RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
19 MARZO 2021
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
“Tanto vale non farsi illusioni, la gente non ha niente da dirsi, ognuno parla soltanto delle proprie pene personali, si capisce. Ciascuno per sé, la terra per tutti”
LOUIS-FERDINAND CELINE, Viaggio al termine della notte, Corbaccio,1992, pag. 279
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SOMMARIO
IL PRIMO ARTICOLO DELLE COSTITUZIONI
Vertice di Alaska. Pechino: “Gli Usa smettano di esportare la loro versione di democrazia”
L’anno del grande inganno
Sul carro del perdente
Il giornale unico del virus bullizza il dissidente del Cts
Coronavirus, quelle strane coincidenze nelle “Profezie” di Sylvia Browne
Serve il caffè in una tazzina di ceramica: multa stellare al barista – ma la paga Giorgia Meloni
Biden vuol portare il mondo al caos (e ci si lamentava di Trump)
SIPRI. USA si confermano il più grande venditore di armi al mondo
I giganti della rete dietro la repressione in India; e poi nel mondo
Viaggio al termine della notte di Céline
Allarme, Limonov!
L’Emergenza Covid must go on
Sapete che Intesa Sanpaolo ha restituito 77.000 euro ad una vittima di “SIM-swap”?
B.Mps: spunta misteriosa cordata americana
NUOVE LINEE GUIDA IN TEMA DI SALUTE E SICUREZZA DURANTE LA PANDEMIA DA COVID-19
Inps, col blocco dei licenziamenti cessazioni in calo del 20%
Bataille e la Teoria del valore-lavoro
La filosofia del potere
19 MARZO 2011 GUERRA ALLA LIBIA
20 OTTOBRE 2011 L’OMICIDIO GHEDDAFI
IN EVIDENZA
IL PRIMO ARTICOLO DELLE COSTITUZIONI (VIDEO)
Il nuovo format “Le Costituzioni” condotto da Manlio Lo Presti intende analizzare l’Articolo 1 di alcune delle Costituzioni del nostro pianeta.
Un confronto storico e identitario per definire la natura, la struttura e le regole fondamentali che definiscono l’ordinamento giuridico di uno Stato di diritto.
VIDEO QUI: https://youtu.be/QIUcxSi8aMM
FONTE: http://www.opinione.it/cultura/2021/03/17/manlio-lo-presti_costituzioni-articolo-1-confronto-storico-identitario-stato-di-diritto/
Vertice di Alaska. Pechino: “Gli Usa smettano di esportare la loro versione di democrazia”
Gli approcci di apertura tra le due potenze sono stati caratterizzati da critiche e ammonimenti, seguiti da reciproche accuse di violazione dei protocolli.
Il Segretario di Stato degli Stati Uniti, Antony Blinken, e il consigliere per la Sicurezza Nazionale, Jake Sullivan, hanno iniziato oggi ad Anchorage (Alaska, USA) un incontro di due giorni con il direttore dell’Ufficio della Commissione Centrale degli Affari Esteri della Cina Yang Jiechi e il ministro degli Esteri Wang Yi in quelli che sono stati i primi colloqui faccia a faccia di alto livello da quando il presidente Joe Biden è entrato in carica.
Tuttavia, i discorsi di apertura, durati più di un’ora anziché pochi minuti, sono stati caratterizzati da critiche e ammonimenti tra le due parti, che si sono anche accusate a vicenda di aver violato il protocollo.
“Concorrenza rigida” e “preoccupazioni profonde”
Allo stesso modo, il capo della diplomazia cinese ha chiesto a Washington di smettere di promuovere la propria versione di democrazia, in un momento in cui gli stessi Stati Uniti sono stati colpiti dal malcontento interno. “Crediamo che sia importante che gli Stati Uniti cambino la propria immagine e smettano di promuovere la propria democrazia nel resto del mondo”, ha sottolineato Yang, ricordando che “molte persone negli Stati Uniti hanno in realtà poca fiducia nella democrazia”.
“La Cina non accetterà accuse ingiustificate da parte americana”, ha avvertito Yang, sottolineando che i recenti eventi hanno fatto precipitare le relazioni bilaterali “in un periodo di difficoltà senza precedenti” che “ha danneggiato gli interessi” dei due popoli. “Non c’è modo di strangolare la Cina”, ha ricordato il diplomatico, sottolineando la necessità di abbandonare la “mentalità da guerra fredda”.
Accuse di “violazione del protocollo”
Il Dipartimento di Stato Usa ha criticato la delegazione cinese per aver violato il limite di tempo concordato di due minuti per le osservazioni di apertura, e ha suggerito che i suoi portavoce sembrano essere arrivati “con l’intenzione di essere roboanti, concentrati sulla teatralità pubblica e sul dramma, piuttosto che sulla sostanza”.
Da parte sua, la delegazione cinese ha assicurato di essere arrivata in Alaska “con la testa al dialogo strategico”, mentre la parte americana “ha sforato per prima il suo tempo e ha fatto accuse irragionevoli , che non erano in linea con il protocollo diplomatico, quindi la Cina ha dato una risposta severa.”
FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-vertice_di_alaska_pechino_gli_usa_smettano_di_esportare_la_loro_versione_di_democrazia/82_40297/
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
di Francesco Benozzo & Fabio Bonvicini
Canzone composta nello stile dei cantastorie popolari, sulla melodia del canto Decapitazione di Sante Caserio (1890), a sua volta plasmata sull’aria di Quanti pianti e sospiri (o Aria della povera Giulia), di metà Ottocento.
Francesco Benozzo: voce e arpa bardica
Fabio Bonvicini: voce e organetto
Registrato in presa diretta a Pazzano di Serramazzoni (Appennino modenese) il 16 marzo 2021
Francesco Benozzo, professore di filologia all’Università di Bologna e candidato al premio Nobel per la Letteratura dal 2015, ha pubblicato in questi mesi, anche su ComeDonChisciotte, diversi interventi critici e polemici sulla situazione emergenziale in atto, confluiti nei suoi recenti libri Poesia, scienza e dissidenza (Bologna, 2020) e Memorie di un filologo complottista (Lucca, 2021). Fabio Bonvicini unisce all’attività di docente quella di musicista, polistrumentitsta e ricercatore delle tradizioni musicali emiliane, ambito nel quale ha pubblicato diversi album in collaborazione con diversi gruppi.
Benozzo e Bonvicini hanno realizzato insieme i CD Libertà l’è morta, Ponte del Diavolo e Un requiem laico. Hanno vinto per due volte il prestigioso Premio Nazionale Giovanna Daffini per la musica tradizionale e si sono esibiti in numerosi festival internazionali, in Italia e all’estero (Danimarca, Isole Faroe, Canada).
VIDEO QUI: https://youtu.be/Av5TzBG3IWo
Testo del brano
Era il 2020, l’anno del grande inganno:
hanno rinchiuso tutti escogitando un danno
con il terrore di poter morir
la gente tace, sa solo ubbidir.
Governi e opposizioni, dottori e giornalisti
complici come adesso non si erano mai visti
la gente grida “Dagli agli untor!”
odio e arroganza si insinuan nei cuor.
Passano i giorni e i mesi, si sparge la menzogna
truffati e vilipesi i giovani alla gogna
preti e cantanti, e i professor
tutti asserviti, senza senza più onor.
E i nuovi partigiani non mostrano più i denti
pavidi e alla catena son voce dei potenti
chi usa il buon senso non può più parlar
viene deriso, gliela faranno pagar.
In tutto il mondo, intanto, per tutti i burattini
noti burattinai producono i vaccini
Che meraviglia! Oh! Quale stupor!
Tutti li vogliono, pagandoli a peso d’or!
Dopo tredici mesi non è cambiato niente
stessi guinzagli indegni, stessa assopita gente,
nuove varianti spaventano ancor
nuove menzogne dei vili governator.
Coraggio, cittadini, oppressi dai bugiardi
spezzate le catene, o sarà troppo tardi!
Aprite gli occhi, non più viltà
non siate schiavi, evviva la libertà!
Pubblicato da Tommesh per Comedonchisciotte.org
FONTE: https://comedonchisciotte.org/lanno-del-grande-inganno/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Sul carro del perdente
Durante un’esercitazione di tiro, un blindato dell’Esercito, sbaglia mira e centra un obiettivo non previsto. L’incidente apre una riflessione più generale sul ruolo e sulle procedure di addestramento dei reparti delle Forze Armate
Le cronache di ieri sono state invase da un insolito incidente: un blindato Centauro di un reggimento di Cavalleria, in esercitazione notturna, ha centrato con alcune cannonate un obiettivo non previsto.
Ovviamente, si è scatenata su Internet la solita ridda di pareri tecnici sull’accaduto, espressi da chi non distingue un sidecar da un carro armato. Insomma, tutto il circo equestre di un intero popolo di internauti celermente trasformatisi da virologi in Panzerkommandant.
Esaurito il malsano chiacchiericcio generale, bisogna tuttavia cercare di analizzare le cose seriamente, e capire che cosa effettivamente possa essere successo. Innanzitutto, capire se il fatto che il Centauro abbia sparato in una direzione approssimativamente a 90° rispetto all’obiettivo sia il risultato di un inconveniente tecnico, di imperizia umana, o di entrambi.
Tutti questi aspetti saranno chiariti dalla commissione d’inchiesta militare che prenderà il caso nelle sue mani, ed analizzerà l’incidente. La prima cosa da fare in questi casi è comprendere cosa sia effettivamente andato storto ed agire di conseguenza. Esattamente come si fa per gli incidenti aerei, infatti, anche in questo caso è fondamentale individuare le cause dell’accaduto, ed inserire nei protocolli operativi procedure di controllo e di addestramento volte a minimizzare il rischio di un evento simile in futuro.
In attesa delle conclusioni degli esperti, vale senza dubbio la pena dire che il Direttore dell’Esercitazione e il capocarro stanno certamente passando dei brutti momenti. In primo luogo, perché sono responsabili, da un punto di vista rispettivamente direttivo e operativo, di asset e uomini impiegati in un’attività ad alto rischio. Solo a titolo di esempio, è una fortuna che nessuno si sia fatto del male nell’area centrata dai colpi; e che soprattutto a fianco dl Centauro impiegato nel tiro non ci fosse un altro blindato, cosa che avrebbe avuto conseguenze estreme. In secondo luogo, perché comunque vada questa inchiesta, anche in caso di proscioglimento, porteranno nella propria coscienza professionale i segni dell’accaduto per molto tempo.
A noi invece compete fare una riflessione più generale sul ruolo e sulle procedure di addestramento dei reparti delle Forze Armate. Abbiamo in passato già evidenziato come in particolare l’Esercito sia spesso impiegato in compiti che non gli competono, persino impropri ed umilianti. L’altra faccia della medaglia è che se i reparti dell’Esercito vengono distolti dai propri compiti addestrativi per fare, ad esempio, da supporto in operazioni di polizia come Strade Sicure, non hanno tempo di fare pratica sul loro impiego principale.
Gli errori accadono in primo luogo quando l’addestramento è subottimale. E l’addestramento è subottimale quando alle esercitazioni – che costano care – vengono lesinati i fondi necessari. E se addestrarsi è una responsabilità dei militari, mettere a disposizione i mezzi del caso è una responsabilità politica.
In conclusione, forse alla revisione delle pratiche di addestramento, volta ad evitare incidenti futuri, deve fare da contraltare la revisione del ruolo dell’Esercito, del suo impiego e dei mezzi che gli si mettono a disposizione. In caso contrario, difficilmente gli si potrà chiedere quella competenza necessaria in situazioni di proiezione all’estero, che è necessaria per svolgere bene il proprio ruolo di rappresentanti del Paese nel contesto geopolitico internazionale.
BELPAESE DA SALVARE
Il giornale unico del virus bullizza il dissidente del Cts
RASSEGNA STAMPA DEL 19 MARZO 2021
VIDEO QUI: https://www.nicolaporro.it/zuppa-di-porro/il-giornale-unico-del-virus-bullizza-il-dissidente-del-cts/
00:00 Buongiorno ai commensali.
01:15 Il caso Gerli, tecnico dimissionario dal Cts dopo il fango che gli hanno gettato addosso. A tal proposito, leggetevi come non si fa un’intervista sulla Stampa di oggi. Titolo: L’uomo che le ha sbagliate tutte. E il giornalista (ma sarebbe meglio definirlo il politico) chiede a Gerli cosa ne pensa degli immigrati. Ma che domanda è? E Il Corriere della Sera, che tre giorni fa esaltava Gerli collaboratore di Remuzzi, oggi lo liquida come “controverso”.
09:30 Nel frattempo, Ursula sostiene di aver salvato la Ue (!) e l’Ema aggiorna il bugiardino e dice che il vaccino AZ non fa male.
11:55 Ieri il governo ha commemorato i morti della pandemia. Per o con il Covid?
12:25 Belpietro si accorge che Draghi, su licenziamenti e sfratti, è “de sinistra”. Per Il Sole, i ristori (oggi sostegni) varranno l’1,7% del fatturato.
15:15 Toc toc: assolti i consiglieri regionali sulle spese ritenute “pazze”. Non dimentichiamo che Rixi si dimise…
16:16 “Ti auguro buona salute”: Putin fa il gufo e risponde a Sleepy Biden.
17:20 Stasera, alle 18, diretta con Humanitas. Prevenzione e alimentazione sono fondamentali: non perdetevela su sito e social.
FONTE: https://www.nicolaporro.it/zuppa-di-porro/il-giornale-unico-del-virus-bullizza-il-dissidente-del-cts/
Coronavirus, quelle strane coincidenze nelle “Profezie” di Sylvia Browne
La scrittrice e sensitiva americana, scomparsa nel 2013, in un libro, datato 2006, descrive lo scenario di una terribile malattia che si sarebbe diffusa in tutto il mondo
Credere o non credere. Non stiamo parlando della Bibbia, del Vangelo o di altri Testi sacri che pure nei secoli hanno in qualche modo anticipato alcune delle sciagure piovute sul mondo, ma di un libro. Il titolo lascia spazio ad innumerevoli interpretazioni: “Profezie” (sottotitolo Cosa ci riserva il futuro). Credere, non credere? Fantasie, coincidenze? L’interpretazione è libera, ma quel che più colpisce del testo dell’americana Sylvia Browne, sensitiva e autrice di numerosi best seller scomparsa nel 2013, è soprattutto una data: 2020. In “Profezie” la Browne, nel rileggere, insieme a Linsday Harrison, le predizioni fatte dai più celebri veggenti, dai profeti biblici a Nostradamus, sostiene che “intorno all’anno 2020 una terribile malattia, simile ad una pneumopatia, si diffonderà in tutto il mondo e colpirà i polmoni e i bronchi. Gireremo in guanti e mascherine. Ma la cosa assurda sarà la velocità con cui si manifesterà e la rapidità con cui svanirà all’improvviso cosi come era arrivata. Tornerà di nuovo dieci anni dopo, per poi scomparire definitivamente”.
E qui entra in ballo un’altra data: il 2006, anno di pubblicazione del testo. Nell’anno dell’epidemia mondiale di coronavirus, le “Profezie” della Browne, il cui testo originario era End of Days, vengono rispolverate e circolano sul web con inevitabili accostamenti a quanto appunto sta accadendo. Tutto da prendere rigorosamente con le pinze anche perchè la sensitiva aveva già parlato di un’altra epidemia, che si sarebbe verificata nel 2010 e che per fortuna non è mai accaduta. Altra riflessione suggerita dai più scettici, spinge poi a sottolineare che la Browne scrive il libro poco dopo la diffusione della Sars, quindi forse anche un po’ suggestionata da un’epidemia già avvenuta.
FONTE: https_www.lasicilia.it/?url=https%3A%2F%2Fwww.lasicilia.it%2Fnews%2Fitalia%2F330264%2Fcoronavirus-quelle-strane-coincidenze-nelle-profezie-di-sylvia-browne.amp
FONTE: https://linformazione.info/articoli/2021/03/19/serve-il-caffe-in-una-tazzina-di-ceramica-multa-stellare-al-barista-ma-la-paga-giorgia-meloni/
CONFLITTI GEOPOLITICI
Biden vuol portare il mondo al caos (e ci si lamentava di Trump)
SIPRI. USA si confermano il più grande venditore di armi al mondo
16 03 2021
Più di un terzo delle armi vendute nel mondo negli ultimi cinque anni sono Made In SUA, mentre l’Arabia Saudita resta il più grande importatore di armi.
Lo ha riferito lo Stockholm International Peace Research Institute, SIPRI, in un rapporto pubblicato questo lunedì.
Secondo lo studio, gli Stati Uniti hanno rappresentato il 37% delle vendite mondiali di armi tra il 2016 e il 2020; Un periodo in cui quasi la metà delle sue vendite (47%) era destinata alla regione dell’Asia occidentale, con l’Arabia Saudita principale importatore di armi statunitensi, costituendo il 24% delle esportazioni delle armi di Washington.
L’organizzazione, con sede a Stoccolma, ha evidenziato che le esportazioni statunitensi sono aumentate del 15% rispetto al quinquennio precedente, ovvero dal 2011 al 2015.
Nel frattempo, l’Arabia Saudita ha aumentato i suoi acquisti di armi tra il 2016 e il 2020 del 61% rispetto al quinquennio precedente, diventando il principale importatore di armi al mondo, con un aumento dell’11% nelle sue acquisizioni.
Tutto questo mentre la Russia, il secondo esportatore mondiale, ha rappresentato un quinto delle consegne globali di armi e ha anche visto le sue esportazioni diminuire del 22%, principalmente a causa della diminuzione delle sue esportazioni verso l’India.
A sua volta, la Francia risulta essere il terzo esportatore, con l’8%, e ha registrato diversi importanti accordi con India, Egitto e Qatar.
Germania e Cina hanno completato l’elenco dei primi cinque esportatori. Pakistan, Bangladesh e Algeria sono stati i maggiori destinatari di armi cinesi.
In questo scenario, aggiunge il SIPRI, il commercio internazionale di armi si è stabilizzato negli ultimi cinque anni, per la prima volta dall’inizio del secolo, soprattutto per il fatto che molti paesi importatori hanno iniziato a produrle.
Infine, per la prima volta dal 2001 al 2005, il volume delle vendite di armi tra i paesi non è aumentato rispetto quinquennio precedente, ma è rimasto vicino ai record raggiunti dalla fine della Guerra Fredda.
FONTE:
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-sipri_usa_si_confermano_il_pi_grande_venditore_di_armi_al_mondo/27922_40233/
I giganti della rete dietro la repressione in India; e poi nel mondo
di Giacomo Marchetti
In calce un articolo di Naomi Klein da Intercept
Rispetto a ciò che sta accadendo in India, ciò che colpisce è il miope eurocentrismo di un gran parte del movimento ecologista – e non solo – occidentale, nonostante la repressione contro il vasto movimento che sostiene la lotta dei contadini indiani abbia coinvolto anche Disha Ravi – una ventenne fondatrice di Friday For Future – e la condivisione di massa di un “toolkit” (versione digitale di un manuale di base per l’attivismo politico) elaborato da Greta Thumberg.
Eppure il caso giudiziario della ventenne ecologista e dell’altra giovane sindacalista Nodeep Kaur sono solo la punta dell’iceberg della profonda torsione autoritaria in corso in India, nel tentativo di stroncare il più grande movimento sociale mondiale del XXI secolo.
Forniamo due cifre sulle due più recenti iniziative nazionali basandoci su ciò che riporta la Monthly Review Online. Nella giornata di blocco stradale del 6 febbraio (Chakka Jaam) sono stati mobilitati milioni di contadini in più di 3.000 centri, in più di 600 distretti dell’Unione. Mentre alla giornata di blocco delle ferrovie (rail roko) del 18 febbraio sono stati interessati 600 centri, nella maggior parte degli Stati indiani. Come riporta la storica rivista statunitense: “è stato per l’India il blocco ferroviario più esteso della storia recente”.
Le questioni che vengono poste ci riguardano da vicino visto che, tra l’altro, l’India è un laboratorio per ciò che saranno i socials nord-americani nel futuro e di come l’informazione sia diventata uno dei principali campi di battaglia nella guerra asimmetrica che contrappone le élites mondiali ed il resto del pianeta.
Nel mentre le élites europee dettano lo sviluppo economico dell’intera Unione Europea con gli investimenti green, in un impossibile tenativo di uscire dalla contraddizione ecologica per via capitalista, parte dell’ambientalismo continentale sembra tranquillamente cooptato dentro questa logica e chiamato in parte a co-gestire la futura governance dell’Unione.
L’ordine sembra perciò non disturbare il manovratore con la scocciatura di movimenti epocali – come quello indiano – che mettono radicalmente in discussione i pilastri della dittatura del capitale monopolistico, nonché i suoi assi di sviluppo post-pandemici in settori chiave, e non solo in agricoltura.
Con questa complice “rimozione” risulta molto più facile far passare il binomio “digitalizzazione più transizione ecologica”, guidata dalle stesse multinazionali, come il migliore dei mondi possibili per le umane sorti e progressive, e non la distopia concreta del Capitale.
Un caso paradigmatico, nel nostro ridotto nazionale, è il fulmineo innamoramento dei “pentastellati” per Mario Draghi, ora tesi ad occupare uno spazio politico ecologista ma “compatibilista”, e non più di rottura, che stava già espandendosi nell’Europa pre-pandemica.
Peccato che proprio l’Unione Europea abbia scelto come consulenti per impostare le proprie politiche di investimento sostenibile niente meno che il più grande gestore di fondi di investimento del mondo: BlackRock.
Torniamo però all’India, anche perché parlare del Paese asiatico ci permette di comprendere cosa ci aspetta qui.
Quello a cui stiamo assistendo è un movimento che mette in evidenza le connessioni profonde tra il regime di proprietà della terra e la questione dell’emergenza climatica, nonché la questione di genere.
Le contadine e le attiviste, infatti, con il loro protagonismo, stanno mutando profondamente la cultura patriarcale indiana specie in quegli stati che sono il bastione dell’attuale movimento contadino: Punjab, Haryana e Uttar Pradesh. Un dato fornito da Oxfam India fotografa l’attuale situazione: le donne lavorano prevalentemente in agricoltura, fianco a fianco agli uomini (oltre a sobbarcarsi il lavoro domestici e di riproduzione sociale). Per la precisione sono l’85% della popolazione femminile totale, ma solo il 13% possiede la terra che coltiva.
Come ha dichiarato Jasbir Kaur Nat, del Punjab Kisan Union, in una intervista al Time: “le donne stanno cambiando le donne qui”, riferendosi ai vari presidi alle porte di Nuova Delhi che contadini e contadine hanno stabilito dal 26 novembre scorso.
Una vera e propria rivoluzione culturale, quindi, ma che non sembra interessare molto il femminismo mainstream.
L’articolo che abbiamo qui tradotto mette in evidenza le connessioni tra l’attuale governo indiano in mano ai nazionalisti indù – filiazione politica di un movimento che affonda le sue radici storiche direttamente nelle formazioni affini al nazi-fascismo tra le due Guerre Mondiali – con gli apparati polizischi che si comportano come “braccio armato” dell’esecutivo ed i giganti statunitensi della rete informatica.
Questi ultimi hanno costruito negli anni un evidente “falso ideologico” sulla libertà d’informazione digitale, funzionale però all’uso impulsivo-compulsivo delle applicazioni di loro proprietà che hanno antropologicamente cambiato il nostro modo di comunicare.
O, per dirla con le parole di Naomi Klein:
“Benché l’accusa del complotto internazionale sembri cadere a pezzi, l’arresto di Ravi ha messo in luce un diverso tipo di collusione, questa tra il governo nazionalista indù – sempre più oppressivo e antidemocratico del primo ministro Narendra Modi – e le aziende della Silicon Valley, i cui strumenti e piattaforme sono diventati il mezzo principale delle forze governative per incitare all’odio contro minoranze e critici vulnerabili – e per la polizia per intrappolare attivisti pacifici come Ravi in una rete digitale ad alta tecnologia”.
Una campagna d’odio con precise ricadue pratiche, che fa sembrare le vicende comunicative della bestia salviniana una smargiassata con mezzi artigianali.
La digitalizziazione, insieme alla riforma agraria (ovviamente pubblicizzata in versione green) contro cui stanno lottando gli agricoltori, e lo stravolgimento della legislazione sul lavoro – oltre alla privatizzazione di settori storicamente in mano statale (come quello bancario) – fanno parte dei progetti di “riforma” che il governo del BJP di Modi vuole portare avanti per far fare un “salto di qualità” al suo paese nella competizione internazionale.
Tutto questo favorendo ulteriormente le poco più di 100 famiglie di multimiliardari locali, che controllano l’economia indiana ed il capitale multinazionale, in particolare quello anglo-americano, e allo stesso tempo sbarrando la strada ai cinesi.
Gli ambiziosi progetti di digitalizzazione ed i fortissimi interessi delle multinazionali informatiche, in un mercato in cui altri attori (cinesi ed europei) rischiano in prospettiva di soppiantare l’egemonia statunitense – mentre sta partendo una riconfigurazione complessiva della rete e delle tecnologie hardware (G5 e cavi sottomarini, tra gli altri), l’“Internet delle cose”, dall’intelligenza artificiale alla robotica – si saldano nel legittimare la più gigantesca campagna di odio promossa dall’esecutivo indiano. E allo stesso tempo, non solo la negazione della “libera espressione” digitale, ma la caccia alle streghe poliziesca grazie alle reti informatiche.
Come spiega sempre Klein: “La complicità nelle violazioni dei diritti umani, a quanto pare, è il prezzo per mantenere l’accesso al più grande mercato di utenti di media digitali al di fuori della Cina”.
È per questo che le campagne d’odio promosse dal governo indiano e le sue teorie cospirazioniste, elette a paradigmi di intepretazione dominante – in un paese di quasi un miliardo e quattrocento milioni di persone – sono promosse e non combattute dai giganti della Silicon Valley.
Questi piani economici si intrecciano con le aspirazioni geopolitiche indiane, tese a contrastare innanzitutto la Cina, in una sempre maggiore convergenza con i piani neo-egemonici di Washington, che mirano a fare di Nuova Delhi il perno del rinnovamento della politica obamiana del “Pivot to Asia” e del sempre più marcato contrasto alla Repubblica Popolare nel quadrante Indo-Pacifico.
Un paradigma, quello dell’Indo-Pacifico che gli strateghi di Washingon hanno mutuato tra l’altro – allargandone il perimetro – dalla geopolitica indiana.
La dinamica di “deconnessione” indiana dal vicino cinese, per quanto riguarda alcuni settori strategici, è apparsa una necessità da quando il lockdown imposto a Wuhan all’inizio dell’altro anno, e la quasi paralisi dell’economia della Repubblica Popolare, hanno mostrato con evidenza empirica la sostanziale dipendenza dell’India da Pechino.
Questi sono gli elementi di un quadro complesso, ma chiarissimo, che ci spingono ad interrogarci anche sul ruolo ruolo strategico dell’informazione e dei mezzi che dobbiamo forgiare per affrontare la sfida. Quella che, nonostante tutte le difficoltà, i contadini e gli attivisti indiani stanno vincendo con l’impatto che il movimento di massa sta avendo su tutta la società indiana e le le sue dinamiche politiche più complessive.
Buona lettura.
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L’India prende di mira gli attivisti per il clima con l’aiuto dei colossi del Big Tech
di Naomi Klein (The Intercept)
Giganti tecnologici come Google e Facebook sembrano aiutare e favorire una feroce campagna governativa contro gli attivisti indiani per il clima
La confusione di telecamere che si sono accampate fuori dalla tentacolare prigione di Tihar di Delhi era il tipo di frenesia mediatica che ci si sarebbe aspettati da un primo ministro coinvolto in uno scandalo di appropriazione indebita, o forse una star di Bollywood intrappolata nel letto sbagliato.
Le telecamere stavano invece aspettando Disha Ravi, un’attivista vegana del clima di 22 anni amante della natura che contro ogni previsione si è trovata intrappolata in una saga legale orwelliana che include accuse di sedizione, istigazione e coinvolgimento in una cospirazione internazionale i cui elementi includono (ma non si limitano a): agricoltori indiani in rivolta, la popstar globale Rihanna, presunte trame contro lo yoga e la chai, separatismo Sikh, e Greta Thunberg.
Se si pensa che sembri inverosimile, be’, la pensava così anche il giudice che ha rilasciato Ravi dopo nove giorni di carcere sotto interrogatorio della polizia. Il giudice Dharmender Rana avrebbe dovuto decidere se a Ravi, una delle fondatrici del capitolo indiano di Fridays For Future – il gruppo giovanile per il clima fondato da Thunberg – dovesse continuare a essere negata la cauzione. Stabilì che non c’era motivo di negare la cauzione, il che sgombrò la strada al ritorno di Ravi nella sua casa di Bengaluru (nota anche come Bangalore) quella stessa notte.
Ma il giudice ha anche sentito la necessità di andare molto oltre, di emettere una sentenza di 18 pagine impietose su questo caso, che ha attanagliato i media indiani per settimane, emettendo il suo verdetto personale sulle varie spiegazioni fornite dalla polizia di Delhi per il motivo per cui Ravi era stata arrestata in primo luogo.
Le prove della polizia contro la giovane attivista per il clima sarebbero, testuali parole, “imprecise e imprecise“, e non c’è “nemmeno uno straccio” di prova a sostegno delle affermazioni di sedizione, istigazione o cospirazione che sono state usate contro di lei e almeno altri due giovani attivisti.
Benché l’accusa del complotto internazionale sembri cadere a pezzi, l’arresto di Ravi ha messo in luce un diverso tipo di collusione, questa tra il governo nazionalista indù sempre più oppressivo e antidemocratico del primo ministro Narendra Modi e le aziende della Silicon Valley, i cui strumenti e piattaforme sono diventati il mezzo principale per le forze governative per incitare all’odio contro minoranze e critici vulnerabili – e per la polizia per intrappolare attivisti pacifici come Ravi in una rete digitale ad alta tecnologia.
Il caso contro Ravi e i suoi “seguaci” si basa interamente sugli usi di routine di noti strumenti digitali: gruppi WhatsApp, un Google Doc modificato collettivamente, un incontro privato Zoom e diversi tweet di alto profilo, presunte prove in una caccia all’attivista sponsorizzata dallo stato e amplificata dai media.
Allo stesso tempo, proprio questi strumenti sono stati utilizzati in una campagna di messaggistica coordinata pro-governativa per indirizzare l’opinione pubblica contro i giovani attivisti e il movimento degli agricoltori da loro sostenuto, tutto questo spesso in palese violazione dei guardrail che le società di social media affermano di aver eretto per prevenire violenti incitamenti sulle loro piattaforme.
In una nazione in cui l’odio virtuale si è ribaltato con frequenza agghiacciante nei pogrom reali che prendono di mira donne e minoranze, i sostenitori dei diritti umani avvertano che l’India è sul bordo di una terribile violenza, forse anche il tipo di spargimento di sangue genocida che i social media hanno aiutato e favorito contro i Rohingya in Myanmar.
Attraverso tutto questo, i giganti della Silicon Valley sono rimasti eloquentemente silenziosi, la loro famosa devozione alla libertà di espressione, così come il loro ritrovato impegno nella lotta contro l’incitamento all’odio e le teorie cospirative, non si trova, in India, da nessuna parte.
Al suo posto c’è una crescente e agghiacciante complicità con la guerra dell’informazione di Modi, una collaborazione che è pronta a essere fissata in base a una nuova legge draconiana sui media digitali che renderà illegale per le aziende tecnologiche rifiutarsi di cooperare con le richieste del governo di eliminare il materiale incriminato o di violare la privacy degli utenti tecnologici.
La complicità nelle violazioni dei diritti umani, a quanto pare, è il prezzo per mantenere l’accesso al più grande mercato di utenti di media digitali al di fuori della Cina.
Dopo alcune prime resistenze da parte dell’azienda, gli account Twitter critici nei confronti del governo Modi sono scomparsi a centinaia senza spiegazioni; i funzionari governativi impegnati nell’esplicito incitamento all’odio su Twitter e Facebook sono stati autorizzati a continuare a violare chiaramente le politiche delle aziende; e la polizia di Delhi si vanta di ottenere una collaborazione proficua da Google mentre sorvegliano le comunicazioni private di attivisti pacifici per il clima come Ravi.
“Il silenzio di queste aziende è eloquente”, mi ha detto un attivista per i diritti digitali, chiedendo l’anonimato per paura di essere punito “Devono prendere posizione, e devono farlo ora.”
Il primo ministro Modi prevede di collegare 600.000 villaggi attraverso l’India usando il cavo in fibra ottica come parte del suo “sogno” di espandere l’economia della più grande democrazia del mondo per 20 trilioni di dollari.
Indicato dalla stampa indiana in vari modi, come il “caso toolkit”, il “toolkit Greta” e la “cospirazione del toolkit”, l’indagine in corso della polizia su Ravi, insieme ai colleghi attivisti Nikita Jacob e Shantanu Muluk, si concentra sul contenuto di una guida sui social media che Thunberg ha twittato ai suoi quasi 5 milioni di follower all’inizio di febbraio.
Quando Ravi è stata arrestata, la polizia di Delhi ha dichiarato che “è un’editor del Toolkit Google Doc e cospiratrice chiave nella formulazione e diffusione del documento. Ha iniziato sui gruppi WhatsApp e ha collaborato per creare il documento Toolkit. Ha lavorato a stretto contatto con loro per redigere il Doc“.
Il kit non era altro che un Google Doc messo insieme da una collezione ad hoc di attivisti in India e pensato per generare sostegno al movimento degli agricoltori che da mesi sta organizzando proteste enormi e implacabili.
Gli agricoltori si oppongono a una serie di nuove leggi agricole che il governo di Modi ha promosso sotto la copertura della pandemia di coronavirus. Al centro delle proteste c’è la convinzione che, eliminando le protezioni dei prezzi di lunga data per le colture e aprendo il settore agricolo a maggiori investimenti privati, i piccoli agricoltori dovranno affrontare una “condanna a morte”, e le terre fertili dell’India cadranno nelle mani di alcuni grandi attori aziendali.
Molti non agricoltori hanno cercato svariati modi per aiutare, sia in India che nella diaspora globale dell’Asia meridionale. Il movimento per il clima guidato dai giovani ha sentito una particolare responsabilità nel farsi avanti. Come ha detto Ravi in tribunale, sostiene gli agricoltori “perché sono il nostro futuro, e tutti abbiamo bisogno di mangiare“.
E ha anche indicato una connessione con la questione climatica. Siccità, ondate di calore e inondazioni sono diventate tutte più intense negli ultimi anni, e gli agricoltori indiani sono in prima linea e spesso perdono le loro colture e mezzi di sostentamento, esperienze che Ravi conosce in prima persona, come testimonia la lotta dei suoi nonni contro le calamità climatiche.
Allo stesso modo di innumerevoli documenti di questo tipo dell’era dell’organizzazione digitale, il toolkit al centro di questa controversia contiene un insieme di suggerimenti familiari su come le persone possono esprimere la loro solidarietà agli agricoltori indiani, principalmente sui social media.
“Twitta il tuo sostegno agli agricoltori indiani. Usa hashtag #FarmersProtest #StandWithFarmers”; scattare una foto o un video di te stesso dicendo che sostieisci gli agricoltori; firmare una petizione; scrivere al vostro rappresentante; partecipare a un “tweetstorm” o “digital strike”; partecipare a una delle proteste di persona, sia all’interno dell’India che presso un’ambasciata indiana nel vostro paese; per saperne di più partecipando a una sessione di informazioni zoom. Una prima versione del documento (presto cancellata) parlava di sfidare la pace e l’amore dell’India, l’immagine pubblica dello “yoga & chai“.
Praticamente ogni grande campagna attivista genera guide pratiche clicktivist esattamente come questa. La maggior parte delle organizzazioni non governative di medie dimensioni ha qualcuno il cui compito è redigere tali documenti e inviarli a potenziali sostenitori e “influencer”. Se sono illegali, allora l’attivismo contemporaneo stesso è illegale.
Se Ravi è stata arrestata e imprigionata per un presunto ruolo di editor del toolkit, è perché si vuole criminalizzarla per aver fatto sembrare l’India cattiva di fronte al mondo. In base a tale definizione, tutte le attività internazionali in materia di diritti umani dovrebbero essere chiuse, poiché tale lavoro raramente pone i governi sotto una luce lusinghiera.
Su questa contraddizione ha insistito il giudice che si è pronunciato sulla cauzione di Ravi: “I cittadini sono portatori di una coscienza propria in qualsiasi Nazione democratica. Non possono essere messi dietro le sbarre semplicemente perché scelgono di non essere d’accordo con le politiche statali”, ha scritto. Per quanto riguarda la condivisione del toolkit con Thunberg, “la libertà di parola e di espressione include il diritto di cercare un pubblico globale”.
Sembra ovvio. Eppure in qualche modo questo documento relativamente innocuo è stato collegato da più funzionari governativi come qualcosa di molto più nefasto. Il generale VK Singh, ministro di Stato di Modi per il trasporto su strada e le autostrade, ha scritto in un post su Facebook che il toolkit “ha rivelato i veri progetti di una cospirazione a livello internazionale contro l’India. Necessità di indagare sulle parti che tirano le fila di questo apparato malvagio. Sono state fornite istruzioni chiare sul “come”, “quando” e “cosa”. Cospirazioni di queste dimensioni vengono scoperte sempre più spesso”.
La polizia di Delhi prese rapidamente spunto e si premurò di trovare prove di questa cospirazione internazionale per “diffamare il paese” e minare il governo, usando una legge draconiana di sedizione dell’era coloniale. Ma non si è fermato qui.
Il toolkit è anche accusato di far parte di un complotto segreto per rompere l’India e formare uno stato sikh chiamato Khalistan, perché un indo-canadese con sede a Vancouver, che ha contribuito a metterlo insieme ha espresso una certa simpatia per l’idea di una patria sikh indipendente (non un crimine e non menzionato da nessuna parte nel toolkit). E, sorprendentemente, per un Google Doc che la polizia sostiene sia stato scritto principalmente in Canada, questo stesso toolkit è accusato di istigazione e possibilmente complotto violento durante un “raduno dei trattori” dei grandi agricoltori a Delhi il 26 gennaio.
Per settimane, queste affermazioni sono diventate virali online, in gran parte nell’ambito di campagne di hashtag coordinate e guidate dal Ministero degli Affari Esteri indiano e riportate fedelmente dalle più importanti star di Bollywood e del cricket. Anil Vij, un ministro del governo nello stato di Haryana, ha twittato in hindi che “chiunque abbia nella testa semi di antinazionalismo deve essere distrutto fin dalle radici, sia essa #Disha_Ravi o chiunque altro“.
Quando è stato messo all’indice come un ovvio esempio di incitamento all’odio da parte di una figura potente, Twitter ha affermato che il post non violava le sue politiche e lo ha lasciato sulla piattaforma.
La stampa e la radio indiane hanno ripetuto inesorabilmente le assurde accuse di sedizione, con oltre 100 stories su Ravi e il toolkit che è apparso sul Times of India. I notiziari televisivi hanno pubblicato delle rivelazioni in stile cronaca nera sulla “cospirazione” del toolkit internazionale. Non sorprende che la rabbia si sia riversata nelle strade, con le foto di Thunberg e Rihanna (che hanno anche twittato a sostegno dei contadini) bruciate durante le manifestazioni nazionaliste.
Lo stesso Modi si è pronunciato, parlando di nemici che si sono “abbassati così in basso da non risparmiare nemmeno il tè indiano” – prendendo come riferimento la linea “tea & yoga” che è stata cancellata.
Poi, all’inizio di questa settimana, l’intero caos inizia a sembrare più calmo. Rana, nell’ordine di rilascio di Ravi, ha scritto che “l’esame del suddetto ‘Toolkit’ rivela che qualsiasi incitamento a qualsiasi tipo di violenza è vistosamente assente“. Anche l’affermazione che il kit fosse un complotto secessionista era del tutto infondata , ha scritto, si è trattato di un’elaborata supposizione di colpa per associazione.
Per quanto riguarda l’accusa, secondo cui la diffusione di informazioni critiche sul trattamento riservato dall’India agli agricoltori e ai difensori dei diritti umani ed attivisti di spicco come Thunberg costituisce “sedizione”, il giudice è stato particolarmente duro. “Il reato di sedizione non può essere invocato per guarire la vanità ferita dei governi“.
Il caso è in corso, ma la sentenza rappresenta un duro colpo per il governo e una rivendicazione per il movimento contadino e le campagne di solidarietà che lo sostengono. Tuttavia, non è certo una vittoria. Anche se il caso del toolkit perde forza a causa dello schiaffo del giudice, è solo una delle centinaia di campagne che il governo indiano sta conducendo per dare la caccia ad attivisti, organizzatori e giornalisti.
Anche la sindacalista Nodeep Kaur, un anno più vecchia di Ravi, è stata incarcerata per il suo sostegno agli agricoltori. Appena rilasciata su cauzione, Kaur ha affermato in tribunale di essere stata duramente picchiata mentre era in custodia di polizia. Nel frattempo, centinaia di contadini rimangono dietro le sbarre e alcuni degli arrestati sono scomparsi.
Il progetto politico di Modi rappresenta una potente fusione dello sciovinismo indù scatenato con il potere aziendale altamente concentrato. Gli agricoltori sfidano questo duplice progetto, sia nella loro insistenza sul fatto che il cibo dovrebbe rimanere al di fuori delle logiche di mercato, sia nella comprovata capacità del movimento di costruire potere attraverso le divisioni religiose, etniche e geografiche che sono la linfa vitale dell’ascesa al potere di Modi.
Ravinder Kaur, professore all’Università di Copenaghen e autore di “Brand New Nation: Capitalist Dreams and Nationalist Designs in Twenty-First-Century India“, scrive che quella degli agricoltori è “forse la più grande mobilitazione di massa nella storia dell’India postcoloniale, che abbraccia le popolazioni rurali e urbane e unisce la rivolta contro il capitalismo deregolamentato alla lotta per le libertà civili“.
Per la potente fusione di Modi del capitale transnazionale con uno stato ipernazionalista, “la mobilitazione contro la legge agricola rappresenta la sfida più sostenuta e diretta contro questa alleanza fino ad ora“.
Le proteste degli agricoltori a Delhi e dintorni sono state accolte con cannoni ad acqua, gas lacrimogeni e arresti di massa. Ma continuano ad arrivare, troppi per essere sconfitti solo con la forza. Questo è il motivo per cui il governo di Modi è stato così determinato a trovare modi per minare il movimento e sopprimere il suo messaggio, bloccando ripetutamente Internet prima delle proteste e facendo pressioni con successo su Twitter per cancellare oltre un migliaio di account a favore degli agricoltori. È anche il motivo per cui Modi ha cercato di infangare le acque con racconti di strumenti subdoli e cospirazioni internazionali.
Una lettera aperta firmata da dozzine di attivisti ecologisti indiani dopo l’arresto di Ravi ha sottolineato questo punto: “Le attuali azioni del governo centrale sono tattiche diversive per distrarre le persone da questioni reali come il costo sempre crescente del carburante e dei prodotti essenziali, la disoccupazione diffusa e l’angoscia causate dal lockdown senza un piano e dalla situazione allarmante dell’ambiente”.
Questa è una ricerca di un diversivo politico, in altre parole, che aiuta a spiegare come una semplice campagna di solidarietà sia stata riformulata come un complotto segreto per distruggere l’India e incitare alla violenza dall’estero.
Il governo di Modi sta tentando di trascinare il dibattito pubblico lontano dal terreno in cui è palesemente debole – soddisfare i bisogni fondamentali delle persone durante una crisi economica e una pandemia – e spostarlo sul terreno su cui prospera ogni progetto etno-nazionalista: noi contro loro, addetti ai lavori contro estranei, patrioti contro traditori sediziosi.
In questa manovra, Ravi e il più ampio movimento giovanile per il clima erano semplicemente danni collaterali.
Eppure, il danno fatto è considerevole, non solo perché gli interrogatori sono in corso e il ritorno in prigione di Ravi rimane decisamente probabile. Come afferma la lettera congiunta degli attivisti ambientali indiani, il suo arresto e la detenzione hanno già raggiunto uno scopo: “L’azione del governo è chiaramente focalizzata nel terrorizzare e traumatizzare questi giovani coraggiosi per aver detto la verità al potere, equivale a insegnare loro una lezione.”
Il danno ancora più ampio è il raffreddamento che l’intera controversia sui toolkit ha posto al dissenso politico in India – con la silenziosa complicità delle società tecnologiche che una volta pubblicizzavano i loro poteri per aprire società chiuse su se stesse e diffondere la democrazia in tutto il mondo. Come dice un titolo, “L’arresto di Disha Ravi mette in dubbio la privacy di tutti gli utenti di Google India”.
In effetti, il dibattito pubblico è stato così profondamente compromesso che molti attivisti in India stanno entrando in clandestinità, cancellando i propri account sui social media per proteggersi. Persino i difensori dei diritti digitali diffidano dall’essere citati.
Chiedendo di non essere nominato, un ricercatore in ambito legale ha descritto una pericolosa convergenza tra un governo esperto nella guerra dell’informazione e le società di social media basate sulla massimizzazione dell’impegno per estrarre i dati dei propri utenti: “Tutto questo deriva da un più forte uso delle piattaforme di social media da parte del status quo, qualcosa che non era presente prima. Ciò è ulteriormente aggravato dalla tendenza di queste aziende a dare la priorità a contenuti più virali ed estremisti, che consente loro di monetizzare l’attenzione degli utenti, a vantaggio delle loro motivazioni di profitto“.
Da suo arresto, le viscere della vita digitale privata di Ravi sono state messe a disposizione di tutti, raccolte da voraci media nazionali. Programmi televisivi e giornali ossessionati dai suoi messaggi di testo privati a Thunberg e da altre comunicazioni tra attivisti che non facevano altro che modificare un opuscolo online.
La polizia, nel frattempo, ha ripetutamente insistito sul fatto che la decisione di Ravi di eliminare un gruppo WhatsApp era la prova che aveva commesso un crimine, piuttosto che una risposta razionale ai tentativi del governo di trasformare la pacifica organizzazione digitale in un’arma diretta ai giovani attivisti.
Gli avvocati di Ravi hanno chiesto al tribunale di ordinare alla polizia di smettere di far trapelare le sue comunicazioni private alla stampa – informazioni che apparentemente provengono dal sequestro di telefoni e computer. Volendo ancora più informazioni private per le loro indagini, la polizia di Delhi ha anche presentato richieste a diverse importanti società tecnologiche.
Hanno chiesto a Zoom di rivelare l’elenco dei partecipanti a una riunione di attivisti privati che dicono si riferisca al toolkit; la polizia ha fatto diverse richieste a Google per informazioni su come il toolkit è stato pubblicato e condiviso. E secondo le notizie, la polizia ha chiesto anche a Instagram (di proprietà di Facebook) e Twitter informazioni relative al toolkit.
Non è chiaro quali società abbiano risposto e in quale misura. La polizia ha pubblicamente propagandato la collaborazione di Google, ma Google e Facebook non hanno risposto alla richiesta di commento di The Intercept. Zoom e Twitter hanno fatto riferimento alle loro politiche aziendali, in cui si afferma che rispetteranno le leggi nazionali.
Il che potrebbe essere il motivo per cui il governo Modi ha scelto questo momento per introdurre una nuova serie di regolamenti che gli conferirebbero livelli di controllo sui media digitali così draconiani da avvicinarsi al grande firewall cinese. Il 24 febbraio, il giorno dopo il rilascio di Ravi dal carcere, Reuters ha riferito delle “Linee guida per gli intermediari e codice etico per i media digitali” pianificate dal governo Modi.
Le nuove regole richiederanno alle società di media di rimuovere i contenuti che mettono a repentaglio “la sovranità e l’integrità dell’India” entro 36 ore dal relativo ordine del governo – una definizione così ampia che potrebbe facilmente includere offese contro lo yoga e il chai.
Il nuovo codice afferma inoltre che le società di media digitali devono collaborare con le richieste di informazioni sui propri utenti da parte del governo e della polizia entro 72 ore. Ciò include le richieste di rintracciare la fonte originaria di “informazioni pericolose” su piattaforme e forse anche app di messaggistica crittografate.
Il nuovo codice viene introdotto nel nome della protezione della società eterogenea dell’India e del blocco dei contenuti volgari. “Un editore deve tenere in considerazione il contesto multirazziale e multireligioso dell’India ed esercitare la dovuta cautela e discrezione quando presenta le attività, le credenze, le pratiche o le opinioni di qualsiasi gruppo razziale o religioso”, afferma la bozza delle regole.
In pratica, tuttavia, il BJP ha uno degli eserciti di troll più sofisticati del pianeta, i suoi stessi politici sono stati i promotori più rumorosi e aggressivi di discorsi d’odio diretti a minoranze vulnerabili e critici di ogni tipo. Per citare solo uno dei tanti esempi, diversi politici del BJP hanno partecipato attivamente a una campagna di disinformazione sostenendo che i musulmani stavano deliberatamente diffondendo il Covid-19 come parte di una ” Jihad del covid”.
Ciò che un codice come questo farebbe è sancire per legge la doppia vulnerabilità digitale sperimentata da Ravi e altri attivisti: non sarebbero protetti dalle folle online sollevate da uno stato nazionalista indù, e non sarebbero protetti dalle ricerche di quello stesso stato pronto a violare la loro privacy digitale per qualsiasi pretesto.
Apar Gupta, direttore esecutivo del gruppo per i diritti digitali Internet Freedom Foundation, ha espresso particolare preoccupazione per parti del nuovo codice che potrebbero consentire ai funzionari governativi di rintracciare gli autori dei messaggi su piattaforme come WhatsApp. Questo, ha detto all’Associated Press, “mina i diritti degli utenti e può portare all’autocensura se gli utenti temono che le loro conversazioni non siano più private”.
Harsha Walia, direttrice esecutiva della British Columbia Civil Liberties Association e autrice di “Border and Rule: Global Migration, Capitalism, and the Rise of Racist Nationalism“, pone la terribile situazione in India in questo modo: “Le ultime normative proposte che richiedono alle compagnie di social media di collaborare con le forze dell’ordine indiane è un altro tentativo oltraggioso e antidemocratico da parte del governo fascista Hindu di Modi di sopprimere il dissenso, consolidare lo stato di sorveglianza e intensificare la violenza di stato“.
Lei sostiene che questa ultima mossa del governo Modi deve essere intesa come parte di un modello molto più ampio di sofisticata guerra dell’informazione condotta dallo Stato indiano.
“Tre settimane fa, il governo indiano ha chiuso Internet in alcune parti di Delhi per sopprimere le informazioni sulla protesta dei contadini; gli account sui social media di giornalisti e attivisti durante la protesta degli agricoltori e nella diaspora sikh sono stati sospesi; e le compagnie di Big Tech hanno collaborato con la polizia indiana in una serie di casi infondati ma agghiaccianti di sedizione. Negli ultimi quattro anni, il governo indiano ha ordinato oltre 400 chiusure di Internet e l’occupazione indiana del Kashmir è segnata da un prolungato assedio alle comunicazioni“.
Il nuovo codice, che avrà un impatto su tutti i media digitali, inclusi i siti di streaming e di notizie, entrerà in vigore entro i prossimi tre mesi. Alcuni produttori di media digitali in India sono contrariati. Siddharth Varadarajan, editor e fondatore di The Wire, giovedì scorso ha twittato che il nuovo codice “letale” è “volto a uccidere l’indipendenza dei media digitali dell’India. Questo tentativo di armare i burocrati con il potere di dire ai media cosa può e non può essere pubblicato non ha alcun fondamento giuridico “.
Non aspettatevi però ritratti di coraggio dalla Silicon Valley. Molti dirigenti tecnologici statunitensi si rammaricano delle prime decisioni, prese sotto la pressione dell’opinione pubblica e dei lavoratori, di rifiutarsi di cooperare con l’apparato cinese di sorveglianza di massa e censura: una scelta etica, ma che costa alle aziende come Google l’accesso a un mercato incredibilmente ampio e redditizio.
Queste aziende non sembrano disposte a fare di nuovo lo stesso tipo di calcolo. Come riportato dal Wall Street Journal lo scorso agosto, “l’India ha più utenti Facebook e WhatsApp di qualsiasi altro paese e Facebook l’ha scelta come mercato in cui introdurre pagamenti, crittografia e iniziative per tessere insieme i suoi prodotti in nuovi modi che l’AD Mark Zuckerberg ha detto che saranno alla base di Facebook per il prossimo decennio“.
Per le aziende tecnologiche come Facebook, Google, Twitter e Zoom, l’India di Modi si è trasformata in un duro momento di verità. In Nord America e in Europa, queste aziende stanno facendo di tutto per dimostrare che ci si può fidare di loro, regolando l’incitamento all’odio e le cospirazioni dannose sulle loro piattaforme, proteggendo al contempo la libertà di parola, dibattito e disaccordo che è parte integrante di qualsiasi società sana.
Ma in India, dove aiutare i governi a cacciare e imprigionare attivisti pacifici e ad amplificare l’odio sembra essere il prezzo per l’accesso a un mercato enorme e in crescita, “tutti questi argomenti sono usciti dalla discussione“, mi ha detto un attivista. E per una semplice ragione: “Stanno approfittando di questo danno collaterale“.
(traduzione a cura di Isabelle Tonussi e C.D.)
FONTE: https://www.sinistrainrete.info/estero/19996-giacomo-marchetti-i-giganti-della-rete-dietro-la-repressione-in-india-e-poi-nel-mondo.html
CULTURA
Viaggio al termine della notte di Céline
Manlio Lo Presti – 19 marzo 2021
https://www.lafeltrinelli.it/libri/louisferdinand-celine/viaggio-termine-notte/9788879720175
Il medico Céline racconta, riflette, immagina, descrive gli avvenimenti intorno a lui con freddezza, senza infingimenti, senza paura. Tutto scorre dentro una sottile tensione che tiene l’attenzione del lettore al massimo. La Prima Guerra mondiale è un evento che stravolge ogni cosa e mette a nudo la natura umana eliminando le ipocrisie rituali che rendono così “sociale” la convivenza quotidiana in tempo di pace: “Tanto vale non farsi illusioni, la gente non ha niente da dirsi, ognuno parla soltanto delle proprie pene personali, si capisce. Ciascuno per sé, la terra per tutti” pag. 279. La narrazione chirurgica è inframmezzata da riflessioni telegrafiche ma profondissime che riportano il lettore dentro i corridoi impervi dell’anima: “se la gente è così cattiva, forse è solo perché soffre, ma è lungo il tempo che separa il momento in cui smettono di soffrire da quello in cui diventano un po’ migliori”, pag. 7. Emerge in queste improvvise escavazioni dell’anima l’esperienza eziologica del medico che “osserva” prima di giudicare.
Il libro ha come sfondo la guerra devastante, feroce e soprattutto stupida. Fermarsi però alla descrizione del conflitto è fuorviante. Si tratta di uno sfondo dove si svolge il viaggio dell’Autore che aspira ad arrivare al termine della notte per vedere la Luce. Questo libro interessante, coraggioso ed impietoso ricorda il contenuto del grande film “Apocalipse now” dove la guerra asimmetrica fa da sfondo al viaggio che il grande stratega colonnello Kurz inizia verso se stesso uscendo senza esitazioni dalle ombre del suo ego-prigione.
I sommovimenti sociali non lo entusiasmano perché ne intravede un disordine organizzato piuttosto che un miglioramento della socialità (1), ne percepisce la spinta piallatrice delle diversità che egli evidenzia nei dialoghi, nella descrizione di persone di altre razze. Céline è stato un Autore controverso e ripetutamente censurato, epurato, punito penalmente. Alcune sue opere sono letteralmente scomparse per ordine esorbitante, miserabile e codardo degli alti comandi dei governi francesi tempo per tempo in carica.
Nonostante questa opera di oscuramento organizzato, l’Autore riemerge sempre, non viene dimenticato suscitando, oggi, l’imbarazzo della ossessiva ed autistica marea censoria neomaccartista buonista antifa. L’umanità è descritta con lo stile freddo e spietato di un referto medico-legale: le cose accadono e basta.
Va inoltre evidenziato che l’Autore scrive in un francese complicato da moltissimi idiomi e neologismi, da costruzioni a volte involute rendendo molto impegnativa l’opera di traduzione dei suoi testi in altre lingue. Eccellente la traduzione dello storico e studioso Ernesto Ferrero che ha regalato preziose analisi e considerazioni sul nostro Céline: http://lettere-old.uniroma2.it/sites/default/files/allegati/Tradurre%20la%20petite%20musique.pdf
La narrazione è attraversata da una tensione che tiene il lettore in perenne attenzione. Con Céline la cooperazione Lettore-Autore non si fonda sull’empatia implicita nella lettura. Il narratore racconta senza intenzione di catturare con l’affabulazione, egli butta lì il messaggio e le riflessioni che altri devono avere la prontezza e la capacità di capire al volo.
Con entusiasmo e rispetto ho parlato di un libro che non ho più dimenticato! Mi fa piacere percepire che la schiera di lettori aumenta silenziosamente nonostante la follia sterminatoria del pensiero pastorizzato prevalente.
Leggere Céline è un atto di autonomia mentale e culturale e, soprattutto, un itinerario dello spirito …
Buona lettura!
Louis-Ferdinand Céline, Viaggio al termine della notte, Corbaccio, 1992, Pagine 575
NOTE
1)successivamente, il padre della biopolitica Michel Foucault avrebbe detto che ogni nuovo ordine sociale sottende e si fonda su nuove forme di controllo e schiavitù Luce penepersonali
TEMI TRATTATI
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FONTE: https://www.dettiescritti.com/senza-categoria/viaggio-al-termine-della-notte-di-celine/
Allarme, Limonov!
17 03 2021
Un anno fa muore Eduard Limonov, l’ultimo “esteta armato”, il romanziere rivoluzionario. Pubblichiamo il suo manifesto: contro la famiglia, la scuola, la globalizzazione, elogio del sesso libero e della guerra
Non sembrava pericoloso. Piuttosto, attirava il pericolo. Una lama di rabbia, cruciale, teneva insieme quel corpo, minimo, vetrificato nel Novecento. Eduard Limonov cercava la rissa, sempre; si parla se si è incendiati dall’ira, diceva, se una parola sa incenerire, certi che tra la presa per il culo e la condanna a morte la distanza è un rondò di denti, labbra che bucano la lebbra del secolo. Limonov è morto un anno fa, il 17 marzo del 2020; con l’editore Sandro Teti avevamo organizzato una gita russa per fine febbraio. Chiese di rimandare di un paio di mesi; era esplosa la granata pandemica. Dieci anni fa, per P.O.L., Emmanuel Carrère ha pubblicato Limonov: è il suo libro più venduto, più bello. Carrère, con un certo talento giornalistico, fa di Limonov il rivoluzionario di peluche per i lettori occidentali. Doma la bestia, lo rende un fenomeno da circo. A Limonov – che godeva nello sfottere Carrère – andava bene, tutto sommato: per un uomo che ha scritto il romanzo della propria vita, continuamente, le contraffazioni (come le contraddizioni) sono lecite. Mi domando perché non ristampino Libro dell’acqua (un tempo Alet, 2004), l’autobiografia onnipossente di Limonov, piuttosto che farci sorbire biberoni di Carrère.
Quando l’ho conosciuto, nella sua ultima visita italiana – partiva per Mosca il giorno dopo –, l’esteta armato non masticava più. Sembrava uscito da una pagina censurata dei Demoni di Dostoevskij, era l’emblema esatto della Russia, la rivoluzione per un nonnulla, mercenari delle proprie voglie, la gioia selvaggia di una inaudita libertà. C’era dell’ascetismo scempio e della lussuria nel modo in cui Limonov scotennava la Storia. Quella notte, gli portammo un tozzo di squacquerone, dei biscotti morbidi, un barattolo di antidolorifici. Gli piaceva l’idea che scrivessi la sua vita per il gusto di sputtanare Carrère, per l’ennesima indisciplina, certo che ogni frase è un apocrifo, che le icone vanno incendiate perché una leggenda sia eterna. Se gli avessi detto, pigliamo Santarcangelo, avanziamo verso Forlì, accerchiamola, non si sarebbe fatto problemi. Aveva una valigia piccola, lunga quanto il suo avambraccio e una scorta di miliziani pronti a tutto. Il possibile era una pianura oceanica davanti a lui, puntellata di occhi, di saccheggi; sembrava l’erede dei re degli Sciti, che sapevano sfidare Alessandro Magno perché conoscevano il sortilegio della velocità, della razzia, del nulla.
In Italia Eduard Limonov è editorialmente latitante: Sandro Teti ha pubblicato alcuni romanzi – Zona industriale, Il boia – e ha in canna una raccolta di poesie, Ora zero, lode a lui. L’equivoco è che Limonov è preso, come scrive Carrère, per “un Jack London russo”, avvilendo il suo spirito eversivo, la visione perennemente politica. Arrestato nell’aprile del 2001, con l’accusa di ordire atti terroristici e di aver acquistato illegalmente armi per invadere il Kazakistan, Limonov sconta due anni di carcere in cui scrive otto libri. Tra questi, spicca “L’Altra Russia”, ancora inedito in Italia, pubblico nel 2003, che è il primo atto della costituzione del partito omonimo di opposizione ideato nel 2006 con Garry Kasparov e Michail Kas’janov. Dal 2010 “L’Altra Russia” – con granata che sfonda il rosso vessillo – è il partito guidato unicamente da Limonov. (Davide Brullo)
Il mostro dagli occhi rossi: la Famiglia. Tuo padre è un ingegnere, o un operaio – arrabbiato, magro, sfortunato, beve ogni tanto. O forse il padre non c’è, la famiglia è dominata dalla mamma sotto l’aura di una pelliccia logora. Occhi umidi, isterici, esausti, parla come se fosse l’eco di tutti i mali del mondo. Hai pietà per la madre, nessun rispetto per il padre. Una nullità, ubriaco, litiga con il televisore. Il fratello puzza, sei disgustato di entrare in bagno dopo di lui. Bilocale: troppi mobili, tappeti, stuoie, persiane. Luce pallida… La famiglia insegna a tremare, a temere, a farsela sotto dalla paura: è una scuola della codardia. La famiglia: letame appiccicoso e caldo, da cui è bene andarsene subito, sottraendosi alle sue ferite morali. La famiglia indebolisce l’uomo, come il consumismo, esaurisce la sua debole impotenza in patate e polpette. Domani faranno irruzione degli sconosciuti, poliziotti, e non c’è nulla con cui difendersi. Cosa farai per difendere tua madre e tua sorella? Con loro sei ancora più vulnerabile. Il potere sovietico, quella cagna, ha schiavizzato con successo la famiglia in un appartamento. Tutti incatenati, ancorati in un appartamento. Registrazione, appartamento, lavoro: questo è l’assortimento di pesanti catene arrugginite con cui il russo moderno è imprigionato al suo ruolo, meno libero del russo del XVII o del XVIII secolo. Allora, almeno, potevi scappare oltre il Don, verso i Cosacchi, e unirti a Pugačëv.
La Scuola ti ha rubato l’infanzia. L’obbiettivo della scuola è spezzare gli istinti naturali dell’uomo, fiaccare la sua naturale aggressività, vincerla. La scuola è una istituzione repressiva. È un fraintendimento pensare alla scuola come a una istituzione culturale, pari alle biblioteche o ai musei: la scuola è una prigione. La catena di montaggio della scuola fornisce la società di animaletti sdentati, languidi, congelati nel loro sviluppo. Sono stati riempiti a forza da nozioni inutili, come il sacchetto di un aspirapolvere è pieno di sporcizia. La scuola è necessaria alla società della repressione. È creata per questo. È una istituzione governativa. Per questo è colpevole, come i tribunali e le prigioni, della soppressione dell’uomo. La scuola non insegna ciò di cui si ha bisogno per vivere. Non insegna come si tratta con le persone, come si riconoscono i traditori, come si comandano gli uomini, come si respinge un attacco. La scuola sviluppa istinti secondari di obbedienza.
Il benessere sessuale. Il benessere sessuale dato da una relazione tra uomo e donna più consona alla natura, aumenterà la morale sociale: molti meno frustrati e molti meno suicidi. Le persone inizieranno prima la loro vita sessuale e la prolungheranno fino a tarda età. La salute della nazione ne avrà beneficio. In Russia ci sono così tanti uomini e donne arrabbiati, nostalgici, tristi, ubriachi, perché hanno per lo più una vita carnale infelice, breve, vergognosamente insipida. Non bisognerebbe andare per strada con striscioni che inneggiano, “Fabbriche agli operai!”, “Terre ai contadini!”, ma che proclamino “Benessere sessuale a tutti i cittadini!”, “Lunga vita alla promiscuità!”.
La città è un nemico. Protezione in cambio di sfruttamento: questo è ciò che la civiltà urbana porta con sé. Al leader-delinquente, al potente aristocratico si è sostituito il delinquente eletto con una brigata di amministratori, ma il risultato non cambia. Tutto, nella città, suggerisce diseguaglianza e assenza di libertà. I sobborghi – mostruosi formicai, favi di cemento che al mattino vomitano il loro grumo umano per riceverlo di ritorno la sera – mostrano il mondo della moderna schiavitù, privo di riti. La città disintegra la campagna: i dodici milioni di abitanti di Mosca non piantano un seme, non allevano una gallina. La città produce potere e controllo. Nella città-capitale sono concentrati tutti i più articolati sistemi di sopraffazione dell’individuo. Se guardiamo alla storia recente capiamo che il primo atto di una rivoluzione è la costruzione di barricate. Si distruggono i marciapiedi, si strappano le pietre, si bloccano le strade. I cittadini bloccano la città. Danno fuoco agli edifici, prendono d’assalto il palazzo presidenziale, il parlamento. La folla ha un istinto sicuro: vuole distruggere la città, la cittadella del potere, la causa delle sue disgrazie.
Istinto alla lotta. Ho studiato a lungo i comandanti militari di oggi, soprattutto negli anni Novanta. Si è sviluppata in me la convinzione che la guerra non è un peccato, non è una traccia del passato, un istinto vergognoso, bensì una legittima indole all’aggressione, la necessità dell’eroismo. L’istinto alla lotta si rivela in ogni lato dell’uomo, spesso in persone comuni, lontane dalla vita della guerra. Un insegnante, un operaio, si rivelano in guerra intraprendenti. D’altronde, un uomo con la pistola e l’uniforme non è detto che sia un autentico soldato, di solito non lo è per nulla.
Contro il mondo globale. Il mondo non vuole essere globale, non è omogeneo. La civiltà degli avidi asceti protestanti in giacca e cravatta deve essere uccisa e smembrata. I più aggressivi e schifiltosi, i più violenti torturatori dall’Iraq alla Serbia sono stati Gran Bretagna, Stati Uniti e Olanda, tre paesi protestanti. La ricca Europa e i suoi satelliti – paesi in cui gli espatriati dall’Europa si sono fatti spazio massacrando i nativi –, Stati Uniti, Canada, Nuova Zelanda, Australia, Israele, dopo essersi trasformati in fortezze acquistano materie prime in giro per il mondo, al prezzo di qualche nocciolina. Per tali capi del mondo, la globalizzazione è una manna. La tendenza repressiva della civiltà globale è chiara: ogni fede e pensiero diversi sono spietatamente proibiti e messi fuori combattimento.
Eduard Limonov
FONTE: https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/letteratura/limonov-altra-russia/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
L’Emergenza Covid must go on
Francesco Santoianni – 17 03 2021
Covid: sbaraccato l’ormai impresentabile Comitato tecnico scientifico, dopo le dimissioni del coordinatore Agostino Miozzo che pretendeva essere la “sintesi” di un gruppo di personaggi sempre in TV a dire il contrario di quello che avevano detto il giorno prima.
Un teatrino dettato solo dalla vanità degli “esperti”?
No, un preciso disegno politico.
In Italia, a differenza di tanti altri paesi (che si sono avvalsi di un solo dirigente sanitario dell’emergenza Covid che si assumeva la responsabilità delle indicazioni che dava al Capo del Governo, ai ministri ai direttori dei vari dicasteri) si è voluto avere una masnada di “esperti” (oltre a quelli del Comitato tecnico scientifico, i consulenti Covid di ministri e governatori regionali ai quali bisogna aggiungere i 19 comitati di esperti delle “task force” di Colao) solo per creare una deresponsabilizzante situazione che permette ai politici di fare quello che vogliono. Valga per tutti la sciagurata decisione di Conte di imporre, l’8 marzo, un lockdown nazionale contro il parere del Comitato tecnico scientifico del 7 marzo che protendeva per il proseguimento di “zone rosse” circoscritte a comuni o province.
Da questo punto di vista, il nuovo Comitato tecnico scientifico non promette nessun cambio di passo passando da 24 a 12 membri. Unica flebile speranza, l’inserimento in questo – finalmente! – di un epidemiologo: Donato Greco il quale già nell’ottobre 2020 prospettava l’endemicità del virus Sars-Cov-2 (e, quindi, inutilità di lockdown come quello previsto per Pasqua).
Intanto impazzano le deresponsabilizzanti “raccomandazioni” degli esperti. Ultimo esempio un surreale “studio” di Inail, Iss, ministero della Salute e Aifa, firmato da ben 26 esperti, che propone per fermare il virus, oltre alla quarantena per i vaccinati, la distanza di due metri a tavola. Servirà a qualcosa questo studio? Si ai governatori regionali i quali, per “venire incontro” alle implorazioni dei ristoratori, certamente ridurranno i due metri di qualche centimetro. Grazie a questo sistema l’emergenza Covid serve a far crescere un, assolutamente inedito, potere clientelare. Perché, quindi, dovrebbe finire l’emergenza Covid?
FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-lemergenza_covid_must_go_on/6119_40248/
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
Sapete che Intesa Sanpaolo ha restituito 77.000 euro ad una vittima di “SIM-swap”?
La banca non ammette le proprie responsabilità ma risarcisce il cliente… chissà perché?
Il fenomeno del SIM-swapping dilaga e – mentre la clientela bancaria vive con disperazione le pesanti frodi online – ecco arrivare una buona notizia che squarcia la diffidenza nei confronti degli istituti di credito spesso ritenuti insensibili dinanzi a certe tragedie.
Perdete 5 minuti e arrivate fino in fondo per capire cosa è successo e come si possono rappresentare educatamente le proprie ragioni. Può valerne davvero la pena.
cos’è il SIM swap?
L’operazione criminale particolarmente in auge di questi tempi sfrutta il passaggio dal “token” al telefonino del cliente. Le banche hanno incentivato i propri correntisti a restituire il piccolo congegno che generava i codici segreti per l’esecuzione delle diverse operazioni via Internet e hanno ritenuto di inoltrare quelle sequenze numeriche mediante SMS.
Se il token rimane a casa in un cassetto, il telefonino è sempre con l’interessato. Comodo, certo, se si deve fare un bonifico tanto inatteso quanto urgente. Pericolosissimo se si pensa alla possibilità che il cellulare venga smarrito o rubato. Il vero rischio, in realtà, è che qualcuno si presenti ad un punto vendita di un operatore telefonico, simuli la perdita o la sottrazione del proprio apparato e (conoscendo il numero telefonico e le generalità della vittima prescelta) chieda il rilascio di una SIM sostitutiva.
Pur ritenuta inverosimile da molti scettici (lo si vada a raccontare a chi è incappato in simile sventura), la sostituzione (“Swap” in inglese) non sembra affatto una operazione impossibile e le conseguenze sono facilmente immaginabili.
Il cliente si ritrova con il telefono che smette di funzionare e il bandito – che possiede il clone funzionante – riceve i codici via SMS che lo abilitano a gestire in piena libertà il conto del malcapitato…
la storia del signor Fabio
Il signor Fabio, piccolo imprenditore agricolo di Ventimiglia, ha un conto presso l’agenzia di Intesa SanPaolo di Ventimiglia da cui – il 6 ottobre 2020 – vengono eseguiti in maniera fraudolenta tre bonifici BEU (Bonifico Europeo Unico SEPA) e una ricarica telefonica.
Lo stesso giorno Fabio si accorge che il proprio telefonino è “inattivo”. Attribuisce la circostanza ad una presumibile “carenza di credito” perché ancora non sa di essere vittima di una operazione fraudolenta di “SIM Swapping”.
Martedì 7, siccome è stato danneggiato dall’alluvione che ha flagellato la zona quattro giorni prima, arriva a pensare che il mancato funzionamento del cellulare sia imputabile all’esposizione all’acqua e, rimossa la SIM dal dispositivo, la lascia ad asciugare.
L’8 ottobre il telefono non è ancora operativo, viene effettuata una ricarica ma la situazione non cambia. Sabato 10 Fabio si reca nel negozio TIM “Modesti srl” per avere spiegazioni e gli viene consigliato di lasciar asciugare ancora il telefonino.
Il lunedì successivo, torna al Centro TIM dove, confermatogli che il numero è attivo, viene fatta una chiamata di prova a tale utenza cui risponde uno sconosciuto presumibilmente da Roma che si qualifica con il nome e il cognome della vittima.
la fragilità del telefono nelle procedure di autenticazione e autorizzazione
La circostanza permette di appurare che il tizio – con il presumibile uso di documenti contraffatti o di indebita copia di quelli originali del signor Fabio – ha ottenuto il rilascio di una SIM sostitutiva con la probabile dichiarazione di aver smarrito il proprio telefono. Il tutto avviene agevolato dal discutibile operato del punto vendita dove non sono stati eseguiti controlli di sorta o non sono state rispettate le sicuramente dettagliatissime disposizioni che scrupolosamente TIM ha impartito alla rete commerciale e che senza dubbio sono oggetto di costante e attento audit da parte delle specializzate articolazioni interne.
Il fronte “telefonico” esorbita senza dubbio dalle responsabilità bancarie, ma alla luce di tale fin troppo evidente possibilità truffaldina chi si sente di consigliare o imporre l’uso del telefonino al posto del token?
torniamo al nostro Fabio…
Scoperto l’avvenuto furto di identità e appreso che qualcuno sta usando un telefonino con il “suo” numero, Fabio corre dai carabinieri a fare denuncia.
Con quel pezzo di carta torna al Centro TIM, blocca l’utenza clonata e chiede di poter attivare una nuova SIM recuperando finalmente il suo numero.
La riattivazione dell’utenza originaria gli permette di ricevere sul proprio dispositivo una serie di messaggi SMS (già recapitati a suo tempo sul telefono nella disponibilità dei ladri della sua identità) contenenti codici di sicurezza inoltrati da Intesa Sanpaolo per operazioni bancarie che l’interessato non aveva mai effettuato.
Fabio continua la sua maratona e raggiunge immediatamente l’agenzia di Intesa Sanpaolo (che – a seguito dell’alluvione – eroga i propri servizi in un camper sulla piazza del Comune di Ventimiglia). Rappresenta l’accaduto ed ha conferma delle operazioni fraudolente che disconosce contestualmente chiedendone la revoca e domandando che sia disposto il blocco del conto.
In termini pratici Fabio era stato alleggerito di 77.487 euro finiti addirittura in Perù e di altri 280 destinati a rimpolpare il credito di un telefonino che ovviamente non era il suo…
come nelle fiabe …e vissero tutti felici e contenti
L’Istituto di credito ha inizialmente sostenuto di dover accertare – secondo le procedure di rito – le possibili responsabilità del cliente (pare abbondino i correntisti distratti o comunque poco accorti).
Fabio, ben comprendendo l’importanza di certi riscontri, mi ha chiesto per il tramite di un conoscente comune di aiutarlo. Anzi di aiutare Intesa Sanpaolo con una relazione tecnica che sarebbe stata sicuramente apprezzata dagli informatici e dai legali dell’importante istituto di credito, che dalla mia quindicina di pagine avrebbero potuto trovare utili spunti per dirimere la questione.
E così è stato. La mia piccola consulenza (che qui è disponibile in formato pdf nella speranza che possa essere utile per chi – trovandosi alle prese con fastidiose esperienze di SIM swapping – voglia scaricarla e approfittare di una buona base di partenza) sembra aver funzionato.
Il 25 febbraio scorso la Direzione “SEPA e incassi commerciali” di Intesa Sanpaolo (che probabilmente ha fatto tesoro delle mie considerazioni) ha mandato a Fabio una lettera in cui dice che “all’esito dei menzionati controlli non è stata rilevata alcuna anomalia del sistema informatico della Banca, che risulta totalmente estranea all’accaduto e non ha responsabilità nella vicenda”.
Oh diamine! E adesso?!?
La lettera (scritta forse con il piglio di un magistrale autore di coup de theatre) continua con un rassicurante “Fermo quanto sopra, si dà comunicazione che il menzionato accredito è da ritenersi definitivo”, frase che – prima dei consueti “distinti saluti” – ha confermato che gli oltre 77 mila euro erano definitivamente stati restituiti sul conto del signor Fabio.
Tutto è bene quel che finisce bene. A volte – come in questo caso – basta saper spiegare alla banca quei piccoli dettagli che aiutano a comprendere meglio quel che è successo così da appianare ogni asperità, chiarire ogni dubbio, risolvere i problemi.
FONTE: https://www.infosec.news/2021/03/19/news/campanello-di-allarme/sapete-che-intesa-sanpaolo-ha-restituito-77-000-euro-ad-una-vittima-di-sim-swap/
Spunta una oscura cordata di investitori americani guidata dall’ex deputato democratico e avvocato Norman Dicks. È questa l’ultima indiscrezione che circola in relazione agli interessati a rilevare la banca senese.
La cordata, scrive Il Sole 24 Ore, avrebbe corteggiato il Tesoro, azionista di Mps, da fine 2020, senza riuscire a fare breccia sul Mef, scettico sulla solidità del progetto e dei suoi proponenti. Della proposta si sa che prevede un assegno di 900 milioni per il 64% in mano al Tesoro all’interno di un piano da 4 miliardi. Sconosciuti i nomi degli investitori.
pev
(END) Dow Jones Newswires
March 19, 2021 03:11 ET (07:11 GMT)
Copyright (c) 2021 MF-Dow Jones News Srl.
FONTE: https://it.advfn.com/notizie/B-Mps-spunta-misteriosa-cordata-americana-Sole_84622024.html
GIUSTIZIA E NORME
NUOVE LINEE GUIDA IN TEMA DI SALUTE E SICUREZZA DURANTE LA PANDEMIA DA COVID-19
Pubblicato 3 hours ago | by Avv. Chiara Spagnolo | in Internazionale
Nuove linee guida internazionali (dicembre 2020), in tema di salute e sicurezza dei dipendenti e delle parti interessate durante la pandemia COVID-19 tese ad integrare linee guida e regolamenti nazionali esistenti.
La nuova ISO/PAS 45005 è stata sviluppata in soli tre mesi grazie al contributo di 26 paesi e fornisce raccomandazioni pratiche alle imprese sulla gestione di eventuali rischi derivanti da COVID-19.
Le nuove linee guida sono applicabili a tutte le organizzazioni comprese quelle che: hanno operato durante la pandemia; stanno riprendendo o prevedono di riprendere le attività a seguito di chiusura totale o parziale; stanno rioccupando luoghi di lavoro che sono stati completamente o parzialmente chiusi; sono nuovi e prevedono di operare per la prima volta.
Forniscono, altresì, anche una guida relativa alla protezione dei lavoratori di tutti i tipi (ad es. lavoratori impiegati dall’organizzazione, lavoratori di fornitori esterni, appaltatori, lavoratori autonomi, lavoratori interinali, lavoratori anziani, lavoratori con disabilità e primi soccorritori) e di altre parti interessate quali, ad esempio, i visitatori di un luogo di lavoro.
Per lavorare in sicurezza ogni impresa dovrebbe:
– valutare tutti i locali, siti o parti di siti, compresi quelli che sono stati chiusi o parzialmente funzionanti; stabilire disposizioni per impedire a persone potenzialmente infettive di entrare nel luogo di lavoro (ad esempio fornendo informazioni prima della visita);
– eseguire controlli e attività di manutenzione su apparecchiature e sistemi;
– valutare e controllare i rischi legati alla legionella e ad altre malattie legate all’acqua, al fine di non introdurre altri rischi per la salute, in particolare se i sistemi ad acqua (compresi alcuni tipi di condizionamento) non sono stati utilizzati per un periodo di tempo o se l’uso è stato ridotto;
– stabilire programmi di pulizia e disinfezione migliori e/o più frequenti (ad esempio aumentando l’orario di lavoro e/o il numero di lavoratori in ruoli di pulizia e incoraggiando altri lavoratori a pulire e disinfettare regolarmente le proprie zone di lavoro e le attrezzature);
– fornire migliori strutture per l’igiene personale, comprese ulteriori stazioni per il lavaggio delle mani ove possibile e punti igienizzanti per le mani dove ciò non è possibile (comprese le aree esterne utilizzate per il lavoro o le pause), garantendo che queste strutture siano accessibili ai lavoratori con disabilità;
– coordinare e cooperare con altre organizzazioni su siti condivisi, inclusi appaltatori, agenti di gestione, proprietari e altri inquilini, assicurando che siano prese in considerazione sia le operazioni di routine che i piani di emergenza.
Inoltre dovrebbe provvedere a:
– pulizia profonda e disinfezione dei luoghi di lavoro e delle attrezzature;
– disinfettare rubinetti, docce e altre fonti d’acqua con prodotti che soddisfano i requisiti ufficiali per l’uso contro COVID-19 e risciacquare prima dell’uso;
– massimizzare la quantità di aria esterna e di ricambio d’aria ambiente attraverso sistemi di ventilazione (con filtrazione e durata di funzionamento adeguate), disattivando i sistemi di ricircolo dell’aria e mantenendo le porte e le finestre aperte per quanto possibile;
– garantire che i servizi igienici siano gestiti per facilitare un uso sicuro;
– riavviare e testare apparecchiature specialistiche inutilizzate più a lungo del normale;
– testare i sistemi di sicurezza antincendio, comprese le unità alimentate a batteria come l’illuminazione di emergenza e gli allarmi;
– mettere in atto segnali e segnaletica sul pavimento e/o sul muro per indicare la distanza fisica raccomandata, assicurandosi che i segni siano semplici, chiari e abbastanza grandi da essere visti da persone con disabilità visive;
– mettere in atto barriere fisiche per imporre il distanziamento fisico per quanto possibile;
– creare zone di lavoro per limitare il numero di persone in ogni area;
– limitare il numero di persone che utilizzano apparecchiature condivise creando gruppi di lavoro o coppie e assegnandole ad apparecchiature condivise designate;
– stabilire punti di pulizia e disinfezione per consentire ai lavoratori di pulire superfici e attrezzature durante l’orario di lavoro;
– riorganizzare attrezzature mobili, scrivanie e postazioni di lavoro per consentire il distanziamento fisico;
– fissare le porte aperte per ridurre il contatto con le maniglie delle porte (escluse le porte necessarie per la sicurezza antincendio, sicurezza o privacy);
– stabilire procedure per l’ingresso e l’uscita in sicurezza dai luoghi di lavoro;
– stabilire tragitti a senso unico in corridoi, scale e altre aree comuni, mettere in atto cartelli e segnaletica sul pavimento o sul muro e intraprendere altre azioni per mitigare i rischi laddove ciò non sia possibile;
– determinare modi sicuri di usare ascensori/ascensori e garantire che le linee guida per un uso sicuro siano comunicate sia all’interno che all’esterno degli ascensori/ascensori;
– fornire ulteriori spazi esterni ai lavoratori da utilizzare per il lavoro di routine, riunioni e pause, ove possibile.
Quanto al cosiddetto “smartworking” l’organizzazione dovrebbe consultarsi con il lavoratore per valutare sistematicamente i rischi legati al lavoro da casa e le azioni necessarie per affrontare i rischi, per quanto possibile, tenendo conto di fattori quali:
– le circostanze domestiche del lavoratore (ad esempio assistenza all’infanzia o altre responsabilità di assistenza, abusi domestici, membri della famiglia considerati a maggior rischio di contrarre COVID-19);
– l’idoneità fisica dell’abitazione (es. dimensioni, altre persone che condividono lo spazio, livelli di rumore, illuminazione adeguata, postazioni ergonomiche);
– se il lavoratore ha accesso a sistemi e informazioni pertinenti (ad esempio posta elettronica, unità elettroniche condivise, database, maggiore sicurezza sui sistemi pertinenti e indicazioni per operare in sicurezza da casa);
– la necessità di un supporto continuo per l’uso di apparecchiature e software IT (ad esempio strumenti per conferenze online);
– la potenziale necessità di consentire ai lavoratori di portare a casa temporaneamente attrezzature che utilizzano al lavoro o di fornire attrezzature aggiuntive (ad esempio computer, monitor di computer, tastiera, mouse, sedia ergonomica, poggiapiedi, lampada, stampante, auricolare);
– la necessità di una guida per la creazione di una postazione di lavoro domestica ergonomicamente adatta (ad esempio, consentendo una buona postura e incoraggiando movimenti frequenti);
– rischi psicosociali;
– impatti sulle assicurazioni personali o sulla casa e sulle passività fiscali.
L’organizzazione dovrebbe, poi, fornire ai lavoratori linee guida su cosa fare se il lavoratore o qualsiasi membro della sua famiglia è esposto o contrae il COVID-19 ed è tenuto all’autoisolamento.
L’ente deve informare i lavoratori e le altre parti interessate in merito a: misure e controlli generali di sicurezza; modalità di lavoro richieste, tenendo conto delle esigenze dei singoli e dei gruppi di lavoratori; cosa ci si aspetta da loro; cosa possono aspettarsi dall’organizzazione; come segnalare dubbi o incidenti di sicurezza.
In conclusione si sottolinea l’importanza della ISO/PAS 45005 poiché risulta applicabile a tutte le imprese/enti/organizzazioni indipendentemente dalla natura dell’attività, dalla fornitura di servizi, dalle dimensioni o dalla complessità.
FONTE: http://www.salvisjuribus.it/nuove-linee-guida-in-tema-di-salute-e-sicurezza-durante-la-pandemia-da-covid-19/
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
Lo scorso anno le assunzioni nel settore privato hanno registrato una “forte contrazione” rispetto al 2019. Lo rileva l’osservatorio sul precariato dell’Inps, sottolineando che le assunzioni attivate dai datori di lavoro privati nel 2020 sono state 5.028.000. Il calo è stato del 31% ed è stato causato dagli effetti dell’emergenza sanitaria da Covid-19. Per effetto del blocco dei licenziamenti le cessazioni di rapporti di lavoro sono diminuite del 20%. Le cessazioni sono state in complesso 5.688.000. Inoltre, tra il primo aprile 2020 e lo scorso 28 febbraio il numero totale di ore di cassa integrazione per emergenza sanitaria autorizzate è risultato pari a 4,396 miliardi. Di queste 1,980 mld sono ore di Cig ordinaria; 1,501 mld per l’assegno ordinario dei fondi di solidarietà e 914,2 milioni di Cig in deroga.
La contrazione delle assunzioni, spiega l’istituto di previdenza, è stata particolarmente negativa ad aprile (-83%) e poi si è progressivamente attenuata in corrispondenza dell’allentamento delle misure restrittive nei mesi estivi, scendendo sotto il 20% fino ad ottobre, per poi risalire contestualmente alla terza ondata della pandemia che ha richiesto l’adozione di nuove misure restrittive tanto che a novembre si è registrata una flessione del 25% e a dicembre (ma è un dato provvisorio) del 42%.
Il calo ha riguardato tutte le tipologie contrattuali, risultando però più accentuato per le assunzioni con contratti di lavoro a termine. Dati gli effetti diffusi e trasversali, la flessione ha riguardato nei primi due trimestri le assunzioni per tutte le classi dimensionali e per tutte le tipologie orarie.
Nel terzo trimestre l’Inps rileva, rispetto allo stesso periodo del 2019, una crescita delle assunzioni stagionali in tutte le classi dimensionali e in tutte le tipologie orarie (effetto del ritardo provocato dalle mancate assunzioni nel secondo trimestre) e delle assunzioni con contratto intermittente nelle piccole imprese. Nel quarto trimestre la flessione risulta di nuovo generalizzata a tutte le classi dimensionali e tipologie orarie.
Le trasformazioni da tempo determinato nel 2020 sono risultate 553mila, anch’esse in flessione rispetto allo stesso periodo del 2019 (-22%). Nel mese dicembre si è registrata una significativa inversione di tendenza con forte incremento, pari all’82% rispetto a dicembre 2019, evidentemente trainato dalle agevolazioni predisposte dal decreto agosto e in scadenza a fine anno. Le conferme di rapporti di apprendistato giunti alla conclusione del periodo formativo risultano essere aumentate del +9% nel 2020 rispetto al 2019.
Lo scorso anno per effetto del blocco dei licenziamenti le cessazioni di rapporti di lavoro sono diminuite del 20%. Le cessazioni sono state in complesso 5.688.000.
La diminuzione rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, sottolinea l’istituto di previdenza, è stata particolarmente accentuata per i contratti a tempo indeterminato e di apprendistato nel periodo marzo-dicembre 2020 (pari rispettivamente a -29% e -31%). A questo scopo è stata determinante l’introduzione il 17 marzo (decreto Cura Italia), ribadita con la successiva riconferma del 19 maggio (decreto rilancio), del divieto di licenziamento per ragioni economiche.
Questo blocco è stato riconfermato anche dal decreto agosto pur con la previsione di eccezioni (in particolare viene consentito il licenziamento in caso di cessazione dell’azienda). Allo stato attuale ulteriori proroghe ne hanno rinviato lo sblocco al 30 giugno 2021. La contrazione dei licenziamenti economici relativi a rapporti di lavoro a tempo indeterminato è stata, rispetto al corrispondente trimestre dell’anno precedente, pari al -70% nel secondo trimestre, al -59% nel terzo trimestre e pari al -61% nel quarto trimestre.
In valori assoluti i licenziamenti economici relativi a rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono passati da circa 500mila nel 2019 a meno di 250mila nel 2020. Nel contempo, i licenziamenti disciplinari, che nel corso del secondo trimestre erano diminuiti (-31%), nel terzo e quarto trimestre sono aumentati rispettivamente del +32% e del +17%. Su base annua i licenziamenti disciplinari (sempre relativamente ai contratti a tempo indeterminato) sono leggermente aumentati passando da circa 80mila a 85mila.
Infine a dicembre il saldo annualizzato dei posti di lavoro, cioè la differenza tra i flussi di assunzioni e cessazioni negli ultimi dodici mesi, attesta una perdita rispetto al medesimo momento dell’anno precedente pari a 660mila unità. Il risultato finale del 2020 è l’esito di un risultato positivo per i rapporti a tempo indeterminato (+259mila, dato di nuovo in crescita a dicembre per effetto del consistente volume di trasformazioni) e di un risultato nettamente negativo (-919mila, dato di nuovo in peggioramento a dicembre) per l’insieme delle restanti tipologie contrattuali, tra le quali si distingue l’intensa contrazione dei rapporti di lavoro a termine (-493mila). Il saldo annualizzato, in progressiva flessione già nel corso della seconda metà del 2019, è diventato negativo a febbraio dello scorso anno (-27mila) ed è peggiorato a causa della caduta dell’attività produttiva conseguente all’emergenza sanitaria a marzo (-283mila) e ancor di più ad aprile (-623mila). La dinamica negativa è proseguita, seppur con un ritmo in progressivo rallentamento, raggiungendo il valore massimo a giugno (-812mila). A luglio si è avviata un’inversione di tendenza (-758mila) proseguita lentamente fino a fine anno.
FONTE: https://linformazione.info/articoli/2021/03/19/inps-col-blocco-dei-licenziamenti-cessazioni-in-calo-del-20/
Bataille e la Teoria del valore-lavoro
di Leo Essen
I
In primo luogo Bataille si rivolge al valore-uso, e mostra il suo incardinamento nell’economia ristretta. Dunque, mostra come sia vana la proposta, presente, per esempio, in Pasolini e in Marcuse, di rifiuto del valore-scambio e di un ritorno al valore-uso. Il valore-uso non solo è il puntello del valore-scambio, come pensa Marx, ma è esso stesso, in quanto prodotto, momento di quel processo di valorizzazione che si compie (Aufheben) nel ritorno (ROI) dell’investimento.
In secondo luogo, e soprattutto, Bataille si rivolge proprio all’investimento, mostrando come ogni investimento, in quanto passaggio dall’intenzione all’atto, dalla cattiva possibilità all’attualità, è il momento mediano di un processo che lega l’inizio alla fine, che tiene in pugno, o pretende di tenere in pungo, il futuro.
In terzo luogo, Bataille si volge all’utilità e dice che è utile il prodotto che non ha altre possibilità se non quelle computate dall’inizio, e che dunque l’utilità del neo-classicismo pone il mercato, e non viceversa.
L’operaio, dice Bataille, produce un bullone per il momento in cui il bullone servirà a sua volta a montare una macchina di cui qualcun altro godrà sovranamente, nelle sue passeggiate contemplative.
Non bisogna leggere in questa posizione il disprezzo per il lavoro manuale che si trova, per esempio, in Oscar Wilde. Bataille non vuol contrapporre il lavoro manuale al lavoro artistico o intellettuale e dire che il lavoro manuale è servile mentre il lavoro artistico o il lavoro di ingegno è libero (sovrano). Non vuole nemmeno dire che il lavoro manuale è asservito alla direzione di un altro, del padrone, mentre il lavoro artistico è autonomo.
L’artista controllerebbe tutto il processo di produzione. Qui non è in gioco la riappropriazione e il controllo dei mezzi di produzione o del progetto che guida la produzione. L’artista sarebbe colui che, anche quando non controlla il mezzo di produzione, controlla il progetto dall’inizio alla fine, decide le linee guida dell’operazione, imposta il quadro entro cui tutto si ordina e si muove, realizza ciò che autonomamente pensa, non è asservito ad alcun padrone.
Non si tratta di tutto ciò. Bataille vuol mostrare l’asservimento del presente al futuro. La produzione del bullone – il presente – si incardina in un progetto – la macchina – in cui, dice, il tempo presente è utilizzato a profitto dell’avvenire. Ciò che qui è posto in discussione è il concetto di produzione e di produttore, dunque di genio, di artista, di opera, di lavoro. Non si salva nessuno. Il produttore è servo, è servo di un padrone, il padrone è il progetto, l’idea, il fine, la causa.
Il produttore è votato a una causa, è servo della causa, che questa causa si chiami arte o si chiami capitalismo, o si chiami comunismo, la musica non cambia, nemmeno quando la causa è scelta liberamente.
In questo quadro Bataille non distingue tra Capitalismo e Comunismo. Il comunismo, con il controllo dei mezzi di produzione, non è altro che un perfezionamento del capitalismo. Anche nel Comunismo il futuro non è aperto, ma è chiuso sul presente, l’obiettivo è l’accumulazione, il progetto, il piano quinquennale, eccetera.
In modo ancora più stringente Bataille dice che appena mi pongo, appena parlo, l’immensità diventa qualche cosa di cui posso parlare, qualche cosa che mi parla. E bene ribadire subito che l’immensità di cui qui si parla, coincide perfettamente con ciò che Bataille chiama Sovranità. Provvisoriamente si può intendere per Sovranità l’infinito. Poi, come si vedrà, le cose sono più complicate.
Per adesso mi accontento di questa definizione provvisoria di Sovranità, come del senza limite.
II
Come si esce dall’infinito?
Bel problema.
In linea con Hegel, Bataille dice che l’uomo (ma qui è ancora prematuro parlare di uomo, meglio parlare di infinito. L’infinito non ha di fronte niente, altrimenti non sarebbe infinito), l’infinito, si scinde, l’uno diventa due, e si pone in attesa. L’attesa è durata, o, dice Bataille, la durata è attesa. L’uomo, dice, è sempre più o meno angosciato, perché è sempre in attesa: in un’attesa che dobbiamo chiamare attesa di sé. Questa attesa o questa scissione pone anche termine all’infinito, alla sovranità. L’uomo in quanto prodotto (creatura) di se stesso, si pone nella concatenazione di cause ed effetti. Come il ciabattino fa la scarpa, Dio creò il mondo. Se mi pongo come oggetto, oggettivo anche l’immensità. Dio diventa uomo (Feuerbach). Quindi l’immensità mi trascende. Non è più quel NIENTE in cui io stesso ero NIENTE (non essendo oggettivati né l’uno né l’altra): l’immensità diventa qualche cosa di cui posso parlare, qualche cosa che mi parla.
Un oggetto distinto porta in sé la negazione di ciò che lo determina. Mi tratto io stesso come un oggetto, lavorando al mio proprio servizio. L’uomo si pone, si aliena, si semina, attende, e poi si raccoglie. L’uomo appare in questo circolo creativo, e in questo circolo è un servo, ripreso nella catena delle cause e degli effetti, catena non infinita, ma indefinita, che sfugge alla presa.
Bataille si installa in ciò che Hegel chiama negazione determinata. Tutto il mondo che Bataille definisce servile è il mondo della Negazione Determina. Sottrarsi alla Negazione (determinata) significa sottrarsi al servilismo. Negazione Determinata è anche il nome della dilazione, della Differenza.
Di Hegel, che disperava di poter trovare una strada che conducesse fuori dalla Negazione Determinata, conosciamo la geniale soluzione.
L’assoluto si dilacera, si sdoppia – si aliena – a partire non da una forza o da un urto, ma piuttosto da una spinta interna, né sincronica né diacronica, forse anacronica. Il travaglio dello sdoppiamento del medesimo in sé e nell’altro da sé – nel sé e nella sua negazione (determinata) – si conclude (finisce) nella negazione di ciò che, essendo determinato, negava il sé, limitandone la libertà. Il toglimento di questo limite – negazione della negazione – si conclude con il ripristino della libertà assoluta, arricchita del travaglio della negazione determinata. Alla fine si ritrova quell’assoluto che era all’inizio. Chi porta il peso del travaglio è l’alienato, chi diventa corpo e carne, e dunque storia e cultura, teoria e pressi, è ancora l’alienato.
La teleologia non si aggiunge dall’esterno. La teleologia si dispiega nella dilacerazione: il medesimo diventa unità di sé e di se stesso differito.
In Hegel, l’inizio – che non è un inizio; se fosse tale si cadrebbe nel cattivo infinito – è l’indeterminato. Indeterminato vuol dire che non c’è alcuna posizione, dunque nessuna opposizione. Non c’è forza e contro forza, spinta (trieb), pulsione e repulsione. Non c’è processo, non c’è storia, non ci sono soggetto e oggetto. L’inizio è assoluto – è libero. Una libertà che non ha cognizione di se stessa, perché c’è perfetta coincidenza e presenza a sé del presente. Nessuna dilazione o attesa, promessa, preghiera. Non c’è soggetto. Non c’è NIENTE. Ecco perché è vano porre il geopolitismo come origine del conflitto. All’origine tutto è uguale a NIENTE.
Il sovrano è libero dalla subordinazione alla Negazione (determinata). Non essendo determinato, non avendo un fuori – o un dentro – il sovrano è niente. Non è prassi, perché la prassi o è determinata o non è prassi. E non è nemmeno teoria, perché anche la teoria ha il suo oggetto teorico.
Il mondo delle cose o della pratica, dice Bataille, è il mondo nel quale l’uomo è asservito, o semplicemente nel quale egli serve a qualche cosa, che sia o no il servitore di un altro. L’uomo vi è alienato, è anche lui una cosa, in quanto serve. Anche la teoria è servile. La conoscenza è servile. Perché conoscere, dice Bataille, vuol dire sforzarsi, lavorare, indefinitamente ricominciare, indefinitamente ripetere. La conoscenza non è mai sovrana: per essere sovrana dovrebbe prodursi nell’istante. Ma l’istante resta aldilà o aldiqua di ogni sapere. L’istante è miracoloso – è il miracolo in cui l’attesa si risolve in niente, distaccandoci dal suolo su cui strisciavamo, incatenati all’attività utile. Il pensiero, subordinato a un risultato previsto, totalmente asservito, cessa di essere quando è sovrano – solo il non sapere è sovrano.
Il mondo della pratica è il mondo nel quale l’uomo è alienato, è anche lui una cosa, in quanto serve. Il nostro, dice Bataille, è un mondo di concatenazioni nella durata, e non mondo dell’istante. La concatenazione è guidata da un progetto, e il progetto, l’idea, è ciò che conosciamo. È per ciò, dice, che non conosciamo mai così bene se non l’oggetto di cui conosciamo il processo di produzione, e lo consociamo perché nel processo si ripete ciò che era nel progetto, nella produzione osserviamo ripetersi o riprodursi il progetto.
III
Il servo è il lavatore, il produttore. Il sovrano non può produrre. Non ha niente fuori di sé, non è alienato. La produzione pretende l’alienazione. Si sviluppa in un ordine in cui domina la negazione (determinata).
Quando, nella Lettera sull’umanismo Heidegger dice che se si vuole avere un dialogo produttivo col marxismo, bisogna cominciare a considerare che il materialismo di Marx non sta nell’affermare che tutto è solo materia, ma sta piuttosto in una determinazione metafisica per la quale tutto l’ente appare come materia da lavoro – tutto l’ente, compreso l’uomo – bisogna prenderlo alla lettera. E rifuggire da considerazioni che sterzano dalla produzione verso l’alienazione, la disperazione, il cinismo, la psicologia, eccetera. L’uomo nel comunismo, o nel socialismo, sta ancora sotto questa determinazione. Per capire cosa Heidegger intende con Tecnica, bisogna porre attenzione al lavoro, alla poiesis.
Come il ciabattino fa la scarpa, Dio creò il mondo.
In che modo il ciabattino fa la scarpa?
Il ciabattino ha costruito la scarpa nella sua testa prima di costruirla in cuoio. Alla fine del processo lavorativo emerge un risultato che era già presente al suo inizio nella idea del lavoratore, che quindi era già presente idealmente. Non che egli effettui soltanto un cambiamento di forma dell’elemento naturale; egli realizza nell’elemento naturale, allo stesso tempo, il proprio scopo, da lui ben conosciuto, che determina come legge il modo del suo operare, e al quale deve subordinare la sua volontà. E questa subordinazione non è un atto isolato. Oltre lo sforzo degli organi che lavorano, è necessaria, per tutta la durata del lavoro, la volontà conforme allo scopo, ossia il lavoro stesso, l’oggetto del lavoro e i mezzi del lavoro.
Così si esprime Marx nel Capitale. Il tema era stato affrontato in modo più esteso nell’Introduzione del 57, dove Marx mostra esplicitamente il legame con Aristotele.
Nell’Introduzione, con un linguaggio aristotelico, Marx propone questo argomento. Una ferrovia sulla quale non si viaggi e che quindi non si logori e non venga consumata, è soltanto una ferrovia δύναμει (in potenza), e non in realtà.
Senza produzione, dice Marx, non vi è consumo. Ma, dice, non vi è nemmeno una produzione senza consumo, giacché a questo modo la produzione sarebbe senza scopo. Il consumo produce la produzione in duplice modo:
1) in quanto solo nel consumo il prodotto diviene un prodotto effettivo. Per esempio, un vestito non diviene realmente un vestito che per l’atto di portarlo; una casa che non è abitata, non è in fact una vera casa; il prodotto, quindi, a differenza del semplice oggetto naturale, si afferma e diviene prodotto solo nel consumo. Dissolvendo il prodotto, il consumo gli dà il finishing stroke (l’ultimo perfezionamento).
2) Il consumo produce la produzione in quanto crea il bisogno di una nuova produzione e quindi nel motivo ideale che è lo stimolo interno della produzione; esso crea anche l’oggetto, che esige nella produzione determinandone lo scopo. Se è chiaro che la produzione offre esteriormente l’oggetto del consumo, è perciò altrettanto chiaro che il consumo pone idealmente (ideal setz) l’oggetto della produzione, come immagine interiore, come bisogno, come impulso (trieb) e come scopo. Esso crea gli oggetti della produzione in una forma ancora soggettiva. Senza bisogno non vi è produzione. Ma il consumo produce il bisogno.
A ciò corrisponde da parte della produzione che essa: 1) fornisce al consumo il materiale, l’oggetto. Un consumo senza oggetto non è un consumo. 2) ma non è soltanto l’oggetto che la produzione fornisce al consumo. Essa dà anche al consumo la sua determinatezza, il suo carattere, il suo finish. Allo stesso modo che il consumo dava al prodotto il suo finish come prodotto, la produzione dà il suo finish al consumo. Innanzitutto, dice Marx, l’oggetto non è un oggetto in generale, ma un oggetto determinato, che deve essere consumato in un modo determinato, in un modo ancora una volta mediato dalla produzione stessa. La fame è la fame, ma la fame che si soddisfa con carne cotta, mangiata con coltello e forchetta, è una fame diversa da quella che divora carne cruda, aiutandosi con mani, unghie e denti. La produzione non produce perciò solo l’oggetto del consumo ma anche il modo di consumo, essa produce non solo oggettivamente ma anche soggettivamente. La produzione crea quindi il consumatore. 3) La produzione fornisce non solo un materiale al bisogno, ma anche un bisogno al materiale. Quando il consumo emerge dalla sua immediatezza e dalla sua prima rozzezza naturale – e l’attardarsi in questa fase sarebbe ancora il risultato di una produzione imprigionata nella rozzezza naturale – esso stesso come impulso è mediato dall’oggetto, e il bisogno di quest’ultimo che esso prova è creato dalla percezione dell’oggetto. La produzione produce quindi il consumo a) creandogli il materiali; b) determinando il modo di consumo; c) producendo come bisogno nel consumatore i prodotti che essa ha originariamente posto come oggetti. Essa produce perciò l’oggetto del consumo, il modo di consumo e l’impulso al consumo. Allo stesso modo, il consumo produce la disposizione del produttore, sollecitandolo in veste di bisogno che determina lo scopo della produzione.
Non solo la produzione fornisce l’oggetto esterno del consumo, il consumo fornisce l’oggetto rappresentato della produzione; ma ciascuno di essi – oltre ad essere immediatamente l’altro e il mediatore dell’altro – realizzandosi crea l’altro, si realizza come l’altro. Il consumo porta a compimento l’atto di produzione, perfezionando il prodotto come prodotto, dissolvendolo, consumando in esso la forma oggettiva, indipendente; facendo maturare e divenire abilità, mediante il bisogno della ripetizione, la disposizione sviluppata nel primo atto di produzione; esso non è quindi l’atto conclusivo in virtù del quale il prodotto diviene prodotto, ma anche l’atto in virtù del quale il produttore diviene produttore.
Marx si muove con molta scioltezza dentro il circolo hegeliano e riproduce lo schema triadico: progetto, produzione, consumo. Una ferrovia sulla quale non si viaggi e che quindi non si logori e non venga consumata, è soltanto una ferrovia δύναμει (in potenza), e non in atto: non è una vera ferrovia. La verità deve subire il passaggio attraverso una determinazione. La ferrovia deve essere prodotta, l’idea deve diventare corpo, perché solo un corpo effettivo può dare prova della sua (dell’idea) consistenza, e dà questa prova consumandosi, risolvendosi.
La tecnicizzazione del mondo non significa niente altro che porre la
lA LETTURA PROSEGUE QUI: https://www.sinistrainrete.info/filosofia/19989-leo-essen-bataille-e-la-teoria-del-valore-lavoro.html
POLITICA
La filosofia del potere
17 03 2021
Nessuno avrebbe mai immaginato che il premier Mario Draghi avrebbe potuto scegliere come Capo di Gabinetto Antonio Funiciello, cultore della Politica come Arte, estimatore di Nicolò Machiavelli, insomma non proprio uno appassionato della Civiltà della Tecnica. La lettura del Draghi direttore di Banca era troppo fallace, e in quest’ottica la nomina di Funiciello è quanto meno calzante. Questo infatti vanta di un curriculum Politico, speso sia all’interno dell’istituzione partitica, già responsabile nel 2013 dell’area cultura e comunicazione del Partito Democratico, sia alla direzione della rivista di uno dei potentati più influenti dello Stato Profondo Italiano: Leonardo. Già Capo di Gabinetto di Paolo Gentiloni, Antonio Funiciello è uno di quelli che “le mani in pasta” le ha avute davvero, per questo la sua produzione letteraria è particolarmente interessante: si tratta del pensiero filosofico di un uomo che conosce alcune dinamiche del potere, e di forma mentis simil-anglosassone possiede il profilo culturale dell’uomo che sa come sussurrare al premier. Per capire come la nomina di Funiciello sia particolarmente conforme ad un’interpretazione messianica del mandato draghiano basta leggere il sottotitolo del suo ultimo libro, Il Metodo Machiavelli. Il leader ed i suoi consiglieri: come servire il potere e salvarsi l’anima. Una sentenza iconica, che rende subito nota la natura escatologica dell’esercizio del potere da parte di un vero potente, annullando quella narrazione scandalistica ed economicistica della potenza, spesso anche stupidamente funzionale al mantenimento di questa da parte dei gruppi che la esercitano. Il potere è intimo, lo si legge negli occhi, non nel conto in banca, in questo passaggio Funiciello sciorina le impressioni maturate sui vari capi di Stato che ha potuto incontrare nella veste di osservatore-consigliere:
“Al seguito del Presidente Gentiloni ho incontrato, talora in più di un’occasione, i principali attori dello scenario globale. […] Ricordo l’intelligenza politica di Angela Merkel: di certo non esiste altro leader europeo in questo momento ad avere il suo grado di consapevolezza dei tempi che viviamo. Anche l’eccezionalità di Donald Trump mi ha molto impressionato e continuo a pensare che siano numerosi i fili che legano la sua America a quella del suo predecessore. Ho stimato Theresa May.”
Antonio Funiciello
Il potere è quindi rispetto e autorevolezza, è sentirsi fra i pochi capaci di incidere sul Mondo, al di sopra di un volgo inetto ai fini della Storia. D’altronde il potere che intende Funiciello ha come riferimento assoluto Nicolò Machiavelli, statista, politico, consigliere e filosofo toscano del nostro Rinascimento. Spesso ridotto a mero sistematizzatore dell’intrigo e del cinismo politico, avendo anche l’ardore di nominare ciò “Scienza Politica”, il pensiero di Machiavelli è sicuramente più vasto e complesso. Oggi che anche i media si dilettano nel dispensare patenti di machiavellismo al primo politico che si mostra leggermente spregiudicato, l’opera di Funiciello, se ben interpretata, ci restituisce anche la vera chiave di lettura del pensiero machiavelliano. Il Principe, descritto dal pensatore rinascimentale nell’opera omonima, non è solamente l’incarnazione della massima che il fine giustifichi i mezzi, bensì è un individuo elevato, capace ed incaricato di imprimere il moto alla Storia, cinismo e capacità di essere manovratore sono solo elementi strumentali, atti a mantenere un ruolo sociale-metafisico di motore degli eventi e guida delle masse, non come capo-popolo certo, come vorrebbero alcune riletture forzatamente moderne, bensì come dominus. Quello che vuole farci capire Funiciello è che il potere sostanzialmente non è cambiato e mantiene la sua connotazione esoterica.
“Narendra Modi, per esempio; nessuno come lui mi ha dato l’idea di sapere perfettamente quale posto occupa nel mondo la nazione che guida. Xi Jinping è invece sicuramente il leader globale più visionario; il suo progetto di rilancio della Via della Seta, associato al tradizionale atteggiamento cinese sul Pacifico, rendono la Cina l’unica nazione ad avere una vera strategia di governo del pianeta […] Complessivamente i leader orientali mi sono sembrati un gradino sopra i colleghi occidentali”.
Antonio Funiciello
In quest’ottica, non è assolutamente un caso che Funiciello decanti l’autorevolezza, pur dovendosene discostare dal punto di vista delle decisioni politiche, dei leader orientali come Narendra Modi e Xi Jinping, definito un vero visionario. Sono società, quelle afferenti ai due statisti menzionati, che ancora mantengono un’organicità di fondo fra Società e Spirito. La Cina secondo Funiciello, attraverso il suo leader, è l’unico Paese ad avere una strategia di governo del Pianeta, una vera e propria Missione di civiltà insomma. Addentrandoci nell’opera di Funiciello, pagina dopo pagina, riusciamo ad intravedere la sottesa natura primordiale del potere quando l’autore indica la prima esperienza di gabinetto ministeriale ante-litteram della storia:
“Il più antico staff della storia fu messo insieme, duemila anni fa, da un maestro di legge mosaica originario della Galilea, che con la sua buona novella avrebbe cambiato per sempre la storia dell’umanità. Prima di cominciare la sua missione, infatti, Gesù di Nazareth sceglie dodici uomini che gli stiano accanto e lo supportino durante il suo ministero”.
Antonio Funiciello
Gesù di Nazareth come Ministro rivoluzionario, i dodici come un vero e proprio staff, scrupolosamente selezionati sia per la loro adesione alla missione del leader, quanto per la loro conoscenza dei meccanismi di potere della società palestinese. Quello di Funiciello non è un maldestro tentativo, sul filo del sacrilegio, di ricondurre il potere dei Capi di Gabinetto e dei Consiglieri ad un’origine biblica, quanto un’ulteriore conferma che il potere, quello vero, è una tradizione atavica, di natura filosofica ed ideale. L’elogio dell’arte di consigliare ovviamente è riconducibile al ruolo stesso di Funiciello, la sua riflessione non si ferma infatti alla decantazione di un potere monolitico. Il vero potente è in grado di condividere il potere, di essere coadiuvato e soprattutto di delegare la propria potenza. D’altronde come il Cristo condivise pane e vino dopo avervi attinto, così il vero leader è tale se coinvolge ed investe del suo potere anche i più prossimi nella sua cerchia. Il machiavellismo, inteso nel senso più volgare di cinismo politico, rimane lo strumento fondamentale per mantenere l’investitura al potere. Pur se tale pratica porta il nome di un uomo di carne, Nicolò Machiavelli, primo ad averne dato una trattazione moderna, guai a ridurre tale strumento ad una dimensione prettamente umana. In una sua opera più datata (2011), Il Politico come Cinico, Funiciello ribadisce, richiamandosi alla tradizione classica, come la Politica sia un dono del dio Zeus: un’arte, amalgama di di pudore (aidos) e giustizia (dike). Il cinismo diventa misura prometeiana: insofferenza dell’uomo investito di un potere che è sacro, ma abbassato al volere umano.
Così, secondo Funiciello, i filosofi cinici greci sono i primi a mettere in discussione il potere così come confezionato dal mandante divino. Secondo il Capo di Gabinetto, oggi l’Occidente differisce dal resto del globo per aver abbracciato questa mentalità: il Cinismo, dalle nostre parti, si è reso Spirito del Mondo: “Dicerto il cinismo è il vero filo rosso che percorre la storia dell’occidente, da Atene a Washington. Quello occidentale è un destino cinico.” Funiciello oltre che filosofo del potere ne è anche però esperto materiale, tornando ai Palazzi romani, scopriamo come egli si senta parte di quell’eterìa che ancora comprende l’importanza sacrale del potere ed intenta nella sempiterna lotta fra chi il potere lo vede come interesse di bottega. Lo staff di Palazzo Chigi, in Il Metodo Machiavelli, è descritto come fra i meno numerosi al mondo, il potere del Premier italiano fra i meno venerati e rispettati, spesso al centro di disegni volti a limitarlo. Funiciello, di questa pratica ne è stato diretto interessato, quando da buon Capo di Gabinetto, proteggeva il suo potente, Paolo Gentiloni, all’epoca Presidente del Consiglio, dai luogotenenti dello stesso leader che aveva benedetto il suo insediamento a Chigi, Matteo Renzi.
Ai tempi il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ruolo che dovrebbe essere fra i più autorevoli consiglieri del Premier, era Maria Elena Boschi, braccio destro di Renzi ed intenzionata a far pesare ancora una cerchia che aveva dovuto, perlomeno di facciata, ritirarsi dall’esercizio del potere proprio per volere del suo leader. Anche nel Governo Conte I, Funiciello segnala il prosieguo di una pratica, disdicevole quanto masochista per lo stesso potere dello Stato, quella di insediare come sottosegretario, Giancarlo Giorgetti in questo caso, una personalità con il compito di limitare e sottrarre potere al Presidente più che parteciparvi e consigliarlo. La morale finale della filosofia funicelliana è semplice: il potere non è materiale, il potere è condizione dell’anima, è un’arte antica e veramente compresa da pochi, incaricati anche di proteggere i potenti da chi non ha lo stesso rispetto di questa antica arte. Come narrato anche da Giuseppe Salvaggiulo nel suo libro “Io sono il Potere”: Il Capo di Gabinetto rimane l’unico guardiano del potere nobile.
Stiamo creando una “cellula redazionale di media intelligence” che faccia ricerca e sviluppo, monitoraggio e produzione di contenuti, che sia strettamente collegata all’attualità profonda, che dialoghi in codice con attori più o meno istituzionali, che sia in grado di capire i retroscena e indicare gli scenari del futuro, in politica estera come in politica interna, fino a controllare la scacchiera informativa. Raccogliamo candidature su questo indirizzo postale scrivipernoi@lintellettualedissidente.it. Mandateci una mail con le seguenti informazioni: 1) CV allegato 2) Un commento all’articolo che trovate sul sito intitolato “Il linguaggio del potere” 3) La vostra rassegna stampa quotidiana nazionale ed internazionale 4) Le vostre letture sul tema del “linguaggio del potere” 5) Un contatto telefonico. Sarà nostra cura rispondervi personalmente, ed eventualmente ricontattarvi.
FONTE: https://www.lintellettualedissidente.it/non-categorizzato/la-filosofia-del-potere/
STORIA
Dialogo con il giornalista e scrittore RUGGIERO CAPONE.
Tema:
‘Viene eliminato su mandato dei poteri finanziari francesi, e dopo che aveva allocato i fondi sovrani libici nel sistema bancario francese. La menzogna del tranquillo e dorato esilio, promesso dai servizi di sicurezza francesi”. Conduce STEFANO BECCIOLINI
<<… I tentativi di uccisione di Gheddafi pare siano stati più di una ventina da parte dei servizi segreti occidentali. Gheddafi aveva trasformato la Libia in una Repubblica socialista. ..>>
<<… Secondo quanto riportato nelle mail della Clinton, il governo Sarkozy avrebbe attaccato il regime di Gheddafi in quanto il Rais sarebbe stato intenzionato a soppiantare il franco africano il CFA. La sintesi della mail era che le grosse riserve d’oro e d’argento di Gheddafi stimata in 143 tonnellate, erano un pericolo concreto
per la sopravvivenza dello stesso franco
CFA. Una nuova valuta avrebbe potuto dare ai paesi dell’africa francofona un’alternativa con cui arrivare all’indipendenza economica dalla Francia…>>
Puoi ascoltare e/o scaricare il Podcast della trasmissione
https://www.spreaker.com/episode/43958605?utm_medium=widget&utm_term=episode_title&utm_source=user%3A13687221
FONTE: https://www.becciolininetwork.com/2021/03/19/19-mafzo-2011-guerra-alla-libia20-ottobre-2011-lomicidio-gheddafi/
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