RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
6 LUGLIO 2021
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
L’ultimo sforzo della tua lingua sono i nomi di tutti gli Dei tramontati.
ELIAS CANETTI, La rapidità dello spirito, Adelphi, 1996, pag. 37
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SOMMARIO
LE DONNE PROTAGONISTE, LA PARITÀ DI GENERE, LA MATERNITÀ NATURALE
Il Decreto (DPCM) del Dott. Mario Draghi che ho ricevuto in copia ufficiosa dalle mie talpe di Palazzo Chigi
Cari Amici vaccinati e non vaccinati, buonasera!
Nessuna correlazione (e uno scoop)
IL BIFOBO, IL TRANSFOBO E IL LESBOFOBO
Ecco perché politici, scienziati e media non abbandonano i toni allarmistici. La pandemia piace…
PROVATE A PRENDERCI
Facebook: Dalla Condivisione Alla Delazione.
W LA FICA
ZONAROSSA: AZZURRI IN GINOCCHIO, IL TRIONFO DEL CONFORMISMO
La possibile conquista cinese di Taiwan: un’invasione “in tre fasi”?
Giappone e USA compiono esercitazioni navali segrete in preparazione di una guerra Cina Taiwan
Vendette per Soleimani?
La Scuola Dei Somari. Da “Fu Mattia Bazar” Al Mar Occo, Ecco Gli Strafalcioni Più Divertenti Dei Maturandi
Il Covid, l’Aids e la geopolitica del cospirazionismo
Sui campi di addestramento per africani a Potenza
ADDESTRAMENTI TOP-SECRET IN BASILICATA? “IL POPOLO ITALIANO MERITA CHIAREZZA”
UNA LEGIONE STRANIERA ITALIANA?
RICERCHE IN MERITO AL POST DEL PROFESSOR SINAGRA
ANALISI ESOTERICA RIGUARDO IL PRESUNTO POLIGONO MILITARE IN BASILICATA
Non aspettatevi sanità pubblica da chi l’ha distrutta. Ecco perché aumenteranno le liste di attesa
Le tre bombe sull’economia
Lo “scandalo dell’algoritmo” apre una nuova crisi per le banche?
Armi spuntate e polveri bagnate: ecco perché il discorso di Draghi ai Lincei non convince
UE CUMULA POTERE ESECUTIVO, LEGISLATIVO E GIUDIZIARIO
Perché il Mediterraneo è la regione con più flussi migratori
Ogni Stato è un carcere: monopolio della violenza e dinamiche di controllo sociale
Cari Amici lobotomizzati o non ancora lobotomizzati, buonasera!
Vaccini con placebo? Sembra di si…
Massoneria e politica nell’Italia liberale, un saggio di Campagnoli-Galassi
EDITORIALE
LE DONNE PROTAGONISTE, LA PARITÀ DI GENERE, LA MATERNITÀ NATURALE
Il mondo recente è stato guidato da donne presidenti molto capaci e alcune controverse come Benazir Bhutto, Indira Gandhi, Golda Meir, Sirimavo Bandaranaike, Aung San Suu Kyi. Ne seguono moltissime altre in numerose aree dell’azione umana. Va notato che, nel cosiddetto “Secolo breve”, le donne al vertice sono state nominate prevalentemente in Oriente. L’Occidente può ricordare qualcuna nel Medioevo e nel Rinascimento (fra le quali: Eleonora d’Arborea, Caterina de’ Medici, Elisabetta di Inghilterra) e, in misura notevolmente inferiore, nel cosiddetto Occidente progressista, Blm, neomaccartista oktosex genderista (Lgbtquia), globalista, ecologista, buonista, immigrazionista, che ha espresso, molto tempo dopo, il primo ministro Margareth Thatcher e Theresa May in Inghilterra e qualche altra premier in piccoli Stati europei.
Questo dislivello dimostra ancora una volta che la questione di genere è una gigantesca mistificazione, così come oggi viene orchestrata ad usum delphini. Detto con più chiarezza: in Occidente sul tema si producono molte chiacchiere, una propaganda martellante ma niente di concreto: le donne talvolta accedono a livelli molto alti ma sono del tutto assenti dentro le stanze degli alti comandi. Questo andamento induce ad una riflessione: a misura che la società muta, la cosiddetta parità è compiuta nei settori che stanno per andare in decadenza, me è quasi totalmente esclusa nelle vere catene di comando. La questione delle reali pari opportunità deve iniziare dal mondo del lavoro, dalla cultura, dalla formazione scolastica, dalla gestione economica.
Non va meglio nel genderismo. Attualmente, il reclutamento degli attori nel settore cinematografico e teatrale deve reclutare, con il bilancino alla mano, un numero eguale di uomini, di donne, di oktosex (Lgbtquia). Lo stesso accade nella politica dove – a prescindere dai contenuti programmatici politici – ogni candidato deve essere accompagnato da una donna (pensiamo allo sketch di Carlo Verdone: “N’omo, ‘na donna …”). In ogni pubblicità commerciale e istituzionale deve esserci una presenza esotica, anche se il prodotto reclamizzato o il tema descritto non ha alcuna correlazione simbolica ed economica. L’esotica deve essere incastrata per forza! Il neo-maccartismo di provenienza angloamericana lo esige!!!
Sono forzature demagogiche che non tengono in alcun conto dei tempi di maturazione dei processi sociali di civilizzazione (cfr. Michel Foucault, Saskia Sassen, Ida Magli e Hans Jonas fra i molti). Ne consegue che l’ossessivo martellamento propagandistico genderista ha un tasso di credibilità inversamente proporzionale alla pressione esercitata sulla popolazione, generando effetti contrari sempre più dilaganti ai quali gli alti comandi globalisti buonisti green rispondono con l’odio e il disprezzo tipico degli “onusti della verità irrogata dall’alto” e con il controllo di sorveglianza di massa che oggi culmina con la vigilanza tecno-sanitario documentale a distanza in scuole, ospedali, aeroporti, stazioni ferroviarie, alberghi, concerti, stadi, ecc. che tende a ghettizzare coloro che esprimono dubbi o non si conformano alla vulgata prevalente del momento, in aperto disprezzo delle tutele nazionali ed internazionali in tema di atteggiamenti discriminatori, in questo caso non attivati!
Purtroppo, siamo solo agli inizi di un processo di demolizione socio-tecno-economico che investirà anche le donne che oggi generano figli invece di procurarseli presso la filiera buonista globalista dell’adozione e dell’utero in affitto o delle incubatrici. La società attuale sta avverando l’articolazione parentale presente in tutti i film di Disney: la madre naturale è morta o è assente, tutti sono zii e nipoti, il padre è di solito un innocuo svampito che ama morbosamente la figlia (incesto latente?). Una società dove non ci sono le madri naturali, i personaggi esistono, agiscono, nascono ma non si sa da chi. Il prossimo bersaglio del sinedrio tecno-securitario-sanitario sarà la maternità naturale che è il fondamento della struttura solidaristica antichissima familiare non è compatibile con una cultura di morte dove imperano (spacciate per libertà conquistate) l’eutanasia, il suicidio assistito, e l’aborto libero. Le madri naturali sono da tempo il bersaglio dell’asse genderista, sono fuori posto nel quadro di disarticolazione della società che deve essere composta da umani asessuati isolati e davanti a una tastiera, senza solidarietà, senza cooperazione, senza confronto intellettuale, senza possibilità di opposizione collettiva, senza socialità. In un mondo simile, post genderista, intraspecista, transumanista, essere madri naturali e costituire un nucleo familiare è una bestemmia eversiva che va estirpata con qualsiasi mezzo, soprattutto, con la violenza psicologica aggravata e continuata. L’operazione è coperta dalla dilagante e pervasiva commercializzazione delle nascite e della medicalizzazione ossessiva avente lo scopo di incutere terrori che inducono alla sterilità sociale. Non crediamo al caso, tutte queste fasi sociali sono puntualmente determinati a tavolino.
FONTE: http://opinione.it/societa/2021/07/05/manlio-lo-presti_donne-parit%C3%A0-di-genere-maternit%C3%A0-utero-in-affitto-adozione-utero-in-affitto/
IN EVIDENZA
Nessuna correlazione (e uno scoop)
Raffaella Carrà: faccio il vaccino !
Raffaella Carrà: “Ecco perché farò il vaccino anti Covid”
https://www.gossipetv.com/raffaella-carra-ecco-perche-faro-il-vaccino-anti-covid-524746
Raffaella Carrà: “Vaccino? Lo farò subito. Ecco perché”
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Raffaella Carrà: “Io mi vaccinerò”
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Raffaella Carrà: “Farò il vaccino per ritrovare la libertà” | VirgilioNotizie
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Covid: Carrà, farò il vaccino, serve per tornare a vivere – Tv – ANSA
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Lo scoop :
I vaccini sono in sperimentazione clinica? Sembra di si: risulterebbe che Astrazeneca sia con placebo a doppio cieco ed a singolo cieco Pfizer, Moderna e Janssen.
di Fabio D’Angelo – Vaccini con placebo: Tutte le case produttrici avrebbero l’obbligo di presentare la relazione finale fra fine 2022, fine 2023 ed inizio 2024. Queste cose sono scritte nelle determine di approvazione delle sperimentazioni cliniche, rilasciate dall’Aifa. Si tratta rispettivamente delle determine n.154 del 23 dicembre 2020 per Pfizer (C4591001), n.1 del 07 gennaio 2021 per Moderna (mRNA-1273-P301), n.18 del 31 gennaio 2021 per Astrazeneca e n. 49 del 27 aprile 2021, per Janssen (VAC31518COV3001).
[….]
Da quanto si legge nelle determine autorizzative e nelle relative schede tecniche sembrerebbe quindi, che questi medicinali, siano realmente in sperimentazione clinica randomizzata. Pertanto alcune questione si pongono alla nostra attenzione e riflessione.
Perchè l’Aifa nelle determine chiama medicinali, ciò che da altre parti del sito chiama vaccini?
Poi, se è vero che siamo in sperimentazione, perché la popolazione italiana non è stata adeguatamente ed opportunamente informata di star partecipando a trial clinici, attraverso comunicazioni ufficiali ed attraverso il consenso informato di ogni singolo cittadino, che ha partecipato?
Si possono tenere allo scuro gli italiani su delle informazioni così importanti, specie se metà di essi sono stati forse trattati con placebo?
Vaccini con placebo, in conclusione, si può dire che…
Molti dubbi nascono, poiché effettivamente i segnali sono contrastanti, infatti da un lato dovremmo essere in presenza di sperimentazioni cliniche, come si evince dai documenti ufficiali.
Mentre dall’altro, tutto ciò viene presentata come una campagna di immunizzazione di massa.
La questione resta aperta. Fonte: cataniacreattiva
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/nessuna-correlazione-2/
Ecco perché politici, scienziati e media non abbandonano i toni allarmistici. La pandemia piace…
Era da un po’ che questo pensiero mi frullava in testa. Durante una delle innumerevoli conferenze-stampa serali (o dovrei dire notturne?) dell’allora premier per caso (e per sfiga nostra) Giuseppe Conte mi balenò nella mente una illuminazione: Conte e la sua squadra di dilettanti allo sbaraglio non si rassegnano ad abbandonare pieni poteri, dpcm, toni catastrofici non accompagnati però a provvedimenti utili (perché utili non sono stati i banchi a rotelle e i monopattini contro la diffusione del contagio), poiché il virus made in China ha dato loro l’occasione di sentirsi importanti, parte di qualcosa di grande, quasi eroi impegnati in una lotta per la salvezza dell’umanità che poi si è trasformata nella più classica e intramontabile lotta per la salvezza del proprio fondoschiena. Ad ogni modo, vi invito a compiere una riflessione: chi diavolo sarebbe stato Roberto Speranza, ministro della Salute inaffondabile ma che pure fa affondare noi italiani, se non fosse stato a capo del suddetto dicastero in questa precisa fase storica? E Giuseppe Conte si sarebbe mai sognato di ritrovarsi tra le mani una concentrazione di potere senza precedenti storici nella storia della Repubblica? Non era che un professore, senza pubblicazioni alle spalle, insomma neppure di spessore, non si era distinto come docente, né tantomeno come avvocatino. La sua occasione è stata offerta da un virus proveniente dalla Cina, un virus da cui l’esecutivo ci garantiva che l’Italia fosse protetta, era praticamente impossibile che arrivasse dalle nostre parti. Ecco perché non furono interrotti i collegamenti con la Cina allorché il centrodestra li pretese, ecco perché prese piede, sostenuta dalla maggioranza, la campagna “abbraccia un cinese” e imporre la quarantena a chiunque provenisse dalle aree in cui il corona imperversava, giallo o bianco che fosse, fu considerata una discriminazione, frutto del razzismo proprio della destra. Come andarono poi le cose lo sappiamo tutti, dunque eviterei di soffermarmi su questo punto. Conte e Casalino si sono sentiti dei superman, hanno potuto esaudire il desiderio infantile di essere degli eroi, persuadendosi di esserlo davvero. L’avvocato del popolo tuttora non è venuto fuori da questa illusione, non è guarito. Lo si evince dalla sua arroganza nel trattare con Beppe Grillo, dal suo senso di superiorità e di invincibilità, dalla certezza di avere dalla sua parte gli italiani, che pure hanno stappato le bottiglie allorché si sono liberati di lui. Il protagonismo di Giuseppi è esagerato, proprio lui che garantiva che sarebbe tornato al suo mestiere una volta abbandonata la politica, si è attaccato al M5s come un’ostrica allo scoglio. È roba sua, è la sua roba, egli crede, sicuro di essere l’unico al mondo a potere salvare non solo gli italiani e l’Italia, ma pure un Movimento in fin di vita e spacciato.
E cosa sarebbe stato di Galli, Bassetti, Lopalco, e altri scienziati, virologi e epidemiologi, se non fossero usciti dai laboratori sterili, illuminati con i neon bianchi e tetri, in cui erano relegati per recarsi negli studi televisivi dove sono diventati protagonisti principali, ospiti d’onore, personaggi di spicco, illustri esperti di una pandemia eternamente in corso?
E i media, prendiamo anche i media, ossia giornali, televisioni, radio, che ogni dì raccontano le stesse cose e si sono fossilizzati, incastrati, cristallizzati, rinchiusi in una ripetitività che non fa altro che allontanarli dalla gente. Sembra quasi che siano convinti che fare ogni giorno gli stessi titoli, come “Allarme contagi”, “Allarme variante Delta”, “Allarme movida”, “Allarme vacanze”, possa stimolare il lettore all’acquisto del giornale. Più probabile che questi si dia alla fuga, in quanto viene colto dall’inevitabile sensazione di leggere quotidianamente le medesime pagine, almeno da un anno a questa parte.
Questi soggetti qui non vogliono che la pestilenza finisca. Poiché a loro piace tanto, anzi troppo, come li fa sentire.
FONTE: https://www.lafinestradiazzurra.it/ecco-perche-politici-scienziati-e-media-non-abbandonano-i-toni-allarmistici-la-pandemia-gli-piace/
IL BIFOBO, IL TRANSFOBO E IL LESBOFOBO
Pubblicato il 26 Giugno 2021
Dite la verità: lo avete mai conosciuto, o almeno visto, un bifobo? Avete mai saputo, anche solo per sentito dire, dell’esistenza di un transfobo? Lo avete mai incrociato, sia pure di striscio, un lesbofobo? Siete mai stati a cena, o anche solo a colazione, con un omofobo? Se fate questa domanda a un campione medio di italiani, probabilmente la stragrande maggioranza, vi risponderà correndo a prendere un dizionario, nella migliore delle ipotesi, o dandovelo in testa, nella peggiore, ma più giustificata. Eh già, perché il bifobo, il transfobo e il lesbofobo non li trovereste neppure rivolgendovi a “Chi l’ha visto?” o sganciando qualche migliaio di palanche per una paginata sul Corriere della Sera con su scritto “Bifobo cercasi”. Forse potreste scovare degli agorafobi, degli aracnafobi, dei claustrofobi, sia pure armandovi di pazienza, ma dei bifobi, dei transfobi e dei lesbofobi no. E allora com’è seriamente potuto accadere che sia in via di approvazione una legge (il DDL Zan) dove, all’articolo 7, si istituisce addirittura una giornata nazionale contro la omofobia, la bifobia, la transfobia, la lesbofobia? Com’è possibile che l’intero Paese sia coinvolto in un dibattito su un’emergenza che non c’è? Sulla caccia a una categoria di “nuovi mostri” (il bifobo, il transfobo, il lesbofobo e l’omofobo, appunto) che proliferano solo nella mente turbata di chi li ha inventati? La risposta non esiste, se restiamo sul piano della realtà oggettiva. Salta fuori subito, invece, se ci spostiamo sul piano della mistificazione, cioè della realtà inventata con fini promozionali e strumentali. Ci troviamo, infatti, davanti a una tecnica di manipolazione vecchia come il mondo: creare qualcosa dal nulla. Persino nella ultrasecolare tradizione cinese sedimentata nei celebri trentasei stratagemmi ve n’è traccia. Funziona, più o meno, così: vuoi imporre a una larga maggioranza il volere, i bisogni o le smanie di una sparuta minoranza? È sufficiente creare dal nulla, e poi pubblicizzare, la notizia di una discriminazione in atto contro quella stessa minoranza. A quel punto, basta sbandierare l’esigenza di una lotta contro la “discriminazione” e il gioco è fatto. La parola “discriminazione” è un’altra portentosa tecnica propagandistica: una potentissima “ancora” lessicale in grado di suscitare all’istante reazioni indignate di massa. Siamo stati toccati a sufficienza, nel secolo scorso, dalle nefaste conseguenze delle vere “discriminazioni” razziali ed etniche per conoscerne la pericolosità. Ed è così che – manipolando, manipolando, col favore delle tenebre di un sistema di “informazione” pilotato – si arriva all’articolo 7 della discussa legge Zan. Si ottiene cioè – in nome della lotta a una discriminazione contro il bifobo, il transfobo e il lesbofobo – la legittimazione alla propaganda di “genere” in ogni scuola di ordine e grado. Morale della favola: diffidate sempre di chi vi invita a lottare contro una “fobia” o contro una “discriminazione”. Chiedetevi, prima di aderire alla causa, non solo se voi per primi avete quella “fobia”, ma se essa è davvero socialmente diffusa. E chiedetevi poi se c’è, sul serio, una discriminazione in corso. Se così non è, stanno solo cercando di imporre a tutti le priorità, gli interessi, i valori di pochi. Con la sottile prepotenza di una manipolazione psicologica amplificata per via mediatica. Anche a costo di creare tre figure ormai più celebri dei protagonisti del famoso film di Sergio Leone: il bifobo, il transfobo e il lesbofobo.
Francesco Carraro
FONTE: https://www.francescocarraro.com/il-bifobo-il-transfobo-e-il-lesbofobo/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
PROVATE A PRENDERCI
Pubblicato il 19 Giugno 2021
Ve lo ricordate il film “Prova a prendermi?” con Leonardo Di Caprio? Ecco, voi ci siete dentro, noi ci siamo dentro. Del resto, chi non ha mai pensato, nell’ultimo biennio, di essere la vittima designata di un qualche action movie? Ma se prima era solo una sensazione, oggi è una certezza. Perlomeno dopo aver ascoltato il Presidente del Consiglio affermare: “La priorità è andare a cercare chi ha più di cinquant’anni e non si è ancora vaccinato”.
Se appartenete alla fatidica categoria anagrafica, se siete nati prima dello sbarco sulla Luna o di Italia-Germania 4-3, cominciate a scaldare i muscoli. Che il Governo sta facendo scaldare quelli dei Marò. E anche i motori dei droni. Vi cercheranno ovunque: nelle strade, nelle piazze, attraverso i campi, sui pendii delle colline e delle cime più impervie, nelle pinete delle marine. Fermeranno l’avanzata dei non vaccinati sul bagnasciuga, arrivando dove persino Mussolini si arrese. E non pensate di sfuggire al grande occhio che tutto vede.
Il Paese sarà ricoperto di murales di buona propaganda, ogni schermo di ogni televisione “attendibile” e “ufficiale” (cioè tutte) tracimerà di slogan. “Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no!” diceva la Democrazia Cristiana ai nostri nonni nel Quarantotto. A noi toccherà l’aggiornamento Due Punto Zeneca: “Nel segreto della campagna vaccinale, Figliuolo ti vede, Montagner no”. Reparti scelti degli alpini verranno sguinzagliati dal Nord al Sud della Penisola. Con pattugliamenti a raggiera, con l’ausilio di cani molecolari – previamente testati con tampone molecolare – i NAS (Nuclei Armati di Siringa) del Commissario Straordinario all’Emergenza batteranno palmo a palmo il Sacro suolo patrio alla caccia degli imboscati.
“Questa è la sfida che dobbiamo vincere!” ha declamato il Premier, determinato a spezzare le reni agli italiani no-vax. Dove la Buonanima fallì con la Grecia, il Comitato Tecnico Scientifico riuscirà con l’Italia. E non pensate di sfuggire facilmente alla cattura: ci saranno anche le truppe scelte dei Volontari della Libertà (vaccinale). Zelanti patrioti già immunizzati da tripla dose di Pfizer e da un cocktail micidiale di Jhonson & Jhonson, Sputnik, Curevac e Moderna – a due a due come i Testimoni di Geova – busseranno a ogni uscio stanando i manigoldi ultra-cinquantenni nascosti sotto i letti, nelle intercapedini delle mansarde, fra le travi delle soffitte.
Non ci sarà nessuna pietà per i “dispersi”. E neppure per le “Brigate Gianni Rivera”: sparuti manipoli di fanatici antiscientifici i quali si ostinano a non credere nella Scienza, a non obbedire a Burioni, a non combattere per assaggiare il magnifico sapore del siero incolore. Vi ricordate il famoso adagio sul leone e sulla gazzella al risveglio nella savana? Da oggi suona così: ogni mattina in Italia quando sorge il sole, un premier si sveglia e sa che dovrà correre più di un disperso o perderà la sfida. Ogni mattina in Italia, quando sorge il sole, un disperso si sveglia e sa che dovrà correre più del premier o verrà vaccinato. Ogni mattina in Italia non importa che tu sia un premier o un disperso. L’importante è che cominci a correre.
Francesco Carraro
FONTE: https://www.francescocarraro.com/provate-a-prenderci/
Facebook: Dalla Condivisione Alla Delazione.
Il Social Network Incoraggia Gli Utenti A Segnalare Gli Amici Sospettati Di Estremismo
Alla condivisione Facebook predilige adesso la delazione. E così negli Stati Uniti già la scorsa settimana, sulle bacheche degli utenti, è comparso un avviso inquietante attraverso il quale il social network chiede ai suoi iscritti di segnalare gli amici che potrebbero essere diventati o potrebbero diventare estremisti. “Sei preoccupato che qualcuno che conosci stia diventando un estremista? Ci teniamo a prevenire l’estremismo su Facebook. Altri nella tua situazione hanno ricevuto supporto confidenziale”, si legge sulla notifica. E ancora, Fb spiega: “I gruppi violenti cercano di manipolare la tua rabbia e la tua delusione. Puoi agire ora per proteggere te stesso e gli altri”.
Il portavoce di Fb ha precisato che si tratta di una sorta di test, volto a fornire maggiore supporto agli iscritti allo scopo di tutelare loro stessi e individui della loro cerchia dal pericolo di esposizione a contenuti estremisti. Insomma, vorrebbero convincerci che le intenzioni siano buone, tuttavia, di fatto, il risultato è l’ennesima compressione della libertà di espressione. Chi stabilisce infatti cosa è estremo e cosa non lo è? E poi, estremo rispetto a cosa? Sono estremiste solo alcune idee attribuite alla ideologia di destra o anche idee attribuite alla ideologia di sinistra?
Inoltre, è estremo dichiarare che il vaccino anti-covid è ancora sperimentale, è estremista affermare che il coronavirus potrebbe essere stato prodotto in laboratorio? E dire che “papà” e “mamma” sono termini non offensivi è riconducibile ad un pensiero di estrema destra o di estremo buonsenso? Opporsi alla immigrazione illegale pretendendo il rispetto delle regole è da estremisti? Esporre le proprie perplessità riguardo il Ddl Zan configura una condotta preoccupante, tale da dovere essere segnalata? Dire che non inginocchiarsi allo stadio è legittimo può farci incorrere in una segnalazione?
Proclamarsi contrari all’utero in affitto è da estremisti? E rifiutare l’ideologia gender lo è?
La dittatura del pensiero unico si estende in tutto l’Occidente, social network inclusi, servendosi degli strumenti tipici dei sistemi illiberali, quali censura e delazione.
FONTE: https://www.lafinestradiazzurra.it/facebook-dalla-condivisione-alla-delazione-il-social-network-incoraggia-gli-utenti-a-segnalare-gli-amici-sospettati-di-estremismo/
BELPAESE DA SALVARE
W LA FICA
Dario Temperino
4 07 2021
ZONAROSSA: AZZURRI IN GINOCCHIO, IL TRIONFO DEL CONFORMISMO
Pubblicato il 2 Luglio 2021
CONFLITTI GEOPOLITICI
La possibile conquista cinese di Taiwan: un’invasione “in tre fasi”?
Xi Jinping ha sfruttato al meglio il 100esimo anniversario della fondazione del Partito Comunista Cinese per ribadire un paio di concetti fondamentali. Primo tra tutti: la questione di Taiwan, da risolvere realizzando la completa riunificazione dell’isola alla Cina. È sostanzialmente questa la “missione storica” del partito, chiamato, assieme al popolo cinese, a “difendere la propria sovranità nazionale e integrità territoriale”. Inutile girarci troppo intorno: Pechino considera Taiwan niente meno che una provincia ribelle e, presto o tardi, farà di tutto per sciogliere lo spinosissimo nodo che da tempo attanaglia i dibattiti di geopolitica asiatica (e non solo).
Già, perché ad aumentare ulteriori tensioni c’è un aspetto non da poco: gli Stati Uniti, pur aderendo al principio di “una sola Cina”, sostengono fermamente la causa indipendentista e democratica di Taipei. Non è da escludere che in caso di forzatura da parte del Dragone (leggi: azione decisa per inghiottire Taiwan), il governo americano possa scendere militarmente in campo per difendere l’isola presieduta da Tsai-Ing Wen. Ma il dilemma di fondo è proprio questo: quanto conviene a Cina e Stati Uniti impegnarsi in un conflitto armato in un momento del genere? Ben poco, ed ecco perché la sensazione è che nessuno, almeno per ora, abbia intenzione di forzare la mano.
“Attacco in tre fasi”
Secca la risposta di Taiwan alla riunificazione evocata dalla Cina. In una nota diffusa dal Consiglio per gli Affari con la Cina continentale, il governo di Taipei ha sottolineato che difenderà la propria sovranità nazionale e la propria democrazia, rifiutando al contempo il principio dell’unica Cina e il consenso del 1992 tra i due lati dello Stretto, in base al quale Pechino considera l’isola parte integrante del proprio territorio nazionale. “Democrazia, libertà, diritti umani e Stato di diritto sono i valori fondamentali a cui la società di Taiwan aderisce e c’è una grande differenza istituzionale rispetto all’altra parte dello Stretto”, si legge nel comunicato.
La Cina, a detta dei taiwanesi, dovrà pure “abbandonare l’intimidazione militare”, ma una rivista cinese ha nel frattempo pubblicato un articolo emblematico, una sorta di “guida” su come potrebbe avvenire la presa di Taiwan. Come ha sottolineato il South China Morning Post, il magazine Naval and Merchant Ships ha parlato di un’invasione in tre fasi, senza tuttavia considerare le eventuali – quanto probabilissime – reazioni da parte della comunità internazionale, in primis Stati Uniti e Giappone.
Missili, obiettivi strategici e atterraggio d’assalto
A detta della rivista, in una prima fase gli attacchi balistici sferrati da Pechino sarebbero in grado di distruggere le capacità di raccolta dati di Taiwan. In che modo? Colpendo direttamente aeroporti, radar di preallarme, basi missilistiche antiaeree e i centri di comando sparsi in tutta l’isola. In questo frangente la Cina potrebbe utilizzare varie armi, tra cui il DF-16, un missile balistico a corto raggio che avrebbe buone chance di eludere il sistema di scudo missilistico usato da Taiwan. Gli attacchi contro gli aeroporti continueranno finché le truppe cinesi non avranno effettuato un atterraggio d’assalto nel cuore della provincia ribelle.
A conclusione della prima fase, la rivista ha sottolineato anche un altro fatto: i porti dovrebbero essere attaccati da bombardieri H-6 e dai caccia J-16, anche se sarebbe meglio sospenderli momentaneamente – per poi farli riutilizzare dall’esercito cinese – anziché distruggerli del tutto. La seconda fase prevede intensi attacchi missilistici da crociera (YJ-91 e CJ-10) lanciati da navi, sottomarini e terra, mirati a basi militari, infrastrutture comunicative, incroci stradali e depositi di munizioni. A quel punto – terzo step – la Cina potrebbe impiegare i droni per valutare il danno, anche se ogni ostacolo dovrebbe essere rimosso. Fantapolitica o ipotesi reale, la Cina ha comunque intenzione di riannettere Taiwan alla Mainland.
FONTE: https://it.insideover.com/guerra/la-possibile-conquista-cinese-di-taiwan-uninvasione-in-tre-fasi.html
Giappone e USA compiono esercitazioni navali segrete in preparazione di una guerra Cina Taiwan
Luglio 2, 2021 posted by Guido da Landriano
Nei mesi scorsi ci sono state esercitazioni navali nel Pacifico a livelli mai visti prima in quell’oceano, con gli USa che hanno preso parte a 35 eventi addestrativi di altre nazioni, ma forse l’atto più mirato contro la Cina sono le esercitazioni militari congiunte in corso tra Stati Uniti e Giappone, che si dice siano specificamente orientate verso un potenziale scenario di conflitto futuro su Taiwan.
Il Financial Times ha riportato questa settimana che Washington e Tokyo hanno tenuto “giochi di guerra simulati top-secret ed esercitazioni congiunte nei mari della Cina meridionale e orientale” – anche se ovviamente ora non sembrano così segreti. Secondo quanto riferito, la pianificazione dei giochi è iniziata durante l’ultimo anno dell’amministrazione Trump, ma Biden non li ha annullati.
L’ulteriore beffa al danno nei confronti di Pechino è che i giochi sono incentrati sulle contese Isole Senkaku – che sia Tokyo che Pechino rivendicano come proprie – con il Giappone che amministra da tempo la piccola catena di isole. Inoltre questa pianificazione è anche un passo avanti per il Giappone che ormai non ha più remore nel predisporre un “piano di guerra integrato per Taiwan”…
Gli Stati Uniti desideravano da tempo che il Giappone, alleato del trattato di mutua difesa, effettuasse una pianificazione militare più congiunta, ma il Giappone era vincolato dalla sua costituzione pacifista del dopoguerra. Questo ostacolo è stato alleggerito, ma non rimosso, quando il governo Abe nel 2015 ha reinterpretato la costituzione per consentire al Giappone di difendere gli alleati che erano stati attaccati. quindi è iniziato uno scambio di piani informativi fra Washington e Tokio, solo che il Giappone non ne aveva uno e gli USA hanno quindi richiesto di prepararlo. Anche sotto la spinta delle recenti provocazioni cinesi verso Taiwan il Giappone quindi ha compiuto questo passo e si poi andati verso la definizione di un piano d’azione integrale congiunto.
Oltre alla questione di Taiwan il Giappone si confronta con la Cina direttamente sulla questione delle isole Senkaku, contese, ma internazionalmente riconosciute ed occupate da Tokio. Data la presenza sempre maggiore di pescherecci cinesi nascosti fra le isole il governo giapponese ha emesso una legge che permette alla guardia costiera giapponese un atteggiamento più attivo contro queste invasioni, ponendo anche le basi per un armare i vascelli di pattuglia contro queste continue invasioni.
FONTE: https://scenarieconomici.it/giappone-e-usa-compiono-esercitazioni-navali-segrete-in-preparazione-di-una-guerra-cina-taiwan/
Vendette per Soleimani?
“Il colonnello israeliano Sharon Asman è morto in modo inatteso durante un esercizio di fitness in circostanze incerte. La sua è la quarta morte inspiegata in una lista di 26 ufficiali Usa e israeliani che hanno partecipato all’assassinio del generale Qassem Soleimani”.
Un altro nome è quello del generale James Willis : morto , si dice assassinato. La sua morte è stata annunciata in modo vago. Era uno degli ufficiali in comando dell’aeronautica statunitense con sede ad al-Udeid, in Qatar.
l Pentagono afferma che la morte dell’alto grado statunitense non è avvenuta in un incidente militare. L’Air Force Times, da parte sua, afferma che il corpo di James C. Willis, comandante in capo della squadriglia Red Horse, è stato trovato nel suo hotel a sud di Doha sabato intorno alle 7:30. Prima di comandare lo squadrone in questione, Willis era il capo dell’unità di ingegneria della Guardia aerea del New Mexico. Da aprile, quando questo squadrone si è schierato in Qatar, questa unità è stata incaricata della revisione cacciabombardieri coinvolti nella cosiddetta campagna aerea anti-Daesh dell’aeronautica statunitense, che in realtà sta prendendo di mira i gruppi alleati agli iraniani e impegnati davvero contro l’ISIS.
Questo giovedì, Sputnik ha affermato che Willis faceva parte della squadra che ha partecipato all’assassinio del comandante in capo della forza Quds, il generale del corpo armato Qassem Soleimani, il 3 gennaio 2020 vicino all’aeroporto di Baghdad. Nessuna conferma, però, da una fonte ufficiale. Questa informazione arriva anche quando gruppi della Resistenza in Iraq hanno minacciato di rispondere alla morte di quattro combattenti della Resistenza durante gli attacchi alle posizioni di Hachd al-Chaabi nell’area di Abu Kamal e al-Qaem, al confine tra Siria e Iraq, Lunedi 28 giugno.Un altro ufficiale americano, Jason Kiafan, è stato recentemente ucciso in Kuwait. Gli Stati Uniti hanno affermato all’epoca che l’uomo era stato ucciso mentre guidava un veicolo fuori dalla base aerea di al-Salem in Kuwait. La liquidazione di militari statunitensi continua nella regione. In effetti, due soldati statunitensi sono stati recentemente annunciati morti; il primo in Kuwait in un incidente civile e il secondo in Siria, è morto per le ferite riportate nella base di al-Tanf.
Se tutto ciò fosse vero, vuol dire che l’Iran fa rivivere la tattica terroristica, silenziosa e straordinariamente efficace degli Assassini, ismailiti sciiti che dal 1090 eseguivano omicidi singoli su istruzioni del Vecchio della Montagna, il Pir di Alamut, Hassan ibn al-Sabbah. Alamut è una vallata del massiccio dell’Alboriz, che si affaccia sul Caspio, a un centinaio di chilometri da Teheran.
Un rapporto scritto per l’imperatore Barbarossa ne fece per primo menzione: Questi Saraceni […] hanno un Maestro che terrorizza, enormemente, tutti i Principi saraceni vicini o lontani, come pure i vicini Signori cristiani, perché è solito ucciderli in modo stupefacente. (…)
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/vendette-per-soleimani/
CULTURA
La Scuola Dei Somari. Da “Fu Mattia Bazar” Al Mar Occo, Ecco Gli Strafalcioni Più Divertenti Dei Maturandi Negli Ultimi Anni
Gabriele D’Annunzio era estetista, e anche Oscar Wilde. Il Mar Occo non compare sulle cartine geografiche. Gli americani sganciarono la bomba atomica su Hirosima e Mon Amour. Mussolini morì nel 1924 e le leggi fascistissime furono fatte in sua memoria. Tipico esempio di architettura fascista? Beh, il Duomo di Milano. La seconda guerra mondiale si è conclusa nel 1958 con la vittoria della Germania nazista. Il comunismo è il potere dei comuni.
No, tranquilli, non siamo impazziti. Stiamo solo stilando una lista degli errori memorabili che i maturandi hanno commesso solo negli ultimi anni, proprio durante le prove scritte ed orali che chiudono un ciclo di studi superiori durante il quale gli studenti più che acquisire un discreto livello culturale hanno scaldato sedia e banco.
Ecco a voi alcune chicche: “I Malavoglia” sono stati scritti da D’Annunzio, che si conferma estetista. Gabriele, dunque, avrebbe composto tale opera tra una ceretta ed una manicure. Leopardi, invece, era un illuminista. L’ideale dell’ostrica di Verga, a cui sono stati scippati “I Malavoglia”, è stato trasformato nella storia della cozza. Gente di Dublino è ambientato a Londra. Mussolini ha combattuto insieme ai partigiani e le Brigate Rosse erano un gruppo di soldati attivi nel ventennio fascista. Hitler sterminò la razza ariana e la seconda guerra mondiale, il conflitto più bersagliato agli orali, ebbe inizio nel 1945. Infinte, merita un applauso il ragazzo che, in preda alla disperazione, ha chiesto al compagno di banco durante la terza prova: “Ma chi diamine ha scritto Il diario di Anna Frank?”.
Risalgono invece al 2015 e furono raccolte dalla pagina Facebook “Orizzonte Scuola” altre madornali papere di cui si sono resi autori uomini e donne in procinto di iscriversi all’università. Qualcuno di questi ha affermato con convinzione, ad esempio, che nel corso del secondo conflitto mondiale i tedeschi invasero la Germania. Qualcun altro ha sostenuto che Urss sarebbe la sigla di un’organizzazione terroristica che ha fatto gli anni di piombo in Italia. E come non impallidire davanti al giovane che dichiara che la guerra fredda è stata combattuta in pieno inverno.
Secondo uno studente del quinto anno, il più celebre romanzo di Pirandello sarebbe “Il fu Mattia Bazar”. Un suo collega non ha dubbi: la mitica Gioconda si trova a Lourdes. Assegneremmo volentieri un premio alla genialità a colui che ha indicato Cartesio quale filosofo del “cogito ergo rum”. E ci risulta che il ragazzo fosse persino sobrio in quel mentre. Un altro zero tagliato in filosofia spetterebbe a colui o colei che succintamente ha descritto Kant come il pensatore dell’aperitivo categorico. Insomma, Kant all’happy hour non poteva proprio rinunciare. Enoe e Didone, invece, erano due lesbiche. E le teorie di Martin Lutero ottennero larga diffusione grazie all’invenzione della stampante, che gli permise di tappezzare la città di volantini. Per non parlare poi del fatto che la catena di montaggio è stata inventata dall’attore Harrison Ford. Oltre che figo, è pure genio rivoluzionario!
Frequentava troppo assiduamente le discoteche lo studente che all’esame ha detto che nel paradiso Beatrice ha fornito a Dante l’ecstasy. Insomma, la donna-angelo altri non era che una pusher sotto mentite spoglie, che sarebbe dovuta semmai finire all’inferno. Leopardi, dal canto suo, era un umorista. Qualcuno dissente: il gobbo Giacomo, alquanto sfigatello, era un uomo triste e sempre depresso poiché la sua fidanzata, Silvia, l’aveva mollato per un altro e non lo aveva più cercato.
Dalla letteratura passiamo poi alla politica nonché alla storia contemporanea, scoprendo che De Gasperi era un ministro di Berlusconi e che In Italia i comunisti sono stati al governo sino a Mani Pulite, che altro non era che una legge che ha abolito i corrotti. Craxi, invece, era il vice di Garibaldi in Sicilia. Beh, non si portava male i suoi quasi due secoli di età.
E ancora: i muscoli sotto sforzo producono latte; la capitale dell’Inghilterra è Berlino; il vello d’oro è un muscolo del corpo umano. Tra Guelfi e Ghibellini ci furono “guerre intestinali”. Renzo e Lucia muoiono alla fine de “I Promessi Sposi”. Napoleone Bonaparte si distinse combattendo nella seconda guerra mondiale, durante la quale furono adoperate anche le navicelle spaziali. Tacito scrisse la biografia di Adolf Hitler. Il terremoto di Hiroshima del 1945 pose fine alla guerra. Insomma, una sorta di intervento divino: Dio si era stufato di osservare dal Cielo gli uomini che si ammazzavano e ha provocato un bel terremoto per fare vedere chi diavolo comanda.
Codesti studenti dovrebbero essere bocciati in massa, eppure chi deve giudicare il loro livello di preparazione, ossia commissari e professori, non di rado incappano in cadute epiche che ne rivelano agghiaccianti lacune. Una professoressa avrebbe corretto un tema cancellando “senza” per sostituirlo con un “sensa”. Un suo collega sarebbe scivolato sul congiuntivo come Luigi Di Maio: “Se dovreste”. “E questo qui chi cazzo è?”, avrebbe esclamato un insegnante davanti ad una poesia di Giorgio Caproni, sottoposta ai ragazzi per l’analisi del testo. Don Abbondio è diventato don Antonio; Giuseppe Ungaretti, invece, Lorenzo Ungaretti. E persino per un insegnante Oscar Wilde sarebbe un estetista. Per un altro Anna Karenina sarebbe stato scritto da Dostoevskij e non da Tolstoj. La seconda guerra mondiale sarebbe iniziata nel 1915, La Coscienza di Zeno sarebbe stato scritto da Pirandello e non da Svevo, il dipinto di Picasso Guernica sarebbe di Van Gogh e la celebre frase “Lasciate ogni speranza o voi che entrate” sarebbe stata attribuita a Manzoni.
E senza, anzi sensa, speranza non è solo chi entra, ma soprattutto chi esce. Da scuola, appunto.
FONTE: https://www.lafinestradiazzurra.it/la-scuola-dei-somari-da-fu-mattia-bazar-al-mar-occo-ecco-gli-strafalcioni-piu-divertenti-dei-maturandi-negli-ultimi-anni/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Il Covid, l’Aids e la geopolitica del cospirazionismo
Il controllo dell’informazione è fondamentale al fine del condizionamento dell’opinione pubblica, ovvero di quella massa corrispondente all’elettorato e alla “società pensante” dalla quale dipendono vita e morte dei regimi politici. E dato che informare può anche voler dire disinformare, cioè traviare volutamente, ne consegue che, come spiegava il grande burattinaio Licio Gelli, “il vero potere risiede nelle mani dei detentori dei mass media”.
Propaganda e disinformazione esistono dall’alba dei tempi, ma l’avvento delle società dell’informazione e il divenire del mondo un villaggio globale hanno elevato significativamente il potenziale destabilizzativo delle bufale (le cosiddette fake news) e naturalizzato progressivamente fenomeni quali le disinfodemie, le intossicazioni ambientali e gli inquinamenti informativi. Questi flussi ininterrotti e ininterrompibili di notizie provenienti da ognidove, teoricamente accurate eppure tra loro contrastanti, che tendono a dar luogo a delle veridiche esplosioni di informazioni, rendono le masse, oggi più che mai, esposte e vulnerabili a sovraccarichi e dissonanze di tipo cognitivo.
Le disinfodemie sono divenute una parte integrante della quotidianità di coloro che vivono nelle cosiddette società aperte – realtà che, in quanto libere e pluralistiche di natura, sono prive degli anticorpi necessari per combattere efficacemente le intossicazioni informative che infestano i loro ambienti –, ma vi sono dei periodi in cui sperimentano degli incrementi vertiginosi di intensità: crisi economiche, elezioni, emergenze sociali, guerre e pandemie. E quanto accaduto nel corso dell’ultimo anno e mezzo, con le ondate disinfodemiche relative al COVID-19 – dall’affidabilità dei vaccini alle origini del virus –, non è che un déjà-vu, o meglio una riedizione contemporanea di quello tsunami di bufale che travolse il mondo ai tempi della diffusione globale dell’HIV/AIDS.
La battaglia delle narrazioni sul Covid 19
In tempi di grande crisi ed incertezza, colui che sa come volgere l’irrazionalità umana a proprio favore è re. È per questo che le grandi potenze, una volta comprese le reali dimensioni dell’attuale emergenza sanitaria, hanno cominciato a fare leva sul potere dei mezzi di informazione, nuovi e tradizionali, per plasmare le convinzioni delle opinioni pubbliche proprie e altrui in merito alla pandemia. Stampa e politologia hanno dato un nome a questa forma di guerreggiamento, a sua volta da inquadrare nel contesto della guerra fredda 2.0 tra Occidente a guida americana e Oriente a trazione sino-russa: la battaglia delle narrazioni.
Da Pechino, dove l’imperativo era ed è quello di cancellare dalla memoria collettiva l’associazione “Cina=untore”, sono state diffuse teorie del complotto tese a scaricare la responsabilità del primo focolaio su Roma e a veicolare l’idea che il virus sia stato bio-ingegnerizzato in laboratorio da Washington e poi traghettato silenziosamente nel territorio cinese ai tempi della settima edizione dei Giochi mondiali militari, svoltasi a Wuhan nel mese di ottobre 2019.
A Washington, dove è cambiato il presidente, ma non il registro, pur essendo stata messa la parola fine alla campagna contro il “China Virus” lanciata dall’amministrazione Trump, ai servizi segreti è stata affidata la missione di risalire alle vere origini del Covid19 e la teoria del virus uscito dal laboratorio di Wuhan continua a monopolizzare il dibattito pubblico, perché pompata da grande stampa e politici di ogni partito.
Da Mosca, dove l’obiettivo era ed è quello di fare leva sui sentimenti vaccinofobici oltreconfine allo scopo di promuovere lo Sputnik V, è partita una campagna disinformativa avente come bersagli i prodotti delle case farmaceutiche euroamericane. E all’interno dell’Unione Europea, vittima inerme dei grandi giochi altrui fino ad un certo punto, media e politici, prevalentemente (ma non esclusivamente) appartenenti alla realtà liberal-progressista, hanno demonizzato lo Sputnik V sin dalla sua registrazione ufficiale e ne hanno sabotato l’ingresso nell’euromercato della sanità.
Il cospirazionismo medico dall’Hiv/Aids ad oggi
Quello che è accaduto nell’ultimo anno e mezzo non è che un déjà-vu, o meglio un déjà-vecu, per coloro che hanno vissuto i tremendi anni Ottanta. Tremendi perché per Europa occidentale e Stati Uniti sarebbero stati il decennio del crack, dell’eroina e, soprattutto, della propagazione di una piaga sconosciuta nota come Hiv/Aids.
Invisibile, avvolto da un manto di mistero, letale e particolarmente diffuso all’interno delle comunità afroamericane e omosessuali dell’America, il virus dell’Hiv era tutto ciò che di cui l’Unione Sovietica abbisognava per ammalare di paura e spaesare le società del benessere. E ci sarebbe riuscita. Come? Investendo tre miliardi di dollari l’anno in misure attive (active measures) nell’ambito dell’ipersegreta operazione Infektion, anche nota come operazione Denver.
Portata avanti dal Kgb di concerto con la Stasi, l’operazione Infektion nasceva con l’obiettivo di convincere l’opinione pubblica mondiale della natura artificiale dell’Hiv: un’arma biologica, rispondente ad una logica eugenetistica – la purificazione della White America da quei “mali” rappresentati da afroamericani e omosessuali –, che gli scienziati al servizio dello Stato profondo avevano realizzato nei laboratori di Fort Detrick (Maryland) e di cui gli scienziati comunisti, come Jakob Segal, avevano scoperto la vera origine.
Dal Secondo Mondo, notoriamente silente e sigillato ermeticamente, si sarebbe originato uno tsunami (dis)informativo a base di articoli di giornale, libri, pubblicazioni (pseudo)scientifiche e dichiarazioni scioccanti provenienti da anonime e improbabili gole profonde, che, alla ricerca di perdono e redenzione per l’enorme crimine perpetrato, avevano deciso di parlare ai microfoni della stampa sovietica.
I risultati dell’operazione Infektion si sarebbero manifestati nel breve periodo, come mostrato dallo scoppio di gravi isterie collettive nei luoghi più impensabili, come l’India, e dal supporto dello spazio postcoloniale eurafrasiatico alla tesi cospirativa – il “rapporto Segal” sulle origini artificiali dell’Hiv/Aids fu letto, discusso e distribuito durante l’ottava conferenza del Movimento dei paesi non allineati (Harare, 1986) –, e continuano ad essere visibili ancora oggi: nel 2005, secondo uno studio firmato Rand Corporation e università dell’Oregon, quasi la metà degli afroamericani credeva che l’Hiv fosse di origine artificiale, più di un quarto credeva che fosse stato realizzato in un laboratorio governativo e uno su otto credeva che fosse stato fabbricato e diffuso dalla Cia a scopo genocidario.
Le storie di successo delle operazioni psicologiche che ieri accompagnarono la diffusione dell’Hiv/Aids e che oggi stanno accompagnando il Covid19 – senza dimenticare il cospirazionismo di inizio anni Duemila circa le origini della Sars, da taluni ritenuta una bio-arma sviluppata dagli Stati Uniti per rallentare la crescita economica della Cina – ci insegnano e ci dicono qualcosa sulla natura umana: l’arcano affascina, strega e persuade, al di là della sua (in)verosimilità, perciò traviare le masse sarà sempre possibile.
FONTE: https://it.insideover.com/politica/il-covid19-l-aids-e-la-geopolitica-del-cospirazionismo.html
Sui campi di addestramento per africani a Potenza
l’inchiesta di Stefano Becciolini
Dopo pochi minuti dalla pubblicazione di questo articolo sono stato contattato da una persona molto vicina alle operazioni di intelligence, la quale mi ha fornito delucidazioni sul presunto campo di addestramento per extra comunitari in provincia di Potenza (Basilicata). Questa persona verrá intervistata in diretta streaming domenica 4 Luglio 2021 sul Canale Becciolini Network. Per partecipare all’evento clicca QUI. Successivamente la trasmissione registrata verrá caricata sul Canale Video RUMBLE. Secondo la fonte, il Centro di addestramento è inquadrato nella progetto Europeo della TASK FORCE TAKUBA. Per approfondimenti sulla Forza Militare Europea.
Il veri quesiti ora sono:
Il personale africano in addestramento nell’ex zuccherificio è militare o civile? Sono quindi Contractor?
NOTIZIA DEL 30 GIUGNO 2021 SU CUI È STATA SVOLTA L’ INDAGINE:
La notizia è stata data dall’ Avvocato Augusto Sinagra due giorni fa in un post su Facebook. Poche ore dopo averlo sentito telefonicamente ho iniziato le mie indagini.
Le strutture che ospitavano zuccherifici in Basilicata sono due, uno a Policoro e l’altro l’ex zuccherificio del Rendina, tra Potenza e Melfi, nella zona industriale di San Nicolò adiacente all’ inceneritore la Fenice.
Su quest’ultimo si sono focalizzate le mie indagini e di cui ho messo a conoscenza nel “Il Punt di Vista” con Matteo Brandi giovedì 1° Luglio 2021 delle ore 08:00
Allo stato attuale non ho ricevuto riscontri positivi che possano confermare o meno quanto dichiarato dall’Avvocato Sinagra. Dallo stesso avvocato ho avuto la notizia ufficiosa che la struttura dell’ex zuccherificio la Rendine è stata data dalla Prefettura di Potenza come alloggiamento per extra comunitari che lavorano come braccianti nelle campagne limitrofe, ma non è possibile visitarlo se non con l’autorizzazione della Prefettura.
Nota curiosa e puramente di colore:
La Basilicata conta una popolazione di poco più di 500/mila abitanti. La città di Potenza conta 60 appartenenti a Logge Massoniche e 50 a Matera, almeno dai dati della Prefettura, si suppone però che il sottobosco sia molto più nutrito, come si evince dall’articolo comparso sulla GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO nel 2010
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/sui-campi-di-addestramento-per-nigeriani-a-potenza/
ADDESTRAMENTI TOP-SECRET IN BASILICATA? “IL POPOLO ITALIANO MERITA CHIAREZZA”
FONTE: https://www.facebook.com/agostino.desantiabati/posts/2929742407266552
DIRITTI UMANI
Non aspettatevi sanità pubblica da chi l’ha distrutta. Ecco perché aumenteranno le liste di attesa
La pubblicazione di due giorni fa dell’ultimo Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale, a cura del Ministero della Salute, riporta dati riferiti all’anno 2019 e conferma che le scelte, compiute da vari governi in questi ultimi anni, hanno depauperato la nostra sanità.
Negli ultimi dieci anni tra pubblico e privato sono stati tagliati circa 43.000 posti letto. Il personale sanitario del SSN pubblico in dieci anni ha registrato circa 46.000 unità in meno e nello specifico 5.000 medici dipendenti in meno (erano 107.000 circa nel 2010, nel 2019 sono scesi a 102.000). I medici di famiglia dai 45.000 circa del 2010 sono diventati 42.000 nel 2019 (-3.000). In diminuzione anche i medici di continuità assistenziale (ex guardia medica) che dai 12.000 sempre nel 2010 sono diventati 11.500 circa nel 2019.
La carenza di medici, come emerge dall’Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale, investe, in particolare, il ruolo chiave del medico di famiglia e dell’area convenzionata. Ai tremila medici di famiglia persi in dieci anni si aggiunge il fatto che nei prossimi 5-8 anni migliaia di medici di famiglia andranno in pensione. Per queste ragioni, è quanto mai urgente che il Governo adotti tutte le iniziative per la realizzazione della scuola di specializzazione in Medicina generale – cure primarie e medicina di comunità, per permettere a tanti giovani medici di avviarsi alla professione.
Si rammenta a chi non è informato che in Italia si è impedito per anni a studenti volenterosi di iscriversi in Medicina a causa di esami molto selettivi, anche socialmente oltre che culturalmente, senza calcolare che di già manca ogni tipo di medico. Quei pochi che abbiamo scappano all’estero dove sono valorizzati e pagati meglio. Pessimamente organizzati e inconsistenti i corsi di formazione in medicina generale sono accuratamente evitati dai laureati in Medicina. La medicina di famiglia è la cenerentola delle specializzazioni, malpagata, piagata e piegata dalla burocrazia, disprezzata dalla politica e dai media. Già in Lombardia diventa difficile trovare un medico di famiglia e così avverrà nei prossimi anni in tutte le regioni.
Un motivo in più per vigilare e mandare a casa un parlamento assolutamente impreparato a programmare servizi e a finanziarli.
Senza neanche denunciare che tagliare sanità vuol dire ritornare alla giungla preesistente alla riforma del servizio sanitario regionale in cui si curava solo chi aveva denaro.
FONTE: https://www.lacivettapress.it/2021/06/18/non-aspettatevi-sanita-pubblica-da-chi-lha-distrutta-ecco-perche-aumenteranno-le-liste-di-attesa/
ECONOMIA
Le tre bombe sull’economia
L’anno in corso sta prospettando per l’Italia scenari di ripresa economica decisamente robusti dopo un 2020 da profondo rosso e il vento in poppa delPiano Nazionale di Ripresa e Resilienza impostato dal governo Draghi può garantire ulteriore slancio alla crescita del Pil e dell’occupazione. Ma l’imprevisto è sempre dietro l’angolo e nel contesto interno e globale sono diverse le pressioni che possono esercitarsi per porre delle limitazioni alle prospettive di ripresa del Paese.
L’esecutivo ha impostato una strategia chiara fondata su pochi, ma decisi principi: passaggio dalla logica del ristoro delle perdite da chiusura per le attività soggette a restrizioni a quella dell’investimento per la crescita; rafforzamento delle leve strategiche dello Stato (partecipate in testa) per coordinare al meglio la ripresa utilizzando le armi a disposizione dell’apparato pubblico per creare una volano nel contesto privato; utilizzo del Pnrr come punto di partenza per incardinare sul medio-lungo periodo le politiche economiche. L’effetto è stato sino ad ora positivo soprattutto sul versante della fiducia di lavoratori e imprese, ma andrà valutato alla luce delle contingenze.
Sono almeno tre le questioni che il mondo dell’economia deve tenere strettamente sott’occhio, e corrispondono ad altrettante sfide che il Paese dovrà valutare nel corso del 2021. Esse hanno a che fare in particolar modo con la tenuta delle imprese, rivelatesi sino ad ora il vero e proprio motore della ripresa nazionale.
La prima è la questione delle “cicatrici” della crisi del Covid-19 sulle società, manifestatesi sotto forma di un deciso aumento del debito corporate in tutta la filiera nazionale. L’eredità del governo Conte e di un anno di politiche economiche non pienamente soddisfacenti hanno decisamente condizionato la partenza dell’era Draghi: a febbraio i dati della Banca d’Italia sottolineavano che i decreti governativi emanati dai giallorossi avevano abbassato da 142mila a 100mila le imprese a corto di liquidità e da 48 a 33 miliardi di euro il fabbisogno, ma di fronte alle imprese si aprivano i rischi legati a una destrutturazione del tessuto produttivo per le nuove chiusure. Ora in uno studio Cerved mostra che i progressi della campagna vaccinale hanno ridotto al 18,7% la quota di aziende ad alto rischio di default ma i debiti extra generati durante la pandemia ammontano, per il mondo aziendale italiano, a complessivi 90 miliardi di euro. Il punto è da guardare con attenzione perché in futuro sarà necessario che l’Italia risolva i problemi della cronica sottocapitalizzazione e dell’eccessiva dipendenza dal cash flow delle sue imprese, anche delle più produttive nel comparto delle Pmi.
Se il debito è problema di stato patrimoniale, i costi di gestione sono questione di conto economico. E veniamo dunque alla seconda problematica: le pressioni inflazionistiche legate all’aumento dei prezzi delle materie prime energetiche, la corsa ai massimi storici del prezzo del gas in Europa e l’aumento del dispendio di cittadini e imprenditori per la generazione elettrica hanno generato questioni facilmente intuibili e problematiche non secondarie. Come scrive Repubblica “Draghi”, negli ultimi decreti, “ha stanziato 1,3 miliardi di euro da spalmare sulle bollette” per contenere costi e esternalità negative. “Se non ci fosse stato” questo intervento “l’aggiornamento trimestrale delle tariffe (+9,9% per il gas, +15,3% per l’elettricità) avrebbe raggiunto punte di aumento del 20%”. E a questi dati non si possono non aggiungere quelli sul prezzo del petrolio, che impatta sulla logistica e i trasporti. Lungi dall’esser prossimo alla morte, “Re Petrolio” continua a tenere banco. Il Brent europeo dal 30 giugno 2020 al 30 giugno 2021 è passato da 42 a 76 dollari al barile; discorso simile per il Wti americano, passato da 39 a 75 dollari negli ultimi dodici mesi. Nei prossimi mesi si vedranno nei bilanci delle imprese, direttamente o indirettamente, gli effetti di queste problematiche. E nuovi interventi per calmierare gli effetti dei rincari da parte della politica non sono da escludere.
Infine, vi è una questione d’ordine sociale connessa alla riapertura ai licenziamenti e alla fine graduale delle misure di Cassa integrazione in deroga. L’accordo trovato a Palazzo Chigi recentemente indica certamente un processo graduale per cui le aziende prima di licenziare si impegnano a utilizzare strumenti di cassa integrazione, ma la questione è da monitorare attentamente. Specie se si assisterà a fenomeni di chiusure di impianti e stabilimenti privi di un preavviso tale da consentire ai lavoratori di prepararsi a una exit solution. Probabilmente i livelli di 2-300mila licenziamenti complessivi inizialmente temuti non si manifesteranno, ma vi saranno settori in cui la distruzione di posti di lavoro sarà più impattante. Questo fenomeno è forse il più rischioso in potenza, perchè manderebbe messaggi in piena controtendenza con il clima di ripresa e fiducia che si è diffuso nel Paese. E aprirebbe una faglia tra aree del mondo del lavoro tutelate e ben presidiate e settori in cui le ristrutturazioni aziendali possono portare alla crescita di una quota di lavoratori o ex dipendenti sfiduciati e a incertezze di mercato e investitori verso i settori in cui eventuali licenziamenti si concentreranno. Con il rischio concreto di un “autunno caldo” come quello del 2020.
Al governo Draghi il compito di continuare sul sentiero del pragmatismo, rafforzare gli investimenti, accelerare la crescita del Pil e dare attuazione al Pnrr. La lezione di John Maynard Keynes è più viva che mai: la crescita e la programmazione strategica sono il vero antidoto alle minacce per l’economia. Che, specie se ancora non pienamente concretizzate, possono essere affrontate con fiducia.
FONTE: https://it.insideover.com/economia/le-tre-bombe-sulleconomia.html
Lo “scandalo dell’algoritmo” apre una nuova crisi per le banche?
In Germania negli ultimi giorni si discute molto di una questione riguardante un piccolo istituto bavarese che, secondo delle rivelazioni della stampa, sarebbe stato coinvolto in uno scandalo che chiama in causa il legame tra la finanza e le forme più avanzate di tecnologia.
Il primo giorno di luglio sulla testata tedesca Handelsbatt è apparso un articolo di inchiesta a firma di Felice Holtermann in cui si rivelavano alcuni problematici intrecci in affari sospetti che hanno riguardato somme di denaro transitate per le filiali del gruppo Deutsche Handelsbank (Dhb), istituto di proprietà del miliardario Günter Reimann-Dubbers. Dhb non è chiamata in causa dall’inchiesta come responsabile, ma come piattaforma sui cui canali si sono svolte transazioni guardate con sospetto dalle autorità giudiziarie tedesche.
Quello che Holtermann rivela è un gioco di specchi fatto di sospette piattaforme di gioco d’azzardo e lotterie gestite da call center nei Balcani che promettevano a chi si impegnava a parteciparvi profitti notevoli grazie allo sfruttamento di un ingegnoso algoritmo di intelligenza artificiale in cambio di pagamenti regolari su conti intestati sull’istituto di Monaco. Ritenuto tradizionalmente un piccolo gioiello della finanza bavarese, nonostante la ridotta capitalizzazione di poco superiore agli 820 milioni di euro. Non a caso StartMag sottolinea che era fondamentale per attrarre i clienti “oltre alla loro avidità e alla presenza di piattaforme digitali più o meno credibili, l’appoggio con l’istituto bavarese, ritenuto affidabile nel meccanismo messo in piedi dai truffatori”.
Riciclaggio di denaro sporco, proventi di attività illecite, sospette infiltrazioni della criminalità organizzata europea e balcanica avrebbero dunque riguardato le transazioni discusse. Il sospetto è che l’istituto sia stato utilizzato come processore di pagamento per reti fraudolente e che per i suoi conti sia transitata una quota notevole di fondi sporchi. L’European Funds Recovery Initiative (EFRI), organizzazione che combatte da anni la frode informatica contro i consumatori in Europa, sostiene che 322 persone avrebbero subito danni da frode informatiche con una perdita complessiva di 11,5 milioni di euro trasferiti su 30 conti di Dhb.
Non si tratta di cifre vertiginose, per ora, ma c’è il sospetto che non possa che essere la punta dell’iceberg e che quanto successo in Dhb, se confermato, si possa essere replicato su larga scala in altre banche tedesche. Il meccanismo era noto alle autorità giudiziarie tedesche fin dal 2019, anno in cui la procura di Saarbrücken portò alla luce il primo grande giro di frodi online, dietro il quale operava una rete criminale paneuropea fortemente organizzata e dotata di notevoli capacità tecniche.
Il rischio che nei prossimi mesi si possa scoperchiare un nuovo vaso di Pandora non è da escludere. Per Berlino gli ultimi anni sono stati caratterizzati da una serie crescente di scandali che hanno rivelato un sistema di opacità e mancanza di controlli strutturati. Lo scandalo Deutsche Bank-Danske Bank, legato ad uno dei più grandi casi di riciclaggio di massa mai portato alla luce nell’Europa contemporanea, tuttora non è stato pienamente chiarito nella sua interezza; e dodici mesi fa la Germania assisteva alla deflagrazione della crisi legata allo scandalo che ha colpito l’emittente di carte prepagate tedesca Wirecard AG, schiantatasi, a causa di un ammanco di 1,9 miliardi di euro dichiarati in conti fiduciari inesistenti nelle Filippine.
Il caso Dhb non riguarda direttamente un istituto e il suo management, ma è indicativo delle problematiche che possono emergere quando da un lato clienti a rischio o potenzialmente “fragili” sono allettati con opportunità legate a presunte, mirabolanti conseguenze dell’applicazione delle nuove tecnologie e dall’altro negli istituti, per carenza di personale o scarsa consapevolezza del rischio, manca un forte e strutturato dipartimento volto a prevenire l’eventualità che l’immagine della banca sia compromessa da scandali e problematiche di questo tenore. La difesa del brand e del buon nome di una banca è vitale, e in tempi di cyberwar, pirateria informatica e tecnologie critiche, passa anche l’elaborazione di una cultura della sicurezza in materia tech. Il fatto che nella solitamente previdente ed ordinata Germania si aprano queste falle è un’ulteriore colpo al mito di un’infallibilità della Repubblica federale in campo economico-finanziario che negli ultimi anni conosce continue, ripetute e puntuali smentite.
Armi spuntate e polveri bagnate: ecco perché il discorso di Draghi ai Lincei non convince
Mario Draghi ha tenuto un gran discorso ai Lincei. Argomento: il debito. “Il costo della scelta di avere una recessione invece di una depressione è stato il debito” e “continuerà ad aumentare” [sic]. Anzi, “l’Italia non ha avuto esitazione a fare pieno uso di tutti i fondi messi a disposizione dall’Ue, sia in sovvenzioni sia in prestiti”.
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Va bene, Mario. Ammesso e non concesso. Ma il maggior debito va finanziato. E tu, come lo finanzi?
Emettendo Btp? Non tanto: “Durante la crisi del 2011: il debito pubblico di alcuni paesi come l’Italia non è stato ritenuto sicuro dagli investitori, proprio quando il governo aveva bisogno di emetterlo per rispondere alla crisi … un circolo vizioso … dove la mancanza di sicurezza nel debito pubblico generava aumenti nei tassi di interesse, che inducevano i governi ad attuare politiche restrittive nel tentativo di guadagnare credibilità, la crescita ne risentiva, la credibilità di questi paesi diminuiva ulteriormente, i tassi continuavano ad aumentare. Lo ricordiamo tutti abbastanza bene quel periodo”. Sì, Mario, ce lo ricordiamo.
Ricorrendo a Bce? Beh sì ma, ufficialmente, solo sinché “l’inflazione nel medio periodo continua a essere molto più bassa del suo obiettivo primario”. Aggiunge che, “ad oggi il tasso d’inflazione all’interno della zona euro continua a rimanere basso e a richiedere una politica monetaria accomodante”. Tuttavia, “in futuro, queste circostanze potrebbero non ripetersi, se le aspettative di inflazione dovessero eccedere in maniera duratura l’obiettivo statutario di Bce”. Dunque, ufficialmente la risposta di Draghi sarebbe: no.
Facendo crescere il Pil? Sì: “Dobbiamo crescere di più di quanto si stima oggi. Anche per contenere l’aumento del debito. Se portiamo il tasso di crescita strutturale dell’economia oltre quello che avevamo prima della crisi sanitaria, saremo in grado di aumentare le entrate fiscali abbastanza da bilanciare l’aumento del debito che abbiamo emesso durante la pandemia … sono obiettivi non solo auspicabili ma sono obiettivi raggiungibili”. Questa crescita del Pil sarebbe il contenuto della promessa alla “graduale discesa del rapporto tra debito e prodotto interno lordo, necessaria nel medio periodo per ridurre le fragilità di una sovraesposizione”, che egli già aveva abbozzato al G7 ed a Barcellona.
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Va bene, Mario. Ammesso e non concesso. Ma, come ci torni alla crescita?
“Rilanciare la produttività”. Qui le cose si fanno complesse, perché la produttività è il rapporto fra il valore della merce prodotta e le ore lavoro necessarie a produrla: quindi, per aumentare la produttività uno può: o alzare i prezzi, oppure licenziare personale. Draghi risponde con una circonlocuzione: “aumentare la produttività si traduce nell’attuare il nostro programma di riforme”, il mitico Recovery Fund. Ah (!) In che senso?
“Abbiamo già approvato importanti semplificazioni amministrative, iniziato la riforma della Pubblica Amministrazione, delle assunzioni nel settore pubblico, riformato il Ministero dell’Ambiente, trasformandolo nel Ministero della Transizione Ecologica e, ingrandendolo, costruito il Ministero dell’Innovazione Tecnologica e della Transizione Digitale … I prossimi passi sono la riforma della giustizia civile, della concorrenza, degli appalti … Infine dobbiamo migliorare la partecipazione al mercato del lavoro di giovani e donne”. Ah Mario, ma che ce stai a cojonà?
E qui, gli parte la vena lirica: “occorre però, a questo punto, sollevare un attimo lo sguardo dall’orizzonte della macroeconomia” … ecco ci pareva … “per riflettere sulla profonda trasformazione che la nostra società si appresta ad affrontare. La transizione energetica, la consapevolezza dell’importanza della ricerca e il percorso che porterà le generazioni future verso gli obiettivi del 2030 e, poi, del 2050”. Cioè, avremo la produttività che ci consentirà la crescita che ci consentirà di finanziare il debito, grazie a … la decarbonizzazione (!).
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Sgomenti, cerchiamo segni di lucidità nell’intervista rilasciata dal ministro Franco: “persone, pianeta e prosperità. Non possiamo promuovere una prosperità condivisa per tutti senza prenderci cura del nostro pianeta … È ormai riconosciuto che il cambiamento climatico e il degrado ambientale hanno un forte impatto sulla performance dell’economia”; “rendicontazione aziendale sui temi della sostenibilità”; “aumentare le tasse sull’uso dell’energia”. Ciò proprio mentre Bruxelles si prepara ad imporre una tassa, non solo sul diesel consumato da camionisti ed agricoltori, ma pure sulle caldaie private negli edifici; nonché sui beni importati da fuori Ue (anche se qui c’è da aspettarsi fiere ritorsioni dal resto del mondo).
Improvvisamente, si fa chiaro come diamine Draghi voglia “rilanciare la produttività”: aumentando i prezzi.
Ammette il ministro: sì, tutto ciò porterà “probabilmente a un’inflazione di fondo più elevata”. Infatti, a Fubini che si preoccupa per le famiglie, “che dovranno pagare un prezzo più alto sull’elettricità rispetto ad oggi”, il ministro risponde: “beh, dipende dal punto di partenza” … cioè, antani. Non senza specificare: “dovremmo monitorare attentamente l’andamento dei salari” … cioè aumenti tutto ma non i salari. Infatti, abbiamo visto che Draghi vuole “migliorare la partecipazione al mercato del lavoro di giovani e donne”, cioè porre sui salari quanta più pressione possibile … al ribasso.
E se famiglie e lavoratori si incazzano? No problem, risponde la Lagarde: “Dopo aver accettato dure restrizioni per combattere la pandemia, il 70 per cento degli europei è ora favorevole a misure governative più severe per combattere il cambiamento climatico” [sic]. Pecore al macello.
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Vaste programme, avrebbe detto De Gaulle. Ma il Diavolo, a volte, dimentica i coperchi. E, così, ai Lincei Draghi il Grande deve fare qualche precisazione.
In primo luogo, egli presenta il seguente scenario di rischio sui tassi del Btp: “un tasso di interesse prudenzialmente alto, pari al 2,5 per cento”. Francamente ridicolo per uno che, nello stesso discorso, ha appena citato due volte il 2011, quando i tassi del Btp andarono oltre il 7 per cento. Egli non può non vedere che il buon Weidmann, gran capo di Bundesbank, dice e ripete ogni giorno che il PEPP deve finire con la fine delle misure di contenimento della pandemia. Sicché, a pensare che a questo servano le continue voci di un nuovo lockdown italiano fra fine estate ed autunno, si fa peccato ma forse si indovina.
In secondo luogo, la citata Lagarde vede che i soldi del Recovery Fund non basteranno a fare il lavoro di Bce quando Bce avrà smesso di comprare Btp e Oat. Sicché, “al Recovery Fund dobbiamo abbinare ciò che io ho definito un’unione dei mercati dei capitali verdi, un mercato dei capitali europeo veramente verde che trascende i confini nazionali”. Come se la Gran Madama scambiasse i mercati finanziari per delle signorine romantiche da romanzo d’appendice.
In terzo luogo Draghi, anche una volta avesse incredibilmente convinto i mercati finanziari della bontà delle proprie tesi, si rende conto di dovere assolutamente ottenere pure il consenso dell’Ue. La quale, altrimenti, lo bloccherebbe col Patto di Stabilità e col Fiscal Compact. Nel caso, torna ad evocare lo spettro del 2011: “il debito ci può anche dividere, se solleva lo spettro dell’azzardo morale e del trasferimento di bilancio, come successe dopo la crisi finanziaria”. E, allora, ai Lincei il nostro torna a blaterare di riformare le dette regole (pure Franco “ha fiducia”). Incurante dei Nein che gli piovono addosso, dal presidente degli sherpa dell’Eurogruppo Tuomas Saarenheimo al programma elettorale della CDU/CSU (e come abbiamo già visto su Atlantico).
Insomma, si ha la netta sensazione che Draghi sappia bene di star blaterando baggianate. E che, lui e la Lagarde, siano piuttosto disperati.
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PS: Nel frattempo, zitti zitti, i tedeschi si sono rimessi all’opera per togliere a Draghi anche una seconda alternativa, che Draghi non vuole ma che è sempre la preferita dai Piddini (vedi Reichlin ad Harvard o Bastasin su La Repubblica): il ricorso al Mes. Giovedì 1° luglio, il presidente Federale Steinmeier ha sospeso l’emanazione della ratifica del Nuovo Trattato Mes. Ciò su richiesta della mitica Corte costituzionale di Karlsruhe, la quale deve discutere un ricorso presentato da sette parlamentari della FDP (il partito liberale, probabile partner di maggioranza del prossimo governo tedesco), volto a rendere il ricorso al Mes talmente crudele da poter spaventare forse persino un fanatico Piddino.
Senza contare che la stessa Corte si prepara a far fuoco e fiamme contro l’Ue, nel contesto di una procedura di infrazione da quest’ultima aperta contro la Germania a seguito della precedente sentenza sugli acquisti di Bce, che noi ben conosciamo.
FONTE: http://www.atlanticoquotidiano.it/quotidiano/armi-spuntate-e-polveri-bagnate-ecco-perche-il-discorso-di-draghi-ai-lincei-non-convince/
GIUSTIZIA E NORME
UE CUMULA POTERE ESECUTIVO, LEGISLATIVO E GIUDIZIARIO
…E poi accusa Orbàn di violare i principi del diritto
Un articolo molto importante è postato dal giornale tedesco online Deutsche Wirtschafts Nachrichten a firma del suo editorialista Barazon. Benché reso alquanto complesso anche per l’uso di termini giuridici in lingua tedesca, di cui non siamo esperti, solleva la questione più censurata e tuttavia che è più necessario porre all’Europa. Fin dal titolo:
Il diritto nazionale non si applica più: un’unica istituzione dell’UE ha usurpato tutto il potere
Ronald Barazon mostra come una sola istituzione a Bruxelles riunisce in sé ramo esecutivo, legislativo e giudiziario in uno.
Didier Reynders ,il commissario UE per “Giustizia e Stato di diritto”, si afferma come un instancabile combattente per lo Stato di diritto. Il belga ha voluto convincere i politici polacchi e ungheresi che le loro nuove costituzioni sono incompatibili con i principi democratici e di stato di diritto dell’UE.
Il commissario Didier Reynders, in un’intervista al Financial Times ha ricordato con enfasi il primato del diritto comunitario sul diritto nazionale dei singoli Stati membri e ha dichiarato che la UE può rompersi se questo principio viene disatteso.
Una causa aperta contro la Germania perché Karlsruhe ha criticato la Banca centrale europea
Tra l’altro, questa priorità ha portato al fatto grottesco che la Commissione UE stia avviando un procedimento contro la Germania per violazione dei trattati UE perché i giudici costituzionali tedeschi hanno messo in dubbio la stampa sfrenata di denaro della Banca centrale europea e insistono sul fatto che queste misure devono essere giustificate in modo sufficiente. Protestare contro l’UE non è per niente gradito a Bruxelles e non è tollerata in nessun caso.
La legislazione dell’UE ha poco in comune con la democrazia e lo Stato di diritto
Secondo il diritto dell’UE, il cittadino medio immagina leggi importanti che vengono approvate dal Parlamento dell’UE e che, in base ai trattati dell’UE, prevalgono sugli ordinamenti giuridici nazionali. Questa idea ha poco a che fare con la realtà. In effetti, le leggi dell’UE e gli altri regolamenti dell’UE nascono in modo incompatibile con i principi democratici e dello stato di diritto. Per quanto si possa approvare la critica di Reynder alla Polonia e all’Ungheria, il Commissario per la Giustizia e lo Stato di diritto dovrebbe occuparsi della condizione dello stato di diritto nellaUE .
Separazione dei poteri? Ma dove! A Bruxelles i governi si stanno improvvisamente trasformando in legislatori
La prima, ma non certo l’unica radice del male, sta nel fatto che il Parlamento Ue [quello presieduto da Sassoli] – l’unica istituzione eletta a suffragio universale – ha poteri limitatissimi. Non può emanare leggi, scusate se è poco. Non esistono decisioni senza il consenso dei governi degli Stati membri riuniti in consultazione. Questa regola crea una perversione: i governi, che nei loro paesi hanno il compito dell’attuazione delle leggi nei loro paesi e dipendono dai parlamenti legislativi nazionali – per questo si parla di “potere esecutivo” – A Bruxelles si trasformano in legislatori – una chiara violazione del principio della separazione dei poteri.
Peggio, queste “leggi” dagli incontri dei premier o dei ministri in riunioni informali riservate, approvate a Bruxelles hanno la precedenza sulle leggi nazionali – quelle sì approvate in regime di distinzione dei poteri. Nel 2004 è stato presentato a livello comunitario un progetto di costituzione che avrebbe dovuto stabilire la separazione tra legislazione e amministrazione, tra potere legislativo ed esecutivo cosa naturale nelle democrazie. La discussione della bozza avvenuta.
Per maggior confusione dell’opinione pubblica, le leggi del Parlamento UE non sono chiamate leggi, ma “direttive” (che possono ancora essere modificate dai parlamenti nazionali), o “regolamenti”- che si applicano direttamente in tutta l’UE e devono essere applicate invariate dagli stati .
La violazione della regola fondamentale secondo cui le leggi devono essere approvate dal parlamento e attuate dal governo e dall’amministrazione non è affatto l’unico deficit che un Commissario per la giustizia dovrebbe sollevare in discussione.
Il deficit di democrazia dell’UE è aumentato drammaticamente dal 2009.
Cosa c’è in realtà dietro i termini “basato su principi” e “atti legali delegati”
Con il “Trattato di Lisbona”, entrato in vigore nel dicembre 2009, il potere del parlamento è stato aumentato, ma solo per finta.
Dal 2010, la cosiddetta legislazione “basata sui principi” sta guadagnando terreno.
Dietro questa espressione si nasconde il fatto che i membri decidono solo su “principi”, basi, orientamenti. Ma il testo normativo vero e proprio è formulato dalla Commissione Ue, a cui è stata attribuita anche la facoltà di emanare “ordinanze”.
Nella neo-lingua dell’UE di difficile comprensione, come detto, i regolamenti sono di fatto leggi che si applicano in tutta l’UE, e questo vale anche per i regolamenti della Commissione UE.
La strana situazione che l’autorità amministrativa (Esecutivo) “Commissione Ue” fa le leggi si basa su una pratica con cui il Parlamento Ue – che periodicamente chiede diligentemente più potere, ma tutto finisce sempre una fragorosa risata – nei fatti è venuto depotenziandosi costantemente : alla Commissione UE è affidato il compito di attuare i “principi” concordati e di legiferarli nell’ambito dei cosiddetti “atti legali delegati” o “atti legali di esecuzione”.
Le drammatiche conseguenze degli “atti delegati” per tutti i cittadini Ue EU
Non sorprende che il grande pubblico non riesca a vedere attraverso questa giungla di competenze spostate ed espressioni confuse. Trasparenza zero. Tuttavia, attraverso la legislazione “basata sui principi” e gli “atti delegati”, l’UE è diventata una illegittimità costituita che si allontana sempre più dalla democrazia. Questo fenomeno deve essere chiarito:
- Come accennato, un regolamento della Commissione UE è considerato una legge in tutta l’UE, proprio come un regolamento del Parlamento UE. Un regolamento (!) è quindi diritto comunitario (!).
- La Commissione UE è anche l’autorità amministrativa dell’UE, interviene in numerosi settori, direttamente o tramite autorità e agenzie in outsourcing, emana linee guida e talvolta impone sanzioni estremamente elevate.
- In una democrazia è ovvio che ci si può difendere contro una decisione di un’autorità amministrativa e portarla in tribunale. Nell’UE, la responsabilità è della Corte di giustizia europea. Il compito della Corte di giustizia è quello di sostenere il diritto dell’UE. Le sentenze devono pertanto essere conformi al diritto dell’Unione. Tuttavia, il diritto dell’UE è sempre più determinato dai regolamenti della Commissione europea sulla base di “atti legali delegati”. I cittadini che si difendono contro le decisioni della Commissione sono confrontati alla Corte di giustizia con le regole della Commissione, contro le quali si battono, ma che fanno parte del diritto dell’UE e che il tribunale deve rispettare. Ciò significa che i cittadini che chiedono giustizia sono intrappolati, in un loop infinito, dal quale non c’è scampo.
In parole povere, questo sviluppo significa: il diritto dell’UE è in realtà ciò che la Commissione europea considera tale. Quindi, quando il Commissario per la Giustizia proclama che bisogna rispettare il primato del diritto dell’UE e allo stesso tempo proclama che non rispettare questo primato significherebbe la fine dell’UE, sta dicendo, in sostanza, che tutti devono sottomettersi al comando dell’UE Commissione.
Il paziente Europa non ha bisogno di una dose maggiore della medicina sbagliata
I regolamenti della Commissione UE sono per lo più costrutti complicatissimi che spesso si rivelano inutilizzabili nella pratica. Come esempio delle innumerevoli normative, basta ricordare il “Regolamento generale sulla protezione dei dati”, che non comporta la protezione dei dati, ma innesca una quantità infinita di burocrazia inutile in tutti i settori.
Non è quello che dice al Financial Times il problema, Commissario, ma il contrario: non è il disprezzo del diritto dell’UE che significa la fine della comunità. No, il diritto dell’UE, così com’è attualmente praticato, annuncia la fine dell’UE.
Al momento, l’UE è come un vecchio edificio minacciato di degrado e che deve essere faticosamente tenuto insieme con graffe e borchie di ferro. Nella Commissione Ue si sta ora diffondendo l’idea che bisogna tenere insieme il mazzo dei 27 stati con ancora più regolamentazione da Bruxelles e quindi avere bisogno della sicurezza che tutti obbediscano diligentemente ai comandi del quartier generale. La realtà è un’altra: lo stesso tentativo che si fa da anni di stringere tutti i membri in un corsetto su misura a Bruxelles ha contribuito in modo significativo a mettere in discussione nei singoli Stati il comune cammino europeo. In altre parole, il presupposto su cui si basa l’iniziativa del nostro stimato Commissario alla Giustizia Didier Reynders è del tutto sbagliato.
I miracoli non accadono da soli: nemmeno in UE
Un fenomeno merita una menzione speciale:
- Nel corso degli ormai sessant’anni di storia dell’UE, è stato ripetutamente affermato che gli Stati europei cresceranno lentamente insieme in modo organico. Quindi non è un problema che l’Unione non abbia una costituzione, tutto andrà a posto da solo. Lo stato dell’UE, però, mostra che questo non sta accadendo, ma anzi, al contrario, che gli Stati membri stanno divergendo e con la Gran Bretagna uno Stato – estremamente grande e potente – è già uscito.
- Un’altra teoria politica si basava anch’essa sul presupposto che uno sviluppo sarebbe avvenuto “da sé”: il comunismo si basava sul presupposto di uno sviluppo verso una società solidale in cui lo stato sarebbe diventato superfluo. In effetti, non c’è mai stata una presenza statale così pesantemente onni-intrusiva come sotto il comunismo.
Questo fatto mette a fuoco la realtà dell’UE. A Bruxelles non si pensava solo che l’integrazione sarebbe risultata organica. Hanno anche riconosciuto la deregolamentazione e dichiarato guerra all’eccessiva burocratizzazione dei singoli stati. La frase che l’UE avrebbe “cacciato la puzza dagli uffici con una tempesta di liberalità” era popolare. Ma che aspetto ha la pratica? Non c’è mai stata tanta regolamentazione, registrazione e controllo in Europa come adesso – in un certo senso, la comunità ricorda sempre più l’Unione Sovietica crollata.
I miracoli non accadono da soli. Per raggiungere il successo, c’è bisogno di un solido lavoro insieme. In modo grottesco, si ha effettivamente l’impressione nell’UE di fare un lavoro incredibilmente grande e buono. Poiché il Parlamento, la Commissione e i governi dei 27 Stati membri in qualità di Consiglio Ue si sentono tutti chiamati, per molte decisioni importanti viene indetto un cosiddetto “trialogo”, in cui i compromessi, spesso di basso livello, vengono raggiunti con grande difficoltà e lentamente. Il termine “Trio Infernale” sarebbe meglio di “Trialog”.
Ronald Barazon è stato per molti anni caporedattore del Salzburger Nachrichten. È uno dei giornalisti economici più rispettati in Europa e oggi caporedattore della rivista “Der Volkswirt” e moderatore di ORF.
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/la-ue-ha-potere-esecutivo-legislativo-e-giudiziario/
IMMIGRAZIONI
Perché il Mediterraneo è la regione con più flussi migratori
Le rotte migratorie attualmente attive nel mondo sono diverse: “Si pensi ovviamente agli Stati Uniti e al Centro e Sud America” fa notare su InsideOver l’analista Bernardo Venturi proseguendo: “Ma anche ai paesi del Golfo (Arabia Saudita in primis) che attraggono moltissimi migranti sia dall’Africa orientale, sia dall’Asia (sub-continente indiano in particolare)”. Ci sono poi le rotte atlantiche che hanno come punti di approdo le isole Canarie oppure il continente americano. Tuttavia è il Mediterraneo a registrare i più importanti flussi migratori in termini numerici e sotto il profilo dell’impatto sociale.
Il Mediterraneo sempre al centro delle rotte
Ogni sfera del globo quindi ha i suoi flussi migratori. Eppure l’unico mare simbolo dell’immigrazione a livello mediatico è il Mediterraneo. I numeri parlano chiaro: secondo l’Oim, nel 2020 nei mari di tutto il mondo sono morte 3.174 persone a bordo dei barconi. Di queste, 1.773 hanno perso la vita attraversando le acque che separano l’Africa dall’Europa. Più della metà quindi. Segno di come il Mediterraneo rappresenti la via preferita dai migranti e quindi anche la più pericolosa: “Il Mediterraneo incrocia diverse regioni densamente popolate e con forti divari economici e sociali – sottolinea su InsideOver Bernardo Venturi – Questo crea un fattore di attrazione verso l’Europa che prosegue da decenni”.
Ma non è soltanto una questione geografica: “Le ragioni per le migrazioni irregolari nel Mediterraneo sono molteplici – ha proseguito l’analista – Se pensiamo alle migrazioni africane verso l’Europa, lo studio più completo come campione e organico recente è ‘Scaling Fences’. Un dato che emerge molto chiaramente dallo studio è che la maggior parte dei migranti irregolari parte perché non ha spazio e voce a livello sociale e politico. Poi ci sono anche ragioni economiche, chiaramente, ma in molti casi non sono le prime”. Un mix quindi in grado di proiettare il mare nostrum al centro delle principali rotte migratorie e di creare non pochi grattacapi soprattutto al nostro Paese: “Anche se – ha aggiunto Venturi – le migrazioni nel loro complesso non possono essere lette come ‘un problema’. Processi di migrazione e mobilità ci sono sempre stati e sempre ci saranno”.
Le prospettive a lungo termine
I problemi per la gestione dei flussi migratori diventano importanti, soprattutto per i territori di primo approdo, quando aumentano le pressioni provenienti dal mare. Sorge quindi spontaneo un quesito: cosa aspettarsi a lungo termine? Le prospettive in tal senso non appaiono delle più rosee: “Per avere un impatto sulle migrazioni irregolari tra Africa ed Europa nel medio e lungo periodo – ha dichiarato Venturi – sono necessarie diverse azioni e una lettura attenta delle cause”. Tra queste l’analista ricorda non solo il divario economico tra continente africano ed Europa, ma anche la penuria di canali migratori regolari: “Chiudendo quasi ogni speranza di migrare regolarmente per motivi di studio o di lavoro – ha dichiarato Venturi – le persone sono portate a cercare altri canali”.
C’è infine un’altra motivazione “trascurata molto dall’Europa”, secondo l’analista. Si tratta della “cattiva governance e la poca libertà d’espressione in diversi Paesi africani” in grado, sempre secondo Venturi, di “creare un senso di soffocamento e un pushing factor tra le nuove generazioni”. In poche parole è quella frustrazione e quella mancanza di prospettive che alimenta la fuga dal continente africano. Prima ancora della fame e prima ancora dei conflitti. Un elemento forse che rende peculiari le rotte mediterranee rispetto a tutte le altre.
Le altre rotte nel mondo
Le alternative al Mediterraneo ci sono. Ad esempio, chi decide di andar via dal Corno d’Africa attraversa la rotta del Mar Rosso e, tramite lo Yemen, giunge nella penisola arabica. Qui nelle petromonarchie è continua la richiesta di manodopera, necessaria per pompare un’economia trainata dalla presenza dell’oro nero. E così i migranti partono e confluiscono nello Stato costiero di Gibuti per poi attraversare il limitrofo stretto di Aden. I protagonisti di questi viaggi sono soprattutto, secondo l’Oim, etiopi e somali. Dall’Etiopia si va via a causa di una forte instabilità economica, mentre dalla Somalia si fugge per via di un’atavica instabilità politica e l’avanzata del terrorismo. Lo Yemen sta alla penisola arabica come la Libia sta all’Europa: una testa di ponte da cui transitano migliaia di persone in cerca di fortuna.
Un’altra rotta che negli ultimi anni ha fatto registrare importanti numeri, è quella atlantica. Quest’ultima consente a chi parte dal Marocco, dal Senegal, dal Gambia e dalla Mauritania, di arrivare alle isole Canarie e quindi in Spagna. Di rotta atlantica non ve n’è solo una. Vi è infatti anche quella che porta gli africani dritti in America. Per ragioni geografiche, chi segue questa rotta si serve dei mezzi aerei. Si parte dal continente africano per arrivare soprattutto in Brasile o in Ecuador.
Le peculiarità delle rotte mediterranee
C’è un’altra regione dove il mare è solcato da migliaia di barconi. È quella del Golfo del Bengala e dell’Oceano Indiano. Questa volta qui l’Africa c’entra poco, ma la dinamica è simile. Ad animare questa rotta sono soprattutto bengalesi e birmani. I primi fuggono anche verso l’Europa, nel 2020 ad esempio in Italia la maggior parte delle persone sbarcate ha nazionalità del Bangladesh. I secondi invece scappano dall’instabilità politica e militare del Myanmar e dalle persecuzioni contro le minoranze etniche. Gli approdi avvengono tra Thailandia, Malesia e Singapore. Nessuno di questi Paesi ha ratificato la Convenzione sui Rifugiati del 1951, molto spesso i viaggi terminano con i rimpatri nelle zone di origine.
Nessuna delle altre rotte però ha gli stessi numeri e gli stessi impatti sociali riscontrati nel Mediterraneo. Attorno al mare nostrum si concentrano milioni di persone rappresentanti di diverse culture e diverse società. Gli spostamenti in quest’area sono quindi destinati a fare più rumore a livello globale. Speranze, frustrazioni, timori e paure sono soltanto alcune delle sensazioni alimentate dalle rotte mediterranee. Destinate, nel complesso mondo di oggi, ad essere protagoniste della vita politica e sociale tanto in Europa quanto in Africa.
FONTE: https://it.insideover.com/migrazioni/perche-il-mediterraneo-e-la-regione-con-piu-flussi-migratori.html
POLITICA
Ogni Stato è un carcere: monopolio della violenza e dinamiche di controllo sociale
Le sconcertanti e profondamente avvilenti immagini che ci sono arrivate, masticate e sputate fuori, dal ventre dell’istituto penitenziario di Santa Maria Capua Vetere sembrano aver riaperto una ferita, per lungo tempo sopita e quasi cicatrizzata, in una opinione pubblica letargica, ormai imbambolata dopo un anno e mezzo di totalitaria narrazione sulla pandemia; e alla mente, mentre negli occhi scorrevano quei frame di pestaggi, abusi e vessazioni posti in essere dai poliziotti penitenziari in danno dei reclusi, ‘colpevoli’ di aver inscenato una protesta, sono tornate potenti altre immagini, quelle di Bolzaneto, durante i caldissimi giorni del G8 di Genova del 2001, e quelle di Abu Ghraib.
Il dibattito, al netto delle solite, piccine partigianerie del ceto politico, sempre più invischiato in sotto-culture e in espressioni da manicheismo da partita di calcio, ha investito di nuovo l’istituzione carcere, la distanza siderale tra il modello di pena delineato dal nostro ordinamento costituzionale e la pietosa realtà dei fatti, la inadeguatezza della gestione complessiva degli istituti penitenziari a partire proprio dagli organi di vertice politico, la scarsità di risorse e di personale, la vexata quaestio del sovraffollamento, ragione questa che è già costata all’Italia la reprimenda, e il relativo onere economico, delle sanzioni dell’Unione europea, a partire dalla ormai celebre sentenza CEDU ‘Torreggiani’ del 2013.
Come spesso avviene in queste occasioni, la riflessione complessiva tende ad elevarsi in un iper-uranio teorico che finisce con l’obliare alcuni elementi di assoluta essenzialità, primo tra i quali la natura del carcere stesso.
E difatti, sentiamo e sentiremo ripetere la notissima, e spesso abusata, frase sulle carceri come unità di misura del grado di civiltà di un popolo: a dire il vero, ho sempre ritenuto che l’espressione, certamente storicamente fondata quando venne formulata, dovrebbe essere superata adottando una prospettiva radicalmente diversa.
Il carcere non è una unità di misura, ma l’approdo irrinunciabile a cui tende qualunque Stato.
Sin dagli studi del sociologo canadese Erving Goffman che ai manicomi, alle caserme e alle istituzioni carcerarie ha dedicato il suo fondamentale saggio “Asylums”, parlando per la prima volta organicamente di ‘istituzione totale’, passando chiaramente per le riflessioni del Foucault di “Nascita della clinica” e di “Sorvegliare e punire”, l’istituzione totale, nel caso che ci riguarda il carcere, si atteggia quale elemento perfezionato di identificazione tra i dispositivi di controllo esperiti dallo Stato nel suo complesso e la dinamica di punizione.
Nell’istituzione totale non c’è solo espiazione; non c’è solo l’arida separazione fisica del corpo del recluso, come quello del malato nell’ospedale, ma c’è anche una asfissiante cappa burocratica, di iper-regolazione e di controllo verticistico che schiude petali carnicini di dominio e di sottomissione spinti entrambi ai loro estremi.
Ogni corpo recluso, ristretto, si atteggia a monade incapsulata in un micro-spazio presidiato da una logica centralizzata, da una razionalità e da un potere che tutto sottomettono e tutto controllano: nello spazio quasi metafisico del carcere la violenza è strutturale, ontologica, e non soltanto fisica, ma quasi spirituale, comunicativa, interstiziale.
Si insinua nel corpo, e nella mente, operando una plastica regressione del ristretto ad uno stadio infantile: il linguaggio del carcere è povero, destrutturato, governato dalle chiavi interprative della razionalità centrale, quella della istituzione, la quale assegna patenti di autorizzazione, di concessione, a seguito della ricezione di istanze che il gergo carcerario rubrica a ‘domandine’.
Il detenuto ridotto a infante sublima la forma assoluta del controllo; esattamente come la potestà genitoriale si esplica sul bambino incapace di determinare pienamente le sue scelte, l’istituzione totale opera la complessiva ritenzione delle scelte autodeterminative del singolo soggetto e lo rende, fagocitandolo e plasmandolo, meno che un mero ingranaggio.
Ma l’istituzione totale, per le sue caratteristiche intrinseche, non risparmia nessuno: la sua logica violenta, trasudando dalle pareti e dalla vita quotidiana rigidamente organizzata, dagli spostamenti contingentati e iper-normati, dalla gerarchizzazione, dalla limitazione delle comunicazioni e delle informazioni circolanti, colpisce il detenuto, ma anche il personale carcerario.
L’unica reale differenza, in termini di conseguenze psichiche, tra un detenuto e una guardia carceraria è che la guardia a fine giornata può tornare a casa, e spezzare brevemente l’apnea che lo avvolge nel suo quotidiano lavorativo; ma in realtà, il poliziotto penitenziario tende a portare l’istituzione totale con sé, fuori da quelle mura, avendo introiettato, dopo mesi, anni, decenni, di onorata carriera nel mondo artificiale e minuziosamente regolato e limitato del carcere, quelle dinamiche di controllo sociale e appunto di violenza.
Una violenza che rimane latente, come una brace accesa, a scaldarsi, pronta ad esplodere e a deflagrare quando innescata da qualche specifico fattore.
Ma c’è un punto ulteriore: l’investitura formale e sostanziale di un potere così forte, penetrante, quasi demiurgico, quale è quello di decidere della e sulla quotidianità del ristretto, nel senso di agevolare la sua permanenza tra le sbarre o al contrario renderla un inferno, finisce col fare del poliziotto penitenziario un soggetto incardinato fisiologicamente nella macchina carceraria.
Viene sdilinquito il portato personale, umano, del singolo agente, mediante una feroce opera di standardizzazione, gli viene impresso un linguaggio unico, altro rispetto a quello parlato e compreso fuori dal perimetro carcerario.
In questo senso, il poliziotto penitenziario è vittima della violenza del carcere nella stessa misura in cui lo è il detenuto, perché è proprio il carcere a produrre in via continuativa e reiterata un flusso continuo di violenza.
Lo ha dimostrato P. Zimbardo, nel suo celebre e famigerato esperimento carcerario dell’Università di Stanford; autorità, potere e ristrettezza fisica ingenerano la polarizzazione totale, facendo rifluire la punizione ad una dimensione quasi sacrale di nullificazione dell’esistente.
E c’è poi un altro aspetto che è in fondo saliente se vogliamo considerare l’istituzione totale non un mero incidente di percorso, una aberrazione orrenda ma necessitata e funzionale nello sviluppo della civiltà umana abbarbicatasi nella dimensione statale, quanto piuttosto lo sbocco ‘naturale’ di un approccio pubblico e statale alla gestione del fattore umano.
Mi riferisco alla comunicazione. L’istituzione totale, lo insegna Goffman, e in Italia si segnalano i pregevoli studi in tema di Carlo Serra, non solo esercita il monopolio della coazione e della violenza legittima, esattamente come fuori fa lo Stato, ma impone una sua propria, unica, totalizzante comunicazione: i paradigmi sono determinati dal centro, e non sono ammesse vulgate alternative.
D’altronde, ce lo ricorda in maniera nitida Serra, molto spesso i detenuti per sfuggire a questo aspetto sono costretti a ricorrere a tentativi di variazione sul tema, forme cruente di comunicazione non verbale come l’automutilazione.
E proprio la comunicazione è imperativo normativo, in questa prospettiva.
In carcere il diritto, la regola, la norma rappresentano infatti la legittimazione non della salvezza del detenuto, né la garanzia della sua risocializzazione, ma la gabbia teorica dentro cui formulare l’ipotesi complessiva di società violenta, in quanto violentemente formata e vissuta: la regola è quindi abuso ontologico.
Come ricorda l’incipit di quello straordinario affresco che non casualmente Franco Volpi inserì nel cuore del nichilismo europeo, “Le 120 Giornate di Sodoma” di Sade, ogni insieme sociale che della ristrettezza faccia sua cifra esistenziale deve darsi un corpo di regole che non saranno più, e forse non sono mai davvero state, elemento di garanzia, quanto certificazione dell’uso legittimo della violenza; e se in quelle pagine, i Libertini scrupolosamente dettano le loro regole, avvinte dal flusso di comunicazione iper-centralizzato nelle bocche delle narratrici, nel carcere ogni regola tende a biforcarsi, essendo prima elemento teorico di garanzia e poi, nella pratica, funzione della trasgressione da punire, ogni volta che la regola sia stata violata o semplicemente non ossequiata.
Lo Stato, ogni Stato, ogni istituzione, è un frammento organizzato di violenza; e lo intuì con sconvolgente lucidità il Roland Barthes di “Sade, Fourier, Loyola” che lesse appunto in combinato il pensiero di questi tre giganti, in apparenza diversi, ma costruttori di mondi in cui violenza e organizzazione sono unite tra loro in maniera salda e inestricabile.
La regola esiste quindi, nel carcere, solo come funzione di esercizio della punizione che essa porta con sé. Non è funzionale al mantenimento della pace sociale, in quanto il sociale non esiste: c’è solo la istituzione nella sua totalità, con i suoi atomi, i suoi granelli di carne.
C’è del vero, tremendo, forse insostenibile, in quella frase di Jean Genet che ricordando i bravi borghesi applaudire convinti le guardie mentre esse pestavano i detenuti incolonnati e diretti verso il carcere, ricorda come poi quegli stessi bravi borghesi siano divenuti nomi su placche commemorative, inghiottiti dalla tenebra e dalla nebbia di quello spettacolo tremendo di morte che furono Belzec, Majdanek e gli altri campi di sterminio: perché la violenza legittima sempre sé stessa, è un moto perenne che si nutre della sua permanenza e dei suoi strumenti, e semplicemente oggi tocca all’uno e domani all’altro, magari a chi era prima carnefice o divertito spettatore o probo cittadino.
In questo senso, l’istituzione totale carceraria non è più solo mera metafora di ciò che è lo Stato, ma conseguenza inevitabile sul lungo periodo proprio dello Stato e delle sue logiche regolatorie, di concentrazione, di monopolio.
Abbiamo visto e detto: esercizio monopolistico della violenza, tendenza alla iper-regolazione e alla burocratizzazione capillare, ritenzione della comunicazione, forma penetrante di sostituzione degli elementi più prettamente individuali e personali con una omologazione totalizzante, pianificazione economica centralizzata, vita meramente sussidiata e standardizzata.
Nelle carceri non si saltella più in tondo, all’ombra del cortile interno laddove il sole è solo una illusione vagamente promessa, ma il significante più profondo e crudo di quel rituale imposto non è mai davvero venuto meno.
Le nostre città, ancor prima della pandemia ma ora in maniera ancor più scoperta ed evidente, sono campi di morte afflitti da grigiore: l’architettura contemporanea è sempre più simile a quella consistenza anodina e afflittiva dei bunker, delle casematte e delle carceri appunto, il nostro linguaggio è sempre più burocratizzato e povero, imposto dal centro.
L’economia statale vuole sussidiare, aggredire la proprietà privata, spogliandocene come avviene sulla soglia di ingresso di ogni carcere dove si è tenuti a lasciare ogni effetto personale e con questo gesto si finisce per spogliarsi della propria umanità.
Lo Stato, come il carcere, spersonalizza l’individuo e punisce la concorrenza e la competizione. Aggredisce, proprio perché non concepisce come spazio di possibilità la libertà.
Nel carcere, esattamente come nello Stato contemporaneo, si regola, si pianifica, si centralizza in maniera feroce, escludente: ogni atto è imposto, mai davvero accettato o negoziato, la violenza è il rumore di fondo della esistenza, in qualunque ambito, l’economia rifluisce alla dimensione della mera sussistenza, si viene spogliati di tutto e si deve dipendere, funzionalmente, esistenzialmente, mentalmente, dalla mano ‘gentile’ del potere centrale.
Lo Stato, esattamente come il carcere, ha la necessità di controllare. In maniera piena. Fa rifluire alla minorità i suoi ‘cittadini’, divenuti nel volgere di poco tempo sudditi. Non è lo Stato a tentare di entrare nel carcere per renderlo ‘umano’ e conforme a Costituzione: è il carcere a invadere, colonizzare e permeare l’ossatura dello Stato, mediante una mimesi perfetta e totale. Rendendoci tutti prigionieri di scelte su cui non abbiamo alcun controllo reale.
FONTE: http://www.atlanticoquotidiano.it/quotidiano/ogni-stato-e-un-carcere-monopolio-della-violenza-e-dinamiche-di-controllo-sociale/
Cari Amici lobotomizzati o non ancora lobotomizzati, buonasera!
SCIENZE TECNOLOGIE
Vaccini con placebo? Sembra di si…
Fabio D’Angelo
I vaccini sono in sperimentazione clinica?
Sembra di si. Ma non solo…, risulterebbe che Astrazeneca sia a doppio cieco con placebo, ed a singolo cieco Pfizer, Moderna e Janssen.
Tutte le case produttrici avrebbero l’obbligo di presentare la relazione finale fra fine 2022, fine 2023 ed inizio 2024. Queste cose sono scritte nelle determine di approvazione delle sperimentazioni cliniche, rilasciate dall’Aifa. Si tratta rispettivamente delle determine n.154 del 23 dicembre 2020 per Pfizer (C4591001), n.1 del 07 gennaio 2021 per Moderna (mRNA-1273-P301), n.18 del 31 gennaio 2021 per Astrazeneca e n. 49 del 27 aprile 2021, per Janssen (VAC31518COV3001).
Il prospetto della tabella di scadenze di presentazione degli step clinici ed il fatto che si tratterebbe di sperimentazioni cliniche randomizzate con uso del placebo in cieco per osservatore, sono trascritti sic et sempliciter, anche nelle schede tecniche dei medicinali autorizzati.
L’unica eccezione è la scheda tecnica di Astrazeneca che menziona solamente il numero della sperimentazione autorizzata. Per Astrazeneca, quindi, si è proceduto ad una ricerca sul codice di autorizzazione n. D8110C00001, da cui è emerso un provvedimento di adesione del Sant’Orsola di Bologna a quello studio clinico. Nel provvedimento dell’ospedale bolognese, si è rilevato che si tratterebbe di una sperimentazione di fase III multicentro, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo in adulti.
Allora i vaccini sono in sperimentazione clinica?
Da quanto si legge nelle determine autorizzative e nelle relative schede tecniche sembrerebbe quindi, che questi medicinali, siano realmente in sperimentazione clinica randomizzata. Pertanto alcune questione si pongono alla nostra attenzione e riflessione.
(Fabio D’Angelo – Redazione “Il Re è nudo” – Com.Eti.S – Comitato Etico Scientifico Sicilia)
FONTE: https://cataniacreattiva.it/vaccini-con-placebo-sembra-di-si-fabio-dangelo/
STORIA
Massoneria e politica nell’Italia liberale, un saggio di Campagnoli-Galassi
Quell’”oggetto misterioso” che è la massoneria italiana viene dischiuso e analizzato da Monica Campagnoli e Gianmichele Galassi nel saggio “Massoneria e politica. Toscani, deputati e liberi muratori in età liberale” (Edizioni Mimesis), concentrando l’attenzione su una regione nella quale il fenomeno libero-muratorio si è sviluppato con particolare incidenza, la Toscana appunto.
È esistito mai un “partito della massoneria”? Difficile immaginare che in un contesto iper-individualistico come l’Italia una sola istituzione – la Massoneria – abbia potuto conservare nel corso dei decenni un carattere monolitico. Campagnoli e Galassi mostrano come in Toscana la presenza di deputati di appartenenza massonica si sia distribuita tra le varie componenti dell’agone politico: se negli anni della Destra Storica prevalgono i deputati massoni di estrazione moderata, alla fine dell’Ottocento più numerosi sono quelli schierati tra le fila della sinistra costituzionale o della “Estrema” (composta da radicali, repubblicani, socialisti).
A questo punto si pone un secondo dilemma interpretativo: il microcosmo massonico è stato semplicemente lo specchio del più vasto mondo italiano oppure in alcuni punti di svolta ne è stato il motore? La letteratura anti-massonica in effetti tende a considerare ipertrofica la presenza dei massoni, il che paradossalmente potrebbe alimentare il sentimento di autostima dei massoni stessi. Ma se è dilettantesco leggere la storia di una nazione, con i suoi conflitti sociali, e l’irrompere di masse sempre più ampie nello scenario politico, secondo la lente deformante del “complotto massonico”, è pur vero che in alcuni particolari momenti la Massoneria ha anticipato orientamenti che poi hanno segnato l’evoluzione della società italiana.
All’inizio dell’Ottocento determinante è la personalità di Napoleone Bonaparte, per sua volontà si costituisce a Milano il Grande Oriente d’Italia. I due principali esponenti della Massoneria di età napoleonica sono Eugenio, viceré del Regno d’Italia e Gioacchino Murat re di Napoli, per cui in questo periodo la compenetrazione tra vertici istituzionali e logge è pressoché completa.
Con la restaurazione, le logge vengono messe fuori legge e in clandestinità si diffonde la Carboneria con il suo impianto para-massonico. Alla Carboneria aderisce Mazzini prima di elaborare una propria strategia legata all’organizzazione della Giovine Italia.
Nell’anno della proclamazione del Regno d’Italia la libera muratoria oscilla tra due poli: quello di Torino, espressione dei moderati cavouriani, e quello di Palermo, dove fervono gli umori “democratici” dei fedelissimi di Crispi e Garibaldi. Proprio l’elezione di Garibaldi a gran maestro del G.O.I. nel 1864 è funzionale alla congiunzione delle due realtà.
Il profilo sociologico individuato da Galassi e Campagnoli descrive la Massoneria italiana come una realtà interclassista, ma incardinata nella borghesia delle professioni. La Massoneria svolge un ruolo nella nazionalizzazione della borghesia e nel supporto alla nascente democrazia liberale: al non expedit cattolico fa da contrappeso l’invito al voto che proviene dalle logge e anche l’impulso all’estensione del suffragio, poi realizzato dalla sinistra storica.
L’avvento della sinistra costituzionale al potere con De Pretis e Crispi è anche un successo di quella Massoneria “democratica” legata a Garibaldi. A questo punto in Toscana la maggioranza dei deputati massoni si posiziona tra le file della Sinistra e della Estrema.
A Crispi presidente del Consiglio corrisponde Adriano Lemmi gran maestro del G.O.I. Crispi risponde alle aspettative dei massoni con l’approvazione del Codice Zanardelli (che abolisce la pena di morte) e con un confronto decisamente “muscolare” con la Chiesa Cattolica: sono gli anni della inaugurazione del monumento di Giordano Bruno. Maggiori perplessità suscitano le repressioni in Lunigiana e in Sicilia e soprattutto lo scandalo della Banca Romana, nel quale risulta coinvolto lo stesso gran maestro Lemmi (“il banchiere del Risorgimento”, già finanziatore della Repubblica Romana, di Pisacane e dei Mille). Sta di fatto che Crispi cade non per la mano pesante nella gestione dell’ordine pubblico, né per gli scandali finanziari, ma per la sconfitta di Adua nella campagna coloniale d’Abissinia.
Al dopo-Crispi in politica corrisponde l’ascesa al vertice del Grande Oriente di Ernesto Nathan, destinato poi a diventare sindaco di Roma. Nathan ripropone la massoneria come associazione patriottica e in quanto tale ramificata nei settori della pubblica amministrazione, della magistratura, dell’esercito. Il confronto agonistico con la Chiesa Cattolica passa anche attraverso il tentativo di promuovere l’introduzione del divorzio nella legislazione italiana. Ma al di là delle singole battaglie, notano gli autori del saggio, la Massoneria tenta di porsi come mediatrice tra la borghesia e la classe operaia. Un tentativo che avviene proprio quando lo scontro sociale si radicalizza.
Il paradosso è che l’estensione della vita politica alle masse popolari porterà all’emergere di movimenti caratterizzati da una forte vena anti-massonica: il movimento politico dei cattolici per ovvie ragioni, il nazionalismo, il socialismo in alcune sue frange e nonostante che i primi deputati fossero proprio di area massonica (nel campione toscano analizzato, al giro di boa del 1900 risulta eletto il primo deputato massone socialista). E se i cattolici superata nella pratica la fase del non expedit si lasciano coinvolgere in alleanze amministrative di tipo clerico-conservatore, gli ambienti massonici rispondono patrocinando alleanze di tipo laico-riformista.
All’inizio del Novecento si avverte il contraccolpo all’interno della massoneria di queste battaglie. Quando il gran maestro Ferrari impegna i 39 deputati massoni dei diversi schieramenti a votare la mozione del socialista Bissolati contro l’insegnamento confessionale nelle scuole ne deriva una spaccatura destinata ad amplificarsi in scisma. Anche i deputati massoni della Toscana si dividono sulla mozione Bissolati: un deputato della sinistra costituzionale vota contro, a dimostrazione della difficoltà di ricondurre le diverse espressioni della massoneria ad una voce univoca. Alla fine non solo la mozione Bissolati non passa, ma si ingenera quella dinamica che porta, sotto la guida del sovrano del rito scozzese, Saverio Fera, alla nascita di una obbedienza separata: la Gran Loggia d’Italia, la “massoneria di piazza del Gesù”, di orientamento moderato se non esplicitamente conservatore.
All’impresa di Libia voluta da Giolitti, la Gran Loggia d’Italia aderisce prontamente e lo stesso Grande Oriente – respingendo le accuse di legami preferenziali con il movimento dei Giovani Turchi – esprime il suo appoggio. Ma, osserva Gianmichele Galassi, approvare la campagna libica significa esprimere il proprio consenso alla linea di Giolitti, il che suscita come reazione il riaccendersi della polemica anti-massonica nel Partito Socialista. Campione di questa intransigenza anti-massonica è il leader emergente della sinistra massimalista Mussolini, che riesce a far passare nel Partito Socialista una mozione di espulsione dei massoni.
E siamo alla Grande Guerra: dopo un iniziale dibattito il G.O.I. diventa sostenitore della linea dell’intervento e nel Dopoguerra, col gran maestro Torrigiani cerca di riproporsi come luogo di mediazione tra borghesia e organizzazioni di rappresentanza degli operai. Alle elezioni del 1919 i deputati massoni toscani sono in prevalenza socialisti. Ma nelle elezioni di due anni dopo è sostanziale l’equilibrio tra massoni eletti tra le fila socialiste e radicali e quelli che appartengono ai Blocchi Nazionali (liberali-conservatori-nazionalisti-fascisti).
Alcuni massoni sono attratti dal programma di Piazza Sansepolcro dei Fasci, ma proprio il 1921 rappresenta l’inizio della divergenza tra Grande Oriente e Partito Nazional Fascista. Appena entrato in parlamento Mussolini cerca l’intesa con la Chiesa Cattolica, che saluta come erede della tradizione universale di Roma. L’ostilità verso la Massoneria è direttamente consequenziale a questa intesa. Ma è soprattutto la tendenza di Mussolini a creare un regime autoritario con tendenze totalitarie che segna la sorte della Massoneria (anche di quella zeppa di alti gerarchi fascisti come la Gran Loggia d’Italia…). La legge che nel 1925 reprime la Massoneria nel titolo si propone la “Regolarizzazione delle attività delle associazioni”, vale a dire: l’abolizione della libertà di associazione.
FONTE: http://www.atlanticoquotidiano.it/quotidiano/massoneria-e-politica-nellitalia-liberale-un-saggio-di-campagnoli-galassi/
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