RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI 6 AGOSTO 2021

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RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI

6 AGOSTO 2021

A cura di Manlio Lo Presti

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SOMMARIO

MEDAGLIE D’ORO E INCLUSIONE MULTIRAZZIALE AD OGNI COSTO
L’inutile bomba di Truman
Giappone, il superstite di Hiroshima che incontrò Truman
La donna che disse no a Truman
Il silenzio della bomba e la voce degli uomini
Hiroshima, un crimine contro l’umanità che poteva essere evitato
L’IDEOLOGIA BRITANNICA. Tra eugenetica, malthusianesimo e Nuovo Ordine Mondiale
L’impatto della sorveglianza di massa
L’impero globale dei tecnoverdi
La signora con il trolley
Suicidati e assassinati perché contro lo psychovairuss
Le minchiate di Stato
Lo Stato ha imposto il lockdown
Razzismo contro chi non si vuole sottoporre ad una terapia genica sperimentale
Il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura chiede informazioni sulla polizia tedesca che brutalizza i manifestanti
“Contractor fuori controllo”. Un rapporto allarma il Pentagono
L’ANTISCIENZA DI CACCIARI E CALASSO
L’ULTIMA RELIGIONE. DALL’EUGENETICA ALLA PANDEMIA: L’ALBA DI UNA NUOVA ERA?
Youtube censura SkyNews (Australia). Ormai anche il Mainstream è messo a tacere
Credito sociale in Cina Evoluzione culturale o strumento di controllo delle masse?
Perchè la Norvegia “Verde” non rinuncerà a gas e petrolio
Water Power. Risorsa e sfida, sull’acqua scorre il destino delle civiltà.
Lampedusa: nuovo maxisbarco di clandestini (178), e le Ong chiedono di sbarcarne altri 800
“Schiaffo” francese all’Italia sui migranti
Ora anche l’Europa vuole un muro. “Stop ai migranti dalla Bielorussia”
Palmarès
infermiera vuole fare il covid test ad un bambino appena partorito nel Regno Unito
2001: la trasformazione dell’Impero americano
Non solo auto: 13 tonnellate di “Tesla megapack” prendono fuoco da sole
COME LA GUERRA ECONOMICA AMERICANA PROVOCÒ L’ATTACCO A PEARL HARBOR

 

 

EDITORIALE

MEDAGLIE D’ORO E INCLUSIONE MULTIRAZZIALE AD OGNI COSTO

Manlio Lo Presti 6 agosto 2021

La megamacchina propagandista globalista multirazziale inclusiva non si ferma mai!
La megamacchina propagandista fa sapere al popolo bue che il medagliato Massimo Stano, oro nella marcia di 20 km a Tokio, è sposato con una marocchina ed è mussulmano per amore.
Ma perché far sapere chi è la sua sposa? Perché è marocchina!!! Quindi dentro questa notizia privata di cui non frega a nessuno, è stata lanciata per rispetto alla ideologia globalista, inclusiva, multiculturale, multirazziale
Ogni occasione è buona per infilare il tema dell’inclusione buonista globale, anche se va a detrimento della riservatezza e della vita privata.
Non mi sorprende la accondiscendenza dell’atleta a far mettere in vetrina la propria vita privata. Lo hanno pagato? ESSI lo hanno minacciato di escluderlo a vita ad ogni manifestazione sportiva se non avesse accettato la sceneggiata pubblica pro-multirazzialerazziale?
I registi di questo bombardamento psicotronico buonista globalista multirazziale non si vergognano nemmeno di cadere nel ridicolo! Hanno infilato con forza temi privati che non avevano alcuna attinenza con lo sport. Ma DOVEVANO ESSERE EVIDENZIATI!
Se costui avesse sposato una norvegese di rito luterano, nessuno lo avrebbe pubblicato a martello sui canali previsti!
Un buon giornalista dovrebbe essere spinto a fare un’indagine sulla nazionalità e la religione dei mariti e delle mogli degli atleti italiani a Tokio, se non altro per motivi di eguaglianza tanto conclamata dal sinedrio globalista buonista, altrimenti sarebbe DISCRIMINAZIONE!!!
Ancora c’è qualcuno crede al buonismo neomaccartista inclusivo globalista???

 

IN EVIDENZA

L’inutile bomba di Truman

Come e perchè il presidente Usa ordinò l’uso di ordigni nucleari su Hiroshima e Nagasaki

Non è ancora l’alba del 6 agosto 1945, quando un quadrimotore B-29 che si chiama “Enola Gay” (dal nome della madre del pilota, il ventinovenne Paul W. Tibbets) si alza in volo da Tinian, un’isoletta delle Marianne; ha a bordo 12 uomini di equipaggio e un unico ordigno bellico: è “Little Boy”, il “Ragazzino”, la prima bomba atomica creata sulla terra. Sarà sganciata da lì a poche ore – precisamente alle ore 8,15’17”- su una città del Giappone destinata a diventare funestamente nota, Hiroshima.

A 600 metri dal suolo “Little Boy” esplode; dopo 7 secondi il silenzio è rotto da un tuono assordante: 30.000 persone muoiono sul colpo, altre 40.000 periranno nei due giorni successivi, tutti gli edifici nel raggio di tre chilometri sono distrutti, una colonna di fumo si alza lentamente a forma di fungo fino a 17 mila metri dal suolo, inizia a cadere una pioggia viscida, i fiumi straripano. Missione compiuta. Alle 14,58 ora locale, il B-29 di Tibbets è di ritorno, atterra regolarmente a Tinian. La storia del mondo è stata segnata in modo indelebile.

Ma perché la Bomba è stata lanciata? La domanda è ancora di interessante attualità. Molto, moltissimo si è scritto infatti sugli effetti di “Little Boy”, ma pochissimo sulle cause che hanno portato quel bombardiere ad alzarsi in volo col suo specialissimo strumento di morte.

6 agosto 1945, bisogna sottolineare la data. La guerra in Europa è finita e vinta, il Terzo Reich è sconfitto in Francia e in Italia, a est la controffensiva sovietica ha liberato la Polonia e in marzo preme su Berlino; il 30 aprile Hitler si suicida. L’unico paese belligerante resta il Giappone che, nonostante le sconfitte subite, continua a impegnare duramente l’esercito Usa.

Il 17 luglio di quello stesso fatale 1945, si apre a Postdam la conferenza tra i vincitori della guerra in Europa, attorno al tavolo per discutere i nuovi assetti del mondo siedono Churchill, Stalin e Truman; Roosvelt è infatti morto pochi mesi prima, il 13 aprile. E’ già stata firmata la carta dell’Onu, e i buoni rapporti tra i tre Grandi sembrano prefigurare un futuro di pace e armonia tra le potenze dominanti. Ma non è così liscio e pacifico come sembra all’apparenza. Infatti già si allunga l’ombra della Guerra Fredda (il discorso di Fulton, quando Churchill per la prima volta inventa la “cortina di ferro”, è di appena otto mesi dopo, il 10 marzo 1946).

Nel corso della conferenza (l’annotazione è dello stesso Churchill) improvvisamente l’umore di Truman cambia: da affabile e condiscendente nei riguardi di Stalin, da un certo punto in poi si fa arrogante e imperativo. Scrive Churchill in persona: «Si scagliò contro i russi, affermando che certe loro richieste non potevano essere accettate e che gli Stati Uniti si sarebbero assolutamente opposti».

Quella repentina “virata” di Truman aveva una causa precisa: nasceva infatti da un telegramma che il suo segretario particolare gli aveva appena consegnato, sette parole in tutto: «Il bimbo è nato in modo soddisfacente». La frase in codice significava questo: il 16 luglio 1945 la prima bomba atomica della storia dell’uomo era stata fatta esplodere in una zona desertica del New Mexico. L’esperimento era pienamente riuscito. Un’arma dalla potenzialità distruttiva sin allora inimmaginabile cadeva adesso in mano americana. Dopo quel telegramma, Truman è diventato l’uomo più potente del mondo e anche l’Urss se ne deve rendere conto. E subito.

Del resto, la Bomba è costata uno sforzo colossale. A Los Alamos, dove una comunità di scienziati (tra i quali Fermi, Oppenheimer, Szilard, Compton, Lawrence) lavora alla costruzione della bomba atomica, sono impegnati 125 mila uomini, mentre l’investimento finanziario in campo bellico degli States passa dagli 8.400 milioni di dollari del ’41 ai 100 mila milioni dell’anno dopo; il solo “progetto Bomba” (portato avanti in gran segreto, solo Inghilterra e Canada ne sono a conoscenza) è costato più di due miliardi di dollari. La Bomba era nata. Ora bisognava usarla. Truman non esita.

A Postdam, nel corso della stessa conferenza, Stalin informa il presidente Usa che il Giappone ha chiesto la pace; ma il presidente Usa se ne infischia. C’è la Bomba. E la Bomba deve essere sganciata per mettere in ginocchio il Giappone, ma soprattutto per dimostrare al mondo intero, e specialmente a Stalin, la inarrivabile potenza Usa.

Passano solo otto giorni. Il 24 luglio Truman ordina di sganciare; se “Little Boy” del 6 agosto su Hiroshima non basta, il 9 agosto è pronta “Fat Man”su Nagasaki; e quante altre ancora, parola di Truman. Dopo la seconda bomba, Il Giappone è costretto alla resa e accetta tutti i punti imposti dall’ultimatum di Postdam; in cinque mesi, per gli effetti delle esplosioni e delle radiazioni, moriranno 300 mila persone. Truman è soddisfatto.

Il suo annuncio radiofonico, il 6 agosto 1945, così incomincia: «Sedici ore fa un aereo americano ha lanciato una bomba su Hiroshima, importante base dell’esercito giapponese. Questa bomba possedeva una potenza superiore a quella di ventimila tonnellate di trinitrotoluolo. Si tratta di una bomba atomica. La forza da cui il sole trae energia è stata lanciata contro coloro che hanno provocato la guerra in Estremo Oriente».

Okey. Quando gli comunicano i dati della catastrofe provocata dalla Bomba, la sua frase è: «E’ il più grande giorno della storia». Per poi aggiungere: «Siamo in grado di aggiungere che usciamo da questa guerra come la nazione più potente del mondo. La nazione, forse, più potente di tutta la storia». Conseguentemente (radiodiscorso trasmesso il 9 agosto 1945) aggiunge: «Se il Giappone non si arrenderà, sganceremo altre bombe». Il fine giustifica i mezzi, si giustifica: le Bombe, dice, «servono a risparmiare la vita di 500.00 soldati americani».

Ma non è vero, quello di Truman è un messaggio falso, basato su dati falsi. Lo smentiscono ad esempio i rapporti dello Stato Maggiore. Essi dicono che il Giappone aveva già chiesto la pace e che l’esercito nipponico si sarebbe arreso «entro l’anno» senza bisogno di bombe atomiche o di invasioni via terra. E dicono anche che le previsioni di eventuali attacchi di terra già programmati contro il Giappone, «danno perdite non superiori a 40 mila uomini», non i 500 mila di cui parla il presidente.

L’apparizione della terrificante arma apre drammatici interrogativi tra gli scienziati. Ma anche ai massimi vertici militari il dissenso sull’uso dell’atomica è significativamente vasto. A cominciare da Eisenhower, all’epoca comandante generale dell’esercito Usa. E’ contrario nettamente: primo, perché i giapponesi erano pronti alla resa; e, secondo, perché gli ripugnava l’idea che gli americani fossero i primi a utilizzare la terribile Bomba. E scrive a Truman: «Se un’arma simile dovesse essere utilizzata, nessuno poi sarebbe in grado di controllarla».

E sono contrari parecchi membri dello Stato Maggiore. L’ammiraglio W. D. Leahy espresse così il suo no: «Personalmente ero convinto che usare per primi la bomba atomica significasse adottare uno standard etico non dissimile da quello dei barbari del medioevo». E Basil Henry Liddel Mart, storico e critico militare: «Gli Alleati non avrebbero avuto alcun bisogno di impiegare la bomba atomica. Con i nove decimi del naviglio mercantile affondato o fuori uso, le forze aeree e navali paralizzate, le industrie distrutte e le scorte di viveri in rapida diminuzione, il Giappone era già condannato, come ha ammesso lo stesso Churchill». Di identico tenore il rapporto dello Us Strategic Bombing Survey; e l’ammiraglio King, comandante in capo della marina da guerra Usa, dal canto suo affermò che «il solo blocco navale sarebbe bastato a costringere i giapponesi alla resa. Bastava aspettare».

Con il bombardamento di Hiroshima, scrive Camus all’epoca, «la nostra civiltà tecnica ha raggiunto il suo apice di barbarie». E Mauriac: «La Terra non resisterà a questo genio della distruzione, a questo amore della morte spinto fino all’ossessione, a questa bomba che il presidente Truman, con infernale ostensione, tiene levata su un mondo che fino a ieri credeva solo nella materia».

Perchè allora il presidente americano ha agito e agito con una fretta così ingiustificabile? Lo spiega, lo stesso Liddel Mart: «Con la bomba gli Usa non avrebbero più avuto bisogno dei russi, la fine della guerra giapponese non dipendeva più dall’immissione delle loro armate, la richiesta dell’Urss di partecipare all’occupazione del Giappone poteva essere respinta».

Chiaro. Le vittime sono giapponesi, il destinatario è Stalin.

Il lancio della Bomba può essere considerato il primo atto della Guerra Fredda.

FONTE: https://www.marx21.it/archivio/articoli-archivio/linutile-bomba-di-truman/

 

 

Giappone, il superstite di Hiroshima che incontrò Truman

ROMA  – Nel giorno della storica visita di un Presidente americano ad Hiroshima, per ricordare il doppio bombardamento atomico del 1945, il quotidiano on-line Japan News pubblica il racconto di un superstite di quella terribile vicenda che, nel 1964, incontro’ il Presidente Harry Truman.

Truman fu colui che ordino’ l’attacco nucleare sulle due citta’ di Hiroshima e Nagasaki per accelerare la capitolazione di Tokio e quindi la fine della Seconda guerra mondiale.

Morishita, un insegnante oggi in pensione, ha mostrato ai giornalisti un taccuino ingiallito su cui piu’ di 50 anni fa ha scritto un appunto. Quel messaggio fu il frutto di “un’esplosione di emozioni”, allorche’ senti’ Truman dire che quell’intervento militare era stato necessario. Un bombardamento in cui, pur abitando a un chilometro e mezzo di distanza dal punto in cui l’ordigno deflagro’, Morishita perse la madre nell’incendio che scoppio’ in casa sua, mentre per il calore la pelle del suo volto si stacco‘. Di quel giorno pero’, crescendo, non ha mai voluto parlare, finche’ nel 1963 non nacque la sua prima figlia: guardare il viso della sua bimba addormentata riporto’ d’improvviso un ricordo alla mente: l’immagine del cadavere di un neonato, bruciato in un incendio. Da quel momento Morishita decise che era giunto il momento di condividere la sua esperienza col resto del mondo. Cosi’ l’anno seguente inizio’ un tour negli Stati Uniti e in Europa per spiegare la tragedia di quella vicenda. Fu in questo modo che si ritrovo’ faccia a faccia con Harry Truman: nel maggio del 1964, nel Missouri, lo ascolto’ mentre affermava che il bombardamento era stato necessario, nonche’ utile a fermare la guerra, salvando molte vite umane. Inoltre, era stato raggiunto l’obiettivo della vittoria. “Nonostante il cuore abbia iniziato a battermi all’impazzata- ha detto Morishita- sono riuscito a rimanere calmo. Tornato in albergo, ho scritto quell’appunto”, che ancora oggi e’ ben leggibile: “nessuna espressione di scuse” e “non ha pensato alle giovani vite quando a deciso di sganciare la bomba?” sono alcune delle frasi che riporta. Morishita, che oggi si dice entusiasta per la visita di Barack Obama – nei cui occhi dice di aver letto un’espressione vera di contrizione – tuttavia resta convinto che Truman avrebbe dovuto sfruttare quell’occasione per chiedere perdono per quanto fatto.

FONTE: https://www.dire.it/27-05-2016/56406-giappone-superstite-hiroshima-incontro-truman/

 

La donna che disse no a Truman

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“Guernica” (P. Picasso, 1937)

Due settembre 1945, con la firma della resa da parte del Giappone finiva la Guerra nel Pacifico.

70 anni fa venivano esplose due bombe atomiche contro gli abitanti di Hiroshima e di Nagasaki. Esiste un fine che renda moralmente lecito uccidere l’innocente? e, in secondo luogo, quali erano i fini precisi perseguiti con quell’azione?

 

Il mattino del 6 agosto 1945 alle ore 8.15 un B-29 dell’aeronautica militare americana sganciò una bomba atomica su Hiroshima. L’esplosione avvenne a 580 m dal suolo, con una potenza equivalente a 13.000 tonnellate di tritolo ed uccise sul colpo 75.000 persone, per la maggior parte donne, bambini e anziani. Circa il 90% degli edifici venne raso al suolo, tra cui tutti i 51 templi della città. Padre Arrupe, il futuro generale dei gesuiti, si trovava nella città e racconterà: “Alle 8.15 ero nella mia stanza con un altro prete, quando improvvisamente vedemmo una luce accecante, come un bagliore al magnesio. Non appena aprii la porta che si affacciava sulla città, sentimmo un’esplosione formidabile, simile al colpo di vento di un uragano. Allo stesso tempo porte, finestre e muri precipitarono su di noi in pezzi. Salimmo su una collina per avere una migliore vista. Da lì potemmo vedere una città in rovina: di fronte a noi c’era una Hiroshima decimata. Poiché ciò accadde mentre in tutte le cucine si stava preparando il primo pasto, le fiamme, a contatto con la corrente elettrica, entro due ore e mezza trasformarono la città intera in un’enorme vampa. Non dimenticherò mai la mia prima visione dell’effetto della bomba atomica: un gruppo di giovani donne, di diciotto o venti anni, che si aggrappavano l’una all’altra mentre si trascinavano per strada. Continuammo a cercare un qualche modo di entrare nella città, ma fu impossibile. Facemmo allora l’unica cosa che poteva essere fatta in presenza di una tale carneficina di massa: cademmo sulle nostre ginocchia e pregammo per avere una guida, poiché eravamo privi di ogni aiuto umano. L’esplosione ebbe luogo il 6 agosto. Il giorno seguente, il 7 agosto, alle 5 di mattina, prima di cominciare a prenderci cura dei feriti e seppellire i morti, celebrai Messa nella casa. In questi momenti forti uno si sente più vicino a Dio, sente più profondamente il valore dell’aiuto di Dio, anche se nei fatti ciò che ci circondava non incoraggiava la devozione per la celebrazione della Messa. La cappella, metà distrutta, era stipata di feriti che stavano sdraiati sul pavimento molto vicini l’uno all’altro mentre, soffrendo terribilmente, si contorcevano per il dolore” (Remembering Hiroshima: Pedro Arrupe’s Story, 1985).

Tre giorni dopo, alle 11.02, seguì il lancio da un’altra fortezza volante di un ordigno simile su Nagasaki. Questo esplose 4 km a nord-ovest del punto programmato: l’errore salvò gran parte della città, che era protetta dalle colline circostanti. Solo 40.000 dei 240.000 abitanti di Nagasaki vennero uccisi all’istante, mentre 55.000 rimasero feriti. Per la gravità dei danni provocati all’uomo e all’ambiente, immediati, a lungo termine e permanenti; per le implicazioni morali dell’uso di armi di distruzione di massa rivolto deliberatamente contro i civili; e per il fatto che si trattò del primo e unico utilizzo in guerra di tali armi, i due attacchi di Hiroshima e Nagasaki appaiono gli episodi bellici più significativi dell’intera storia dell’umanità.

11 anni dopo, le autorità dell’università di Oxford, in Inghilterra, proposero di conferire la laurea honoris causa al primo mandante dei bombardamenti atomici, il presidente USA Harry Truman. Suscitando lo scandalo locale della massa dei professori plaudenti e quello globale dei mass media univociferanti, una giovane filosofa con un incarico di ricerca all’ateneo si dissociò dal coro, seguita da tre colleghi: si chiamava G.E.M. Anscombe. Chi era costei?

Gertrude Elizabeth Margaret Anscombe (Limerick 1919 – Cambridge 2001) è stata una delle più profonde pensatrici del XX secolo. Secondo alcuni, la più grande in assoluto tra i filosofi di sesso femminile di tutti i tempi. Ottenuta dopo il baccellierato l’ammissione all’università oxoniense, ella se ne ritirò presto a causa della “aridità filosofica” che a suo dire vi regnava, per trasferirsi a Cambridge. Qui poté seguire le lezioni di Ludwig Wittgenstein, di cui divenne l’allieva prediletta, tanto da esserne nominata esecutore testamentario per la cura e l’edizione delle sue opere, un compito notoriamente arduo per l’interpretazione del pensiero di Wittgenstein.

Per il geniale autore del Tractatus logico-philosophicus (1921), si sa, “i problemi filosofici insorgono quando il linguaggio va in vacanza” e fare filosofia significa prima di tutto curare il modo in cui usiamo le parole per presentare i concetti. Anscombe applicò la terapia analitica ed il rigore del linguaggio appresi da Wittgenstein in tutta la sua sterminata produzione filosofica, che ripercorre la storia della filosofia, la logica, l’etica, la filosofia della mente, la filosofia della religione, la filosofia della matematica e la filosofia politica. Quanto però il maestro viennese usò uno stile criptico e suggestivo, l’allieva di Limmerick si valse invece di uno chiaro e sistematico.

Presento subito al lettore, che non sia un esperto di filosofia analitica e della precisione con cui questa disseziona i concetti, due esempi del filosofare anscombiano riguardanti due aree precipue della filosofia, la gnoseologia e l’etica. Nel suo capolavoro, “Intenzione” (1957), la Anscombe critica il modo in cui i filosofi moderni (da Cartesio in poi) concepiscono la conoscenza, intendendola meramente come attività speculativa, passiva, “incorreggibilmente contemplativa”. Eppure, nemmeno la conoscenza delle nostre stesse azioni noi acquisiamo con la sola osservazione – ella evidenziò –, poiché non è con l’osservazione che conosciamo quali sono le nostre intenzioni, e tra chi osserva e chi intende e agisce c’è una differenza nella “direzione dell’adattamento” dell’azione al pensiero. Prendiamo una persona che scrive qualcosa ad occhi chiusi: forse l’esito non sarà un modello di calligrafia, ma osservando lo scritto tutti possiamo leggere e conoscere ciò che l’autore ha inteso scrivere. Ma questi come sa ciò che ha scritto? Di certo non con l’osservazione. Cosicché, ci sono due modi di conoscere, uno con l’osservazione ed uno senza: se ne trae che ci sono anche due oggetti diversi di conoscenza, uno dei quali non usa il metodo empirico. Elementare. I neuroscienziati a caccia dell’Io volente sono serviti.

Quanto all’etica, il fraintendimento della filosofia moderna non è minore. Concetti come dovere moralemoralmente giusto e moralmente sbagliato si sono ridotti oggi, per Anscombe, a rimasugli senza senso dell’antica idea giudaico-cristiana di Dio che detta la legge. Tolto Dio o tolta la differenza qualitativa naturalmente posta tra l’uomo e la bestia, stante nell’aristotelico concetto di “virtù”, dovere è diventata una parola dalla forza meramente ipnotica, “mesmerica”. I filosofi moderni, tuttavia, hanno cercato di dare contenuti ai suddetti concetti etici sradicati (da Dio e dalla natura umana) e, non riuscendovi, si sono indotti a fornire “un contenuto alternativo, alquanto torbido”, come ad esempio che l’azione giusta sarebbe quella che produce le migliori conseguenze possibili. Sebbene dichiaratamente differenti, di fatto tutte le filosofie morali contemporanee conducono a questo “consequenzialismo”, secondo un termine coniato da Anscombe e divenuto comune in etica. Ma, se così fosse, a proposito di un’azione malvagiamente perseguita ed involontariamente produttiva d’una qualche utilità, dovremmo dire piuttosto che è stata onesta… Con un collega che così interpretava l’etica, Anscombe sbottò: “Io non voglio discutere con lui, mostra una mente corrotta”.

La “Dragon Lady”, come colleghi e studenti iniziarono a chiamare la nostra eroina mischiando ammirazione a British understatement, cercò la base dell’etica laica nel ritorno ai concetti aristotelici della ragion pratica e della virtù e scoprì l’impossibilità di fondare la filosofia morale senza la filosofia della mente e senza indagare concetti come “azione”, “intenzione”, “piacere” nel loro significato non etico. La conversione al cattolicesimo, avvenuta insieme ad un altro filosofo analitico, Peter Geach, che sarebbe diventato suo marito, innervò il suo aristotelismo con il tomismo. La coppia, oltre a 7 figli, generò un gioiello della filosofia contemporanea: “Three philosophers: Aristotle, Aquinas, Frege” (1976). A questo testo si deve molto se la metafisica è oggi entrata di pieno diritto nella filosofia analitica.

anscombe

Quando nel 1956 fu avanzata ad Oxford la proposta di conferire a Truman la laurea onorifica in conseguenza della brillantissima chiusura della guerra in Asia provocata dalla sua decisione di usare le armi atomiche contro il Giappone, la Anscombe opponendosi non fece altro che applicare la propria dottrina etica contro il consequenzialismo. Ed usò un suo diritto-dovere, perché come docente in quell’antica università faceva parte della Congregation (l’istituzione medievale che governa l’università), abilitata ad approvare i riconoscimenti a personalità esterne. Così, davanti a tutto il personale accademico ed ausiliario, ella si alzò, recitò la formula latina per chiedere la parola al Chancellor e, avutala, intervenne per motivare il suo dissenso. Illustrò i massacri di Hiroshima e Nagasaki, paragonò Truman a Nerone, Gengis Khan e Hitler, e interrogò i magistri oxoniensi a quali altri mostri sterminatori progettassero di conferire la laurea honoris causa in futuro…

Prima delle considerazioni etiche, Anscombe operò, come si deve in filosofia analitica, una divisione al bisturi tra “merito” e “distinzione”, per spiegare che non basta essere un personaggio distinto, a cagione del proprio incarico di spicco, per meritare un titolo onorifico. Per il capo di una nazione svolgere con cura il suo prestigioso lavoro non costituisce titolo di merito maggiore che per ogni altro lavoratore svolgere onestamente il proprio, umile quanto si vuole. Quanti bravi falegnami e bottegai hanno ricevuto o riceveranno l’honoris causa da Oxford? Pura Etica Nicomachea! Poi la Dragon Lady entrò nello specifico dei modi usati dal presidente Truman nello svolgimento della sua missione nipponica.

Innanzitutto c’è un principio morale che fu violato: non uccidere l’innocente per alcun fine. Richiamando la Lettera paolina dove si legge: “Forse, come alcuni ci calunniano di predicare, dovremmo fare il male perché ne derivi un bene? Su costoro cade una giusta condanna” (Rm. 3, 8), la Anscombe attaccò: “Per me, scegliere di uccidere l’innocente come mezzo per perseguire qualsiasi tipo di fine è sempre assassinio, e l’assassinio è una delle peggiori azioni umane. La proibizione di uccidere deliberatamente i prigionieri di guerra o la popolazione civile non è una bazzecola come il regolamento della boxe: la sua forza non dipende dall’essere stata promulgata in una legge parlamentare, o dall’essere stata scritta, convenuta e sottoscritta dalle parti interessate. E quando dico che scegliere di uccidere l’innocente come mezzo per il proprio fine è assassinio, sto dicendo qualcosa che dovrebbe essere generalmente accettato come corretto. Potreste chiedermi qual è la mia definizione di ‘innocente’. Ve la darò dopo. Ma qui non è necessario, perché con Hiroshima e Nagasaki noi non siamo davanti ad un caso limite: nel bombardamento di queste città si è certamente deciso di uccidere l’innocente per perseguire un fine”. Del resto, non era stato proprio il Presidente USA in carica nel 1939, allora nella sua qualità di comandante in capo di una potenza neutrale, a sollecitare allo scoppio della guerra in Europa l’assicurazione di tutti i paesi belligeranti che le popolazioni civili sarebbero state risparmiate?

È vero che Dio, o l’interdipendenza cieca di tutti gli eventi dell’universo, può trasformare il male da noi operato in bene: ma noi non siamo Dio, né controlliamo l’intreccio degli eventi dell’universo! Noi non possiamo fare il male per conto di Dio o del caso, né il bene che eventualmente ne deriva s’iscrive al nostro merito. Ciò che facciamo, con piena avvertenza della mente e deliberato consenso della volontà, non è mai fatto né da Dio né dall’entanglement fisico, e quel che ne deriva non viene da noi.

In secondo luogo, qual è il fine per cui sono state perpetrate le due stragi degli innocenti dell’agosto ‘45? Qui Anscombe vide uno sfregio sgraziato, quasi invisibile, nella carrozzeria fiammante della macchina dell’informazione allestita dalla disinformazione politica; percepì una piccola nota stonata, quasi impercettibile, nella marcia trionfante concertata dai suonatori della fanfara yankee. Nell’esaminare il fine, Anscombe non si affidò alla dietrologia, non speculò se la decisione di sganciare le atomiche (l’una all’uranio e l’altra al plutonio) fosse stata intrapresa col fine militare di collaudare i nuovi tipi di arma, o col fine politico di mandare un messaggio alquanto preciso agli alleati rivali, i sovietici, sulla potenza americana in vista della spartizione dell’Europa, ecc. No, Anscombe attaccò direttamente il motivo ufficiale addotto dall’amministrazione USA, vale a dire il fine di salvare un maggior numero di vite che il prolungarsi della guerra col Giappone avrebbe inevitabilmente sacrificato, date le condizioni.

È questo il punto chiave: date le condizioni. Prima però di analizzare le condizioni date, Anscombe volle mettere in chiaro una cosa: lei non è un’anima bella mossa da sentimentalismi, né tantomeno una pacifista; anzi il pacifismo è una “falsa dottrina”, poiché lo stato ha “l’autorità di ordinare deliberatamente di uccidere al fine di proteggere la sua gente o di contrastare terribili ingiustizie […], perché la legge senza la forza è inefficace, e gli esseri umani senza legge sono miserabili”.

Le condizioni date (dagli americani ai giapponesi) erano, semplicemente, una resa senza condizioni:

  • Per gli americani il problema non era più, da molto tempo, di sconfiggere i giapponesi. La guerra si era svoltata alle Midway (4-6 giugno ’42), allorché la distruzione della flotta nipponica aveva spalancato le porte all’invasione delle isole del Sol Levante, come e quando gli americani avessero voluto, completati i preparativi. E questi avevano subito un’accelerazione con la disfatta nazista consumatasi nei primi 4 mesi del ’45, che permetteva finalmente di concentrare lo sforzo militare a Oriente.
  • Né per gli americani si trattava di convincere i “gialli” ad un armistizio per trattare la pace. Al contrario, nonostante tutti i tentativi dei giapponesi, perseguiti anche tramite la mediazione russa, erano gli americani a non voler trattare la pace.
  • Per gli americani, prima della pace, doveva essere vendicato il proditorio attacco di Pearl Harbor (7 dicembre ’41). E ciò non poteva avvenire senza un attacco altrettanto vigliacco, ma cento volte più pesante, a rimarcare le proporzioni reali dei contendenti. Quale scelta più felice di Hiroshima, nella cui baia l’ammiraglio Isoroku Yamamoto aveva 4 anni prima brindato al successo del suo piano alle Hawaii?
  • Per gli americani, la parola pace non aveva il significato autentico di contesto armonico pattuito tra popoli, ma piuttosto quello della pax di tacitiana memoria, come equilibrio unilateralmente imposto di egemonia assoluta, in questo caso USA, su tutta l’area pacifica, dall’America alla Cina passando per l’erigendo protettorato sul Giappone assoggettato.

Insomma, lo strombazzato “maggior numero di vittime salvate” va calcolato non rispetto al fine della pace, che in Asia era a portata di mano da mesi senza più colpo ferire, ma piuttosto al fine del riconoscimento di una potenza illimitata, passante attraverso l’umiliazione dell’avversario.

A conclusione del suo discorso, Anscombe espresse la propria solidarietà al Censor del collegio di Santa Caterina (cui competeva redigere le motivazioni della laurea a Truman), per il pesante incarico di dover dimostrare che “un paio di massacri a credito di un tizio non sono una ragione sufficiente per negargli l’onorificenza; un ragionamento, forse, che non sarebbe stato bene accolto a Norimberga” e si scusò di non poter partecipare alla cerimonia di consegna del titolo: “Avrei paura di partecipare al rito, per l’eventualità che la pazienza di Dio finisse improvvisamente”.

FONTE: https://www.enzopennetta.it/2015/09/la-donna-che-disse-no-a-truman/?doing_wp_cron=1628277288.5965499877929687500000

 

Il silenzio della bomba e la voce degli uomini

13 MARZO 2013 DI NICOLAS MARTINO

Manuela Gandini

Si vergognavano della loro carne bruciata ma ancora viva. Si sentivano in colpa gli hibakusha, “coloro che sono stati colpiti dal bombardamento”, i superstiti di Hiroshima e Nagasaki ai quali l’atomica ha concesso una morte lunghissima. La letteratura sulle armi nucleari è sconfinata, ma le soluzioni per scongiurare il pericolo – basate sul meccanismo fragile della deterrenza (oggi multipolare) – non si vedono. La Corea del Nord abbaia e minaccia, il Pakistan freme, l’Iran accelera la sua corsa.

Naturalmente i sopravvissuti non sapevano niente di radiazioni e contaminazione, non sapevano di essere condannati a morte. Alcuni giorni dopo, a volte anche un mese dopo o due mesi dopo la gente colpita dal calore moriva. Ma prima, nei punti ustionati, cominciavano a formarsi moltissimi vermi, per cui questi corpi finivano per assomigliare piuttosto a cibo guasto che a esseri umani. (Nobuyuki Fukuda)

Alla Rotonda della Besana di Milano s’è inaugurata in questi giorni la mostra multimediale “Senzatomica – trasformare lo spirito umano per un mondo libero da armi nucleari”, organizzata dall’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai. L’esposizione traccia un percorso allarmante e propone – in concerto con altre associazioni mondiali come ICAN, International Campaign to Abolish Nuclar Weapons e People’s Decade – l’idea di un trattato internazionale per la totale messa al bando delle armi nucleari (nuclear zero).

VIDEO QUI: https://youtu.be/VGucFhG0j1o

Raffaele Mantegazza, docente di Pedagogia all’Università Bicocca, ha spiegato alla presentazione: “L’atomica, a differenza delle armi convenzionali, crea una nuova realtà, qualcosa di demoniaco. Non solo distrugge, ma crea mostri. Al museo di Hiroshima ci sono due oggetti: una bottiglia di birra con una mano fusa insieme e l’ombra di una bambina disintegrata rimasta sul muro”.

Con l’atomica è la prima volta che un animale può distruggere l’intero pianeta e, distruggendo, creare nuove mostruose realtà. La Croce Rossa, nel rapporto contro le armi nucleari del 2011, afferma che nessuna struttura sanitaria al mondo sarebbe in grado di far fronte agli effetti di una tale catastrofe umanitaria. Tuttavia, in questi anni, siamo rimasti in silenzio e gli arsenali sono cresciuti sino all’incontro tra Ronald Reagan e Michael Gorbaciov a Reykjavic nel 1986. In quell’occasione furono siglati due trattati: il trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces) del 1987, che stabilì la distruzione delle testate nucleari che al tempo minacciavano la pace in Europa, e il trattato START I (Strategic Arms Reduction Treaty) del 1991, volto a ridurre dell’80% gli arsenali nucleari statunitensi e sovietici nel giro di dieci anni. Ma nessuna di queste, e delle successive misure, è stata in grado disarmare effettivamente gli Stati, la riduzione è stata pari ai 2/3 del totale. Nel frattempo altri paesi (India, Israele, Pakistan, Corea del Nord) si sono dotati della bomba.

L’atomica è per l’uomo comune un’ineluttabile eventualità, una cosa troppo grossa. Una responsabilità che riguarda gli Stati e le diplomazie. Ci siamo sentiti per anni spettatori della corsa agli armamenti come di fronte a una fiction. Abbiamo visto, sullo sfondo, i papà di “Little Boy” piangere e impiegare la vita a destrutturarne l’idea: Joseph Rotblat, Robert Oppenheimer, Enrico Fermi, Albert Einstein, Linus Pauling… menti eccelse e vulnerabili. Intanto, dopo che le città nucleari segrete sono venute alla luce, dopo 2400 esplosioni tra il 1946 e il1996, gli esperimenti atomici sono continuati nelle profondità della terra scuotendo irreversibilmente il globo terracqueo.

Nel 2011 sono stati spesi per gli armamenti 1.738 miliardi. Basterebbe il 7% della somma per sfamare e curare la popolazione mondiale denutrita. Intorpiditi da un sonno mediatico collettivo, non riusciamo però a percepire la vera portata del pericolo, costituito dalle 17.225 testate nucleari che puntellano il pianeta, 2000 delle quali pronte a essere utilizzate in pochi minuti. La narrazione iconografica delle bombe sganciate sul Giappone del 1945 è stata magistrale nella sua astrazione. Le fotografie pubblicate ritraggono il fungo da lontano e non si soffermano mai sul particolare, sugli uomini, sulla tragedia collettiva. Documentano tutt’al più gli edifici distrutti, le cose, ma non le persone. Testimoniano la supremazia dell’America di Truman, non l’inferno della popolazione inerme.

VIDEO QUI: https://youtu.be/CeTWPu2nUOc

Con la “Convenzione per la sicurezza umana” istituita nel 2001 da Kofi Annan, lo sguardo post guerra fredda si è spostato dalla sicurezza degli Stati a quella degli esseri umani. Si è compreso che la sicurezza ha a che fare con la vita, la libertà e la dignità della persona. Questo spostamento ha implicato un’assunzione di responsabilità individuale che potrebbe determinare precisi orientamenti politici. Attraverso la “diplomazia parallela”, affidata a soggetti non istituzionali, si può sbloccare lo stallo attuale. Innumerevoli associazioni di cittadini, medici, sindaci, nobel, scienziati, hanno stabilito delle alleanze virtuose. Ci si è resi conto che il problema non è così remoto e irreale e che, nell’interrelazione che lega tutti i viventi, ciascun punto della rete può avere un’influenza decisiva. Nella campagna di Senzatomica, vi sono anche indicazioni sulle proprie guerre personali.

Il filosofo buddista Daisaku Ikeda afferma che è necessario cominciare la propria campagna attraverso un’operazione di disarmo interiore: smantellando il pregiudizio, la collera, la paura, l’avidità e l’arroganza e sostituendo l’empatia all’apatia, la cooperazione alla competizione, la creatività all’aggressività. Con questa mostra si afferma l’urgenza di intervenire dal basso, orizzontalmente e capillarmente, affinché vengano smantellati tutti gli arsenali atomici. Anche se “Le armi di distruzione di massa non possono essere disinventate, possono essere messe fuori legge, come è già stato fatto con le armi biologiche e chimiche” si legge nel trattato della Commissione sulle Armi di Distruzione di Massa (WMDC) 2006.

La novità – in questo vuoto di potere fatto di bolle e virtualità allucinatoria – è che si è creata una rete globale transnazionale di cittadini attivi e consapevoli. Sono nate micro-comunità portatrici di nuovi stili di vita, di visioni ampie, di operatività. Si tratta di comunità dialoganti supportate dalla volontà dei singoli membri di diventare protagonisti della propria storia, adottando un’etica globale per un mondo che un giorno rinunci al sopruso e alla violenza.

Senzatomica – trasformare lo spirito umano per un mondo libero da armi nucleari
Rotonda della Besana, Milano
Sino al 29 marzo

FONTE: https://www.alfabeta2.it/2013/03/13/il-silenzio-della-bomba-e-la-voce-degli-uomini/

 

 

Hiroshima, un crimine contro l’umanità che poteva essere evitato

Di Salvatore Santoru

Il 6 agosto di 69 anni fa la città giapponese di Hiroshima venne rasa al suolo grazie all’utilizzo, per la prima volta nella storia, della bomba atomica da parte dell’Aeronautica militare statunitense.

Stando alle statistiche si è stimato che morirono tra le 90 e le 160mila persone, più un’innumerevole numero di feriti.
I sopravvissuti,noti come Hibakusha, presentavano fortissime malformazioni,ustioni o altri “effetti collaterali”, e spesso anche i loro figli nascevano con gravi malformazioni.
Tre giorni dopo fu la volta di Nagasaki, dove i bombardamenti statunitensi provocarono la morte di circa 80mila persone.

Questi due veri e propri crimini contro l’umanità spesso sono stati giustificati con il fatto che il Giappone costituiva ancora un’ipotetica “minaccia” alla supremazia angloamericana, ma in realtà il Giappone era praticamente già sconfitto e pronto alla resa da prima di tali fatti.
Già nel 1946, lo U.S. Strategic Bombing Survey [l’Indagine degli Stati Uniti sui bombardamenti strategici], voluto dal presidente Truman per studiare gli attacchi aerei sul Giappone, aveva prodotto una relazione in cui concludeva che : 
” Sulla base di un’indagine dettagliata di tutti i fatti e supportata dalla testimonianza dei sopravvissuti leader giapponesi coinvolti, l’opinione dell’Indagine è che, certamente prima del 31 dicembre 1945 e con ogni probabilità prima del 1 novembre 1945, il Giappone si sarebbe arreso anche se le bombe atomiche non fossero state lanciate, anche se la Russia non fosse entrata in guerra e anche se nessuna invasione fosse stata pianificata o contemplata.”
Anche Dwight Eisenhower, all’epoca Comandante Supremo di tutte le Forze Alleate, affermò che :”i giapponesi erano pronti ad arrendersi e non era necessario colpirli con questa cosa terribile”.
Inoltre in un articolo pubblicato il 19 agosto del 1945 sulla prima pagina del Chicago Tribune e del Washington Times-Herald, il giornalista Walter Trohan rivelò che il 20 gennaio del 1945, due giorni prima della sua partenza per la conferenza di Jalta con Stalin e Churchill, il presidente statunitense Roosevelt ricevette un memorandum di 40 pagine dal generale Douglas MacArthur, in cui venivano avanzate cinque diverse offerte di resa da ufficiali giapponesi di alto rango .
 A quanto pare, i giapponesi stavano offrendo delle condizioni di resa praticamente identiche a quelle accettate alla fine dagli USA il 2 settembre, una resa completa di tutto tranne che della persona dell’Imperatore.
I termini di questa offerta di pace si basavano su :

 “la completa resa di tutte le forze ed armi giapponesi, sul suolo nazionale, sui possedimenti isolani e nei paesi occupati; l’occupazione del Giappone e dei suoi possedimenti da parte delle truppe alleate sotto il comando americano; la rinuncia del Giappone a tutti i territori conquistati durante la guerra, inclusa la Manciuria, la Corea e Taiwan; la regolamentazione dell’industria giapponese per bloccare la produzione di qualsiasi arma o altro strumento di guerra; la liberazione di tutti i prigionieri di guerra e degli internati; la consegna dei criminali di guerra” (fonte citazione:http://www.asiablog.it/2008/08/06/fu-necessaria-hiroshima/ ).
Quindi i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki non solo furono esempio del cinismo e dell’arroganza guerrafondaia dell’imperialismo statunitense e più in generale degli orrori di guerra, ma queste carneficine potevano essere addirittura evitate, ma sì preferì umiliare e terrorizzare ancora di più il popolo giapponese per meri interessi di supremazia economica, militare e politica.
Si spera che in futuro si parli maggiormente di questi crimini, così come di quello su Dresda ( altro crimine contro l’umanità che poteva essere evitato) o quelli avvenuti in Italia, crimini che spesso sono stati per troppo tempo o dimenticati o giustificati in quanto compiuti, secondo la storiografia ufficiale, a esclusivi fini di “liberazione”, mentre in realtà furono eseguiti ovviamente solo per interessi di dominio e potere.

Si spera che anche la versione retorica tutt’ora dominante della Seconda Guerra Mondiale venga superata e si giunga ad una un pò più equilibrata e imparziale, dove non ci sia spazio per l’esaltazione guerrafondaia come ancora avviene.
Difatti, come diceva Mahatma Gandhi, “non c’è strada che porti alla pace che non sia la pace, l’intelligenza e la verità”.
FONTE: http://informazioneconsapevole.altervista.org/hiroshima-un-crimine-contro-lumanita/

 

L’IDEOLOGIA BRITANNICA. Tra eugenetica, malthusianesimo e Nuovo Ordine Mondiale

Chiunque abbia la ventura di leggere The Brave New World, l’allucinata ma “profetica” distopia dell’inglese Aldous Huxley, che già negli anni ’30 del XX secolo precognizzava un futuro Governo Globale dove un’umanità concepita “in provetta” (la pubblicazione del romanzo è del 1932!) e ridotta a 200 milioni di individui, viene mantenuta in “dorate catene” e totale obbedienza attraverso droga, sesso e spettacoli, non può non sospettare che la trama rifletta non solo la “fantasia” del romanziere ma anche una tendenza, uno stato di spirito, realmente presente tra le “classi alte” del mondo anglosassone (di cui Aldous era uno dei più brillanti rampolli). In effetti, quella che potremmo definire come “ideologia britannica” ha una lunga storia: si tratta di un mix di suprematismo classista, culto dell’eugenetica ed elitismo, ossessione per il controllo sociale indotto e idea fissa che l’umanità debba essere drasticamente ridotta di numero se non addirittura “ricreata” prometeicamente, che è stato un vero e proprio riferimento occulto di molte politiche anglosassoni degli ultimi due secoli, divenendo dal secondo dopoguerra “ideologia di riferimento” non più solo in Inghilterra o negli Stati Uniti ma in tutto il mondo occidentale e oltre.

Un’ideologia che rivela, a volte, suggestioni para-messianiche di rinnovamento globale e dominio del mondo ma che ha tuttavia saputo imporsi, a livello pseudo-scientifico, con le ipotesi di Malthus e Darwin, divenendo giustificazione e pilastro dell’ultra-capitalismo moderno e della sua visione del mondo. Così, ad esempio, quando si assiste, al giorno d’oggi, ad operazioni come il tentativo di estendere l’eutanasia ai bambini malati o all’incessante propaganda contro la “natalità” umana vista quale pericolo per la “madre Terra”, bisogna sempre tener conto di quali radici ideologiche si celino dietro tali politiche.

MALTHUS: DIMINUIRE LA POPOLAZIONE CON GUERRE, CARESTIE, ADULTERIO E SODOMIA

Uno degli esempi più noti di questa scienza al servizio del potere é il pastore anglicano Thomas Malthus, autore di quel An essay of the principle of the population as it affects the future improvement of society a cui si rifanno, ancor oggi, tutti i teorici del denatalismo e della necessità di contenere o ridurre la popolazione mondiale.

Secondo Malthus, infatti, poiché la popolazione tenderebbe a crescere in progressione geometrica, quindi più velocemente della disponibilità di alimenti, (che crescerebbero invece in progressione aritmetica), bisognerebbe fare di tutto per evitare il moltiplicarsi della popolazione stessa, soprattutto –vien da sé- della sua parte più povera. A questo scopo, secondo Malthus, andavano rimossi quei “sussidi per i meno abbienti” per evitare che le famiglie fossero invogliate a riprodursi eccessivamente, e bisognava anche mantenere i salari delle classi più povere ad un livello minimo di sussistenza.

Da “religioso”, naturalmente, Malthus vedeva nella castità e nella continenza il rimedio più accettabile moralmente per ridurre la popolazione, ma da “scienziato” non negava che i mezzi attraverso i quali tale limitazione si attuava in natura o nelle società fossero più spesso di carattere repressivo o preventivoLe vie repressive contemplavano in un caso l’azione della mortalità per mezzo di epidemie, guerre, carestie, ecc.; nell’altro, una diminuzione della natalità mediante la diffusione di tutti quei comportamenti, tra cui l’adulterio, la sodomia, ecc. che causano una diminuzione delle nascite.

D’altronde, l’ipotesi maltusiana non faceva altro che tradurre, in forma di ipotesi “scientifica”, un sentimento già fortemente diffuso nella società inglese dell’epoca. Se ne avrebbe avuta una drammatica dimostrazione di lì a poco, tra il 1845 e il 1849, durante la spaventosa carestia che colpì la vicina Irlanda (The Great Famine, in gaelico An Gorta Mòr) uccidendo o costringendo all’emigrazione quasi il 40% della popolazione dell’isola; carestia accolta come un’occasione d’oro dai dominatori britannici e dai proprietari terrieri protestanti, i quali, molto “malthusianamente”, rifiutarono ogni forma d’aiuto ai loro (detestati) sudditi celtici e cattolici, lasciandoli letteralmente morire di fame.

L’IDEOLOGIA DARWINISTA E LA “MANIPOLAZIONE CULTURALE” DI THOMAS HUXLEY

Ma se il malthusianesimo è l’antenato più o meno diretto di quei veri e propri dogmi del pensiero mondialista che saranno il denatalismo e l’eugenetica, esso è anche l’ispiratore di un altro “mito scientifico” anglosassone via via imposto a tutto il mondo: il Darwinismo. Darwin stesso ne riconobbe l’apporto, specie nell’aspetto così tipico della sua ipotesi che riguarda la lotta per l’esistenza e la sopravvivenza del più “adatto”. D’altronde, anche la vicenda dell’affermazione del Darwinismo a partire dal XIX secolo è piuttosto significativa del ruolo fortemente politico assunto dalla scienza nella cultura britannica.

Il Darwinismo, che per la nuova “ideologia scientista” doveva servire da stampella ai progetti egemonici della Gran Bretagna e di tutto l’Occidente, sarebbe stato quello che era stata la Genesi per l’universalismo cristiano dei secoli precedenti. Una “genesi atea, materialista ed esaltante il potere del più forte sul più debole che rispondeva alla perfezione al clima culturale e politico dell’epoca del Colonialismo e della Seconda Rivoluzione Industriale.  E se da una parte, con la sua idea di evoluzione “casuale”, il Darwinismo estrometteva di fatto qualsiasi intervento divino sulla realtà, esso diveniva anche uno straordinario strumento per legittimare il dominio di una autoproclamata “elité” di “esseri evoluti” sul resto del mondo bollato come involuto, passatista e destinato per natura all’estinzione.

Questo, tuttavia, non significa che non ci furono resistenze. L’ascendente ancora forte che la religione aveva su una parte della società britannica e occidentale –oltre alle aporie e ai legittimi dubbi scientifici che il Darwinismo suscitava- potevano rendere difficile l’affermazione di un’ideologia così rivoluzionaria.

E’ proprio in questo frangente, in effetti, che risalta più che mai l’azione concertata di determinate “lobby culturali” che, all’atto pratico, furono determinanti nell’imporre il Darwinismo all’opinione pubblica. Stiamo parlando, ad esempio, del gruppo cappeggiato da Thomas Henry Huxley, personaggio brillante e astuto, nonno del romanziere Aldous.

Presidente della Royal Society dal 1883 al 1885, Thomas Huxley fu anche il promotore di un gruppo più ristretto ed esclusivo, l’XClub, che ebbe un influsso enorme sulla cultura britannica, spingendola all’accettazione del Darwinismo e dei suoi presupposti. Cooptando nell’XClub, uomini di cultura particolarmente in vista e potenti della società britannica dell’epoca, infatti, Thomas Huxley riuscì inesorabilmente a diffondere la fede darwinista in larghi strati dell’alta società inglese, secondo uno schema di “manipolazione della società” che ritroveremo spesso nella nascita delle “mode” moderne.

L’IDEOLOGIA BRITANNICA DIVENTA IDEOLOGIA MONDIALE

È solo a partire dal secondo dopoguerra, tuttavia, che tale ideologia verrà proposta e imposta al mondo intero. E sarà proprio uno dei nipoti di Thomas Huxley, Julian Sorel Huxley, darwinista di ferro, neomalthusiano e convinto assertore dell’eugenetica, tra i fondatori dell’UNESCO) di cui fu primo direttore, a definire pubblicamente l’immagine di un piccolo gruppo di illuminati detentori della verità che ha il diritto di “indirizzare” l’umanità verso scopi e fini ignoti alle moltitudini. Così, scrive Julian Huxley nel programma della Commissione preparatoria dell’UNESCO dal titolo Unesco its purpose and its philosophy[1]:

Il progresso non è automatico o inevitabile ma dipende dalla scelta umana e dallo sforzo di volontà. Prendendo le tecniche di persuasione e informazione e vera propaganda che abbiamo imparato ad applicare come nazione in guerra, e deliberatamente unendole ai compiti internazionali di pace, se necessario utilizzandole, come Lenin previde per superare la resistenza di milioni verso il cambiamento desiderabile(J.S.Huxley, Unesco its purpose and its philosophy, 1946. Il testo é scaricabile in inglese su formato PDF dal sito ufficiale dell’UNESCO: http://unesdoc.unesco.org/images/0006/000681/068197eo.pdf )

Propaganda di guerra utilizzata in tempo di pace per manipolare l’opinione delle masse: questo è dunque uno degli scopi programmatici delle organizzazioni internazionali contemporanee. E l’ideologia che tali organizzazioni propongono non è altro, infondo, che l’edizione più aggiornata degli “ideali” nati in Inghilterra dal XVIII secolo in poi: controllo sociale, depopolazione, eugenetica, diffusione di quei costumi (sessualità puramente “ricreativa”, omosessualità, ecc.) che possono indurre ad una diminuzione della natalità, eliminazione dei più deboli considerati come “vite inutili”, ecc.

Senza questi presupposti, in effetti, è impossibile comprendere molti dei fenomeni che caratterizzano la storia più recente.

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BREVE BIBLIOGRAFIA

A beneficio di chi volesse approfondire il tema trattato, consigliamo:

G.Marletta-E.Perucchietti, Governo globale, Ed. Arianna

E.Pennetta, Inchiesta sul Darwinismo, Ed. Cantagalli

FONTE: https://www.gianlucamarletta.it/wordpress/2018/04/ideologia-britannica/

 

 

 

L’impatto della sorveglianza di massa

Dai satelliti alle videocamere, dai social media al traffico internet, 1984 è realtà!

George Orwell nel 1948 scrisse uno – se non il – più famoso dei suoi romanzi immaginando, tra il fantascientifico ed il distopico, una società governata dal dittatore Grande Fratello che, servendosi della Psicopolizia, effettua una sorveglianza di massa dell’intera popolazione.

Sono passati più di 70 anni e quello scenario frutto di immaginazione è stato realizzato.

È quel che emerge da un recente studio condotto dalla Electronic Frontier Foundation (EFF), una ONG che dagli anni Novanta si batte per la conoscenza, la comprensione e la tutela delle libertà civili dinanzi all’“invadenza” derivante dallo sviluppo dell’informatica e delle telecomunicazioni, che ha evidenziato come attualmente tutti noi siamo soggetti quotidianamente ad almeno una dozzina di differenti modalità di sorveglianza o controllo, spesso quasi inconsapevolmente, su cui il gruppo Proton sollecita un’attenzione della collettività.

Tra i fattori analizzati, alcuni sono senza dubbio degni di menzione.

In primis troviamo la sorveglianza satellitare: attualmente sono in orbita oltre ottomila satelliti, di cui una piccola parte – ventisei – risultano di proprietà del Governo italiano, senza contare gli altri a cui accede attraverso ESA, NATO e altre alleanze.
Alcuni di questi satelliti permettono di effettuare riprese fotografiche molto nitide (si pensi banalmente al servizio offerto gratuitamente da Google) ma, almeno per il momento, non appaiono in grado di arrivare ad un riconoscimento facciale.

Parte dei satelliti vengono poi usati per la trasmissione di canali televisivi e telecomunicazioni, potendo spesso essere intercettati.

Di notevole impatto è la sorveglianza del traffico Internet: dai sistemi tracciamento su larga scala come PRISM, venuto alla ribalta a seguito delle dichiarazioni dell’ex analista del NSA Edward Snowden con cui è emerso il massiccio “filtro” del traffico di email, chiamate VoIP e ricerche sul browser, fino agli ordini dell’Autorità Giudiziaria a seguito dei quali gli ISP devono consegnare l’elenco di determinati IP o tracciare con le celle telefoniche gli spostamenti di un soggetto, oltre a vedere il contenuto delle chiamate e dei messaggi di testo non crittografati.

Negli Stati Uniti d’America numerose Agenzie Statali e Federali stanno facendo ricorso all’utilizzo di droni, affermando che in tal modo si riesca a fronteggiare scenari in cui risulti più pericoloso l’impiego di risorse umane.
Il rischio implicito è quello di un’inflazione del loro utilizzo – oltre lo scopo e gli usi per i quali sono stati adottati – spingendosi fino ad un monitoraggio continuo e constante delle proteste e degli scioperi, al punto che la Corte d’Appello del Quarto Distretto Federale ha ritenuto l’uso della sorveglianza aerea senza mandato una violazione del Quarto Emendamento.

Da non sottovalutare poi l’attività di monitoraggio dei social network e degli altri aggregatori sociali, divenuti vere e proprie valvole di sfogo della popolazione, ricorrendo all’intelligenza artificiale per la rilevazione sistematica di hashtag e post geolocalizzati, fino ad analizzare, ed eventualmente infiltrarsi, mediante account anonimi, gruppi politici estremisti, spesso in assenza di mandato.

Ci sono poi le videocamere di sorveglianza, posizionate spesso dinnanzi a edifici istituzionali o in luoghi della movida, che costantemente fotografano i soggetti e li confrontano con i database.
Le criticità di un sistema simile sono sotto gli occhi di tutti, a partire dalla compressione – o forse annullamento – dei diritti dei soggetti interessati fino al, piuttosto frequente, errore ragion per cui in Inghilterra la Corte d’Appello è arrivata a rilevare una vera e propria violazione dei diritti umani.

Di pari passo troviamo la sorveglianza dei telefoni cellulari mediante i messaggi di testo – oramai forse desueti – i metadati delle chiamate, la geolocalizzazione delle celle telefoniche o mediante l’analisi dei tag dei contenuti caricati sui social network e altre informazioni raccolte costantemente dagli smartphone.

Da ultimo i varchi stradali che controllano le targhe delle vetture in transito, i localizzatori sonori dei colpi di armi da fuoco – diffusi soprattutto negli Stati Uniti – le telecamere di sicurezza connesse ad internet, le cavigliere elettroniche dei soggetti c.d. detenuti ai domiciliari fino alla sorveglianza delle infrastrutture di rete mediante il monitoraggio dei cavi in fibra ottica terrestri e sottomarini.

FONTE: https://www.infosec.news/2021/08/01/news/videosorveglianza-intercettazione/limpatto-della-sorveglianza-di-massa/

 

 

 

L’impero globale dei tecnoverdi

Paul Kingsnorth su Unherd ha scritto un saggio che ha un titolo e un sottotitolo fuorvianti: Eco-fascism is our future. The Green movement will become an all-consuming empire.

All’inizio temevo di dovermi sorbire il solito rancoroso polpettone che dice che i mangiacarote stanno per impedirci di usare i Suv.

Invece, Kingsnorth fa un ragionamento molto più profondo sul disastro ambientale che abbiamo davanti, sulla manipolazione della retorica ambientalista in senso totalizzante e transumanista, e infine sulla vanità anche di queste presunte soluzioni.

Per cui mi sono permesso di dare all’articolo un altro titolo.

Ecco una traduzione del suo articolo fatta con DeepL e una minima revisione.

I terms & conditions di Unherd non dicono nulla in merito a traduzioni, comunque se ci fosse qualche problema, toglieremo l’articolo.

L’impero globale dei Tecnoverdi

I numeri c’erano, e tutti potevano vedere cosa stava arrivando: almeno dieci miliardi di anime umane entro la fine del secolo. Tutti a chiedere a gran voce cibo, acqua, spazio e i trionfanti benefici dell’onnipresente “economia globale”, in cui le potenze occidentali avevano gabbato, minacciato o attirato il resto del mondo fin dagli albori dell’età degli imperi.

Ora questa economia comprendeva tutto, ovunque e tutti sulla Terra.

Non c’era scampo, anche sulle cime più alte o nelle foreste più profonde, dai suoi prodotti, dalla sua visione del mondo o dalla sua connettività 15G. L’intero pianeta, dagli alberi di mogano agli impiegati, era ora una “risorsa”, da guardare e totalizzare per la necessaria e benefica crescita della macchina globale.

Quella crescita, naturalmente, è arrivata con alcuni effetti collaterali: un clima che cambia, lastre di ghiaccio che crollano, distruzione di massa degli ecosistemi, la distruzione delle foreste e il più alto tasso di estinzione in sessanta milioni di anni; per non parlare della crescente polarizzazione sociale e della massiccia disuguaglianza economica.

Tutti sapevano di tutto questo fin dalla fine del ventesimo secolo, ma tutti presumevano, o speravano, che qualcun altro l’avrebbe risolto. Il World Economic Forum ci si stava impegnando, dopo tutto, e Bono e quella ragazza svedese, e quegli strambi che si vestivano da dinosauri o altro e si incatenavano ai ponti. Questo genere di cose faceva parte dell’arredamento da così tanto tempo che la gente non ci faceva quasi più caso.

Ma non funzionava: tutto stava andando nella direzione sbagliata da quando il rapporto I limiti alla crescita aveva correttamente previsto, nel 1972, ciò che stava arrivando.

Negli anni 2020 era scomodamente ovvio che le previsioni del rapporto – derise o ignorate all’epoca dai grandi e dai buoni – si erano rivelate sorprendentemente accurate.

La crescita vertiginosa del consumo globale aveva portato a un aumento della domanda di risorse, che si stavano esaurendo man mano che le basi terrestri e gli ecosistemi venivano degradati dall’uso umano, portando a un aumento dei prezzi, a conflitti sociali e politici, al collasso degli ecosistemi e a un incombente collasso della civiltà. I Limiti alla crescita aveva identificato il periodo tra il 2008 e il 2030 come il punto in cui il collasso avrebbe iniziato a mordere, con una crescita in stallo, instabilità climatica, aumento dei tassi di mortalità e disordini sociali come prova del superamento. Così si era dimostrato.

Anche gli apostoli più impegnati del Progresso e dello Sviluppo potevano vedere la scritta sul muro. Bisognava fare qualcosa di radicale. I verdi della vecchia scuola che, in risposta a I Limiti alla crescita, avevano predicato cose da sogno come la “decrescita”, la vita semplice, l’agricoltura biologica o la raccolta di cime d’ortica, non avevano un messaggio vendibile in un mondo di domanda, con consumatori occidentalizzati che insistevano sul loro diritto alla connettività WiFi a basso costo.

Tutti erano stufi di essere assillati da gente del genere, comunque. Gli ambientalisti più adulti – quelli in giacca e cravatta che scrivevano documenti politici sulla deplorevole ma realistica necessità dell’energia nucleare e della geoingegneria – lo sapevano molto bene. Le soluzioni dovevano essere grandi, coraggiose e globali.

Alla fine, mentre gli incendi, le siccità, lo scioglimento dei ghiacci e i crolli delle catene di approvvigionamento aumentavano, si presentava una scelta dura: un piano ambizioso per salvare la Terra, o un crollo nella barbarie.

Questo è stato il modo in cui i media lo hanno venduto, comunque, e poiché era stato a lungo anticipato, a nessuno importava molto. Eravamo tutti bloccati nella macchina ormai, dopo tutto: tutti dipendenti dalla sua generosità per mangiare, dormire e lavorare. Più le cose peggioravano – e stavano peggiorando velocemente – più c’era voglia di un’azione coraggiosa, assertiva, su scala planetaria. E dopo la pandemia del Covid-19, tutti si erano abituati a obbedire alle autorità e a sottoporsi al controllo dei comportamenti, per evitare un disastro di massa.

E così, l’impero globale è arrivato, in gran parte in orario.

Le multinazionali, le ONG benestanti, gli stati e i blocchi regionali, con al seguito uno stuolo di media e intellettuali, hanno consolidato il loro Nuovo Reset Verde, o come lo chiamano oggi, con una facilità impeccabile. Il nuovo mondo sarebbe stato progressista, inclusivo, aperto, sostenibile, gender-neutral e, soprattutto, intensamente redditizio.

L’assimilazione continua di qualsiasi ecosistema, cultura, prospettiva e stile di vita in conflitto con il progresso sarebbe stata attuata in modo da garantire la neutralità del carbonio. La macchina globale sostenibile – intelligente, interconnessa, perpetuamente monitorata, sempre attiva – comprenderebbe tutto e tutti, producendo benefici a cascata per tutti. Il sogno occidentale a lungo sostenuto sarebbe stato finalmente realizzato: il mondo sarebbe diventato uno. Un mercato, un insieme di valori, un modo di vivere, un modo di vedere.

Quando alcuni ambientalisti si sono resi conto a chi avevano venduto l’anima, era troppo tardi. Ma quale sarebbe stata, in ogni caso, l’alternativa? La folla del piccolo è bello, con i loro maglioni profumati di patchouli e i loro discorsi anni Settanta su limiti e sovranità, era stata cancellata come eco-fascista molto tempo fa, esiliata in lontane piccole fattorie e cooperative edilizie con le loro copie ben ditate di La convivialità e altri tomi ingialliti di uomini bianchi morti. Ora che un vero e proprio eco-fascismo era all’orizzonte – una fusione globale del potere statale e aziendale alla ricerca di un progresso che avrebbe fatto piangere Mussolini come un nonno orgoglioso – non c’era nulla che potesse ostacolarlo.

A differenza degli imperi precedenti, questo sapeva come presentarsi: con parchi eolici piuttosto che navi da guerra, immagini di bambini sorridenti piuttosto che plotoni di soldati. Usava un linguaggio ecologico e inclusivo mentre racchiudeva la terra, incanalava la ricchezza verso l’alto e rivestiva i paesaggi selvaggi con tecnologie rinnovabili fatte di metalli delle terre rare (una necessità spiacevole, ma temporanea: l’estrazione sostenibile degli asteroidi era ben avviata). Ma era curioso come la ricchezza e il potere sembrassero rimanere principalmente nelle stesse mani; strano anche che l’eco-crisi non sembrasse mai andare via, per quanto molti miliardari e ONG tentassero nuove brillanti soluzioni tecnologiche. Infatti, più l’impero stringeva, più tutto sembrava scivolare via dalla sua presa. Era quasi come se le tecno-soluzioni stesse fossero il problema.

Col tempo, accadde l’inevitabile: la vecchia trappola del progresso si chiuse come una venere acchiappamosche che digerisce pazientemente le sue vittime.

Le modifiche genetiche e le “soluzioni” nanotecnologiche sono andate male, poiché i sistemi imperscrutabili della Terra si sono rifiutati di comportarsi come i modelli informatici avevano previsto. Lo scarico in massa di limatura di ferro nell’oceano non ha sequestrato tanto carbonio quanto sperato, ma ha portato a un crollo inaspettato del numero di balene. Le tecnologie di oscuramento del sole finanziate da Bill Gates erano riuscite ad abbassare la temperatura del pianeta, ma i cicli di feedback che si sono attivati l’hanno abbassata molto più del previsto, portando al collasso dei raccolti di massa e alla carestia, che a sua volta ha causato rivolte in tutto il mondo. I primi anni 2040 videro mezza Africa sopravvivere per diversi mesi mangiando solo sciami di locuste, mentre i migliori della Silicon Valley mangiavano hamburger di insetti sostenibili nelle loro ridotte della Nuova Zelanda.

Fattorie a torre, super maiali, eco-droni, semina di nuvole, riflettori spaziali: tutto è stato provato, ma la traiettoria non è cambiata. I limiti della Terra si rifiutavano di spostarsi. Per l’Occidente faustiano, “salvare il mondo” era stato solo un altro mezzo per cercare di controllarlo, ma Gaia, come Dio, non si sarebbe fatta prendere in giro. La vita continuava, ma la civiltà, sempre più spesso, no. Le città cadevano, le acque si alzavano, i deserti si estendevano. Jeff, Mark, Richard ed Elon andarono in orbita terrestre bassa su razzi separati, tutti sostenendo di esserci arrivati per primi, ma il loro impianto di congelamento delle teste nel deserto di Sonora subì un tragico episodio di scongelamento quando la fattoria solare precedentemente conosciuta come Kansas fu messa fuori uso da un’eruzione solare anomala.

Alla fine del XXI secolo i pozzi di petrolio stavano lentamente esaurendosi, i metalli delle terre rare erano esauriti, e lo sconfinato futuro rinnovabile delle auto elettriche e dell’energia verde senza limiti era stato archiviato e dimenticato come un’imbarazzante cotta adolescenziale. Le miniere di asteroidi non sono mai uscite dal tavolo da disegno. La popolazione ha raggiunto il picco e ha iniziato a scendere, insieme alla conta degli spermatozoi. I sobborghi e gli oceani si sono lentamente svuotati, e il balbettio di Internet è diventato così velenoso che persino Mumsnet è arrivato con un avviso di pericolo. Tutti si dicevano che il progresso sarebbe avvenuto correttamente se solo quella gente non fosse stata al comando.

Più di tutto, una grande delusione sembrava diffondersi come una macchia d’inchiostro attraverso i resti dell’Occidente, man mano che ci si rendeva conto che non ci sarebbe stato un epilogo spettacolare. Non c’era nessuna rivoluzione e nessuna restaurazione; niente Star Trek, ma neanche Matrix. Non c’erano soldati robot da combattere e nessuno stava costruendo una Morte Nera.

Il meglio che si poteva fare a questo punto della curva discendente del capitalismo industriale era una piccola e misera astronave costruita da un esaltato venditore di libri, che poteva stare su nello spazio per tre minuti. La fine del mondo, si scoprì, era meno simile a Terminator e più simile a un prequel di Star Wars: aspetti per anni in attesa, e poi è solo una delusione.

In altre parole, fu la storia come al solito, mentre l’ultimo grandioso progetto umano ha affrontato un lungo e macinante declino. L’apocalisse, alla fine, si era rivelata essere… noiosa. Ma forse questo non avrebbe dovuto sorprendere. La parola Apokalypsis, nell’originale greco, significava semplicemente svelare, o rivelare. In un’apocalisse, viene esposto qualcosa che tutti noi dobbiamo vedere, ma che ci rifiutiamo di guardare. Quello che abbiamo visto, mentre le nostre illusioni crollavano, era che non avevamo mai avuto davvero il controllo. Avevamo frainteso il mondo e il nostro posto in esso. Ci eravamo arrivati come conquistatori, cafoni, abusatori, piuttosto che come amanti o amici – così ossessionati dall’orbitare intorno alla Terra che avevamo dimenticato di guardare cosa stavamo orbitando.

L’umanità moderna aveva voltato le spalle al creatore e alla creazione, ma la nostra ribellione, come previsto da tempo, era fallita. Ora l’orizzonte post-apocalittico apparteneva a coloro che l’avevano sempre saputo: ai monaci, agli eremiti, alle ancelle e alle tribù della foresta; ai lavoratori ai margini, che miglioravano costantemente le vite umane e non umane senza alcun desiderio di gridarlo forte. Alle piccole nazioni e agli abitanti dei margini, ai tranquilli e ai non ambiziosi. Ai lombrichi e ai timidi porcospini, alle piante che succhiavano e agli uccelli sempre in movimento, che foraggiavano le rovine dell’ultimo impero caduto. A coloro che si erano separati, e che avevano generato piuttosto che prosciugare la piscina finita della vita.

Nel XXIII secolo, alcuni di coloro che ancora ricordavano bene ciò che era successo (era difficile mettere insieme i fatti, dato che tutto ciò che aveva valore era stato immagazzinato nell’ormai obsoleto “Internet”) notarono con una certa ironia che la società che era cresciuta dalle macerie dell’era delle macchine assomigliava curiosamente a quella proposta da quei primi eco-fanatici: basata sulla terra, a bassa tecnologia, centrata sulla comunità, incentrata su una storia religiosa e altamente sospettosa di qualsiasi pretesa grandiosa.

Gran parte dell’Inghilterra ora assomigliava al quattordicesimo secolo, solo con radio CB e migliori lavori dentistici. In America, gli Amish avevano comprato la maggior parte di quello che una volta era stato lo stato di New York, e i resti della cultura hippie autocostruita del nord-ovest del Pacifico avevano iniziato a restaurare i deserti creati dalle megalopoli del 2070. Le pale delle turbine eoliche giganti erano state piegate in vomeri. I miti avevano – dopo una lunghissima deviazione – finalmente ereditato la Terra.

 

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FONTE: http://kelebeklerblog.com/2021/07/28/limpero-globale-dei-tecnoverdi/#comment-757441

 

 

La signora con il trolley

La Franca – invento il nome per sfuggire ai motori di ricerca, ma chiunque abiti dalle nostre parti sa di chi parlo – è piccola piccola, con i capelli bianchi corti corti, e gira per il nostro rione con un trolley con cui fa la spesa.

L’è la Franca co’ i carrello!”, insomma, e molti la prendono in giro, e molti la seguono quando inizia le sue lotte.

Piccola com’è, infatti, da qualche anno è alla testa della protesta dei pochi residenti sopravissuti dalla parte di Santo Spirito.

Che è una storia drammatica, se pensiamo che Firenze è la Città antica per eccellenza; che la sua stessa ricchezza la sta trasformando in un cimitero, perché le case diventano bed and breakfast with no breakfast e chi invece resiste e continua a considerare una casa una casa, viene massacrato giorno e notte.

Non dai turisti, che sono quasi tutte persone perbene, ma dai fiorentini stessi, che hanno trasformato il cuore della loro città in orinatoio.

E lì diventa una complicazione senza fine, perché i fiorentini vivaci provenienti da tutte i rioni vorrebbero pure avere un luogo dove suonare la chitarra fino alle quattro di notte, e bere la birra senza dover pagarsi il posto a sedere in un locale.

Quindi arrivano i localari che non vedono l’ora di avere il monopolio, organizzato, della vita notturna, e dicono “basta degrado, mandate la polizia contro chiunque non ci paghi!

E così nasce la figura allucinante del picchiatore squadrista, scusate dello steward, che le cose bisogna dirle in anglese, se no… che di solito è di pelle nera e ci mette il doppio della determinazione nel fare il poliziotto, pagato dai localari per “mantenere l’ordine”.

Qualcuno propone di creare aree nuove per la movida, e ce n’è una perfetta lungo l’Arno, che non disturba nessuno: soltanto che è totalmente privatizzata e in mano a imprenditori, e capisco che si stia meglio a lanciare le bottiglie di birra abbandonate sulle scalinate di Santo Spirito.

la Franca mi fissa con i suoi occhi intensi.

“Qui ci vuole una rivoluzione.

Vedi, noi ci preoccupiamo della pisciatina dentro l’atrio, della pisciatina sul marciapiede, ma non è quello il problema…

Questi nostri problemi non sono nulla, rispetto a quello che succede ai giovani.

Ieri sera ho potuto addormentarmi solo verso le tre, per il rumore che c’era… lo spaccio inizia dopo mezzanotte, verso l’una, quando la polizia che fa scena se ne va…

Guardavo dalla finestra, e vedevo i ragazzini che iniziavano a scambiarsi pacchettini, uno a te, uno a me, si vedeva che erano ancora minorenni…

E pensavo che siamo tutti genitori, e alle mie figlie… era tanti anni fa, e iniziavano a sbandare, ma io ero fatta di un’altra pasta.

Oggi mi ringraziano perché le ho rincorse e tirate fuori, ma all’epoca mi trattavano in tutt’altro modo…”

“Oggi cosa fanno?” chiedo.

“La più grande oggi insegna all’università di Madrid, l’altra è biotecnologa a Londra”.

“E tu, cosa facevi?”

“Io prima di andare in pensione, facevo la maestra alla scuola d’infanzia. E ogni tre anni, vedevo cambiare le generazioni: non dei bambini,dei genitori.

Ogni tre anni, era un altro mondo…”

FONTE: http://kelebeklerblog.com/2021/08/02/la-signora-con-il-trolley/

 

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Suicidati e assassinati perché contro lo psychovairuss
Associazione Al. Sa 30 07 2021
– Cinque paesi si sono opposti alle campagne vaccinali: 4 presidenti assassinati e un tentativo di assassinio con colpo di stato
– Un presidente che rifiuta il lockdown, pochi giorni dopo ricoverato per covid. Appena esce fa il lockdown
– Raoult che ritratta tutto e sparisce
– Remuzzi e Zangrillo minacciati da stampa e ordine dei medici, ritrattano tutto
– Medici della terapia domiciliare che oggi dichiarano pubblicamente di non avere intenzione di suicidarsi
– McAfee che annuncia prove contro i Clinton e Fauci, “suicidio” in cella
– Malone (inventore della tecnologia Mrna) che dopo aver parlato di crimini contro l’umanità celati dietro questa tecnologia annuncia su Twitter di non volersi suicidare 
– Yeadon, ex vicepresidente di Pfizer, ripete le stesse cose di Malone e annuncia di non volersi suicidare
– Judy Mikovits, biologa molecolare di fama mondiale, denuncia la frode della pandemia e viene arrestata senza capi d’accusa. Prosciolta e radiata
– De Donno suicidato, ora la sua cura sarà prodotta da big pharma ed ufficializzata ad ottobre
Tralascio le migliaia di medici e scienziati radiati e relegati agli scantinati. 
Tralascio Udo Ulfkotte, giornalista tedesco che in un libro denuncia di essere stato pagato dalla CIA insieme a TUTTI i giornalisti europei. Ammazzato poco dopo l’uscita del libro.
Tralascio Assange.
Tranquilli, è per la vostra salute. 
Guardatevi il calcio. 
“Prima ti delegittimano, poi ti isolano e poi ti ammazzano” (Giovanni Falcone).
FONTE: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=4957909650910490&id=565072373527595

 

 

 

Le minchiate di Stato

In Italia, da quando è apparsa questa malattia, sono morte mediamente 245 persone al giorno di/con covid.
630 per malattie cardiovascolari.
510 per tumori.
145 per altre malattie del sistema respiratorio.
Per salvare chi rischiava di morire di/con covid lo Stato ha imposto lockdown, mascherine obbligatorie, passaporto vaccinale.
Ora è giunto il momento di salvare anche gli altri. 
Proibire le sigarette.
Imporre esercizio fisico giornaliero.
Greenpass che monitora che cibi acquisti per assicurarsi che conduci una dieta sana.
Contingentare o meglio ancora annullare la circolazione di autoveicoli privati.
Disperdere la popolazione urbana nelle campagne per farle respirare aria migliore.
Bisogna raggiungere il rischio zero. E no, non hai diritto di vivere come vuoi, perché se sei un vizioso fumatore, un ciccione ingordo o uno scansafatiche che non alza mai il culo dalla poltrona andrai a intasare la sanità che servirà anche a me. La tua libertà di vivere in maniera insalubre finisce dove comincia la mia d’essere curato nel miglior modo possibile. E poi se ci vuole la patente per guidare un auto può essercene una anche per comprarsi la porchetta, cazzo ti lamenti?
Daniele Scalea 3 08 2021
FONTE: https://www.facebook.com/100002637182367/posts/4042967705801096/
Lo Stato ha imposto il lockdown
In Italia, da quando è apparsa questa malattia, sono morte mediamente 245 persone al giorno di/con covid.
630 per malattie cardiovascolari.
510 per tumori.
145 per altre malattie del sistema respiratorio.
Per salvare chi rischiava di morire di/con covid lo Stato ha imposto lockdown, mascherine obbligatorie, passaporto vaccinale.
Ora è giunto il momento di salvare anche gli altri. 
Proibire le sigarette.
Imporre esercizio fisico giornaliero.
Greenpass che monitora che cibi acquisti per assicurarsi che conduci una dieta sana.
Contingentare o meglio ancora annullare la circolazione di autoveicoli privati.
Disperdere la popolazione urbana nelle campagne per farle respirare aria migliore.
Bisogna raggiungere il rischio zero. E no, non hai diritto di vivere come vuoi, perché se sei un vizioso fumatore, un ciccione ingordo o uno scansafatiche che non alza mai il culo dalla poltrona andrai a intasare la sanità che servirà anche a me. La tua libertà di vivere in maniera insalubre finisce dove comincia la mia d’essere curato nel miglior modo possibile. E poi se ci vuole la patente per guidare un auto può essercene una anche per comprarsi la porchetta, cazzo ti lamenti?
Daniele Scalea 3 08 2021
FONTE: https://www.facebook.com/100002637182367/posts/4042967705801096/

 

 

Razzismo contro chi non si vuole sottoporre ad una terapia genica sperimentale

(di Marco Santero)

 

Agosto 2, 2021 posted by admin

Ritengo fondamentale il SANO dibattito del video, dove un deputato di grande buon senso e una grande DOTTORESSA BALANZONI ( oltretutto anche laureata in giurisprudenza )

https://www.davvero.tv/2021/07/27/green-pass-e-vaccini-giu-le-mani-dai-minorenni-claudio-borghi-e-barbara-balanzoni/

che si sta esponendo con grandissimo CORAGGIO contro le follie criminali che da un anno e mezzo vengono portate avanti.

A questo punto si arriva all’aspetto decisivo:

Consegnate a Speranza le firme per la Terapia Domiciliare Precoce

Ormai è più di un anno che centinaia di medici e ricercatori (De Donno suicidato in primis) hanno trovato fior di cure per il Covid, purché vengano fatte nei tempi e nei modi giusti come prevenzione, e cura nei vari step della malattia.

Ora i tecnici del ministero hanno ricevuto i rappresentanti di questi medici perché hanno capito che con le centinaia di cause civili e penali in corso, prima o poi IL CETRIOLO GLI ARRIVA:

I “vaccini”…..anzi…… le terapie geniche sperimentali con cui stanno “BOMBANDO” le masse di TELECEREBROLESI dalla propaganda stile Joseph Goebbels… Non potevano essere autorizzate con una procedura d’urgenza se fossero staate disponibili le cure… e le cure c’erano e ci sono, ma sono state oscurate e la tragica storia del prof. De Donno a tal proposito GRIDA VENDETTA CIVILE E PENALE!!

Un altro aspetto odioso e schifoso è usare il termine Green per il Pass …… cosa c’entra la parola Green? serve solo per far diventare il Green Pass più accattivante.

Una frode mediatica per meglio “ACCHIAPPARE” I TELECEREBROLESI E SOCIALCEREBROLESI e rifilargli la “Sòla”.

State attenti con questo decreto state svegliando la rabbia popolare che in Italia storicamente è cosa rara, ma quando è accaduta è sempre stata terribile e spropositata …. ricordatevi come sono finiti Mussolini e i suoi ultimi FEDELI!

E’ evidente che il Decreto è stato concepito appositamente per stimolare le vaccinazioni ( vedi i 15 giorni di comporto per l’avvio) quindi probabilmente lo scopo principale di questo decreto è raccattare gli indecisi senza attributi o con lavori che col decreto diventano a rischio licenziamento se non hai il green pass, della serie Draghi & C. hanno fatto un abuso e ricatto con questo decreto, ma così facendo nei 2 mesi fino all’approvazione almeno un altro 10 o 15 o addirittura 20% di cittadini si farà “BOMBARE” CON QUESTA TERAPIA GENICA SPERIMENTALE e andrà a sommarsi alle decine di milioni di CAVIE INCONSAPEVOLI!! E magari poi il decreto decade come il precedente che richiedeva il tampone per feste e matrimoni o altro

Ma questo porta all’ultima considerazione: se tutti si “vaccinassero” sorgerebbe un problema scientifico enorme, perché per fare le verifiche sulle terapie geniche chiamate vaccini ci vuole un campione ampio di non vaccinati e quindi chi non si vaccina è fondamentale per avere dei risultati seri e scientifici su queste terapie geniche che sono state fraudolentemente approvate grazie all’occultamento di tutte le terapie che sono via via emerse in questo anno e mezzo.

I giovani , adolescenti e bambini quando saranno adulti ci malediranno e ci sputeranno in faccia per la CODARDIA, LA SUDDITANZA ACRITICA E LA STUPIDITA’ CHE LE MASSE MEDIE ITALIANE STANNO ESPRIMENDO IN QUESTO DELIRIO CRIMINALE!

A tal proposito leggetevi questo file di Carlo Freccero direttore di RAI 2 “casualmente” fino al 2019 e sostituito prima che arrivasse l’onda mediatica CODID 19:

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-carlo_freccero_questa_adesione_acritica_dei_cittadini__pi_inquietante_dellautoritarismo/39602_42488/

FONTE: https://scenarieconomici.it/razzismo-contro-chi-non-si-vuole-sottoporre-ad-una-terapia-genica-sperimentale-di-marco-santero/

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

Il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura chiede informazioni sulla polizia tedesca che brutalizza i manifestanti anti-lockdown

DI TYLER DURDEN
MARTEDÌ 03 AGO 2021 – 02:00

Scritto da Paul Joseph Watson tramite Summit News,

Il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura Nils Melzer ha chiesto maggiori informazioni su un incidente in cui una manifestante anti-blocco a Berlino è stata afferrata per la gola e brutalmente gettata a terra dalla polizia antisommossa.

Come abbiamo  evidenziato in  precedenza, le manifestazioni si sono concluse con l’arresto di ben 600 persone tra innumerevoli esempi sfacciati di brutalità della polizia, anche contro i bambini, ripresi dalle telecamere.

I tedeschi stavano protestando contro i piani per vietare le persone non vaccinate da una miriade di luoghi diversi, tra cui ristoranti, cinema e stadi.

Un video mostra un’anziana manifestante che tenta semplicemente di passare davanti a un agente di polizia vestito in tenuta antisommossa prima che lui le afferri il collo con entrambe le mani e la getti a terra.

Ai poliziotti è stato ovviamente dato l’ordine di imporre un giro di vite draconiano sui manifestanti dato il loro comportamento durante il giorno, che sembrava qualcosa degli anni ’30.

La clip ha catturato l’attenzione di Nils Melzer, un professore di diritto internazionale, il cui titolo ufficiale è Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti.

“Questo è stato appena portato alla mia attenzione”, ha twittato Melzer.

“Qualcuno può fornire al mio ufficio le specifiche / le dichiarazioni dei testimoni di questo incidente e se è stata avviata un’indagine ufficiale?” chiese.

È altamente improbabile che venga svolta un’indagine, dato che alla polizia antisommossa è stato chiaramente ordinato di comportarsi con disprezzo sfrenato per la dignità fondamentale e i diritti umani.

Un altro videoclip mostrava un agente di polizia che reagiva alla preoccupazione di un ragazzo per il trattamento di sua madre spingendolo con forza a terra per la testa.

Un’altra clip mostra anche due donne anziane che vengono spinte a terra dalla polizia.

Anche un altro manifestante è  crollato ed è morto  mentre veniva molestato dalla polizia per mostrare la sua carta d’identità.

I manifestanti anti-lockdown sono stati diffamati e disumanizzati dai media e dai cultisti dei vaccini che fanno pressioni affinché vengano trattati come lebbrosi.

Ecco perché tali scene, che causerebbero indignazione se si verificassero a una marcia Black Lives Matter o LGBT, sono totalmente ignorate o celebrate in modo insensibile.

 

FONTE: https://www.zerohedge.com/political/un-special-rapporteur-torture-requests-info-german-police-brutalizing-anti-lockdown

 

 

 

“Contractor fuori controllo”. Un rapporto allarma il Pentagono

contractor sono uno dei grandi punti interrogativi della Difesa americana. Negli Stati Uniti esiste un ampio dibattito sul loro utilizzo e sul pericolo della cosiddetta “privatizzazione” delle guerre. Ma quello che è certo, per ora, è che i contractor (a volte definiti come mercenari) operano in parallelo alle forze armate nei conflitti più complessi e oscuri in cui sono coinvolte le potenze del mondo con le loro forze regolari.

A Washington il problema è diventato di pubblico dominio nel 2007, quando gli uomini dell’allora Blackwater si sono resi protagonisti dell’uccisione di 17 civili a Baghdad. I dipendenti della compagnia privata dissero che la sparatoria fu causata da un’imboscata, ma le indagini dell’Fbi successive al massacro smentirono l’ipotesi di legittima difesa. Secondo i federali, almeno 14 iracheni erano stati uccisi senza motivo. Gli autori sono stati graziati da Donald Trump prima della fine del mandato.

Un episodio drammatico che non causò solo la morte di persone innocenti, ma anche l’ira del governo iracheno e della popolazione tanto da rappresentare una ferita nei rapporti tra Iraq e Stati Uniti. Le tensioni costrinsero l’amministrazione statunitense a intervenire sui contractor della Blackwater (ora Academi) per evitare un clamoroso incidente diplomatico. E una delle azioni messe in campo da Washington fu la richiesta di un controllo più penetrante su chiunque entrasse a far parte della compagnie di sicurezza private a cui il Pentagono appalta compiti di sicurezza nel mondo.

Le cose però non sembrano andare come previsto. Il Government Accountability Office (Gao), l’ufficio che controlla la messa in atto del programma, ha pubblicato un rapporto in cui si elencano tutte le lacune della Difesa nella gestione di queste aziende private. Il Gao non è riuscito a individuare tutti gli operatori di queste compagnie, non erano specificate le mansioni svolte, mentre in alcuni casi non erano definiti neanche le operazioni svolte. Un problema che – a detta dei controllori – rischia di azzerare i successi ottenuti dal Dipartimento della Difesa in questo settore, specialmente in un momento in cui le amministrazioni Usa puntano all’uso di questi “mercenari” per ottimizzare lo sfruttamento delle truppe regolari nelle missioni internazionali.

L’alone di mistero non sembra però destinato a essere spazzato via in poco tempo. Le perplessità sull’utilizzo di queste compagnie di sicurezza privata continuano ad alimentare il dibattito pubblico. Ma è evidente che la Difesa americana, così come quelle di altri Paesi nel mondo, non sembrano voler fare a meno di queste aziende. Secondo Usnews, i documenti inviati da Dipartimento della Difesa al Congresso mostrano solo in Afghanistan il numero dei contractor ad aprile era di 17mila unità. Oggi, in attesa del ritiro definitivo, i “mercenari” sono circa 7800, di cui meno di tremila sono cittadini statunitensi. Numeri che certificano l’importanza di queste compagnie di sicurezza, ma che confermano anche la necessità di un rigido controllo dello Stato su queste aziende. Tanto più in una fase di complessivo ritiro da alcuni fronti – in particolare dall’Afghanistan, ma anche dall’Iraq – in cui è possibile che Washington appalti le operazioni ai privati dopo l’abbandono delle forze armate regolari.

La questione è ancora più complessa se si pensa a come questi mercenari rappresentino ormai forze parallele in campo su fronti contrapposti. I mercenari sono sempre più utilizzati dagli Stati Uniti, ma anche dalla Russia, dalla Cina, dalla Turchia e da altri Paesi piccoli che non riescono a costruire eserciti regolari per gli esigui numeri della loro popolazione. Sfruttare queste compagnie private comporta minori rischi “elettorali” e aiuta ad alimentare una narrazione di guerre senza vittime. Ma senza controllo, il pericolo è che avvengano incidenti con ripercussioni enormi sul campo di battaglia e a livello diplomatico.

FONTE: https://it.insideover.com/guerra/contractor-fuori-controllo-un-rapporto-allarma-il-pentagono.html

 

 

 

 

CULTURA

L’ANTISCIENZA DI CACCIARI E CALASSO
La morte di Roberto Calasso a ridosso della pubblicazione dei suoi ultimi libri di memorie ha fatto il “paio” nelle cronache nazionali con la presa netta di posizione del filosofo ex sindaco Pd contro l’obbligatorietà di Green Pass imposta dal Governo Draghi. Al di là del nesso intrecciato tra i due personaggi in merito alla dozzina di libri di Cacciari editi da Calasso, ad unirli ci sarebbe sicuramente anche la strisciante anti-scientifcità.
Nel suo editoriale su “La Stampa” il professore Piergiorgio Odifreddi cita Nietzsche per contestare Cacciari e Calasso: «“non ci sono fatti ma solo interpretazioni”, detto altrimenti, la scienza non conta nulla, perché si basa appunto su fatti che non ci sarebbero, e conta solo l’umanesimo che fornisce le interpretazioni chiamate “valori”». Per Odifreddi, i due intellettuali nelle loro opere hanno manifestato «la religione antiscientista ‘alta’ che impregna il mondo culturale italiano».
Non solo, Calasso e Cacciari rappresentano quasi ‘inconsciamente’ «l’antiscientismo più becero della massa di coloro che di libri non ne leggono nessuno, meno che mai quelli dell’Adelphi, ma che trovano in Cacciari e Calasso la copertura delle loro superstizioni». 
Giustamente Odifreddi non ha preso affatto bene le critiche mosse da Cacciari (ma anche da Agamben, Vattimo e diversi altri pensatori italiani) alle disposizioni circa il Green Pass e la gestione delle regole anti-Covid, perché avrebbero dato il “là” ai negazionisti sul virus, e questa è una colpa imperdonabile.
Il vero problema, dice sempre Odifreddi «è nel credere che oltre all’umanesimo non ci sia nient’altro, o al massimo ci sia soltanto quella caricatura della scienza che alimenta una buona parte del ristrettissimo catalogo scientifico dell’Adelphi». 
In definitiva, l’uno – Calasso (pace all’anima sua) – ha la colpa di aver fatto pubblicare tante opere scientifiche “borderline”, con molti «ciarlatani»; l’altro – Cacciari – si è permesso di criticare l’incriticabile, ovvero il semi-obbligo vaccinale dello Stato.
Rossana Spadini 2 08 2021

L’ULTIMA RELIGIONE. DALL’EUGENETICA ALLA PANDEMIA: L’ALBA DI UNA NUOVA ERA?

Gianluca Marletta – Paolo Gulisano,

“L’ultima religione è l’idolatria universale: la Fratellanza globale, il Buonismo globale, la dea Salute, l’ecologismo radicale, il sogno di un mondo trans-umano e, in definitiva, anti-umano. Una religione che si impone oggi ma che viene da lontano. Un processo – iniziato molto tempo fa – che giunge a compimento anche a causa della pandemia, agli investimenti di imprenditori a livello globale, alla resa della Chiesa. Questo libro descrive in maniera chiara, approfondita e documentata la storia di questa evoluzione – da Malthus a Singer, da Casaleggio all’OMS, e illustra gli scenari della rivoluzione del 2020 che si prefigge di realizzare un distopico mondo nuovo”.

INDICE dei CAPITOLI e dei PARAGRAFI

Introduzione. “IL TEMPO DEL PRECURSORE”: COME NASCE L’ULTIMA RELIGIONE

  • Credenze, dogmi ed escatologia dell’ultima religione
  • E poi venne il virus

Capitolo 1 – IN PRINCIPIO ERA MALTHUS

  • Tutto ha inizio con l’Impero britannico
  • L’auspicabile depopolazione
  • Gli “indiani indolenti e la cura delle carestie”
  • La catastrofe irlandese

Capitolo 2 – “FARE FIGLI FA SCHIFO”: COME SI IMPONE UN NUOVO PARADIGMA

  • Le “anticipazioni letterarie”
  • Altre distopie realizzatesi: “Il seme inquieto” di Burgess
  • Giganteschi poteri
  • Il “Club di Roma” e “limiti della crescita”: nasce il peccato mortale della nuova religione

Capitolo 3 – GAIA: L’ULTIMA DEA

  • Dalla “vendetta di Gaia” all’uomo- robot: transumanesimo e apocalittica in Lovelock
  • “Gaia is a new world order”: le profezie di Gianroberto Casaleggio
  • Prometeus: l’utopia che si fa Dio
  • Animalismo ed eugenetica: la morale del “mondo nuovo”

Capitolo 4 – L’ULTIMA RELIGIONE E LE RELIGIONI

  • La “religione al femminile” e la neo- stregoneria
  • L’ultima diga? La funzione di Benedetto XVI
  • Il cattolicesimo 2.0 di Jorge Bergoglio e l’indigenismo
  • In ginocchio davanti alla pachamama
  • C’era una volta: il rapporto (interrotto) fra cristianesimo e natura

Capitolo 5 – CATASTROFISMO ECOLOGICO

  • Tolkien, cantore della natura
  • L’idolatria e la paura: cosa si cela dietro il catastrofismo climatico?
  • L’allineamento vaticano all’ambientalismo catastrofista

Capitolo 6 – L’ULTIMO POPOLO ELETTO: MIGRANTI ED LGBT

  • Un inginocchiatoio per l’ultima religione
  • Il “santo migrante”: corpo eucaristico dell’ultima religione
  • Migranti e mondo nuovo: dal precariato globale al melting-pot
  • “Gender fluid”: l’atto finale

Capitolo 7 – IL TEMPO DEL COVID

  • Dalla Cina con terrore: il nuovo virus
  • Il mistero della spagnola
  • Covid19: l’alba del mondo nuovo?

Capitolo 8 – LA DEA SALUTE

  • Una Caporetto della scienza medica
  • Un virus chimera?
  • Progresso o regresso della medicina? L’abbandono del malato

Capitolo 9 – LA CHIESA COLLASSA DI FRONTE AL VIRUS

  • La chiesa: ospedale da campo o realtà virtuale?
  • Da Dio padre alla Terra madre: itinerari spirituali della postmodernità
  • L’Humana communitas nell’era della pandemia

Capitolo 10 – NON AVRAI ALTRA CURA CHE IL VACCINO

  • Il ritorno del totalitarismo: dal terrore alla dittatura sanitaria
  • Le controindicazioni del vaccino e l’effetto ADE
  • Il ruolo di Bill Gates
  • La complicità dell’OMS
  • Operazione “contagio volontario”
  • E poi venne lo Sputnik!

Capitolo 11 – L’APOCALISSE ATEA DELL’UMANESIMO

  • Prove di totalitarismo in Occidente
  • La gabbia del politicamente corretto
  • La Chiesa si è fatta inutile
  • Tempi ultimi?
  • Giocare a fare Dio: la scienza che va oltre l’umano

Conclusione. LE DISTOPIE REALIZZATE

  • 2030: fine del mondo?
  • Ritorno a Orwell
  • Messaggi ipnopedici
  • Non praevalebunt

FONTE: https://www.gianlucamarletta.it/wordpress/2020/12/lultima-religione/

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

Youtube censura SkyNews (Australia). Ormai anche il Mainstream è messo a tacere

 

Agosto 2, 2021 posted by Guido da Landriano

Ormai i media mainstrem cominciano a divorarsi fra di loro a suon di censura. Youtube ha bloccato l’account di Sky News Australia, patte del colosso FoxNews.

Se in Italia Sky News è perfettamente allineato alle altre fonti mainstream, ed anche per questo non riesce a guadagnare spazi, quello australiano è leggermente su posizioni più conservatrici e in passato ha fatto anche dei servizi investigativi, cosa che gli ha fatto guadagnare 1,8 milioni di follower su YouTube. Questo però  non è stato sufficiente a proteggerlo dalla censura dei Big Tech. La causa della censura è sempre la stessa: “Disinformazione sul Covid-19”.

Il gigante della tecnologia ha affermato che la sua decisione  si basa sulle linee guida delle autorità sanitarie locali e globali e che Sky News Australia le ha sfidato questi limiti cambiando inoltre frequentemente le indicazioni.  Sky News Australia ha aggiunto che la sospensione era dovuta a “vecchi video” pubblicati sul suo canale, perché quello che fa più paura a Big tech  è la memoria storica.

Il blocco significa che Sky News Australia è sospesa per una settimana dal caricamento di contenuti. Si solito dopo tre blocchi si passa al ban definitivo.

In particolare, non consentiamo contenuti che negano l’esistenza di COVID-19 o che incoraggiano le persone a utilizzare l’idrossiclorochina o l’ivermectina per curare o prevenire il virus“, ha affermato YouTube in una prima versione della sua dichiarazione inviata ai media locali. .

Sky News Australia ha affermato di “rifiutare espressamente l’accusa che un ospite  abbia mai negato l’esistenza di COVID-19 come implicito e che nessun video del genere sia mai stato pubblicato o rimosso“.

Ha aggiunto che la rete riconosce il diritto di YouTube di applicare le proprie politiche e “non vede l’ora di continuare a pubblicare le sue notizie popolari e i suoi contenuti di analisi per il suo pubblico“. Inoltre ha citato i diritto universali dell’uomo, dichiarati dall’ONU; fra cui il diritto universale a comunicare, cosa che comunque i media mainstream negano quotidianamente.

Probabilmente Sky news AU paga il fatto che la propria  giornalista investigativa Sharri Markson è stata tra le prime a riferire sui filmati esistenti sulle  ricerche sui pipistrelli dall’interno dell’Istituto di virologia di Wuhan, risalenti a maggio 2017, mentre i membri del team investigativo dell’Organizzazione mondiale della sanità continuavano a  negare che i pipistrelli vivi avessero mai stato ospitato presso la struttura.

FONTE: https://scenarieconomici.it/youtube-censura-skynews-australia-ormai-anche-il-mainstream-e-messo-a-tacere/

 

 

 

DIRITTI UMANI

Credito sociale in Cina Evoluzione culturale o strumento di controllo delle masse?

C. Alessandro Mauceri

Agosto 2, 2021 posted by admin

Pubblichiamo una ricerca sul sistema applicato in Cina per il controllo social, il noto “Sistema del credito sociale”

Cenni storici

Il sistema di credito sociale ha origini antiche in Cina. In Occidente, l’ordine sociale nasce dall’equilibrio delle varie componenti della società. In Cina, il temine “autorità” ha un significato diverso: per Confucio, i concetti di umanità (ren), lealtà (zhong) e reciprocità o mansuetudine (shu), erano alla base dei cosiddetti wulun, le cinque relazioni fondamentali, dette anche “dell’obbedienza”. Dal rispetto di queste regole dipende una buona convivenza sociale. L’interesse generale prevale sempre su quello individuale e violare una legge non è un problema privato ma diventa un problema per tutti. È su questa base culturale che, da millenni, si fonda il concetto di credito sociale. Duemila anni fa, nel periodo degli “Stati in guerra”, convivevano confucianesimo (per Confucio, il benessere individuale era collegato al carattere personale e al corretto funzionamento della società), mohismo (“gli uomini devono prendersi cura l’uno dell’altro e vivere in società dove tutti erano trattati in modo imparziale”) e legalismo. Queste teorie influenzarono la dinastia “Qin” (221-206 a.C.): nacque il primo “sistema di credito sociale” per funzionari pubblici.

Molti secoli dopo, durante il maoismo, il partito utilizzò dàng’àn hukou (1), dossier contenenti informazioni sui cittadini e le loro famiglie per governare. L’automazione dei sistemi di controllo sociale comparve negli anni ’90, nelle banche, in aree rurali, per concedere prestiti a individui o imprese prive di “storie finanziarie” documentate. Nel 1999, il premier cinese Zhu Rongji adottò un sistema analogo per favorire la collaborazione tra aziende estere e cinesi. Durante il XVI Congresso del Partito (2002), il Partito Comunista Cinese (PCC) propose di adottare un “sistema di mercato moderno unificato, aperto, competitivo e ordinato”. Nel 2007, nacquero i primi progetti di SoCS o SCS. (2) Nel 2011, da strumento bancario, i SCS divennero strumento socio-politico: “far beneficiare le persone affidabili ovunque e le persone inaffidabili limitarle ovunque”. Nel 2014, il presidente Xi Jinping dichiarò prioritaria una “governance globale basata sul diritto”, fondata sul rispetto delle regole. (3) Il suo motto: “mantenere la fiducia è glorioso e rompere la fiducia è vergognoso” (4).

La sperimentazione

Quell’anno, vennero lanciati progetti SCS in 43 città (nel 2019, ne rimanevano 28): alcuni utilizzarono il SCS per affrontare problemi urgenti, altri aggiunsero strumenti supplementari per temi specifici (Consiglio di Stato, Dicembre 2020) e finirono per avere più di 20 diverse liste tra nere e rosse. (5) A Ningbo, ad esempio, venne aggiunta una lista nera per comportamenti ambientali (come l’interruzione di approvvigionamento acqua potabile centralizzata). A Suqian, venne adottato un piano, chiamato “Punti Xichu” dall’antico regno del Chu occidentale, che classificava i cittadini in otto categorie (da AAA, cittadino modello, a D, inaffidabile), leggibili sul software di messaggistica istantanea WeChat. Veniva lodata l’ “affidabilità” dei cittadini che svolgevano volontariato, donavano il sangue o il midollo osseo ed erano bravi lavoratori. Al contrario, inadempienze bancarie, ritardato pagamento delle bollette, violazione del codice della strada o condanne penali facevano calare il punteggio.

Durante la pandemia di Covid-19, a Zhengzhou, gli ospedali che gestivano pazienti Covid-19 sono stati inseriti nella lista rossa (positiva). A Anqing, un cittadino è stato inserito nella lista nera, per aver “causato il panico” pubblicando il video di un’ambulanza che trasportava malati gravi. Altre città hanno penalizzato i cittadini che non indossavano mascherine. A Jinan (Cina orientale) il credito sociale riguarda anche il modi di gestire animali domestici: nel 2017, ad alcune persone sono stati detratti crediti per aver portato il cane in giro senza guinzaglio (terminati i crediti, l’animale veniva confiscato). (6)

Alcuni media cinesi hanno criticato queste scelte definendole arbitrarie e irrilevanti per il concetto di “credito” (7). Bassa la partecipazione della popolazione a questi progetti: a Xiamen, città con oltre 5 milioni di abitanti, solo 210.059 hanno attivato un account (circa il 5%). A Wuhu, solo 60.000 attivazioni su oltre 3,5 milioni di abitanti (1,5 %), a Hangzhou 1.872.316 (il 15 % degli oltre 10 milioni di abitanti). (8) (9)

Ciò nonostante la quantità di dati raccolta è tale da essere difficile da gestire: miliardi di informazioni (50 miliardi a livello nazionale), a volte inutili per il credito sociale. (10)

I SCS oggi

In Cina è considerato normale, al termine di un processo, che la corte renda pubblica la condanna: serve a ribadire il suo ruolo educativo. Il SCS ha automatizzato questo concetto. (11) Il credito sociale è una delle basi del “Pensiero” di Xi Jinping. (12) La piattaforma di “pubblica vergogna” è diventata strumento di propaganda interattiva (Consiglio di Stato, “Schema di pianificazione per la costruzione di un sistema di credito sociale 2014/2020”).

Foto 2. Fonte : DongFang, 

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:18th_National_Congress_of_the_Communist_Party_of_China.jpg

In passato, la gestione decentralizzata rendeva difficile per il governo centrale gestire le amministrazioni locali. A Gennaio 2021, la Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme ha parlato di un sistema centralizzato, unico ma flessibile per rispondere a problemi contingenti (durante la pandemia, specie a livello regionale e municipale). Frequenti gli scandali legati a casi di corruzione nella sanità e nella pubblica sicurezza: negli ospedali pubblici, medici e infermieri sono sottopagati e, spesso, i pazienti utilizzano gli “hongbao” (buste rosse piena di contanti) in cambio di trattamenti preferenziali. Secondo Charney Research, nel 2015, il 35% delle aziende cinesi pagava tangenti o faceva “regali”. (13) Pratica che un dirigente ha definito una regola non detta”. Ora, il SCS consentirebbe ai vertici del partito di controllare le amministrazioni locali “utilizzando i big data per modernizzare la governance nazionale” e facendo emergere irregolarità e altro. (14) Un piano che deve fare i conti con una realtà infrastrutturale arretrata, spesso incapace di gestire grandi quantità di dati. È anche per questo che il SCS non è ancora stato unificato: a gestirlo (con finalità a volte discordanti) sono 47 istituzioni, dal Consiglio di Stato alla Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma (NDRC), alla Banca Popolare cinese, ad autorità di regolamentazione finanziaria, organismi di vigilanza (monitorano la conformità legale in settori quali la protezione ambientale, la sicurezza alimentare o la prevenzione delle epidemie) e autorità locali.

Anche l’automazione è un problema. Secondo l’articolo 41 della legge sulle sanzioni amministrative, aggiornata nel 2021, un valutatore deve ratificare le prove raccolte digitalmente. (15) Questo rende inefficienti automatismi come il SCS.

Come funziona il SCS

Come i primi strumenti usati dalle banche, il sistema di credito sociale utilizza “big data” per verificare se individui, entità private o organizzazioni rispettano la legge. (16) Ad ogni cittadino viene assegnato un punteggio sociale che aumenta o diminuisce in base al comportamento. Importante sottolineare che questo vale per tutte le leggi e i regolamenti, anche quelli repressivi, sulla censura o che portano a trattamenti discriminatori. Con il rischio che possono verificarsi abusi: in Mongolia, alcuni genitori che ritiravano i propri figli dalle scuole con un curriculum in mandarino sono stati minacciati di essere iscritti nelle liste nere. (17)

Nuove tecnologie

A permettere di gestire tutto questo dovrebbero essere le nuove tecnologie le uniche in grado di elaborare automaticamente enormi quantità di dati provenienti da milioni di fonti.

Il primo sistema di controllo, risalente al 1998 e gestito dal Ministero della Pubblica Sicurezza, Golden Shield Project (18) contava 12 (sotto)sistemi (dalla sicurezza sociale alle banche, dalla sicurezza delle reti a quella sul traffico, sino ai crimini finanziari). Nel 2005, venne introdotto Progetto3111 che utilizzava telecamere e altri sistemi di video-sorveglianza (come Safe Cities, 2003, per intervenire in caso di catastrofi, traffico o sicurezza pubblica). Nato nel 2005 (ma scoperto solo nel 2013), Skynet utilizza invece algoritmi di riconoscimento facciale: secondo alcune fonti ufficiali sarebbe in grado di scansionare l’intera popolazione cinese in pochi secondi con una precisione del 99,8%. Anche Sharp Eyes (2015) utilizza telecamere e riconoscimento facciale ma anche volontari per visionare le immagini da remoto (dal computer o da smartphone) e segnalare alla polizia violazioni e crimini. In molte città, la polizia utilizza occhiali “intelligenti” e droni per monitorare i cittadini (comportamenti antisociali vengono trasmessi al pubblico).

Foto 3. Fonte: Sorveglianza e sicurezza. La società del controllo in Cina – Diritti Globali

Oggi, la Cina è il paese più sorvegliato al mondo: a fine 2020, risultavano attive oltre 626milioni di videocamere (altrettante dovrebbero essere montate nel prossimo futuro). Oltre 200milioni di queste servirebbero per riconoscimento facciale. Un sistema di controllo che ricorda il Grande Fratello orwellianoIl sistema non è ancora controllato a livello nazionale: alcuni sistemi sono gestiti dai consigli comunale, altri da piattaforme tecnologiche private. Il Consiglio di Stato ha dichiarato (Dicembre 2020) di voler mantenere una certa flessibilità locale, ma il problema potrebbe essere tecnico: deriverebbe dall’utilizzo di questi dati per cercare un numero spropositato di violazioni da parte di cittadini e imprese.

Per i cittadini

I primi nomi inseriti nella lista nera risalirebbero al 2015. A Li Xiaolin venne impedito di acquistare un biglietto aereo (per un viaggio di lavoro): a sua insaputa era stato inserito nella lista nera della Corte suprema cinese. Nel 2013, Li aveva difeso in tribunale un uomo accusato di stupro. Li consegnò copia dell’arringa ai familiari dell’imputato che, all’insaputa del legale, la pubblicarono. Per questo, la vittima dello stupro citò in giudizio l’avvocato che, dichiarato colpevole, venne costretto a “scusarsi pubblicamente”. Lo fece, ma la Corte considerò queste scuse poco “sincere” e iscrisse il nome di Li nella lista delle persone “inaffidabili”. Da allora tribunali e agenzie governative hanno creato tantissime liste nere utilizzandole come deterrenti (“denominazione e vergogna”). (19) A decine di milioni persone è stato impedito l’acquisto di biglietti per i voli nazionali, (20) a tre milioni non è stato permesso viaggiare in treno in classe business. Il comportamento dei cittadini è continuamente monitorato: donare sangue, fare elemosine, lodare il governo sui social-media, aiutare i poveri, fa guadagnare punti e premi (ad esempio, promozioni o ammissione a scuole e università). Non visitare i genitori anziani, diffondere falsità su Internet, barare nei giochi online, invece, comporta perdita di punti e punizioni (esclusione da voli e treni, accesso limitato ai servizi pubblici, esclusione da università e scuole, limitazioni alle prospettive occupazionali – molti datori di lavoro unano le liste nere nelle selezioni e alcuni lavori governativi presuppongono rating elevati). A chi non ha svolto il servizio militare può essere vietata l’iscrizione a scuole o università (21): a Luglio, è stato negato ad uno studente di iscriversi all’università (22) perché il padre aveva un basso credito sociale. Ad alcuni non sono state concesse vacanze e l’accesso ad alcuni hotel. Agli individui “che rompono la fiducia”, spesso non è consentito di ricoprire ruoli importanti in aziende statali e banche. Alcuni reati, come frode e malversazione, avrebbero effetti rilevanti sul credito sociale. (23) Un avviso governativo del 2016, incoraggiava le aziende a consultare la lista nera prima di assumere persone. (24)

Di tutte le informazioni sono inserite nel database (25), alcune vengono cancellate automaticamente dopo un certo lasso di tempo; altre dopo che il trasgressore provvede alla “riparazione del credito”. In genere, per essere rimossi da una lista nera servono dai 2 ai 5 anni, ma per colpe gravi si può rimanere lì per sempre. È possibile anche che si verifichino sovrapposizioni e che si compaia contemporaneamente in liste rosse o nere (ad esempio, per persone con ruoli aziendali o responsabilità legali).

L’aspetto più delicato del SCS è, forse, il “public shaming”: chi viola le regole viene sottoposto alla gogna mediatica che va dalla modifica delle suoneria del cellulare alla pubblicazione di nomi e volti e relative “malefatte” su giornali, radio, televisione e Internet. O sugli schermi delle stazioni ferroviarie: a Shanghai sono comparsi, a intervalli di 10 minuti, nomi, numeri di identificazione, indirizzi, e importi dovuti di una ventina di persone. A Maggio, Shanghai Putuo People’s Court ha diffuso i dati di 76 debitori sui cartelloni elettronici di cinque famosi centri commerciali. Ad alcune persone è stata sostituita automaticamente la suoneria del cellulare (diventa una sirena della polizia, seguita da messaggi come: “La persona che stai chiamando è stata elencata come persona screditata dal tribunale locale. Esortate questa persona a rispettare i propri obblighi legali”).

Foto 4. Fonte: La Cina usa la tecnologia per controllare il popolo – THE VISION

In Cina, è molto diffuso il concetto di “mianzi”, letteralmente “faccia” o “onore”. Per un cinese, è importantissimo “non perdere la faccia”. Specie se si appartiene a fasce sociali elevate come i giovani benestanti o i cosiddetti “millenials”. Oggi, in Cina, vivono più miliardari che in qualsiasi altro paese (ben 992). Le previsioni parlano di 400 milioni di cinesi che acquisteranno beni di lusso. L’esplosione del mercato interno cinese è legata a centinaia di milioni di consumatori giovani: rappresentano il 40% degli acquirenti di beni di lusso. Spese eccessive per i videogiochi, spreco di denaro per acquisti frivoli o certe pubblicazioni sui social media possono comportare l’iscrizione nelle liste nere con conseguenze rilevanti sull’intera economia.

Il SCS potrebbe essere utilizzato anche per controllare alcune minoranze: nello Xinjiang, le informazioni raccolte nell’Integrated Joint Operations Platform (IJOP) servirebbero a sorvegliare la minoranza musulmana. Dossier dettagliatissimi conterrebbero informazioni che più che a “credito sociale” fanno pensare a “controllo sociale”: registrano azioni come uscire di casa dalla porta secondaria, non relazionarsi con i vicini, rifornire un’auto non propria o consumare più energia elettrica della norma. Chi compie azioni “sbagliate” viene indagato o può essere internato in campi di “rieducazione”. L’utilizzo del credito sociale come forma di controllo delle minoranze sarebbe stato confermato anche da fonti ufficiali (26).

Secondo un sondaggio del China Youth Daily Social Investigation Center, l’83,9% degli intervistati teme di finire in liste nere senza saperlo. (27)

Foto 5. Fonte: Shame on you! China uses public billboards to expose runaway debtors – Reuters

Foto 6. Fonte: BERNHARD BARTSCH, MARTIN GOTTSKE e CHRISTIAN EISENBERG/INFOGRAPHICS GROUP Merics.

Il controllo sulle imprese

Sono oltre 33 milioni le imprese, organizzazioni sociali e organizzazioni governative (tranne quelle del PCC) valutate dal sistema di credito sociale. Le aziende vengono monitorate in base ai record di conformità, finanziari e di audit. Obiettivo: fornire una valutazione olistica dell’affidabilità di un’impresa utilizzando un punteggio numerico. Quattro le categorie principali: informazioni di base, informazioni su sanzioni e permessi amministrativi, irregolarità e informazioni da lista nera o rossa (se applicabili). Una società inserita nella lista nera per “grave inaffidabilità”, può vedere punita l’azienda, il o i legali rappresentanti o i diretti responsabili della violazione. I punteggi assegnati cambiano anche in base al comportamento dei contatti: le imprese devono prestare attenzione ai propri partner, sia in Cina che all’estero.

Anche le imprese straniere con personalità giuridica in Cina sono monitorate dai SCS. Poche, invece, le organizzazioni sociali: soprattutto ONG straniere con uffici di rappresentanze in Cina. Anche le agenzie governative sono analizzate (per far emergere casi di debito delle amministrazioni locali o inadempienze contrattuali).

Foto 7. Fonte Merics: Il sistema di credito sociale cinese nel 2021: dalla frammentazione all’integrazione

Se, in Cina, limitare i trasporti o l’accesso al credito per una persona può essere fastidioso, per un’azienda, avere bassi punteggi di credito sociale può essere peggio (su occupazione, accesso ai finanziamenti e possibilità di stipulare contratti).  A gestire ufficialmente il credito sociale delle imprese è CreditChina: fornisce informazioni su aziende e individui (per le aziende, queste informazioni sono contenute in sotto-categorie: codice del credito sociale unificato della società e licenze, sanzioni amministrative o inadempimenti di pagamento riconosciuti dai tribunali, casi di evasione e frode fiscale o di importazione o esportazione illegali, e anche salari non pagati). (28) Altro database nazionale è NECIPS (29): oltre a fornire informazioni sui record SCS, riporta dati identificativi completi e consente di segnalare problemi direttamente alle autorità. Secondo alcune fonti, il 73% dei documenti politici rilasciati fino ad oggi si è concentrato sull’applicazione del credito sociale nel settore aziendale. L’obiettivo è combinare i dati provenienti da diverse fonti per creare un database pubblico di aziende e classificarle in base a una serie di criteri di conformità. Obiettivo: creare un “Comprehensive Public Credit Rating”, che fornisca un punteggio a tutte le aziende che operano in Cina. (30)

Foto 8. Fonte: Ed Jones/AFP/Getty Images – Security cameras looking over Tiananmen Square, Beijing

Il ruolo attivo delle aziende

Per la gestione dei dati del SCS sono necessarie grandi piattaforme. Questo ha scatenato l’appetito di molti giganti tecnologici. Inizialmente, People’s Bank of China aveva delegato due grandi aziende, Alibaba e Tencent (proprietaria di WeChat, la più grande piattaforma di social media cinese che monitora il comportamento e classifica in tempo reale i propri utenti). Diversi i problemi emersi. Innanzitutto, la sovrapposizione tra sistema di credito sociale e sistemi di rating di credito (come Zhima o Sesame Credit, gestito da Ant Financial di Alibaba, piattaforma riservata ai clienti del gruppo: simile ad alcuni sistemi di credito statunitensi, come FICO, monitora alcune informazioni degli iscritti – cronologia dei pagamenti, debito, capacità di adempiere agli obblighi contrattuali). Nel 2017, da un confronto tra il sistema di credito sociale cinese e i punteggi FICO statunitensi emerse che il primo era “più invadente di quello che viene comunemente fatto in Occidente”, secondo il giudizio di Forrest Zhang, professore di sociologia della Singapore Management University. Sesame Credit di Alibaba è ormai onnipresente (è stata confusa con il Social Credit System). Esiste anche un pericolo reale di diffusione dei dati e pericoli “politici” (l’acquisizione di società ricche di dati da parte di azionisti stranieri comporterebbe rischi per la sicurezza nazionale). A questo si aggiunge il rischio di hackeraggio: recentemente sono stati violati e resi pubblici dati sensibili di 346.000 persone. Motivi che hanno portato il governo a non rinnovare la concessione ad Alibaba (e ad altre aziende). (31)

Negli altri paesi

Sistemi di cyber governance si stanno diffondendo in molti paesi. Strumenti di monitoraggio analoghi a quello cinese sono già in uso a Singapore, in Malesia, in Pakistan, negli Emirati Arabi Uniti, in Uzbekistan e in Kenya. Anche la Tanzania, scelta come paese pilota per un programma di sviluppo delle capacità Cina-Africa, ha approvato leggi che limitano i contenuti Internet e le attività dei blog (32). Altri paesi (Vietnam e Uganda) hanno consultato le autorità cinesi in vista dell’emanazione di leggi restrittive su Internet. E nell’ambito della Belt and Road Initiative, la Cina ha iniziato a installare cavi ottici per la trasmissione di dati transfrontalieri in paesi come Belize, Ecuador e Guinea.

Il sistema di credito sociale cinese non è diverso da forme di valutazione sociale in paesi come l’Australia. Qui la maggior parte degli immigrati neozelandesi ha diritto ad un “visto di categoria speciale” che prevede un test di “buon carattere” (a volte a discrezione dei funzionari): recentemente, un ragazzo di 15 anni è stato trattenuto e deportato utilizzando un sistema simile al China Social Credit Score (che limita la libertà di movimento a seconda dei comportamenti antisociali). Sempre in Australia il programma di welfare “ParentsNext” prevede agevolazioni per madri single: per beneficiarne, i destinatari devono dimostrare di aver svolto ogni settimana determinate attività con i propri figli (frequentare lezioni di nuoto o andare in biblioteca). (33) Netta la somiglianza con il sistema di credito sociale cinese che penalizzare o premiare in base alle attività familiari. Anche qui il ricorso alle tecnologie e ai database è fondamentale: Ù Trustbond, società privata australiana, utilizza i dati dei social media per ottenere un “punteggio di fiducia che può essere utilizzato per sostituire i tradizionali pagamenti di obbligazioni in contanti per potenziali affittuari. Il Consiglio comunale di Darwin ha sperimentato una tecnologia che registra i movimenti delle persone dai dati del cellulare all’interno del centro città: se necessario, le telecamere di sorveglianza possono identificare un individuo e avvisare la polizia.

Anche in Germania esistono sistemi analoghi a quelli cinesi. Per affittare o acquistare una casa, prendere in prestito o ricevere beni a credito è necessario avere un certo punteggio “SCHUFA” (simile al “FICO” negli Stati Uniti). I dettagli degli indicatori non sono chiari ma pare che avere un basso reddito o avere vicini con un basso punteggio influirebbe negativamente sul rating. Alcuni fornitori di assicurazione sanitaria (obbligatoria in Germania), utilizzano dati sull’idoneità attraverso app per offrire sconti sui premi assicurativi (analogamente al credito sociale cinese che dà la priorità e un punteggio più alto ai comportamenti sociali).

In India, da anni, esiste il programma di identificazione unica “Aadhaar” che assegna alle persone un numero di 12 cifre e registra dati demografici e biometrici (comprese impronte digitali e scansioni dell’iride). Lanciato nel 2009 come sistema volontario, oggi monitora il 99% della popolazione. Scopo originario era garantire l’accesso ai programmi di welfare, ma alcuni temono che possa essere utilizzato illegalmente per scopi commerciali).

Negli USA, solo tre stati (Illinois, Texas e Washington) hanno leggi che proteggono le persone dalle società che raccolgono dati biometrici. Negli altri 47, non esistono restrizioni. Tempo fa, sulle pagine dei media è scoppiato il “caso TikTok”: l’azienda con sede legale in Cina fu accusata di raccogliere dati personali. “Possiamo raccogliere dati biometrici e informazioni come definito dalle leggi statunitensi, come impronte facciali e impronte vocali, dai Contenuti dell’utente. Se previsto dalla legge, chiederemo all’utente le autorizzazioni necessarie prima di tale raccolta”. Trump definì questo comportamento una minaccia per la sicurezza personale e cercò di obbligare la società cinese a cedere le attività negli USA. Il suo successore Biden, dal canto suo, non ha fatto nulla nei confronti di TikTok, ma ha limitato gli investimenti statunitensi su 59 società cinesi (alcune legate alla sorveglianza). In molti settori, gli Stati Uniti sono riusciti a mantenere la leadership grazie al know-how avanzato e alla capacità di gestire standard e protocolli di settore. Ciò è particolarmente importante per le tecnologie a duplice uso, poiché il predominio dei produttori e degli standard americani limita la capacità dei concorrenti di ostacolare l’accesso degli Stati Uniti a queste tecnologie. Oggi, però, i mercati sono sempre meno definiti da confini fisici e più da standard e regolamenti. In questo contesto, la capacità di stabilire e far rispettare le regole è diventata prioritaria per l’efficienza e l’affidabilità.

Il sistema del controllo sociale cinese ha raggiunto livelli tali da attirare numerosi paesi: ogni anno, numerose agenzie governative (alcune da paesi come Stati Uniti, Francia e Israele) partecipano al China-Eurasia Security Expo a Urumqi, nello Xinjiang. Il made in China interessa sempre di più i paesi esteri: nel 2018, CloudWalk ha stretto un accordo con il governo dello Zimbabwe per la fornitura di sistemi di riconoscimento facciale per la “sicurezza” del Paese africano. (34)

Conclusioni

Secondo uno studio, l’80% degli intervistati ha in qualche modo accettato i punteggi del credito sociale (34) . “Il comportamento delle persone è migliorato”, ha dichiarato un giovane imprenditore cinese, “Ad esempio, quando guidiamo, ora ci fermiamo sempre davanti alle strisce pedonali. Se non ti fermi, perderai i tuoi punti. All’inizio, eravamo preoccupati, ora ci siamo abituati”.

Solo l’1% degli intervistati disapproverebbe il sistema. Sebbene non tutte le ricerche abbiano dimostrato un livello così elevato di sostegno al sistema, in Cina, nessuno osa opporsi. (35) “La gente comune qui in Cina non è felice di questa tecnologia, ma non ha altra scelta. Se la polizia dice che ci devono essere telecamere in una comunità, la gente dovrà semplicemente conviverci. Questa richiesta c’è sempre stata e noi siamo qui per soddisfarla”, ha dichiarato Chen Wei di Taigusys, azienda specializzata nella tecnologia di riconoscimento delle emozioni in un’intervista.

Come già visto, il problema principale è chi gestisce e controlla questi dati. E i compromessi che dovranno essere fatti tra diritti civili dei cittadini e supervisione e trasparenza del governo. Elemento critico in Occidente, ma che, in Cina, è vissuto in modo diverso: qui la legge, ad eccezione di clausole specifiche come la protezione contro la perquisizione o la detenzione illegali, affronta il diritto alla privacy principalmente come un diritto a preservare la propria reputazione contro insulti e diffamazioni. L’idea cinese di “privacy” differisce molto dal pensiero politico e giuridico occidentale: la moralità spesso prevale sui diritti individuali ed è alla base delle relazioni interpersonali e del governo della società. Un sistema che Botsman ha definito “una visione futuristica del Grande Fratello fuori controllo”. Una situazione che Human Rights Watch ha definito “agghiacciante”.

FONTE: https://scenarieconomici.it/credito-sociale-in-cina-evoluzione-culturale-o-strumento-di-controllo-delle-masse-di-c-alessandro-mauceri/

 

 

 

ECONOMIA

Perchè la Norvegia “Verde” non rinuncerà a gas e petrolio

 

Agosto 1, 2021 posted by Guido da Landriano

La Norvegia non ha ripensamenti sull’esplorazione e sugli investimenti petroliferi alla luce del rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia (IEA) che suggerisce che non sarebbe necessaria alcuna nuova esplorazione di combustibili fossili per un mondo a zero. Il tutto in una nazione che, comunque ha una forte coscienza ecologica e che è, ad esempio, all’avanguardia nell mobilità elettrica.

Il più grande produttore di petrolio e gas dell’Europa occidentale sta raddoppiando lo sviluppo nella ricerca del petrolio e continua a considerare l’esplorazione e la produzione d’idrocarburi una parte fondamentale della sua economia e del reddito per lo stato.

Il settore petrolifero e del gas è un importante datore di lavoro e il principale contributore al cosiddetto fondo petrolifero, il più grande fondo sovrano del mondo con 1.300 miliardi di dollari di asset e partecipazioni dell’1,4% di tutte le società quotate del mondo. Una situazione che mette il paese al riparo da qualsiasi crisi e alla quale il governo non vuole rinunciare. Quindi, anche se la Norvegia sta scommettendo in grande sull’eolico offshore e sulla tecnologia di cattura del carbonio, ritiene comunque  che il petrolio e il gas possano continuare a creare valore a lungo termine e, soprattutto, preziosi posti di lavoro. Tutto questo è chiaramente contenuto nel libro bianco sull’economia del governo di Oslo.

“L’obiettivo principale della politica petrolifera del governo – facilitare la produzione redditizia nell’industria petrolifera e del gas in una prospettiva a lungo termine – è saldamente in atto”, ha affermato il ministro norvegese del petrolio e dell’energia, Tina Bru.

La Norvegia è diventata l’ennesimo paese produttore petrolifero che ha affermato che non smetterà d’investire in petrolio e gas da quando l’AIE ha suggerito in un rapporto di maggio che non si dovrebbe più effettuare   nuovi investimenti in combustibili fossili se vuole ottenere la neutralità climatica per il 2050.

Anche la Norwegian Oil and Gas Association ha commentato il rapporto IEA, affermando che “non condivide l’ipotesi che i membri dell’Opec da soli dovrebbero rappresentare più della metà della produzione di petrolio e gas per il mercato mondiale in una prospettiva del 2050. Se la domanda non diminuisce così rapidamente come ipotizza l’AIE nel suo scenario, e il lato dell’offerta viene contemporaneamente soffocato, la fornitura globale di energia potrebbe andare in crisi e portare a prezzi dell’energia molto elevati».

L’attività di esplorazione e produzione offshore della Norvegia è stata elevata nella prima metà del 2021 e sono attualmente allo studio molti nuovi sviluppi nel settore del petrolio e del gas, ha affermato la direzione del petrolio norvegese (NPD) all’inizio di questo mese.

Tra gennaio e giugno, sono state effettuate otto scoperte in aree mature vicine alle infrastrutture esistenti, che potrebbero consentire uno sviluppo economico delle nuove scoperte, rendendo così il Mare del Nord produttivo per molti anni in futuro.

FONTE: https://scenarieconomici.it/perche-la-norvegia-verde-non-rinuncera-a-gas-e-petrolio/

 

 

Water Power. Risorsa e sfida, sull’acqua scorre il destino delle civiltà.

6 Novembre 2020

Editoriale del numero 3/2020 – Rivista italiana di intelligence

In linea con la consuetudine di proporre numeri monografici sugli argomenti d’attualità più rilevanti nell’agenda dell’intelligence, GNOSIS offre una rifles-sione multidisciplinare sul tema dell’Acqua – dalla filosofia alla geopolitica, dall’arte alla religione, dalla storia alla ricerca tecnologica orientata al futuro – sempre con uno sguardo all’essenza ibrida di un bene cui è legato il destino dell’uomo e delle civiltà e che suggerisce il triplice sguardo: alle derive mitologiche e alle paradigmatiche referenze religiose; al differenziale tra risorse idriche e fabbisogno umano che funge da innesco di tensioni e di competizioni politico-militari ed economiche e, infine, agli in-terventi possibili per migliorare il livello di vivibilità e di sostenibilità ambientale, per immaginare un orizzonte di vita migliore. Dopo il Punto di vista di Sergio Romano sull’evoluzione delle relazioni statunitensi, ita-liane ed europee con la Cina, da Mao a Xi Jinping, la penna di Gianni Letta, evocando la memoria dell’acqua quale fondamento e salvaguardia dell’evoluzione pacifica e libera del consesso umano, anticipa e sintetizza gli interventi che seguiranno, inserendoli nelle loro dimensioni geopolitiche, etiche, tecniche e integrate. Sulla stessa linea, Ales-sandro Leto, curatore del progetto editoriale, colloca la questione nella fitta rete di combinazioni con altri fattori critici di scenario – quali cambiamenti climatici e crescita demografica – valutandone l’impatto sull’idrosfera e proponendo un approccio più stra-tegico, responsabile e resiliente. Alla suggestione di un potere edenico dell’acqua, sintetizzato dall’estro dell’artista fran-cese, precursore della Body art, Yves Klein, incrocio tra le conoscenze e le sperimenta-zioni figurative, letterarie e filosofiche (Klaus Ottmann), segue la necessità pragmatica, dalla tradizione ellenica all’Agenda 2030, di dare una dimensione operativa integrata e sofisticata alla tutela dell’ecosistema e del capitale naturale (Giuseppe Novelli – Francesca Zedda), prevedendo strategie coordinate di sicurezza, inserendo l’acqua e le connesse infrastrutture anche tra i presidi strategici da valorizzare, proteggere e difendere in chiave intelligence (Alessandro Leto – Romolo Pacifico). Riflettendo sulla stretta inter-dipendenza tra acqua ed energia s’impone una sinergica capacità gestionale che sod-disfi una «sostenibilità che è integrata o non è» (Riccardo Casale): proprio l’uso responsabile di un bene – che va considerato collettivo – può costituire un fattore di successo commerciale e sociale, come nel passato di Roma o Venezia, evitando che la deteriorabilità e l’esauribilità dei bacini possano aumentare i rischi di involuzione socio-economica (Mario Panizza). Non è un caso che un approccio razionale, innovativo ed ecosostenibile abbia favorito l’affermazione di campioni industriali nei settori del tessile e dell’agroalimentare, come evidenziato da Ermenegildo Zegna sull’azienda di famiglia e da Marco Marchetti sulla società Ferrero.

Tornando alla potenza evocativa e simbolica dell’acqua, Pietrangelo Buttafuoco ne svela il narciso riflesso sullo specchio della sua Sicilia – metafora dell’uni-versale – tra le contraddizioni irrisolte della brutalità dell’uomo sulla natura e la forza vivificante dell’elemento naturale, non rinunciando alla speranza del ri-torno alla fonte di bellezza greco-islamica del passato: un mondo classico che Louis Godart rinviene nella matrice panmediterranea che, nei momenti di par-ticolare felicità, ha saputo coniugare l’ubertà terrestre e la capacità relazionale economica e sociale assicurata dalle rotte marittime e fluviali. Oggi la geopolitica dell’acqua impone attori sempre più competitivi, anche se non privi di criticità, come nel caso dello scenario cinese, in bilico tra il water stressinterno e l’applicazione dello zouchuqu, attiva ricerca all’estero di soluzioni efficaci, attraverso una mirata politica espansionistica (Giulio Terzi di Sant’Agata – An-drea Merlo). Venendo all’Italia, la vocazione agricola è strettamente dipendente dall’accessibilità alle risorse idriche e alla razionalizzazione degli interventi in-frastrutturali e gestionali (Emilio Gatto – Raffaella Zucaro), confidando nella sen-sibilità ecosostenibile ma anche nella capacità innovativa di giovani imprenditori che studiano nuove applicazione nel campo delle tecniche irrigue per adeguarle alle continue trasformazioni ed esigenze del territorio (Giulia Giuffrè). Anche in ambito marittimo i drivers nazionali della ricerca e dello sviluppo riser-vano ampi spazi alla crescita dell’economia blu, attraverso progettualità fondate sulla sostenibilità e rigorosa prevenzione rispetto alle varie forme di sfrutta-mento aggressivo – nell’alveo di ormai consolidati orientamenti internazionali – sul modello del Green Deal (Maria Cristina Pedicchio), nella certezza che «il mare unisce i Paesi che separa» e che la posizione dell’Italia come cerniera lo-gistica nel Mediterraneo costituisca un’opportunità che il nostro sistema arma-toriale e portuale deve saper valorizzare (Stefano Messina). Infine, la vena spirituale che scorre nella sorgente mitopoietica dell’acqua pro-pone un registro religioso gravido di simboli e significati, del cristianesimo (Emilio Bettini) e dell’islam (Yahya Pallavicini). Conclusa la parte monografica, le analisi sui profili più direttamente attinenti all’intelligence sono dedicate alla figura eclettica e avventurosa dello scrittore e giornalista Frederick Forsyth, le cui opere traggono ispirazione da una realtà scrutata con tagliente capacità di ricerca sul campo (Paolo Bertinetti); e al delicato bilanciamento tra salvaguardia della sicurezza, anche sanitaria, e diritto alla privacy al tempo del Coronavirus (Dario Antares Fumagalli). Nelle tradizionali rubriche si propongono gli interventi di Mauro Canali, e la di-battuta questione della posizione politica di Pio XII rispetto alla Shoah, che l’apertura alla consultazione dell’Archivio Segreto Vaticano – dal 2019 non più Segreto ma Apostolico – potrebbe aiutare a meglio comprendere; Domitilla D’Angelo sulla stampa e diffusione del Servizio inglese di un falso francobollo con l’effige del Governatore tedesco dei territori polacchi occupati, al fine di de-legittimarlo agli occhi di Hitler; di Giancarlo Zappoli, sul celebratissimo film di Robert De Niro, The Good Shepherd, spaccato storico e psicologico degli anni e dei protagonisti dell’istituzione della Cia, sulle ceneri dell’Oss e, infine, di Me-lanton, che con la magia del suo umorismo ci ricorda il debito dell’intelligence al dio egizio del silenzio, Arpocrate. Nel ringraziare i lettori per i numerosi consensi, ulteriore spinta alla ricerca di sempre nuovi territori d’indagine e spazi di analisi, si ricorda l’uscita a ottobre, per la collana «Segreti», della ‘nostra’ rilettura del Principe di Niccolò Machiavelli, edizione in più volumi con un saggio di Alessandra Necci dedicato all’epoca, all’opera e agli eredi del Segretario fiorentino.

Il sommario del numero 3/2020

Il punto di vista di Sergio Romano Lo stato della Cina
Araldica Vsse – Belgio
Gianni Letta Prefazione
Alessandro Leto Premessa metodologica
Klaus Ottmann Yves Klein e la sua idea di azzurro dell’acqua e dell’aria
Giuseppe Novelli ‒ Francesca Zedda L’acqua. Una molecola saggia, utile e pericolosa
Alessandro Leto – Romolo Pacifico L’evoluzione del Risk Management nella gestione delle infrastrutture idriche per il raggiungimento dell’Sdg n. 6
Riccardo Casale Acqua&Energia. L’integrazione non più rinviabile
Mario Panizza Il ruolo dell’acqua nella città e nel territorio
Ermenegildo Zegna Acqua, ambiente e territorio nella cultura della famiglia-azienda Zegna
Marco Marchetti La gestione della risorsa idrica negli stabilimenti Ferrero
Pietrangelo Buttafuoco Acqua persa
Louis Godart Grecia. La prima grande civiltà europea figlia del mare e dell’acqua
Giulio Terzi di Sant’Agata – Andrea Merlo L’acqua tra gli artigli del Dragone. Cina, tra geografia, idropolitica e ambizioni imperiali
Emilio Gatto – Raffaella Zucaro La pratica irrigua in Italia. Interventi recenti per la disponibilità d’acqua nel settore agricolo
Giulia Giuffrè L’evoluzione delle tecniche d’irrigazione per un’agricoltura sostenibile
Maria Cristina Pedicchio Il mare ultima speranza
Stefano Messina Il mondo del mare e degli armatori
Emilio Bettini Le risorse idriche. Considerazioni teologiche a margine di un problema attuale
Yahya Pallavicini Simbolismo e segreti rituali dell’acqua nell’islam
Paolo Bertinetti Frederick Forsyth
Dario Antares Fumagalli La privacy non è un diritto
Archivi / Mauro Canali La diplomazia di Pio XII e la Shoah
Filatelia / Domitilla D’Angelo Chi ha voluto il francobollo per Hans Michael Frank?
Cinema / Giancarlo Zappoli L’ombra del potere – The Good Shepherd
Humour Top Secret / Melanton Il lato sorridente dell’intelligence

 

FONTE: https://www.sicurezzanazionale.gov.it/sisr.nsf/archivio-notizie/water-power-risorsa-e-sfida-sullacqua-scorre-il-destino-delle-civilta.html

 

 

 

IMMIGRAZIONI

Lampedusa: nuovo maxisbarco di clandestini (178), e le Ong chiedono di sbarcarne altri 800

Lampedusa: nuovo maxisbarco di clandestini (178), e le Ong chiedono di sbarcarne altri 800
APPROFONDIMENTI:

In questo momento solo le ong sono in mare a dare aiuto e tuttavia non e’ sufficiente

Ottocento migranti alla deriva a bordo di diverse barche: e’ l’Sos lanciato dalla Ong Sea Watch.

Intanto le Ong sono scatenate a caccia di migranti da recapitarci graziosamente a domicilio.

Un barcone con 178 persone a bordo è stato intercettato dagli uomini della Guardia di finanza.

Ne stiamo monitorando alcune, ma non possiamo intervenire (abbiamo 263 persone a bordo). (Firenze Post)

Se ne è parlato anche su altri giornali

“I sopravvissuti stanno ora ricevendo assistenza sulla Ocean Viking e sulla Sea Watch3. La motovedetta Cp289 ha successivamente portato soccorso ad altri 13 tunisini a bordo di una barca individuata a 10 miglia dalla costa. (il Giornale)

Le due navi Ong dirette verso l’Italia sono cariche e non possono recuperarle Peraltro, quest’anno 930 persone sono morte nel Mediterraneo dopo aver tentato di fare la traversata verso il nostro Paese. (ilGiornale.it)

Crescono i flussi migratori. A Lampedusa nasce Maria, la mamma è della Costa d'Avorio
Crescono i flussi migratori. A Lampedusa nasce Maria, la mamma è della Costa d’Avorio

Nell’isola è nata Maria. Intanto, nella notte di sabato scorso nel poliambulatorio di Lampedusa è nata Maria. Secondo l’OIM, almeno 1.113 persone sono morte nel Mediterraneo nella prima metà del 2021 mentre cercavano di raggiungere l’Europa (Vatican News)

FONTE: https://www.informazione.it/a/827F983D-3C23-4A1B-BD8A-4F42E32518A4/Lampedusa-nuovo-maxisbarco-di-clandestini-178-e-le-Ong-chiedono-di-sbarcarne-altri-800

“Schiaffo” francese all’Italia sui migranti

Michel Barnier entra in gamba tesa nel dibattito europeo sull’immigrazione e lo fa con un tempismo che lascia pensare a calcoli politici di non secondaria importanza per l’ex rappresentate dell’Unione Europea nelle trattative per la Brexit. Il politico francese ha firmato un editoriale su Le Figaro che dà corpo a molte proposte che il politico dei Repubblicani d’oltralpe ha messo in campo nelle scorse settimane: la posizione di Barnier è che per Parigi la situazione migratoria si stia facendo sempre più problematica, che per l’Europa intera valga lo stesso e che i regolamenti attuali, pensati con logiche vecchie di decenni, non siano sufficienti ad arginare i problemi. Ma al contempo il politico savoiardo ritiene che sarebbe complesso negoziare nuove regole mentre la palla è ancora in campo e affidarsi a negoziazioni lunghe e stancanti, e propone una moratoria pluriennale per guadagnare tempo e consentire alla Francia di ridiscutere ex novo i trattati in materia.

Barnier chiede una svolta

“Su una questione così essenziale, dobbiamo riflettere insieme sul destino che vogliamo costruire, ma senza perdere il senso della realtà”, scrive Barnier, che propone una mossa decisamente rigida da portare avanti nel momento in cui le regole resteranno congelate: fermare le regolarizzazioni dei migranti irregolari, imporre un giro di vite sulle condizioni necessarie a garantire il diritto d’asilo, cristallizzare di fatto i processi di afflusso di cittadini extracomuntiari sul suolo francese per permettere, oltre alla discussione politica, anche un processo di integrazione delle centinaia di migliaia di persone che, a detta dell’esponente gollista, “sono ormai insediate sul nostro suolo senza capire il francese, e talvolta senza sentire il bisogno di impararlo”.

Ad oggi 7,9 milioni di persone che vivono in Francia sono nate all’estero, un rapporto parlamentare afferma che 21 milioni di persone con un numero di previdenza sociale sono elencate come nate all’estero. Una parte minoritaria, ma numericamente consistente, di queste persone è indicata da Barnier come da integrare necessariamente attraverso un “patto di integrazione rafforzato” che comporterebbe, ad esempio, un corso basato su punti linguistici, educativi e civici, legato all’occupazione e un controllo del rispetto dei requisiti nel tempo come punto di partenza per la concessione di permessi di soggiorno e cittadinanza.

Una mossa con vista Eliseo?

Barnier, esponente di spicco del centrodestra francese, è tutto fuorché un politico che si possa etichettare come sovranista o populista. Al contrario, nel mondo gollista è sempre stato uomo del dialogo e pontiere europeista, fautore di proposte politiche di unità nazionale ai tempi in cui la destra si trovava a dover formare governi di coabitazione con il Partito Socialista. Da Commissario europeo ha lavorato nella squadra di Romano Prodi (1999-2004, con delega alle Politiche Regionali) e José Manuel Barroso (2010-2014, con delega al Mercato Interno) prima di essere nominato da Jean-Claude Juncker commissario plenipotenziario per le negoziazioni sulla Brexit. La proposta è dunque da monitorare ulteriormente data l’area politica di riferimento.

Certamente è inusuale vedere l’esponente dell’europeismo più netto nelle negoziazioni con Londra adottare un lessico non dissimile da quello proposto da Boris Johnson e gli altri fautori della Brexit. Il titolo stesso dell’articolo, “Misure forti e concrete per riprendere il controllo dell’immigrazione”, riecheggia quel take back control proprio degli slogan dei Brexiters. E segnala la percezione di una necessità di chiarimenti politica che si è espansa ben oltre il mondo della destra sovranista. Non a caso la mossa arriva nelle settimane in cui il partito di Barnier, i Repubblicani, è dato con il vento in poppa nella corsa a posizionarsi in testa in vista della sfida per l’Eliseo del 2022. Con Emmanuel Macron in affanno e Marine Le Pen che non riesce a smuoversi dal suo bacino di elettori tradizionali, il centro-destra francese può guadagnare voti sia in direzione centrista che alla sua destra. Se sul primo fronte giocano un ruolo il rilancio della cultura e della religione civile repubblicana, la difesa dell’interesse nazionale e la ricerca di una via pragmatica su questioni come l’ambiente, sul secondo la svolta sull’immigrazione può contribuire a dare dividendi politici.

Barnier un mese fa ha invitato i Repubblicani a cercare un candidato unitario per battere Macron e Le Pen nel 2022. Un candidato in grado di unire, e non dividere, il fronte del centro-destra, conservatore e moderato. L’editoriale su Le Figaro, che segna un suo passaggio più a destra, fa pensare che Barnier abbia pensato al suo identikit come quello ideale e coltivi ambizioni in vista della corsa all’Eliseo.

Un rischio per l’Italia?

Le parole di Barnier riguardano da vicino anche l’Italia. La proposta dell’ex commissario Ue, in sostanza, sono rivolte al fronte interno francese ma possono produrre scossoni sistemici. Quando, nelle scorse settimane, Barnier aveva per una prima volta proposto una moratoria da tre a cinque anni l’analista geopolitico Paolo Quercia aveva dichiarato a Il Sussidiario che “la politica migratoria della Francia, così come degli altri Paesi europei, è un fattore che incide in maniera importante sulla pressione migratoria verso l’Italia. Se poi Barnier il blocco delle migrazioni lo chiede per la Francia e non per l’Europa, ecco che il problema per noi raddoppia, perché si chiudono le Alpi ma non si può chiudere il Mediterraneo. Ad ogni modo è un segnale chiaro”, come l’editoriale più recente del resto conferma.

La mossa francese rischierebbe di scaricare una crescente tensione sull’Italia e sulla sua risposta non solo all’emergenza sbarchi ma anche al problema dell’integrazione, alla gestione del rischio terrorismo, all’evoluzione del dibattito europeo. Mettendo di fatto Roma spalle al muro come anello debole dell’Europa. Logico dunque che anche in vista di questa possibile evoluzione politica in Francia Roma e Parigi debbano cercare un punto d’incontro per portare una seria riforma della normativa europea in materia di accoglienza, integrazione e gestione dei flussi all’attenzione dell’Europa. L’europeista Barnier non ha fatto altro che ricordare che la sovranità, prima ancora del sovranismo, è la cifra distintiva della politica francese e che per Parigi il proprio interesse statuale predomina su tutto: un’utile lezione da seguire anche a Roma nel decidere le prossime mosse nella politica migratoria europea.

FONTE: https://it.insideover.com/migrazioni/schiaffo-francese-allitalia-sui-migranti.html

 

 

ROBERTO GIARDINA 3 08 2021

Un nuovo muro sta per sorgere in Europa, tra Lituania e Bielorussia, un’invalicabile cortina di filo spinato lunga circa 600 chilometri. Quattro volte il “muro” di Berlino, 156 chilometri e 400 metri, che divideva la metropoli, una striscia di cemento tortuosa tra vie e palazzi, e un’altra barriera, un arco che separava il settore occidentale dalla Ddr. Tra dieci giorni, il 13 agosto, avrebbe compiuto 60 anni. Nell’estate del 1961 sorprese il mondo in vacanza, la gente normale e i grandi capi. Si teme l’inizio di una nuova guerra, ma nessuno volle reagire. Il muro difendeva lo status quo, era una mossa difensiva. Sarebbe dovuto durare un secolo, si aprì dopo 28 anni e qualche mese, il 9 novembre ’89. E il mondo ancora una volta si ingannò. Era la fine della divisione, della guerra fredda, l’inizio di un’éra di pace. Abbiamo avuto altri conflitti, alcuni molto vicini, in Siria, in Libia, o in Irak e Afghanistan. Ovunque sorgono altri muri. Non sempre chi li alza è l’aggressore.

La ministra dell’Interno della Lituania, Agne Bilotaite, dichiara: “La nostra cortina di filo spinato è il primo passo, poi alzeremo il muro lungo il confine con la Bielorussia. Siamo aggrediti, e ci difendiamo”. Il colpevole è Lukashenko, il dittatore di Minsk. Usa i fuggiaschi come aggressori, copiando il turco Erdogan, per porre sotto ricatto la Lituania e la Ue. Solo in luglio hanno passato il confine in duemila, profughi dell’Irak, dell’Afghanistan, della Siria, in tutto il 2020 erano stati 81. Compiono una lunga diversione per la fuga. È la rappresaglia di Lukaschenko per le sanzioni contro di lui, imposte dall’Occidente.

La commissaria Ue per gli affari interni, la svedese Ylva Johansson, 57 anni, denuncia da Vilnius: “È un’aggressione, e non è accettabile, non possiamo ignorarla. Non è una crisi provocata dai fuggiaschi. È un attacco di Lukashenko”. Insomma, una situazione così seria che agli occhi della responsabile europea giustifica persino la “necessità di barriere fisiche per evitare gli ingressi” dei richiedenti asilo. I profughi rischiano di destabilizzare la Lituania, poco meno di 2,8 milioni di abitanti.

Video: Bielorussia: Migranti e rifugiati usati come arma di pressione sull’Europa (Euronews)

Da 47 anni un muro divide Cipro, tra greci e turchi. Un muro sorge a Gaza, ancora una volta difensivo, per proteggere Israele dai terroristi istigati da Hamas, a loro volta manipolati e usati per atti suicidi. In fondo è un muro d’acqua quello che divide la Tunisia da Lampedusa, 35 miglia, circa 65 chilometri. Per molti, una tomba d’acqua. Trump non ha fatto in tempo a terminare il muro per bloccare i fuggiaschi che giungono dal Sud America attraverso il Messico. Ma il successore Biden non lo butta giù. E non fu un’idea di Donald.

Lo iniziò a costruire il democratico Bill Clinton nel 1995. Muri tra ricchi e poveri, tra un inferno e un paradiso che si trova sempre dall’altra parte. Come oltre 30 anni fa, tra la rossa Ddr e l’opulente Germania Ovest. Oggi a Berlino, non è facile ricordare esattamente dove passasse la cortina di cemento. I giovani berlinesi e i turisti si chiedono: ma come fu possibile? Minsk non è lontana, appena 1100 chilometri, da Milano a Palermo sono 1500. I muri di oggi non li vediamo, ma ci riguardano.

FONTE: https://www.msn.com/it-it/notizie/mondo/ora-anche-l-europa-vuole-un-muro-stop-ai-migranti-dalla-bielorussia/

 

 

LA LINGUA SALVATA

Palmarès
pal-ma-rès

SIGNIFICATO Classifica dei premiati in una gara; gruppo di vertice; elenco dei riconoscimenti ottenuti in carriere specie artistiche o sportive

ETIMOLOGIA voce francese, recuperata dal plurale palmàres del latino palmàris ‘di palma’ e figuratamente ‘degno della palma’, a sua volta, appunto, da palma che deriva da una radice indoeuropea col significato di ‘piatto, largo’.

È una parola che ci porta sui tappeti rossi dei grandi festival, alle Olimpiadi e in altri luoghi di vertiginosa, elegante competizione — aprendosi quindi all’élite. Ma che c’entra la palma?

Dobbiamo guardare in faccia la realtà: abbiamo perso i contatti con i simbolismi botanici, con riti e celebrazioni che coinvolgono rami e foglie — ci resta solo qualche rametto secco d’olivo benedetto, che penzola dietro a qualche cornice, pronto a polverizzarsi al tocco, l’iconica corona d’alloro alla laurea per le foto. Niente edera, niente mirto, niente saggina, rosmarino solo per cucinare. Ma come sappiamo la lingua, che in certi casi è scritta sull’acqua, in altri riesce a conservare considerazioni non antiche, ma addirittura ataviche come fossero scontate e schiettamente attuali.

La palma è un simbolone. Vittoria, immortalità, sacrificio sono i perni dei significati ideali trasmessi da questa pianta — ma siamo già in imbarazzo, perché non possiamo trascurare che ‘la palma’ in realtà sono oltre 2.000 specie, anche molto diverse fra di loro, e anzi consideriamo normalmente ‘palme’ anche piante che sono filogeneticamente lontane dalla famiglia. Per capire di che cosa si sta parlando si deve cercare una sfocatura simbolica, intessuta di credenze mediterranee e mediorientali più antiche delle piramidi — che ci porti oltre le analogie che le sue foglie aperte hanno invitato col palmo della mano, oltre alla solennità dell’impalmare, alla chiarezza del palmare.

La palma si erge dritta fra terra e cielo, trionfale. Allarga le sue foglie come raggi dal tronco, incontra il sole rappresentando il sole. Trova l’acqua e prospera dove tutto è sterile. Conta il tempo sul suo tronco coi monconi delle foglie cadute, foglie che si rinnovano sempre, sempreverdi. Si credeva morisse generando.

Perciò si parla della palma del martirio, che trionfa nel morire, perciò è un simbolo di contatto con l’alto, perciò è simbolo di immortalità — e distilla questi eterogenei sensi in un nucleo di vittoria.

Il palmàris latino è letteralmente un ‘palmare’, ‘della palma’, e figuratamente diventa quindi un ‘degno della palma della vittoria’. Il suo plurale, che può quindi descrivere un gruppo, è palmàres. Termine che nel francese di fine ottocento è stato recuperato, come palmarès, per indicare una lista di vincitori in una competizione (il fatto che i vincitori in francese possano dirsi lauréats amplierebbe il discorso sui simbolismi botanici).

Così il palmarès diventa la classifica delle gara o del premio di alto livello, e anche l’albo d’oro che contempla le liste delle vittorie passate. Non ci stupisce che questo significato si traduca in quello di gruppo di vertice di un certo ambiente: è in un certo senso una nomenklatura, un elenco nominale di persone che si trovano in una certa vetta, che compongono una speciale élite. E si può parlare del palmarès dell’arte cittadina, del palmarès dei migliori ingegni di una disciplina, del palmarès famigliare che si mette ai fornelli per Natale.

Ma con un breve cambio di prospettiva, il palmarès diventa anche la classifica personale, il proprio albo d’oro, l’elenco di tutti i premi, di tutte le vittorie, di tutti i riconoscimenti ottenuti durante una carriera specie nel mondo dello sport e dell’arte — e si parla quindi del palmarès dell’atleta scelta per un alto ruolo di rappresentanza, del palmarès che vale allo scrittore una laurea honoris causa.

Oggi la palma è una presenza discreta da lungomare, ma è bello conservarne qualche tratto di gloria.

Parola pubblicata il 03 Agosto 2021

FONTE: https://unaparolaalgiorno.it/significato/palmares

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Follia Covidiota: infermiera vuole fare il covid test ad un bambino appena partorito nel Regno Unito

 

Agosto 1, 2021 posted by Guido da Landriano

C’è qualcosa che veramente non sta funzionando nel mondo attuale. Quello che vi presentiamo è un video, girato nel Servizio Sanitario Nazionale (NHS) di quel paese, in cui un’infermiera vuole obbligare una donna incinta, che sta per dare alla luce un bambino, a sottoporre il piccolo al test Covid appena verrà alla luce, ignorando che , anche se ma madre avesse mai trasmesso virus CovSars-2 al bambino, questo comunque avrebbe l’immunità naturale della madre, oltre al fatto che sarebbe bastato testare la madre stessa.  Prima il video poi il test della demenziale discussione:

Il video scioccante mostra una madre incinta in un letto d’ospedale mentre le infermiere la vogliono catechizzare come sia obbligatorio sottoporre il bambino a un test COVID subito dopo la nascita.

È  mio“, afferma la madre, a cui risponde una delle infermiere, “certo… mentre il bambino è nel tuo addome“.

Quindi stai dicendo che una volta che il bambino esce non è più mio? sì lo è, l’ho partorito, è attraversato dal mio sangue“, afferma la madre.

blog.treedom.net

Pensa davvero che io abbia bisogno di queste str…te sul COVID quando corro il rischio di perdere il mio bambino?” chiede la donna.

Il padre del bambino suggerisce quindi alla coppia di infermere di lasciare l’ospedale, affermando: “Non testeranno il mio bambino per il COVID – fine delle discussioni“.

Non puoi dirmi che puoi darmi la parola su cosa succede una volta che il mio bambino è nato – non credo, non puoi fare nulla al mio bambino senza il mio permesso“, dice la madre.

L’infermiera quindi risponde dicendo che il rifiuto della madre di sottoporre il suo bambino al test COVID sarà documentato e trasmesso ai servizi sociali , il che significa essenzialmente che la madre sarà indagata per negligenza e possibilmente affronterà le autorità che cercano di rimuovere il bambino dalla sua cura.

“Siete così bravi, vero, gente?” afferma sardonicamente la madre alla fine della clip, forse in riferimento a come gli infermieri nel Regno Unito sono stati divinizzati a causa della pandemia, con le persone che a un certo punto sono state invitate a partecipare a sessioni di applauso settimanali per mostrare gratitudine al SSN.

Ora se la madre non aveva il covid-19 non poteva di sicuro averlo in bimbo. Se la madre avesse avuto il covid il bambino sarebbe nato con l’immunità naturale dovuta alla madre. Che senso ha questa tortura?

FONTE: https://scenarieconomici.it/follia-covidiota-infermiera-vuole-fare-il-covid-test-ad-un-bambino-appena-partorito-nel-regno-unito/

 

 

2001: la trasformazione dell’Impero americano

Iniziamo la pubblicazione dell’ultima parte del libro Sotto i nostri occhi, ove Thierry Meyssan rilegge la storia dell’Impero americano. In questo episodio l’autore ritorna sugli attentati dell’11 Settembre: un mezzo dei discendenti diretti dei Padri Pellegrini per appropriarsi del Potere, contro i discendenti degli autori del Bill of Rights.

Questo articolo è estratto dal libro Sotto i nostri occhi.
Si veda l’indice.

Le “Primavere arabe” organizzate da Washington e Londra

Allo scioglimento dell’Unione Sovietica, le élite degli USA credono che alla Guerra fredda possa seguire un periodo di scambi e prosperità. Tuttavia, una fazione del complesso militare-industriale impone il riarmo nel 1995 e una politica imperiale fortemente aggressiva nel 2001. Tale gruppo, identificato come “governo di continuità” previsto in caso di distruzione delle istituzioni elette, pianifica anticipatamente le guerre in Afghanistan e in Iraq, che sono avviate solo dopo l’11 settembre. Di fronte al fallimento militare in Iraq e all’impossibilità di attaccare l’Iran, il gruppo cambia idea, abbracciando i piani inglesi per rovesciare i regimi laici del Grande Medio Oriente e rimodellarlo in staterelli amministrati dai Fratelli musulmani. A poco a poco prende il controllo di NATO, UE e ONU. Solo dopo milioni di vite e miliardi di dollari gli Stati Uniti cambiano strategia a partire dall’elezione di Donald Trump.

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Donald Rumsfeld, segretario alla Difesa, George W. Bush, presidente degli Stati Uniti, e Dick Cheney, vicepresidente degli Stati Uniti.

LA SUPREMAZIA STATUNITENSE

Alla conclusione della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti si ritrovarono a essere l’unica nazione vittoriosa a non aver subito la guerra sul proprio territorio. Approfittando di una condizione senz’altro vantaggiosa, Washington decise di sostituire Londra nel controllo dell’impero e di scontrarsi con Mosca: per ben 44 anni, dunque, una Guerra fredda sostituì la “guerra calda”. Quando l’Unione Sovietica cominciò a diventare instabile e a dare segni di cedimento, il presidente George H. Bush senior pensò che fosse giunto il momento di intraprendere alcuni affari iniziando a ridurre le forze armate e ordinando la revisione della politica estera e di quella militare.

All’indomani del crollo del Muro, Washington precisò sul proprio National Security Strategy of the United States (1991) che “Gli Stati Uniti rimangono la sola nazione stato con forza, portata e influenza veramente globali in tutti i campi: politico, economico e militare. Non esiste nessuno che possa sostituirsi alla leadership americana”.

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Il presidente George H. Bush (il padre) ha spinto il presidente iracheno Saddam Hussein a invadere il Kuwait, così da potersi presentare come difensore del Diritto Internazionale. Ha spinto i grandi Stati ad arruolarsi sotto la bandiera americana, in modo da consentire a Washington di affermare la propria supremazia sul resto del mondo.

Decise così di riorganizzare il mondo con l’operazione “Desert Storm”, spingendo l’alleato kuwaitiano a sottrarre il petrolio iracheno e a esigere il rimborso degli arretrati del presunto aiuto gratuito contro l’Iran. Poi incoraggiò l’alleato iracheno a risolvere la questione annettendo il Kuwait, che gli inglesi avevano arbitrariamente separato dall’Iraq 30 anni prima. Infine, invitò tutti gli Stati del mondo a sostenerlo nel riaffermare il diritto internazionale al posto delle Nazioni Unite.

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Parigi, 21 novembre 1995, firma degli Accordi di Dayton, alla presenza dei più importanti capi di Stato e di governo, compreso il presidente russo; dietro, il presidente Bill Clinton.

Eppure la scomparsa dell’URSS avrebbe dovuto comportare logicamente quella dell’altra superpotenza, ossia gli Stati Uniti, essendo i due imperi arroccati sulle loro posizioni antagoniste. Per evitarne la caduta, i parlamentari statunitensi imposero il riarmo al presidente Bill Clinton, nel 1995. Si consolidarono le forze armate – che avevano smobilitato un milione di uomini – benché a quel tempo non esistesse alcun rivale alla loro altezza. Il sogno di un mondo unipolare – immaginato da Bush senior e diretto dagli affari americani – cedeva quindi il passo a una folle corsa al mantenimento del progetto imperiale.

Il dominio mondiale degli Stati Uniti si è concretizzato attraverso quattro guerre condotte senza l’approvazione delle Nazioni Unite: Jugoslavia (1995 e 1999), Afghanistan (2002), Iraq (2003) e Libia (2011). Questo periodo si è concluso con i 10 veti cinesi e i 16 russi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che hanno impedito espressamente un conflitto aperto contro la Siria.

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Non appena conclusa la guerra del Golfo, il repubblicano Bush senior invitò Paul Wolfowitz a scrivere la Defense Policy Guidance [1] (documento riservato, ma del quale alcuni estratti furono pubblicati dal New York Times e dal Washington Post [2]). Questo militante trotskista e futuro vicesegretario della Difesa così teorizzava nel documento la supremazia statunitense: “Il nostro primo obiettivo è impedire il riemergere di un nuovo rivale – sia sul territorio dell’ex Unione Sovietica, sia altrove – che potrebbe rappresentare una minaccia paragonabile a quella dell’ex URSS. Questa è la preoccupazione principale alla base della nuova strategia di difesa regionale: richiede che ci s’impegni per impedire che qualsiasi potenza ostile possa dominare una regione le cui risorse, se poste sotto controllo, sarebbero forse sufficienti a renderla una potenza globale. Queste regioni comprendono l’Europa, l’Estremo Oriente, i territori dell’ex Unione Sovietica e il Sud-Est asiatico”.

All’interno di questo obiettivo, vi sono tre aspetti ulteriori:
- “Primo, gli Stati Uniti devono mostrare la leadership necessaria per stabilire e garantire un nuovo ordine mondiale in grado di convincere i potenziali concorrenti che non devono aspirare a un ruolo regionale di maggior rilievo né ad assumere una posizione aggressiva per proteggere i loro legittimi interessi.
- Secondo, nelle aree della non-difesa dobbiamo rappresentare gli interessi dei paesi industrializzati in modo tale da scoraggiare una competizione con la nostra leadership o l’eventuale tentativo di rovesciare l’ordine politico ed economico vigente.
- Infine, dobbiamo preservare intatti i meccanismi di deterrenza nei confronti dei potenziali concorrenti per impedire che abbiano la tentazione di svolgere un ruolo regionale di maggior rilievo o, peggio, un ruolo globale”.

La “dottrina Wolfowitz” avrebbe dovuto evitare una nuova Guerra fredda e garantire il ruolo di “gendarme del mondo” agli Stati Uniti. Il presidente Bush senior smobilitò massicciamente le sue forze armate, perché non dovevano essere altro che un semplice corpo di polizia.

Eppure ci siamo trovati di fronte a uno scenario opposto: prima con le quattro guerre di cui sopra, poi il conflitto in Siria, infine in Ucraina contro la Russia.

- È per dimostrare la “leadership necessaria” che Washington decise, nel 2001, di prendere il controllo di tutte le riserve di idrocarburi nel “Grande Medio Oriente”, con le guerre in Afghanistan e Iraq.
- È per “scoraggiare una competizione [degli alleati] con la [loro] leadership” che Washington cambiò i piani nel 2004 e decise di concretizzare la proposta inglese (1) di annettere gli Stati russi non riconosciuti, iniziando dall’Ossezia del Sud, e (2) di rovesciare i governi laici arabi a favore dei Fratelli musulmani, le “Primavere arabe”.
- Infine, è per scoraggiare la Russia dall’assumere “un ruolo globale” che Washington oggi arma i jihadisti e gli ex jihadisti in Siria, in Ucraina e in Crimea.

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Paul Wolfowitz servì dapprima il segretario alla Difesa Dick Cheney, durante il mandato di Bush padre, poi il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, durante il mandato di Bush figlio.

Per essere attuata, la dottrina Wolfowitz richiede non solo risorse finanziarie e umane, ma soprattutto un forte desiderio di egemonia. Un gruppo di dirigenti politici e militari spera di raggiungerlo promuovendo la candidatura del figlio di Bush senior, che ispira la famiglia Kagan a creare, all’interno dell’American Enterprise Institute, una sorta di “comitato di influenza”: il Progetto per un nuovo secolo americano. Tale gruppo sarà costretto a falsare le elezioni presidenziali in Florida grazie ad alcuni brogli e all’aiuto del governatore Jeb Bush, fratello di Bush junior, consentendo a quest’ultimo l’ascesa alla Casa Bianca. Prima di questo, l’organizzazione si era attivamente adoperata per preparare nuove guerre di conquista, in particolare in Iraq.

Ma il nuovo presidente fa fatica a obbedire e costringe i suoi sostenitori a dare una scossa all’opinione pubblica, che paragonano a una “Nuova Pearl Harbor”: l’11 settembre 2001.

LA SVOLTA DELL’11 SETTEMBRE

Tutti credono di sapere ciò che è veramente successo l’11 settembre 2001 e citano gli aerei che colpirono le Torri Gemelle e distrussero parte del Pentagono. Ma dietro a questi eventi e all’interpretazione fornita dall’amministrazione Bush si nasconde tutta un’altra storia.

Mentre due aerei colpivano il World Trade Center, gli uffici del vicepresidente venivano devastati dalle fiamme e si sentivano due esplosioni al Pentagono, il coordinatore nazionale della lotta al terrorismo, Richard Clarke, avviò la procedura per la “Continuità di Governo” (COG) [3]. Ideata durante la Guerra fredda, in caso di guerra nucleare e decapitazione dei centri del potere esecutivo e legislativo avrebbe dovuto salvare il paese affidandone tutte le responsabilità a un’autorità ad interim segretamente designata in precedenza. Ma quel giorno nessuno dei capi eletti era morto.

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L’ingresso del sito “R”, bunker nevralgico degli Stati Uniti. È da questa gigantesca città sotterranea che sono gestite la difesa dello spazio aereo degli USA e del Canada, nonché la potenza offensiva degli Stati Uniti. Ed è da qui che il “governo di continuità” − non più l’amministrazione Bush, il Congresso e la Giustizia − ha governato il Paese nella giornata dell’11 settembre 2001.

Ciononostante, alle 10 di mattina George W. Bush non era più presidente degli Stati Uniti. Il potere esecutivo veniva trasferito dalla Casa Bianca a Washington al sito “R”, il bunker situato nella Raven Rock Mountain [4]. Unità dell’esercito e dei servizi segreti si ritrovarono nella capitale per “proteggere” i membri del Congresso e i loro team. Quasi tutti furono condotti “per la loro sicurezza” in un altro mega-bunker vicino a Washington, il Greenbrier Complex.

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Previsto per accogliere tutti i membri del Congresso − con collaboratori e famiglie − nel mega-bunker di Greenbrier vi è persino una grande sala per sessioni congiunte delle due Camere… da tenersi sotto la protezione del governo di continuità.

Il governo alternativo, la cui composizione non cambiava da almeno nove anni, includeva varie personalità di lungo corso politico tra cui il vicepresidente Dick Cheney, il segretario della Difesa Donald Rumsfeld e l’ex direttore della CIA James Woolsey.

Nel pomeriggio il primo ministro israeliano, Ariel Sharon, si rivolse agli statunitensi mentre si ignorava l’attuazione del piano per la Continuità di Governo e non si avevano notizie di George W. Bush. Manifestò la solidarietà del proprio popolo, anch’esso bersaglio del terrorismo da molto tempo. Parlò come se fosse convinto del fatto che gli attacchi fossero finiti e come se fosse il rappresentante dello Stato americano.

Nel tardo pomeriggio il governo provvisorio restituì il potere esecutivo al presidente Bush, che pronunciò un discorso televisivo, mentre i parlamentari venivano rilasciati.

Si tratta di fatti accertati e non della storiella inverosimile raccontata dall’amministrazione Bush a proposito dei kamikaze che, da una grotta afgana, avrebbero ordito un complotto per distruggere la prima potenza militare del mondo.

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In un libro pubblicato trent’anni prima e divenuto il manuale dei repubblicani durante la campagna elettorale del 2000 – Strategia del colpo di Stato. Manuale pratico [5] –, lo storico Edward Luttwak spiegava che un colpo di Stato ha maggiore successo quando nessuno se ne rende conto, e quindi non vi si oppone. Avrebbe dovuto anche chiarire che, affinché il governo legale possa obbedire ai cospiratori, non basta dare l’illusione di mantenere la stessa squadra al “potere”, ma è altresì necessario che i cospiratori ne facciano parte.

Le decisioni imposte dal governo provvisorio – l’11 settembre – furono approvate dal presidente Bush nei giorni successivi. Sul fronte interno il Bill of Rights (Carta dei Diritti) – vale a dire i primi dieci emendamenti della Costituzione – fu sospeso dall’USA Patriot Act per i casi di terrorismo. Sul piano estero furono pianificati cambi di regime e guerre sia per ostacolare lo sviluppo della Cina e distruggere tutte le strutture statali esistenti del Grande Medio Oriente.

Il presidente Bush accusò gli islamisti degli attentati dell’11 settembre e dichiarò la “guerra al terrorismo”, una frase che suona bene ma che in definitiva non ha senso. Infatti, il terrorismo non è una potenza, ma un metodo di azione. In pochi anni gli attentati – che Washington pretendeva di combattere – si sono moltiplicati in tutto il mondo. Un’altra particolarità di questo nuovo conflitto è il suo nome: “guerra senza fine”.

Quattro giorni dopo la tragedia il presidente Bush si trovò a presiedere un incontro surreale a Camp David, dove fu adottato il principio delle guerre per distruggere tutti gli Stati che fino ad allora non rientravano sotto controllo nel “Grande Medio Oriente”, così come un progetto di omicidi politici a livello internazionale. Questo piano fu chiamato – dal direttore della CIA, George Tenet – “Worldwide Attack Matrix”, ossia la “Matrice dell’attacco mondiale”. L’incontro fu prima citato dal Washington Post [6], poi denunciato dall’ex comandante supremo della NATO, il generale Wesley Clark. Il termine “matrice” sottintende che non si tratta che della fase iniziale di una strategia molto più capillare.

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Il Patto del Mayflower ha ispirato la Costituzione degli Stati Uniti, in seguito profondamente modificata dai dieci primi emendamenti (il Bill of Rights), resi inefficaci dall’USA Patriot Act. I presidenti Bush sono discendenti diretti di uno dei 41 firmatari del documento.

CHI GOVERNA GLI STATI UNITI?

Per capire la crisi istituzionale che stava per aprirsi, bisogna fare un passo indietro.

Il mito fondante degli Stati Uniti assicura che alcuni puritani, convinti dell’impossibilità di riformare la monarchia e la Chiesa inglesi, decisero di costruire nelle Americhe “la nuova Gerusalemme”. Nel 1620 s’imbarcarono per il Nuovo Mondo sulla Mayflower e ringraziarono Dio per aver consentito loro di attraversare il Mar Rosso (l’Atlantico) e sfuggire alla dittatura del faraone (il re d’Inghilterra). Questo atto di riconoscenza è alla base della festa del Ringraziamento.

I puritani sostenevano di obbedire a Dio rispettando sia i comandamenti di Cristo, sia la legge ebraica. Non veneravano in modo particolare i Vangeli, ma tutta la Bibbia. Per loro, l’Antico Testamento era importante quanto il Nuovo. Praticavano una morale austera, erano convinti di essere stati scelti da Dio e di esserne benedetti attraverso la ricchezza. Pertanto, ritenevano che nessun uomo – indipendentemente da cosa facesse – potesse migliorare e che il denaro fosse un dono di Dio riservato ai fedeli.

Questa ideologia ha molte implicazioni che si sono perpetuate fino ai giorni nostri: per esempio il rifiuto di organizzare una forma di solidarietà nazionale – la previdenza sociale – sostituendola con la carità individuale; oppure, in materia penale, la convinzione che criminali si è fin dalla nascita, un principio che portò il Manhattan Institute a promuovere in molti Stati leggi che punissero con pesanti pene detentive i recidivi per piccoli reati, come il fatto di non pagare il biglietto della metropolitana.

Anche se il mito nazionale ha offuscato il fanatismo dei “Padri pellegrini”, costoro al tempo instaurarono una comunità settaria, stabilirono punizioni corporali e costrinsero le donne a portare il velo. In realtà, vi sono molte somiglianze tra i loro costumi e quelli degli islamisti contemporanei.

La guerra d’indipendenza sopraggiunse quando la popolazione delle colonie era profondamente cambiata. Non proveniva più dalla sola Inghilterra, ma comprendeva anche gente del Nord Europa. I patrioti che combattevano il re d’Inghilterra speravano di diventare artefici del proprio destino, edificando istituzioni repubblicane e democratiche. È per loro che Thomas Jefferson scrisse la Dichiarazione d’Indipendenza del 1776, basandosi sull’Illuminismo in generale e sul filosofo John Locke in particolare. Pur tuttavia, fu un’altra fonte a ispirare la Costituzione dopo la vittoria, ovvero il Patto della Mayflower, cioè l’ideologia puritana e il desiderio di creare istituzioni simili a quelle dell’Inghilterra, ma senza la nobiltà ereditaria. Pertanto, respingendo la sovranità popolare furono istituiti i governatori degli Stati federali, un sistema d’altronde assolutamente inaccettabile che fu immediatamente “equilibrato” dai 10 emendamenti costituzionali che compongono il Bill of Rights. Il testo finale riserva pertanto la responsabilità politica alle élite degli Stati federali e attribuisce ai cittadini il diritto di difendersi in tribunale contro la “Ragion di Stato”.

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Firmando l’USA Patriot Act, il presidente Bush figlio annulla il Bill of Rights (Dichiarazione dei Diritti): i cittadini statunitensi coinvolti in fatti di terrorismo non sono più protetti di fronte alla ragion di Stato.

Sospendendo il Bill of Rights per ogni evento ricollegabile al terrorismo, l’USA Patriot Act ci riporta alla Costituzione di due secoli prima, privando i cittadini dei loro diritti in tribunale e squilibrando di nuovo le istituzioni. Sottomette perciò il potere all’ideologia puritana e garantisce unicamente gli interessi delle élite degli Stati federali.

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Il promotore immobiliare Donald Trump è stato il solo a mettere in dubbio, il pomeriggio stesso dell’11 settembre 2001, la versione del crollo delle Twin Towers imposta dall’amministrazione Bush. Mantenendo la mente fredda, Trump afferma che secondo i suoi ingegneri (che avevano costruito il World Trade Center) degli aerei di linea non potevano aver causato la distruzione delle Torri.

Il colpo di Stato dell’11 settembre ha diviso queste élite in due gruppi, ovvero chi lo ha sostenuto e chi ha finto d’ignorarlo. Le poche figure che vi si sono opposte – come il senatore Paul Wellstone – sono state fisicamente eliminate. Hanno però preso la parola alcuni cittadini, soprattutto due immobiliari miliardari: così, la sera dell’11 settembre, Donald Trump nega ciò che sta per diventare la versione ufficiale sul Canal 9 di New York. Dopo aver ricordato che gli ingegneri che hanno costruito le Torri [Gemelle] sono entrati poi nella sua azienda, sottolinea l’impossibilità che il crollo di Torri tanto massicce sia stato dovuto unicamente all’impatto degli aerei (e agli incendi). Conclude che necessariamente devono esserci stati altri fattori, non ancora noti. Un altro imprenditore, Jimmy Walter, sacrifica parte del suo patrimonio per acquistare spazi pubblicitari sui giornali e per pubblicare DVD che analizzino i reali motivi della devastazione.

Nei quindici anni successivi, i due gruppi di cospiratori e complici passivi – che hanno lo stesso obiettivo di dominio interno ed estero – si affrontano regolarmente finché non saranno apparentemente entrambi rovesciati dal movimento popolare guidato da Donald Trump.

(Segue…)

FONTE: https://www.voltairenet.org/article213709.html

 

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

Non solo auto: 13 tonnellate di “Tesla megapack” prendono fuoco da sole

 

Luglio 31, 2021 posted by Guido da Landriano

Non sono solo le Tesla a prendere fuoco a causa delle batterie, anche gli accumulatori a uso industriale si possono autodistruggere. Un complesso dda 13 tonnellate di batteria tesla, detto “Megapack” ha preso fuoco e si è distrutto completamente nello stato di Victoria, in Australia. Megapack è uno dei più grandi progetti di accumulazione della Tesla.

Questo complesso di accumulatori, soprannominato “Victorian Big Battery”, è stato recentemente commissionato dalle autorità locali “per aumentare l’affidabilità energetica dello stato, abbassare i prezzi dell’elettricità e sostenere la transizione del Victoria verso l’energia rinnovabile, oltre a creare posti di lavoro locali mentre adottiamo misure verso la normalità del COVID”. Invece è stato l’origine di un grande incendio.

Fire and Rescue Victoria ha rilasciato una dichiarazione venerdì indicando che le squadre dei vigili del fuoco stavano “rispondendo a un grande incendio della batteria” nell’impianto situato a Moorabool. I fumi tossici dell’incendio della batteria hanno innescato avvertimenti sulla qualità dell’aria per i sobborghi circostanti e consigliato alle persone di spostarsi all’interno e chiudere le finestre. Ecco un video.

L’impianto stava “Conducendo dei test” sulla sua capacità funzionale, ma pare che stavolta non abbia funzionato. La ricerca di fonti energetiche alternative ed ecologiche viene a richiedere un sempre maggiore uso di queste tecnologie. Vedremo quindi un’esplosione d’incendi di accumulatori in futuro. Tra l’altro questi impianti, come possiamo vedere nella successiva immagine, sono enormi. Immaginate se bruciassero completamente

FONTE: https://scenarieconomici.it/non-solo-auto-13-tonnellate-di-tesla-megapack-prendono-fuoco-da-sole/

 

STORIA

COME LA GUERRA ECONOMICA AMERICANA PROVOCÒ L’ATTACCO A PEARL HARBOR

Data: 7 Dicembre 2012

Fonte: Mises Daily (http://mises.org/daily/author/369/Robert-Higgs)

A cura di: Robert
Higgs

(Questo discorso fa
parte della Conferenza di Arthur M. Krolman in occasione del 30° Anniversario
del Summit dei Sostenitori del Ludwig von Mises Institute, Callaway Gardens,
Georgia, del 26 Ottobre 2012. Visibile anche su youtube: 
http://www.youtube.com/watch?v=9p8z1A3TsxU&feature=player_embedded 

Molte persone vengono fuorviate dalle convenzionalità.
Ritengono, ad esempio, che gli Stati Uniti andarono in guerra contro la Germania
e il Giappone solo dopo la loro dichiarazione di guerra a queste nazioni nel
Dicembre del 1941. In verità, gli Stati Uniti erano già in guerra ben prima di
fare queste dichiarazioni, una guerra che aveva forme molteplici. Ad esempio,
la Marina degli Stati Uniti aveva l’ordine di “sparare a vista” sui convogli
marittimi tedeschi, convogli che potevano includere anche navi inglesi,
nell’Atlantico del Nord nonché su gran parte della rotta di navigazione tra
l’America e la Gran Bretagna, nonostante i sottomarini tedeschi avessero
l’ordine di astenersi (e si astennero!) dall’attaccare i bastimenti americani.
Stati Uniti e Gran Bretagna si misero d’accordo per condividere
controspionaggio, sviluppo di armamenti, test militari congiunti e per
intraprendere altre forme di cooperazione correlate alla guerra. L’apparato
militare americano collaborò con quello britannico in operazioni di
combattimento contro i tedeschi, ad esempio, allertando la marina inglese
sull’avvistamento aereo o marino di sottomarini tedeschi che venivano poi
attaccati dagli inglesi. Il governo americano si impegnò numerose volte nel
fornire forniture e assistenza militare, o di altro tipo, agli inglesi, ai
francesi e ai sovietici, che stavano combattendo i tedeschi. Il governo
statunitense fornì aiuti e assistenza militare, inclusi aerei da guerra e
piloti, ai cinesi che erano in guerra col Giappone (1). I militari americani si
impegnarono attivamente assieme agli inglesi, ai paesi del Commonwealth
britannico e alle Indie orientali olandesi per future operazioni belliche
congiunte contro il Giappone. Ancora più importante il fatto che il governo
americano si impegnò in una serie di sempre maggiori stringenti e ostili misure
economiche che spinsero i giapponesi in una difficile situazione e che le
autorità americane sapevano che sarebbe stata la miccia che avrebbe spinto il
Giappone ad attaccare territori e forze americane nella regione del Pacifico
nel tentativo di assicurarsi l’approvvigionamento delle materie prime
essenziali che americani, inglesi e olandesi (governo in esilio) avevano messo
sotto embargo (2).

Esaminate queste dichiarazioni riassuntive di George Victor,
non certo un critico di Roosevelt, nel suo ben documentato libro: The Pearl Harbor Myth (il mito di Pearl
Harbor):

“ Roosevelt aveva
condotto gli Stati Uniti in guerra contro la Germania già nella primavera del
1941, una guerra su piccola scala. Da allora in poi egli incrementò
gradualmente la partecipazione militare americana. L’attacco del Giappone il 7
Dicembre 1941 lo mise nella posizione di incrementarlo ulteriormente e di
ottenere una dichiarazione di guerra. Pearl Harbor viene considerato come la
fine di una lunga catena di eventi, col contributo degli Stati Uniti che
perseguivano una strategia formulata dopo la caduta della Francia. Agli occhi
di Roosevelt e dei suoi consiglieri, le iniziative prese agli inizi del 1941
giustificavano una dichiarazione di guerra tedesca contro gli Stati Uniti, una
dichiarazione che, con loro grande delusione, non arrivava. Roosevelt disse al
suo ambasciatore in Francia, William Bullitt, che l’entrata in guerra americana
contro la Germania era certa ma che bisognava aspettare un “incidente” ed egli
era fiducioso che i tedeschi glielo avrebbero dato. Stabilire quindi un
precedente in cui il nemico avrebbe sparato il primo colpo, era un tema che faceva
parte delle tattiche di Roosevelt. Pare infine che fosse arrivato alla
conclusione, rivelatasi poi corretta, che il Giappone sarebbe stato più facile
da provocare, facendolo attaccare gli Stati Uniti, di quanto lo fosse stato per
la Germania (3). Il principio che il Giappone attaccò gli Stati Uniti senza
provocazione era tipica retorica. La cosa funzionò perché il pubblico non
sapeva che l’amministrazione americana si aspettava una risposta bellica alle
iniziative anti-giapponesi intraprese nel Luglio 1941.

Temendo di perdere la
guerra con gli Stati Uniti, ed in modo disastroso, i dirigenti politici
giapponesi avevano tentato disperatamente di negoziare. Su questo punto, la
maggior parte degli storici concordano da tempo. Nel frattempo sono emerse le
prove che Roosevelt e Hull rifiutarono di trattare in modo persistente. Il
Giappone offrì compromessi e concessioni, alle quali gli Stati Uniti si
opponevano con richieste sempre maggiori. Solo dopo aver appreso della
decisione del Giappone di entrare in guerra con gli Stati Uniti che Roosevelt
decise di interrompere tutti i negoziati. Secondo il procuratore Generale
Francis Biddle, Roosevelt disse di sperare in un “incidente” nel Pacifico per
portare gli Stati Uniti nel teatro di guerra europeo (4). “

Questi fatti e numerosi altri che puntano nella stessa
direzione, non rappresentano per lo più niente di nuovo. Molti di questi erano
disponibili al pubblico fin dagli anni 40. Già nel 1953 chiunque poteva leggere
una raccolta di saggi fortemente documentati sui vari aspetti della politica
estera americana a fine degli anni 30 e inizi anni 40, pubblicati da Harry
Elmer Barnes, i quali provavano i numerosi modi dei quali il governo americano
era responsabile per il coinvolgimento della nazione nella Seconda Guerra
Mondiale. In poche parole si dimostrava che l’amministrazione Roosevelt voleva
portare il paese in guerra e lavorò alacremente in varie direzioni per
assicurarsi, presto o tardi che ce l’avrebbe fatta, preferibilmente in un modo
che avrebbe unito l’opinione pubblica sulla guerra facendo passare gli Stati
Uniti come la vittima di un aggressione deliberata (5). Come testimoniò il
Segretario della Guerra, Henry Stimson, dopo il conflitto: “avevamo bisogno che i giapponese facessero
il primo passo” 
(6)

Oggi comunque, a oltre settant’anni da quegli eventi,
probabilmente nemmeno un americano su mille, o forse su diecimila, ha una vaga
conoscenza di questa storia. La fazione pro-Roosevelt, pro-americana,
pro-Seconda Guerra Mondiale è stata così efficace in questo paese da dominare
l’insegnamento e la narrativa popolare circa l’impegno americano nella “Buona
Guerra”.

Verso la fine del 19° secolo l’economia del Giappone iniziò
a crescere e si andava verso una rapida industrializzazione. Poiché il Giappone
ha poche risorse naturali, molte delle sue industrie nascenti dovevano contare
su materie prime importate, come carbone, minerale di ferro, cascami di
acciaio, stagno, rame, bauxite, gomma e petrolio. Senza l’accesso a queste
importazioni, molte delle quali provenivano dagli Stati Uniti o da colonie
europee nel sud-est asiatico, l’economia industriale giapponese si sarebbe
paralizzata. Impegnandosi tuttavia nel commercio internazionale, i giapponesi,
già nel 1941, avevano costruito un economia industriale moderatamente avanzata.
Allo stesso tempo costruirono un complesso militare-industriale per sostenere
un esercito e una marina sempre più forti. Queste forze armate consentivano al
Giappone di estendere il suo potere verso varie località del Pacifico e
dell’Asia Orientale, inclusa la Corea e la Cina del Nord, un po’ come fecero
gli Stati Uniti usando la loro crescente potenza industriale per attrezzare le
loro forze armate che proiettavano il potere americano verso i Caraibi,
l’America Latina e persino nelle lontane Isole Filippine.

Quando Franklin D. Roosevelt divenne presidente nel 1933, il
governo americano cadde sotto il controllo di un uomo al quale non piacevano i
giapponesi e che coltivava una romantica simpatia per i cinesi in quanto, così
come avrebbero ipotizzato alcuni scrittori, gli avi di Roosevelt avevano fatto
i soldi con il commercio con la Cina (7). A Roosevelt non piacevano in genere
nemmeno i tedeschi ed in particolare Adolf Hitler, tendendo a favorire i
britannici nei suoi rapporti personali e negli affari internazionali. Egli non
si curò in modo particolare della politica estera fintanto che il suo New Deal
non si esaurì nel 1937.  A partire da
quel momento egli faceva pesantemente affidamento sulla politica estera per
realizzare le sue ambizioni politiche, incluso il suo desiderio di essere
rieletto per una terza volta senza precedenti.

Quando la Germania iniziò a riarmarsi ed a cercare in modo
aggressivo il suo Lebensraum (spazio vitale) alla fine degli anni 30,
l’amministrazione Roosevelt collaborò strettamente con i britannici e i
francesi in modo da ostacolare l’espansione tedesca. Dopo l’inizio della guerra
mondiale nel 1939, questa assistenza americana crebbe sempre di più andando a
creare misure come il cosìdetto Destroyer Deal (accordo sulle
cacciatorpediniere) e l’ingannevole programma chiamato Lend-Lease (prestito e
affitto). Nell’anticipo all’entrata in guerra degli USA, gli staff militari
britannici e americani idearono segretamente dei piani per operazioni
congiunte. Le forze americane cercavano di creare un incidente che
giustificasse una guerra cooperando con la marina inglese nell’attaccare  i sottomarini tedeschi nell’Atlantico del
Nord, ma Hitler si rifiutò di abboccare all’amo, negando così a Roosevelt il
pretesto che cercava per trasformare gli Stati Uniti un belligerante dichiarato
a tutti gli effetti, una belligeranza che la grande maggioranza degli americani
non voleva.

Nel Giugno del 1940, Henry L. Stimson, che era stato
Segretario alla Guerra sotto la presidenza di William Howard Taft e Segretario
di Stato sotto quella di Herbert Hoover, divenne nuovamente Segretario alla
Guerra. Stimson era un leone dell’alta classe anglofila nordorientale e non era
un amico dei giapponesi. A sostegno della cosidetta “Politica della Porta Aperta”
per la Cina, Stimson appoggiò l’uso di sanzioni economiche per ostacolare
l’avanzata giapponese in Asia. Il Segretario del Tesoro Henry Morgenthau ed il
Segretario agli Interni Harold Ickes avallarono con vigore questa politica.
Roosevelt sperava che queste sanzioni avrebbero spronato i giapponesi a
commettere un imprudente errore lanciando un attacco bellico contro gli Stati
Uniti che avrebbe coinvolto la Germania perché Giappone e Germania erano
alleati.

Mentre l’amministrazione Roosevelt liquidava bruscamente le
aperture diplomatiche giapponesi per armonizzare i rapporti, di fatto impose
una serie di sanzioni sempre più severe al Giappone. Il 2 Luglio 1940 Roosevelt
firmò il Decreto sul Controllo delle Esportazioni, che autorizzava il
Presidente a concedere o a vietare l’esportazione di materiali strategici
vitali. In virtù di questo Decreto il 31 Luglio 1940 le esportazioni di
carburanti per motori d’aereo e lubrificanti nonché materiali di ferro per
fusione e scarti di acciaio, furono limitate. Poi, sempre muovendosi contro il
Giappone, Roosevelt appioppò un embargo, con decorrenza 16 Ottobre 1940, su
tutte le esportazioni su materiali in ferro e acciaio destinate a paesi che non
fossero la Gran Bretagna o nazioni dell’emisfero occidentale. Infine, il 26
Luglio 1941, Roosevelt congelò i depositi giapponesi negli USA, mettendo quindi
la parola fine alle relazioni commerciali fra le due nazioni. Una settimana
dopo Roosevelt pose l’embargo sulle esportazioni di alcuni tipi di petrolio che
facevano ancora parte del flusso commerciale col Giappone. (8) Gli inglesi e
gli olandesi seguirono a ruota ponendo sotto embargo le esportazioni verso il
Giappone provenienti dalle loro colonie del sudest asiatico.

Roosevelt e i suoi subalterni sapevano di mettere il
Giappone in una situazione insostenibile e che il governo giapponese avrebbe
presto tentato di sfuggire allo strangolamento entrando in guerra. Avendo
decriptato il codice diplomatico giapponese, i dirigenti americani sapevano,
fra le altre cose, cosa aveva comunicato il Ministro degli Esteri Tijiro Toyoda
all’Ambasciatore Kichisaburo Nomura in data 31 Luglio 1941: “ I rapporti
economici e commerciali fra il Giappone e i paesi terzi, guidati da Inghilterra
e Stati Uniti, stanno gradualmente diventando così orribilmente tesi da non
poter più sopportare a lungo. Pertanto, il nostro Impero, per salvaguardare la
propria esistenza, deve prendere le misure per assicurarsi le materie prime dei
Mari del Sud “ (9)

Poiché i criptografi americani avevano anche decriptato il
codice navale giapponese, i leaders di Washington sapevano che le “misure” del
Giappone avrebbero incluso un attacco a Pearl Harbor (10). Anzi, nascosero
questa seria informazione ai comandanti allae Hawaii i quali avrebbero potuto
affrontare l’attacco o prepararsi per difendersi. Che Roosevelt e i suoi
scagnozzi non abbiano dato l’allarme ha perfettamente un senso: dopo tutto
l’incombente attacco rappresentava esattamente ciò che stavano cercando da
tempo. Come Stimson scrisse nel suo diario dopo una riunione del Gabinetto di
Guerra il 25 Novembre 1941: “ la questione era come dovevamo manovrarli (i
giapponesi) per portarli a sparare il primo colpo senza causare troppi danni a
noi stessi”. Dopo l’attacco Stimson ammise che “ il mio primo pensiero fu il
sollievo…..che si stava delinenando una crisi che avrebbe unito tutto il nostro
popolo” (11).

Note:

1) Vedi “Flying
Tigers” (le tigri volanti), Wikipedia. 
http://en.wikipedia.org/wiki/Flying_Tigers

2) Robert Higgs, “How U.S Economic Warfare
Provoked Japan’s Attack on Pearl Harbor” (come la Guerra economica degli USA
provocò l’attacco giapponese a Pearl Harbor), The Freeman 56 (Maggio 2006),
pag. 36-37

3) George Victor, The Pearl Harbor Myth: Rethinking
the Unthinkable (il mito di Pearl Harbor: ripensare l’impensabile), Dulles,
Va.: Potomac Books, 2007, pag. 179-180, 184, 185,

4) Ibid., pag. 15, 202, 240

5) Vedi “Perpetual War for Perpetual Peace: A
Critical Examination of the Foreign Policy of Franklin Delano Roosevelt and Its
Aftermath” (Guerra perpetua per la pace perpetua: un esame critico della
politica estera di F.D. Roosevelt e le sue conseguenze), edito da Harry Elmer
Barnes (Caldwell, Id., Caxton printers, 1953)

6) Stimson come
citato in “Pearl Harbor Myth” (il mito di Pearl Harbor) di Victor, pag. 105

7) Harry Elmer
Barnes, “Summary and Conclusions” (riassunto e conclusioni) nella “Guerra
perpetua per la pace perpetua: un esame critico della politica estera di F.D.
Roosevelt e le sue conseguenze”, edito da Harry Elmer Barnes (Caldwell, Idaho:
Caxton Printers, 1953), pag. 682-83

8) Tutte le citazioni
in questo paragrafo sono di George Morgenstern, “The Actual Road to Pearl
Harbor” (la vera strada per Pearl Harbor), nell’edizione di barnes “Guerra
perpetua per la pace perpetua”, pag. 322-23, 327-28

9) Citato in “la vera
strada per Pearl Harbor” di Morgenstern, pag. 329

10) Robert B. Stinnett: “Day of Deceit: The
Truth About FDR and Pearl Harbor” (il giorno dell’inganno: la verità du F.D.
Roosevelt e Pearl Harbor), New York, Free Press, 2000

11) Citato in “la
vera strada per Pearl Harbor” di Morgenstern, pag. 343, 384
 

Robert Higgs è membro
anziano in economia politica per l’Independent Institute ed editore del The
Independent Review. E’ stato il destinatario nel 2007 del Premio Gary G.
Schlarbaum per il “Lifetime Achievement in the Cause of Liberty”. Potete
inviargli un email a: 
rhiggs2377@aol.com 

Traduzione a cura di: Gian Franco SPOTTI

FONTE: https://www.andreacarancini.it/2013/01/come-la-guerra-economica-americana/

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