo veniva pubblicamente compromesso da un aperto disprezzo della legge.
Il rifiuto del patrimonio storico britannico da parte dei manifestanti, un tentativo di “cancellare” la storia, sembra una minaccia per la nazione. Non abbiamo nulla di cui essere orgogliosi. I nostri successi presumibilmente sono stati poco più che il bottino di un sistema patriarcale malvagio e bigotto. I manifestanti che giurano fedeltà agli artefici marxisti di quella narrazione, non solo offendono la memora di coloro che hanno combattuto e sono morti per le libertà che ora diamo per scontate, ma offrono altresì un terreno fertile al totalitarismo.
Mentre i diritti delle minoranze di genere ed etniche sembrano essere scolpiti nella pietra in modo indelebile, da un momento all’altro lo Stato può privarci della libertà di visitare i nostri familiari, di frequentare pub o di recarci in biblioteca. Migliaia di manifestanti che marciano per le strade delle città nello stesso giorno? Nessun problema. Mentre la folla di gente che si riversa sulle spiagge in una giornata estiva rischia l’arresto. La libertà di un uomo, a quanto pare, è diventata motivo di risentimento per un altro uomo.
E allora cosa ci resterà dopo il Covid-19, mentre cercheremo di tornare alla nostra vita in un mondo che non è ancora post-woke? Regnerà un clima crescente di sfiducia e cautela. La gente ha sempre più paura di dire quel che pensa. Anche le forze dell’ordine sono colpite dalla paralisi del politicamente corretto (si veda qui, qui, qui e qui).
Mentre il Regno Unito era impegnato a promuovere il multiculturalismo e a rigettare scelte come il Cristianesimo, la famiglia nucleare e un patrimonio culturale assemblato con cura da persone che sono state spesso liquidate come bianche e morte, noi non ci siamo accorti delle divisioni sociali che sono sorte. Secondo i media, ad esempio, circa 19 mila dei nostri bambini sono stati molestati e stuprati dalle bande. La pandemia di coronavirus, anziché unirci, è servita a mettere in luce le divisioni che stanno trasformando il Regno Unito in qualcosa di regressivo, non evoluto e irriconoscibile. Purtroppo, il Regno Unito è tutt’altro che unito in questo momento.
FONTE: https://it.gatestoneinstitute.org/16779/gran-bretagna-totalitarismo
POLITICA
LOCKDOWN USATI A SCOPO POLITICO
LA RIVELAZIONE DEI DOCUMENTI DEL GOVERNO TEDESCO
VIDEO QUI: https://www.byoblu.com/2021/02/09/lockdown-usati-a-scopo-politico-la-rivelazione-dei-documenti-del-governo-tedesco/
Provate a immaginare per un attimo quanto siano cambiate le vostre abitudini a causa delle chiusure forzate in questi dodici mesi. La vita sociale, il lavoro, la scuola e il tempo libero. Tutto ridotto se non eliminato in nome dell’emergenza sanitaria.
Bene, ora provate per un attimo a immaginare che queste chiusure siano state disposte per mere ragioni politiche senza avere una vera base scientifica.
La rivelazione del Die Welt
In realtà non si tratta di un esercizio di immaginazione, ma è quanto emerge da una documentazione pubblicata sul Die Welt, uno dei più importanti quotidiani tedeschi. Si tratta nello specifico di una corrispondenza di più di 200 pagine tra la dirigenza del Ministero dell’Interno tedesco e i ricercatori dell’Istituto Robert Koch.
Quest’ampia corrispondenza mostrerebbe che, tra febbraio e marzo, il Ministero degli Interni con a capo Horst Seehofer avrebbe influenzato i ricercatori affinché fornissero dati allarmanti sulla pericolosità del virus. L’obiettivo? Secondo il Die Welt i ricercatori avrebbero dovuto elaborare modelli di calcolo statistici, senza basi reali, che potessero giustificare l’introduzione di pesanti misure restrittive da parte delle autorità tedesche.
E i ricercatori dell’Istituto Koch, l’equivalente del Comitato Tecnico Scientifico in Italia, si sarebbero affrettati ad eseguire gli ordini del Governo. È stato così calcolato un “worst-case-scenario”, secondo il quale più di un milione di persone in Germania sarebbero potute morire a causa del coronavirus se la vita sociale fosse continuata.
La cosa sorprendente è la certezza con cui un giornale autorevole come Die Welt riporta la notizia come dichiarato anche direttamente da una giornalista del quotidiano tedesco.
Le denunce di Fuellmich e Lukashenko
Si tratta di una rivelazione che tuttavia si colloca in perfetta linea con quanto denunciato qualche mese fa dall’avvocato tedesco Reiner Fuellmich e riportato anche su Byoblu. In quel video denuncia Fuellmich annunciava l’avvio di una class action mondiale contro i Governi che hanno applicato lockdown duri, anticipando proprio quanto riportato ora dal Die Welt: i lockdown sono uno strumento politico senza giustificazione sanitaria.
Il puzzle che lega Fuellmich alle rivelazioni del giornale tedesco dovrebbe essere composto poi da un altro tassello che arriva dalla Bielorussia. Era il giugno 2020 quando il Presidente bielorusso Lukashenko rivelava l’esistenza di pressioni internazionali affinché il Paese adottasse un lockdown all’italiana. Nello specifico Lukashenko avrebbe ricevuto in offerta dal Fondo Monetario Internazionale 940 milioni di dollari per introdurre rigide restrizioni. Offerta rispedita al mittente dal Presidente bielorusso.
A che scopo i lockdown?
Come in un normale processo oltre agli indizi serve un movente. Perché applicare lockdown senza una ragione sanitaria? La risposta potrebbe essere semplicemente già intorno a noi. Dodici mesi di chiusure hanno infatti cambiato in via definitiva le abitudini quotidiane, spostando la ricchezza verso pochi soggetti economici.
I lockdown hanno fatto la fortuna delle multinazionali del digitale e sono lo strumento ideale per attuare quel Grande Reset sponsorizzato al World Economic Forum. Ci sono gli indizi e c’è il movente: siamo stati vittime di un’emergenza utilizzata per favorire gli interessi economici di pochi?
FONTE: https://www.byoblu.com/2021/02/09/lockdown-usati-a-scopo-politico-la-rivelazione-dei-documenti-del-governo-tedesco/
Innenministerium spannte Wissenschaftler für Rechtfertigung von Corona-Maßnahmen ein
Das Bundesinnenministerium spannte in der ersten Welle der Corona-Pandemie im März 2020 Wissenschaftler mehrerer Forschungsinstitute und Hochschulen für politische Zwecke ein. Es beauftragte die Forscher des Robert-Koch-Instituts und anderer Einrichtungen mit der Erstellung eines Rechenmodells, auf dessen Basis die Behörde von Innenminister Horst Seehofer (CSU) harte Corona-Maßnahmen rechtfertigen wollte.
Das geht aus einem mehr als 200 Seiten starken internen Schriftverkehr zwischen der Führungsebene des Innenministeriums und den Forschern hervor, der WELT AM SONNTAG vorliegt. Eine Gruppe von Juristen hat den E-Mail-Verkehr in einer mehrmonatigen rechtlichen Auseinandersetzung mit dem Robert-Koch-Institut erstritten.
Im E-Mail-Wechsel bittet etwa der Staatssekretär im Innenministerium, Markus Kerber, die angeschriebenen Forscher, ein Modell zu erarbeiten, auf dessen Basis „Maßnahmen präventiver und repressiver Natur“ geplant werden könnten.
Die Wissenschaftler erarbeiteten dem Schriftverkehr zufolge in nur vier Tagen in enger Abstimmung mit dem Ministerium Inhalte für ein als geheim deklariertes Papier, das in den folgenden Tagen über verschiedene Medien verbreitet wurde.
Darin wurde ein „Worst-Case-Szenario“ berechnet, laut dem in Deutschland mehr als eine Million Menschen am Coronavirus sterben könnten, würde das gesellschaftliche Leben so weitergeführt wie vor der Pandemie.
Dieser Text ist aus WELT AM SONNTAG. Wir liefern sie Ihnen gerne regelmäßig nach Hause.
FONTE: https://linformazione.info/articoli/2021/03/08/meloni-con-il-dpcm-di-draghi-tutto-cambia-perche-nulla-cambi/
SCIENZE TECNOLOGIE
Avv. Giovanni Pasceri. Intelligenza Artificiale, Algoritmo e Machine Learning
Algoritmi Vs sistema intellettivo neurale. Francesca Lovatelli Caetani intervista il Prof Avv. Giovanni Pasceri, proboviro della FISM,
Francesca Lovatelli -Trendiest – Giovedì, 18 febbraio 2021
È un tema più che attuale quello dell’intelligenza artificiale, soprattutto a livello medico e scientifico. L’argomento e tutte le sue implicazioni sono esposti in maniera più che esaustiva nel nuovo volume “Intelligenza Artificiale, Algoritmo e Machine Learning”, scritto dal Prof. Avv. Giovanni Pasceri, proboviro della FISM, che offre, in modo sistematico, organico e multidisciplinare, una rigorosa ricostruzione scientifica del concetto di intelligenza artificiale. L’autore, in questo volume, ricco di case study, illustra il funzionamento della rete neurale, dell’algoritmo e delle tecniche di apprendimento, comparandolo con il sistema intellettivo neurale biologico caratterizzato dalla “proprietà emergente intellettiva” codificata nel genoma umano.
L’intelligenza artificiale
“L’intelligenza artificiale non potrà mai sostituirsi al medico che si confronta, sovente, con casi complessi ed imprevedibili, difficilmente “risolvibili” dal solo algoritmo con i suoi limiti matematici, logici e deduttivi” sottolinea Pasceri.
“Per la sua chiarezza espositiva, Intelligenza Artificiale, Algoritmo, Machine Learning rappresenta un ottimo e agevole strumento per l’approfondimento del tema per i medici legali e per i professionisti sanitari che vogliono approfondire l’argomento in maniera rigorosa ma, soprattutto, per i giovani medici che dovranno necessariamente confrontarsi con le nuove tecnologie e le problematiche afferenti i limiti dell’A.I. ed i rischi organizzativi conseguenti ad un non corretto utilizzo di tale tecnologia” aggiunge il Prof. Dott. Roberto Grassi, Professore Ordinario MED/36 Dipartimento di Medicina di Precisione Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, che ha curato l’introduzione del libro di Pasceri “Il volume offre un interessante spunto di riflessione sull’analisi economica dell’incremento del fattore produttivo “tecnologico” e sulle problematiche riguardanti la dequalificazione professionale con un linguaggio che, ancorché tecnico, rimane allo stesso tempo fluido.” (Prefazione del tomo a cura del Prof. Dott. Giuseppe Cricenti, consigliere della Corte di Cassazione N.d.R).
Ma cosa si intende per intelligenza artificiale e quali sono le principali applicazioni nell’ambito sanitario?
“Il contributo parte dall’analisi della nozione principe di intelligenza artificiale che aspira alla creazione di una intelligenza uguale se non superiore a quella umana e, come tale, dotata di autonomia ed indipendenza nelle decisioni, per definire i limiti matematici e logici deduttivi che l’agente intelligente patisce” – dice Pasceri – “questa identificazione comporta il riconoscimento che l’apparecchiatura dotata di intelligenza artificiale abbia le medesime facoltà e caratteristiche tipiche del professionista, come l’autonomia nelle decisioni, la discrezionalità sulla prestazione da eseguire e sugli strumenti tecnici da utilizzare, la personalità della prestazione, intesa come capacità di eseguire la prestazione sanitaria, in modo integrale o parziale, “personalmente” ovvero senza poter delegare altri sostituti.
Tale teoria si scontra con il “principio di esprimibilità” il quale dimostra che la logica intellettiva e la logica matematica non sono sovrapponibili e, spesso, alcune capacità tipiche dell’intelligenza umana, in grado di trovare soluzioni positive, anche agli imprevisti più remoti, sono frutto non solo della conoscenza tecnica, ma anche della cosiddetta “proprietà emergente” del cervello umano”.
L’intelligenza artificiale, quindi, non potrà mai sostituirsi interamente all’uomo?
“La scienza medica non è solo conoscenza biologica, ma analisi biografica del paziente che con il suo racconto permette al professionista di eseguire una diagnosi ed una prognosi corretta, soprattutto quando sussistono variabili biologiche e deterministiche che un algoritmo non può apprezzare. Sovente il concetto di intelligenza artificiale viene, poi, assimilato a sistemi di automazione “intelligente” o di mera innovazione tecnologica avanzata, sempre più sofisticata, che spinge l’uomo comune ad identificare, con una certa superficialità, le apparecchiature come intelligenti le quali perdono l’iniziale caratteristica attribuita con l’utilizzo quotidiano. Anzi, a dirla tutta, alcune applicazioni tecnologiche, anche non informatiche, mostrano un “ingegno” di gran lunga superiore a tante applicazioni definite intelligenti”.
In che modo l’innovazione a livello tecnologico sanitario aiuterà in modo determinante l’uomo?
“L’evoluzione tecnica scientifica aiuterà ad incrementare la capacità tecnologica, agevolando l’attività del medico, consentendogli un esame più attento delle problematiche diagnostiche e terapeutiche affrontate. L’agente intelligente, inoltre, consentirà al sanitario la ponderazione delle proprie scelte cliniche ma non potrà, certamente, sostituire il medico nella sua valutazione in quanto, quale soggetto pensante, è l’unica intelligenza in grado di affrontare le diverse specificità che presenta il paziente e le problematiche deterministiche insite nella professione sanitaria, difficilmente codificabili in un algoritmo.
L’analisi non riguarda solo la capacità di costruire una rete neurale complessa o un algoritmo robusto, ma la capacità in concreto dell’agente intelligente di “pensare” mediante lo sviluppo della capacità di apprendimento dell’apparecchiatura”.
Le Istituzioni Europee
Alcuni “case study” descritti da Pasceri nella sua opera dimostrano i limiti della capacità di “ragionamento” dell’apparecchiatura. Secondo l’autore, i solleciti delle Istituzioni Europee a definire una lex robotica rischiano, in un quadro così delicato e complesso, di favorire una normativa non aderente al sistema della responsabilità professionale in ambito sanitario, reso già precario da alcuni interventi normativi che non si armonizzano con il sistema universalistico tipico del nostro sistema sanitario.
Infine, la parte conclusiva del volume è dedicata ai rischi da dequalificazione professionale conseguente ad un eccesso di affidamento del professionista al responso dell’apparecchiatura. L’altro fenomeno affrontato, non meno importante, è il cosiddetto “black box” in cui il medico, in quanto intrappolato in un meccanismo che non riesce a governare, da protagonista del processo clinico, si trova ad interpretare il ruolo di spettatore.
FONTE: https://www.affaritaliani.it/blog/imprese-professioni/avv-giovanni-pasceri-intelligenza-artificiale-algoritmo-machine-learning-723850.html
Atteri – Articolo sul transumanesimo
Spesso notiamo parlare e spiegare cose sul transumanesimo come fosse cosa bella e pulita per la trasformazione dell’umano in macchina, ma dobbiamo chiederci se è veramente così? Per quanto ci consta sappiamo bene che non lo è affatto; infatti dietro a questa moda disumana si nasconde sempre l’oscura ombra delle élite globaliste genisti e per il depopolamento umano in ogni luogo, ora si stanno evidenziando anche le corporation che spingono questa trasmutazione disumana tra le altre la più impegnata anche nel governo italiota è la McKinsey che dopo aver preso il potere dentro 5Stelle e distrutto le sue fila ora si rivolgono alla società e schiavizzarla, sono sempre gli stessi quelli che una volta nel secolo scorso si chiamavano “futuristi” il transumanesimo non è altro il manifesto del futurismo dove si esclude l’esistenza di un Dio e al suo posto si esalta e si spinge la fusione tra la tecnologia e umano, di cui Bill Gates è il capo banda, l’esaltazione tecnologica viene usata per fare altro che non sia in armonia con la natura e l’essere umano; una visione distopica dell’umanità che serve a imbrigliare e limitare l’umano dentro una scatola vuota che è il software di un PC; il loro intento è allontanare l’uomo da Dio in armonia con il satanismo, questa è la loro più alta ambizione terrena. Possiamo ascoltare questo manifesto anche nelle parole della canzone manifesto futurista di Vasco Rossi, che riportiamo sotto solo per darvi l’idea di quanto sono diffusi in tutte le categorie sociali questi transumanisti senza Dio .
SaDefenza
Atteri (o senza le ali) – Articolo sul transumanesimo, Quella che segue è la mia – interpretazione – delle informazioni trovate in recenti ricerche sul transumanesimo. Incoraggio le persone a fare le proprie ricerche.
Piani transumanisti per lo sviluppo degli esseri umani
È libero di trasmettere te stesso con il tuo file mentale Beme Recording a un provider satellitare commerciale nello spazio profondo, alla velocità della luce, dove potresti essere ricostruito da E.Ts.
Fonte: Spacecast su Lifenaut.com
Ma aspetta, facciamo il backup.
Paralizzato? Possiamo aiutarti collegandoti agli elettrodi.
Vuoi essere un lettore mentale? Guarda il nostro gioco AI.
Hai bisogno di sicurezza in un sito pericoloso? Abbiamo un cane robot militare, Spot, per controllare i siti pericolosi.
Come costruire in sicurezza ponti pedonali. Abbiamo droni per costruire ponti pedonali.
Hai l’Alzheimer? Possiamo darti dei ricordi.
“… hanno i codici … hanno la capacità di formare nuovi ricordi a lungo termine … ci sono diverse parti del cervello che sono pronte per questo … procedure chirurgiche per raggiungerlo …”, afferma il dottor Theodore Berger, ingegnere biomedico e sviluppatore di neuro tecnologia delle protesi e un professore USC come pubblicato da 2045 Initiative .
“Abbiamo bisogno di un’evoluzione per un tempo molto lungo prima di trovare
soluzioni in particolare su come essere un essere umano migliore. E mi piacerebbe essere in grado di avere un avatar che mi permette di creare quei valori ottimali … “, dice Berger ha continuato .
Che cosa succede se “valori ottimali” di Berger sono come la persona qui che descrive come il “Dio Gene” può essere vaccinato al comportamento di arresto specifico?
Cosa succede se il tuo corpo diventa un robot controllato in cui non hai il controllo di te stesso; e, anima rimossa con destinazione finale in singolare, mente alveare, inferno cyborg.
“Pietre miliari del progetto Avatar. Avatar A 2015 – 2020 Una copia robotica di un corpo umano controllato a distanza tramite BCI… “, come citato qui http://2045.com/ .
Guarda anche
Interfaccia cervello-computer (BCI)
Elon Musk, fondatore di SpaceX
Satelliti Starlink costruiti da SpaceX
ATTACCO SMART DUST NANO BOT GUARDA COSA SUCCEDE
Dare un’occhiata
Il progetto “Avatar” mira all’immortalità umana entro il 2045
“I progressi nella polvere intelligente basata sulla nanotecnologia
CHEMTRAILS o Geoingegneria; Brevetti per l’irrorazione dell’atmosfera: ampio elenco di brevetti
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Suggerimenti su come disintossicarsi da quelle che vengono chiamate scie chimiche
Dawn of (riempire lo spazio vuoto)
L’alba di un nuovo giorno. Un nuovo giorno. Dove l’ho sentito prima? Jordan Maxwell-Order fuori dal caos
Da transessuale a transgender a transumano
“… Quattro avvocati, tutti transessuali che si identificano, sono stati i principali generatori di un progetto per decostruire il sesso all’interno della legge, su scala globale e per averlo sostituito con identità mediche che rappresentassero come si sentono riguardo ai loro corpi. Martine Rothblatt è andato molto più in là in questo processo decostruzione “, come dichiarato qui da Transsexual per Transgender a Transhuman Parte I .
“Una volta che abbiamo aperto la porta all’accettazione di vasti cambiamenti alla biologia umana, che minano la definizione stessa di ciò che significa essere umani come specie sessualmente dimorfica, abbiamo aperto un vaso di Pandora per fondere gli esseri umani con la tecnologia e l’intelligenza artificiale … C’è un queer line of development from transgender to transhuman “, ha dichiarato a Transgender – Technology – Capitalism .
Partito Transumanista degli Stati Uniti
Il Partito Transumanista degli Stati Uniti apparentemente sostiene i vaccini, in una richiesta al “Presidente Joseph R. Biden, Jr., HHS, FDA e Congresso” in un articolo di Dan Elton, “A Polite List of Requests to the FDA” che si trova qui US Transhumanist Party – Sito web ufficiale – US Transhumanist Party – METTERE LA SCIENZA, LA SALUTE E LA TECNOLOGIA ALL’AVANGUARDIA DELLA POLITICA AMERICANA .
“Oltre 300.000 americani sono già morti inutilmente e preventivamente a causa di COVID-19 …” come affermato su http://transhumanist-party.org/?s=covid-19 .
Immagino che i robot non muoiano, non vivano, quindi non muoiono.
Alcuni simboli che rappresentano i transumanisti di Free Transhumanist Symbols – US Transhumanist Party – Official Website sono i seguenti:
“La nostra missione è promuovere l’uso geoetico (etico mondiale) della nanotecnologia per l’estensione della vita umana. Conduciamo programmi educativi e supportiamo la ricerca e lo sviluppo scientifici nelle aree della criogenia, della biotecnologia e della coscienza informatica “, come affermato in Informazioni su Terasem Movement Foundation Inc.
Le persone possono iscriversi al progetto LifeNaut BioFile (apparentemente gratuitamente). LifeNaut dice di avere un programma di file bio per conservare vive le tue cellule. E,
“Dopo che sei stato dichiarato legalmente approvato biologicamente, la tecnologia futura potrebbe essere in grado di farti crescere un nuovo corpo tramite l’ectogenesi e il tuo file mentale potrebbe essere scaricato al suo interno, permettendoti di vivere indefinitamente”, come affermato su https: // terasemmovementfoundation.com/mission#6 .
Come citato da https://terasemmovementfoundation.com/mission#6 ,
” Beme Recordings : Descrizione: utilizzo della tecnologia disponibile per catturare” beme “.
Un beme è la più piccola unità di coscienza o unicità di una persona.
Le attuali registrazioni Beme vengono effettuate utilizzando la tecnologia audio e video ad alta definizione con un intervistatore qualificato.
In futuro la tecnologia Beme Interview sarà integrata in Lifenaut.com “.
Apparentemente è gratuito trasmettere il tuo mindfile Beme Recording a un fornitore di servizi satellitari commerciali nello spazio profondo alla velocità della luce dove potresti essere ricostruito da E.Ts.
Fonte: Spacecast su Lifenaut.com
Non mi iscriverò per diventare un avatar da caricare per il download utilizzando Crea un file di mente .
Cosa succede se
Questa richiesta è di caricare dati di noi stessi, di creare quanti più avatar umani possibile nel caso in cui esseri corrotti abbiano bisogno di fuggire dalla Terra? e trasferire il lavoro schiavo su una matrice su un pianeta diverso; o resuscitare tali sulla Terra? È solo una domanda.
Si dice che Bina48 sia “solo un’illustrazione del concetto che un giorno potremmo essere in grado di sostenere la tua mente su un computer”, come affermato a Interview with a Robot .
Si dice che Bina48 sia stata creata come “una storia d’amore tra Martine Rothblatt e la sua compagna, Bina, e il modo in cui hanno pensato a come poter continuare ad amarsi e utilizzare la tecnologia per portare avanti il loro amore. Bina48 è nata come un’idea all’interno del nostro esperimento di caricamento presso la Terasem Movement Foundation nel progetto LifeNaut. Abbiamo posto la domanda: “possiamo caricare abbastanza informazioni sulla mente di un corpo umano – i suoi ricordi, il suo atteggiamento, le sue convinzioni, i suoi valori – e trasferirle su un computer e animare quelle informazioni con l’intelligenza artificiale?” “ Come affermato a Intervista con un robot .
FONTE: https://www.sadefenza.org/2021/03/atteri-articolo-sul-transumanesimo/
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