RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 1 LUGLIO 2021

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RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI

1 LUGLIO 2021

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

 Esistiamo ancora. Ma ci riusciamo solo a metà.

ERNST BLOCH, Eredità del nostro tempo, Il SAGGIATORE,, 1992, PAG. 13

 

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SOMMARIO

“LE COSTITUZIONI”: LA CASA DEL POPOLO EBRAICO (VIDEO)
È clima bellico. Bertolaso preannuncia i carabinieri nelle abitazioni!
“I vaccini aiutano il virus, ma sarà caccia ai non vaccinati”
La minaccia più grande: il complesso pandemico-industriale
La pittoressa Fede Galizia, mirabile ma non “mediatica”
L’Uomo come inganno
Con la prima donna transgender ai Giochi Olimpici inizia la morte dello sport femminile
El-Alamein: la battaglia che consacrò il valore del soldato italiano
Blinken esorta gli alleati a “rimpatriare” e “riabilitare” i terroristi stranieri dell’ISIS
Così l’Unione Europea strumentalizza gli LGBTQI+ ungheresi
Yalta II: il Pentagono ha già ordinato armi per Al Qaeda
Perché il raid Usa tra Iraq e Siria è un messaggio all’Iran
Storia di Donald Rumsfeld, architetto delle guerre in Iraq e Afghanistan
La NATO minaccia la Russia: ragioni del declino
Riccardo Muti: stanco della vita
MARCO CARRAI VINCE IN CASSAZIONE
Il Pentagono ha costituito Forze Speciali segrete più potenti di quelle della CIA (Newsweek)
Draghi: resta la farsa-Covid, ma in cambio stop al rigore
Facebook ora censura anche il cippo di El Alamein. Ma dopo le proteste si scusa
PSICOPATOLOGIA DI UN VIRUS
Cashback finito: cosa fare per avere i rimborsi
Il Tribunale di Pisa dichiara l’illegittimità dello Stato di emergenza sanitaria.
IL LAVORO NON È UNA VARIABILE INDIPENDENTE
Avrebbe dovuto dirlo El Papa
Usa, sì alla rimozione delle statue sudiste dal Campidoglio: “Sostituite da neri”
Quando l’inimmaginabile diventa immaginabile
La dottrina Rumsfeld/Cebrowski
Un dubbio sugli “anti-sistema” da Trump a Bergoglio…
Giganti in Sardegna: scheletri di 4 metri spariti nel nulla
La battaglia di El Alamein
Colpiti e divorati dagli squali: l’orribile fine di 651 italiani
“Prima dobbiamo attaccare la Russia”

 

 

EDITORIALE

“LE COSTITUZIONI”: LA CASA DEL POPOLO EBRAICO (VIDEO)

Nuova puntata con “Le Costituzioni”. Manlio Lo Presti ci spiega il primo articolo della Costituzione di Israele che cita: “Israele è uno Stato ebraico ed è la casa del Popolo Ebraico, nella quale il popolo ebraico intende portare a compimento il desiderio di autodeterminazione, secondo la propria eredità storica e culturale”.

VIDEO QUI: https://youtu.be/9AOkKogXVUs

FONTE: http://opinione.it/cultura/2021/06/30/redazione_le-costituzioni-manlio-lo-presti-primo-articolo-costituzione-stato-israele-popolo-ebraico/

 

 

 

IN EVIDENZA

È clima bellico. Bertolaso preannuncia i carabinieri nelle abitazioni!

Enrica Perucchietti – 27 06 2021

È clima bellico. Bertolaso preannuncia i carabinieri nelle abitazioni! – Enrica Perucchietti Nella puntata di “FAKE NEWS” di questa settimana ENRICA PERUCCHIETTI denuncia e analizza

 

VIDEO QUI: https://www.youtube.com/watch?v=hRgwrac_IE0

FONTE:  https://youtu.be/hRgwrac_IE0

“I vaccini aiutano il virus, ma sarà caccia ai non vaccinati”

Pensate a cosa è stata, la sinistra: quella del “vietato vietare”, dell’Immaginazione al Potere, del Sessantotto, del pensiero libertario. Quelli che erano i seguaci di Michel Foucault e della bipolitica sono diventati gli sbirri della Big Pharma. E’ un ribaltamento incredibile: uno come Galli, che faceva il Katanga e che adesso fa lo sbirro, che cos’è? Cosa gli è successo, nella testa? Ai sessantottini che oggi fanno gli sbirri dell’Oms e delle multinazionali, cosa è successo? Me lo chiedo io, che sono un uomo di destra che è stato sessantottino. Si possono dare delle spiegazioni: il pensiero totalitario è rassicurante; non porsi domande è rassicurante. Nel caso dei vaccini e del Covid, non porsi domande è fondamentale: perché se io mi sono fatto il vaccino e comincerò ad ammalarmi, dovrò far parte delle squadre di sicurezza nazionale che andranno a cercare i non vaccinati.

Il cosiddetto untore della nuova “variante indiana”, o “Delta”, è un vaccinato con doppia dose? Non importa: verrà detto che il “vaccinato buono” si è preso la “variante Delta” da un non vaccinato, che l’ha portata da chissà dove.

Meluzzi

 

 

 

 

 

Quindi:

i buoni vaccinati si ammalano, per colpa dei non vaccinati che importano le varianti. Ovviamente è una farsa incredibile, ma sarà così: vi giuro che questa sarà la spiegazione, sono pronto a mettervelo per iscritto. Comparirà un Burioni, o un Rezza, che dirà: sono i non vaccinati, che importano le varianti e fanno ammalare quelli che, generosamente, si sono vaccinati.

E quindi bisogna andarli a stanare e portarli nei campi di concentramento, nei container.

Questo ci dirà, Figliuolo, tra poco: che i non vaccinati devono andare nei container per non far ammalare i vaccinati. La cosa si interromperà soltanto qualora la catastrofe diventasse totale.

Però bisogna prepararsi, a questo.

Da vecchio medico, voglio aggiungere una cosa: dissi dall’inizio che non si è mai riusciti, a fare un vaccino a Rna, perché i virus Rna mutano continuamente. Nella loro mutazione, però, tendono a perdere potenza. Così è finita la Spagnola, insieme a tante influenze virali. E invece cosa succede, in questo caso? Succede che, anziché trasformarsi in una tranquilla, quieta endemia stagionale, questo virus viene continuamente ri-alimentato: l’hanno detto il professor Tarro, il professor Montagnier, il professor Raoult. Hanno spiegato: se continuiamo a cimentarlo, questo virus, attraverso nuove iniezioni anticorpali con tecniche diverse, questa cosa è fatta per non finire mai (che è quello che qualcuno vuole, evidentemente). Quindi: una vaccinazione di massa di ogni sei mesi, poi ogni tre: che è quello che accadrà. E noi non riusciremo a fermare tutto questo, perché il potere che lo sostiene è talmente forte, e la gente ormai talmente convinta, che i non vaccinati dovranno essere convinti per forza: dovranno essere terrorizzati.

(Alessadro Meluzzi a “Radio Radio” il 16 giugno 2021).

La minaccia più grande: il complesso pandemico-industriale

Dr.Joseph Mercola – 28 giugno 2021

Nella conferenza del 22 gennaio 2021, nel video qui sotto, Jonathan Latham, Ph.D., discute quello che ha soprannominato il complesso industriale dei virus pandemici: chi sono, come funzionano e interagiscono con elementi all’interno dei complessi accademici, militari e commerciali, e come hanno cercato di oscurare i fatti che indicano che il SARS-CoV-2 è un virus artificiale che ha avuto origine in un laboratorio.

Ho già intervistato Latham alcune volte. È l’editore di Independent Science News, un sito web che fornisce commenti critici su cibo, agricoltura e biotecnologia. Fa parte del Bioscience Resource Project, un gruppo educativo senza scopo di lucro, di interesse pubblico, co-fondato da Latham e Allison Wilson, Ph.D., che fornisce ricerche e analisi indipendenti sull’ingegneria genetica e i suoi rischi.

Latham sottolinea che attualmente non ci sono dati che suggeriscano un’origine zoonotica naturale del SARS-CoV-2. D’altra parte, ci sono molte prove e dati che suggeriscono che il virus è stato manipolato geneticamente nel Wuhan Institute of Virology (WIV) in Cina. Molte delle ricerche correlate sono state fatte da una scienziata cinese, Shi Zheng-Li, Ph.D.

“Il complesso industriale dei virus pandemici è un insieme interconnesso di società e altre istituzioni che si alimentano e si sostengono a vicenda con beni e servizi in modo auto-rinforzante. ~ Jonathan Latham, Ph.D.”

Latham continua poi riassumendo la teoria del passaggio attraverso i minatori di Mojiang. Questa teoria postula che il virus si sia evoluto all’interno dei corpi di sei minatori che si erano ammalati per una sospetta infezione causata da un nuovo coronavirus nel 2012. Alcuni dei minatori erano rimasti malati per diverse settimane: una quantità di tempo, ritiene Latham, sufficiente perche il virus possa mutare.

I campioni virali dei minatori erano stati inviati al WIV. Latham e Wilson credono che la ricerca su questi campioni sia stata ciò che aveva causato un rilascio accidentale del virus alla fine del 2019.

VIDEO QUI: https://youtu.be/mq9HFlpc2uA

Il complesso industriale dei virus pandemici

Latham descrive il complesso industriale dei virus pandemici come “un insieme interconnesso di società e altre istituzioni che si alimentano e si sostengono a vicenda con beni e servizi in modo auto-rinforzante“. È un’impresa che sfrutta il denaro pubblico per il profitto privato. Latham nota anche che molti di questi partecipanti giocano ruoli inaspettati. Per esempio:

  • Le organizzazioni filantropiche agiscono come manipolatori, influenzatori e centri di profitto
  • Il Dipartimento della Difesa è sia una vacca da mungere che un provocatore
  • Il mondo accademico fornisce relazioni pubbliche attraverso i media tradizionali controllati dalle organizzazioni filantropiche e dall’industria farmaceutica
  • Le organizzazioni accademiche non profit agiscono come riciclatori di denaro

Questi ruoli non tradizionali hanno lo scopo di confondere e camuffare le varie parti in movimento di quella che è una situazione complessa“, dice Latham, “proteggendo così l’insieme dai controlli“. Mentre ci sono molte somiglianze tra il complesso militare-industriale e il complesso industriale dei virus pandemici, c’è un’importante differenza tra i due.

Il complesso industriale dei virus pandemici è rivolto al pubblico, e ci si aspetta che sia benefico e trasparente. Come tale, ha un’immagine di rispettabilità che deve essere mantenuta, ed è per questo che gli accademici e le organizzazioni filantropiche e senza scopo di lucro svolgono ruoli così importanti in questo schema.

Insieme, contribuiscono ad oscurare la vera agenda sotto una patina di rispettabilità e di interesse pubblico. In sostanza, mantengono l’illusione che tutto ciò che sta avvenendo sia per il miglioramento dell’umanità quando, in realtà, si tratta di uno schema di profitto.

Latham ritiene che il complesso industriale del virus pandemico abbia giocato un ruolo decisivo nello sforzo di oscurare la probabile origine della pandemia. Crede anche che questo sia la cornice mancante che aiuta a spiegare la politicizzazione della pandemia.

Precedenti tentativi di oscuramento dei focolai artificiali

Nella sua conferenza, Latham rivede un po’ della storia di questo complesso industriale della pandemia virale. Nel 2014, [la causa di] un’epidemia di Ebola in Africa occidentale era stata definitivamente attribuita ad trasferimento zoonotico da pipistrelli infetti. Secondo un rapporto in EMBO Molecular Medicine (1), il paziente zero sarebbe stato un bambino di 2 anni che aveva giocato con dei pipistrelli nel tronco di un albero abbattuto.

Tuttavia, mentre l’articolo non era riuscito a produrre prove conclusive a sostegno della sua tesi, i media occidentali erano andati avanti con questa storia. In Africa occidentale, tuttavia, si diceva che la vera fonte dell’epidemia fosse un ospedale in Sierra Leone, che ospitava un laboratorio biologico in cui si faceva ricerca su Ebola e sui virus correlati, come il virus della febbre di Lassa.

Questa ricerca era stata in gran parte finanziata dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. La ragione di questo finanziamento era un recente riclassificazione, da parte dei Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie del virus della febbre di Lassa, come sostanza infettiva di categoria A, cioè un agente patogeno che avrebbe potuto essere usato come arma biologica dai terroristi. La ricerca era stata condotta sotto gli auspici del Consorzio per la febbre emorragica virale, guidato dall’Università di Harvard.

Il Consorzio è legato anche ad altre istituzioni accademiche, tra cui l’Università di Tulane, lo Scripps Research Institute, l’Università della California a San Diego, il Broad Institute di Boston e l’Università del Texas, così come una serie di aziende farmaceutiche private. Secondo Latham, le dichiarazioni di alcune delle persone coinvolte nella ricerca suggeriscono che stavano approfittando delle norme di biosicurezza lassiste e inferiori dell’Africa Occidentale.

Nel suo libro “The Ebola Outbreak in West Africa: Corporate Gangsters, Multinationals & Rogue Politicians“, Chernoh Bah fornisce prove che dimostrano come la storia del Paziente Zero fosse una frode. Il bambino era morto a 18 mesi, troppo giovane per giocare con i pipistrelli, e non gli era mai stata diagnosticata l’Ebola, né ad alcuno della sua famiglia. Il primo caso registrato di Ebola ara stato effettivamente registrato in Guinea, circa tre mesi dopo la morte del bambino.

Bah ha anche trovato altri buchi nella narrazione. Per esempio, nonostante l’ampio campionamento, nessun virus Ebola è mai stato trovato in nessun animale, e nessuna moria di animali si era verificata prima dell’epidemia, cosa che tende ad essere tipica negli eventi naturali di diffusione zoonotica. Nonostante gli ovvi problemi con la narrativa ufficiale, non è mai stata condotta alcuna indagine formale sulla teoria della fuga dal laboratorio.

Seguire il denaro

Secondo Latham, possiamo imparare diverse cose da questa storia. Prima di tutto, le fughe dai laboratori sono probabilmente più comuni di quanto pensiamo, e le epidemie generalmente considerate zoonotiche potrebbero non essere affatto di origine zoonotica. Un altro esempio è l’epidemia di AIDS, come si può leggere nel libro “The River: A Journey to the Source of HIV and AIDS“.

La seconda cosa che possiamo imparare dalla storia dell’Ebola dell’Africa occidentale riguarda il percorso del denaro. Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti aveva finanziato la ricerca fatta dal Viral Hemorrhagic Fever Consortium. Altre fonti alternative spesso utilizzate sono il finanziamento della salute pubblica e gli aiuti internazionali. In ogni caso, che si tratti di bio-difesa, di finanziamenti per la salute pubblica o di aiuti umanitari, il denaro proviene da Noi, il Popolo.

In terzo luogo, le aziende partecipanti al Consorzio avevano un modello di business specifico in mente, e non aveva nulla a che fare con la protezione degli Africani vulnerabili da Lassa o Ebola. L’obiettivo delle aziende farmaceutiche è quello di vendere vaccini, farmaci e strumenti diagnostici, principalmente ai militari statunitensi o europei.

Il fatto che la narrazione dell’epidemia di Ebola del 2014 non sia stata messa in discussione dimostra una preoccupante mancanza di rigore accademico, e non era certo la prima volta. Come notato da Latham, gli scienziati stanno venendo meno al loro ruolo di perseguire e promulgare conoscenza e comprensione.

Invece, sempre più spesso, il mondo accademico crea finzioni“, dice. Creano “narrazioni convenienti ed egoistiche“. I media tradizionali lavorano a braccetto con questi accademici, fungendo da megafono per le loro dubbie affermazioni scientifiche.

La scienza usata per scopi di PR

Un esempio di come le aziende usano gli accademici per plasmare una narrazione e manipolare l’opinione pubblica si è avuto quando, nel maggio 2020, 77 premi Nobel avevano firmato una lettera pubblica sollecitando il governo degli Stati Uniti a ripristinare i finanziamenti a EcoHealth Alliance, cheaveva subappaltato la ricerca sui coronavirus al WIV. All’inizio di quell’anno, l’allora presidente Trump aveva ordinato al National Institutes of Health di cancellare quel finanziamento.

La lettera era stata voluta da Sir Richard Roberts, un biologo molecolare e premio Nobel che è anche un alto dirigente della New England Biolabs, un produttore di attrezzature di laboratorio e reagenti.

Tagliare i fondi per la ricerca sui virus biotecnologici minaccia il loro core business“, dice Latham. Quindi, Roberts è davvero una parte disinteressata? O ha un interesse molto vivo nel mantenere la pericolosa ricerca sul gain-of-function, al diavolo i rischi?

Già nel 2016, Roberts aveva organizzato una campagna simile, in cui 107 premi Nobel avevano attaccato Greenpeace per aver presumibilmente bloccato l’approvazione del riso dorato OGM.

Il National Press Club di Washington D.C. aveva portato l’attenzione nazionale sulla lettera con una conferenza stampa formale. Uno degli organizzatori di quell’evento stampa era un ex dirigente PR della Monsanto, e il sito web creato per promuovere la campagna è stato ricondotto all’industria biotech.

Il punto qui è che non c’è niente di spontaneo in queste lettere“, dice Latham. “Sono giochi di PR attentamente coreografati… Ciò che viene realmente difeso è la sovrapposizione degli interessi di aziende come New England Biolabs e Monsanto. In questo mondo, la scienza e gli scienziati sono utili pedine con cui modellare l’opinione pubblica“.

 

La propaganda ora proviene dalle fonti più improbabili

Una delle ultime tattiche di propaganda impiegate nel tentativo di plasmare l’opinione pubblica e scoraggiare la curiosità è che se sei preoccupato per le potenziali “fughe” di laboratorio, sei anti-scienza e un razzista pro-Trump.

Se fai richieste agli scienziati in base al Freedom of Information Act (FOIA, sei anti-scienza. Se metti in discussione il dottor Anthony Fauci, sei anti-scienza (23). Se sei contro gli OGM, sei anti-scienza. Se sei contro la ricerca sul guadagno di funzione, sei anti-scienza. Se sei contro l’energia nucleare, sei anti-scienza. Questo è uno stratagemma e nient’altro. Purtroppo, questa propaganda viene ora vomitata anche dalla più improbabile delle fonti, come Mother Jones.

Il 14 giugno 2021, Mother Jones ha pubblicato un pezzo sul Center for Food Safety, scritto da Kiera Butler (4). Nel maggio 2021, il Center for Food Safety ha fatto causa al NIH nel tentativo di costringere l’agenzia a rivelare il suo finanziamento della ricerca sul gain-of-function.

“I virologi dicono che questo tipo di ricerca è vitale e ha portato a molte importanti scoperte mediche, anche durante la pandemia di Covid-19. Ma il Center for Food Safety sostiene che la ricerca gain-of-function è troppo pericolosa da perseguire”, scrive Butler.

“Perché questo gruppo di sinistra che si occupa di cibo e fattorie … inveisce contro la ricerca virologica di alto livello? La chiave della risposta ha a che fare con la lunga opposizione del Center for Food Safety alla pratica dell’ingegneria genetica. In una recente telefonata, ho parlato con Kimbrell del CFS, che ha spiegato ciò che vede come connessione.

Si ingegnerizzano geneticamente i batteri e le piante, poi si ingegnerizzano geneticamente gli animali, poi si ingegnerizzano geneticamente gli embrioni – tutto questo è successo, con qualche promessa, ma anche un’enorme quantità di pericoli e minacce”, ha detto.

Ora, i virus non sono tecnicamente un organismo, ma sono elementi biologici viventi. Quindi, si inseriscono certamente all’interno di quella narrazione: Solo perché possiamo fare qualcosa non significa che dovremmo fare qualcosa”.

Kimbrell ha detto che “assolutamente” pensa che la pandemia sia il risultato di una fuga accidentale da un laboratorio. Gli scienziati dell’Istituto di virologia di Wuhan, crede, hanno usato il gain-of-function per migliorare un coronavirus. Il virus è poi scappato dal laboratorio, si è diffuso in modo incontrollato e ha causato la pandemia COVID-19. Quindi, in effetti, la ricerca gain-of-function ha causato la pandemia”.

Butler parla anche dell’Organic Consumers Association, dell’U.S. Right to Know, dell’International Center for Technology Assessment e del Children’s Health Defense, che hanno tutti sollevato domande e preoccupazioni su questo tipo di ricerca pericolosa sugli agenti patogeni. Secondo Butler, non hanno alcun diritto di mettere in discussione tale ricerca, e il loro coinvolgimento potrebbe metterci tutti in pericolo.

“Con decine di migliaia di seguaci sui social media, i gruppi anti-OGM hanno il potenziale per cambiare l’opinione pubblica; in bilico c’è la scienza che potrebbe potenzialmente aiutare a prevenire la prossima pandemia”, scrive.

Butler accusata di negligenza giornalistica

Alla maniera dei veri propagandisti, la Butler continua a confutare le preoccupazioni sul guadagno di funzione con il commento del presidente di EcoHealth Alliance Peter Daszak, Ph.D., uno degli individui maggiormente in conflitto di interessi che si possano trovare. Infatti, i suoi conflitti d’interesse sono diventati così noti che è stato recentemente rimosso dalla commissione del Lancet incaricata di indagare sull’origine della Covid-19 a causa di ciò (56).

Butler si spinge anche fino a cercare di dipingere la questione con colori politici di parte, e cita il Dr. Peter Hotez, un altro personaggio altamente compromesso finanziato dall’industria, che ha pubblicamente chiesto azioni di guerra cibernetica sui cittadini americani che non sono d’accordo con le narrazioni ufficiali della Covid.

In un’aspra confutazione, l’avvocato Andrew Kimbrell, fondatore del Center for Food Safety, accusa Butler di “negligenza giornalistica ” (7), e giustamente, a mio parere. Lei cerca chiaramente di confondere i lettori sottolineando che “guadagno di funzione” è una definizione ampia e che gran parte della ricerca sul guadagno di funzione che viene fatto è sia innocua che preziosa.

Tuttavia, questo non è il tipo di ricerca di cui si preoccupa il Center for Food Safety o chiunque altro. L’azione legale del Center for Food Safety riguarda specificamente la manipolazione degli agenti patogeni per renderli più virulenti e pericolosi per l’uomo, e lei non ha intervistato un solo scienziato mainstream che abbia avvertito dei pericoli associati a questa pratica, anche se ce ne sono decine.

Nel complesso, il pezzo di Butler si legge come una classica propaganda, creata dalle stesse persone con qualcosa da nascondere. Come notato da GM Watch (8):

“L’Alliance for Science, finanziata da Gates, è stata rapida nel promuovere l’articolo della Butler. Si tratta di una campagna di PR con sede a Cornell che spinge i punti di vista dell’industria agrochimica e cerca di minare i critici dell’industria, in particolare quei critici preoccupati per gli OGM.

Come parte di questo sforzo, l’Alliance for Science si è spacciata per un organismo esperto in miti sulla pandemia, anche se non ha alcuna competenza in materia di distruzione dei miti. Un primo esempio di questo è stato un pezzo pubblicato dal loro dipendente Mark Lynas che ha bollato GMWatch, tra gli altri, come teorici della cospirazione per aver detto che il virus potrebbe essere sfuggito accidentalmente da un laboratorio.

Su Twitter, Mary Mangan, che fa parte del comitato consultivo di Alliance, ha attentamente monitorato e commentato esattamente quali ‘gruppi anti-OGM’ hanno chiesto di prendere sul serio l’ipotesi della fuga di laboratorio…

È interessante notare che un giornalista ha detto a HuffPost in relazione a un caso giudiziario che coinvolge Monsanto, che pensava che Mangan aveva cercato di ‘giocarla’ per fare un lavoro di successo su uno dei testimoni esperti, critici dell’erbicida Roundup della società. Potrebbe essere che la signora Butler non fosse così resistente alla presa in giro?”

 

La ricerca Gain-of-Function pone una minaccia molto reale

Un altro chiaro pezzo di propaganda è stato pubblicato da Hotez su The Daily Beast, il 21 giugno 2021 (9). Nelle ultime settimane, il ruolo di Fauci nella pandemia è diventato sempre più chiaro, ed è tutt’altro che lusinghiero. Ha finanziato ricerche pericolose che potrebbero in effetti aver portato a un’epidemia globale. Ora, sta cercando di deviare la colpa dicendo che gli attacchi personali su di lui “rappresentano un assalto alla scienza americana“, e Hotez sta facendo il possibile per rafforzare questa nozione ridicola.

Per farlo, Hotez fa un ulteriore passo avanti, collegando gli attacchi a Fauci ad attacchi non solo alla scienza ma anche al fondamento stesso della democrazia. Secondo Hotez, “il coraggio morale e la difesa dei valori democratici richiedono che il popolo americano dia il suo pieno sostegno agli scienziati e alle istituzioni scientifiche. Fare altrimenti è capitolare alle forze dell’insurrezione” (10).

Come Butler, Hotez spende una quantità spropositata di tempo cercando di dipingere le preoccupazioni sulla ricerca pericolosa sugli agenti patogeni che hanno il potenziale di ucciderci tutti, come un problema di estrema destra, razzista, anti-scienza, anti-democrazia, quando non è niente del genere.

Quando la scienza pericolosa ha il potenziale di spazzare via l’umanità, è motivo di preoccupazione per gli individui pensanti di tutte le fedi politiche. Non è anti-scienza. È contro l’incoscienza e, per prevenire un altro disastro, i responsabili devono essere chiamati a rispondere delle loro azioni. Chiaramente, non tutta la scienza è pericolosa. Essere contro la scienza sconsideratamente pericolosa non significa essere contro tutta la scienza o la scienza in generale.

Se vogliamo evitare che un’altra pandemia come questa si verifichi in futuro, dobbiamo prima determinare l’origine del SARS-CoV-2 e come è finito tra la popolazione. Se si può dimostrare che proviene da un laboratorio, allora dobbiamo identificare e chiamare in causa i responsabili della sua creazione e del suo rilascio per le loro azioni e/o negligenze e, infine, dobbiamo impedire che si ripeta vietando la ricerca in cui gli agenti patogeni vengono manipolati di proposito per renderli più pericolosi.

Per arrivare in fondo a tutto questo, dobbiamo guardare al complesso industriale dei virus pandemici. Dobbiamo analizzare come funziona e come i suoi membri si collegano e lavorano insieme per oscurare la verità.

 

Link: https://articles.mercola.com/sites/articles/archive/2021/06/28/pandemic-virus-industrial-complex.aspx?ui=59ed2e7639939da92ff0e3fd8a4becd1e38e467e8312fec7760fac1ab9753aaf&sd=20210422&cid_source=dnl&cid_medium=e

FONTE: https://comedonchisciotte.org/la-minaccia-piu-grande-il-complesso-pandemico-industriale/

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

La pittoressa Fede Galizia, mirabile ma non “mediatica”

A Trento la prima mostra antologia dedicata a una artista apprezzatissima tra ’500 e ’600 e poi dimenticata

La pittoressa Fede Galizia, mirabile ma non "mediatica"

da Trento

Fede, abilità, croce e delizia.
Di Fede Galizia – mirabile pittoressa, una delle poche donne ad aver lasciato un segno, tabula picta e infanzia a bottega, nella storia dell’arte tra Cinque e Seicento – non si conoscono neppure con esattezza le date (forse 1578 e 1630) e i luoghi (forse Trento e Milano) di nascita e di morte. Sappiamo che il padre, Nunzio, anch’egli artista, miniaturista e costumista, era sicuramente trentino. Sappiamo che entrambi si trasferirono alla ricerca di lavoro a Milano, città in cui lei è attestata per la prima volta nel 1587. E sappiamo, indice di una certa fama raggiunta, che il suo contemporaneo Gian Paolo Lomazzo ne parla con ammirazione, chiamandola già pittrice di talento…

E si chiama “Fede Galizia, mirabile pittoressa” la grande mostra – la prima antologica mai realizzata – che le dedica la «sua» Trento, al Castello del Buonconsiglio. Apertura il 3 luglio. Ma intanto siamo andati a curiosare, durante l’allestimento, accompagnati da Giovanni Agosti, curatore della mostra con Jacopo Stoppa. I tecnici di Arterìa, l’azienda leader del trasporto e allestimento di mostre d’arte, stanno aprendo le grandi casse con le opere: ecco la grande tela con il San Carlo in estasi davanti alla Croce con la reliquia del Sacro Chiodo, datata 1611, che proviene dalla chiesa di San Carlo alle Mortelle di Napoli; ecco la Madonna con il Bambino, detta «La Zingarella», che viene dall’Ambrosiana di Milano; ecco il ritratto di Pietro Martire Mascheroni – sicuramente un nostro avo… – figlio di un commerciante milanese, che fu il padrone di casa a Milano della pittrice, ricco e benefattore, che lasciò tutto, ritratto compreso, alla Ca’ Granda…

Intanto l’architetto-scenografa Alice De Bortoli dà gli ultimi tocchi alle grandi capsule che dentro ogni sala del percorso ricreano degli ambienti «a parte», isolando gruppi di opere, cinque o sei, a volte di più: sono stanze dentro la stanza, enormi separé con pesanti tendaggi di plastica argentata e specchiante, e dentro mini-pareti con i dipinti o teche e vetrine… «Sono quasi dei padiglioni da attrazione dei luna park: volevamo qualcosa che come la creatività femminile a quell’epoca suonasse eccezionale, fuori dalla norma. E soprattutto – spiega Agosti – non volevamo quadri appesi alle parenti delle sale. Qui siamo al Castello del Buonconsiglio, e le straordinarie decorazioni del Romanino o del Dossi farebbero a pugni con qualsiasi altra opera. Ecco perché abbiamo scelto delle strutture isolanti: per far sì che lo spettatore si concentri sulle opere esposte». E Pasquale Mari, un maestro, un direttore della fotografia che ha lavorato con tutti, da Mario Martone a Paolo Sorrentino, regola le luci dentro capsule e stanze… Quando l’allestimento fa la mostra.

Eccola, la mostra. Otto grandi sale, imponenti. Un percorso diviso in nove sezioni: da «Quando anche le donne si misero a dipingere», come avrebbe detto Anna Banti: nel pieno ’500 si affaccia alla ribalta della storia dell’arte un piccolo gruppo di artiste dalle identità finalmente definite, a volte monache, altre gentildonne, altre, come Fede Galizia, figlie d’arte; fino a «Come catturare la vita silente» dedicata alle nature morte, perché fra le opere note, la più antica di Fede Galizia risale al 1602, ed è la prima natura morta lombarda: poi arriverà lo shock della Canestra del Caravaggio… E oltre ottanta opere tra dipinti, disegni, incisioni; sue e di suoi contemporanei e contemporanee: Plautilla Nelli, Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana e Barbara Longhi, e poi Giuseppe Arcimboldi – il quale farà debuttare i Galizia, padre e figlia, alla corte imperiale di Rodolfo II d’Asburgo, a Vienna – Bartholomaeus Spranger, Giovanni Ambrogio Figino, Jan Brueghel e Daniele Crespi… E se il percorso è chiaro, restano le domande poste dalla mostra: chi era Fede Galizia? Quali le ragioni del suo successo nell’epoca in cui visse? E quanto pesò il suo essere donna?

Risposte: Fede – nome programmatico nell’Europa della Controriforma – era una figlia d’arte con un padre che le garantì commesse importanti, e che ebbe una produzione ampia e diversificata. «Nel corso del ’900 – ricostruisce biografia e fortuna Giovanni Agosti – c’è stato un revival di Fede Galizia come pittrice di nature morte, e sia gli studi sia il collezionismo, soprattutto negli anni ’50 e ’60, ebbero un grande interesse per le natura morte, così sulle sue spalle si riversano un numero sproporzionato di quadri di genere. Ecco, la mostra fa pulizia su molte attribuzioni e soprattutto dimostra che Fede Galizia non fu una pittrice solo di nature morte: ma anche di ritratti, pale d’altare, incisioni…».

Sul motivo invece per cui piaceva tanto ai suoi contemporanei, e fu poi in fretta dimenticata, forse è perché, da una parte, le sue opere spiccavano per una straordinaria capacità esecutiva («Soprattutto nei dettagli: guardi gli abiti, i gioielli, c’è una mano squisitamente femminile, e nuova»), a cui noi aggiungeremmo l’iperrealismo, eppure siamo nel ’600, delle nespole, pere, uva e cavallette… E dall’altra, perché, a differenza di altre «pittoresse», Sofonisba o Artemisia Gentileschi, non ha alle spalle storie di stupri o di travestimenti maschili, che piacciono tanto oggi: «Per valutare il suo lavoro ci sono solo gli strumenti della storia dell’arte». I quali bastano e avanzano. Come dimostra la sala, che da sola vale la mostra, dedicata alle sue Giuditta e Oloferne. Nella capsula argentea sono racchiuse cinque differenti versioni dello stesso soggetto, una più splendente e diversa dall’altra, nei ricami, le decorazioni, la luce, i gioielli: quella della Galleria Borghese, quella del museo di Sarasota, in Florida (firmata e datata 1596), quella che proviene dalla Spagna, quella di Torino… Si ritiene, ovviamente, che Giuditta sia l’autoritratto della pittrice, quando le artiste amavano presentarsi nelle vesti dell’eroina biblica per sottolineare la propria forza e autonomia rispetto al mondo maschile. Storie di donne, di arte e di capolavori.

FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/cultura/pittoressa-fede-galizia-mirabile-non-mediatica-1958982.html

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

L’Uomo come inganno

Su questo blog, due commenti che parlano di ambiente.

Roberto scrive:

“Continuo a pensare che l’obbiettivo finale non sia quello della protezione del pianeta, che non ha bisogno di noi, ma della protezione dell’uomo.”

Peucezio risponde:

“Vabbè, ma questo mi pare lapalissiano.
Che ce ne facciamo del pianeta, se non ci siamo?
Poi ci sono i fanatici imbecilli che trovano un valore in sé nella difesa di un ambiente senza uomo. Che è come dire che è bene proiettare i film al cinema senza pubblico.”

La cosa mi colpisce, perché per la prima volta, mi rendo conto che si può guardare legittimamente la “questione ambientale” da due prospettive perfettamente opposte, che soprattutto portano a scelte concrete opposte.

Partiamo dalla mia prospettiva: non esiste una dualità Uomo-Ambiente.

Noi esseri umani esistiamo in quanto respiriamo, mangiamo, siamo anche le cose che vediamo e tocchiamo, i nostri corpi sono estremamente simili a quelli degli altri esseri viventi; anzi, i nostri corpi sono ciò che sono, anche perché sono l’inseparabile dimora di miliardi di batteri conviventi.

Non solo viviamo su un pianeta da cui nemmeno Elon Musk riesce per ora a evadere: su quel pianeta, facciamo integralmente, inscindibilmente parte di una sottilissima crosta di biosfera.

Quando guardiamo i dettagli, la “questione ambientale” sembra complicatissima, ma nell’essenziale, è di una semplicità estrema.

Riguarda la Biosfera, non il Pianeta (Venere se la cava benissimo senza biosfera).

Come tutti gli esseri viventi, gli umani usano energia per partecipare all’incessante trasformazione della biosfera da vita in morte in vita.

Ma la tecnologia permette agli esseri umani di usare molta energia per trasformare sempre più velocemente la biosfera in prodotti che poi diventano rifiuti. E lo fanno a una velocità tale che non permette alla biosfera né di rinnovarsi, né di assorbire i rifiuti.

Il risultato è che l’apparente incredibile ricchezza dell’umanità oggi è inseparabile da un catastrofico impoverimento della fonte stessa della nostra vita. Per cui è un dato di fatto che la Biosfera sta peggio oggi di quanto stesse duecento anni fa.

In realtà, però esiste un modo diametralmente opposto di guardare la faccenda. E si riassume molto efficacemente nella metafora del cinema.

Perché un film non è fatto per i muri, e nemmeno per un eventuale topo che scorrazza per la sala del cinema.

E’ fatto per gli spettatori.

O meglio, per uno spettatore, che sono io.

Io vedo il film, e se non ci sono io, è come se il film non ci fosse.

E’ un punto di vista, anzi è letteralmente il punto di vista: io vedo il mondo solo ed esclusivamente dai miei occhi. Ed entro in contatto con il mondo solo attraverso i miei sensi.

Non provo il dolore dell’albero tagliato o della cicogna abbattuta con uno sparo. Non posso nemmeno dire con certezza certa che alberi e cicogne esistono, potrebbero essere un parto della mia immaginazione.

Questa distinzione tra io e il mondo è una chiave di lettura ineccepibile.

Ma attenzione a due cose.

La prima è che non è vero che io penso e quindi sono.

Io vedo il mondo attorno a me, provo dolore quando mi sbuccio il ginocchio, ho fame – diciamo “ho coscienza” – senza bisogno di chiamarmi Cartesio o scrivere cose complicate.

Ma allora, in questo essere se stessi, avere un punto di vista, che differenza c’è tra me e il gatto?

O tra il gatto e il geco?

O tra il geco e l’ape legnaiola?

Certo io sono ioe l’ape legnaiola non è io.

E se mi dai del parente dell’ape legnaiola, non sai come posso reagire.

Però, a pensarci, nemmeno tu sei io.

Se al cinema proiettano un film e non lo vedo, che importanza ha se il film lo vede un altro non-io, un gatto, un geco o un altro essere umano?

Mettere la propria coscienza al centro dell’universo porta a pensare che il mondo esiste per me, e a comportarsi di conseguenza.

Ma io non condivido la “coscienza” con altri: se tu ti sbucci il ginocchio, io non provo dolore. Certo, vedendoti soffrire, posso ricordarmi di analoghe sofferenze mie. E siamo certamente animali sociali, ma a quel punto torniamo al fatto che siamo soprattutto animali della biosfera, e cade tutta la validità dell’argomento basato sul “punto di vista”.

Gli individui – umani e non – hanno tutti una coscienza, un . Ma non esiste un “Uomo collettivo” che ce l’abbia, più di quanto esista un Pappagallo Collettivo.

Tutta questa chiacchierata sul senso dell’universo e tutto quanto ha in realtà un risvolto molto concreto.

Poniamo che io sia un imprenditore di Firenze, e voglio raddoppiare il fatturato.

Per farlo, mi serve un aeroporto molto più grande, che porti molta più gente più velocemente a Firenze.

Cerco quindi di adattare il mondo al mio punto di vista, spazzando via i laghi dove vivono i fenicotteri.

Tutto perfettamente comprensibile, la vita è fatta anche di fame, desiderio e violenza: persino il coronavirus, nel suo piccolo, si vuole espandere e se ne frega dei fenicotteri (o degli umani).

Però siccome l’essere umano è un affabulatore, che ha bisogno di complici, l’imprenditore fiorentino cerca di coinvolgere anche me.

Io non ho nessun bisogno di una nuova pista di aeroporto, mi piacciono i fenicotteri, l’aeroporto avvelenerà l’aria anche per me, e me ne sbatto del fatturato dell’imprenditore. Normalmente, quindi cercherei di mettergli il bastone tra le ruote.

Il fatto che l’imprenditore fiorentino appartenga alla specie umana diventa irrilevante, appena penso che il 98% dei miei nemici appartengono proprio a quella specie (la parte restante è composta per l’1,2% da zanzare e per lo 0,8% da ailanti).

Però – come tutti gli esseri viventi – anch’io compio le mie violenze, diverse da quelle dell’imprenditore: tutto oggi è molto indiretto, non pesto le formiche… ma, per dirne solo una, bevo il Prosecco prodotto distruggendo con fertilizzanti e diserbanti la biosfera del Veneto.

Allora, l’imprenditore cerca di tirarmi dalla sua parte, dicendo,

“anche tu sei umano, e Noi Uomo stiamo insieme per usare e saccheggiare l’Ambiente, che è fuori da noi!”

Ma non solo non esiste Noi Uomo: anche il presunto avversario, l’Ambiente, in realtà non è per nulla fuori da qualcosa o da qualcuno.

FONTE: http://kelebeklerblog.com/2021/06/03/luomo-come-inganno/

 

 

 

Con la prima donna transgender ai Giochi Olimpici inizia la morte dello sport femminile

Sembra ridicolo dover ricordare a qualcuno le ovvie differenze anatomiche tra maschi e femmine, ma tale è lo stato attuale del mondo in cui viviamo.

Robert Bridge
strategic-culture.org

Laurel Hubbard passerà agli annali delle Olimpiadi di Tokyo come il primo atleta transgender a competere ai Giochi. Ma le conseguenze di questa decisione per le atlete e le donne in generale saranno devastanti e durature.

Potrebbe essere imminente il giorno in cui le donne, nate biologicamente femmine, non saranno più rappresentate sul podio delle medaglie olimpiche, dal momento che i maschi biologici iniziano a fare serie incursioni nei loro sport.

Laurel Hubbard, 43 anni, è tra i cinque sollevatori di pesi scelti per rappresentare la Nuova Zelanda alle Olimpiadi di Tokyo per competere nella categoria femminile degli 87 kg. Per inciso, è anche la progenie di Dick Hubbard, l’ex sindaco liberale di Auckland. Le critiche e le polemiche che hanno accolto la notizia del primo atleta transgender a partecipare ai Giochi non sembrano inappropriate. In primo luogo, Hubbard, la cui inclusione ha avuto la piena approvazione del Primo Ministro neozelandese, Jacinda Ardern, godrà, nei confronti delle sue contendenti, del vantaggio competitivo scientificamente correlato alle caratteristiche maschili innate.

Sembra ridicolo dover ricordare a qualcuno le ovvie differenze anatomiche tra maschi e femmine, ma tale è lo stato attuale del mondo in cui viviamo.

Secondo uno studio, pubblicato dal British Journal of Sports Medicine“le donne trans avevano ancora un 9% in più di velocità media di corsa dopo il periodo di 1 anno di soppressione del testosterone raccomandato dal World Athletics per l’inclusione in eventi femminili.”

Una biologa dello sviluppo, la Dr.ssa Emma Hilton, appoggia in pieno questa opinione.

“I maschi possono correre più velocemente, saltare più in lungo, lanciare più lontano e sollevare più peso delle femmine,” aveva confermato la Hilton in una discussione del 2019. “Superano le femmine del 10% nella corsa e del 30% nel lancio del peso.”

La Hilton aveva poi riportato alcune curiosità sportive a sostegno della sua affermazione: ci sono 9.000 maschi tra il detentore del record mondiale [maschile] dei 100 m, Usain Bolt, e Florence Griffith Joyner, la donna più veloce di tutti i tempi; l’attuale campionessa olimpica femminile dei 100 m, Elaine Thompson, è più lenta del detentore del record scolastico, un quattordicenne; una squadra di ragazzini under 15 ha battuto la nazionale femminile di calcio statunitense in una partita di allenamento senza tempo o punteggio.

E così via.

Queste crude statistiche, naturalmente, non sono destinate a sminuire gli enormi risultati ottenuti dalle atlete. Vorrebbero piuttosto dimostrare il confine, molto definito, che esiste – o dovrebbe esistere – tra i concorrenti maschili e quelli femminili. Infatti, le differenze fisiche tra i sessi potrebbero effettivamente essere una questione di vita e di morte. È già stato versato del sangue.

Consideriamo, per esempio l’incontro misto di arti marziali del 2014 tra Fallon Fox e Tamikka Brents. Fox, la prima combattente transgender nella storia delle MMA, aveva percosso la Brents in modo talmente violento da provocarle una frattura del cranio e una commozione cerebrale. Quanto tempo ci vorrà prima che un’atleta donna subisca gravi lesioni, o magari venga uccisa, nell’arena dello spettacolo per mano di una donna transgender?

Per quanto preoccupante possa essere questa possibilità, il vero problema per le atlete è che questi maschi biologici vengono semplicemente visti come intrusi che sconfinano nel loro territorio, privandole del diritto di esibirsi. Basta chiederlo a Kuinini ‘Nini’ Manumua, 21 anni, la donna che è stata esclusa dalla squadra Kiwi per far posto ad Hubbard, che ha vissuto 35 anni da maschio prima della transizione. Per quanto riguarda Manumua, sarebbe stata la sua prima Olimpiade.

Le critiche sulla decisione di includere Hubbard nella squadra della Nuova Zelanda sono state feroci. La sollevatrice di pesi belga Anna Vanbellinghen ha detto che permettere a Hubbard di competere a Tokyo è stato ingiusto per le atlete e lo ha definito “un brutto scherzo.”

Il neozelandese Daniel Leo, un ex giocatore di rugby professionista diventato amministratore delegato, ha osservato in un tweet che la decisione di includere Hubbard “offusca ENORMEMENTE la reputazione [della Nuova Zelanda].”

Nel frattempo, il gruppo di difesa britannico, Fair Play for Women, ha condannato la politica del CIO come “palesemente ingiusta.”

Il CIO aveva dichiarato nelle sue linee guida transgender del 2015 che l’obiettivo sportivo prioritario era, e rimane, la garanzia di una concorrenza leale,” ha osservato Nicola Williams, direttore FPFW. “Ma le sue attuali regole sono palesemente ingiuste nei confronti delle donne, e delle donne di genere trans, che vogliono giocare secondo regole che siano eque per tutti.”

Negli Stati Uniti, nel frattempo, la resistenza a questa follia sta mettendo radici. Sono sempre di più gli Stati che si oppongono all’idea di permettere alle donne transgender di partecipare alle competizioni sportive accanto alle donne [biologiche]. Alabama, Arkansas, Georgia, Idaho, Indiana, Iowa e Kentucky, per esempio, sono solo alcuni degli Stati che hanno approvato leggi che vietano rigorosamente la partecipazione dei maschi biologici negli sport femminili, a meno che non siano stati sottoposti ad un intervento chirurgico di rivalutazione completa e abbiano assunto i relativi ormoni.

La legge della Louisiana, per esempio, afferma che lo studente-atleta è idoneo a competere nel sesso riassegnato quando, tra le altre procedure, “siano stati completati i cambiamenti anatomici chirurgici, compresi i cambiamenti dei genitali esterni e la gonadectomia.” Richiede anche che “il riconoscimento legale della riassegnazione del sesso sia stato recepito da tutte le agenzie governative appropriate (patente di guida, registrazione sull’elenco elettorale, ecc.).”

Nel frattempo, negli stati ultra-liberali, come la California, il Connecticut e il Colorado, le scuole pubbliche hanno il divieto di discriminare sulla base dell’identità di genere e dell’espressione di genere. Ora, con l’ordine esecutivo di Biden sull’identità di genere e l’orientamento sessuale in vigore, le scuole sono anche legalmente obbligate a lasciare che le femmine transgender usino i bagni e gli spogliatoi che corrispondono alla loro identità di genere, invadendo così la privacy delle studentesse sia sul campo che negli spogliatoi.

​Chiaramente, ciò che deve succedere per garantire l’equità e la sicurezza sul terreno di gioco (e negli spogliatoi) è che sempre più atlete professioniste si esprimano su questa allarmante tendenza. Una di queste donne coraggiose è la stella del tennis americano di origine ceca, Martina Navratilova, che è nel gruppo di atlete che ha lanciato il Women’s Sports Policy Working Group, che opera secondo l’idea che “se gli sport non fossero segregati per sesso, le atlete sarebbero raramente viste in finale o sul podio della vittoria.”

La 18 volte vincitrice del Grande Slam si oppone ad una situazione in cui “uomini e donne trans, solo sulla base della loro auto-identità, sarebbero in grado di competere senza restrizioni … cosa che, chiaramente, non garantirebbe una condizione di equità.”

Purtroppo, sembra che il CIO, dando a Laurel Hubbard il diritto di competere accanto alle donne biologiche, abbia una visione e un approccio radicalmente diversi sulla questione e questa decisione ha tutto il potenziale per riportare lo sport femminile indietro di decenni, se non addirittura di renderlo del tutto superfluo.

Parlate ora, signore, o rinunciate per sempre al vostro legittimo posto sul podio olimpico.

Robert Bridge

Fonte: strategic-culture.org
Link: https://www.strategic-culture.org/news/2021/06/23/first-transgender-woman-to-compete-at-olympic-games-signals-death-knell-female-sport/
23.06.2021

FONTE: https://comedonchisciotte.org/con-la-prima-donna-transgender-ai-giochi-olimpici-inizia-la-morte-dello-sport-femminile/

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

El-Alamein: la battaglia che consacrò il valore del soldato italiano

Roma, 23 ott – Nel cimitero di guerra di El-Alamein, oggi piccola cittadina del litorale mediterraneo egiziano a poco più di 100 km da Alessandria d’Egitto, sorge un cippo ivi posto dai Bersaglieri del 7° reggimento recante la famosa frase “Mancò la fortuna, non il valore”.

Le poche parole di questa epigrafe sono entrate nel mito e nella storiografia d’Italia e ben rappresentano, con la loro sintesi priva di retorica, quanto avvenne tra le sabbie del deserto a cominciare dal 23 ottobre del 1942.

Alle 20:40 di quella sera cominciò l’operazione “Lightfoot”: più di mille cannoni inglesi aprirono il fuoco contro il fronte occupato dagli italo-tedeschi che si dispiegava dalla depressione di al-Qattara sino al mar Mediterraneo; un quarto d’ora di fuoco d’inferno sulle trincee scavate là dove si era fermata l’irresistibile avanzata dell’Asse rintuzzata in qualche maniera dagli inglesi comandati dal generale Auchinleck, a cui era succeduto, l’8 agosto dello stesso anno, il generale Montgomery.

Occorre qui spezzare una piccola lancia in favore di Auchinleck, dipinto dalla stessa storiografia inglese come un comandate di scarsa qualità con l’intento di rendere ancora più gloriosa la vittoria di Montgomery: la sua strategia di ripiegare e asserragliarsi ad El-Alamein è stata fondamentale per la successiva vittoria inglese.
La geografia del luogo infatti, un vero e proprio collo di bottiglia tra il mare e la depressione non percorribile di al-Qattara, consentì agli inglesi di ottenere un importante vantaggio militare impedendo quella che era stata la tattica di Rommel sino ad allora: aggirare i punti di resistenza inglesi con ampi movimenti a tenaglia nel deserto sfruttando la velocità dei reggimenti corazzati e delle fanterie meccanizzate.

Tutto questo si infranse nell’estate del 1942 davanti alle trincee inglesi di El-Alamein; così mentre gli italo-tedeschi cercarono di sfondare le linee, gli inglesi ebbero tempo di ammassare ingenti rifornimenti in Egitto sfruttando soprattutto la via del Mar Rosso, essendo caduta nel frattempo l’A.O.I. (Africa Orientale Italiana), che non solo rappresentava una spina nel fianco dei convogli diretti in Egitto provenienti dall’India o dagli Stati Uniti, questi ultimi dopo aver fatto il periplo dell’Africa dato che la via diretta attraverso il Mediterraneo era sbarrata dalla Regia Marina e dall’aeronautica dell’Asse, ma che permise di liberare migliaia di truppe e tonnellate di materiale bellico che furono destinate al fronte egiziano. Fattori che, insieme alla vicinanza dei campi di aviazione inglesi al fronte e all’accorciamento delle linee di rifornimento, permisero agli Alleati di ottenere una importante, ma faticosa, vittoria.

“Lightfoot” prevedeva una manovra a tenaglia condotta da fanteria e forze corazzate lanciando due attacchi frontali a nord e a sud della linea del fronte: 5 divisioni di fanteria protette dal fuoco di artiglieria dovevano spezzare le linee a nord tenute dalla Trento e dalla 164° div. di fanteria tedesca per permettere l’inserimento tra le linee dell’Asse della 10° divisione corazzata inglese, a sud la 44° divisione di fanteria inglese doveva impegnare le truppe della Folgore aprendo lo spazio al passaggio della 7° divisione corazzata. Questo avrebbe permesso di aprire la linea del fronte e attestarsi in attesa del contrattacco italo-tedesco che sarebbe stato respinto con l’ausilio delle riserve di carri Sherman e Grant nuovi fiammanti.

Secondo Montgomery la battaglia di El-Alamein sarebbe stata decisa in pochi giorni

Invece durò più del previsto e non colse il successo sperato dato che non si trasformò in una rotta, soprattutto grazie alla strenua resistenza delle truppe italiane del settore sud, dove le divisioni FolgoreAriete e Pavia si distinsero, e si distingueranno sino al termine della lunga battaglia, per coraggio e abnegazione.

Il primo novembre, dopo 8 giorni di combattimenti in cui gli atti di eroismo si sprecarono da entrambe le parti, prese così il via l’operazione “Supercharge” che impiegò, oltre alla solita massiccia cortina di artiglieria, 570 carri della 9° brigata corazzata inglese. Agli italo tedeschi restavano circa 167 carri in efficienza. La mattina del 2 novembre, dopo il sacrificio di un’intera divisione corazzata, la Littorio, che nella notte si era frapposta insieme ai pezzi da 88 tedeschi per cercare di fermare la 9° inglese dipingendo una delle pagine più eroiche della Seconda Guerra Mondiale, le fanterie scozzesi e neozelandesi riuscirono ad incunearsi tra la Trieste ed i resti della Littorio, spezzando così, definitivamente, il fronte italo-tedesco. Rommel gettò a quel punto nella mischia tutto quella che aveva a disposizione: i resti della 15° e 21° Panzer coi carri rimasti alle divisioni italiane, in tutto circa 120, attaccarono il saliente formato dai circa 250 carri inglesi supportati dai pezzi di artiglieria controcarro. Fu un’aspra e furibonda battaglia che durò tutta la giornata, le forze dell’Asse non riuscirono a ricacciare l’avversario ma l’assalto venne temporaneamente bloccato nonostante anche le incursioni dei bombardieri della Desert Air Force.

Dopo la giornata di relativa calma del 3 novembre, che diede tempo agli inglesi di riordinare gli schieramenti, il 4 novembre ripresero l’offensiva sempre in contemporanea a nord e a sud del fronte.
A nord la 9° australiana avanzò verso la costa dove non incontrò resistenza mentre a sud la 1° e la 10° corazzata britannica puntarono verso i resti del Deutsche Afrika Korps riuscendo a sfondare, col pericolo così di accerchiamento del grosso dell’armata italo-tedesca. Restavano a combattere solo l’Ariete, la Folgore insieme ai resti della Littorio che, grazie al loro eroico sacrificio, permisero l’ordinata ritirata dell’esercito dell’Asse.

Le sorti della guerra d’Africa si decisero in un’unica battaglia che durò 12 giorni, molti di più di quanti preventivati dal generale Montgomery, e che dimostrarono al mondo intero, attraverso la strenua resistenza soprattutto delle divisioni Ariete e Folgore, quest’ultima l’unica che può considerarsi invitta, il vero valore del soldato italiano.
Spesso e volentieri la storiografia moderna, e soprattutto il cinema, dipingono l’Esercito Italiano che combatté durante la Seconda Guerra Mondiale come composto da uomini costretti a combattere, che sognano solamente di ritornare a casa per dedicarsi agli ozi casalinghi, ebbene l’esempio fornito dagli uomini della Folgore, dell’Ariete, della Littorio e della Pavia dimostra che non è stato così: quegli uomini, sacrificatisi nel deserto egiziano, dimostrano che lo spirito dei nostri soldati era ben diverso, che esisteva la volontà di donarsi alla patria sino all’estremo, combattendo sino all’ultima cartuccia perché non si difendeva solo un buco nel deserto, si difendeva l’onore e la tradizione dell’Italia. El-Alamein perciò rappresenta, insieme alle trincee del Carso ed al Piave, il più sacro dei simboli della Patria, e tramandarne la memoria è fondamentale per rifondare lo spirito di una Nazione che ha perso ogni valore identitario.

Paolo Mauri

FONTE: https://www.ilprimatonazionale.it/approfondimenti/el-alamein-battaglia-folgore-32837/

 

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Blinken esorta gli alleati a “rimpatriare” e “riabilitare” i terroristi stranieri dell’ISIS detenuti in Siria

Parlando a fianco del minitro Di Maio, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha chiesto che i membri dell’ISIS detenuti nelle carceri di tutta la Siria siano lasciati andare nei loro paesi d’origine, per lo più in Europa. Ha applicato le parole “rimpatrio” e “riabilitazione” ai terroristi dell’ISIS letterali e alle loro famiglie.

Gran Bretagna, Francia e altri paesi sono stati riluttanti a rimpatriare i combattenti dell’ISIS, tra le preoccupazioni per il terrorismo interno e l’impopolarità di mostrare che i terroristi erano nostri alleati e da noi arruolati in tutta Europa per abbattere Assad. (L’ex presidente Trump aveva minacciato di “rilasciare” i combattenti dell’ISIS in Francia.)

Blinken si rivolgeva agli alleati europei, il che significa che in questo contesto si riferiva principalmente ai combattenti stranieri  che si erano uniti allo Stato Islamico. I jihadisti stranieri sono stati a lungo considerati i più estremi tra gli estremi.

“Non può durare indefinitamente”, ha detto del problema dei sovraffollati camppi dell’ISIS gestite dalle SDF (Syrian Defense Forces , gli islamisti anti-Assad pagati dai sauditi e armati dalla Cia e da Francia, Regno Unito eccetera) sostenute dagli Stati Uniti nel deserto orientale della Siria.

Uno di questi campi è al-Hol, un incubo per la sicurezza. Un recente rapporto della BBC ha detto: “Secondo i dati diffusi dalle autorità a guida curda del campo di al-Hol, quasi 61.000 persone sono detenute nel sito nel distretto di Al Hasakah, tra cui più di 16.000 famiglie. Circa 2.500 di queste sono famiglie di stranieri IS combattenti “.

Un’altra ironia in aggiunta al Blinken che insegna agli alleati che devono ricevere i loro combattenti stranieri “in patria” è il fatto che domenica notte Biden ha ordinato bombardamenti aerei   che hanno colpito e ucciso a gruppi di miliziani iracheni e siriani che combattono con lle zarmi in pugno i terroristi ISIS rimasti nella regione.

“Gli Stati Uniti – spiega Zero Hedge – considerano questi gruppi che realmente combattono i jihadisti sunniti come “filo-iraniani” e “sostenuto dall’Iran” – da qui la volontà immutata del Pentagono di dichiarare guerra all’asse Assad-Iran-Hezbollah, mentre spesso chiude volontariamente un occhio o tutti e due sull’ISIS e altri gruppi terroristici sunniti”.

Non è tutto bellissimo? Gli stati Uniti hanno a cuore i loro “alleati”!

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/blinken-esorta-gli-alleati-a-rimpatriare-e-riabilitare-i-terroristi-stranieri-dellisis-detenuti-in-siria/

 

 

 

Così l’Unione Europea strumentalizza gli LGBTQI+ ungheresi

Tutti sono concordi: le discriminazioni legali devono finire. Ma alcuni europei ne accusano altri di volerne istituire. È quanto sta facendo Bruxelles nei confronti dell’Ungheria. Ma indagando più a fondo si scopre che l’argomentazione della UE è disonesta e nasconde interessi inconfessabili.

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L’arrivo del primo ministro ungherese, Viktor Orban, al Consiglio europeo del 24 giugno 2021.

Il 15 giugno il parlamento ungherese ha adottato una legge che vieta la promozione dell’omosessualità fra i minori.

Il 21 giugno 2021, durante la riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea, è stato deciso di avviare una procedura contro l’Ungheria, non per «evidente pericolo di violazione dello stato di diritto», ma per «evidente pericolo di violazione dei valori su cui si fonda l’Unione» (12266/1718REV 1COR 1).

Diciassette Stati membri su 27 hanno chiesto al presidente dei capi di Stato e di governo europei, Charles Michel, di mettere all’ordine del giorno del vertice del 24 e 25 giugno la questione dei diritti degli LGBTQI+ in Ungheria. Nell’incontro i rappresentanti dei 17 Stati hanno accusato l’Ungheria di omofobia.

1l 25 giugno la presidente della Commissione, Ursula von der Layen, ha energicamente condannato la legge ungherese e chiesto al belga Didier Reynders, commissario per la Giustizia, e al francese Thierry Breton, commissario per il Mercato interno, di scrivere al governo ungherese per «fare rispettare il diritto». Cosa cui i commissari hanno immediatamente provveduto (Ares S(2021) 4587976).

Non lasciamoci prendere troppo presto dall’entusiasmo, esaminiamo invece cosa si cela dietro queste prese di posizione.

LGBTQI+

La questione dei diritti degli LGBTQI+ non è mai rientrata nei valori europei, per il semplice fatto che l’Unione è stata istituita con il Trattato di Roma del 1957, quando gli LGBTQI+ non esistevano. Ovviamente c’erano gli omosessuali, i quali a loro volta cominciarono a essere così chiamati nel 1868, quando lo scrittore ungherese Karl-Maria Kertbeny inventò il concetto. Prima dell’adozione in Germania del Paragrafo 175 – nel 1871 – e nel Regno Unito del Criminal Law Amendment Act – nel 1885 – nessuno mai aveva avuto l’idea di punire le relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso.

In Europa c’erano state leggi che vietavano la sodomia, che però punivano questo tipo di relazioni sia tra persone dello stesso sesso sia tra persone di sesso diverso; inoltre le pratiche degli “omosessuali” sono molte altre. Sbagliamo credendo che gli LGBTQI+ siano stati perseguitati in passato e che oggi non lo siano più nei Paesi “moderni”. In realtà, il concetto di sessualità e i divieti che ne derivano variano a seconda dei periodi e dei luoghi, ma la distinzione fra partner di sesso diverso e partner dello stesso sesso è recente.

Il concetto di LGBTQI+ non proviene, come spesso si afferma, dal Sessantotto francese, bensì dal pensiero puritano degli Stati Uniti. È una sorta di calderone in cui si mescolano concetti legati al sesso (anatomico), all’orientamento sessuale (biologico), nonché al genere (psicologico). La sigla designa:
- L, Lesbian (lesbica): una donna che ha relazioni sessuali con donne;
- G, Gay (gay): un uomo che ha relazioni sessuali uomini;
- B, Bisexual (bisessuale): persona che ha relazioni sessuali sia con persone dello stesso sesso sia di sesso diverso;
- T, Transgender (transgender): non si tratta di persone il cui sesso genetico non è né maschile (cromosomi XY) né femminile (cromosomi XX), e che per questa ragione non si riconoscono nel loro sesso anatomico (statisticamente meno dell’1 permille) [1]. Con questo termine si indicano persone che rivendicano intellettualmente un ruolo sociale diverso da quello che comunemente si attribuisce al loro sesso anatomico. Mentre i transessuali possono far corrispondere la loro specificità cromosomica al loro sesso biologico con pesantissimi interventi chirurgici irreversibili, i transgender non aspirano a operazioni e durante la loro vita possono cambiare più volte genere.
- Q, Queer (queer): un termine che indica la cultura provocatoria di persone la cui sessualità non è socialmente ortodossa. Ed è in riferimento a questo significato che nei primi anni Novanta ho creato, insieme ad altri a Parigi, la Casa delle Omosessualità.
- I, Intersex (intersessuale): termine con cui si designano in generale persone il cui sesso genetico non corrisponde alla classificazione binaria uomo/donna. Alcuni di loro possono essere transessuali.
- +, Plus (altri). Essendo la sequela delle diversità sessuali infinita , i giuristi statunitensi l’hanno chiusa con un +, che riassume tutte le altre possibilità, sia quelle già individuate sia quelle che dovessero esserlo in futuro. [2]

A Washington, in occasione del “mese dell’orgoglio gay”, l’amministrazione Biden si è impegnata a promuovere i diritti degli LGBTQI+ non soltanto negli Stati Uniti ma nel mondo intero [3]. Negli Stati Uniti, nel mese di giugno, gli edifici federali – con l’eccezione del Pentagono – espongono la bandiera arcobaleno. È in questo contesto che si colloca l’iniziativa della Commissione e del Consiglio europei, non in quello della pseudo-difesa dei «valori europei», con cui non ha nulla a che fare.

Già negli anni Ottanta l’amministrazione Clinton finanziò la vicenda AIDS allo scopo di strumentalizzare le associazioni gay di tutto il mondo per indurle a fare pressione sui governi e vendere così i trattamenti made in USA.

La confusione occidentale sugli omosessuali

Nessuno mette in dubbio la sincerità di Biden quando asserisce di voler porre fine alle discriminazioni per il colore della pelle. Eppure, come ho dimostrato in un precedente articolo [4], le sue azioni vanno nella direzione opposta. Il presidente statunitense crede di combattere il razzismo, ma attua una politica segregazionista. Le mie affermazioni hanno scioccato quei lettori che le giudicavano opinioni minoritarie. Ebbene, oggi non sono più un’opinione, bensì un’analisi condivisa dai più grandi intellettuali neri statunitensi [5]. Analogamente, nessuno pensa che Biden non sia sincero quando afferma di voler combattere le discriminazioni per l’orientamento sessuale. Ma quanto sostiene a parole non gl’impedisce di fare il contrario.

Sul piano internazionale, l’amministrazione Biden strumentalizza la questione omosessuale come già ha fatto con la libertà religiosa e il razzismo: accusa la Russia di essere omofoba, benché in questo Paese l’omosessualità sia depenalizzata (fu pesantemente punita da Joseph Stalin nell’ambito della lotta contro i soviet di omosessuali; fu poi legalizzata da Mikhail Gorbaciov [6]).

La confusione occidentale ha origine dall’istituzionalizzazione del matrimonio omosessuale nei Paesi scandinavi. È importante essere consapevoli che il significato del matrimonio muta con le epoche e le civiltà. Quando i Paesi scandinavi hanno inventato il matrimonio omosessuale, non intendevano equipararlo al matrimonio eterosessuale, ma consentire a tutti i cittadini l’accesso a un servizio pubblico: quello della Chiesa di Stato. Questi Paesi hanno infatti Chiese di Stato, i cui pastori sono funzionari statali, che però erogano un servizio pubblico – il matrimonio – soltanto agli eterosessuali.

Per inciso, ricordo molto bene un pranzo con la parlamentare relatrice della prima legge che istituiva il matrimonio gay: mi garantì che il testo avrebbe messo fine al «vagabondaggio sessuale» della comunità. Quando le chiesi cosa il Paese prevedesse per i transessuali, la deputata mi assicurò che non c’erano persone «così» nel suo Paese.

Torniamo in tema. In quanto presidente della più importante associazione politica europea gay, il Projet Ornicar, mi sono opposto al matrimonio gay nei Paesi latini. Per questa ragione l’ecologista tedesca Claudia Roth, quando nel 1994 redasse il rapporto al parlamento europeo sulla questione omosessuale, non suggerì d’istituire ovunque il matrimonio gay, ma soltanto che si mettesse fine alle discriminazioni originate dal matrimonio eterosessuale [7].

Non si può che rammaricarsi dell’adozione da parte di Spagna, Portogallo, Francia e Malta del matrimonio omosessuale, giacché il matrimonio eterosessuale non è che un contratto finalizzato a regolare l’eredità a beneficio dei figli. L’uguaglianza si sarebbe potuta realizzare abolendo i privilegi legali riservati agli sposati eterosessuali, senza bisogno di estendere il matrimonio a coppie sterili. Fu questa la soluzione che negoziai con monsignor Joseph Duval, presidente della Conferenza episcopale di Francia, che la sostenne.

Distinguere i problemi

Generalmente si ritiene che la scoperta della sessualità, quindi del proprio orientamento sessuale, avvenga durante la pubertà. La maggior parte delle società si astengono dall’orientare gli adolescenti in un senso o nell’altro. Da questo punto di vista è legittimo che l’Ungheria vieti nelle scuole la promozione sia dell’orientamento omosessuale sia dell’orientamento eterosessuale: non lede alcun Diritto Umano, a condizione che entrambi gli orientamenti sessuali siano legali in età adulta.

Ed è per queste stesse ragioni che la Francia adottò nel 1994 l’emendamento Jolibois, che penalizza anche la pornografia «suscettibile di essere vista e percepita da minori». Alcuni schieramenti avrebbero voluto approfittare del testo per censurare film, libri e riviste. Réseau Voltaire fu creato all’epoca per precisare questo testo, affinché non venisse strumentalizzato al fine di limitare la libertà di pensiero. Ci siamo riusciti. In Ungheria si deve fare la stessa cosa.

Il fatto che l’Unione Europea s’immischi in una scelta sovrana degli ungheresi dimostra la sua voglia d’imporsi come burocrazia sovranazionale, al di sopra delle democrazie nazionali.

Sostenendo l’Unione Europe su questo tema, gli LGBTQI+ europei si schierano in una battaglia che non è loro. Corrono il rischio di essere vittime di un contraccolpo, allorquando i Popoli vinceranno, com’è inevitabile, la burocrazia dell’Unione.

La vera ragione

È interessante osservare come l’Unione Europea abbia abbandonato la motivazione di «evidente pericolo di violazione dello stato di diritto» e optato per quella di «evidente pericolo di violazione dei valori su cui si fonda l’Unione Europea». Tutti sono infatti concordi nel ritenere che la legge ungherese non vìoli i principi giuridici dell’Unione. Nella lettera inviata alla ministra ungherese della Giustizia, i commissari Reynders e Breton definiscono quali siano i valori a rischio.

Reynders e Breton fanno riferimento all’art. 2 del Trattato sull’Unione Europea (Maastricht 1992) e all’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000), senza però insistervi, perché non riescono a riscontrare nella legge ungherese discriminazione. I Commissari europei dedicano invece parte cospicua della loro missiva alla direttiva Servizi di media audiovisivi (AVMSD) e a quella sull’“e-commerce”. La sostanza è che la legge ungherese violerebbe il diritto commerciale del mercato comune europeo perché vieta la diffusione in Ungheria di prodotti legali nel resto dell’Unione. Se quest’argomentazione dovesse essere sostenuta a lungo termine da Bruxelles, l’«evidente pericolo di violazione dei valori su cui si fonda l’Unione Europea» sarebbe circoscritto alla facoltà di vendere qualsiasi cosa in qualsiasi luogo dell’Unione.

È chiaro che l’Unione distorce una battaglia per la Giustizia. Se ne infischia degli omosessuali e della loro uguaglianza nel Diritto.

NOTE

[1L’Intégration des transsexuels (2 volumes), Thierry Meyssan et autres, Projet Ornicar éd. (1993).

[2] “The ABCs of L.G.B.T.Q.I.A.+”, Michael Gold, The New York Times, June 21, 2018.

[3] « Les États-Unis soutiennent les LGBTQI+ dans le monde », par Antony Blinken, Réseau Voltaire, 1er juin 2021. « Joe Biden nomme une envoyée spéciale des États-Unis pour la promotion des droits humains des personnes LGBTQI+ », États-Unis (White House), Réseau Voltaire, 27 juin 2021.

[4] “Joe Biden reinventa il razzismo”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 11 maggio 2021.

[5] “Personalità nere contro il razzismo del NYT e del Partito Democratico”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 1 giugno 2021.

[6] « À l’Est : la Révolution Gay », Didier Marie, Rebel (France), Réseau Voltaire, 1er mars 1993.

[7] « Le Parlement européen et les Gays », Didier Marie, Rebel (France), Réseau Voltaire, 1er août 1993. La Protection des homosexuels dans le droit européen, Thierry Meyssan, Thierry Monchâtre, Antoine Ulma, Projet Ornicar éd. (1993).

FONTE: https://www.voltairenet.org/article213501.html

 

 

Yalta II: il Pentagono ha già ordinato armi per Al Qaeda

Foto: addestramento di combattenti di Al Qaeda all’uso delle armi fornite dal Pentagono.

Per i suoi alleati nel mondo, il Pentagono ha ordinato armi per 2,8 miliardi di dollari. Si tratta soprattutto di materiale bellico prodotto su licenza sovietica o russa, in modo da mascherare l’origine delle forniture.

La metà di queste armi è destinata alla continuazione della guerra contro la Siria.

Esaminando il US Federal Procurement Data System, la giornalista bulgara Dilyana Gaytandshieva ha scoperto otto contratti – per un valore complessivo di 200 milioni di dollari – destinati ad Al Qaeda in Siria (Hayat Tahrir al-Sham – Organizzazione per la Liberazione del Levante).

Le società contraenti sono: TLG Worldwide, LLC, Multinational Defense Services LLC, Greystone CS3 LLC, Global Ordnance LLC, UDC USA, Inc., Culmen International, LLC, Blane International Group, Inc., Sierra Four Industries Corp.

I contratti, firmati tra marzo e dicembre 2020, hanno una durata di cinque anni.

- “US fuels Syrian war with new arms supplies to Al Qaeda terrorists”, Dilyana Gaytandzhieva, Dilyana.bg, June 22, 2021.

FONTE: https://www.voltairenet.org/article213520.html

 

 

Perché il raid Usa tra Iraq e Siria è un messaggio all’Iran

La tensione tra Iran e Stati Uniti continua a rimanere alta nonostante i negoziati in corso a Vienna per la ripresa dell’accordo sul nucleare. Nella notte tra domenica 27 e lunedì 28 giugno, gli Usa hanno condotto un nuovo raid contro le postazioni delle milizie filo-iraniane in Siria ed Iraq, distruggendo alcuni depositi di armi e uccidendo almeno sette combattenti. Secondo quanto affermato successivamente dal Pentagono, gli impianti colpiti “sono utilizzati da milizie filo-iraniane impegnate in attacchi tramite aerei a pilotaggio remoto contro il personale e le strutture americane in Iraq”. Negli ultimi tempi gli Usa hanno subito diversi attacchi in territorio iracheno condotti presumibilmente dalle milizie filo-iraniane, riunitesi sotto l’ombrello delle Forze di Mobilitazione popolare.

Il recente bombardamento è il secondo lanciato dagli Usa contro postazioni filo-iraniane nella regione fin dall’insediamento dell’amministrazione dem guidata da Joe Biden: il primo raid era stata autorizzato dal presidente Usa a febbraio in risposta ad attacchi con razzi contro una base usata in Iraq da forze americane e della coalizione. In quel caso però l’operazione era stata lanciata unicamente contro la Siria, mentre quest’ultimo raid ha interessato anche parte del territorio iracheno, scatenando così la reazione delle autorità di Baghdad.

Raid e diplomazia

Il luogo scelto dagli Usa per colpire le milizie di Kataib Hezbollah e Kataib Sayyid al Shuhada non è casuale. L’area al confine tra Iraq e Siria è una zona nota per la presenza dei combattenti filo-iraniani, che sfruttano il controllo del valico di Abukamal per spostare materiale bellico dall’Iran alla Siria passando per l’Iraq. La presenza dei miliziani nell’area di confine ed in generale in territorio iracheno rappresenta una minaccia per gli Stati Uniti, che hanno quindi voluto lanciare un “chiaro messaggio di deterrenza” all’Iran e ai suoi alleati nella regione, secondo quanto spiegato dal segretario di Stato Antony Blinken.

Gli Usa sono intenzionati a mantenere alta la pressione contro l’Iran a livello militare in Iraq e più in generale nell’area mediorientale, a dimostrazione del fatto che il ritiro dall’Afghanistan non coincide con il totale disimpegno americano dalla regione. A questo proposito il raid può anche essere letto come un messaggio al nuovo presidente iraniano, il conservatore Ebrhaim Raisi, la cui elezioni è stata accolta con ben poco entusiasmo dalle cancellerie occidentali.

L’attacco arriva tra l’altro nel momento in cui gli Usa sono impegnati nei colloqui di Vienna per il rilancio dell’accordo sul nucleare iraniano, che potrebbero concludersi anche prima dell’insediamento di Raisi previsto per agosto, secondo una doppia strategia di pressione militare e di dialogo.

Il ruolo di Baghdad

Il raid contro le milizie filo-iraniane questa volta è stato duramente condannato dalle autorità di Baghdad, che hanno definito i bombardamenti una inaccettabile violazione della sovranità irachena ed un attacco alla sicurezza nazionale. La mossa americana ha anche riacceso il dibattito sulla presenza in Iraq di 2.500 soldati americani, un argomento su cui da tempo Baghdad e Washington cercano di trovare un nuovo accordo per un diverso dispiegamento delle forze americane nel Paese. A spingere per il definitivo ritiro degli Usa dall’Iraq sono principalmente le milizie filo-iraniane, ma il sostegno americano è tuttora indispensabile nella conduzione di operazioni contro le cellule dell’Isis ancora presenti in Iraq.

A preoccupare gli Usa è principalmente l’incapacità di Baghdad di tenere a bada le varie formazioni militari nate dal 2014 in poi in risposta alla fatwa lanciata dall’Ayatollah Ali al-Sistani contro l’Isis e riunitesi adesso sotto l’ombrello delle Forze di mobilitazione popolare. A causa della perdurante crisi economica iraniana queste milizie sono state costrette a fare maggiore affidamento sul governo iracheno, eppure difficilmente ne rispettano le indicazioni, continuando così a rappresentare un problema per le politiche degli Stati Uniti.

Pressioni regionali

Intanto Baghdad deve fare i conti anche con le pressioni che arrivano dagli alleati regionali degli Stati Uniti. Il 27 giugno il primo ministro iracheno Mustafa al-Kadhimi ha incontrato a Baghdad il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e il re giordano Abdullah per parlare di cooperazione e sviluppo regionale in ambito economico, commerciale, industriale, politico e di sicurezza. Quest’ultimo punto prevede un maggiore coordinamento tra gli apparati di sicurezza ed intelligence dei tre Paesi contro la minaccia dell’Isis e altre organizzazioni terroristiche che hanno saputo sfruttare a loro vantaggio la mancanza di dialogo tra Iraq, Giordania ed Egitto.

Il richiamo più generale ai gruppi terroristici e non solo all’Isis non è un caso ed è stato interpretato da diversi analisti come un messaggio diretto alle milizie filo-iraniane attive in Iraq, la cui presenza non è gradita a diversi Paesi dell’area vicini agli Stati Uniti che potrebbero chiedere ad al-Khadimi un atteggiamento maggiormente assertivo in cambio di un ritorno economico.

FONTE: https://it.insideover.com/guerra/perche-il-raid-usa-tra-iraq-e-siria-e-un-messaggio-alliran.html

 

 

 

Storia di Donald Rumsfeld, architetto delle guerre in Iraq e Afghanistan

Roberto Vivaldelli

Con la morte a 88 anni di Donald Rumsfeld, segretario alla Difesa per l’amministrazione Ford (1975-1977) e sotto quella di George W. Bush (2001-2006), se ne va uno degli architetti e promotori dell’invasione dell’Afghanistan (l’operazione Enduring Freedom) nell’ottobre 2001 e della guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein, del 2003. Repubblicano di chiara fede conservatrice, originario dell’Illinois, Rumsfeld è morto nella sua casa di Taos, nel New Mexico, circondato dalla sua famiglia, secondo una dichiarazione pubblicata sul suo canale Twitter. “La storia potrebbe ricordarlo per i suoi straordinari risultati in oltre sei decenni di servizio pubblico”, si legge nella dichiarazione, “ma per coloro che lo hanno conosciuto meglio e le cui vite sono state cambiate per sempre di conseguenza, ricorderemo il suo incrollabile amore per sua moglie, Joyce, la sua famiglia e i suoi amici, e l’integrità che ha portato in una vita dedicata al Paese”.

Il ricordo dell’ex Presidente George W. Bush

Rumsfeld, ricorda il New York Post, ha lavorato per tre presidenti repubblicani – Richard Nixon, Gerald Ford e George W. Bush – nel corso di una carriera nella politica durata più di 40 anni. In una, George W. Bush ha salutato quello che ha definito il “servizio costante di Rumsfeld come segretario alla Difesa in tempo di guerra – un dovere che ha svolto con forza, abilità e onore”. “Un periodo che ha portato sfide senza precedenti al nostro Paese e alle nostre forze armate ha anche fatto emergere le migliori qualità del Segretario Rumsfeld”, ha continuato la dichiarazione di Bush. “Un uomo di intelligenza, integrità ed energia quasi inesauribile, non è mai impallidito di fronte a decisioni difficili e non ha mai esitato di fronte alle responsabilità. Ha portato le riforme necessarie e tempestive al dipartimento della Difesa, insieme a uno stile di gestione che ha sottolineato il pensiero e la responsabilità. In qualità di comandante in capo, ho particolarmente apprezzato il modo in cui Don ha preso il suo lavoro sul personale e ha sempre curato gli interessi dei nostri militari e delle nostre donne. Era un fedele amministratore delle nostre forze armate, e gli Stati Uniti d’America sono più al sicuro grazie al suo servizio. Piangiamo un funzionario pubblico esemplare e un uomo molto buono”.

Nixon e Ford

Da giovane, quando lavorava sotto il presidente Nixon come ambasciatore Usa presso la Nato, Rumsfeld era considerato un repubblicano moderato e anti-intervenista. “La mentalità democratica è soffocare, intervenire, cercare di gestire le cose. La dottrina di Nixon, e il suo programma interno, hanno una base filosofica diversa” spiegava. Quando Nixon lasciò la politica a seguito dello scandalo Watergate, Rumsfeld servì il suo successore, Ford. Divenne capo di gabinetto della Casa Bianca e segretario alla Difesa. Durante questo periodo, il suo protetto, come sottolinea the American Conservative, divenne un giovane assistente anonimo del Wyoming di nome Dick Cheney. Rumsfeld e Cheney vennero indicati come gli uomini dietro il “Massacro di Halloween”, un rimpasto del novembre 1975 del gabinetto di Ford che servì principalmente per mettere fuori gioco il più grande rivale di Rumsfeld, l’ex Segretario di Stato Henry Kissinger.

Donald Rumsfeld con l’ex presidente Gerald Ford

Il “falco” repubblicano Rumsfeld

Ai tempi di Bush jr, Donald Rumsfeld e il vicepresidente Dick Cheney, insieme all’ex vicesegretario della Difesa Paul Wolfowitz, frequentavano i thin-tank neoconservatori come l’American Enterprise Institute (AEI) e il Project for the New American Century (PNAC), i quali non solo chiedevano all’amministrazione Bush un aumento significativo della spesa per la Difesa, ma di sfidare i regimi ostili ai valori e agli interessi americani. Rumsfeld era un fervido sostenitore dell’unipolarismo americano, e del processo di rafforzamento unilaterale del potere di Washington scavalcando e superando, se necessario, le istituzioni (fra cui l’Onu) volute dagli Stati Uniti nell’ambito dell’ordine liberale internazionale venutosi a formare dopo la Seconda Guerra Mondiale e, dunque, il concetto di multilateralismo stesso. Al centro del suo pensiero, così come di quello “neoconservatore” che predominava nelle élite di Washington nel 2003, c’era la convinzione che il potere militare era tornato al centro della politica estera americana. Era la Pax Americana dell’unica superpotenza rimasta sul globo, dopo il crollo dell’Unione sovietica.

Con Bush jr: i neocon al potere

Come ricorda Limes, con la nomina di Rumsfeld a segretario alla Difesa nel 2001, la Network centric warfare (Ncw) assurge a dottrina ufficiale del Pentagono e complice il clima da fine della storia che eccita le élite americane, la presunzione d’essere invincibili in quanto high-tech convince i neoconservatori a fare a meno della pianificazione strategica. Così, dopo aver sperimentato con successo la Ncw in Afghanistan per rovesciare il regime dei taliban, nel 2003 Rumsfeld decide di applicare la medesima strategia, rischiosa, in Iraq: il regime crolla dopo poche settimane, ma gli Usa, arrivati nel Paese in un numero sottodimensionato, non riescono a controllare il territorio come vorrebbero.

E l’insuccesso, nel corso degli anni successivi, è proprio quello di non essere riusciti a portare l’Iraq nell’alveo delle democrazie, perché basato sulla falsa convinzione che la democrazia si possa esportare in un Paese che ha valori socio-culturali diversi da quelli americani, anche se Rumsfeld negò aver mai detto che la democrazia fosse un obiettivo realistico in Iraq. Bilancio negativo, dunque? Chi la vede diversamente è la rivista the National Interest, secondo la quale, al contrario, Rumsfeld il suo lavoro lo fece e anche piuttosto bene. “Due mesi e un giorno dopo gli attacchi dell’11 settembre, Kabul cadde nelle mani delle forze alleate: un risultato militare senza precedenti nella storia del mondo, considerando la sua lontananza e le difficoltà logistiche coinvolte. Al Qaeda non ha mai riacquistato la sua capacità di colpire gli Stati Uniti”. Comunque la si pensi, il ruolo nelle guerre in Afghanistan e in Iraq fa sì che l’ex Segretario alla Difesa rimanga una figura estremamente dibattuta. Ciò che non si può discutere è che è stato un assoluto protagonista della politica americana dagli anni’60-70 fino agli anni 2000.

FONTE: https://it.insideover.com/politica/addio-a-donald-rumsfeld-architetto-delle-guerre-in-iraq-e-afghanistan.html

 

 

 

La NATO minaccia la Russia: ragioni del declino

Non è la prima volta che i Paesi che compongono l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) navigavano nel Mar Nero con l’intenzione di compiere provocazioni contro la Russia. Giorni fa ripresero la tattica, violando la sovranità nelle acque territoriali della Russia, questa volta per mano del Regno Unito, quando una nave da guerra, la HMS Defender, iniziò a navigare nei pressi della penisola di Crimea. Le esercitazioni della NATO note come “Sea Breeze”, si svolgono dal 1997 in queste acque e sono coordinate dal Permanent Maritime Group 2 (SNMG2) di tale organizzazione.

Sea Breeze come provocazione
Una settimana prima era in programma l’incontro bilaterale tra il Presidente Vladimir Putin e l’omologo nordamericano Joe Biden, che nonostante le marcate differenze e la questione ucraina punto culminante del dialogo tra i due leader, l’equilibrio politico si concentrò sul reinsediamento dei rispettivi ambasciatori, facendo un primo passo, attraverso canali diplomatici, per abbassare le tensioni tra le due nazioni. La penisola di Crimea, integrata alla Russia nel 2014, sarà vista come la torre di guardia russa che avverte delle minacce che si avvicinano; ed essendo questo il punto controverso tra occidente e Russia, alcuni paesi della NATO fanno della rotta marittima una controversia. È su tale base che iniziava la provocazione della nave da guerra britannica HMS Defender che navigava per più di un’ora nelle acque territoriali russe nella penisola di Crimea, entro il limite di 12 miglia, su una rotta tra il porto ucraino di Odessa e la Georgia. Il Ministero della Difesa russo inizialmente affermò che furono sparati colpi di avvertimento contro l’HMS Defender britannico per costringere il cacciatorpediniere a lasciare l’area. A seguito dei colpi di avvertimento, Ben Wallace, segretario alla Difesa del Regno Unito, affermò che l’HMS Defender effettuava un “transito di routine da Odessa alla Georgia sul Mar Nero” utilizzando un “corridoio di separazione del traffico riconosciuto a livello internazionale”, tra le tensioni geopolitiche. L’ultima frase di Wallace chiariva che il Regno Unito non riconosce l’annessione russa della Crimea, votato dagli stessi cittadini della Crimea. Parallelamente, il primo ministro britannico Boris Johnson confermò che tale dispiegamento era in solidarietà coll’Ucraina e che il punto importante è che non riconosce l’annessione russa della Crimea. Johnson anche riaffermò : “Non riconosciamo l’annessione della Crimea, era illegale, quelle sono acque ucraine ed era del tutto corretto usarle per passare dal punto A al punto B”. Successivamente, l’ambasciatore russo nel Regno Unito, Andrej Kelin, riferì che l’HMS Defender non rispose agli avvertimenti ed assicurò che non si trattava di un atto apertamente aggressivo, inoltre la Russia aveva il diritto di difendere il proprio territorio, ovvero non si tratta del transito della nave sul Mar Nero, ma piuttosto che navigò nelle acque territoriali della Russia senza permesso o preavviso, un errore militare.
A parte ciò, si ricordano alcuni eventi di scorso aprile che già segnalavano quanto si sarebbe deciso in questi mesi:
– Ucraina e Regno Unito riferirono che avrebbero condotto le esercitazioni militari congiunte “Cossack Mace” presso un centro di addestramento delle forze armate dell’Ucraina, preoccupate per la presenza della Russia vicino l’Ucraina orientale.
– Il ministero degli Esteri turco riferiva che gli Stati Uniti programmavano l’invio di due navi da guerra nel Mar Nero per dimostrare sostegno all’Ucraina nella militarizzazione russa al confine.
– Poi, il presidente Joe Biden ha annullato i piani per inviare i due cacciatorpediniere nordamericani nel Mar Nero per paura di un’escalation delle tensioni.
– Oltre a ciò, a Mosca l’ambasciatrice del Regno Unito, Deborah Bronnert, fu convocata dal Ministero degli Esteri russo e le fu fatto notare che in caso di reiterate provocazioni, ogni responsabilità delle possibili conseguenze ricadrà interamente sui britannici. Tra le ultime dichiarazioni su tale provocazione del Regno Unito, Wallace presentò anche una diversa versione dei fatti, scusandosi per il fatto che l’HMS Defender effettuasse un “passaggio innocente” sulle acque territoriali dell’Ucraina mediante il piano di separazione del traffico , dichiarava al parlamento. Il “passaggio innocente” è un diritto internazionalmente riconosciuto alle navi di navigare nelle acque territoriali di un Paese purché non comportino alcun danno, e in questo caso si trattava di una nave da guerra che navigava senza permesso, che dal punto di vista militare era unai provocazione alla Russia, è anche test per conoscere la determinazione russa nella difesa della sua sovranità, marittima in questo caso.
La minaccia nel Mar Nero mostra come il Regno Unito deliberatamente cercasse di provocare un incidente internazionale con la Russia, rompendo così ogni intenzione di allentare le tensioni geopolitiche. Può darsi benissimo che il Regno Unito agisse da scheggia impazzita per minare qualsiasi iniziativa di alleanza con la Russia, o dietro le quinte, da agente degli Stati Uniti per ostacolare ciò che fu pubblicamente concordato, e quindi creare scuse per ritardare gli sforzi diplomatici con la Russia. Tuttavia, altri eventi geopolitici si aggiungevano all’intenzione del Regno Unito di minare gli sforzi di cooperazione della Russia coll’Europa e recentemente cogli Stati Uniti:
– La cancelliera tedesca Angela Merkel propose di invitare il Presidente Vladimir Putin a un vertice dei capi dell’Unione europea per discutere delle relazioni sulla cooperazione. In tal senso, la Merkel difese l’iniziativa coll’argomento che “il presidente degli Stati Uniti ha avuto un serio confronto col Presidente Putin e, a mio avviso, anche l’UE merita di poter difendere i suoi interessi con formato simile”.
– Angela Merkel ed Emmanuel Macron espressero l’intenzione di applicare il vaccino russo Sputnik V ai cittadini europei.
Da notare che, proprio dietro l’angolo, la regione eurasiatica avrà il Nord Stream 2 completato, dando una svolta alla strategia statunitense, stabilendo un’altra posizione in tal senso nel ritiro delle “sanzioni” contro il Nord Stream 2. Biden disse ai giornalisti che le misure finanziarie statunitensi contro la costruzione del gasdotto Nord Stream 2 sarebbero controproducenti per le relazioni europee. Tale mossa fu accolta con favore da Mosca, affermava il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov. Dal punto di vista politico, l’azione militare sembrava intenzionata a sabotare non solo il riavvicinamento tra Stati Uniti e Russia, in cui i presidenti decisero di ridurre le tensioni tra i loro Paesi e gestire in modo responsabile la concorrenza globale, ma anche di rafforzare i rapporti tra Europa, con la Germania in testa, e Russia. A seconda di come si svolgevano gli eventi, e del possibile profondo intreccio dietro le quinte dell’occidente, si potrebbe citare Sun Tzu: “Se gli emissari del nemico pronunciano parole umili mentre il nemico aumenta i preparativi bellici, questo significa che sta per avanzare… se gli emissari arrivano chiedendo la pace senza firmare un trattato, significa che tramano un complotto… quando l’avversario è lontano, ma cerca di provocare ostilità, vuole che tu avanzi”. Di recente, il Viceministro degli Esteri Sergei Riabkov, parlò di questo incidente nel Mar Nero, spiegando che la nave da guerra fu utilizzata da Stati Uniti e Regno Unito. Rjabkov anche denunciò tali Paesi travisare quanto accaduto, nonostante i video pubblicati dalla Russia con le conversazioni tra la guardia costiera russa che effettuava gli avvertimenti e il comando della nave da guerra britannica.
Gli ex-imperi occidentali cercano disperatamente un posto predominante nella nuova configurazione delle relazioni internazionali, di fronte al mutamento delle piattaforme geopolitiche, con grandi nazioni come Russia e Cina come perno, due grandi specchi in cui l’egemonia occidentale convalescente guarda terrorizzata e paurosa. Tuttavia, la politica non ha bisogno di barricate.

FONTE: http://aurorasito.altervista.org/?p=18327

 

 

 

CULTURA

Riccardo Muti ha pubblicato questa sua lettera sul Corriere della Sera.

Ottant’anni a breve e mi sono stancato della vita. È un mondo in cui non mi riconosco più. E siccome non posso pretendere che il mondo si adatti a me, preferisco togliermi di mezzo… come nel Falstaff, ‘tutto declina’.

Ho avuto la fortuna di crescere negli anni 50, di frequentare il liceo di Molfetta dove aveva studiato Salvemini, con professori non severi, severissimi… Rimpiango la serietà.

Rimpiango lo spirito con cui Federico II fece scolpire sulla porta di Capua, sotto il busto di Pier delle Vigne e di Taddeo da Sessa, il motto: ‘Intrent securi qui quaerunt vivere puri’ (Entrino sicuri coloro che intendono vivere onestamente). Questa è la politica dell’immigrazione e dell’integrazione che servirebbe…

Non so se dopo la morte davvero ci rivedremo in un mondo migliore… non lo so. Certo non nei Campi Elisi. Spero ci sia tanta luce… mi basta che non ci sia la metempsicosi. Non ho voglia di rinascere, tanto meno ragno o topo, ma neanche leone. Una vita è più che sufficiente».

Ho avuto una formazione cattolica. Ho ammirato molto papa Ratzinger, anche come magnifico musicista. Non credo nei santini di Gesù biondo. Dentro di noi c’è un’energia cosmica che ci sopravvive, perché è divina. Ricordo la morte di mia madre Gilda: ebbi netta la sensazione che il suo corpo diventasse pesante come marmo, mentre si liberava un flusso, l’energia vitale…

Il lockdown l’ho passato a studiare, ma a parte lo studio, è stato orribile. La disumanizzazione si è fatta ancora più profonda. La mancanza di rapporti umani è terrificante. Entri al ristorante e vedi al tavolo cinque persone tutte chine sul loro smartphone… Io non lo posseggo e non lo voglio…

La tv avrebbe dovuto approfittare del lockdown per fare trasmissioni educative.Invece, a parte qualche bel documentario, siamo stati invasi da virologi, da sedicenti ‘scienziati’. Per me scienziato era Guglielmo Marconi!… La banalità della tv e della Rete, questo divertimento superficiale, la mancanza di colloquio mi preoccupano molto per la formazione dei giovani.

Non sono né di destra né di sinistra… Sono tra quelli che tentano di dare indicazioni utili… Io sono nato uomo libero e tale rimango. Sono cresciuto con dettami salveminiani, socialista non bolscevico. Non mi sono mai affiliato a una congrega…

C’è un eccesso di politicamente corretto anche nella musica… con il Metoo, Da Ponte e Mozart finirebbero in galera.

Definiscono Bach, Beethoven, Schubert ‘musica colonialista’: ma come si fa? Schubert poi era una persona dolcissima…

C’è un movimento secondo cui dovrebbe esserci un equilibrio tra uomini, donne, colori di pelle diversi, transgender, in modo che tutte le questioni sociali, etniche, genetiche siano rappresentate. Lo trovo molto strano. La scelta va fatta in base al valore e al talento. Senza discriminazioni, in un senso o nell’altro.

Credo nei viaggi dell’amicizia e della pace. Non lavori per il successo, la quantità di applausi e articoli ma lo fai perché capisci che la tua professione è una missione…

Non ho paura della morte… Mi dispiace lasciare gli affetti… Da ragazzi andavamo la sera al cimitero a vedere i fuochi fatui. Ho conosciuto l’ultima prefica, Giustina: raccontava i pregi del morto, disteso sul letto nell’unica stanza della casa, la porta aperta sulla strada, alle pareti la foto del fratello bersagliere e dello zio ardito…

Un mondo semplice e fantastico, che mi manca moltissimo. Per questo le dico che appartengo a un’altra epoca. Oggi il mondo va così veloce, travolge tutto, anche queste cose semplici, che sono di una profonda umanità…

Ai miei funerali non voglio applausi. Sono cresciuto in un mondo in cui ai funerali c’era un silenzio terrificante… Quando sarà il mio turno, vorrei il silenzio assoluto. Se qualcuno applaude, giuro che torno a disturbarlo di notte, nei momenti più intimi…

Riccardo Muti

FONTE: https://www.luogocomune.net/28-opinione/5806-riccardo-muti-stanco-della-vita

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

MARCO CARRAI VINCE IN CASSAZIONE

Marco Carrai vince in CassazioneMaiorano insiste sulla Open Society

L’impegno di gran parte della magistratura italiana si concentra nelle indagini sui criminali e, soprattutto, sul perseguire chi abitualmente calunnia alta burocrazia e vertici istituzionali. In quest’ultimo caso le risposte degli organi inquirenti e giudiziari dovrebbero essere celeri e con evidente riscontro, perché il rischio è che o la cattiva Amministrazione (la cattiva politica) la faccia franca o che s’ampli in maniera irreversibile il cancro della sfiducia nei vertici dello Stato, costringendo sempre più le forze di polizia al fermo della gente di strada che manifesta disprezzo verso la classe dirigente. Situazioni già vissute nella Francia boulangista della seconda metà dell’Ottocento, dove il generale Georges Boulanger invitava platealmente a prendere a pesci in faccia gli alti dignitari.

Lungi dallo scrivente paragonare Beppe Grillo a Georges Boulanger: il generale francese rischiava personalmente la vita al fronte nella guerra franco-prussiana, mentre il Grillo nostrano ha semplicemente creato il “vaffa-day” e si è fatto una nuotata nello Stretto di Messina. Ma veniamo al punto: la magistratura dovrebbe appurare se la Open Society di George Soros abbia veramente finanziato tanto il grillismo quanto la Fondazione Open del manager Marco Carrai. Per scontato che i rapporti tra Gianroberto Casaleggio (fondatore della Casaleggio associati) e l’intelligence finanziaria di George Soros risalgano alla notte dei tempi, quindi siano ormai oggetto d’analisi storico-politica, ergo eventuale finanziamento al movimento sarebbe ormai prescritto.

Invece è recente la pubblicazione di due volumi che mostrano Marco Carrai come vero “puparo” della politica: entrambi scritti da Alessandro Maiorano, uno in italiano “L’usciere maledetto di Palazzo Vecchio” e l’altro in inglese “The cursed usher of Palazzo Vecchio”. Libri che hanno avuto tanta diffusione, anche all’estero, in cui si parla lungamente di Carrai e dell’inchiesta sulla Fondazione Open: nonché del fatto che la procura di Firenze avrebbe i riscontri delle indagini della Guardia di Finanza sui finanziamenti esteri alla politica incamerati dalla Open. Quest’ultima sarebbe secondo le fonti di Maiorano la filiazione (o succursale) italiana della Open Society di George Soros: quest’ultimo è il magnate statunitense (d’origine ungherese) che finanzierebbe tutti i partiti del mondo, soprattutto i nuovi movimenti e correnti in grado di destabilizzare gli stati.

Soros ha costruito il fondo occulto della Clinton (ove lavora il meglio di Black Rock), impegnato in operazioni finanziario-umanitarie, come in speculazioni insieme al misterioso fondo “Hedge Fund Bridgewater” (quello che ha scommesso sulla pandemia, ed annovera tra i suoi consulenti due componenti dell’Oms). Ma tutto questo è normale routine, non possiamo dimenticare che i sovietici finanziavano il Partito Comunista italiano e gli Usa la Democrazia Cristiana ed i partiti di Governo: qualcuno obietterà che si era in “Guerra Fredda”, che i soldi passavano da governi a partiti di Governo. Ma non possiamo dimenticare che, dimessosi Matteo Renzi, subentrava Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi: subito Soros viaggiava alla volta di Roma e veniva ricevuto da Gentiloni con la dignità che si deve ad un capo di Stato.

Soros e Gentiloni discutevano riservatamente per circa tre ore. I malevoli sostennero che il finanziare americano si sarebbe sincerato di persona che venissero rispettati gli accordi anche dal nuovo Governo. Se fosse vero che Marco Carrai è il referente italiano di Soros, allora si comprenderebbero i tanti timori ad indagare su chi eventualmente rappresenta in Italia l’intelligence finanziaria occidentale (la stessa che nel 1992 organizzava la riunione sullo yacht Britannia). Ma se Carrai non fosse il puparo (e Renzi e famiglia i suoi burattini), allora Alessandro Maiorano, uno dei suoi principali accusatori, dovrebbe subire misure restrittive.

Ma, dai riscontri forniti dalla Guardia di Finanza al professor Carlo Taormina, emergerebbero inspiegabili flussi finanziaria alla Fondazione Open. Intanto a Firenze sarebbe prossimo alle stampe “Il bandito di Firenze” di Alessandro Maiorano, in cui l’autore appellato da certi fiorentini come “bandito” o “pericolo pubblico numero uno”, torna a raccontare delle varie società di Marco Carrai con interessi dalla sicurezza alla cyber-security. Carrai è potentissimo, e la borghesia fiorentina evita anche di pronunciarne il nome, specie dopo che ha vinto ben due volte in Cassazione: vedendo per l’ennesima volta annullata l’ordinanza del Tribunale del Riesame che riteneva legittimi i sequestri della procura fiorentina. Marco Carrai risulta essere un imprenditore, il presidente di Toscana Aeroporti, il vertice della Fondazione Open… un lungo elenco d’incarichi e consulenze. Gli inquirenti fiorentini indagavano sul ruolo della Fondazione Open nella carriera di Matteo Renzi, dell’ex ministro Luca Lotti, della parlamentare Maria Elena Boschi, dell’avvocato Alberto Bianchi e di altre persone ancora. Ma dopo l’arresto dei genitori di Renzi e l’esame dei singoli casi, è parso a molti che il vero “puparo” sia Carrai, mentre gli altri solo pedine del potente uomo della Fondazione Open. Motivo che avrebbe spinto i pubblici ministeri fiorentini a notificare la proroga delle indagini sull’ipotesi di corruzione e finanziamento illecito alla politica. Secondo l’avvocato Taormina il successo di Renzi è dovuto all’incontro con Carrai: e per Taormina “Renzi è l’unico politico che sopravviverà a Draghi”.

I legali di Carrai, gli avvocati Filippo Cei e Massimo Dinoia, brindano al successo in Cassazione. Ma i pm fiorentini Luca Turco e Antonino Nastasi non sembra vogliano mollare le indagini sul “Giglio Magico” cominciate nel dicembre 2019. La vittoria di Carrai in Cassazione non sembra abbia sedato gli animi, all’orizzonte c’è già il nuovo confronto nei tribunali. Intanto il “Bandito di Firenze” (al secolo Alessandro Maiorano) torna a chiedersi se a capo dell’intesa tra le potenti massonerie bancarie di Toscana e Firenze non possa esserci il vertice della Fondazione Open. Soprattutto se i tentacoli delle massonerie bancarie non siano connessi con quelle della Loggia Ungheria.

Ma freniamo le ipotesi, i poteri chiedono rispetto e tutti con calma si cerca d’essere innocui spettatori. Anche perché sembra sia ormai sulla bocca di tutti la storia d’una politica suddita di logge ungheresi e gigli magici. E certi segreti non piacciono all’alta dirigenza. Non dimentichiamo che proprio da Firenze partì il provvedimento che chiuse per sempre il brigante meridionale Carmine Crocco nel carcere di Portoferraio… dove gli vennero sequestrate le memorie, che parlavano anche di accordi massonici per la nuova Italia unita ed indivisibile.

FONTE: http://opinione.it/politica/2021/06/30/ruggiero-capone_carrai-cassazione-maiorano-renzi-soros/

Il Pentagono ha costituito Forze Speciali segrete più potenti di quelle della CIA (Newsweek)

Il giornalista William Arkin, incontestabile esperto dei Dipartimenti della Difesa e della Sicurezza della Patria, ha pubblicato sul sito internet di Newsweek [1] una lunga inchiesta in cui rivela l’esistenza, all’interno delle forze armate USA, di Forze Speciali segrete formate da 60 mila uomini.

Uomini che non fanno parte degli organigrammi del segretariato alla Difesa, ma sono alle dipendenze di 120 compagnie subappaltatrici. Sono in grado d’intervenire in qualsiasi momento e in qualunque parte del mondo, persino negli Stati Uniti, in uniforme o in abiti civili.

Questi agenti del Pentagono hanno a disposizione mezzi sofisticati per alterare sembianze e impronte digitali, in modo da ingannare i sistemi d’identificazione biometrici.

La Convenzione di Ginevra non riconosce qualità di soldato a chi agisca senza uniforme o mascheri la propria identità.

Questo programma, noto con il nome di “Riduzione di traccia” è stato avviato nel 2013 ed è ignorato dai membri del Congresso.

FONTE: https://www.voltairenet.org/article213180.html

 

 

 

Draghi: resta la farsa-Covid, ma in cambio stop al rigore

La follia quotidiana nella quale il pianeta sembra precipitato, da un anno e mezzo, la si può misurare anche dall’ipocrisia con cui politica e media chiamano ancora “vaccini” i preparati genici sperimentali, che vaccini non sono. Ma il carattere paradossale dei giorni che stiamo vivendo è confermato anche dall’inaudita imposizione (italiana) di questi non-vaccini al personale sanitario, e dall’ignobile ostinazione (non solo italiana) con cui si continuano a ignorare le efficaci terapie domiciliari anti-Covid, come se non esistessero nemmeno. L’espediente serve ad assegnare ai non-vaccini il ruolo di farmaco unico e totemico, perfetto contrappeso simbolico alla psico-montatura mondiale chiamata Covid. Ovvero: la più grande pandemia di asintomatici che la storia ricordi, gonfiata da numeri improbabili e da tamponi Pcr palesemente manipolati, oltre che da cure negate, ritardate o addirittura drammaticamente errate.

Ed è in questo disastro, a quanto pare, che sta maturando il vero braccio di ferro tra i massimi poteri mondiali: da una parte i fautori dell’oligarchia più reazionaria, con pulsioni apertamente totalitarie, e dall’altra un’élite antagonista che vorrebbe riscrivere a modo suo il ScacchiGrande Reset, comunque ineludibile, entrando in un futuro svincolato dal ricatto della schiavitù finanziaria di ieri, grande protagonista del Nuovo Ordine Mondiale neoliberista fabbricato con i golpe, il terrorismo e le crisi pilotate degli spread. Nel caos italiano, tra partiti ridicoli e ridotti a fantasmi, Mario Draghi archivia il mediocre piazzista Giuseppe Conte e ostenta senza difficoltà il suo spessore internazionale incamerando gli applausi dell’Ue per il Recovery, riproiettando l’Italia nel Mediterraneo e ottenendo anche di inserire la questione-migranti nell’agenda ufficiale di Bruxelles.

E’ come se di colpo (a parte l’indecente politica sul Covid) l’Italia si fosse riaffacciata sulla scena europea e mondiale nel segno della sovranità relativa, sia pure formalmente coniugata con l’Unione Europea e con il gruppo che ha insediato alla Casa Bianca l’anziano Joe Biden. Messo fuori gioco Donald Trump, quella odierna di Washington si presenta come un’élite dal curriculum opaco, proveniente da elezioni presidenziali più che incresciose. Un gruppo che oggi si mostra comunque deciso a fermare l’insidioso espansionismo cinese, per decenni strumento del peggior neoliberismo atlantico, europeo, mondializzato. Per buon peso, la nuova leadership statunitense intende anche ridimensionare il ruolo di Mosca, fastidiosa potenza mondiale: fu messa al bando, la Russia, quando Vladimir Putin mise fine alla politica di sottomissione all’egemonia anglosassone varata da Boris Eltsin e dai suoi oligarchi, al soldo del peggior capitalismo finanziario razziatore e, all’occorrenza, anche terrorista.

Riguardo all’Europa di domani, è evidente che l’élite che fa capo alla Casa Bianca punta molte delle sue carte proprio sull’Italia, affidando al “nuovo” Draghi (non più guardiano dell’austeriy) il ruolo di ariete in doppiopetto, per rompere gli aspetti peggiori della gabbia eurocratica che ha finora impedito la nascita di una vera Unione Europea. Spariti gli inglesi con la Brexit, il “gigante” Draghi ha davanti a sé un traballante Macron, mentre Angela Merkel sta per lasciare il trono da cui ha contribuito in modo decisivo a paralizzare lo sviluppo europeo, tenendo il continente in balia di una crisi infinita. Gli osservatori più attenti, anche sui grandi media, non possono fare a meno di notare i passaggi-chiave del nuovo Draghi con Bidencorso italiano: niente super-tasse, nessuna patrimoniale. E’ lo stesso Draghi a ripetere che l’incubo del Patto di Stabilità (il freno artificioso e sleale imposto al benessere economico) è da considerarsi storicamente archiviato. A quale prezzo?

Se qualcuno aveva legittimamente sperato che l’approccio al Covid (finalmente la verità, dopo un anno di menzogne) potesse essere la cartina di tornasole della “rivoluzione democratica di palazzo” dietro al cambio della guardia alla Presidenza del Consiglio, si è sbagliato di grosso: evidentemente, la perdurante ipocrisia sulla gestione allarmistica della “crisi pandemica” è una moneta di scambio, nazionale e non solo: si lascia sostanzialmente inalterato il paradigma sanitario, per poter ribaltare completamente l’altro paradigma, quello economico-finanziario, secondo traiettorie disegnate però nell’alto dei cieli, fuori dalla portata dei Parlamenti. Il panorama politico italiano, poi, è ridotto a una platea di comparse del calibro di Enrico Letta, accanto a piccoli leader un tempo pugnaci ma oggi quasi ammutoliti, da Salvini alla Meloni, per non parlare di Grillo e Di Maio.

Tra parentesi: nessuno dei capi-partito (ma proprio nessuno) ha mai imposto in modo netto l’introduzione delle terapie anti-Covid, boicottate anche in sede giudiziaria dal bis-ministro Speranza. Quanto alle strategie per il futuro, tra Green Card e “varianti” paventate all’infinito, non è dato sapere dove si arriverà, né se il “partito cinese” (quello dei lockdown di Conte, approvati da Bergoglio) rialzerà la testa, o se invece sarà definitivamente sconfitto, e a quali condizioni. L’alternativa pare rappresentata da un’élite altantista che maneggia parole come libertà (tenendo in carcere Julian Assange e mantenendo in funzione Guantanamo) e come democrazia, dopo aver “vinto” le elezioni negli Stati Uniti nel modo che si è visto. Alla fine, lo spettacolo più sorprendente è proprio quello che sta offrendo l’Italia, con Mario Draghi impegnato a demolire, giorno per giorno, tutti i dogmi difesi per decenni a mano armata dall’altro Mario Draghi, quello di ieri.

FONTE: https://www.libreidee.org/2021/06/draghi-resta-la-farsa-covid-ma-in-cambio-stop-al-rigore/

 

 

 

Facebook ora censura anche il cippo di El Alamein. Ma dopo le proteste si scusa

Roma, 2 lug – La situazione della libertà d’espressione su Facebook è sempre più grave. Il colosso social di Mark Zuckerberg, infatti, non perde occasione per censurare le notizie, i simboli e gli eventi storici che non gli aggradano. L’ultimo atto censorio si è verificato ieri: il 1° luglio del 1942 ebbe inizio la prima battaglia di El Alamein tra l’Asse e gli Alleati. Fu la battaglia decisiva del teatro africano, in cui i soldati italiani combatterono con valore ed eroismo. Ed è proprio questo il messaggio del famoso cippo che tuttora sorge a El Alamein: «Mancò la fortuna, non il valore».

A Facebook non piace El Alamein

Ecco ieri, in occasione di questo anniversario, migliaia di utenti Facebook hanno condiviso la foto del cippo sui propri profili. E la scure censoria si abbattuta senza pietà: contenuti rimossi perché violerebbero «i nostri standard della community in materia di persone e organizzazioni pericolose», pagine e profili sospesi o bloccati. Di qui l’indignazione delle tante vittime della censura, che hanno presentato ricorso in massa.

Le reazioni della politica

E anche la politica si è mossa, tra cui in particolare Ignazio La Russa: «Ma non lo sanno che la battaglia di El Alamein, in cui mio padre venne fatto prigioniero a Tobruch, venne combattuta quando il fascismo non era ancora caduto? Era quindi l’esercito ufficiale del Regno in battaglia, non quello della tanto contestata Repubblica Sociale Italiana», ha tuonato il vicepresidente del Senato ed esponente di Fratelli d’Italia. Che ha poi spiegato: «Quanta ignoranza sta diventando insopportabile, questo voler a tutti i costi riscrivere e cancellare la storia senza nemmeno poi conoscerla. Una battaglia, quella di El Alamein, in cui gli inglesi resero l’onore delle armi ai combattenti della Folgore e ancora oggi ministri e presidenti del Consiglio rendono omaggio a quegli eroi».

Stupore e indignazione sono stati anche i sentimenti provati da Vittorio Orlando, presidente dell’Anrra, l’Associazione nazionale reduci e rimpatriati d’Africa: «Il taglio della libertà non meriterebbe nemmeno un commento», ha dichiarato Orlando all’AdnKronos. «Il voler censurare a tutti costi persone che ricordano la storia mi fa sorridere veramente. Penso che abbiamo raggiunto livelli imbarazzanti. Questo meccanismo sta prendendo una deriva pericolosa. Sono costernato».

«Scusate, ci siamo sbagliati»

Ad ogni modo, dopo le numerose proteste e i ricorsi, nella tarda serata di ieri Facebook ha sbloccato pagine e profili, ripristinando le foto precedentemente censurate, e ha porto le sue scuse agli utenti coinvolti: «Si è trattato di un errore. Abbiamo ripristinato i contenuti e ora dovrebbero essere visibili, ci scusiamo per l’inconveniente», è il testo della notifica arrivata ai profili colpiti. Forse Facebook potrebbe passare più tempo a bloccare i segnalatori antifascisti piuttosto che dover chiedere scusa in questa maniera tardiva e anche un po’ imbarazzante.

Vittoria Fiore

FONTE: https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/facebook-censura-cippo-el-alamein-dopo-proteste-chiede-scusa-161674/

 

 

 

DIRITTI UMANI

PSICOPATOLOGIA DI UN VIRUS

Psicopatologia di un virusUna delle prime domande che ci sentivamo fare nel pre-Covid quando uscivamo e conoscevamo persone nuove era: “Di che segno sei?”. Indipendentemente dalla nostra posizione al riguardo, spesso questo segnava la misura del livello di frequentabilità di quella persona. Un tipo o una tipa che ti fa una domanda del genere, se sei una persona che con una vita organizzata e con non troppo tempo da perdere, non vuoi vederlo mai più, a meno che non si tratti della cinquantesima uscita, oppure di uno scherzo.

La prima domanda del post-Covid fra le nuove conoscenze e gli amici ritrovati sembra essere: “Hai fatto il vaccino?”. Nessuno ti chiede come stai, che progetti hai, chi sei, cosa fai nella vita, come hai trascorso l’ultimo anno e mezzo. “Sei vaccinato?” è la domanda (fatta spesso in pubblico) alla quale poi non sai se rispondere dicendo il vero o il falso, che ti lascia paralizzato, e che probabilmente starà inducendo la metà degli italiani a dare una risposta farlocca, cioè a mentire.

Siamo passati dunque dagli invasati degli oroscopi, che non escono di casa se la Luna non è in Toro o in Sagittarioagli invasati del vaccino, della mascherina all’aperto anche se si può non metterla, dal dover sapere a tutti i costi.

Vorrei suggerire un’idea, che non vale soltanto per coloro che il vaccino non l’hanno fatto, ma pure per chi crede fortemente in questa fase storica, commosso ed emozionato di aver aderito convintamente alla vaccinazione, essendosi probabilmente salvato la vita. Se lo si è fatto o no sono affari privati, non è dato agli altri saperlo. La privacy sulle cure, su quello che ci si lascia o meno inoculare, sulle proprie malattie, è ancora un fatto importante che va rispettato e ci sono norme.

Persino sul posto di lavoro, come scritto in un articolo di QS del 18 febbraio 2021. “È stato chiesto al Garante della Privacy: se può il datore di lavoro chiedere ai propri dipendenti di vaccinarsi contro il Covid per accedere ai luoghi di lavoro e per svolgere determinate mansioni, ad esempio in ambito sanitario? Si può chiedere al medico competente i nominativi dei dipendenti vaccinati? O chiedere conferma della vaccinazione direttamente ai lavoratori? In attesa di un intervento del legislatore nazionale, che eventualmente imponga la vaccinazione anti Covid-19 quale condizione per lo svolgimento di determinate professioni, attività lavorative e mansioni, il datore di lavoro può chiedere conferma ai propri dipendenti dell’avvenuta vaccinazione? No”.

Questo quindi per l’ambito lavorativo.

Immaginatevi qualcuno che vi chieda, magari mentre siete seduti al bar con i tavolini vicini o seduti in attesa del vostro turno: “Hai mai pensato di avere il condiloma o l’Hiv? Hai mai fatto i controlli per l’epatite B? Oppure dopo pochi minuti dalla presentazione di una nuova persona questa ti dice: “A letto preferisci stare sopra o sotto? Sei attivo o passivo?”. O ancora: “Sei etero, gay o una delle altre cinquanta sessualità?”.

Diciamocelo, al di là della privacy, si tratta anche di buona educazione. Siamo sempre là, o ce l’hai o non ce l’hai.

Per non parlare di quelli che appena ti vedono o ti telefonano dopo un anno e mezzo, si sentono autorizzati a raccontarti per un’ora e mezza della malattia vissuta dal congiunto dell’amico o dell’amico dell’amico o del parente dello zio, come se non vedessimo l’ora, ammorbati già dai virologi della telepandemia e dopo cotanta prigionia, di sparare su quel raro momento di pace e di spensieratezza, non vedendo l’ora di venire a sapere di un altro fatto in più.

E così, maledicendo quell’occasione tanto agognata di libera uscita e di incontro con il genere umano, che di umano sembra avere più assolutamente nulla, preferisci tornare a casa e restarci. Cosa c’è di meglio della compagnia del proprio cane.

@vanessaseffer

FONTE: http://opinione.it/societa/2021/07/01/vanessa-seffer_pre-covid-vaccino-saggitario-toro-mascherina-luna-qs-garante-della-privacy-covid-19-hiv-epatite-b/

 

 

 

ECONOMIA

Cashback finito: cosa fare per avere i rimborsi

Da domani stop al cashback. I rimborsi per il semestre gennaio-giugno 2021 verranno accreditati entro luglio sugli Iban registrati sulla app Io

Cashback finito: cosa fare per avere i rimborsi

Ha avuto vita relativamente breve il cashback, la misura introdotta dal governo Conte II per combattere l’evasione fiscale e incentivare i pagamenti elettronici premiando l’uso di strumenti digitali come bancomat e carte di credito attraverso un rimborso del 10% della spesa effettuata fino ad un massimo di 150 euro per 50 transazioni.

Oggi, infatti, l’operazione cashback si concluderà con il pagamento delle somme accumulate con i pagamenti delle carte di debito e credito e con il superpremio da 1.500 euro ai maggiori utilizzatori. È quanto ha stabilito la Cabina di regia che si è tenuta a Palazzo Chigi. Viene così cancellata l’operazione prevista per il secondo semestre dell’anno. Una decisione che ha soddisfatto Fdi, che da tempo chiedeva lo stop del cashback così da destinare i fondi per altre attività e settori colpiti dalla crisi economica, ma ha provocato irritazione nel M5s. “Mi auguro si possa tornare indietro su questa decisione”, ha affermato il capodelegazione pentastellato Stefano Patuanelli a margine del Consiglio europeo in Lussemburgo. Quindi da domani il cashback non sarà più in vigore. Non si tratta di un addio definitivo in quanto al momento si parla solo di uno stop di 6 mesi. Il governo deciderà in seguito se abolire o meno definitivamente l’iniziativa tanto cara ai 5s.

I rimborsi per il semestre gennaio-giugno 2021 verranno accreditati entro luglio direttamente sugli Iban registrati sulla app Io dove si può vedere il numero delle transazioni effettuate e quelle valide per il rimborso. Non va dimenticato che esiste anche il Super-cashback che mette in palio un premio di 1.500 euro. Sulla app Io è visibile la propria posizione in classifica. Per ottenere il Super-cashback ieri servivano almeno 721 transazioni.

La misura ha, ovviamente, un costo per lo Stato. Per il 2021 è stata stimata una spesa di circa 1,75 miliardi di euro. Una cifra che sarebbe salita nel 2022 a circa 3 miliardi. Un costo giudicato eccessivo dall’attuale governo che preferisce utilizzare quelle risorse per altre misure. Ma sulla scelta dell’esecutivo hanno sicuramente influito le critiche mosse dalla Banca centrale europea che aveva definito il cashback uno strumento “sproporzionato alla luce del potenziale effetto negativo che tale meccanismo potrebbe avere sul sistema di pagamento in contanti e in quanto compromette l’obiettivo di un approccio neutrale nei confronti dei vari mezzi di pagamento disponibili”. Lo stesso Draghi ha fatto notare che il cashback non è uno strumento sufficiente per combattere l’evasione.

Al momento non si sa se il cashback verrà sostituito da un’altra misura. Il governo pare sia orientato a mettere in campo un incentivo, forse un credito d’imposta, per gli esercenti che preferiscono i pagamenti elettronici. Non c’è, però, ancora l’ufficialità.

FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/economia/cashback-ultimo-giorno-cosa-cambia-luglio-1958695.html

 

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

Il Tribunale di Pisa dichiara l’illegittimità dello Stato di emergenza sanitaria.

Depositate le motivazioni della Sentenza n.419 del 17 marzo 2021 inerente ai provvedimenti adottati per la gestione della ‘pandemia’ da Covid-19.

Di Ivana Suerra Su 30 Giu 2021

Con una nuova Sentenza, la Magistratura Italiana torna sul tema dell’illegittimità dei D.P.C.M. emanati dal Governo per far fronte alla ‘pandemia’ da Covid-19.
Il Tribunale Penale di Pisa in composizione monocratica – Dott.ssa Lina Manuali – ha depositato le motivazioni della Sentenza n.419/21 emessa in data 17 marzo 2021.
Con un’argomentazione che si dilunga in ben 18 pagine, il Giudice ha dichiarato, in adesione all’orientamento già espresso da altri Magistrati, l’illegittimità dei Decreti Presidenziali, rilevandone il contrasto con i diritti fondamentali di cui agli artt. 13, 16, 17, 18 e 19 della Costituzione Italiana.
Come se non bastasse, il Tribunale di Pisa si è concentrato, altresì, sull’illegittimità dello Stato di emergenza ‘sanitario’ deliberato dal Consiglio dei Ministri in data 31 gennaio 2020.

Il Giudice, infatti, ha ravvisato:
– l’assenza dei presupposti per deliberare lo Stato di emergenza ai sensi e per gli effetti di cui al D.Lgs. 1/2018 (Codice della Protezione Civile);
– la violazione palese dell’art. 78 della Costituzione.

“In conclusione, la delibera dichiarativa dello Stato di emergenza adottata dal Consiglio dei Ministri il 31.1.2020 è illegittima per essere stata emanata in assenza dei presupposti legislativi, in quanto non è rinvenibile alcuna fonte avente forza di legge, ordinaria o costituzionale, che attribuisca al Consiglio dei Ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario. A fronte della illegittimità della delibera devono reputarsi illegittimi tutti i successivi provvedimenti emessi per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19”.

E ora, alle soglie di un’ennesima proroga dello Stato di emergenza, potranno le Istituzioni di questo Paese continuare ad ignorare con nonchalance una Sentenza dell’Autorità Giudiziaria di così lampante chiarezza?

Si allega la Sentenza del Tribunale di Pisa n.419 del 17 marzo 2021:

Sentenza Tribunale Pisa 419-2021.

FONTE:https://comedonchisciotte.org/il-tribunale-di-pisa-dichiara-lillegittimita-dello-stato-di-emergenza-sanitaria/ 

 

 

 

 

LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

IL LAVORO NON È UNA VARIABILE INDIPENDENTE

Il lavoro non è una variabile indipendenteL’accordo sul superamento del blocco dei licenziamenti è un passo avanti rispetto a una misura inutile nel breve termine e dannosa nel lungo, ma tradisce l’assoluta sottovalutazione dei danni che questo provvedimento può causare. In sintesi, il Governo sarebbe orientato a prorogare il blocco fino a ottobre per il tessile e i settori collegati – che ancora si trovano in crisi profonda – mentre per gli altri settori sarebbe comunque previsto un allungamento di altre tredici settimane della cassa integrazione. Infine, nell’ambito della riforma degli ammortizzatori sociali, si starebbe ragionando sull’estensione della Cig anche alle aziende oggi non coperte da tale strumento.

Questi interventi hanno in comune un’assunzione implicita: che il lavoro sia una variabile indipendente. Purtroppo (o per fortuna) non è così. Il lavoro è uno degli ingredienti della produzione. Ma quanto lavoro serve, con quali skill, in quali mansioni, e per produrre quali beni, dipende dalle condizioni specifiche di luogo, tempo e tecnologie. I prodotti che consumiamo oggi non sono gli stessi di ieri e di domani. La crescita economica – la creazione di ricchezza – nasce proprio dal continuo ricombinarsi dei fattori della produzione. Impedire, rallentare o comunque interferire con questo processo porta inevitabilmente a restringere gli spazi di sviluppo. Che è esattamente l’opposto di ciò che serve, all’indomani di un anno economicamente (e socialmente) disastroso come il 2020.

Tutto il dibattito si è avvitato intorno a un fraintendimento pericoloso. Paradossalmente, sarebbe molto meno dannoso prolungare il blocco dei licenziamenti per i settori che stanno vivendo una fase di ripresa, che per quelli invece “in crisi”. Proprio i settori in crisi sono infatti quelli nei quali ha maggiore importanza favorire la riallocazione dei fattori produttivi (e, in particolare, del lavoro). Meno spazio viene lasciato a questo processo, più è probabile che le conseguenze della crisi non siano reversibili, con la conseguente moria di imprese.

Qui entra in gioco la riforma degli ammortizzatori sociali. La cassa integrazione è uno strumento importante di sostegno al reddito e di sollievo alle imprese, ma nei fatti “immobilizza” i lavoratori: andrebbe, semmai, trasformata in un sussidio che non impedisca al lavoratore di trovare, nel frattempo, altre occupazioni temporanee o definitive. Cosa che, in verità, già oggi succede, attraverso il lavoro sommerso.

È vero che superare il blocco dei licenziamenti è politicamente impegnativo e complesso: ma più si rinvia il momento del dunque e più lo sarà. Prorogare non basta.

FONTE: http://opinione.it/editoriali/2021/07/01/istituto-bruno-leoni_lavoro-varibaile-indipendente-cig-skill-prorogare-blocco-dei-licenziamenti-governo-tessile-ottobre/

 

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Avrebbe dovuto dirlo El Papa

Una offensiva è in corso contro i fondamenti di tutte le religioni del mondo – e il codice genetico delle civiltà, con l’obiettivo di abbattere tutti gli ostacoli sulla via del liberalismo”. A scandire questa sentenza inaudita è Sergei Lavrov, il ministro degli esteri di Putin.

In un articolo pubblicato il 28 giugno sulla rivista russa di analisi delle relazioni internazionali Russia in Global Affairs e trasmesso da RT France, il capo della diplomazia russa Sergei Lavrov analizza a lungo l’atteggiamento e le ambizioni dei paesi occidentali in materia di relazioni organizzazioni internazionali, con gli Stati Uniti e l’Unione Europea in testa.

In questa vena, Lavrov deplora la graduale sostituzione del diritto internazionale con “regole” decretate dagli occidentali, che portano a una politica di “due pesi e due misure” che si evolve secondo i loro interessi. Questo processo si manifesta a suo avviso come un attacco non solo al diritto internazionale ma anche alla “natura umana”.

Aggiunge: “Nelle scuole di diversi paesi occidentali si cerca di persuadere i bambini che Gesù Cristo era bisessuale”. A suo parere, i tentativi di politici “sani” di proteggere i bambini dalla “propaganda LGBT aggressiva” vengono accolti con proteste bellicose sotto le ipocrite apparenze di un’”Europa illuminata”.

Evocando su questa scia una “offensiva in corso contro i fondamenti di tutte le religioni del mondo” e persino contro “il codice genetico delle principali civiltà del pianeta”, il ministro russo ritiene che gli Stati Uniti abbiano preso “la testa di un palese ingerenza dello Stato negli affari della Chiesa, cercando apertamente di dividere l’ortodossia mondiale, i cui valori sono percepiti come un potente ostacolo spirituale sul cammino costituito dalla concezione liberale della permissività illimitata”.

E’ la presa di posizione russa di fronte alle recenti posizioni assunte da diversi paesi membri dell’UE, che hanno criminalizzato la legge ungherese intesa a vietare la promozione dell’omosessualità tra i minori. 17 Stati membri, tra cui Francia, Germania, Paesi Bassi, Italia e Belgio, hanno inviato una lettera al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, al presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e al segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, per deplorare “le minacce ai diritti fondamentali e in particolare al principio di non discriminazione in base all’orientamento sessuale”. Il 23 giugno, il presidente della Commissione ha definito questa legge una “vergogna”.

Contro la neolingua, il conformismo woke, la derisione per il Cristo e l’odio per i credenti esibito nei gay pride, quella di Lavrov è una folgorante scelta di campo. Come nota Strategica 51, “ è paradossale che tutti i leader religiosi e rappresentanti di quasi tutte le fedi rimangono completamente muti, se non sottomessi alla propaganda universale. C’è da credere che siano stati tutti compromessi o comprati o ridotti al silenzio.

Se la guerra alla religione risale all’Illuminismo, Lavrov denuncia qui la fase nuova ed estrema che ha assunto: “ la guerra in corso contro il genoma umano, contro ogni etica e contro la natura, che alla fine mirano non meno alla distruzione delle nazioni, anzi dell’uomo come essere intelligente”.

l’Unione Europea e il Deep State USA in obbedienza ai miliardari del World Economic Forum, sventolano la bandiera arcobaleno e mentre degradano la specie umana cercando di imporre nuove forme di procreazione umana, uccidendo feti di nove mesi per profitto e persino alterare il DNA . È un progetto (il Grand Reset) finalizzato all’asservimento definitivo e irreversibile della specie umana, ridotta a uno stadio di animale subdomestico con un solo scopo: consumare e tacere.

Quando pala di aggressione al codice genetico umano, Lavrov allude alla grande manipolazione del COVID-19 e al grande circo in atto da marzo 2020? Certamente, secondo Strategika . “E’ parte dell’offensiva a tutto campo della guerra ibrida contro l’umanità – o quel che ne resta. Mentre i social media in rete s’incaricano di livellare verso il baso le relazioni umane, o addirittura la loro trasformazione in riflessi pavloviani via manipolazione emotiva e dipendenza psichica, altri strumenti farmacologici vengono impiegati per danneggiare il genoma umano.

E’ la scelta di campo decisiva. La Russia si schiera contro l’Impostura per la Verità, per amore dell’uomo integrale contro il transumano.

FONTE: https://www.maurizioblondet.it/avrebbe-dovuto-dirlo-el-papa/

 

 

 

Usa, sì alla rimozione delle statue sudiste dal Campidoglio: “Sostituite da neri”

Washington, 30 giu – La Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha votato ieri una proposta di legge per rimuovere dal Campidoglio tutte le statue raffiguranti personaggi sudisti, ovvero che hanno servito nella Guerra Civile per la Confederazione. Di conseguenza sono “razzisti”, anche se appartengono ad un’altra epoca e vanno … cancellati.

Usa, Camera propone di “cancellare” i sudisti

La proposta di “cancellare” le statue sudiste o confederate è stato approvata in Camera con una maggioranza di 285 a 120. Tra di loro 67 repubblicani che hanno votato a favore insieme ai democratici. Adesso il disegno di legge HR 3005/2021 passerà al Senato. Se passerà, si provvederà alla rimozione entro 45 giorni dalla sua promulgazione di tutte le statue di confederati donate al Campidoglio dai singoli Stati.

Giudice “razzista” sostituito con quello nero

Secondo quanto si legge nel disegno di legge, le statue “saranno restituite e potranno essere sostituite nella Statuary Hall con altre scelta dello Stato”. Nel progetto si contempla la sostituzione del busto di Roger Brooke Taney dalla Old Supreme Court Chamber del Campidoglio con un altro raffigurante Thurgood Marshall, il primo giudice nero della Corte Suprema federale degli Stati Uniti d’America.

“E’ solo distruzione della libertà di pensiero”

Il deputato Mo Brooks, rappresentante repubblicano dell’Alabama, accusa i democratici di intolleranza: “La cancel culture e il revisionismo storico sono precursori del governo dittatoriale e della distruzione della libertà individuale da parte di personaggi elitari che affermano di saperne di più dei normali cittadini e, quindi, dovrebbero avere il potere di dettare loro ciò che possono o non possono pensare o fare”.

Ilaria Paoletti

FONTE: https://www.ilprimatonazionale.it/esteri/usa-verso-il-si-alla-rimozione-statue-199542/

 

 

 

POLITICA

Quando l’inimmaginabile diventa immaginabile

Eric Lander, Julian Huxley e i l risveglio dei mostri dormienti

Matthew Ehret
strategic-culture.org

Vedremo in futuro la biotecnologia servire gli interessi dell’umanità secondo un paradigma multipolare che abbraccia sovranità nazionale, vita umana, famiglia e fede?

Per quanto prendere in considerazione idee come il ruolo dell’eugenetica nella presente e turbolenta era potrebbe essere fonte di una buona dose di dispiaceri e persino di mal di stomaco, penso che ignorare un tale argomento non porti alcun beneficio.

E’ una questiona estremamente seria, soprattutto tenendo conto che esponenti di punta del World Economic Forum come Yuval Harari fanno uso di concetti come “la nuova inutile classe globale,” che verrebbe creata, presumibilmente, dall’Intelligenza Artificiale, dall’ingegneria genetica, dall’automazione e dalla Quarta Rivoluzione Industriale. Un’altra creatura di Davos, Klaus Schwab, auspica apertamente una popolazione globale dotata di microchip capace di interfacciarsi ad una rete globale con la sola forza del pensiero, mentre Elon Musk e Mark Zuckerberg perseguono il progetto “Neuralink” per “mantenere l’umanità rilevante” grazie alla connessione mente-computer in una nuova epoca di biologia evolutiva.

Famosi genetisti darwiniani, come Sir James Watson e Sir Richard Dawkins, difendono apertamente l’eugenetica; proprio nel momento in cui una tecnocrazia si consolida al posto di comando usando il “Grande Reset” come scusa per inaugurare una nuova era post-stati nazione.

Ora dobbiamo trovare il coraggio di indagare sulla possibilità che ci sia qualcosa di fondamentalmente malvagio dietro a tutti questi processi, soprattutto in relazione all’aiuto che, circa un secolo fa, gli Anglo-Americani avevano dato alla nascita del fascismo e dell’eugenetica. Dopo tutto, era stato solo guardando a questi terribili eventi di ottant’anni fa, che, nel 1933 e, di nuovo, durante la Seconda Guerra Mondiale, i patrioti erano stati in grado di prendere misure adeguate per prevenire una dittatura tecnocratica dei banchieri … quindi potrebbe valere la pena usare un simile dispiego di coraggio per immaginare l’inimmaginabile, soprattutto per chi si trovasse oggi in una situazione analoga.

Cosa non era successo a Norimberga?

Settant’anni fa, quando gli Alleati stavano consolidando la loro vittoria sulla macchina nazista e si stava allestendo il Tribunale di Norimberga, una nuova strategia era stata messa in moto dalle stesse forze che avevano investito molta energia, denaro e risorse nel promuovere l’ascesa del fascismo, visto come “la soluzione miracolosa” al caos economico scaturito dalla Prima Guerra Mondiale e diffusosi poi in tutta Europa e negli Stati Uniti.

Rimane uno dei più grandi scandali della nostra epoca il fatto che il connubio Wall Street -City of London, che aveva finanziato di Hitler e Mussolini utilizzandoli come arieti del nuovo ordine mondiale, non sia mai stato portato davanti alla giustizia. Nonostante Franklin Roosvelt fosse riuscito a mettere il guinzaglio a Wall Street tra il 1933 e il 1945, mentre preparava il palco mondiale per una meravigliosa visione post-bellica di cooperazione vantaggiosa per tutti; le forze oscure dell’oligarchia finanziaria, il cui unico scopo era istituire un sistema di governance globale unipolare, non solo avevano evitato ogni punizione, ma non avevano nemmeno aspettato la fine della guerra per riguadagnare la loro perduta egemonia.

Il ruolo di Sir Julian Huxley

Uno dei grandi strateghi concettuali di questo processo era stato Julian Sorrel Huxley (1887-1975). Famoso biologo e riformista sociale, Julian era rimasto per tutta la vita un assiduo membro della Società britannica di eugenetica, prima nel ruolo di segretario accanto a John Maynard Keynes e, in seguito, di presidente.

Julian era un uomo impegnato e, insieme al fratello Aldous, aveva lavorato sodo per essere all’altezza della nomea del nonno Thomas (meglio conosciuto come il mastino di Darwin). Mentre gestiva il movimento eugenetico del secondo dopoguerra, Julian, nel 1948, aveva anche dato inizio al moderno movimento ambientalista, fondando l‘International Union for the Conservation of Nature (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) e, nel 1961, co-fondando il World Wildlife Fund (WWF); aveva coniato il termine “transumanesimo” e, nel 1946, dato vita ad una istituzione delle Nazioni Unite estremamente influente, denominata UNESCO (United Nations Education, Science and Cultural Organization – Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura,) che avrebbe guidato, come direttore generale, nel periodo 1946-1948.

Il mandato della nuova organizzazione era già chiaramente delineato nel testo di Huxley del 1946 “UNESCO: Its Purpose and its Philosophy” (Unesco: gli scopi e la filosofia):

“La morale dell’UNESCO è chiara. Il compito di promuovere la pace e la sicurezza non potrà mai essere realizzato solo attraverso i mezzi assegnatigli, cioè educazione scienza e cultura. Deve prevedere una qualche forma di unità politica mondiale, sia essa un singolo governo mondiale o altro, in quanto è l’unico modo efficace di evitare guerre … nel suo programma educazionale potrà sottolineare la necessità ultima di una unità politica mondiale e di rendere familiare a tutte le persone le implicazioni del trasferimento della piena sovranità dalle singole nazioni ad una organizzazione mondiale.”

Qual sarebbe stato lo scopo di questa “unità politica mondiale”? Molte pagine dopo, è esposta la visione di Huxley in tutti i suoi contorti dettagli:

“Al momento, è probabile che l’effetto indiretto della civilizzazione sia più disgenico che eugenico e, in ogni caso, è probabile che il peso morto della stupidità genetica, della debolezza fisica, dell’instabilità mentale e dell’inclinazione alle malattie, già esistenti nella specie umana, si rivelerà un onere troppo gravoso per realizzare progressi reali. Pertanto, nonostante sia abbastanza vero che ogni politica eugenetica radicale sarà per molti anni politicamente e psicologicamente impossibile, sarà importante per l’UNESCO controllare che i problemi dell’eugenetica siano esaminati con la massima cura possibile e che la mentalità pubblica sia informata delle questioni in gioco, affinché ciò che per ora è inimmaginabile diventi almeno immaginabile.”

Dato che il mondo ha avuto la possibilità di vedere cosa realmente sia un programma di eugenetica interamente supportato da un’ingegneria sociale di stampo fascista, non è esagerato dire che l’eugenetica ha perso un bel po’ della sua popolarità agli occhi di un mondo ancora molto attento ad istituzioni culturali tradizionali come il cristianesimo, il patriottismo e il rispetto per la sacralità della vita.

Nonostante trenta Stati americani e due province canadesi avessero legalizzato politiche eugenetiche (compresa la sterilizzazione forzata dei disabili) tra il 1907 e il 1945, le scienze statistiche e le applicazioni politiche dell’eugenetica avevano subito un brusco arresto alla fine della Seconda Guerra Mondiale e, come Huxley aveva ribadito nel suo manifesto, qualcosa di nuovo andava fatto.

Qualche notizia sulla Clinica Tavistock

Huxley aveva anche lavorato molto in collaborazione con la Clinica Tavistock di Londra, che aveva ricevuto fondi sia dai Rockefeller che dalla Macy Foundation per tutto il periodo 1930-1950. Guidata da uno psichiatra, il brigadiere generale John Rawlings Rees, la Clinica Tavistock, che può essere considerata “il braccio psichiatrico dell’Impero Britannico,” era stata fondata nel 1921 allo scopo di sviluppare tecniche psichiatriche innovative, fondate su un misto tra comportamentismo pavloviano e teorie freudiane, per influenzare in vari modi i comportamenti di gruppo.

All’inizio, la clinica si era concentrata sullo studio delle condizioni mentali estreme, le psicosi post-traumatiche in persone che avevano sofferto di destrutturazione psicologica a causa degli orrori della guerra di trincea, riconoscendo la grande malleabilità di questi soggetti. Come riportato da un brillante articolo del 1996 di L. Wolfe, il lavoro a Tavistock era sempre stato focalizzato sulla necessità di capire come il cervello potesse essere “destrutturalizzato” e “decostruito” per essere poi riprogrammato, come una tabula rasa, con la speranza che queste scoperte individuali potessero poi essere replicate su gruppi sociali più grandi e perfino a livello di intere nazioni. Molte di queste ricerche erano poi continuate negli Stati Uniti con il progetto MK Ultra e questo sarà il tema di un futuro articolo.

G. Brock Chrisholm: lo zar della salute mondiale di Tavistock

Un famoso psichiatra che aveva passato molti anni lavorando con Rees alla clinica Tavistock era un canadese di nome G. Brock Chisholm.

Nel 1948, Chisholm aveva fondato un’organizzazione affiliata alle Nazioni Unite denominata World Health Organization (WHO – OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità), il cui scopo era quello di promuovere la salute mentale e fisica nel mondo. Un nobile sforzo che richiedeva molta responsabilità e potere aveva bisogno di un leader con una visione eccezionale della natura delle malattie e della salute. Purtroppo, vista la sua personale e malata concezione della natura dell’essere umano e della società, Chisholm era certamente l’uomo sbagliato per questo incarico.

Secondo Chisholm, fra le cause principali delle guerre e delle malattie mentali non c’erano l’imperialismo o l’ingiustizia economica, ma piuttosto ciò che per la società rappresentava il bene e il male. Nel 1946, Chisholm aveva esposto in questi termini gli scopi della “buona” psicoterapia e della “buona” educazione: “la reinterpretazione e l’eventuale sradicamento del concetto di giusto e sbagliato, che è la base dell’educazione infantile; nelle credenze degli anziani la sostituzione della fede con il pensiero intelligente e razionale: questi sono gli obiettivi di ogni psicoterapia di successo.”

Ma non erano semplicemente il “concetto di giusto e di sbagliato” o “la fede nelle credenze degli anziani” a dover essere sradicati, ma anche la religione monoteista, la famiglia e il patriottismo. Otto anni dopo, Chisholm aveva aggiunto: “Per raggiungere il governo mondiale, è necessario rimuovere dalla mente degli uomini il loro individualismo, la fedeltà alle tradizioni familiari, il patriottismo nazionale e i dogmi religiosi.

Il mondo impazzisce

Con l’UNESCO e l’OMS saldi al loro posto, era stata crata una terza organizzazione per gestire i fondi e le pratiche della salute mentale globale.

Come sottolineato dallo storico Anton Chaitkin, la World Federation of Mental Health – WFMH (Federazione Mondiale di Salute Mentale) era stata creata nel 1948, finanziata principalmente dalla Macy Foundation, quest’ultima creata nel 1930 sotto la guida del generale Marlborough Churchill (cugino di Winston), che, nel periodo 1919-1929, era stato responsabile dell’intelligence militare segreta, con la fondazione dell’agenzia di analisi crittografica “Black Chamber.”

La coordinatatrice tecnica americana della conferenza per la fondazione della WFMH era stata molto chiara sulle finalità della nuova organizzazione. Nina Ridenour aveva scritto che “la Federazione Mondiale per la Salute Mentale … è stata creata sulla raccomandazione dell’OMS e dell’UNESCO perchè necessitavano di una organizzazione per la salute mentale non governativa con la quale potessero collaborare.”

E chi era stato il primo direttore generale della WFMH?

Mentre ancora era a capo della Clinica Tavistock di Londra, il brigadiere generale John Rawlings Rees era stato posto al comando di questa nuova organizzazione (la WFMH) proprio da quell’arci-razzista di Norman Montagu (il capo della Banca di Inghilterra), che aveva diretto tutta l’operazione tramite sua Associazione Nazionale per la Salute Mentale, che [Montagu] gestiva direttamente da Thorpe Lodge, sua dimora londinese.

Descrivendo questo piano di battaglia per riformare la società, Rees aveva detto:

“Se ci preparassimo ad uscire allo scoperto ed ad attaccare i problemi odierni della società e della nazione, avremmo bisogno di diventare truppe d’assalto, ma questo non potrà mai succedere se gli psichiatri rimarranno legati alle istituzioni. Dobbiamo avere gruppi mobili di psichiatri che siano liberi di muoversi e di avere contatti con le aree locali.”

L’idea di gruppi mobili di psichiatri come truppe d’assalto era un concetto avanzato dal grande stratega Lord Bertrand Russel che,nel 1952, aveva scritto nel suo libro “L’impatto della scienza sulla società:”

“Penso che il soggetto politicamente più importante sarà la psicologia di massa … la sua importanza è enormemente cresciuta grazie alla nascita dei moderni metodi di propaganda. Di questi, il più influente è quello che viene chiamato “educazione.” La religione gioca un ruolo, anche se sempre meno importante; la stampa, il cinema e la radio stanno avendo un ruolo sempre maggiore … Potrebbe essere auspicato che, in breve tempo, chiunque potrà essere capace di persuadere chiunque di qualsiasi cosa, se potrà lavorare su soggetti giovani e se sarà fornito dallo Stato di fondi ed equipaggiamento.”

La guerra fredda bipolare e il nuovo paradigma globale

Negli anni successivi, l’UNESCO l’OMS e la WFMH avevano lavorato di comune accordo per coordinare centinaia di organizzazioni, università, laboratori di ricerca, incluso il progetto MK Ultra della Cia, allo scopo di creare la tanto desiderata società dell’”igiene mentale,” ripulita da ogni connessione con il cristianesimo, la fede nella verità, nel patriottismo nazionale o nella famiglia.

Nel 1971, il mondo era maturo per un grande cambiamento.

Il bersaglio di questo vasto esperimento di ingegneria sociale erano stati i baby boomer [la generazione post-bellica], contro cui era stata scatenata una vera e propria guerra culturale ad ogni livello. Mentre l’LSD arrivava in tutti i campus americani e gli omicidi dei leader occidentali che resistevano alla nuova era di conflitti armati nel sud est asiatico diventavano la norma, i baby boomer vedevano i loro amici ritornare dal Vietnam in sacchi per cadaveri. “Non fidarti di nessuno sopra i trent’anni” era diventato il nuovo credo, mentre l’amore per la nazione veniva soffocato dall’innaturale diffondersi dell’imperialismo anglo-americano all’estero e, all’interno, da operazioni in stile COINTEL-PRO.

Quando il CFR e la Commissione Trilaterale avevano sganciato il dollaro americano dal gold standard, si era inaugurata una nuova era di liberalizzazione, consumismo e materialismo radicale, che, negli anni ’80, aveva trasformato i figli del dopoguerra in una generazione egocentrica e ipermaterialista.

A livello ecologico, una nuova etica di “conservazionismo” aveva iniziato a farsi strada all’interno del mainstream prendendo il posto dell’etica proindustriale tipica della società dei produttori-creatori che, storicamente, aveva governato il meglio della civilizzazione occidentale.

Uno dei principali creatori di questa nuova etica conservativa che aveva rimpiazzato il concetto di “proteggere l’umanità dall’impero” con il “proteggere la natura dall’umanità” era stato proprio Julian Huxley. Nello stesso anno in cui aveva co-fondato il WWF, Huxley aveva redatto il Morges Manifesto (1961), che avrebbe dovuto servire come  programma strutturale del moderno movimento ecologista, che pone la civiltà umana in netto contrasto con il presunto equilibrio matematico e chiuso della natura. Huxley aveva co-fondato il WWF insieme al maltusiano Principe Filippo “voglio reincarnarmi in un virus mortale” Conte di Mountbatten e al Principe Bernardo d’Olanda.

Il regime planetario di Holdren

A metà anni ’70 Paul Ehrlich, uno dei principali neomalthusiani dell’epoca, era mentore di un giovane protetto di nome John Holdren, con cui nel 1977 aveva co-firmato un manuale da far rabbrividire dal titolo Ecoscienze, dove si legge:

“Forse quelle agenzie, insieme all’UNEP e alle agenzie demografiche delle Nazioni Unite, potrebbero evolversi in un regime planetario – una sorta di superagenzia internazionale per la demografia, le risorse e l’ambiente. Un simile regime globale planetario potrebbe controllare lo sviluppo, l’amministrazione, la conservazione, la distribuzione di tutte le risorse naturale, rinnovabili e non, almeno fino a quando non esisterà un controllo internazionale. Quindi, questo regime potrebbe avere il potere di controllare l’inquinamento non solo nell’atmosfera e negli oceani, ma anche nelle acque dolci, come fiumi e laghi che attraversano i confini internazionali o che sfociano negli oceani. Il regime potrebbe anche essere un’agenzia centrale di logistica con il compito di regolamentare il commercio internazionale, magari ottenendo assistenza dai paesi sviluppati e non, e che includa gli approvvigionamenti di generi alimentari sul mercato internazionale. A questo regime planetario dovrebbe essere data la responsabilità di determinare la popolazione ottimale nel mondo e per ogni regione e di avere l’ultima parola sulle politiche nazionali dei vari Paesi. Il controllo della popolazione dovrebbe rimanere responsabilità di ogni governo, ma il regime avrebbe alcuni poteri per far rispettare i limiti stabiliti.”

Considerando che queste parole erano state pronunciate solo tre anni dopo il rapporto NSSM-200 di Henry Kissinger, che aveva trasformato la dottrina della politica estera americana da pro-incremento a pro-riduzione della popolazione, le dichiarazioni di Holdren del 1977 non dovrebbero essere prese alla leggera.

Il progetto “Genoma Umano” resuscita i mostri dormienti

Nei decenni successivi, Holdren aveva stretto amicizia con il matematico e borsista Rhodes ad Harvard Eric Lander, che era stato direttore del Progetto Genoma Umano dal 1995 al 2002. Nel 2003, Lander aveva commentato il completamento della mappatura del genoma umano con queste parole: “Il Progetto Genoma Umano è uno dei traguardi più importanti nella storia della scienza. L’averlo portato a termine questo mese segna l’inizio di una nuova era nella ricerca biomedica. La biologia si sta trasformando in scienza informatica.”

Nel 2006, commentando la possibilità di controllare l’evoluzione umana offerta dal Progetto Genoma Umano di Lander e i conseguenti nuovi sviluppi nella tecnologia mRNA CRISPR, Sir Richard Dawkins aveva scritto:

“Negli anni ’20 e ’30, scienziati sia di Destra che di Sinistra non avrebbe trovato particolarmente pericolosa l’idea di poter progettare i bambini, anche se, ovviamente, non avrebbero mai usato questa terminologia. Oggi, sospetto che l’idea sia troppo pericolosa per una sana discussione, e la mia ipotesi è che Adolf Hitler sia il responsabile di questo mutamento. Mi domando se, una sessantina di anni dopo la morte di Hitler, potremmo almeno azzardarci a chiedere qual è la differenza morale tra allevare un talento musicale e forzare un bambino a prendere lezioni di musica. O perchè sia accettabile allenare velocisti o atleti del salto in alto ma non allevarli. Potrei pensare a qualche risposta, e sarebbero anche buone risposte, che potrebbero probabilmente finire col persuadermi. Ma non credete sia arrivato il momento di smettere di essere spaventati perfino dal porre la domanda?”

Non molto tempo dopo, Holdren si era ritrovato a godere di un enorme potere, più grande di quanto si sarebbe mai potuto immaginare, come zar della scienza e architetto del programma dell’amministrazione Obama, “basato sull’evidenza,” che mirava a massimizzare i fondi per le tecnologie verdi, allo scopo di decarbonizzare l’umanità sotto un nuovo sistema di governance globale. Lander aveva lavorato a stretto contatto con Holdren come co-presidente del comitato scientifico di Obama e anche con il presidente del Whitehead Institute, David Baltimore, alla creazione del Broad Institute del MIT e di Harvard.

Nel 2015, Lander e Baltimore avevano co-presieduto un’importante conferenza sulla “nuova era delle ricerche biomediche” in cui era stata resa pubblica una nuova tecnologia di modificazione genetica, nota come CRISPR, che, usando gli enzimi e l’RNA dell’Escherichia Coli, era in grado di intervenire sulla sequenza del DNA umano e indurre mutazioni. Anche se è evidente che questa potente tecnologia potrebbe essere un bene per l’umanità come mezzo per eliminare le malattie ereditarie nell’uomo e nei vegetai destinati all’alimentazione, l’incredibile efficienza della tecnologia CRISPR nell’alterare a tempo indeterminato il DNA umano potrebbe causare danni inimmaginabili se cadesse nelle mani sagliate.

Allo “storico” summit internazionale sull’editing genetico tenutosi nel dicembre 2015, durante il suo discorso di apertura, il presidente della conferenza, David Baltimore, aveva fatto eco alle inquietanti parole di Julian Huxley: “nel corso degli anni, l’inimmaginabile è diventato concepibile. Siamo sull’orlo di una nuova era nella storia dell’umanità.”

Nel gennaio 2021, John Holdren si era congratulato con Erik Lander per la sua nomina a zar delle scienze di Joe Biden (Direttore dell’Ufficio per le politiche scientifiche e tecnologiche, ruolo prima occupato da Holdren). Grazie a questo incarico, Lander sta supervisionando la ripresa di tutte le politiche scientifiche dell’era Obama come parte della riforma tecnocratica portata avanti dal governo americano in conformità con l’agenda del Great Reset del World Economic Forum. Usando l’immenso potere dell’Emergency Authorization Act per scavalcare la FDA e facendo passare come vaccino una tecnologia basata sulla terapia genetica, è iniziato un nuovo esperimento sociale. La tecnologia CRISPR è già stata salutata come essenziale per risolvere il problema delle varianti  COVID e, in questo momento, la si sta utilizzando come vaccino per alcune malattie tropicali. La ovvia connessione tra organizzazioni eugenetiche di ieri e il sorgere delle moderne operazioni basate sulla tecnologia mRNA associate a GAVI e all’Astra Zeneca di Oxford, denunciate dalla giornalista investigativa Whitney Webb all’inizio di quest’anno, dovrebbero esser tenute ben salde nella mente.

Questa tecnologia verrà usata dai discepoli degli eugenisti filo-nazisti, nel tentativo di continuare il lavoro del Dr. Mengele o vedremo questa biotecnologia servire gli interessi dell’umanità secondo un paradigma multipolare che abbraccia sovranità nazionale, vita umana, famiglia e fede?

Nuove puntate di questa serie esploreranno le radici eugenetiche del transumanesimo, dell’intelligenza artificiale e del Grande Reset. Affronteremo inoltre il tema della Scuola di Francoforte, il sorgere della cibernetica viennese e il programma promosso da Bertrand Russel e David Hilbert nel 1900 per rinchiudere l’universo intero in una gabbia mortale.

Matthew Ehret

Fonte: strategic-culture.org
Link: https://www.strategic-culture.org/news/2021/05/24/how-the-unthinkable-became-thinkable-eric-lander-julian-huxley-and-the-awakening-of-sleeping-monsters/
24.05.2021

FONTE: https://comedonchisciotte.org/quando-linimmaginabile-diventa-immaginabile/

 

 

 

La dottrina Rumsfeld/Cebrowski

Da due decenni il Pentagono applica al “Medio Oriente Allargato” la dottrina “Rumsfeld/Cebrowski. Ha più volte valutato se estenderla al “Bacino dei Caraibi”, ma vi ha sempre rinunciato, concentrandosi sul primo obiettivo. Il Pentagono agisce come centro decisionale autonomo che di fatto sfugge al potere del presidente. È un’amministrazione civile-militare che impone i suoi obiettivi agli altri settori militari.

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Le mappe del Consiglio dei capi di stato-maggiore USA del 2001 − pubblicate nel 2005 dal colonnello Ralph Peters − che ancora oggi, nel 2021, sono il riferimento per l’azione delle forze armate USA.

Amarzo 2002, nel libro L’incredibile menzogna [1] [2] scrivevo che gli attentati dell’11 Settembre avevano l’obiettivo di far accettare agli statunitensi:

- all’interno, un sistema di sorveglianza di massa (il Patriot Act);
- all’estero, la ripresa della politica imperiale, su cui all’epoca non esistevano documenti.

Le cose si chiarirono solo nel 2005, quando il colonnello Ralph Peters ¬− allora commentatore di Fox News − pubblicò la famosa carta del Consiglio dei capi di stato-maggiore: la carta del “rimodellamento” del Medio Oriente Allargato [3]. Fu uno choc per tutte le cancellerie: il Pentagono prevedeva di ridisegnare le frontiere ereditate dalla colonizzazione franco-britannica (gli Accordi di Sykes-Picot-Sazonov del 1916) senza riguardo verso alcuno Stato, nemico o alleato che fosse.

Da allora ogni Stato della regione cercò con ogni mezzo di evitare che la tempesta si abbattesse sulla propria popolazione. Invece di allearsi con i Paesi limitrofi per fronteggiare il comune nemico, ogni Paese tentò di spostare le grinfie del Pentagono sui vicini. Il caso più emblematico fu la Turchia, che più volte cambiò di spalla al fucile, dando di sé la fuorviante immagine di cane impazzito.

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Due visioni del mondo si scontrano: dal 2001 la stabilità è per il Pentagono il nemico strategico degli Stati Uniti, per la Russia invece è la condizione per la pace.

La carta rivelata dal colonnello Peters − che detestava il segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld − non permetteva di cogliere l’insieme del progetto. Subito dopo gli attentati dell’11 Settembre, Peters pubblicò un articolo sulla rivista dell’esercito USA, Parameters [4], ove alludeva alla mappa − che tuttavia pubblicherà quattro anni più tardi − facendo intendere che il Comitato dei capi di stato-maggiore s’apprestava a realizzarla per mezzo di crimini atroci, che avrebbe appaltato per non sporcarsi le mani. Sul momento si pensò a eserciti privati, ma la storia dimostrò che nemmeno questi potevano imbarcarsi in crimini contro l’umanità.

La chiave di volta del progetto era nell’Ufficio di Trasformazione della Forza (Office of Force Transformation) del Pentagono, creato da Rumsfeld nel periodo successivo all’11 Settembre. Lo dirigeva l’ammiraglio Arthur Cebrowski, celebre stratega, ideatore dell’informatizzazione delle forze armate [5]. Si pensò che questo nuovo Ufficio fosse uno strumento per portare a compimento il progetto, benché nessuno più contestasse la riorganizzazione. Ebbene no, Cebrowski era lì per trasformare la missione delle forze armate USA, come attestano alcune registrazioni delle conferenze da lui tenute nelle accademie militari.

Per tre anni Cebrowski tenne lezioni a tutti gli ufficiali superiori USA, dunque a tutti coloro che oggi sono generali.

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Bersaglio dell’ammiraglio Cebrowski non è soltanto il Medio Oriente Allargato, ma tutte le regioni non integrate nell’economia globalizzata.

L’insegnamento impartito da Cebrowski nelle accademie militari era piuttosto semplice: l’economia mondiale si stava globalizzando; per rimanere la prima potenza mondiale, gli Stati Uniti dovevano adattarsi al capitalismo finanziario. Il mezzo migliore era garantire ai Paesi sviluppati lo sfruttamento delle risorse naturali dei Paesi poveri, senza dover affrontare ostacoli politici. Partendo da questo presupposto, divise il mondo in due: da un lato le economie globalizzate (incluse Russia e Cina), destinate a essere mercati stabili e, dall’altro, i Paesi rimanenti, che avrebbero dovuto essere privati delle strutture statali e fatti precipitare nel caos, in modo che le multinazionali potessero sfruttarne le ricchezze senza incontrare resistenze. Per conseguire il risultato, i popoli non-globalizzati devono essere divisi secondo criteri etnici e manovrati ideologicamente.

Il primo obiettivo avrebbe dovuto essere la zona arabo-mussulmana che si estende dal Marocco al Pakistan, a eccezione di Israele, nonché di due micro-Stati contermini, la Giordania e il Libano; questi tre Stati avrebbero dovuto far da barriera alla propagazione dell’incendio. È la zona che il Pentagono ha denominato Medio Oriente Allargato. Una zona definita non in funzione delle riserve petrolifere, bensì dei comuni elementi culturali degli abitanti.

La guerra immaginata dall’ammiraglio Cebrowsi avrebbe dovuto riguardare in prima battuta l’intera regione. Non si dovevano più fare i conti con le divisioni della guerra fredda. Ormai gli Stati Uniti non avevano più gli amici o i nemici di un tempo. Non era più l’ideologia (i comunisti) o la religione (scontro di civiltà) che identificava i nemici, ma solo la loro non-integrazione nell’economia globalizzata del capitalismo finanziario. Niente poteva più proteggere coloro che avevano la sfortuna di non essere pecoroni, ossia di essere indipendenti.

Questa guerra non doveva ottenere lo sfruttamento delle risorse naturali soltanto per gli Stati Uniti − com’era accaduto nelle guerre precedenti − ma per tutti gli Stati globalizzati. Del resto, gli Stati Uniti non erano più prioritariamente interessati all’appropriazione delle risorse naturali; volevano soprattutto dividere il lavoro su scala planetaria e fare lavorare gli altri per loro.

Ciò comportava cambiamenti tattici nel modo di condurre la guerra, visto che non si trattava, come in precedenza, di ottenere la vittoria, ma di portare avanti una «guerra senza fine», secondo l’espressione del presidente George W. Bush. In effetti, le guerre iniziate dopo l’11 Settembre su cinque fronti sono tutt’ora in corso: in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e Yemen.

Poco importa che i governi alleati interpretino queste guerre come vuole la propaganda statunitense; la realtà è che non sono guerre civili, ma tappe di un piano prefissato del Pentagono.

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Esquire Magazine, marzo 2003

La “dottrina Cebrowski” causò uno scossone nelle forze armate USA. L’assistente di Cebrowski, Thomas Barnett, fece un articolo per Esquire Magazine [5] e in seguito pubblicò un libro per meglio illustrare al grande pubblico la sua teoria: La Nuova carta del Pentagono [6].

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Il fatto che nel libro, pubblicato dopo la morte dell’ammiraglio Cebrowski, Barnett si sia attribuito la paternità della dottrina non deve trarre in inganno. È solo un mezzo del Pentagono per disconoscerne la paternità. Lo stesso accadde, per esempio, con lo “scontro di civiltà”. All’inizio si trattava della “dottrina Lewis”, uno stratagemma comunicativo studiato all’interno del Consiglio di Sicurezza Nazionale per vendere nuove guerre all’opinione pubblica. La dottrina fu poi esposta al grande pubblico dall’assistente di Bernard Lewis, Samuel Huntington, che la presentò come dissertazione universitaria su una realtà ineluttabile.

L’attuazione della dottrina Rumsfeld/Cebrowski è incorsa in innumerevoli disavventure, alcune esito dell’azione del Pentagono stesso, altre per merito dei popoli che il Pentagono voleva annientare. Così le dimissioni del comandante del Central Command, ammiraglio William Fallon, furono orchestrate per punirlo, perché aveva negoziato di propria iniziativa una pace ragionata con l’Iran di Mahmud Ahmadinejad. Furono provocate da… Barnett stesso, con la pubblicazione di un articolo in cui accusava Fallon di discorsi ingiuriosi nei confronti del presidente Bush. Oppure il fallimento della disorganizzazione della Siria, imputabile al popolo siriano e all’entrata in gioco dell’esercito russo. Il Pentagono è arrivato a incendiare i raccolti e a organizzare un embargo per affamare il Paese: azioni di ritorsione che ne dimostrano l’incapacità di distruggere le strutture statali siriane.

Durante la campagna elettorale, Donald Trump si era schierato contro la guerra senza fine e per il rientro dei GI’s in patria. Durante il mandato è riuscito a evitare di aprire nuovi fronti e a rimpatriare qualche soldato, ma non è riuscito a domare il Pentagono. Quest’ultimo ha ampliato le Forze speciali senza “semiclandestine” ed è riuscito a distruggere lo Stato libanese senza far ricorso a uomini in uniforme. È la stessa strategia che sta mettendo in atto anche in Israele, ove organizza pogrom anti-arabi e anti-ebrei sfruttando lo scontro fra Hamas e Israele.

Il Pentagono ha più volte tentato di allargare la “dottrina Rumsfeld/Cebrowski” al Bacino dei Caraibi. Ha pianificato il rovesciamento, non già del regime di Nicolás Maduro, bensì della Repubblica bolivariana del Venezuela, ma è stato costretto alla fine a rinviarlo.

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Gli otto membri del Comitato dei capi di stato-maggiore.

Si deve prendere atto che il Pentagono è diventato un potere autonomo. Dispone di un budget annuale gigantesco, quasi il doppio di quello dell’intero Stato francese (escluse collettività territoriali e sicurezza sociale). In pratica, il suo potere si estende ben al di là degli Stati Uniti, dal momento che controlla l’insieme degli Stati membri dell’Alleanza Atlantica. Dovrebbe rendere conto della propria attività al presidente degli Stati Uniti, ma le esperienze dei presidenti Barack Obama e Donald Trump dimostrano il contrario. Il primo non è riuscito a imporre al generale John Allen la propria politica nei confronti di Daesh, il secondo si è lasciato trarre in inganno dal Central Command. Niente fa supporre che andrà diversamente con il presidente Joe Biden.

La recente lettera aperta di ex generali USA [7] dimostra che più nessuno sa chi dirige le forze armate USA. Quel che conta non è la loro analisi politica − degna della guerra fredda − che non inficia la loro presa d’atto: amministrazione federale e generali non sono sulla stessa lunghezza d’onda.

Le analisi di William Arkin, pubblicate sullo Wasghington Post, hanno dimostrato che, dopo gli attentati dell’11 Settembre, lo Stato federale ha organizzato una nebulosa di agenzie, sottoposte alla supervisione del dipartimento per la Sicurezza della Patria [8]. Nel segreto più assoluto, esse intercettano e archiviano le comunicazioni di tutte le persone che vivono negli Stati Uniti. Arkin ha ora rivelato su Newsweek che il Dipartimento della Difesa ha creato forze speciali segrete, distinte da quelle in uniforme [9]. Sono queste ad avere in carico la dottrina Rumsfeld/Cebrowski, quali che siano l’inquilino della Casa Bianca e la sua politica estera.

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Il Pentagono si è dotato di una Forza speciale clandestina di 60 mila uomini. Costoro non compaiono su alcun documento ufficiale e operano in abiti civili; utilizzati in teoria contro il terrorismo, sono loro stessi a praticarlo. Le forze armate classiche sono impegnate contro i rivali russi e cinesi.

Quando nel 2001 il Pentagono attaccò l’Afghanistan e poi l’Iraq ricorse alle proprie forze armate classiche − non ne aveva altre a disposizione− e a quelle dell’alleato britannico. Durante la “guerra senza fine” in Iraq, ha però costituito forze jihadiste irachene − sunnite e sciite − per far precipitare il Paese nella guerra civile [10]. Una di queste forze, costola di Al Qaeda, fu utilizzata in Libia nel 2011; un’altra in Iraq nel 2014, sotto il nome di Daesh. Questi gruppi si sono progressivamente sostituiti alle forze armate USA per fare il lavoro sporco di cui parlava il colonnello Ralph Peters nel 2001.

Oggi nessuno vede soldati USA in uniforme in Yemen, Libano o Israele. Lo stesso Pentagono s’è fatto vanto del loro ritiro. In realtà, 60 mila uomini delle Forze speciali USA clandestine, ossia senza uniforme, attraverso la guerra civile seminano caos in questi Paesi.

FONTE: https://www.voltairenet.org/article213171.html

Un dubbio sugli “anti-sistema” da Trump a Bergoglio…

No, non è che sono entrambi imbroglioni e finiti anti-sistema, di qualsiasi sistema vogliamo parlare e nemmeno che fanno parte di fazioni opposte “in superficie” per qualche motivo.

Quello lo do per scontato. Il dubbio mi è venuto guardando un video di decimo toro che sta facendo un po’ il giro del web.

Questo QUI. Vorrei lasciare da parte tutte le polemiche che sono state sollevate anche dagli autori tra loro che non mi interessano.

Mi vorrei invece soffermare sull’immagine iniziale di Bergoglio davanti alla pizza vuota e paragonarlo come ho già fatto alla piazza vuota (cioé riempita con bandierine americane) davanti a Biden durante il suo insediamento. C’è un altro parallelo.

Nel video viene specificato come dai documenti traspare che in effetti la rinuncia al mandato di papa Benedetto XVI non è regolare. Tecnicamente, per un cavillo, di fatto lui è ancora il papa e siccome è stato proprio lui a introdurre il cavillo con il papa precedente, si odora puzza di intrallazzo tipico da palazzo del potere.

Ma per Biden con elezioni truccate non è diverso, anche se la sua delegittimazione è più evidente. In un video (credo di Vitangeli ma non riesco a recupararlo quindi non ne sono certo) si ipotizzava che il mandato di Biden potrebbe finire prima del previsto, sempre per cavilli che potrebbero consentire a Trump di diventare la terza carica americana per importanza, in grado di istruire un impeachment che andrebbe quasi certamente a segno, date le informazioni molto ben documentate in suo possesso sia su Biden che sulla Harris, consegnandogli di fatto la presidenza e il tutto pottrebbe avvenire prima della scandenza del mandato di Biden.

Questo mi ha fatto riflettere su come figure tipo Trump o papa Benedetto stiano radunando attorno a se un concentrato di dissenso che alla solita, poi quando potrebbe essere speso, può funzionare per proseguire con le solite agende, semplicemente cambiando fantoccio e mettendo uno più gradito alle masse che “fa finta” di stare dalla parte degli sfruttati e dei disperati, con operazioni di facciata.

Alla 5 stalle o Lega insomma. Voi che ne dite?

FONTE: https://comedonchisciotte.org/forum/opinioni/un-dubbio-su-gli-anti-sistema-da-trump-a-bergoglio/

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

Giganti in Sardegna: scheletri di 4 metri spariti nel nulla

«Venivamo qui a giocare con lo scheletro, che era mummificato: ossa, nervi e pelle. Afferravamo il braccio, tiravamo un nervo e gli facevamo muovere le dita della mano. Era un gioco, ma durò poco: 5-6 mesi, poi lo presero». A parlare è Luigi Muscas, figlio di pastori, oggi scultore e scrittore. E’ autore di libri come “Il popolo dei giganti figli delle stelle“, edito nel 2008 da La Riflessione. Un evento: l’inizio della riscoperta dei giganti, nel cuore della Sardegna. Una specie di grande segreto, sistematicamente occultato. Qualcosa che ricorda la denuncia del professor Gaetano Ranieri, dell’università di Cagliari, scopritore – mezzo secolo fa – di 38 “giganti di pietra” a Mont’e Prama, nel Sinis, appartenenti a una civiltà sconosciuta. Secondo Ranieri, il georadar rivela la presenza sotterranea di una città estesa su 16 ettari. Ma l’archeologia esita: non vuole scavare. Per paura di trovare altri giganti, ma in carne e ossa, come quello in cui si imbatté nel 1972 nelle campagne di Pauli Arbarei l’allora giovane Luigi Muscas, che all’epoca aveva appena dieci anni?

«Nella grotta del gigante ero finito per ripararmi da un acquazzone», racconta Muscas, in un reportage trasmesso nel 2009 da “Cinque Stelle Tv”, storica emittente locale di Olbia. «Quel giorno scappai in paese col gregge e raccontai tutto a mio nonno. E il nonno mi disse: ora Teschiti spiego dove sono sepolti tutti gli altri». Il giovane Muscas allora si fece coraggio e tornò in quella grotta, con i suoi amici, a “giocare” con il gigante. «Non era l’unico: altri scheletri emersero dalle campagne, dove cominciavano a essere impiegati potenti aratri, trainati da trattori cingolati, macchine capaci di scavare il terreno in profondità». Ricorda il video-reportage della televisione di Olbia: Pauli Arbarei (Sud Sardegna, 50 chilometri a nord di Cagliari) è al centro della Marmilla, area in cui sopravvive la tradizione della cosiddetta Città Perduta. «Una leggenda – racconta un anziano del paese – dice che qui c’era una cittadina di diecimila abitanti, almeno 10-12.000 anni fa, con un lago, nel quale era solito pescare un gigante solitario». La storia del gigante pescatore la racconta anche Raffaele Cau, pastore di Pauli Arbarei: «Un nostro terreno di famiglia è chiamato la Terra della Pietra del Gigante, perché ha l’impronta delle natiche dell’essere gigantesco che pescava nel lago».

Non sono solo suggestioni: «Grandi ossa sono state portate alla luce dagli aratri dei nuovi trattori cingolati», conferma Cau, la cui testimonianza è tra quelle raccolte da Luigi Muscas nel suo libro. L’autore – spiega “Cinque Stelle Tv” – si appassionò al mistero dei giganti sardi scoprendo che Platone, quando parla di quegli esseri colossali, li descrive come di casa in luoghi molto simili alla Sardegna. L’uscita in libreria de “Il popolo dei giganti figli delle stelle” scatenò una vera e propria operazione-memoria: «Tanti testimoni raggiunsero Muscas per raccontargli di analoghi ritrovamenti vicino ai loro paesi, ma poi tutto sparì nel nulla senza lasciare traccia», dice la Tv di Olbia, che ha Luigi Muscascomunque raccolto alcune testimonianze dirette. «Nella primavera del 1962, ad aprile o maggio – racconta un uomo di Pauli Arbarei – il trattore smosse il terreno e portò allo scoperto un teschio gigante e poi l’intero scheletro, lungo quasi 3 metri». Un caso isolato? Nemmeno per idea: ne saltarono fuori a decine, nel cantiere archeologico (nuragico) di Sant’Anastasia, nel centro storico di Sardara, a due passi da Pauli Arbarei.

In quel cantiere, fra pozzi sacri e tombe, l’operaio Giuseppe Serra lavorò dal 1973 al 1996. «Fra il 1982 e il 1983 – racconta – trovammo più di 40 scheletri, alcuni con anelli al dito». La loro lunghezza? Imbarazzante: 4 metri e 20, 4 metri e 80, anche 5 metri e 10. «Il più piccolo era alto 2 metri e 40 centimetri», dice Serra, alla troupe televisiva. «Erano proporzionati. In alcuni, la testa era grande come la ruota di un’auto». Un collega conferma: «A metà degli anni ‘80, alcuni scheletri erano stati deposti in scatole di cartone dietro l’altare della chiesa, che era sconsacrata: c’erano femori lunghi un metro. Fuori, trovammo scheletri sepolti anche l’uno sopra l’altro». E dove sono finiti? «Non si sa». Conferma Giuseppe Serra: «Le ossa erano state raccolte in sacchi e deposte all’interno della chiesa. Poi sono venuti a ritirarle e non si sa dove siano andate a finire». Dice Luigi Muscas: «Non si sa chi li prendesse, quegli scheletri. Ma lì poteva entrare solo chi comandava».

Nel 2008, ricorda “Cinque Stelle Tv”, il sindaco di Sardara scrisse alla Soprintendenza Archeologica di Cagliari per chiedere un confronto tra i suoi compaesani, testimoni dei ritrovamenti, e gli archeologi che avevano lavorato nel cantiere di Sant’Anastasia. Il primo cittadino rivoleva indietro i “suoi” reperti, ma l’appello non ricevette nessuna risposta (se non la richiesta, ufficiosa, di lasciar perdere). «Ma Muscas è testardo, e non si è mai fermato: non ha mai cessato di cercare testimoni». Giganti? Certo: ne parla anche la Bibbia, li chiama Nephilim. Uno di loro era Golia, avversario di Davide. Altri giganti, “colleghi” di Golia, abitavano le città filistee (palestinesi) come Gaza. La letteratura ebraica considera i giganti come figli dell’unione impropria tra “figli dei dèi” e “figlie degli uomini”. Secondo Zecharia Sitchin, invece, nelle Giuseppe Serratavolette sumere è scritto che il “popolo dei giganti”, progenitori dell’umanità come gli Anunnaki, proveniva dal pianeta Nibiru. Le testimonianze letterarie sugli esseri giganteschi sono innumerevoli, ma l’archeologia sembra non volersene occupare: come spiegare, infatti, quelle inquietanti presenze ossee?

L’ultima ipotetica scoperta – scrive “L’Unione Sarda” – è molto recente: un femore fuori misura sarebbe stato ritrovato a Mont’e Prama (la terra delle statue giganti) il 15 ottobre 2015. “Spunta uno scheletro gigante ed è subito silenzio”, titola il sito “Sardegna Sotterranea“, facendo notare però che, dopo le iniziali ammissioni di Nello Cappai, sindaco di Guamaggiore, sul caso sarebbe stata fatta calare la solita coltre di riserbo. Per dare un’occhiata a qualche reperto osseo fotografato o filmato vale la pena di visionare il reportage di “Cinque Stelle Tv”, che riporta anche una impressionante selezione delle testimonianze raccolte da Luigi Muscas nel suo famoso libro sul “popolo dei giganti figli delle stelle”. Racconta un uomo di Pauli Arbarei: «Un giorno, mia figlia piccola rincasò spaventata per aver visto degli scheletri giganti», in un cantiere nuragico. «Il capo degli archeologi aveva rimproverato i bambini, intimando loro di non guardarli, perché erano “i diavoli”. Andammo al nuraghe e vidi anch’io gli scheletri». Aggiunge l’uomo: «Ne avevo visti già nel 1958 in Costa Smeralda, ai cantieri dei primi impianti turistici».

«Rientrando dalla campagna – ricorda Giorgina Medda, sempre di Pauli Arbarei – mio padre Raimondo (classe 1874) diceva: anche oggi ho trovato un osso di un gigante». Aggiunge la donna: «In un nostro terreno c’era una tomba: da una fessura si notava il luccichio di metalli». Giganti misteriosi anche nell’esperienza di Angelo Ibba, agricoltore di Sardara: «Mi è capitato di vedere un gigante nel 1938. L’aratro si incastrò in una lastra di pietra, che aveva dei fori disposti in modo tale da rappresentare un disegno. Nella buca c’era un teschio enorme. Ricoprimmo tutto: quelle ossa sono ancora là». A volte, le ossa gigantesche vengono allo scoperto nei cantieri edili. Virgilio Saiu, muratore di Pauli Arbarei (classe 1915), racconta: «Nel 1950, nel fare le fondamenta per la casa di Francesco Lai, dietro la chiesa di Sant’Agostino, io e Un dente che Muscas attribuisce a un gigantealtri trovammo una tomba enorme, grande tre volte me. Rimosso il coperchio di pietra, apparve uno scheletro gigantesco. Aveva sicuramente un vestito: un mantello nero di stoffa, che al contatto con l’aria si deteriorò. Nella tomba, c’erano anche tre monete d’oro. In paese la voce si sparse, arrivò il prete e ritirò lui le monete: disse che le avrebbe consegnate a chi di dovere».

Si tratta di un ricordo preciso: «Quelle monete erano d’oro massiccio, lucenti, di dimensioni paragonabili a quelle delle vecchie 100 lire». E le ossa? «Erano grandi: la testa enorme, le narici grandi quanto il mio pugno. La dentatura ancora perfetta, i denti lunghi quanto le dita delle mie mani. Tutte le articolazioni erano ancora intatte. E le dita delle mani erano grosse e lunghe 20 centimetri». Si rammarica, Virgilio Saiu: «Purtroppo, non comprendendone l’importanza, lasciammo le ossa sepolte nella fondazione della casa. E sono ancora lì». Il muratore assicura poi di aver visto altri scheletri, «in località Nuragi De Passeri, nel terreno di Natale Pusceddu, durante i lavori per piantare una vigna». Precisa: «Insieme a me c’erano Candido Toco, Luigi Noaruffu, Sperandiu Scanu e suo fratello, e Angelo Mandis». Le vanghe portarono alla luce 20 lastre di pietra. «Nelle tombe c’erano scheletri enormi, lunghi più di 3 metri, qualcuno anche 4. Il proprietario ci chiese di non dire niente a nessuno, perché altrimenti avrebbero fermato i lavori. E così anche quegli scheletri furono rotti e lasciati nella vigna».

Il gigante poteva spuntare anche nel giardino di casa. Lo spiega Eugenio Concu, di Ussaramanna. «Quando avevo 10 anni, nel 1971, facemmo gli scavi per il pozzo nero. E a 50 centimetri di profondità iniziammo a intravedere quattro grosse teste, cinque volte più grandi delle nostre. Scavando, scoprimmo quattro grandi scheletri: erano seppelliti a forma di croce. Erano molto lunghi, avevano mani grandissime e la testa allungata. I denti erano tutti intatti e bianchissimi, lunghi 5-6 centimetri. Ne sono sicuro, perché li lavammo e li Davide e Golia, il gigante biblicomisurammo». Aggiunge Eugenio: «Avvisammo il parroco di Ussaramanna: ci disse che gli scheletri erano cartaginesi, e ci chiese di gettarli nella discarica». Detto fatto: «Con l’aiuto dei miei fratelli li facemmo a pezzi e li caricammo nella carriola. E dopo 4-5 viaggi ce ne sbarazzammo. Sfortunatamente, ignoravamo cosa fossero: altrimenti avremmo potuto tenerne almeno uno».

Tra le tante storie raccolte da Luigi Muscas, forse la più sconcertante è quella di Salvatore Pilloni, di Gonnoscodina. «Alle elementari – racconta – i maestri scoperchiavano le tombe. Ci portavano con pale e picconi nel Campo degli Aztechi per andare a scavare le tombe. Alcune erano normali, altre gigantesche (oltre i 4 metri: i maestri le misuravano con il metro). Uno scheletro era lungo 3 metri e 86 centimetri, i piedi erano lunghi 60 centimetri, e il femore ben 1 metro e 43 centimetri. La testa era grande quanto quella di un cavallo, solo che le fattezze erano umane». Dice Salvatore: «Avevo solo 9 anni, ma ricordo bene che le ossa erano rivestite da una pellicina, come se fossero mummificate. Infatti avevano tutti i tendini ancora intatti. E quando venivano sollevati, gli scheletri si muovevano come marionette». Che ne fu, di quei resti? «Alla fine li presero i nostri maestri», di cui Pilloni fa anche i nomi. Ufficialmente, i giganti non sono mai esistiti. Non stupisce che i debunker liquidino ancora la faccenda nel solito modo: bufale. Davvero? E perché mai tante persone ormai anziane dovrebbero raccontare frottole così ben documentate? Sugli Ufo, il “cover-up” è finito. A quando, dunque, la possibile verità sui giganti? Tanto per cominciare: dove sono finiti, i maxi-scheletri di Sardara e Pauli Arbarei?

 

 

 

STORIA

La battaglia di El Alamein

 El Alamein: un nome che riporta la mente a due importanti battaglie. La prima è datata 1° luglio – 27 luglio 1942, la seconda 23 ottobre – 4 novembre 1942.

La prima battagli di El Alamein. Nel luglio del 1942 l’Armata corazzata italo-tedesca comandata del feldmaresciallo Rommel – costituita dalla Panzerarmee Afrika tedesca (ridenominazione del Deutsches Afrika Korps) e da due corpi d’armata italiani dei quali uno di fanteria ed uno meccanizzato – dopo la grande vittoria di Gazala e aver costretto la guarnigione di Tobruk (forte di 33.000 uomini) alla capitolazione, era riuscita ad addentrarsi in Egitto, con l’obiettivo di troncare la vitale linea di rifornimenti britannica del canale di Suez , occupando i campi petroliferi del Medio Oriente.

La seconda battaglia di El Alamein si svolse tra il 23 ottobre e il 3 novembre 1942, durante la seconda guerra mondiale. A seguito della prima battaglia di El Alamein, che aveva bloccato l’avanzata delle forze dell’Asse comandate dal generale Erwin Rommel, il generale britannico Bernard Montgomery prese il comando dell’Ottava Armata britannica, fino ad allora comandata dal generale Neil Ritchie e, dopo il suo esonero, direttamente dal comandante in capo dello scacchiere Medio Oriente, generale Claude Auchinleck, nell’agosto 1942. Il successo britannico in questa battaglia segnò il punto di svolta nella Campagna del Nord Africa, che si concluderà nel maggio 1943 con la resa delle forze dell’Asse in Tunisia.

La battaglia di El Alamein provocò la morte di 13.500 inglesi, 17.000 italiani, 9.000 tedeschi e fu una delle più decisive della seconda guerra mondiale: scrisse la parola fine alla minaccia italo-tedesca sul canale di Suez, consegnando il dominio assoluto del Mediterraneo agli inglesi. Cancellando dallo scacchiere un intero fronte, in prospettiva aprì la strada al secondo fronte, ossia allo sbarco in Sicilia destinato a riportare gli alleati in Europa.

Gli ultimi a cedere a El Alamein furono i paracadutisti della Folgore. Abbarbicati al margine della depressione di El Qattara, avevano di fronte il 13° corpo d’armata che, secondo la versione inglese, doveva impegnarsi solo per dare vita a un falso scopo, mentre in realtà dovette combattere una delle più dure e logoranti battaglie locali di sfondamento dell’intero fronte. Gli uomini della Folgore resistettero per 13 giorni senza cedere un metro. Alla resa ebbero l’onore delle armi e il nome della loro divisione restò da allora leggendario.

La BBC inglese l’11 novembre, a battaglia conclusa, commentò: “i resti della divisione Folgore hanno resistito oltre ogni limite delle possibilità umane”. Il primo ministro inglese Winston Churchill, all’indomani della battaglia, disse: “dobbiamo inchinarci davanti ai resti di quelli che furono i leoni della Folgore”.

Un sacrificio ben sintetizzato dalle parole della Medaglia d’Oro, Ten. Col. Alberto Bechi Luserna: “fra sabbie non più deserte sono qui di presidio per l’eternità i ragazzi della Folgore, fior fiore di un popolo e di un esercito in armi. Caduti per un’idea, senza rimpianti, onorati dal ricordo dello stesso nemico”.

FONTE: http://www.difesa.it/Approfondimenti/ministro_alla_festa_paracatudisti/Pagine/battaglia_el_alamein.aspx

 

Colpiti e divorati dagli squali: l’orribile fine di 651 italiani

Silurati e condannati alle onde a causa dell'”ordine Laconia”, i prigionieri di guerra italiani vennero divorati dagli squali. Si stima che almeno un quarto di loro finì nelle fauci dei temibili pinna bianca

Colpiti e divorati dagli squali: la tragedia degli italiani del Nova Scotia

C’è una ragione precisa se Jacques Cousteau ha definito lo squalo longimano come “il più pericoloso di tutti gli squali”, ed è il terribile destino che ha raggiunto nelle acque del Sud Africa quasi 800 prigionieri di guerra italiani, che, come i ben più noti marinai della Uss Indianapolis, rimasero alla mercé degli squali dalla pinna bianca per ben due giorni. Seicentocinquantuno perderanno la vita, molti di loro vennero divorati davanti agli occhi dei superstiti, che nel mortale gioco combinato da guerra e natura, assistettero inermi al banchetto tra le urla strazianti dei vecchi compagni in armi.

Quando il 28 novembre del 1942, il comandante del sommergibile tedesco U-117 inquadra nella croce di collimazione del periscopio l’unità nemica, a bordo del RMS Nova Scotia, piroscafo di seimila tonnellate di stazza requisito dal Ministero dei Trasporti di Guerra all’inizio del conflitto per essere convertito in trasporto truppe, ci sono 1052 anime. Nessuno a bordo del sommergibile poteva immaginare, però, che quasi 800 di loro erano “alleati”. Prigionieri di guerra italiani, reduci dalla campagna perduta nell’Africa Orientale. Imbarcati forzatamente al porto di Massaua, in Eritrea, per essere internati nei campi di prigionia sudafricani.

Alle 7:07 del mattino, quando il Nova Scotia è quasi in prossimità della sua meta, viene raggiunto da tre siluri lanciati dall’U-Boot tedesco che centrano lo scafo e lo lasciano affondare in appena dieci minuti. I sopravvissuti lasciano la nave in fiamme sulle lance di salvataggio disponibili, ma sono più che altro membri dell’equipaggio della Marina mercantile britannica e soldati dell’esercito sudafricano. I prigionieri italiani, liberati per mettersi in salvo, dovranno accontentarsi di arrancare tra e onde, aggrappati ai salvagenti e ai pochi oggetti galleggianti che il relitto non porta con se nelle profondità degli abissi. L’U-Boot, riemerso dopo la sua caccia, non può fare altro che accorgersi del danno inflitto e di lanciare un SOS alle marine neutrali per trarre in salvo i superstiti. Restare lì significherebbe l’affondamento o la cattura da parte degli inglesi. Un increscioso incidente avvenuto quello stesso anno di guerra ne ha dato prova.

Il precedente del Laconia

A bordo di un sommergibile non c’è spazio per accogliere superstiti e nella flotta del Reich era ormai ben noto l’incidente del Laconia e il relativo “Triton null”: l’ordine emesso dall’ammiraglio Dönitz in seguito ai fatti. Dopo il siluramento del Laconia, unità per il trasporto truppe analoga al Nova Scotia, tre sommergibili tedeschi conversero nel settore interessato per trarre in salvo i superstiti – anche in quel caso vi erano numerosi italiani – ma vennero bombardati dall’aviazione britannica nonostante i numerosi messaggi inviati, la presenza di croci rosse sui ponti. In seguito a questo incidente il vertice della Marina tedesca ordinò ai comandanti di U-Boot di “non prestare soccorso ai naufraghi delle navi affondate“, per non rischiare di perdere unità da guerra impreparate a combattere.

I prigionieri del Nova Scotia abbandonati alle onde

In virtù dell’ordine impartito dall’alto comando della Kriegsmarine, il capitano del sommergibile Robert Gysae ritirò l’U-177 dall’area dopo aver tratto in salvo solo due ufficiali, e aver trasmesso al Befehlshaber der U-Boot (BdU) le coordinate dei superstiti. Proseguendo il suo pattugliamento nell’Oceano Indiano.

La richiesta di soccorso venne trasmessa al Portogallo, che inviò la fregata NRP Afonso de Albuquerque, schierata nelle acque di Lourenço Marques, nel vicino Mozambico portoghese. I superstiti, sarebbero rimasti in balia delle onde, ma soprattutto degli squali che giù nelle prime ore, iniziarono a mietere vittime. Silenziosi e letali, gli squali longimano, lunghi tra i tre e quattro metri, con una stazza di oltre 250 chilogrammi, iniziarono ad attaccare i naufraghi facendone strage.

Quando la fregata inviata dai portoghesi raggiunse le coordinate, alle 5:45 del 30 novembre, erano solo 181 i sopravvissuti. Secondo le testimonianze, almeno un quarto di loro venne sbranato dagli squali. L’Italia piangeva 651 uomini. A ricordo dei sopravvissuti del Nova Scotia venne eretto dei pochi superstiti, alcuni dei quali stabilitisi in Mozambico dopo essere stati sbarcati e curati, un monumento alla memoria visibile presso il cimitero di Asmara. Una stele commemorativa venne eretta anche a Durban, la meta della salvezza che quei prigionieri sfortunati non raggiunsero mai.

FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/cultura/siluro-e-poi-squali-tragedia-nova-scotia-1958788.html

 

 

“Prima dobbiamo attaccare la Russia”

Anatolij Koshkin, Pravdoryb, 29 giugno 2021

Il 22 giugno 1941, dopo aver ricevuto il messaggio sull’inizio dell’invasione tedesca dell’URSS, il ministro degli Esteri giapponese Yosuke Matsuoka, che aveva firmato il patto di neutralità sovietico-giapponese al Cremlino solo due mesi prima, arrivò in fretta al palazzo imperiale. Durante un’udienza col Mikado, iniziò energicamente a persuadere Hirohito a non ritardare l’attacco all’Unione Sovietica. In risposta alla domanda dell’imperatore se questo significasse rifiutarsi di parlare del sud, Matsuoka rispose che “prima dobbiamo attaccare la Russia”. Allo stesso tempo, il ministro aggiunse: “Bisogna partire dal nord, per poi andare al sud. Senza entrare nella grotta della tigre, non puoi tirare fuori il cucciolo di tigre. Devi prendere una decisione”. Questa posizione fu difesa da Matsuoka anche alle riunioni del Consiglio di coordinamento del governo e della sede imperiale (Renraku kaigi). Le argomentazioni erano le seguenti:
a) è necessario avere il tempo di entrare in guerra prima della vittoria della Germania, per non esserne esclusi;
b) poiché la decisione a favore della guerra coll’URSS fu influenzata dal timore di guerra simultanea contro Unione Sovietica e Stati Uniti, Matsuoka convinse governo e comando giapponesi che ciò poteva essere evitato con mezzi diplomatici;
c) il ministro espresse fiducia che l’attacco all’Unione Sovietica avrebbe avuto un’influenza decisiva sulla fine della guerra in Cina: il governo di Chiang Kai-shek sarebbe stato isolato.
Sebbene la proposta di colpire le retrovie dell’Unione Sovietica fosse basata sulla conclusione del breve termine dell’aggressione tedesca, fu presa in considerazione anche la possibilità di una guerra prolungata, persino della sconfitta della Germania. Si credeva che, in ogni circostanza, il Giappone facesse meglio andare in guerra nel nord piuttosto che rischiare lo scontro con Stati Uniti e Gran Bretagna. Si presumeva che se la Gran Bretagna, sostenuta dagli USA, alla fine avesse vinto la Germania, il Giappone non sarebbe stato severamente giudicato “per aver attaccato solo il comunismo”. I partecipanti agli incontri non posero obiezioni alle argomentazioni di Matsuoka. Concordarono che l’attacco tedesco all’URSS diede un’opportunità redditizia al Giappone per impadronirsi delle regioni orientali dell’Unione Sovietica. Tuttavia, non tutti condivisero la conclusione sull’attacco immediato all’URSS.
Dalla trascrizione della 32.ma riunione del Consiglio di coordinamento del governo e della sede imperiale del 25 giugno 1941:
“Ministro degli Esteri Matsuoka: La firma del patto di neutralità (con l’URSS) non avrà impatto o influenza sul Triplice Patto (Germania, Giappone e Italia). Ne ho parlato dopo il ritorno in Giappone (da Germania e URSS). Inoltre, non c’è ancora alcuna reazione dall’Unione Sovietica. In effetti, accettai di concludere il patto di neutralità, credendo che Germania e Russia sovietica non avrebbero iniziato la guerra. Se sapevo che andavano in guerra, probabilmente averi preso una posizione amichevole nei confronti della Germania e non concluso il patto di neutralità. Dissi ad Ott (ambasciatore tedesco in Giappone) che rimarremo fedeli al nostro patto, indipendentemente dalle disposizioni del patto (sovietico-giapponese), e se decidiamo di fare qualcosa, sarà informato da me se necessario. Abbiamo parlato nello stesso spirito coll’ambasciatore sovietico.
Qualcuno (il cognome non è indicato nella trascrizione): Che impressione hanno fatto le sue parole all’ambasciatore sovietico?
Matsuoka: “Il Giappone è calmo, ma non c’è chiarezza”, disse e credo fosse sincero.
Qualcuno: Chissà se ha concluso che il Giappone è ancora impegnato nel Triplice Patto e sleale col Patto di Neutralità?
Matsuoka: Non credo che abbia avuto quell’impressione. Naturalmente, da parte mia non fu detto nulla sulla rottura del patto di neutralità. Non rilasciai dichiarazioni ufficiali a Ott. Mi piacerebbe vedere delle decisioni sulle nostre questioni di politica nazionale il prima possibile. Ott parlò di nuovo del trasferimento delle truppe sovietiche dall’Estremo Oriente.
Ministro della Guerra Tojo: Il trasferimento di truppe dall’Estremo Oriente all’occidente è certamente di grande importanza per la Germania, ma il Giappone, ovviamente, non dovrebbe esserne preoccupato. Non dovremmo affidarci solo alla Germania.
Ministro della Marina Oikawa: A nome della Marina, posso fare alcune considerazioni sulla nostra futura diplomazia. Non voglio toccare il passato. Nell’attuale delicata situazione internazionale, senza consultare l’alto comando, difficilmente è appropriato speculare su un futuro lontano. La Marina confida nella sua forza in caso di guerra cogli Stati Uniti in alleanza con la Gran Bretagna, ma esprime contemporaneamente timori di una guerra con Stati Uniti, Gran Bretagna e URSS. Immaginate sovietici e statunitensi che agiscono insieme e gli Stati Uniti che dispiegano basi navali e aeree, stazioni radar e simili sul suolo sovietico. Immaginate i sommergibili di stanza a Vladivostok inviati negli Stati Uniti. Ciò complicherà seriamente la conduzione delle operazioni marittime. Per evitare una situazione del genere, non si dovrebbe pianificare l’attacco alla Russia sovietica, ma prepararsi ad avanzare verso sud. La Marina non vorrebbe provocare l’Unione Sovietica.
Matsuoka: Ha detto che non ha paura di una guerra con Stati Uniti e Gran Bretagna. Perché è contrario al coinvolgimento dei sovietici nella guerra?
Oikawa: Se i sovietici si faranno avanti, significherà fare la guerra con un altro Stato, giusto? In ogni caso, non si dovrebbe anticipare il futuro.
Matsuoka:… Credo che dovremmo affrettarci e prendere una decisione basata sui principi della nostra politica nazionale. Se la Germania ha il sopravvento e occupa l’Unione Sovietica, non potremo raccogliere i frutti della vittoria senza fare nulla per essa. Dovremo versare sangue o ricorrere alla diplomazia. Meglio versare sangue. La domanda è cosa vorrà il Giappone quando l’Unione Sovietica sarà finita. La Germania, con ogni probabilità, è interessata a ciò che farà il Giappone. Non entreremo in guerra quando le truppe nemiche dalla Siberia saranno trasferite ad ovest? Non dovremmo almeno ricorrere all’azione dimostrativa?
Ministri della Guerra e della Marina: ci sono molte opzioni per la dimostrazione. Il fatto che il nostro Impero sia saldamente stabile è di per sé un’azione dimostrativa, non è vero? Non reagiamo in questo modo?
Matsuoka: Comunque, per favore sbrigatevi e decidete cosa dovremmo fare.
Qualcuno: Qualunque cosa lei intraprenda, non sia precipitoso nell’azione”.


L’intelligence sovietica seguì da vicino la discussione nel governo giapponese sulla questione dell’azione del Giappone contro l’URSS e informò prontamente il centro delle contraddizioni sorte nella leadership del Paese. Il 25 giugno, l’addetto militare dell’ambasciata dell’URSS in Giappone riferì al capo del Dipartimento d’intelligence dello Stato Maggiore dell’Armata Rossa:
“…5. I generali Araki e Saida, prevedendo una guerra moderna, dichiaravano puerilmente che la Germania sconfiggerà l’URSS in due o tre mesi. L’equilibrio delle forze si costruisce aritmeticamente, senza analisi politica, senza analizzare le riserve in materie prime strategiche e capacità industriali, quindi le previsioni suonano poco convincenti e ingenue, ma la gente, leggendole, crede che i tedeschi siano più forti.
6. Il governo delibera da tre giorni e non può prendere una decisione sul suo atteggiamento nei confronti della guerra, ci sono voci che vuole allungare per tre settimane e dare un’occhiata da vicino alla guerra, su quale direzione prenderà. Al momento è in corso una lotta molto dura nel governo: i filo-inglesi e filoamericani erano ardenti oppositori dell’URSS, ma sotto l’influenza del discorso di Churchill sembrano cambiare punto di vista. È molto difficile determinare la posizione del governo ora…
7. I militari non esprimono una loro opinione su questo tema.
8. Statunitensi ed inglesi sono soddisfatti della situazione attuale e dichiarano che “ora collaboreremo con voi su tutte le questioni”.
9. I tedeschi sono nervosi, insoddisfatti dell’incertezza della posizione del governo. Cercano con tutte le loro forze di trascinare il Giappone in guerra. Sono stati usati tutti i mezzi delle calunnia e demagogia fasciste.
Conclusione: … Non ci si può fidare del governo, può compiere i passi più inaspettati, anche a dispetto di una sana considerazione della situazione interna”.
Anche prima dell’attacco tedesco all’URSS, il 10 giugno, la leadership del Ministero della Guerra giapponese stilò il documento “Linea d’azione per risolvere i problemi attuali”. Prevedeva: sfruttare l’opportunità di utilizzare le forze armate sia al sud che al nord pur mantenendo l’adesione al Triplice Patto, in ogni caso, la questione dell’uso delle forze armate è da decidere autonomamente, nel proseguire le operazioni militari sul fronte continentale in Cina. Queste disposizioni costituirono la base del piano di documento “Il programma della politica nazionale dell’Impero in conformità coi cambiamenti della situazione”, che doveva essere presentato alla Conferenza imperiale. Il documento era il risultato di un compromesso tra i sostenitori dei suddetti tre punti di vista sulla futura politica del Giappone. Sebbene proclamasse che “l’Impero aderirà fermamente alla politica di costruzione di una sfera di prosperità comune nella Grande Asia orientale”, la scelta finale della direzione iniziale dell’attacco non fu fatta. Alla discussione di questo documento fu dedicata la riunione del Consiglio di Coordinamento che precedeva la Conferenza Imperiale.
Dalla trascrizione della 33a riunione del Consiglio di coordinamento del governo e della sede imperiale del 26 giugno 1941:
“Ordine del giorno della riunione: piano di documento” Programma della politica nazionale dell’Impero in conformità coi cambiamenti della situazione”.
Matsuoka: Non capisco la frase “prendere provvedimenti per spostarsi a sud” e la parola “anche” nella frase “risolvere anche il problema del nord”.


Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Sugiyama: Cosa vuole capire? Vuole capire cosa è più importante: il sud o il nord?
Matsuoka: Esatto.
Sugiyama: Non c’è differenza. Vedremo come evolverà la situazione.
Matsuoka: La frase “prendere provvedimenti per spostarsi a sud” significa che non agiremo presto nel sud?…
Vicecapo di Stato Maggiore dell’Esercito Tsukada: Bene, parlerò apertamente. Non c’è differenza di importanza tra nord e sud. L’ordine e il metodo (di azione) dipenderanno dalla situazione. Non possiamo agire in due direzioni contemporaneamente. Oggi non possiamo giudicare quale sarà il primo, nord o sud…
Matsuoka: Cosa succede se l’ambiente non subisce cambiamenti drastici a noi favorevoli?
Tsukada: Agiremo se riterremo che le condizioni siano particolarmente favorevoli e non lo faremo se sono sfavorevoli. Pertanto, includiamo (nella bozza del documento) le parole “particolarmente favorevoli”. Inoltre, c’è una differenza di punti di vista. Anche se la situazione della Germania sembra estremamente favorevole, ma non è favorevole per noi, non agiremo. Viceversa, anche se la Germania considera le condizioni sfavorevoli, ma per noi favorevoli, agiremo.
Ministro degli Interni Hiranuma: Puo’ andare in guerra, ma senza coinvolgere l’esercito. Entrare in guerra è entrare in guerra, anche se le forze armate non sono utilizzate. Sebbene il ministro degli Esteri abbia affermato che lo stato di guerra, cioè l’entrata in guerra, è inseparabile dall’uso delle forze militari, è ancora possibile entrare in guerra senza coinvolgere le forze armate?
Matsuoka: Sono d’accordo. Potrebbe esserci un intervallo di tempo tra l’entrata in guerra e l’uso delle forze militari…”
La leadership giapponese temeva seriamente, come si dice in Giappone, “di essere in ritardo sull’autobus”, cioè alla divisione del territorio dell’Unione Sovietica sconfitta. L’ambasciatore giapponese in Germania, generale Hiroshi Oshima, mise in guardia su questo, spingendo il governo giapponese a un attacco immediato all’URSS. Da qui gli appelli a “spargere sangue” insieme ai tedeschi per poter rivendicare l’Estremo Oriente sovietico e la Siberia da partecipanti attivi alla guerra.

FONTE: http://aurorasito.altervista.org/?p=18367

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