RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
17 AGOSTO 2021
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Uno, sebbene i dottori lo curassero,
gli estraessero sangue e gli dessero da inghiottire delle medicine,
ciò nonostante, era guarito lo stesso.
(Tolstoj, Guerra e pace, Garzanti, 1994)
Cit. da: PAOLO NORI, Repertorio dei matti della letteratura russa, Salani, 2021, pag. 168
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SOMMARIO
È questo ciò che c’è veramente dietro la guerra alla proprietà della casa?
Ecco i furbetti del Green Pass, ma non sono quelli che vi aspettate
Nel 2012, Pfizer Italia ammetteva di aver dato mazzette a dottori corrotti per promuovere i suoi farmaci
Come l’industria di genere usa l’empatia per convertire l’insicurezza umana in denaro
Denatalità, tasse, immigrazione. Ecco perché finiremo come l’Impero Romano
Le orge dei Diavoli e i bimbi “strappati”: la vera storia di Veleno
Cina, Russia, Turchia e Pakistan: si muove il nuovo “Grande Gioco”
Afghanistan: è fallita la privatizzazione nella guerra
Iran – Israele: riparte la guerra delle petroliere
LA “TRASMIGRAZIONE” E LA “PARABOLA DELLA TARTARUGA”
Quanto costa la sorveglianza dei cittadini?
Terrorismo, finanza, pandemia, ambiente: il secolo delle emergenze
La folle censura che lascia liberi i tagliagole
Habemus backup! Il miracolo alla Regione Lazio
“Da Uruk a Lagos, la città è il laboratorio dell’uomo”
Virus biologico e virus psicologico, la seconda pandemia
Ecco cos’è successo quando l’Italia entrò nell’Euro. Il retroscena di Fazio
Green pass: il nodo dei controlli, il pettine del GDPR
Ecco la verità sugli sbarchi: così sono aumentati
Dopo i rincari Pfizer alla UE, sorge un ricordo improvviso
La battaglia di Joe Biden per la “democrazia”
2001-2021 i conti che non tornano
Doppio standard di moralità
Una chicca sul Green Pass di cui si parla poco, ma ha grande valenza
Un CEO virtuale. Dalla legge di Moore alla legge di Huang
La Legge di Moore spiegata in 10 esempi
IN EVIDENZA
È questo ciò che c’è veramente dietro la guerra alla proprietà della casa?
Scritto da Kit Knightly via Off-Guardian.org,
Diventare una “Nazione di affittuari” è chiaramente una parte importante della Nuova Normalità…
L’incipiente “Great Reset” è una bestia dalle mille sfaccettature. Parliamo molto di passaporti e blocchi per i vaccini e degli aspetti legati al Covid – e dovremmo – ma c’è di più.
Ricorda, vogliono che tu “non possieda nulla e sia felice” . E proprio in cima alla lista delle cose che non dovresti assolutamente possedere, c’è la tua casa.
I titoli su questo argomento sono stati costanti negli ultimi anni, ma ha accelerato sulla scia della “pandemia” (come tante altre cose). Un’agenda nascosta nelle ultime pagine, dietro ai grandi numeri rossi senza senso del Covid, ma forse non per questo meno sinistri.
Puoi trovare articoli in tutta la rete che parlano dell’affitto piuttosto che del possesso.
Il mese scorso, ad esempio, Bloomberg ha pubblicato un articolo intitolato :
L’America dovrebbe diventare una nazione di affittuari”
Che elogia ciò che chiamano “la liquefazione del mercato immobiliare” ed espone allegramente l’idea che “Le stesse caratteristiche che hanno reso l’acquisto di una casa un investimento conveniente e stabile stanno per finire”.
The Atlantic ha pubblicato “Perché è meglio affittare che possedere” a marzo.
Pagine finanziarie da Business Insider a Forbes a Yahoo e Bloomberg ancora sono pieni di liste dal titolo “9 Ways Noleggiare è meglio che comprare” , o simili .
Altre pubblicazioni sono più personali, con colonne aneddotiche sull’ignoranza dei consigli finanziari e sul rifiuto di acquistare la propria casa . Vox, mai uno da vendere la propria agenda con alcun tipo di sottigliezza, ha un pezzo intitolato :
La proprietà della casa può tirare fuori il peggio di te
Che letteralmente sostiene che l’acquisto di una casa può renderti una persona cattiva:
È la cosa più grande che potresti mai comprare. E potrebbe trasformarti in una persona cattiva.
Quindi qual è esattamente la narrativa qui? Qual è la storia dietro la storia?
La risposta breve è abbastanza semplice: si tratta di avidità e di controllo.
Quasi sempre lo è, alla fine.
La risposta più lunga è piuttosto più complicata. Le principali società di investimento come Vanguard e Blackrock, insieme a società di noleggio come American Homes 4 Rent, stanno acquistando case unifamiliari in numeri record, a volte interi quartieri alla volta.
Pagano ben più del valore di mercato, fissando i prezzi alle famiglie che vogliono possedere quelle case fuori dal mercato, il che fa aumentare il mercato immobiliare mentre la recessione creata dal Lockdown sta abbassando i salari e creando milioni di nuovi disoccupati.
Naturalmente, questo sta motivando le persone a vendere le case che già possiedono.
Le persone in tutta l’America sono state gravate di case che valgono meno di quelle per cui le hanno acquistate dal crollo economico del 2008 e sono ansiose di prendere i soldi dalle società di investimento private pagando il 10-20% sul valore di mercato . Combina una recessione economica con un boom immobiliare creato e avrai un’enorme popolazione di venditori motivati.
Naturalmente, molti di questi venditori non si rendono conto, finché non è troppo tardi, che, anche se tenta di ridimensionare o spostare ad una zona più conveniente, possono essere un prezzo fuori dal mercato del tutto, e costretti a noleggiare .
Pertanto, nell’ultimo anno, si stima che la quota di investimento privato nell’acquisto di case unifamiliari sia aumentata di dieci volte, passando dal 2% nel 2018 a oltre il 20% quest’anno.
Poiché sempre più persone sono costrette ad affittare, ovviamente, le proprietà in affitto saranno sempre più richieste. Questo a sua volta farà aumentare il costo dell’affitto.
Market Watch ha già riferito che, nell’ultimo anno, l’affitto è aumentato di oltre 3 volte più velocemente di quanto previsto dal governo .
È probabile che questo problema peggiori nel prossimo futuro.
Ieri sera, il Congresso “ha fallito accidentalmente” nel prolungare il divieto di sfratto legato al Covid .
Il che significa che questo fine settimana, mentre i senatori si aggiorneranno sulle case estive che probabilmente non affittano, il divieto finirà ufficialmente e molte persone rischiano di vedersi pignorare le loro case o di essere cacciati dai padroni di casa .
I nuovi edifici vuoti saranno una frenesia alimentare per i grandi proprietari terrieri aziendali. Che scenderanno sulle banche come iene affamate per accaparrarsi le proprietà pignorate per pochi centesimi di dollaro. Proprio come hanno fatto nel 2008 .
Niente di tutto questo è un segreto, è stato coperto dal mainstream . Tucker Carlson ha anche realizzato un segmento all’inizio di giugno .
Il Wall Street Journal titolava, ad aprile, “Se vendi una casa in questi giorni, l’acquirente potrebbe essere un fondo pensione” , e ha riportato:
Gli investitori alla ricerca del rendimento stanno acquistando case unifamiliari, competendo con gli americani normali e aumentando i prezzi
Tuttavia, da allora, qualcosa è chiaramente cambiato. La macchina della propaganda si è messa in moto per difendere Wall Street da qualsiasi contraccolpo.
Non si può trovare un esempio migliore di questo cambiamento di The Atlantic, che ha pubblicato questa storia nel 2019 :
QUANDO WALL STREET È IL TUO PADRONE
Con l’aiuto del governo federale, gli investitori istituzionali sono diventati i principali attori nel mercato degli affitti. Hanno promesso di restituire profitti ai loro investitori e convenienza ai loro inquilini. Gli investitori sono felici. Gli inquilini no.
…e questa storia il mese scorso :
BLACKROCK NON STA ROVINANDO IL MERCATO IMMOBILIARE USA
Il vero cattivo non è un Golia di Wall Street senza volto; sono i tuoi vicini e le amministrazioni locali a fermare la costruzione di nuove unità.
Tornando al Vox bene abbiamo:
Wall Street non è da biasimare per il caotico mercato immobiliare
Che è uscito pochi giorni dopo l’articolo sull’Atlantico, ed è praticamente identico.
Entrambi questi articoli (stranamente simili) sostengono che Wall Street e le società di private equity non possono essere incolpate per l’acquisto di case e che il vero problema è la mancanza di offerta per soddisfare la domanda.
Vedete, tutte le persone “egoiste” che già possiedono case (hanno detto che ti rende una persona cattiva) stanno bloccando la costruzione di nuove case, e quindi aumentando il costo della proprietà attraverso la scarsità.
Questo è stato per decenni un argomento logicamente errato sul mercato immobiliare.
Che non ci siano abbastanza case da comprare è palesemente assurdo quando i dati del censimento statunitense dicono che ci sono oltre 15 milioni di case attualmente vuote . È abbastanza per ospitare tutti i circa 500.000 senzatetto americani di oltre 30 volte.
Ci sono un sacco di case, ma non ci sono abbastanza soldi per comprarle.
La ragione di ciò è la stessa ragione per cui la California ha enormi “campi per senzatetto” nelle sue principali città e che così tante persone devono diventare affittuari invece che proprietari: stagnazione dei salari .
Da decenni ormai, gli aumenti salariali sono rimasti indietro rispetto all’aumento del costo della vita. Negli anni ’60 un lavoro a tempo pieno poteva permettere un tenore di vita dignitoso per una famiglia di quattro o più persone. In questi giorni entrambi i genitori lavorano, a volte più lavori ciascuno.
Sono state enormi quantità di deregolamentazione finanziaria a creare questa situazione. Quindi, che tu creda o meno all’apologia di BlackRock di Vox, in un modo o nell’altro Wall Street è sicuramente la colpa.
Ma non si tratta solo di soldi. Non lo è mai. Proprio come la guerra al denaro non riguarda solo l’efficienza, e la spinta ambientale non riguarda solo il cambiamento climatico. Idem veganismo. Si tratta di controllo. Proprio come i vaccini, i lockdown e le mascherine.
Si tratta sempre di controllare.
È un cliché spesso usato, ma non per questo meno vero, che la proprietà di una casa “da alle persone un interesse nella società” . Una casa a conduzione familiare è una fonte di sicurezza per il futuro e qualcosa da lasciare ai tuoi figli. È anche sovranità e privacy. Il tuo spazio che nessun altro può controllare o portare via.
In breve: un proprietario di casa è indipendente. Un affittuario non lo è. Un affittuario può essere controllato. Un proprietario di casa non può.
È lo stesso ragionamento alla base del modo in cui i lavoratori sono stati incoraggiati a contrarre prestiti e diventare schiavi del debito . Se limiti le opzioni delle persone, se le fai contare su di te per avere un tetto sulla testa, hai il controllo su di loro.
C’è un ottimo articolo su questa situazione chiamato “I tuoi nuovi signori feudali” .
Sotto il feudalesimo, la terra non era di proprietà della classe operaia, ma fornita loro da baroni terrieri, da qui il termine “Signore della terra”. Se hai mancato di rispetto al tuo Signore, o hai infranto le sue regole, o ha percepito che un altro contadino/animale da fattoria/raccolto sarebbe un uso migliore della terra, potrebbe riprendersela.
In sostanza, il comportamento dei servi era tenuto sotto controllo dalla loro dipendenza dalla nobiltà per un posto in cui vivere. Questa è la dinamica per cui stanno andando qui.
I contratti di locazione possono essere pieni di tutti i termini e le condizioni che il proprietario desidera e più le persone disperate ottengono più diritti dei consumatori che firmeranno.
Forse accetterai contatori intelligenti che monitorano le tue abitudini di consumo di energia o di Internet, e poi venderai i dati a modellisti comportamentali e marketer virali.
Forse dovrai accettare alcune limitazioni di potenza o carenza d’acqua per “combattere il cambiamento climatico”.
Forse andrà peggio di così.
Forse andranno in piena distopia aziendale in stile Black Mirror . Forse, attraverso programmi di affiliazione, la megasocietà proprietaria della tua casa in affitto ha legami con McDonald’s, e in quanto tale ti chiederà di non mangiare in nessun fast-food concorrente in franchising, o ti chiederà di osservare almeno novanta secondi di pubblicità Disney per giorno.
Forse sarà semplice come includere lo stato del vaccino nel contratto di locazione, rendendo impossibile per i non vaccinati trovare una casa.
Forse vogliono solo rendere infelici i poveri.
Dopotutto, i super-ricchi hanno tutto il denaro di cui potrebbero aver bisogno e tutto il lusso di cui potrebbero mai servirsi. Il loro tenore di vita è il più alto fisicamente possibile. Quindi forse l’unico modo in cui possono continuare a “vincere” è iniziare a ridurre il tenore di vita di noi proletari .
Nessun viaggio aereo. Niente vacanze. Non uscire affatto. Vivi in una casa minuscola , o in un baccello . Mangia insetti . Sbarazzati della tua auto . Noleggia i tuoi vestiti . O i tuoi mobili . Pagare le tasse sullo zucchero . E alcol . E carne rossa .
Sono stati molto chiari su questo. Ti hanno parlato del Grande Reset e dell’Internet of Things . Quello è il piano.
Non sarai proprietario di una casa. E sarai felice… altrimenti la mega-corporazione da cui sei costretto ad affittare ti butterà fuori.
FONTE: https://www.zerohedge.com/geopolitical/whats-really-behind-war-home-ownership
Ecco i furbetti del Green Pass, ma non sono quelli che vi aspettate
Alcuni sviluppatori hanno creato e stanno vendendo agli esercenti delle soluzioni tecnologiche per la verifica dei Green Pass in totale spregio della precisa indicazione normativa circa l’esclusività di impiego dell’app “VerificaC19”.
A fianco del podio degli scemi del Green Pass che compone un’anticipazione della hall of shame che popolerà la prossima attualità, arrivano anche i furbetti. E sia chiaro: non intendiamo parlare di quanti si faranno prestare da un amico un Green Pass per superare i controlli.
Il fenomeno che ha trovato ampia diffusione è quello di alcuni sviluppatori che hanno creato e stanno vendendo agli esercenti delle soluzioni tecnologiche per la verifica dei Green Pass in totale spregio della precisa indicazione normativa circa l’esclusività di impiego dell’app VerificaC19 e del divieto di registrare le informazioni dell’intestatario in qualunque forma nel contesto dell’attività di verifica. Occorre chiarire infatti che l’unica attività lecita è la consultazione dei dati personali che emergono dalla verifica (con l’eventuale esibizione di documento) e non la trasmissione né tantomeno l’archiviazione o la conservazione.
Alcuni esempi. Gli eventuali sistemi di blocco per impedire un riutilizzo del QR code, secondo l’attuale quadro normativo, non possono essere implementati in quanto il dato sarebbe comunque oggetto di (temporanea) registrazione. Per le medesime ragioni, consentire una prenotazione solo previa acquisizione – in senso lato – del Green Pass attraverso la piattaforma e i sistemi dell’organizzazione, costituisce un illecito.
Molto probabilmente, l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha già ricevuto numerose segnalazioni di questi strumenti e pratiche, e dunque non tarderà un intervento di chiarimento e precisazione, in modo analogo a come ha già avuto occasione di fare nel recente passato in risposta a varie iniziative pubbliche e private concernenti l’impiego del Green Pass.
L’imprenditoria spregiudicata, purtroppo, tende a cogliere delle occasioni in tempo di emergenza noncurante degli illeciti che va a causare e, soprattutto, ai danni che può comportare a diritti e libertà fondamentali degli interessati. Inoltre, la mancanza di svolgimento di alcuna valutazione d’impatto sulla protezione dei dati in relazione alle tecnologie così presentate emerge in modo evidente in quanto il difetto di una valida base giuridica sarebbe stato riscontrato già nei primi passaggi della procedura e non avrebbe consentito di andare oltre.
Andando invece ad esplorare i profili di sicurezza dei dati e delle informazioni, le criticità che possono emergere da database così formati sono piuttosto preoccupanti su due fronti: su quello degli interessati, per l’impatto che potrebbe generare una violazione di sicurezza o un malfunzionamento del sistema; su quello dell’interesse pubblico che andrebbe a perseguire la norma che regolamenta gli accessi secondo il Green Pass, nell’ipotesi di sottrazione e reimpiego di QR code validi.
FONTE: https://www.infosec.news/2021/08/15/news/riservatezza-dei-dati/ecco-i-furbetti-del-green-pass-ma-non-sono-quelli-che-vi-aspettate/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Nel 2012, Pfizer Italia ammetteva di aver dato mazzette a dottori corrotti per promuovere i suoi farmaci
Cesare Sacchetti 17 08 2021
Ai medici che accettavano di diventare degli sponsor della Pfizer venivano offerte vacanze premio e molti altri bonus quali telefoni, televisori e fotocopiatrici. Questo è quello che accade tra i camici bianchi da anni.
Larga parte della classe medica è corrotta. Sono in vendita da anni. Sono sul libro paga del cartello farmaceutico da anni. Pur di ingrossare le tasche del loro portafoglio sono disposti a somministrare qualsiasi farmaco, anche il più nocivo, ai propri pazienti.
Quanto accadeva ieri con i vari farmaci accade oggi con il vaccino.
Quando il covidiota afferma convintamente di fidarsi della “scienza” non ha la minima idea che il camice bianco che lui venera non è altro che un medico corrotto al soldo del cartello farmaceutico.
https://www.corpwatch.org/article/pfizer-admits-bribery-eight-countries
FONTE: https://t.me/cesaresacchetti/4175
Come l’industria di genere usa l’empatia per convertire l’insicurezza umana in denaro
di Ben Bartee via The Daily Bell
Come confermerà qualsiasi professionista della pubblicità, la manipolazione emotiva è il fulcro di un marketing efficace. Se il venditore riesce a far provare i sentimenti giusti al potenziale acquirente , l’analisi critica può essere messa da parte.
Le persone bramano naturalmente la realizzazione, l’integrità, l’autorealizzazione; se un annuncio può impacchettarsi e marchiarsi a tal fine, gli inserzionisti hanno già vinto la guerra :
“Le pubblicità fanno appello all’emozione piuttosto che alla ragione . Il materiale promozionale per un farmaco per dormire potrebbe mostrare amici che si godono la cena insieme o un padre impegnato in attività familiari piuttosto che concentrarsi sul prodotto stesso. Gli annunci sono progettati per rimuovere il pensiero dall’equazione “.
Segue quindi la transazione finanziaria desiderata.
L’industria pubblicitaria solo negli Stati Uniti ha generato $ 138 miliardi nel 2019. I profitti per le agenzie pubblicitarie aumentano costantemente a una clip di $ 5-10 miliardi anno dopo anno.
Le aziende investono molto nella pubblicità perché funziona per attirare i clienti.
L’industria automobilistica fa appello a un profondo desiderio di amore.
Compra una Honda, vinci cuori e trova l’amore.
L’industria del fast food usa la stessa tattica di richiamo emotivo.
Preparazioni alimentari industriali cariche di additivi = felicità, gioia dell’infanzia, armonia familiare (a $ 2,79, un piccolo prezzo da pagare)
I legami umani intimi vengono riconfezionati come merci da acquistare e vendere sul mercato aperto.
Johnson e Johnson parlano il ‘linguaggio dell’amore’.
E, naturalmente, l’industria di genere – composta da società farmaceutiche, ospedali a scopo di lucro, associazioni mediche, ecc. – fa appello alle emozioni del cliente [leggi: potenziale paziente].
In questo modo, la compassione viene armata in insalate di parole piene zeppe di gergo insignificante destinato a confondere il lettore nel fondere la vera empatia con l’accettazione bovina del movimento transgender in senso lato.
“Diversità”, “inclusione”, “accettazione”, “compassione”, “empatia” – utilizzando questi dispositivi retorici, il movimento transgender (e l’industria che lo sostiene) pone le linee di battaglia: da un lato, ci sono trans ” alleati” che mostrano amore e compassione. Dall’altra parte del recinto ci sono odiosi e miopi bigotti.
Questa inquadratura permea i più alti livelli di potere nella società americana. Esortando il Congresso a passare il cosiddetto “legge sulla parità” durante il suo 28 aprile ° discorso sullo Stato dell’Unione , il presidente Joe Biden ha preso una pagina del playbook come arma empatia:
“A tutti gli americani transgender che guardano a casa – specialmente ai giovani, che sono così coraggiosi – voglio che tu sappia che il tuo presidente ti protegge”.
Questo strumento retorico si riversa in ogni aspetto della società, comprese le scuole pubbliche dove il “transgender” è ora un’identità protetta:
“Una scuola accogliente e solidale, dove il bullismo e le prese in giro non sono consentiti e ai bambini viene insegnato attivamente a rispettare e celebrare la differenza, è l’ambiente ideale per tutti i bambini. Ciò è particolarmente vero per i bambini con varianti di genere e transgender, che spesso sono oggetto di prese in giro e bullismo. Un bambino non può sentirsi emotivamente sicuro e molto probabilmente avrà problemi di apprendimento, se subisce regolarmente discriminazioni a scuola”.
Se accettiamo questa inquadratura, contrastare le “transizioni di genere” per i bambini delle scuole elementari è di fatto bullismo, mentre i “difensori” trans diventano gli eroi.
In realtà, è vero il contrario; i sostenitori di una sana politica educativa comprendono che promuovere il transgenderismo tra i bambini di prima elementare – troppo giovani per concettualizzare il genere in un modo significativo e informato – è un abuso di autorità eclatante e riprovevole.
I promotori dell’agenda trans che si nascondono dietro scudi di empatia in realtà fanno un danno incalcolabile, evidente nelle strazianti storie di rimpianto dei cosiddetti “de-transizionisti” – quegli individui che sono stati soggetti alla propaganda transgender nella loro giovinezza e, purtroppo, seguito, solo per rimpiangere le loro scelte male informate più avanti nella vita:
“Mi sento un po’ arrabbiato, più che un po’, perché altre persone che sono state in questa posizione sono andate molto più in là di me. Ho amiche lesbiche che non hanno utero, ovaie, seno e hanno 21 anni. Sono arrabbiato per il fatto che ogni singolo medico e terapista che abbiamo visto ci abbia detto che questa era l’unica e unica opzione”.
Questo è il Paese delle Meraviglie; la realtà è stata capovolta dai nuovi totalitari di genere costruttivista; il gioco retorico è truccato.
Il gioco ad alto rischio delle tattiche di manipolazione dell’industria dei trasporti
La posizione di buon senso di non eseguire una “terapia” irreversibile di riassegnazione di genere (bloccanti della pubertà e chirurgia) su giovani impressionabili perde più e più volte – prima ancora che abbia una possibilità – a causa dell’inquadratura del dibattito “trans”.
Nel 21 ° quattrocentesca discorso pubblico degli Stati Uniti, le critiche dell’agenda trans equivale a transfobia sé. Nella suddetta inversione della realtà, il rifiuto della “transizione di genere” indotta chimicamente nei bambini, diventa un attacco ai bambini trans stessi.
Questa dinamica si è manifestata di recente con la conferma del Senato dell’assistente segretaria Rachel Levine , nominata da Biden per i servizi sanitari e umani , ora il funzionario del governo transgender di più alto livello nella storia degli Stati Uniti:
“Mentre una maggioranza bipartisan di senatori ha votato pensando ai migliori interessi del nostro Paese, una minoranza ha dato la priorità all’odio anti-trans rispetto a un’onesta revisione delle qualifiche del dottor Levine. Il loro voto per cavalcare i venti politici estremisti del momento sarà giudicato in tempo, perché la storia non guarda mai con affetto a coloro che votano dalla parte del bigottismo».
Durante il procedimento di conferma, il senatore Rand Paul (R-Kentucky) ha interrogato Levine sulla sua posizione riguardo alla “chirurgia di riassegnazione” transgender per i bambini :
“Dott. Levine, lei ha sostenuto sia la possibilità che ai minori vengano somministrati bloccanti ormonali, per impedire loro di passare attraverso la pubertà, sia la distruzione chirurgica dei genitali di un minore. Come la mutilazione chirurgica, l’interruzione ormonale della pubertà può alterare e prevenire permanentemente i caratteri sessuali secondari… Credi che i minori siano in grado di prendere una decisione che cambia la vita come cambiare il proprio sesso?”
Levine ha schivato la domanda nonostante i molteplici tentativi di estrazione del senatore Paul. Invece di offrire una risposta concreta, Levine ha definito la mutilazione genitale dei bambini un “campo molto complesso e sfumato”.
Com’era prevedibile, i media aziendali hanno caratterizzato l’interrogatorio di Paul su Levine come “transfobico” e lo hanno accusato di diffondere ” disinformazione transfobica “.
Levine non è mai stato costretto a chiarire pubblicamente la propria posizione sull’etica delle operazioni di cambio di sesso infantile. Levine è stato successivamente confermato al posto di HHS con il profondo potere di elaborare la politica medica federale, grazie in gran parte all’empatia armata.
Ben Bartee è un giornalista americano con sede a Bangkok con i pollici opponibili. Contattalo tramite Armageddon Prose . Sostieni il suo giornalismo indipendente a Patreon .
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FONTE: https://www.zerohedge.com/news/2021-08-02/how-gender-industry-weaponizes-empathy-convert-human-insecurity-cash
Denatalità, tasse, immigrazione. Ecco perché finiremo come l’Impero Romano
- VITA E BIOETICA
- 23-02-2015
La pubblicazione in Francia del libro dello storico e giornalista Michel De Jaeghere sulla fine dell’Impero romano diventa un caso politico. Perché la puntuale ricostruzione dei fattori che determinarono la decadenza dell’impero sfida il “politicamente corretto” che impedisce di vedere le inquietanti analogie con la nostra civiltà, che sta morendo allo stesso modo. Cominciando proprio dalla denatalità.
Si può parlare male della Francia finché si vuole, ma bisogna riconoscere ai francesi la capacità di promuovere dibattiti culturali che vanno al di là delle banalità quotidiane. Ne è un buon esempio la vasta discussione che continua sul libro dello storico e giornalista Michel De Jaeghere «Gli ultimi giorni. La fine dell’Impero romano d’Occidente» (Les Belles Lettres, Parigi 2014). Nel febbraio 2015 il mensile cattolico «La Nef» ha dedicato a questo tomo di oltre seicento pagine un numero speciale con diversi articoli pertinenti, ma del libro si continua a parlare negli ambienti più diversi, talora con toni molto accesi.
Perché appassionarsi nel 2015 alla caduta dell’Impero romano? Si tratta certo di uno degli eventi più importanti della storia universale. Ma in realtà il dibattito francese è divenuto rapidamente politico, perché le vicende finali dell’Impero romano ricordano da vicino – lo aveva del resto già notato Benedetto XVI – quelle di un’altra civiltà che sta morendo, la nostra.
De Jaeghere ripete anzitutto quello che è ovvio per gli storici accademici, anche se talora è negato da propagandisti dell’ateismo e nostalgici del paganesimo – forse più presenti e molesti in Francia che altrove -: l’Impero romano non cadde per colpa del cristianesimo. La tesi secondo cui i cristiani, con il loro messaggio di amore e di pace, avrebbero reso l’Impero imbelle di fronte ai barbari – per non risalire a polemisti pagani dei primi secoli come Celso – è stata diffusa dall’Illuminismo, con Voltaire e con lo storico inglese Edward Gibbon. Ma, come ricorda De Jaeghere, è totalmente falsa. Agli inizi del quinto secolo i cristiani nell’Impero romano d’Occidente sono solo il dieci per cento. Sono maggioranza nell’Impero d’Oriente, ma questo resisterà alle invasioni e sopravvivrà per mille anni. Ed è il dieci per cento cristiano che cerca di mantenere in vita Roma e la sua cultura, con vescovi e intellettuali come Ambrogio e Agostino ma anche con generali che si battono fino allo spasimo per difendere l’Impero, come Stilicone ed Ezio, e con tanti soldati cristiani protagonisti di fatti d’arme eroici.
Accantonate le sciocchezze sul cristianesimo, resta la domanda su come l’immenso Impero romano sia potuto cadere. Oggi gli storici sono molto cauti nell’usare la parola «decadenza». È vero che, nell’attuale Italia, negli ultimi secoli dell’Impero duecentomila capifamiglia avevano diritto a somministrazioni gratuite di cibo, che lavorassero o meno, e che i cittadini romani che lavoravano, militari esclusi, avevano centottanta giorni di vacanza all’anno, allietati da spettacoli spesso di dubbio gusto o crudeli. Ma di questa decadenza gli scrittori e i filosofi avevano cominciato a lamentarsi all’epoca di Gesù Cristo, quattrocento anni prima che l’Impero cadesse, in un’epoca in cui Roma le sue battaglie le vinceva ancora.
Alla categoria di «decadenza», suggerisce De Jaeghere, non si può rinunciare a cuor leggero. Ed è giusta l’osservazione di molti storici secondo cui le spiegazioni che attribuiscono la caduta dell’Impero a un’unica causa sono ideologiche. Ma questo non significa che ci si debba arrendere e dichiarare l’evento inspiegabile. Al contrario, De Jaeghere parla di un «processo», che lega le diverse spiegazioni proposte tra loro.
Ancora come Benedetto XVI – senza citarlo – lo storico francese identifica come causa principale che sta all’origine del processo la denatalità. Il controllo delle nascite presso i romani non ha i mezzi tecnici di oggi, ma dilagano l’aborto e l’infanticidio, e aumenta il numero di maschi adulti che dichiarano di volere avere esclusivamente relazioni omosessuali. Il risultato è demograficamente disastroso: Roma passa dal milione di abitanti dei secoli d’oro dell’Impero ai ventimila della fine del quinto secolo, con una caduta del 98%. Le statistiche sulle campagne sono meno sicure, ma dal trenta al cinquanta per cento degli insediamenti agricoli sono abbandonati negli ultimi due secoli dell’Impero, non perché non siano più redditizi ma perché non c’è più nessuno per coltivare la terra.
Quali sono le conseguenze della denatalità? Sono molte, e tutte negative. Dal punto di vista economico, meno popolazione significa meno produttori e meno soggetti che pagano le tasse. L’Impero romano cede alla tentazione di tanti Stati che si sono trovati in condizioni simili. Aumenta le tasse, fino ad ammazzare l’economia: e anche fino a incassare meno tasse, anche se non ci sono economisti per spiegare in termini matematici la curva per cui, se le imposte aumentano troppo, lo Stato finisce per incassare di meno, perché molti vanno in rovina e non pagano più nulla. La caduta dell’Impero è annunciata nel suo ultimo secolo da una rovinosa caduta del novanta per cento degli introiti fiscali. Nelle campagne molti piccoli proprietari che non possono più pagare le tasse vanno a ingrossare le fila, fiorenti, della criminalità e del banditismo.
Roma è alla testa di un sistema che prevede la schiavitù, e la soluzione alla denatalità dei liberi è cercata anzitutto nell’accrescere la natalità degli schiavi, cui è fatto divieto di praticare l’aborto e che sono incitati con le buone e con le cattive a fare più figli. Nell’ultimo secolo dell’Impero nell’attuale Italia il 35% della popolazione è costituito da schiavi. Gli schiavi, però, non pagano tasse, lavorano in modo poco zelante e non hanno alcun interesse a difendere in armi i loro padroni attaccati. L’economia schiavista degli ultimi secoli dell’Impero diventa anche statalista. Sempre di più è lo Stato a gestire grande imprese agricole dove lavorano esclusivamente schiavi.
Sia pure con caratteristiche diverse, il loro contributo scarsamente entusiasta all’economia ricorda quello dei lavoratori e dei contadini sovietici.
Se scarseggiano i cittadini a causa della denatalità, e gli schiavi non risolvono i problemi, l’altra misura cui gli Stati e gli imperi ricorrono di solito per ripopolare i loro territori è la massiccia immigrazione. Si parla molto delle invasioni barbariche. Ma si dimentica, suggerisce De Jaeghere, che la più grande invasione non è avvenuta per conquista ma per immigrazione. L’invasione di Alarico, per esempio, porta all’interno dell’Impero ventimila visigoti. Ma le misure prese per invitare popolazioni germaniche a immigrare, non solo legalmente ma con facilitazioni, per fare fronte al problema della denatalità, portano nel territorio imperiale in trentacinque anni, dal 376 al 411, un milione di immigrati. Certamente i «barbari» emigrano nell’Impero, o lo invadono, perché a casa loro non si sta bene a causa della pressione degli Unni venuti dall’Asia Centrale, una delle cause della caduta di Roma che non possono essere imputate alle classi dirigenti romane. Ma il non governo dell’immigrazione è colpa loro.
Così come la decisione fatale di reclutare gli immigrati per l’esercito – se qualcuno protesta perché non sono cittadini romani, si concede loro rapidamente la cittadinanza – che snatura le legioni. All’inizio del quinto secolo l’esercito romano non è piccolo. È grande più del doppio rispetto ai tempi di Augusto: da 240.000 uomini si è passati a oltre mezzo milione. Il problema è che più della metà sono immigrati di origine germanica: e dichiararli frettolosamente cittadini romani non cambia la loro condizione. È vero, sono «barbari» in maggioranza i legionari, ma sono romani i comandanti e romani gli imperatori da cui prendono ordini. Senonché a un certo punto i «barbari» si rendono conto appunto di essere la maggioranza dei soldati, la maggioranza di coloro che faticano e muoiono. Perché dovrebbero farsi comandare dai romani? Così, alla fine, uccidono i generali romani e li sostituiscono con uomini loro, si uniscono agli invasori etnicamente affini anziché respingerli e, nell’atto conclusivo, marciano su Roma e pongono fine all’Impero.
Del resto, secondo De Jaeghere, da secoli Roma verso le popolazioni germaniche aveva rinunciato ad avere una «politica estera» che non fosse l’invito all’immigrazione. Le foreste del Nord sembravano ai romani un mondo caotico, dove bande e capi diversi e imprevedibili si uccidevano tra loro, e un mondo con poche ricchezze da portare a Roma. Di qui la decisione – gravemente sbagliata – di disinteressarsi di una vasta area nord-europea, lasciando che lì si formassero lentamente le forze che avrebbero aggredito e distrutto l’Impero, anche perché la globalizzazione dei commerci – pur senza televisione e senza Internet – informava questi «barbari» delle favolose ricchezze di Roma, e scatenava i loro appetiti.
Si comprende come questa sequenza che vede le cause della caduta di Roma in un processo che va dalla denatalità alla persecuzione fiscale dei cittadini, allo statalismo dell’economia e all’immigrazione non governata non piaccia a qualcuno. A De Jaeghere è stato opposto che l’immigrazione è una risorsa, che gli imperatori avrebbero dovuto valorizzare, e che il vero problema fu la loro incapacità di pensare l’Impero in termini nuovi e multiculturali, non l’aumento degli immigrati. È evidente che queste obiezioni «politicamente corrette» nascono dal timore del paragone con l’Europa di oggi, paragone cui lo stesso De Jaeghere non si sottrae, pur invitando alla cautela.
Nello stesso tempo, il suo libro offre una risposta alle obiezioni che allarga il quadro. A Roma venne meno un tasso di natalità capace di sostenere un Impero, con conseguenze a cascata sull’economia e la difesa. Ma perché questo avvenne? Perché a un certo punto i romani scelsero la strada di quello che, con riferimento all’Europa dei giorni nostri, San Giovanni Paolo II avrebbe chiamato «suicidio demografico»? Il libro sostiene che vennero lentamente meno i due pilastri della cultura romana, la «pietas» e la «fides», la lealtà alle tradizioni morali e religiose trasmesse dai padri e la fedeltà alla parola data e agli impegni assunti come cittadino romano nei confronti della patria.
Le cause di questa «decadenza» – in questo senso la parola non va abbandonata – sono molteplici. Intorno all’epoca di Gesù Cristo l’aristocrazia romana si trasforma da élite guerriera e militare a élite terriera e latifondista, che riceve a Roma i proventi di possedimenti che spesso non ha neppure mai visitato. Questa nuova élite è più interessata ai piaceri che alla difesa dell’Impero, che considera comunque eterno e invincibile. E comincia a non fare figli: tutte le famiglie tradizionalmente aristocratiche dell’epoca di Gesù Cristo si estinguono prima del 300 d.C. tranne una, la gens Acilia, che si converte al cristianesimo. L’esempio delle classi dirigenti, come sempre accade, fa proseliti. La moda del figlio unico, o di nessun figlio, arriva fino alla plebe.
L’obiezione degli storici, soprattutto inglesi e americani, che negano la tesi della decadenza, è che tutto questo riguarda soprattutto Roma o comunque le grandi città, mentre ancora nell’ultimo secolo dell’Impero l’85% della sua popolazione vive nelle campagne. Ma anche qui, nota De Jaeghere, vengono meno la «pietas» e la «fides». Perché l’Impero, troppo multiculturalista e cosmopolita e non troppo poco, è percepito come una lontana burocrazia che prende decisioni incomprensibili e si fa viva soprattutto per aumentare le tasse. Il piccolo proprietario di campagna nel migliore dei casi è disposto a battersi per difendere il suo villaggio, non i remoti confini di un Impero che percepisce come lontano e verso il quale non sente più nessun «patriottismo», nel peggiore accoglie i «barbari» come liberatori dal fisco romano che lo sta mandando in rovina.
Certamente De Jaeghere potrebbe dedicare più attenzione alle ragioni strettamente religiose del declino, studiate in chiave sociologica da Rodney Stark. Il declino della religione pagana, non più persuasiva per nessuno, è alle origini del declino della «pietas». Avrebbe potuto sostituirla il cristianesimo – di fatto lo farà, ma più tardi – che, come dimostra anche solo una rapida lettura di Sant’Agostino, sapeva trovare in sé le ragioni per difendere l’Impero e la cosa pubblica, di cui non si disinteressava affatto. Ma nell’Impero Romano d’Occidente, anche quando lo professavano gli imperatori, il cristianesimo era minoritario.
Le lezioni per il nostro mondo sono ovvie. Con tutte le cautele che richiede ogni paragone fra epoche diversissime, la caduta di Roma mostra come grandi civiltà possano finire, e che il modo della loro fine normalmente è demografico. Gli imperi cadono quando non fanno più figli, e la denatalità innesca una spirale diabolica di tasse insostenibili, statalismo dell’economia, immigrazione non governata ed eserciti imbelli. Per capire la pertinenza della parabola romana rispetto ai giorni nostri non servono troppi libri, basta aprire le finestre e guardarsi intorno.
Su un punto, peraltro, i critici di De Jaeghere hanno qualche ragione. Gli immigrati e gli invasori di Roma avevano un vantaggio rispetto a immigrati e «invasori» di oggi. In gran parte germanici, non erano portatori di una cultura forte. Riconoscevano la superiorità della cultura romana: cercarono di appropriarsene e finirono anche per convertirsi al cristianesimo. Attraverso secoli di sangue, sudore e fatica la caduta dell’Impero romano d’Occidente prepara così la cristianità del Medioevo.
Oggi gli immigrati e gli «invasori» – invasori tramite l’economia, o aspiranti invasori in armi come il Califfo – sono portatori di un pensiero fortissimo, sia quello islamico o quello cinese: non pensano di dovere assimilare la nostra cultura ma vogliono convincerci della superiorità della loro. La crisi che potrebbe seguirne potrebbe essere ancora più letale di quanto fu per l’Europa la caduta di Roma. Per questo, discutere sulle ragioni della caduta dell’Impero romano d’Occidente non è un puro esercizio intellettuale.
FONTE: https://lanuovabq.it/it/denatalita-tasse-immigrazioneecco-perche-finiremo-come-limpero-romano
BELPAESE DA SALVARE
Le orge dei Diavoli e i bimbi “strappati”: la vera storia di Veleno
17 Agosto 2021 – 08:09
Alla fine degli anni ’90 in due paesi della Bassa Modenese vennero alla luce una serie di casi di presunti abusi sessuali: 16 bambini vennero allontanati dalle loro famiglie. Zii, nonni e genitori finirono sotto processo, una presunta setta di pedofili, che venne messa in dubbio dall’inchiesta “Veleno”
Abusi sessuali, riti satanici, omicidi, pedofilia. Alla fine degli anni ’90 in due paesini della Bassa Modenese iniziano a circolare queste parole e si diffondono tra la popolazione. In quel periodo infatti 16 bambini da zero a 12 anni vengono allontanati dalle proprie famiglie, accusate di far parte di una presunta setta satanica che avrebbe abusato di loro. Scoppiò così il caso dei “Diavoli della Bassa Modenese“, che portò a processi durati anni e terminati con condanne e assoluzioni.
Il “bambino zero”
Tutto iniziò da una famiglia di Massa Finalese, composta da Romano Galliera, la moglie Adriana e tre figli. Si trattava di una famiglia che si trovava in una situazione difficile, anche dal punto di vista economico, e nel 1992 il tribunale fece intervenire i servizi sociali per i due figli minori. Il più piccolo, Davide, venne ospitato dalla famiglia di Oddina e Silvio. Per qualche tempo il bimbo restò con loro, fino a che venne trasferito al Cenacolo Francescano, a Reggio Emilia: era il giorno di Santo Stefano del 1993 quando Davide venne accompagnato nell’istituto, dove rimarrà per quasi due anni. Poi, all’età di 5 anni, venne affidato a un’altra famiglia della provincia di Mantova e nel 1995 iniziarono i rientri programmati dai genitori naturali. Nel frattempo ad aiutare i Galliera c’era, oltre alla famiglia di Oddina, anche don Giorgio Govoni, il parroco della zona, che gli mise a disposizione un’abitazione. Davide tornò a casa per l’ultima volta il 23 febbraio 1997: da quel giorno le visite alla famiglia biologica si interruppero bruscamente. Il motivo venne a galla poco meno di due mesi più tardi: il 17 maggio 1997 i carabinieri arrestano il padre e il fratello maggiorenne del bambino, sospettati di abusi sessuali.
Nell’aprile dello stesso anno infatti, prima la maestra e poi la mamma affidataria avevano raccolto una confidenza di Davide, che raccontava di alcuni “scherzi” che il fratello avrebbe fatto alla sorella “sotto le coperte“. Come ha raccontato il giornalista Pablo Trincia nel podcast Veleno, all’epoca la madre affidataria venne sentita dalle forze dell’ordine, alle quali dichiarò che Davide tornava incupito dai weekend a casa: “Fui io a un certo punto – si legge nel verbale della madre affidataria, riportato da Trincia – a chiedergli se quelle cose fatte a Barbara erano state afflitte anche a lui da Igor. Dario mi disse di sì“. Igor, Barbara e Dario sono i nomi di fantasia usati dal giornalista, per non rivelare le generalità delle persone coinvolte nella vicenda. Davide (ora adulto e uscito allo scoperto con il suo vero nome) non accusò però solamente il fratello, ma anche la madre e il padre.
Iniziò da queste prime rivelazioni il caso di quelli che i giornali del tempo ribattezzarono “I Diavoli della Bassa Modenese”, un gruppo di persone accusato prima di abusi, poi di riti satanici e omicidi. Dopo le accuse alla famiglia Davide raccontò altri particolari: “Nei giorni scorsi ha ricominciato a peggiorare nel suo umore – si legge ancora nel verbale sulle dichiarazioni della mamma affidataria – e a mia domanda se ci fosse ancora qualcosa da raccontare, mi ha riferito episodi riguardanti una certa signora Rosa“. E nel cerchio di abusi entrarono anche Rosa e Alfredo, due amici del padre: Davide disse che avevano abusato di lui e gli avevano scattato delle fotografie. Così, quella che sembrava una vicenda di violenza intrafamiliare, si trasformò ben presto in un presunto giro di pedofilia. Ma le rivelazioni di Davide non si erano esaurite.
Il cerchio si allarga
Non molto tempo dopo il bimbo fece i nomi (qui di fantasia) di altre due bambine che sarebbero state presunte vittime di abusi e come lui consegnate ad alcune persone in cambio di soldi: Elisa, di 3 anni, e Marta, 8 anni. La prima era figlia di Federico Scotta, operaio di Mirandola, e Lamhab Kaenphet, di origini thailandesi: si trattava di una famiglia già seguita dai servizi sociali. Il 7 luglio del 1997 le forze dell’ordine si presentarono a casa Scotta, perquisirono l’abitazione e chiesero ai genitori di seguirli alla questura di Mirandola insieme a Elisa e al figlio più piccolo. “Quando sono salito su per andare a notificare l’atto – ha raccontato Federico a Pablo Trincia – Elisa dormiva in braccio a me e Nicola invece dormiva in braccio a mia moglie. Li abbiamo dovuti lasciare su una poltrona puzzolente, putrida del commissariato di Mirandola. Nicola l’abbiamo dovuto legare nel passeggino e ci dicevano non vi preoccupate, quando scendete giù al massimo li vedete ancora“. Da quel momento invece Federico e Kaenphet non rividero più i loro bimbi, che vennero allontanati dai servizi sociali. Quella mattina in questura c’era anche Francesca Ederoclite, una vicina di casa della famiglia Scotta e madre della bambina di 8 anni, Marta. La polizia era arrivata anche in casa sua e anche a lei era stata tolta la figlia: Davide infatti aveva fatto alla psicologa anche il suo nome. Entrambe le bimbe vennero portate da una ginecologa, che confermò gli abusi subiti. Il 28 settembre del 1997, prima dell’inizio del processo di primo grado a Modena, Francesca Ederoclite si suicidò, gettandosi dalla finestra al quinto piano del suo appartamento. Fu con la morte della madre che Marta iniziò a parlare, accusando la donna.
Nel gennaio 1998 iniziò il primo processo, che coinvolgeva 4 diversi nuclei familiari. Il primo era quello composto dai Galliera (marito, moglie e figlio maggiore), accusati di abusi verso Davide e di aver organizzato degli incontri in cui venivano fatti prostituire i bambini. Imputati poi erano anche Alfredo Bergamini, indicato come colui che fotografava e filmava i bambini, e la compagna Maria Rosa Busi, oltre a Francesco Scotta, accusato di aver coinvolto la figlia nei festini. La sentenza di primo grado, riportata dalla Gazzetta di Modena del tempo, condannò tutti gli imputati: Romano Galliera a 12 anni, la moglie Adriana a 7, il figlio a 4; Alfredo Bergamini a 13 anni e la compagna a 7 anni e 6 mesi; Francesco Scotta a 12 anni. Francesca Ederoclite morì prima del processo. La Corte d’Appello prima e la Cassazione poi confermarono le condanne per abusi in ambito domestico.
I riti nei cimiteri
Nell’estate del 1997 il “bambino zero” iniziò ad aggiungere ulteriori particolari alle rivelazioni fatte agli psicologi. Fu in quel periodo che iniziò ad ambientare alcuni dei suoi racconti nei cimiteri. Non solo. Il bimbo iniziò anche a fare riferimento a un “sindaco” di nome Giorgio vestito con una tunica, che sarebbe stato a capo della banda di pedofili. Ma il sindaco non si chiamava Giorgio: per questo nel mirino degli inquirenti finì un prete. Il 13 settembre del 1997 i giornali locali diedero la notizia del suo coinvolgimento: “Pedofilia, nella banda anche un sacerdote“. Successivamente i bambini fecero il nome di don Giorgio Govoni, il parroco della zona che aveva aiutato anche i Gallera, e lo accusarono di far parte del presunto gruppo di pedofili della Bassa Modenese.
Nel frattempo altre due bambine, entrambe di Massa Finalese, vennero allontanate dalle proprie famiglie. La prima fu Michela (nome di fantasia), che venne prelevata mentre era a scuola, la mattina del 16 marzo 1998. Era la figlia minore di Santo e Maria Giacco che, oltre a lei, avevano altri cinque bambini. A segnalare il suo caso ai servizi sociali era stata proprio la scuola, dopo alcuni riferimenti espliciti sul sesso fatti dalla bimba a una compagna di classe, che ne aveva parlato con la madre. Anche in questo caso la dottoressa, la stessa che aveva già visitato Marta ed Elisa, confermò la presenza di alcuni segni compatibili con abusi. Dopo qualche tempo, Michela iniziò ad accusare il padre, che venne arrestato e accusato di aver abusato della figlia e di averla condotta nei cimiteri insieme agli altri bambini. Accuse dalle quali venne assolto dopo anni di processi, come riportò la Gazzetta di Modena.
Il 2 luglio del 1998 anche Milena (nome di fantasia) venne allontanata dalla casa dove viveva col padre Giuliano Morselli e la madre Monica Roda e confidò alla psicologa di essere stata vittima di abusi e riti satanici, con il coinvolgimento di altri membri della famiglia (genitori, zii e il nonno paterno). Anche questa volta la dottoressa confermò gli abusi. Come già avevano fatto Davide e Marta, anche Milena e Michela raccontarono di rituali satanici, messe nere nei cimiteri, sangue e uomini col volto coperto da maschere di animali e diavoli. Era il 29 ottobre del 1998 quando Davide fece un’altra rivelazione, che trasformò i cimiteri da luoghi di abusi a scenari di omicidi. Alla psicologa il bimbo raccontò di aver ucciso un bambino con un coltello, guidato dal padre nel corso di uno dei riti satanici. A confermare le parole del più piccolo dei Galliera arrivarono poco tempo dopo anche i ricordi di altre bambine, che raccontarono di omicidi di bambini e torture.
Le rivelazioni di questo secondo filone di indagini portarono a un nuovo processo a Modena, chiamato “Pedofili-bis”, che coinvolse 17 imputati, accusati di due diverse tipologie di reato: da un lato si trattava dei presunti abusi sessuali commessi in ambito domestico, dall’altro degli atti violenti nei cimiteri. Il 16 maggio 2000 nella sua requisitoria finale il pm indicò don Giorgio Govoni come figura di riferimento della presunta rete di pedofili che operava nei cimiteri e chiese per il sacerdote 14 anni di carcere. Due giorni dopo don Govoni, che si era sempre professato innocente, morì per un infarto. Nel giugno 2000, come riportò Repubblica, il tribunale dichiarò colpevoli 14 imputati, per un totale di 157 anni di carcere, e ritenne di “non doversi procedere” nei confronti di don Govoni, “per morte del reo“, che nelle motivazioni della sentenza venne indicato come il capo della setta. Gli imputati vennero ritenuti colpevoli sia per gli abusi domestici, che per i riti nei cimiteri. In secondo grado però i giudici della Corte d’Appello di Bologna ribaltarono la situazione, sostenendo che le accuse riguardanti le violenze nei cimiteri e i riti satanici non reggessero. Diverso invece il discorso per gli abusi domestici, che vennero confermati in alcuni casi e per alcuni imputati. Nel 2002 la Cassazione ribadì sostanzialmente la sentenza, scagionando definitivamente don Giorgio e facendo cadere le accuse legate ai cimiteri.
Il caso che arrivò in Parlamento
Quando nel 1998, la figlia di Giuliano Morselli raccontò dei riti satanici nei cimiteri, chiamò in causa anche i suoi quattro cuginetti, figli di Lorena Morselli e Delfino Covezzi. Anche loro, secondo Milena, venivano portati nei cimiteri e subivano le violenze della setta di pedofili. Così, alle 5.45 del 12 novembre 1998, la polizia bussò alla porta dei coniugi Covezzi, a Finale Emilia. Non solo, perché quella notte altri due bambini di Massa Finalese vennero allontanati dalle loro famiglie e altre persone furono fermate, tra cui il padre, gli zii e il nonno di Milena, che lei aveva indicato come pedofili, accusa poi ribadita anche dai figli di Lorena e Delfino. Dopo l’allontanamento i quattro fratelli Covezzi vennero visitati dagli stessi dottori che avevano individuato gli abusi sugli altri bambini e l’esito risultò lo stesso.
Il caso di Lorena e Delfino però è diverso da quello degli altri genitori implicati in questa storia. Loro infatti non vennero accusati di abusi, ma di non essersi accorti che i propri figli venivano portati nei cimiteri. Per questo, il loro caso arrivò fino in Parlamento. Fu l’onorevole Carlo Giovanardi a presentare, nel marzo del 1999, un’interpellanza rivolta all’allora ministro della Giustizia Oliviero Diliberto, in cui venivano chieste spiegazioni circa l’allontanamento dei minori dai genitori, dal momento che “non risulta che il Covezzi e la Morselli siano a nessun titolo indagati“. La risposta del ministro venne programmata per l’11 marzo, ma venne chiesta una proroga fino al 18 marzo. La sera prima però ai coniugi Covezzi venne consegnato un avviso di garanzia: la più grande dei quattro figli infatti aveva accusato i genitori biologici di abusi. Franco Corleone, sottosegretario di Stato per la Giustizia, durante la risposta all’interpellanza spiegò che l’11 marzo “era stato ascoltato, come persona informata dei fatti, l’affidatario della più grande dei quattro fratelli, il quale aveva riferito che la bambina gli aveva confermato di aver subito abusi da parte delle persone già indagate, ma anche che sarebbe stata oggetto di violenze sessuali da parte del padre, con l’attiva complicità della madre. A quanto riferito dalla bambina, le violenze sarebbero avvenute anche in danno dei fratelli“. Successivamente, il 17 marzo, era stato avviato il procedimento penale nei confronti dei coniugi Covezzi. “Crede che qualcuno mi possa togliere dalla testa che vi è stata un’improvvisa accelerazione di determinate dinamiche – aveva commentato Giovanardi al tempo – talché, non sapendo o non potendo spiegare all’opinione pubblica come sia possibile che in un Paese civile come l’Italia per cinque mesi quattro minori siano stati allontanati dai genitori senza che questi fossero indagati, è stata subito ‘spiattellata’ la soluzione: ma come non sono indagati?“.
Così anche Lorena e Delfino si ritrovarono implicati nel presunto giro di pedofilia, tesi che confluì nel terzo processo, il “Pedofili-ter”. Nel 2002 i coniugi Covezzi vennero condannati a 12 anni di reclusione: i racconti dei bambini vennero considerati attendibili, così come le perizie dei medici che attestarono gli abusi. Successivamente però i consulenti della difesa e del gip contestarono le affermazioni dei dottori che avevano visitato i figli di Lorena e Delfino, sostenendo l’assenza di segni di abuso sessuale. La sentenza di appello, arrivata solo nel 2010, ribaltò il giudizio di primo grado e i coniugi Covezzi vennero assolti. Ma la trafila giudiziaria non finì qui: nel 2011 la Cassazione annullò la decisione dell’appello con rinvio a giudizio e nel 2013 il nuovo appello si concluse con un’assoluzione, confermata definitivamente nel 2014 dalla Cassazione. Ci fu anche un processo “Pedofili-quater”, nel quale vennero accusati il padre e i fratelli di Lorena di abusi nei confronti della nipote, che sarebbe stata violentata fuori dalla scuola. Ma nel 2005 e poi nel 2012 tutti vennero assolti. Nonostante l’assoluzione dei genitori, ancora oggi la figlia più grande, Valeria, conferma di aver subito abusi. Lo ha recentemente ribadito in un’intervista a Visto del gennaio 2020, riportata su un sito dedicato a Richard Gardner: “Non ho mai avuto dubbi sugli abusi sessuali subiti, né sui riti satanici che ho visto consumare al cimitero – aveva dichiarato Valeria – essere allontanata dalla mia famiglia di origine è stata la mia salvezza“. E ricorda: “Non eravamo al sicuro nella nostra famiglia d’origine: la violenza domestica e gli abusi sessuali avvenivano con frequenza quotidiana da parte di Delfino, degli zii materni e del nonno“.
“Veleno”
Il caso dei “Diavoli della Bassa Modenese” sconvolse un’intera comunità. Ma, se da una parte c’erano i bambini che avevano denunciato gli abusi, gli assistenti sociali e le famiglie adottive, dall’altra c’erano i genitori biologici, che urlavano la loro innocenza. A dar loro voce fu il giornalista Pablo Trincia che nel 2017, insieme alla collega Alessia Rafanelli, riportò l’attenzione sul caso realizzando per Repubblica il podcast Veleno. Già negli anni dei processi, emersero intorno alla vicenda alcuni punti interrogativi: “Non c’è nessuna confessione – scriveva nel 2000 la Gazzetta di Modena in relazione al processo ‘Pedofili-bis’- Mai trovato alcun reperto”, come foto, filmati, oggetti usati per compiere i riti, né i cadaveri dei bambini uccisi negli omicidi descritti durante i colloqui. Venne poi messo in dubbio il lavoro svolto da psicologhe e servizi sociali, tanto che nella sentenza della Corte d’Appello del 2013 che assolse i coniugi Covezzi, riportata al tempo dalla Gazzetta di Modena, si legge: “Tutti i minorenni, presi in carico dai servizi sociali, vennero seguiti dalle medesime due psicologhe le quali, dati per certi la buona fede e l’impegno, erano oggettivamente inesperte, mai avendo in precedenza trattato casi di abuso sessuale in danno di minori. Incredibilmente, pur a fronte di un numero sempre maggiore di minori indicati come abusati, o presunti tali, la direzione dei servizi, per quanto consta a questa Corte, non ritenne di affiancare alle due psicologhe personale dotato di maggiore esperienza“. Inoltre, continua la sentenza, “non si è tenuto conto delle possibili contaminazioni per così dire ambientali che questo singolarissimo fiorire di vicende, tutte coinvolgenti minori di una ristrettissima area geografica, può avere avuto sui racconti dei minori medesimi“.
VIDEO QUI: https://youtu.be/CTcqsjzUcmE
Pablo Trincia recuperò i documenti legati al caso e riuscì a trovare anche una serie di video di alcuni colloqui tra i bambini e le psicologhe. Molti dei primi incontri non vennero registrati, ma di quelli successivi esiste qualche filmato. “Il grosso sospetto di molti – dichiara il giornalista nel podcast – è che questi eventi drammatici non solo non siano mai accaduti, ma che siano state proprio le psicologhe a introdurre per prime i racconti degli abusi e dei cimiteri“. In uno dei video riportati anche nella nuova serie Amazon PrimeVideo “Veleno” si vedono una psicologa e una bambina la quale, dopo mesi di lontananza, è tornata nella città dove abitava prima di essere allontanata dalla famiglia. “Siamo passati anche per la piazza“, dice la bimba. “E che effetto ti ha fatto vederla?“, chiede la psicologa. “Un po’ di emozione“, continua la piccola, che alla domanda “sapresti dare un nome a questa emozione?” risponde: “Gioia“. Ma nel video la psicologa insiste: “Forse c’è anche un’altra emozione insieme alla gioia? C’è un’altra emozione oppure no?”. “No, solo un po’ di gioia”, è la prima risposta della piccola. Ma la donna continua: “Forse ci può essere anche un briciolo di sofferenza a tornare qui, può essere? Solo che per te è difficile dirlo. Forse sono anche accadute delle cose che ti fa soffrire ricordare“. E a quel punto la bambina annuisce.
Nel corso dell’inchiesta giornalista, Trincia e Rafanelli erano riusciti a rintracciare Davide, il “bambino zero“, che aveva dichiarato: “Io sinceramente non sono più sicuro di quello che è successo o non è successo. Poi molti psicologi cercano anche di farti dire quello che vogliono loro“. E recentemente Davide ha confermato di aver raccontato episodi mai accaduti: “Non c’era nulla di vero, mi sono inventato tutto“, ha rivelato a Repubblica qualche settimana fa. Il ragazzo ha raccontato che una volta, dopo uno dei rientri presso la famiglia biologica, era tornato molto triste. A qual punto, “la donna che poi diventò la mia mamma adottiva mi chiese se fossi stato maltrattato. Ha insistito tanto che alla fine le dissi di sì“. Poi, dopo diversi colloqui, “mi chiesero di dire dei nomi e io inventai dei nomi a caso, su un foglio – racconta Davide – Per disperazione. Ho inventato che mio fratello aveva abusato di me, che c’erano delle persone che facevano dei riti satanici“. Prima di lui anche altre due bambine avevano smentito gli abusi.
Ma se alcuni degli ex bambini hanno ritrattato le accuse mosse al tempo, sostenendo di essere stati indotti a fare racconti inverosimili e non corrispondenti alla realtà, molti altri confermano ancora oggi i terribili racconti fatti alla fine degli anni ’90. E per far sentire la loro voce hanno fondato il comitato Voci Vere, che unisce ex bambini e componenti delle famiglie affidatarie, con lo scopo di ribattere nella bufera mediatica creatasi a seguito del podcast che ha riacceso i riflettori sulla vicenda. Il comitato, spiegano i membri, “si prefigge di promuovere nelle opportune sedi ogni utile iniziativa per tutelare gli interessi di coloro che furono giovani vittime di abusi sessuali e maltrattamenti subiti verso la fine degli anni ’90 nei territori della Bassa modenese”. Per farlo, molti di loro hanno deciso di partecipare al documentario di Amazon PrimeVideo, durante il quale hanno raccontato nuovamente di abusi, riti satanici nei cimiteri e omicidi: “Io dico che ce n’è una di verità – afferma Valeria Covezzi in un passaggio del documentario – bisogna solo avere il coraggio di accettarla“.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/cronache/dai-diavoli-veleno-caso-pedofilia-bassa-modenese-1956510.html
CONFLITTI GEOPOLITICI
Cina, Russia, Turchia e Pakistan: si muove il nuovo “Grande Gioco”
Lorenzo Vita 16 AGOSTO 2021
La caduta di Kabul apre scenari su chi prenderà il posto lasciato vuoto dal ritiro degli Stati Uniti. Forse nessuno. Forse tutti, spartendosi il Paese. O forse ci sarà una potenza in grado di prevalere su un’altra. Impossibile al momento fare previsioni. Ma quello che è certo è che la diplomazia delle altre potenze regionali si è da tempo attivata per frenare un disastro ampiamente prevedibile.
Messo al sicuro il personale, ora le cancellerie lavorano su come gestire quello che sembra essere ormai definitivamente un nuovo regime: l’Emirato islamico dell’Afghanistan. L’inviato del Cremlino in Afghanistan, Zamir Kabulov, ha confermato che l’ambasciatore a Kabul incontrerà i talebani martedì. A Radio Echo Moskvj, Kabulov ha riferito che l’incontro non equivale però un accordo già scritto: “Il riconoscimento o meno dipenderà da cosa farà il nuovo regime”. Il rappresentante russo a Kabul, l’ambasciatore Dmitry Zhirnov, ha spiegato a Russia 24 che i talebani hanno garantito il loro impegno per “un Afghanistan libero dal terrorismo e dal traffico di droga, dove i diritti umani saranno rispettati. Un Paese che avrà buone relazioni con il mondo intero”. Ma lo stesso ambasciatore ha mostrato cautela. L’ordine arrivato Mosca sembra essere quello di prestare particolare attenzione: i talebani, del resto, sono conosciuti molto bene nelle alte gerarchie militari e politiche russe. Ed è per questo che sul riconoscimento dell’Emirato peseranno molte variabili: a cominciare dalla questione terrorismo, molto cara al Cremlino. La Russia non sembra essere particolarmente contenta di quello che sta accadendo in Asia centrale, e anche per questo ha mobilitato le truppe per esercitazioni che sanno anche di avvertimento.
Il riconoscimento del governo talebano interroga anche Pechino. La Cina non ha mai negato di avere costruito una trama di rapporti con gli “studenti coranici”, come dimostrato dall’incontro di Tianjin a luglio tra il ministro Wang Yi e una delegazione talebana guidata dal mullah Abdul Ghani Baradar. Così, all’indomani della caduta di Kabul, il governo della Repubblica popolare ha dato le prime disposizioni. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, ha detto che il suo Paese intende avere una “cooperazione di buon vicinato e amichevole” con l’Afghanistan, assumendo “un ruolo costruttivo nella pace e nella ricostruzione”. L’obiettivo è riuscire a incardinare il Paese nel progetto strategico della One Belt One Road. Tuttavia, come riportato da Agi, non va dimenticato il legame del nuovo Emirato con integralisti islamici che preoccupano anche la Cina. Lo ha spiegato l’ex ambasciatore in Iran, Hua Linming, parlando al South China Morning Post. “Il gruppo ha legami così radicati e complessi con gruppi estremisti e terroristi”, ha affermato il diplomatico cinese, “che è troppo presto per dire quanto la Cina debba essere preoccupata”. Aperture, quindi, ma senza eccessive dosi di ottimismo. Il caos e l’insorgenza islamista sono elementi che fanno riflettere chiunque, anche il Politburo cinese. Ed è chiaro che sarà importante capire non solo come si comporterà la Cina, ma anche cosa farà il rivale strategico che potrebbe inserirsi nella partita dell’Asia centrale: l’India.
Anche la Turchia, unico Paese Nato che sembra interessato all’Afghanistan anche per puri interessi strategici nazionali, osserva con attenzione a quanto succede a Kabul. Recep Tayyip Erdogan, che aveva proposto di rimanere a presidiare l’aeroporto della capitale afghana dopo il ritiro delle forze occidentali, adesso teme un’ondata di profughi pronta a investire il confine turco dopo aver attraversato l’Iran. Come riportato dall’agenzia Anadolu, il presidente turco ha parlato da Istanbul insieme al suo omologo pakistano, Arif Alvi, per ricordare l’impegno congiunto di Ankara e Islamabad per la sicurezza in Afghanistan. Un elemento di cui tenere conto, dal momento che i rapporti tra i due Paesi si sono rafforzati anche sotto il profilo militare. Non a caso i due leader si sono incontrati a Istanbul per il varo di una nave costruita negli arsenali turchi. Erdogan ha telefonato anche al primo ministro pakistano, Imran Khan, per decidere le prossime mosse. Un asse interessante che parla anche cinese, visto che il Pakistan ha da tempo rafforzato i legami strategici con Pechino e la Turchia, oscillando costantemente tra occidente e oriente, non ha mai negato di avere forti attrazione verso le sirene dell’est.
Sulla Turchia pesano poi le parole dello stesso inviato russo per l’Afghanistan. Kabulov, nell’intervista a Echo Moskvj, ha puntato il dito proprio sui fondi del Golfo Persico. Ed è chiaro che se la delegazione talebana si trovava a Doha, in Qatar, il collegamento con i turchi rischia di essere fin troppo facile. L’alleanza tra il leader turco e il Qatar è cosa nota. E quelle parole sui talebani “sostenuti da alcuni fondi islamici, che hanno sede principalmente nella regione del Golfo Persico” rischiano di essere un messaggio russo nei confronti di tutte le forze coinvolte nella regione. Ankara compresa.
FONTE: https://it.insideover.com/politica/cina-russia-turchia-e-pakistan-si-muove-il-grande-gioco-afghanistan.html
Afghanistan: è fallita la privatizzazione nella guerra
Totalmente succube dell’”ideologia di mercato”, secondo cui Stato = spreco e Privato = efficienza, il capo del Pentagono dell’epoca, Donald Rumsfeld, volle introdurre elementi di mercato nella guerra: usare il meno possibile le forze regolari di Stati (costose) e più possibile contractors, che fu il nome nobile per mercenari. “Li paghi solo quando ne hai bisogno”, disse Rumsfeld (li ha pagati per 20 anni). Ma non erano inceppati da stupidi codice etici e disciplinari, potevano essere usati per ogni operazione sporca : più “resilienti” ed efficienti dell’esercito, dunque. Rumsfeld chiamò la sua trovata Revolution in Military Affairs. Sorsero grosse ditte di militari private quotate in Borsa di cui la più famosa è la Blackwater; con un fatturato complessivo di 400 miliardi annui.
E i risparmi sperati? Ci sono stati anni di intensificazione bellica (2009-2012) in cui gli Usa hanno speso per l’ Afghanistan 110 miliardi di dollari l’anno, ossia il 50% in più della spesa federale per l’Istruzione pubblica.
Nel 2016 – leggo in un articolo di InsideOver – , 1 su 4 degli “uomini armati” che aveva gli scarponi a terra in Iraq e Afghanistan provenivano da appaltatori privati. Ma il contribuente, che invece attendeva il disimpegno delle truppe – iniziato il 15 febbraio 2019 in Afghanistan e non ancora pianificato per l’Iraq – non è mai stato messo al corrente di questa vera e propria guerra in “outsourcing“.
I mercenari, per lo più gente addestrati nei corpi speciali, con alti stipendi, hanno prodotto al demoralizzazione dei soldati regolari, dalle paghe magre e disciplina dura. Con ovvi effetti sulla combattività delle truppe e la voglia di addestrare i militari locali. Rumsfeld non sapeva che l’uso di mercenari non era tanto nuovo, e nella storia è stato perdente di fronte a combattenti motivati.
La UE ha applicato la privatizzazione a suo modo, mandando in Afghanistan miriadi di ONG “umanitarie” o assistenziali con il compito di assistere gli afghani nel rammodernare e riformare le loro istituzione (“medievali”) secondo i modelli occidentali, insomma di insegnargli la civiltà, specie nell’”emancipazione delle donne”. I membri delle ONG, forniti di indennità doviziose, andavano per sei mesi nel paese di cui non conoscevano nulla, e quando avevano imparato qualcosa, la loro missione finiva e i venivano sostituiti da nuovi arrivati. Basti pensare che all’Italia – con la magistratura Palamara che ha – fu affidata la riforma del sistema giudiziaria: decine di giudici nostri, distaccati in missione con gli emolumenti grassi, hanno fatto soldi così’. Il sistema giudiziario afgan non se n’è giovato. Invece l ’emancipazione delle donne fu gestita dalle ONG stipendiate segnò un indubbio successo nel senso che, per servire gli stranieri in grado di pagare bene, comparvero frotte di prostitute cinesi dalla gonna con lo spacco e locali notturni dove si bevevano alcolici, cosa che la popolazione locale (medievale) mancò di apprezzare come civiltà superiore..
Si aggiunga che i Talebani – creati dai servizi segreti pakistani (ISI) – non sono stati sempre nemici degli americani: anzi ne sono stati finanziati e armati per sconfiggere l’occupazione sovietica. E l’ISI (Inter-Services Intelligence) del Pakistan, ha spiegato pubblicamente nel 2014 come esso stesso abbia utilizzato gli aiuti forniti dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre per continuare a finanziare . Ha detto a un pubblico televisivo nel 2014: “Quando la storia sarà scritta, si dirà che l’ISI ha sconfitto l’Unione Sovietica in Afghanistan con l’aiuto dell’America. Poi ci sarà un’altra frase. L’ISI, con l’aiuto dell’America, ha sconfitto l’America”.
L’Afghanistan come kathekon islamico
Di questo basti. Voglio segnalare che il Corano segnala l’Afghanistan come luogo metastorico, di freno al caos. Nella diciottesima Sura, Al-Kahf” (La Caverna), si racconta che un sovrano universale, (Dhul Qarnayn), variamente identificato dai commentatori islamici in Alessandro Magno o Ciro il Grande, che vi costruì un massiccio muro di ferro e che ricoprì di rame per bloccare l’irruzione di due popoli perversi di nome Yagog e Magog, che tormentavano gli abitanti .
Qui il passo:
O Qarnayn, invero Gog e Magog portano grande disordine sulla terra! Ti pagheremo un tributo se erigerai una barriera tra noi e loro”.
Il sovrano rifiuta e dice invece:
Disse: “Voi aiutatemi con energia e porrò una diga tra voi e loro.
Portatemi masse di ferro”. Quando poi ne ebbe colmato il valico [tra le due montagne] disse: “Soffiate!”. Quando fu incandescente, disse: “Portatemi rame, affinché io lo versi sopra”.
Così non [Gog e Magog] poterono scalarlo e neppure aprirvi un varco.
Disse: “Ecco una misericordia che proviene dal mio Signore. Quando verrà la promessa del mio Signore, sarà ridotta in polvere; e la promessa del mio Signore è veridica”.
“Fino al giorno in cui riusciranno ad abbattere quella barriera verso la fine dei tempi . Una volta battuta la barriera i due popoli si stenderanno in gran numero e passando si abbevereranno presso il lago di Tiberiade (in Palestina) prosciugandolo. Inonderanno la terra di misfatti e nessuno sarà in grado di fermarli”. Si è sempre pensato che Gog e Magog fossero i turchi o i mongoli. Ora intravvediamo che, forse, le forze scatenate del caos e della dissoluzione siamo noi occidentali.
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/afghanistan-il-fallimento-della-privatizzazione-nella-guerra/
Iran – Israele: riparte la guerra delle petroliere
L’attacco a tarda notte di giovedì di una nave gestita da Israele nel Mar Arabico al largo della costa dell’Oman, con la morte di due membri dell’equipaggio internazionale, è il risultato di un attacco di droni, secondo quanto affermato il portavoce della Quinta flotta della Marina degli Stati Uniti in una dichiarazione di sabato.
La Marina degli Stati Uniti si è imbarcata e ha assistito venerdì la petroliera in difficoltà battente bandiera liberiana “Mercer Street” verso acque più sicure dopo l’incidente che inizialmente era stato segnalato come possibile pirateria. L’esercito americano aveva immediatamente condotto un’indagine in seguito e ora sta citando “chiare prove visive che si era verificato un attacco”.
CULTURA
LA “TRASMIGRAZIONE” E LA “PARABOLA DELLA TARTARUGA”
“C’e’ nell’oceano, o monaci, una tartaruga, cieca da entrambi gli occhi, che s’immerge nelle acque dell’immenso oceano nuotando incessantemente in ogni direzione, dovunque il capriccio la possa portare. Nell’oceano c’e anche il giogo d’un carro che galleggia senza posa sulla superficie delle acque ed e’ trasportato in ogni direzione dalle onde, dalle correnti e dal vento. Entrambi, la tartaruga e il giogo continuano a muoversi per un incalcolabile lasso di tempo: casualmente avviene che nel corso del tempo il giogo arrivi nel luogo preciso e nello stesso momento in cui la tartaruga emerge e le si infili nel collo. Ora, monaci, e possibile che cio’ accada?”.
“Nella verita’ convenzionale, signore, e’ impossibile: ma essendo il tempo interminabile, e la durata d’un eone cosi’ lunga, si puo’ ammettere che, forse, una volta o l’altra, sia possibile che i due si incontrino, come detto; se la tartaruga cieca vive abbastanza e il giogo non marcisce e non si rompe prima che avvenga una tale coincidenza.”
Allora il Buddha disse:
“Monaci, una tale coincidenza non deve essere ritenuta poi cosi’ difficile, perche’ ce n’e’ un’altra peggiore, piu’ ardua, cento, mille volte piu’ difficile, a voi sconosciuta. E qual é? E’, o monaci, l’opportunita’ di rinascere di nuovo come uomo per un uomo che sia spirato e rinato anche una sola volta in uno dei reami inferiori d’esistenza. La coincidenza del giogo che s’infila nel collo della tartaruga cieca non si puo’ reputare cosi’ difficile a confronto con quest’altra. Perche’ solo coloro che fanno il bene e s’astengono dal male possono ottenere un’esistenza da uomini o da dèi. Gli esseri dei quattro reami miserandi non possono discernere cio’ che e’ giovevole e cio’ che non lo e’, cio’ che e’ bene e cio’ che e male, cio’ che e’ consapevole e cio’ che e’ compulsivo, cio’ che apporta merito e cio’ che crea demerito e, di conseguenza, vivono una vita di compulsione e demerito tormentandosi l’un l’altro con tutte le loro forze. Le creature dell’inferno e gli spiriti, in particolare, vivono vite molto miserabili a causa di tormenti e punizioni che sperimentano con pena, dolore e disperazione.
Percio’, monaci, l’opportunita’ di rinascere sul piano degli uomini e’ cento, mille volte piu’ difficile da ottenere dell’incontro della tartaruga cieca col giogo.”
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Quanto costa la sorveglianza dei cittadini?
Operando in ottica di trasparenza, alcune organizzazioni – impegnate per il diritto alla privacy dei cittadini – sono riuscite ad avere dal Dipartimento di Polizia di New York i dati con i costi delle diverse società fornitrici dei servizi.
La Legal Aid Society (LAS) e il Surveillance Technology Oversight Project (STOP), organizzazioni impegnate nel campo del diritto alla privacy dei cittadini, sono riusciti ad ottenere che il Dipartimento di Polizia di New York renda pubblica la documentazione, comprensiva dei contratti con i fornitori, relativa ai milioni di dollari spesi in sistemi di riconoscimento facciale, software predittivi ed altri sistemi di sorveglianza.
STOP e altri gruppi di tutela della privacy hanno redatto il Public Oversight of Surveillance Technology (POST) Act, approvato con ampia maggioranza lo scorso anno dal Consiglio della Città di New York. Tale normativa obbliga il Dipartimento di Polizia cittadino a rendere pubblici i dettagli relativi alla propria infrastruttura di sorveglianza. Fra i dati esposti per trasparenza, è ora necessario includere il funzionamento, le regole, i processi, le linee guida, gli standard di sicurezza fisica e di protezione delle informazioni raccolte da droni, lettori di targhe automobilistiche, videocamere, simulatori di ripetitori telefonici e delle altre strumentazioni di monitoraggio.
Consultando i dati resi disponibili, è stato recentemente appurato che dal 2007 il Dipartimento di Polizia di New York ha sborsato, restando al di fuori dei sistemi di supervisione in uso per altre tipologie di spese, ben 159 milioni di dollari per l’acquisto e il mantenimento in esercizio di vari sistemi di sorveglianza. Gli acquisti sono stati effettuati dal Dipartimento tramite un Fondo per le Spese Speciali, per attingere al quale non era necessaria l’approvazione del Consiglio della Città di New York né di altri organi cittadini. Il Fondo per le Spese Speciali non è più utilizzato, perché ormai privato della propria ragion d’essere in tale rinnovato scenario.
All’interno della documentazione pubblicata si trovano diverse Società, fra cui alcune specializzate in prodotti particolari:
- Palantir Technologies, una startup della Silicon Valley che fornisce al Dipartimento un software in grado di gestire dati sugli arresti effettuati, sulle targhe automobilistiche, sui biglietti dei parcheggi e su molte altre realtà quotidiane, collegandoli anche in via grafica ed incrociandoli al fine di evidenziare connessioni fra eventi criminosi e fra persone.
- American Science and Engineering, specializzata in equipaggiamenti a raggi-x che rilevano armi nascoste, anche all’interno di veicoli o edifici e a più di 400 metri di distanza.
- Idemia Solutions, specializzata in biometria, impiegata per il riconoscimento facciale, tecnologia attualmente al centro di numerose polemiche per motivi di privacy e perché non ancora totalmente affidabile.
- KeyW Corporation, che fornisce simulatori di ripetitori cellulari di tipo Stingray, conosciuti come “catturatori di IMSI” (International Mobile Subscriber Identity). Tali strumenti imitano i ripetitori telefonici al fine di venire agganciati dai cellulari per carpirne i dati, fra cui la posizione, o per compiere su di essi operazioni come ad esempio impedirne l’utilizzo mediante un attacco DoS.
Il Direttore Generale di STOP, Albert Fox Cahn, ha dichiarato pubblicamente che le tecnologie impiegate sono costose, invasive, non funzionano correttamente e la loro efficacia non è provata, e che errori causati da tali tecnologie sono spesso il primo passo che porta ad un arresto e al conseguente imprigionamento ingiusto, il tutto per colpa di un algoritmo fallace.
La pubblicazione dei dati relativi alle tecnologie di sorveglianza costituisce un passo avanti nella trasparenza delle Istituzioni nei confronti dei cittadini, ed è sintomo di un crescente interesse al bilanciamento fra privacy e sicurezza.
FONTE: https://www.infosec.news/2021/08/15/news/cittadini-e-utenti/quanto-costa-la-sorveglianza-dei-cittadini/
Terrorismo, finanza, pandemia, ambiente: il secolo delle emergenze
Andrea Muratore 14 AGOSTO 2021
La Terra è in fiamme? L’ultimo report climatico dell’Ipcc piomba sul mondo che fa ancora i conti col Covid-19 e mostra la gravità dell’emergenza ambientale del mondo contemporaneo. La pandemia e la crisi ecologica sono due grandi acceleratori di tensioni nel sistema economico e politico internazionale sedimentate da tempo in una fase in cui la globalizzazione mostra segni di crisi e affanno. Ma l’intero primo quinto del XXI secolo è stato caratterizzato, per le società più avanzate, da una serie di crisi sistemiche che hanno assunto vere e proprie connotazioni emergenziali. Arrivando a diventare veri e propri ordinatori di nuovi modi di vivere, di nuovi linguaggi e di nuove priorità politiche mano a mano, plasmando gradualmente una nuova normalità, facendo mano a mano venire meno i miti positivisti e raggianti della prima fase dell’era globale.
Jihad islamica e tempeste finanziarie
L’emergenza terroristica globale esplosa dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle di New York e al Pentagono ha raso al suolo il senso di invulnerabilità dell’Occidente e portato l’insicurezza e la retorica bellico-securitaria all’interno delle nostre società. La sequela di attentati accumulatisi nel quindicennio successivo dentro e fuori il mondo occidentale ha posto società ordinate dall’economicismo e educate gradualmente dalla cultura libertaria e individualista dell’era neoliberista di fronte alla sfide del jihadismo, alla perversa snaturazione di una religione ricca di storia come l’Islam. Prendendo più volte in contropiede governi, apparati e opinione pubbliche non solo negli Usa ma anche in Francia, Regno Unito, Belgio, Germania e altri Paesi.
A partire dal 2007-2008 e sostanzialmente per tutto il decennio successivo le economie più avanzate hanno convissuto con la più grave crisi finanziaria dai tempi della Grande Depressione del 1929. Sono venute meno le promesse di arricchimento e ascesa sociale della società di mercato; l’Occidente della disoccupazione crescente e dell’insicurezza non ha potuto come un tempo narrarsi come il migliore dei mondi possibili; la risposta politica delle misure di austerità in Europa ha avvelenato il clima politico del Vecchio Continente; quella americana, prima ancora che risolvere la crisi dell’economia reale, ha con il gioco borsistico e lo stimolo alle nuove tecnologie arricchito i Paperoni di Wall Street. Le disuguaglianze di reddito e opportunità si sono fatte sempre più consolidate.
Il terrorismo con le conseguenti guerre infinte e crisi geopolitiche che ad esso sono stati collegati e la crisi finanziaria divenuta strutturale assieme alla precarizzazione del lavoro e all’incertezza di una generazione giovane cresciuta con aspettative asimmetriche rispetto alle opportunità del sistema sono i due volti del Giano delle crisi che hanno colpito l’Occidente. E come ha ricordato Raffaele Alberto Ventura, giornalista e studioso della crisi delle società contemporanee, il loro combinato disposto è stato devastante. In sostanza ha minato la “certezza che basti disporre di maggiori risorse per rendere più efficiente un sistema viene continuamente contraddetta dai fallimenti industriali e militari delle grandi potenze”.
La pandemia e l’ambiente: due crisi antropiche
Parliamo di vere e proprie crisi di sistema perché legate al difficile sostentamento di un equilibro politico, economico, sociale fondato su precise istituzioni e regole gerarchiche. La pandemia di Covid-19, il “cigno nero” che ha sorpreso il mondo nel 2020, e la crisi ambientale, legata al crescente squilibrio nel rapporto tra il sistema economico dominante, i ritmi biologici del pianeta, le comunità umane, sono al contempo inseribili nello stesso filone pur afferendo a una sfera legata anche al contesto naturale.
Come nota Ventura, “il microscopico SARS-CoV-2 ha paralizzato la mega-macchina capitalistica sospendendo la mobilità, rallentando i consumi e mettendo in crisi la produzione” e facendo sospendere temporaneamente la globalizzazione fisica scoprendo di fronte alle società più progredite il dominio a tutto campo della sfera digitale e tecnologica. Il ritorno delle quarantene, dei confinamenti, del distanziamento sociale ha prodotto sulla psiche collettiva un impatto e una ferita difficilmente sanabile nel breve periodo.
Più liquida, gassosa e difficilmente perimetrabile, la crisi climatica è invece in divenire e pone l’uomo e gli Stati di fronte alla sfida di cambiare le fonti energetiche dominanti e seguire il driver dell’efficienza ponendo, al contempo, al sicuro le collettività umane dalle minacce e i lavoratori dall’espulsione sistemica dal mercato. La crisi dell’ambiente è in sostanza l’ultima conseguenza di lungo periodo dei più deteriori effetti delle grandi utopie della seconda metà del Novecento.
Il socialismo reale ha prodotto un industrialismo irrigidito e un’economia eccessivamente schematica che hanno contribuito a creare alcuni dei disastri ambientali più irreversibili. Basti pensare al lago d’Aral o alle tossiche nubi che appestano le città industriali dell’Est Europa.
Il capitalismo finanziarizzato lasciato privo della guida degli Stati ha prodotto la corsa allo sfruttamento dei beni ambientali, la deregulation nello sfruttamento di numerosi beni pubblici (come hanno spiegato David Harvey e Luciano Gallino) e le catene mondiali del valore del settore agroalimentare hanno aggravato l’impronta ecologica come non mai. Per non parlare del gigantesco problema del land grabbing.
Entrambi, nel nuovo millennio, hanno lasciato questa spiacevole eredità. Quarta e più impalpabile delle grandi crisi che hanno contribuito a creare, nel corso degli anni, una crescente assuefazione alle emergenze che, nelle nostre società, ha lasciato alle sue spalle una forte crisi di identità e rappresentanza e ha contribuito a delegittimare corpi intermedi, autorità, istituzioni e il mondo politico nel suo complesso.
La politica in un mare in tempesta
La politica si è, in diversi Paesi, abituata a governare il corpo sociale in ottica di risposta alle emergenze e a incasellare le analisi di prospettiva della sua azione sulla scia dei tempi e delle percezioni del loro sviluppo. Dal Patriot Act americano ai lockdown, la logica è chiara: usare elasticamente i poteri costituzionali per ovviare a sfide eccezionali. Indipendentemente dai giudizi politici sulle varie dinamiche, è interessante sottolineare come la retorica emergenziale si sia trasmessa nell’approccio anche a questioni meno legate a grandi scenari o massimi sistemi. E così dietro l’emergenza terroristica, finanziaria, pandemica, ambientale si hanno l’emergenza armi negli Usa, l’emergenza immigrazione o quella razzismo in Italia, l’emergenza delle periferie in Francia, l’emergenza educativa in tutti i Paesi occidentali. Concentrarsi sull’emergenziale invita la politica a trascurare l’ordinario e, soprattutto, l’elaborazione ideale, focalizzandosi piuttosto sulla disperata volontà di attrarre quantità crescenti di competenze per far fronte alle sfide del momento, salvo poi spingere esse a un ruolo di supplenza. E così la crisi della politica chiama quella della competenza.
La società dell’era delle crisi infinite è governata da una politica che ha, al massimo, come via di fuga lo stato d’emergenza, ovvero l’attestazione della necessità di imporre una fase extra-ordinaria per governare le ore più buie di una fase caotica al di fuori delle normali leggi del gioco democratico. Usa e Francia hanno importanti norme anti-terrorismo, ad esempio; la Germania recentemente ha proclamato il suo primo stato di emergenza cybernetico ad Anhalt, le nuove Costituzioni dell’era contemporanea (dal Venezuela alla Turchia passando per l’Ungheria) contemplano gli stati d’eccezione, sono presidenzialiste (o centrate su larghi poteri per l’esecutivo) e verticiste. Come se il vero stato d’eccezione non fosse, in fin dei conti, che l’incapacità di governare realmente la globalizzazione e i suoi processi, l’instabilità di un mondo che decenni fa si riteneva possibile unificare con le leggi disciplinate del commercio e del mercato e che oggi si mostra in difficoltà di fronte alla prevenzione del rischio. Risultando poi costretto a rincorrere con foga sempre nuove e pericolose emergenze.
FONTE: https://it.insideover.com/politica/terrorismo-finanza-pandemia-ambiente-il-secolo-delle-emergenze.html
La folle censura che lascia liberi i tagliagole
17 Agosto 2021 – 08:16
I social network e le follie del politicamente corretto non smettono di produrre paradossi al limite del ridicolo. Neppure nei momenti più drammatici e delicati delle storia
I social network e le follie del politicamente corretto non smettono di produrre paradossi al limite del ridicolo. Neppure nei momenti più drammatici e delicati delle storia. Così, mentre i talebani si stavano riprendendo l’Afghanistan, il loro portavoce, Zabihullah Mujahid, poteva cinguettare tranquillamente, alla faccia di Donald Trump che è bannato a vita da Twitter. Ovvio, no? L’ex presidente degli Stati Uniti è censurato per sempre, mentre l’addetto stampa del sedicente Emirato Islamico può dire quello che gli pare e piace, grazie alle reti sociali del suo principale nemico: gli Stati Uniti. La notizia ha fatto rapidamente il giro dei siti – anche grazie al rilancio sul web di Giorgia Meloni e Matteo Salvini -, tuttavia ci deve stupire il giusto. Donald Trump è stato zittito secondo una prassi ben codificata: mandare al confino virtuale chi non va a genio ai proprietari delle grandi autostrade della comunicazione. Che, solitamente, è chi osa varcare il confine del politicamente corretto, chi – come nel caso di The Donald – rompe le uova nel paniere a una certa sinistra radical chic e perbenino. Ma i neo censori sono miopi, non allontanano lo sguardo dall’orticello di casa. Così, mentre tappano la bocca a quello che – nel bene e nel male – è stato un inquilino della Casa Bianca, lasciano la libertà di berciare su Twitter al ben più pericoloso Mujahid. È l’Occidente masochista che taglia il ramo sul quale è seduto. È l’Occidente che tende la mano al proprio nemico.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/politica/follia-twitter-doppia-morale-sulla-censura-1969462.html
Habemus backup! Il miracolo alla Regione Lazio
I backup c’erano, erano solo cancellati…e nessuno se ne era accorto? Dai, siamo seri…
Siamo in bilico tra l’abuso della credulità pubblica e il procurato allarme. Comunque la si voglia rigirare, la patetica storia degli hacker alla Regione Lazio ondeggia pericolosamente tra l’entusiastico “abbiano recuperato tutto” e il rassicurante “dai, non è successo nulla”.
Probabilmente la cabina di regia della comunicazione dell’ente pubblico ritiene di aver dinanzi una platea di rintronati o, peggio, di “boccaloni” pronti a bersi le stravaganti e contraddittorie versioni dell’accaduto che si susseguono in rapida sequenza nella sbigottita incredulità di chi davvero ne sa qualcosa e nella insofferenza di chi – dotato di normale buon senso – è semplicemente stufo di vedersi rifilare un racconto differente ogni mezza giornata.
Non si spara – mai come in questo caso – sulle ambulanze
Si potrebbe cannoneggiare ad alzo zero contro la Regione Lazio, ma la Convenzione di Ginevra vieta barbare manifestazioni di sopruso su chi non è in condizione di difendersi.
Considerato che Zingaretti e i suoi, al netto degli aspetti drammatici della vicenda, hanno alimentato la cornucopia di “meme” che sono piovuti sui social e su WhatsApp nel più simpatico nubifragio umoristico degli ultimi tempi, ho pensato che meritino clemenza o – quanto meno – la diluizione di un immaginario processo “in piccole rate”, ciascuna incentrata su un singolo addebito.
Questo benevolente pensiero induce ad affrontare – anche per la chiarezza che si deve agli attoniti lettori già sufficientemente disorientati – un tema per volta e ad attribuire l’assoluta priorità alla misteriosa questione del “backup”.
Le fantomatiche copie di salvataggio
Quando si è constatato il naufragio informatico, i comuni mortali hanno immaginato scialuppe virtuali di salvataggio, ovvero il fatidico (anche se scontato) ricorso alle copie di “backup”, ovvero al duplicato degli archivi elettronici realizzato con serrata periodicità per fronteggiare qualsivoglia emergenza determinata da un guasto tecnico o da un’azione dolosa.
Chi sferra un attacco ransomware somiglia a chi piazza una bomba ad orologeria e sa bene quando far scoppiare un ordigno. A differenza di chi costituisce il bersaglio, il bandito non procede in maniera dilettantesca anche quando non fa parte di una vera e propria organizzazione criminale. Persino il più babbeo dei malfattori sa di dover provocare l’esplosione digitale nel momento in cui il suo “target” avvia le operazioni di copia: in questo modo il malandrino procede alla cifratura indebita del patrimonio informativo preso di mira e fa in modo che la copia di salvataggio sia estratta da un originale già danneggiato.
Chi è davvero del mestiere, oltre a conoscere perfettamente queste dinamiche e correre ai ripari con procedure di sicurezza in grado di evitare questo genere di dramma, esegue ripetutamente copie di salvataggio e ne conserva i relativi esemplari “offline”, ovvero non collegati a Internet.
A farla semplice (perché semplice lo è davvero) un previdente amministratore di sistema – in casi del genere – avrebbe potuto contare sulla disponibilità di più copie di salvataggio, quella del giorno precedente, di due giorni prima, di tre e così a seguire. Quei dischi – irraggiungibili dai malvagi pirati informatici perché riposti in cassaforte – avrebbero consentito la pressoché immediata “ripartenza” nel giro di poche ore, giusto il tempo per verificare l’integrità del backup più recente possibile.
Diciamo che la sicurezza non era la priorità
Una settimana di blackout dovrebbe indurre chi gestisce il sistema informatico a dare una coraggiosa prova di autocoscienza. Se il team (in cui si intrecciano “interni” alla Regione, fornitori e subappaltatori) avesse un briciolo di dignità procederebbe ad un harakiri collettivo in diretta streaming.
Dopo le dichiarazioni dei politici dell’ente pubblico che hanno ammesso l’avvenuta criptazione dei dati e anche della copia di backup, la Regione ha resuscitato John Belushi e ha ritenuto di giocare la carta delle “cavallette”. Per chi non ha visto (cosa gravissima) “The Blues Brothers”, parliamo della più bizzarra elencazione di scuse per giustificare una riprovevole mancanza.
Dopo tutti questi giorni salta fuori – nello stupore della popolazione sorpresa dal miracolo – che il backup non era stato cifrato, ma solo cancellato e che grazie ad un software provvidenziale è riemerso dalle sue ceneri, pardon, dal cestino…
L’incredibilità del rinvenimento è talmente palese che persino Ignazio Marino, rimpianto sindaco della Capitale, ha ritenuto di dover twittare “Spero di sbagliarmi ma questo back-up che si materializza dopo sei giorni dall’incursione degli hackers e il salvataggio con software USA somiglia molto al pagamento di quasi 5 milioni di dollari in bitcoins per recuperare il controllo dell’oleodotto Colonial negli USA…”.
Se il contribuente interessa sapere, e sapere davvero, se è stato pagato un riscatto cui fortunatamente ha fatto seguito la ricezione delle chiavi per sbloccare tutto (i criminali potevano anche intascare la cospicua somma e non spedire l’ “antidoto”), a me (e non solo a me) interessa capire come ci siano voluti sei giorni (e non sei minuti) per capacitarsi che il backup non era criptato, ma cancellato così come ha dichiarato un noto consulente (probabilmente al servizio anche di LazioCrea, visto che specifica di parlare con puntuale autorizzazione della Regione).
“Vi prego, lapidatemi…”
Un tweet memorabile, infatti, sfidando le pernacchie di tanti utenti del social cinguettante, avrebbe dato la notizia con il tono da biglietto di partecipazione nuziale o da fiocco azzurro o rosa: “Confermo con gioia che la Regione Lazio ha recuperato i dati senza pagamento di riscatto. Non decifrando i dati ma recuperando i backup che non erano stati cifrati ma solo cancellati. Ma lavorando a basso livello i tecnici di LazioCrea hanno recuperato tutto.”
Erano le 19 e 26 del 5 agosto.
Le reazioni sono immediate. Si va dal “A me, me pare na strun**ta 🙂” di Maox17 al “Quindi sono bastate le Norton Utilities?” di WineRoland.
Luca Corsini scrive “In attesa di un post-mortem (spero pubblico) questa mi sa tanto di supercazzola” e Alessandro Wilcke aggiunge “Caspita, avremmo potuto esportare i nostri tecnici negli USA per evitare loro di pagare il riscatto per l’oleodotto criptato di qualche settimana fa”. I commenti caustici non si sprecano e a questi si aggiungono subito gli ancor più divertenti tweet di chi si complimenta per l’ardimentosa opera dei tecnici.
Quello di Wilcke è uno spunto interessante. Eh già, se quelli di LazioCrea sono così bravi perché non trasformano questa prodigiosa capacità di recuperare tutto in un business? Potrebbero avere un mercato che li attende…
FONTE: https://www.infosec.news/2021/08/07/news/sicurezza-digitale/habemus-backup-il-miracolo-alla-regione-lazio/
“Da Uruk a Lagos, la città è il laboratorio dell’uomo”
17 Agosto 2021 – 06:00
Lo studioso traccia la storia affascinante della nostra “più grande invenzione”: “L’urbanità è il futuro”
Metropolis di Ben Wilson (il Saggiatore, pagg. 560, euro 34), storico e ricercatore dell’Università di Cambridge, è un saggio che racconta, come dice il sottotitolo, la «Storia della città, la più grande invenzione della specie umana». È ricchissimo di aneddoti e dati curiosi, per esempio: fino al 1800, la popolazione che viveva nelle aree urbane era circa il 3-5 per cento del totale, mentre nel 2050 due terzi dell’umanità vivrà in città; nel 2025, 440 città con un totale di 600 milioni di abitanti (il 7 per cento del totale) rappresenteranno, da sole, la metà del prodotto interno lordo mondiale; in Cina, il 40 per cento della produzione economica deriva da tre megacittà. E così via…
Ben Wilson, perché la città è «la più grande invenzione della specie umana»?
«La primissima città, Uruk, ci ha dato la parola scritta, la moneta e la ruota. Gli ateniesi la filosofia. L’Amsterdam cosmopolita del ‘600 ha inventato la Borsa. Dalla Baghdad del IX secolo al Rinascimento italiano, l’invenzione è un fenomeno urbano. Abbiamo inventato le città e le città, a loro volta, sono diventate il laboratorio ideale per le nostre invenzioni».
Quali sono i vantaggi di vivere in una grande città?
«Le città ci spingono a collaborare e a competere con gli altri. Perciò la ricchezza si concentra nelle città: esse agiscono come un magnete per i più giovani e ambiziosi. Anche se molti, nella storia, vi si sono trasferiti alla ricerca disperata di un lavoro. Sul lungo periodo, la città offre standard di vita e di istruzione migliori».
E durante una pandemia come quella attuale?
«L’esperienza di vivere e lavorare da soli così a lungo aumenterà il desiderio di stare insieme. Nulla può sostituire la creatività che sorge dal contatto faccia a faccia, o l’esplosione che nasce da un incontro inaspettato, che è il marchio di fabbrica della vita urbana».
Nessuno svantaggio?
«Certo, alcuni vantaggi sono diventati svantaggi. La densità di abitanti, il mescolarsi con gli estranei, l’essere sociali sono diventati qualcosa di rischioso. Ma una città in ripresa è sempre un luogo eccitante in cui vivere. E poi abbiamo bisogno delle città: dobbiamo farle funzionare anche nell’era post-Covid, perché non c’è abbastanza spazio per tutti per cercare la bella vita al di fuori di esse».
La nostra relazione con la città cambierà?
«Sì. Temo che ci si rivolgerà sempre più alle auto, e le auto uccidono la vita di strada, dividono i quartieri e occupano troppo spazio. Ma credo che, sul lungo periodo, le nostre abitudini si riaffermeranno. Una cosa è certa, però: se le città non ritroveranno il loro vecchio modo di vivere, i teatri, i caffè, le gallerie d’arte, i ristoranti, beh, non varrà la pena viverci. E dovremo renderle sempre più verdi».
Che legame c’è fra città e produttività?
«Vivere e lavorare nella folla ci rende più produttivi. Ogni volta che una città raddoppia la popolazione, la sua produttività aumenta del 5-7 per cento».
Circa un miliardo di persone vive negli slum. Descrive questi quartieri degradati come fucine di spirito imprenditoriale.
«Dagli slum di Manchester e Chicago nel 1800 a quelli odierni di Mumbai e Lagos, la vita di città aiuta i più poveri. Davari, una baraccopoli di Mumbai con oltre un milione di abitanti e uno dei luoghi più densamente popolati del pianeta, pullula di migliaia di microimprese e laboratori, per un fatturato di un miliardo di dollari l’anno. L’Ortiga Computer Village di Lagos, in Nigeria, è nato grazie a qualche smanettone alla fine degli anni ’90: oggi è il mercato informatico più grande dell’Africa occidentale, con un fatturato giornaliero di milioni di dollari. L’innovazione sboccia al livello della strada. È un modo per sopravvivere alla durezza della vita urbana».
Nelle città però ci sono anche sempre più grattacieli.
«Le città globali vanno assomigliandosi. I grattacieli stanno conquistando il mondo, creando isole di privilegio, a Shanghai come a Lagos. La disuguaglianza si legge nello skyline».
L’anima della città, dice, non è l’ordine, bensì il caos. Perché?
«Spesso le città hanno successo quando non sono pianificate. Il trionfo di Londra nel ‘700 come centro finanziario del mondo è avvenuto grazie agli incontri nei caffè, più che alla forza delle istituzioni. La Tokyo contemporanea è riemersa dalle ceneri della guerra perché la gente ha potuto ricostruirla. L’antica Atene era sporca e caotica. Oggi, a Los Angeles, i Latinos stanno riplasmando la città, rendendola più pubblica e sociale: loro, non il piano regolatore. È dal caos che nasce l’ordine, e che sorgono invenzioni di ogni tipo».
La prima città globale?
«Lisbona fra ‘400 e ‘500: la prima città a collegare l’Europa con l’America, l’Africa e l’Asia. Batté un sentiero subito seguito da Amsterdam, Londra e New York. Oggi le città globali hanno più cose in comune fra loro che con i propri Paesi».
E la prima megacittà?
«L’antica Roma, con milioni di abitanti. Le megacittà sono il futuro della nostra epoca: ora sono concentrate in Asia ma, alla fine del secolo, le più grandi saranno in Africa. Lagos avrà 50 milioni di abitanti».
Perché il cibo di strada è così importante nella storia delle città?
«Il cibo di strada è sempre stato al cuore della vita sociale urbana. In passato le persone non avevano la cucina e i pasti si consumavano per strada, in movimento. Oggi lo streetfood è una moda, allora era una necessità. Nel IX secolo, Baghdad era celebre per il suo cibo di strada, tanto che i califfi erano usi travestirsi per mangiarlo di nascosto… E poi cucinare e servire cibo è sempre stato il modo in cui gli immigrati hanno trovato il loro posto in una città straniera. D’altra parte, le città ci attirano non solo per lavorarci, ma perché sono luoghi di piacere, per lo shopping, il romanticismo, l’arte, il divertimento e, soprattutto, la gastronomia».
Le tre città più importanti della storia?
«Difficile… Direi Roma, che ha anticipato la metropoli moderna e il divertimento su larga scala. New York, immagine trionfante dell’ambizione umana e, insieme, di ciò che può andare storto. E, oggi, Shanghai, un monumento all’urbanizzazione densa e rapida che è il tratto distintivo della nostra epoca e che definirà il nostro futuro».
Fra le megacittà di oggi, qual è la più stupefacente?
«Lagos. Quasi 25 milioni di persone vivono in una città sopraffatta dalla sua stessa crescita. È una specie di miracolo, che ci dice molto dei settemila anni di storia urbana: siamo bravi a vivere nelle città, nonostante ostacoli enormi. E ci dice molto del nostro futuro: presto saremo una specie quasi del tutto urbanizzata. Sarà confusionario e difficile, ma ce la faremo».
Perché le grandi città sono la chiave per salvare il pianeta e noi stessi?
«Alle città servono più alberi, zone umide, fiumi, spazi verdi e biodiversità. Abbiamo creduto che la tecnologia ci avrebbe protetto; invece, ora scopriamo che solo le soluzioni naturali possono salvarci dall’aumento delle temperature e dagli uragani. E poi le città non sono deserti grigi, bensì luoghi di straordinaria biodiversità: un’area abbandonata può diventare ecologicamente ricca quanto una riserva naturale».
Non serve altro?
«Dobbiamo abitare con densità ancora maggiori, anziché allargarci. Città compatte, con una buona rete di trasporti e quartieri in cui poter camminare, sono efficienti dal punto di vista delle risorse e non si espandono a danno dell’ecosistema. Vivere ad alta densità è stato una spinta per la nostra creatività e, nel XXI secolo, si dimostrerà anche vitale per il pianeta».
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/uruk-lagos-citt-laboratorio-delluomo-1969483.html
DIRITTI UMANI
Virus biologico e virus psicologico, la seconda pandemia
Durante l’ultimo terremoto nel centro Italia abbiamo assistito al fatto che il disagio psicologico, e la richiesta di aiuto, sono aumentati progressivamente nel periodo successivo, a distanza di mesi e anni. Un fenomeno che non stupisce e che è stato studiato in tutte le principali emergenze degli ultimi anni: nell’uragano Katrina, che ha devastato il sud degli USA nel 2005, a distanza di anni, si sono registrati indici anomali di disturbi psichici e malattie somatiche.
Questo perché le situazioni di emergenza producono sempre anche delle emergenze sul piano psicologico, nei singoli e nella collettività.
Nel gergo si chiama “l’onda lunga” e mostra gli effetti, ampiamente conosciuti, dello stress sulla salute. L’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2013 ha emanato delle “Linee Guida” per la gestione dello stress in queste emergenze (WHO Guidelines for the Management of Conditions Specifically Related to Stress).
Lo scopo principale di queste indicazioni non è solo quello di raccomandare gli interventi psicologici più efficaci ma di assicurare due criteri: la priorità ai casi più esposti e la tempestività degli interventi stessi. L’aiuto psicologico risponde in questi casi ad una regola temporale: più è tempestivo e mirato, più risulta efficace e protettivo per il futuro.
Ora è evidente che organizzare l’aiuto per un territorio e una popolazione circoscritta per quanto difficile è molto più facile che farlo per una intera nazione che si trova in una emergenza generalizzata. Ma questo non vuol certo dire che sia inutile o impossibile.
Esistono studi che ci dicono come muoverci: usare la comunicazione istituzionale ed i grandi contenitori sociali (sanità, scuola, organizzazioni lavorative, welfare) per campagne di promozione della resilienza, attivando contestualmente reti di ascolto e sostegno psicologico. Capendo che gli interventi psicologici camminano sul doppio binario: collettivo/individuale e promozione/sostegno.
Numeri telefonici di primo aiuto e orientamento hanno molto più senso dentro questa logica dove l’emergenza si coniuga con strategie più strutturate, utili per il presente e per il dopo. Altrimenti rischiano di essere cattedrali nel deserto.
Anche la proposta di “voucher” per l’accesso gratuito alle prestazioni psicologiche alle categorie più esposte ha senso dentro questo scenario, perché consente l’incontro immediato e flessibile tra un bisogno e la risposta, anche se ha un orizzonte più limitato nel tempo.
Di fatto il Sistema Paese ha sinora dimostrato di non saper affrontare il problema. Si è parlato molto ma, rispetto alle proposte concrete fatte, siamo alla situazione di 8 mesi fa. Perché la sofferenza psicologica viene vista erroneamente come un problema privato delle singole persone. Ma quando queste persone sono milioni e il livello di disagio è troppo grande allora diviene una grande problema sociale oltre che sanitario, che si manifesta in tante forme diverse e tutte molto negative, per i singoli, le comunità e l’intera società.
Al 19 ottobre il Centro Studi CNOP ha rilevato che il 51% della popolazione ha un livello di stress psicologico tra 70 e 100 su 100. Un livello analogo a quello del lockdown ma con caratteristiche molto peggiori, allora dominava la componente ansiosa, sorretta da una prospettiva, oggi rabbia, depressione e forte disorientamento.
Occorre superare l’idea che su questo non si possa far nulla di valido e concreto, che non ci siano strategie di sistema, e mettere invece in campo programmi psicologici che hanno alle spalle documentati studi di efficacia e costo-benefici. A partire dalle categorie più a rischio, come i malati o ex malati Covid, le persone in isolamento, i parenti delle vittime, gli operatori sanitari più esposti.
Sarebbe ora che questo tema venisse affrontato seriamente e che le autorità si avvalessero della consulenza di chi ha le competenze specifiche: non sarebbe ora per esempio che al CTS ci fosse anche la voce della Psicologia?
FONTE: https://www.huffingtonpost.it/entry/virus-biologico-e-virus-psicologico-la-seconda-pandemia_it_5f9a8743c5b61d63241fa147
ECONOMIA
Ecco cos’è successo quando l’Italia entrò nell’Euro. Il retroscena di Fazio
Francesco Boezi
16 AGOSTO 2021
L’Euro è ormai un caposaldo dell’economia continentale e non solo. Si tratta di un paradigma che non è più in discussione. Ma c’è ancora chi dibatte sulla vicenda dell’adesione italiana. Conosciamo quante polemiche siano state sollevate per il modo e per le tempistiche accettate dal nostro Paese (il presidente del consiglio era Romano Prodi, la maggioranza di centrosinistra) per aderire al sistema della moneta unica.
Oggi, il dibattito in materia, si è naturalmente spento, ma c’è chi, tra i protagonisti dell’epoca, ha deciso di rivelare come siano andate le cose e quale fosse il suo punto di vista. Critico, a dire il vero, come ormai non è un mistero. La questione posta all’attenzione della bilancia delle opportunità non è tanto quella relativa all’ingresso: più o meno nessuno, ormai, ha qualcosa da dire sul fatto che il Belpaese faccia parte dei Paesi che hanno sposato la causa della valuta europea. Il tema, semmai, è il “come”. Perché le modalità, secondo più di qualcuno, avrebbero potuto modificare parte della nostra sorte economica recente.
Antonio Fazio era governatore della Banca d’Italia quando l’Italia è passata dall’utilizzo della Lira a quello dell’Euro. In un’intervista rilasciata al quotidiano La Verità, l’ex vertice bancario ha posto più di qualche accento sulle tempistiche, spiegando che, nel caso in cui fosse dipeso da lui, l’Italia non si sarebbe affrettata: “La speculazione si sarebbe abbattuta sul Paese. E alla fine il percorso sarebbe comunque proseguito. Oltre al danno, la beffa. L’incontro fra banchieri centrali nel marzo del 1997 essenzialmente mi dava ragione. L’Italia non poteva entrare nella moneta unica e sarebbe stato più saggio – come avevo più volte detto – rimandarne ingresso”. Ma Fazio, durante le trattative, non è riuscito (o forse non ha potuto) a imporre né le sue idee né la sua linea in materia.
L’intervista prosegue con una disamina sulle previsioni che Fazio aveva in testa. L’ex banchiere non fa mistero di aver immaginato l’Italia in prospettiva durante quella fase così delicata: “Avremmo progressivamente perso reddito e produzione industriale. Purtroppo, avevo ragione. Se l’economia eurozona fosse cresciuta – annota Antonio Fazio – , saremmo cresciuti di meno. Se invece fosse arretrata, saremmo arretrati di più”. Insomma, una situazione molto lontana da un successo assicurato, secondo la ricostruzione dell’ex numero uno della Banca d’Italia. Ma nonostante lo specchietto sull’avvenire, Romano Prodi ha scelto nel 2001 di tirare dritto, accettando quanto gli era stato proposto in sede di dialettica europea, soprattutto dalla Germania.
La disamina di Fazio prosegue, con una serie di ragionamenti che riguardano pure il potere delle singole nazioni all’interno del sistema dell’Euro. In realtà, con l’avvento del premier Mario Draghi, la situazione è cambiata in maniera repentina, e l’Italia è tornata a recitare una parte da assoluta protagonista. Ma l’ex governatore della Banca d’Italia fa presente comunque come i rapporti tra alcune nazioni siano sbilanciati secondo il suo punto di vista. Ad esempio quello tra la Germania e l’Olanda, che guadagnerebbe parecchio dagli equilibri per come sono stati concepiti. E noi? “Abbiamo arretrato su tutto – annota l’intervistato – . Consumi, investimenti e spesa pubblica. Tranne che sulla bilancia commerciale. E non perché esportiamo di più, ma perché importiamo di meno. Avendo fatto austerità, abbiamo diminuito l’import. Mentre l’export è cresciuto in proporzione di meno rispetto a quello di altri Paesi”.
Si farebbe fatica, dunque, a rintracciare qualche elemento positivo. Il fronte “no Euro”, per fortuna, non esiste più. Ma Fazio non è il solo, in questi anni, ad essersi espresso in maniera critica su tempi del percorso percorso e sulla qualità delle decisioni assunte a cavallo tra gli anni novanta e l’inizio del nuovo millennio. E come alternativa, l’ex governatore non sembrerebbe suggerire un mancato ingresso, ma qualche attesa in più.
FONTE: https://it.insideover.com/societa/ecco-cose-successo-quando-litalia-entro-nelleuro-il-retroscena-di-fazio.html
GIUSTIZIA E NORME
Green pass: il nodo dei controlli, il pettine del GDPR
Indicati i “verificatori” delle certificazioni verdi e gli adempimenti da svolgere in materia di protezione dei dati personali
Con il d.l. 23 luglio 2021, n. 105 “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e per l’esercizio in sicurezza di attività sociali ed economiche” è emersa l’oramai nota e diffusa questione del Green Pass come misura per l’accesso a determinati eventi e strutture.
Ma chi è il soggetto che materialmente deve svolgere i controlli? E soprattutto: ci sono adempimenti da svolgere ai sensi della normativa in materia di protezione dei dati personali?
La risposta alla prima domande è nell’art. 13 DPCM 17 giugno 2021, il quale indica come “verificatori”, oltre i pubblici ufficiali nell’esercizio delle proprie funzioni, anche gli addetti ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e spettacolo iscritti all’elenco prefettizio, nonché una serie di soggetti quali:
- i titolari, proprietari o detentori di strutture, luoghi o locali presso cui l’accesso è condizionato dal possesso del Green Pass;
- i gestori delle strutture che erogano prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali per l’accesso alle quali è prescritto il Green Pass;
- i vettori aerei, marittimi e terrestri.
Con riferimento a queste tre ultime categorie, è prevista la possibilità di delegare tale attività di controllo, purché avvenga mediante incarico “con atto formale recante le necessarie istruzioni sull’esercizio dell’attività di verifica” (comma 3 del citato articolo 13).
E dunque, inquadrati così i soggetti, si può considerare che l’atto formale consista almeno in un atto scritto e che fornisca evidenze circa l’effettiva conoscenza della delega da parte del destinatario, quale può essere una sottoscrizione datata per ricevuta da parte di questi.
Sotto la lente della normativa in materia di protezione dei dati personali, si legge un’attribuzione di funzioni e compiti a soggetti designati indicata dall’art. 2-quaterdecies Cod. Privacy per cui è possibile, nell’assetto organizzativo del titolare o del responsabile del trattamento, prevedere che “specifici compiti e funzioni connessi al trattamento di dati personali siano attribuiti a persone fisiche, espressamente designate, che operano sotto la loro autorità.”. Tale prescrizione altro non è che una specifica declinazione operativa dell’art. 29 GDPR, il quale generalmente prescrive che i soggetti che accedono ai dati personali possono trattarli solo previa istruzione da parte del titolare del trattamento.
Dal momento che l’art. 13 comma 5 stabilisce che “L’attività di verifica delle certificazioni non comporta, in alcun caso, la raccolta dei dati dell’intestatario in qualunque forma.”, va esclusa ogni registrazione dei dati di accesso e men che meno dei documenti di identità, i quali, a richiesta, devono solo essere esibiti al verificatore ai sensi del comma 4 del medesimo articolo.
Ciò comporta di conseguenza che il dato non può essere conservato né trasmesso, ma che comunque occorrerà fornire, anche oralmente, un’informativa all’interessato (indicando come finalità il controllo degli accessi e come base giuridica l’applicazione delle disposizioni emergenziali) e provvedere ad aggiornare di conseguenza i registri delle attività di trattamento.
Ultimi ma non meno importanti, gli aspetti della sicurezza e della sensibilizzazione degli operatori, per cui occorrerà una particolare cura nel saperli riferire al contesto operativo senza ricorrere a formalismi inutili (in difetto) né paralizzanti (in eccesso).
FONTE: https://www.infosec.news/2021/08/01/news/riservatezza-dei-dati/green-pass-il-nodo-dei-controlli-il-pettine-del-gdpr/
IMMIGRAZIONI
Ecco la verità sugli sbarchi: così sono aumentati
16 Agosto 2021 – 11:53
Il 2019, l’anno che ha visto Matteo Salvini al Viminale, è stato caratterizzato dal numero più basso di migranti sbarcati. Ecco il dato rivendicato adesso dal segretario del Carroccio
Ben si comprende perché tra il leader della Lega, Matteo Salvini e l’attuale ministro dell’Interno Luciana Lamorgese sull’immigrazione si arrivi spesso ai ferri corti. La base degli screzi è rappresentata soprattutto dai numeri.
Il segretario del Carroccio da settimane rivendica i dati del 2019, quando al Viminale sedeva lui nell’ambito del governo Conte I. In quell’anno, in particolare, sono sbarcati in totale 11.471 migranti. Oggi, al 16 agosto 2021, si è già a quota 34.455. Nonostante manchino quattro mesi alla fine dell’anno, il numero è già superiore a quello registrato al 31 dicembre 2020, quando il Viminale ha riportato complessivamente 34.154 arrivi.
In poche parole, Matteo Salvini può mettere sul piatto del confronto politico i numeri più bassi di sbarchi degli ultimi anni. Una posizione di forza ribadita negli ultimi giorni, contrassegnati dalla campagna elettorale per le amministrative al Sud: “Incontrare la Lamorgese? Volentieri – ha dichiarato l’ex ministro dell’Interno nei giorni scorsi – Così le spiego, leggi e numeri alla mano, la differenza fra un ministro dell’Interno che ha difeso i confini, la sicurezza e la dignità dell’Italia e chi invece non ha ancora fatto nulla per contrastare scafisti, trafficanti e clandestini”. Parole che da un lato sottintendono la volontà di collaborare con l’attuale numero uno del Viminale, ma che dall’altro esplicitano il malessere dello stesso Salvini e della Lega nella gestione dell’immigrazione.
L’estate 2021 si sta rivelando tra le più pesanti su questo fronte. A luglio si è sforata quota 8.000 sbarcati, in questo mese di agosto i migranti arrivati sono già oltre 3.500. Tutto questo si traduce in enormi sforzi per la macchina dell’accoglienza, per le forze dell’ordine e di soccorso. Un tour de force che sta coinvolgendo in primis Lampedusa, oltre che l’isola di Pantelleria, quest’anno anch’essa al centro di molte rotte migratorie.
La Lega chiede un cambio di passo. Dal canto suo Luciana Lamorgese si è detta disponibile a un incontro. “Sono ben disponibile a qualunque tipo di incontro – ha dichiarato – io non ho mai avuto nessuna preclusione su questo. Anzi, ben volentieri”. Le fibrillazioni sono però destinate a rimanere. Se i numeri non dovessero andare repentinamente verso il basso, è probabile che le pressioni da parte di Salvini aumenteranno.
FONTE: https://www.ilgiornale.it/news/politica/quei-numeri-sullimmigrazione-rivendicati-matteo-salvini-1969346.html
PANORAMA INTERNAZIONALE
Dopo i rincari Pfizer alla UE, sorge un ricordo improvviso
La Kommissaria UE alla Salute si trova 4 milioni sul conto
Nessuna correlazione
Stella Kiriakides, è commissaria UE alla Salute. Cipriota, aveva firmato i contratti vaccino-covid con aziende farmaceutiche e improvvisamente sul suo conto bancario privato erano stati accreditati 4 milioni di euro, la cui origine era difficile da spiegare. I media ciprioti hanno cercato di “mettere una pezza” parlando di corruzione passiva.
I media mainstream tacciono, al punto da far credere a una fake news. La scoperta si deve, pare, ai media ungheresi, col dente avvelenato perché, dopo che Orban – prevedendo il pasticci e i ritardi vaccinasti della Von der Leyen con la pretesa di acquisto centralizzato clamorosamente fallita, ed avendo provveduto comprando il vaccino russo, ha visto la UE istigare e mobilitare l’opposizione interna ungherese per provocare un regime change a Budapest.
Sicché il giornalista magiaro Miklos Omolnar, direttore dei tabloid e delle riviste di Mediaworks, questa volta ha trovato tangenti per 4 milioni di euro piovute sul conto della Kommissaria. “Uno dei più grandi scandali di corruzione nella storia dell’Unione europea ci si sta avvenendo sotto il naso, ma poiché la storia è brutta, la maggior parte dei media europei, media autoproclamati, non vede, non sente, né parla, come al solito” , scrive borsonline.hu. “Stella Kirikádes, il commissario per la salute che ha firmato i contratti di vaccinazione tardiva dell’UE, è stata coinvolta in uno scandalo di corruzione inaccettabile. Molti sono già certi che sia corrotta dai produttori di vaccini”.
Il denaro è atterrato sul conto di famiglia del commissario attraverso la Banca cooperativa di Cipro di proprietà statale; hanno cercato di mascherarlo come una sorta di prestito. Ma la cifra è troppo grande per essere semplicemente presentata così, perché il Commissario europeo per la salute non ha alcuna garanzia reale per contrarre un prestito di queste dimensioni. Come ha già affermato una relazione della Corte dei conti cipriota: questo stata non può essere un prestito, come ha affermato il ministro. Stella Kirikádes non sarebbe in grado di rimborsare questa enorme somma, né dal suo stipendio né da altre fonti, cioè è chiaramente un travestimento di corruzione.
Qualche anno prima, nella veste di ministra della Sanità cipriota, Stella Kirikiades e la sua rete di complici, decisero di privatizzare tutti i trattamenti oncologici sull’isola di Cipro e ciò provocò un’esplosione tremenda del costo della cura del cancro. l nome di una famiglia che si arricchisce grazie ai malati di cancro è diventato un grande scandalo in tutto il paese. Quando la situazione è diventata insostenibile, la questione è stata sottoposta al parlamento cipriota. Tutti i parlamentari hanno votato per nazionalizzare le cure contro il cancro, per ridurre il costo del trattamento, tranne la deputata Stella Kirikiades.
Oggi è commissario europeo alla Salute, firmataria dei contratti di vaccinazione già criticati da tutti. La notizia è alquanto illuminante del modus operandi europeo, lontano dagli sguardi indiscreti degli elettorati e con la benevolenza della magistratura. Se la Commissaria s’è trovata con 4 milioni sul conto, sarebbe bello sapere quanti s e n’è trovata Ursula. E perché non qualcuno dei nostri ministri?
Fonte:
UNION EUROPÉENNE: « SCANDALE DE CORRUPTION »
FONTE: https://www.maurizioblondet.it/dopo-i-rincari-pfizer-alla-ue-sorge-un-ricordo-improvviso/
La battaglia di Joe Biden per la “democrazia”
Il presidente Joe Biden ha annunciato la costituzione di un’organizzazione internazionale delle democrazie per fronteggiare l’ascesa dei regimi autoritari russo e cinese. Contrariamente alla retorica ufficiale, l’obiettivo non è difendere le democrazie, ma sostenere l’imperialismo statunitense. Una lotta inutile, perché combattuta contro l’avversario sbagliato.
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha annunciato la convocazione di un vertice virtuale il 9 e 10 dicembre 2021 per difendere la “democrazia”. I principali temi della discussione saranno : « La difesa dall’autoritarismo, la lotta alla corruzione e la promozione del rispetto dei diritti umani ». Durante l’incontro sarà richiesto ai partecipanti d’impegnarsi « a migliorare la vita dei rispettivi popoli e a dare risposta ai problemi più grandi con cui il mondo deve fare i conti ». Seguirà un secondo vertice nel 2022 ove i partecipanti presenteranno i progressi rispetto agli impegni assunti.
Biden aveva già annunciato l’iniziativa durante la campagna elettorale, precisando che lo scopo sarebbe stato mettere in scacco Russia e Cina. Il vero obiettivo del vertice sarà quindi la definizione di un criterio per distinguere i due blocchi in formazione, così come un tempo si distingueva il mondo capitalista dal mondo comunista.
LA DEMOCRAZIA COME REGIME POLITICO
Sebbene nel XIX secolo gli Stati Uniti fossero considerati un nuovo modello democratico ¬− si veda in particolare l’opera di Alexis de Tocqueville, La democrazia in America − oggi non sono che un’oligarchia : il vero Potere risiede al di fuori delle istituzioni pubbliche, esercitato da un gruppuscolo di ultramiliardari, mentre i politici sono relegati a ruolo di semplici comparse.
Gli Stati Uniti non hanno di fatto mai riconosciuto la sovranità popolare, ossia la democrazia. La Costituzione americana si fonda tuttora sulla sovranità dei governatori, benché sia stato progressivamente adottato un sistema elettorale. Durante le elezioni presidenziali del 2000, i candidati George Bush e Albert Gore si scontrarono sullo spoglio dei voti in Florida. La Corte Suprema federale deliberò di non dover tener conto dei risultati elettorali, ma unicamente del parere del governatore di quello Stato, Jeb Bush (fratello del candidato). Sicché George W. Bush fu dichiarato vincitore, benché il riconteggio delle schede elettorali della Florida decretasse l’elezione di Al Gore.
Oggi la democrazia come regime politico è messa in discussione dall’ideologia woke, cui il presidente Biden si richiama : l’equità fra gruppi etnici ¬− suo cavallo di battaglia − contrapposta all’uguaglianza di tutti1. La democrazia delle istituzioni statunitensi è di fatto negata dallo spoglio segreto dei voti, il che ha legittimato l’ipotesi di frode elettorale massiccia. Per finire, l’assalto della folla al Campidoglio dimostra che le istituzioni democratiche hanno perso la loro sacralità.
TUTTI I REGIMI POLITICI SONO EFFIMERI
Nel XVIII secolo le monarchie occidentali avevano il fiato corto : la loro legittimità non era più riconosciuta. Certo continuavano a proclamarsi di “diritto divino”, ma i sudditi avevano smesso di credervi. Si assistette così alla nascita di regimi fondati sulla “sovranità popolare” : le democrazie. Le monarchie che sopravvissero vi si adattarono, senza rinunciare al loro “diritto divino”, ma integrandolo con la “volontà popolare”.
Nel XX secolo, durante la crisi economica del 1929, la stampa occidentale affermò che il capitalismo era morto e che occorreva inventare un nuovo sistema politico. Nacquero prima il comunismo e poi il fascismo. Ci si ricordi che, prima di fondare il fascismo, Benito Mussolini fu il rappresentante di Lenin in Italia. Il capitalismo fu riformato in profondità da Franklin Roosevelt ; il fascismo fu sconfitto militarmente ; il comunismo crollò insieme all’URSS ; la democrazia sopravvisse.
Nel XXI secolo, specialmente con l’epidemia Covid, si assiste al brusco insorgere di una quindicina di grandissime società informatiche, aggrumate attorno ai GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft), la cui potenza è superiore a quella della maggior parte degli Stati. Esse censurano a piacimento idee e persone : le informazioni degli Stati sui trattamenti sanitari del Covid, persino i messaggi degli stessi capi di Stato e di governo, addirittura del presidente degli Stati Uniti in carica. Di fronte a una telefonata, nessun leader politico fa aspettare Bill Gates (Microsoft) o Jeff Bezos (Amazon) ; costoro invece possono differire, persino rifiutare, un comunicato del presidente degli Stati Uniti. Impongono il proprio programma : il transumanesimo, che dovrebbe fare di noi animali informatizzati, dei dirigenti di questi giganti del web esseri superiori che partono alla conquista dello spazio.
In tali condizioni la democrazia è impraticabile. Gli elettori occidentali l’hanno capito e disertano sempre più le urne. In Francia, alle ultime elezioni ha votato meno di un terzo degli aventi diritto. Le istituzioni sono ancora democratiche, ma la democrazia va praticata e i francesi se ne sono allontanati.
Si tratta di una realtà assolutamente nuova. Certamente l’affossamento delle classi medie occidentali è iniziato con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, mentre la trasformazione in struttura sovranazionale del Mercato Comune Europeo risale allo stesso periodo. Ma nulla, assolutamente nulla, ci ha consentito d’intuire quel che accade oggi.
Abraham Lincoln definisce la democrazia « il governo del popolo, dal popolo e per il popolo ». Ma oggi nessuna nazione è governata dal popolo. Sebbene pochi Stati, come Islanda e Svizzera, facciano resistenza, la realtà è che, a fronte dei GAFAM, l’ideale democratico è diventato impossibile da realizzare. Mancando la democrazia, ossia la partecipazione del popolo alla vita politica, è essenziale assicurare che le decisioni vengano prese nell’interesse generale : è il sistema che chiamiamo Repubblica.
Viviamo in una situazione che evolve di mese in mese. Dobbiamo prepararci a trasformazioni catastrofiche per le nostre libertà e i nostri stili di vita. Comunque sia, quel che accade oggi è già inaccettabile.
Ci aggrappiamo ai vecchi regimi democratici perché non sappiamo con cosa sostituirli. Ma negando l’evidenza non facciamo che accrescere il problema. E così come abbiamo tenuto in vita monarchie oltre la fine del “diritto divino”, facciamo sopravvivere le nostre democrazie al di là del fallimento della “sovranità popolare”. Tuttavia le situazioni non sono identiche : più nessuno crede al potere che discende dal diritto divino, ma tutti abbiamo sperimentato la validità del principio della sovranità popolare. Non si tratta di fare la rivoluzione contro i GAFAM, ma di far loro guerra per riprenderci il potere che ci hanno sottratto. Non dobbiamo immaginare un nuovo tipo di regime politico, bensì stabilire regole che rendano di nuovo possibile la democrazia.
LA DEMOCRAZIA COME ARMA POLITICA
Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton si pose lo stesso problema di Joe Biden : come distinguere il blocco occidentale dagli altri ? Immaginò una Strategia per una democrazia globale (Global Democracy Strategy) e radunò un gruppo che lavorò in segreto alla Casa Bianca per metterla in atto.
Non sappiamo chi fossero i componenti, ma ne abbiamo rintracciato l’evoluzione durante il mandato di George W. Bush. All’epoca era diretto da Liz Cheney, figlia del vicepresidente Dick Cheney, e da Elliott Abrams che, al termine del mandato di Bush padre2, organizzò il rovesciamento parlamentare di Hugo Chavez. Nel Consiglio Nazionale per la Sicurezza, il gruppo sovrintese a diversi rovesciamenti, come quello del presidente costituzionale dell’Honduras, Manuel Zelaya. Non usò i metodi militari della CIA, né quelli pseudo-rivoluzionari della NED, inventò invece un modello di colpo di Stato parlamentare. Ne seguì in America Latina un’ondata di rovesciamenti di questo tipo.
Del resto, l’esperienza dimostra che la democrazia oggi è solo formale, non più reale. Si può calpestare la Costituzione e rovesciare “democraticamente” un governo, a condizione che lo si sostituisca con uno che promani dal parlamento.
Siamo certi che il gruppo incaricato di attuare la Strategia per una democrazia globale esiste tuttora e che presto farà parlare di sé.
Già ora questa Strategia riprende il progetto dell’Alleanza delle democrazie, di cui fu promotore il saggista Francis Fukuyama e che l’amministrazione Bush aveva immaginato di sostituire alle Nazioni Unite. Del resto, l’ex segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, creò nel 2017 la Fondazione per l’alleanza delle democrazie (Alliance of Democracies Foundation).
IL FUTURO POLITICO
Dobbiamo prendere atto che Russia e Cina non sono peggiori di noi, ma che affrontano lo stesso problema con una cultura diversa. Abbiamo bisogno del loro aiuto e loro del nostro.
Sia che si lavori insieme o separatamente non si troverà immediatamente la soluzione. Dobbiamo cominciare a lottare, senza tuttavia sapere che forma assumerà la vittoria, ma ne conosciamo già le basi. Dobbiamo perciò definire il principio su cui fondare, noi o i nostri figli, nuove democrazie : la Repubblica.
In sintesi
– Gli Stati sono sopraffatti da nuove società gigantesche, i GAFAM. Di conseguenza, qualsiasi governo non può rispondere alle nostre aspettative. Si parla a sproposito di “crisi della democrazia”, ma si tratta di crisi di tutti i regimi politici.
– Gli sforzi del presidente Biden per difendere la democrazia sono destinati a fallire perché non rispondono ai problemi del mondo contemporaneo. Al più può continuare sotto questa falsa bandiera a promuovere l’imperialismo americano.
– Possiamo respingere il potere illegittimo dei GAFAM e difendercene promuovendo, non un particolare regime politico, ma un criterio di decisione : la Repubblica.
NOTE
1“Joe Biden reinventa il razzismo”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 11 maggio 2021.
2« Opération manquée au Venezuela », par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 18 mai 2002.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article213743.html
POLITICA
2001-2021 i conti che non tornano
Massimo Lucidi – 16 08 2021
#PrayForAfghanistan
Si vis pacem para bellum. Lo dicevano i Romani. E invece il governo del mondo al tempo della pandemia ha pensato che bastasse un Governo di carta, leggero quanto corrotto, a portare pace in un paese martoriato da più di 40 anni. Un Governo guidato da un altro sconosciuto ai più, dopo quell’elegantone di Hamid Karzai… L’Afghanistan. Kabul cade in queste ore per il totale dissolvimento di un Governo fatto a tavolino… neanche un tavolo, con tutte le anime del territorio. Ma un tavolino. Eppure tentativi di apertura negoziale, persino col ritorno del re esiliato a Roma Zahir Shah erano stati messi in campo. Ma nelle incertezze e divisioni dell’occidente, i signori della guerra afgani che leggono e studiano le nostre cose, sapevano che avrebbero ottenuto molto di più, adesso… avrebbero potuto oggi vendersi al migliore offerente. Ai nostri signori della guerra. La guerra per interposta fazione. La minaccia del terrorismo globale. La nascita dell’ennesimo stato canaglia. Un territorio da cui fuggire con un dittatore della preistoria armato dell’occidente fino ai denti. Che immagini di propaganda spettacolari. Kabul e l’Afghanistan con le sue donne e i suoi giovani ripiombano nel medioevo. Le armi della Nato affidate all’esercito afgano dissolto al canto muezzin, i mullah che con video da esaltati inneggiano alla guerra all’Occidente.
E noi popolo del Green Pass ad abbassare la testa e rifinanziare un’altra guerra. Il mondo così non regge. Altro che cambiamento climatico e riscaldamento globale. I giusti tra poco invocheranno invasioni di cavallette, terremoti e maremoti. Si salveranno solo Elon Musk, Jeff Bezos e qualche altro personaggio con le valigie pronte per Marte. In effetti certe immagini che si preannunciano, con la presa di Kabul all’anniversario dei 20 anni dalla orrenda strage delle Torri Gemelle, sembrano un set cinematografico perfetto. Stiamo rivivendo in queste ore il drammatico abbandono di Saigon del 30 aprile 1975.
L’occidente ancora una volta disonora la propria storia e i propri Valori di libertà e democrazia. Li disonora per se stesso e ancora peggio agli occhi di un pezzo di mondo che ci ha creduto e collaborato. Una perdita enorme di consenso e di credibilità. A favore di chi? Sicuramente della Cina che sta cambiando pelle nello scenario internazionale. E ripeto della finanza mondiale che necessita di uno stato di tensione costante per costruire guadagni improvvisi e garantire rendite di posizione. Dunque il nemico non è alle porte, è tra noi. E a queste condizioni, la via d’uscita sta solo in una consapevolezza condivisa dell’occidente, in cui il giornalismo giochi un ruolo, abbia memoria e non faccia da imbelle cassa di risonanza degli uni e degli altri, da un organismo internazionale che non stia solo più a guardare come le Nazioni Unite. La cui riforma è improrogabile. In questo scenario, va ripensata la politica estera e la sua cultura nel nostro paese, rimettendo in campo, per tutte le istituzioni, l’interesse nazionale. Guardare all’interesse nazionale finirà per rendere necessario un governo sovranazionale ma in quadro di lucida consapevolezza e non slogan a oltranza. Gli slogan che vincono adesso sono quelli dei taliban in festa per il 9 settembre. 20 anni fa moriva Massud un martire della libertà afgana contro i sovietici e contro Al Qaeda, il leone del pashir. Ma chi se lo ricorda? Troppo pochi in Occidente…
FONTE: https://www.facebook.com/664012833623243/posts/4681171911907295/
Doppio standard di moralità
Sisto Ceci – 11 08 2021
L’Occidente accetta un epocale, mostruoso ed imperdonabile doppio standard di moralità. Ripassiamo i crimini perpetrati dal nazismo quasi ogni giorno, li esponiamo ai nostri figli come delle lezioni storiche e morali definitive, e mostriamo solidarietà verso tutte le vittime.
Al contrario, se si eccettua qualche mosca bianca, siamo del tutto silenti sui crimini commessi dal comunismo. Così i cadaveri giacciono in mezzo a noi, inosservati, praticamente ovunque. Abbiamo insistito sulla “denazificazione”, e censuriamo con asprezza coloro che edulcorano il passato in nome di nuove o emergenti realtà politiche. Ma non è mai stata effettuata una simile opera di “decomunistizzazione”, ancorché il massacro degli innocenti sia stato esponenzialmente maggiore, e coloro che hanno decretato le condanne e attivato i campi di lavoro e di sterminio siano ancora in vita.
Se si tratta di nazisti, si dà la caccia ai novantenni, giacché le vittime reclamano giustizia. Nel caso dei comunisti, invece, abbiamo bandito ogni “caccia alle streghe” – preferendo che siano i morti a seppellire i vivi.
Ma i morti non possono seppellire nessuno.
DA ALAN CHARLES KORS – FACEBOOK
FONTE: https://www.facebook.com/sisto.ceci.94/posts/542628783475801
SCIENZE TECNOLOGIE
Andatevi a leggere le condizioni relative alla privacy dell’App del greenpass.
Al punto 3 dell’App IO (legata al GP) vi è la possibilità di ricevere notifiche da enti tipo Agenzia Entrate o Inps su eventuali pagamenti o insolvenze. Attualmente tali avvisi non hanno valore di notifica ai sensi di legge. Infatti sempre al punto 3 loro dicono “al momento”…
Al punto 4 informano che possono trattare i nostri dati con l’ausilio di terze parti anche estere. Però ci ricordano che tali enti o terze parti sono indipendenti da loro, per cui non sono responsabili per errori, disservizi, manchevolezze…, etc.
Ovviamente al punto 5 comma C informano che l’utente è l’UNICO responsabile per tutte le attività, le operazioni e le transazioni effettuate sull’App IO.
Al punto 5 comma D invece vi deliziano con una totale manleva di responsabilità in carico a:
Loro stessi
I loro dipendenti
Dirigenti
Amministratori
Al punto 6 invece PagoPA (App IO) vi ricorda che non sono responsabili dei servizi per conto degli Enti e terze parti, e quindi rispondono esclusivamente delle “funzionalità” dell’App….
In pratica, ed in conclusione, per andare a sedervi al bar e consumare un cacchio di caffè e cornetto o farvi una misera vacanzina da 4 o 5 giorni, vi state facendo contare pure i peli del cu** e in molti ne vanno pure orgogliosi”.
FONTE: https://www.facebook.com/PresidioDiCrocetta/posts/4428854907179292
Un CEO virtuale. Dalla legge di Moore alla legge di Huang
Jensen Huang, Ceo di Nvidia, illustra le ultime tecnologie di Intelligenza artificiale e Gpu, mentre si ragiona su una riformulazione della Legge di Moore che vedrebbe come protagonista proprio Huang
Il CEO di Nvidia (NASDAQ: NVDA) Jensen Huang ha aperto la GPU Technology 2021 con un intervento dove ha dato una panoramica delle ultime tecnologie di intelligenza artificiale e GPU. La cosa divertente, pochi giorni fa al SIGGRAPH, è stato scoprire che parte del suo intervento (la presentazione di DGX e da 1:02:29 a 1:02:56) era totalmente generato al computer. Un deepfake, irriconoscibile rispetto al resto del video dove parlava in carne ed ossa dalla cucina della sua azienda.
D’altronde Christopher Mims, dalle colonne del Wall Street Journal, di recente ha lanciato un dibattito interessante intorno alla Legge di Moore ed a una sua riformulazione più attuale che ha proprio il buon Jensen come protagonista ed eponimo. Nella prima parte dell’Evo Informatico, l’andamento attribuito a Gordon Moore era considerato quasi un assioma nel mondo dei Processori: la cosiddetta Prima Legge di Moore. Formulata nel 1965, prende il nome dal co-fondatore della Intel Corp. (NASDAQ: INTC) ed enuncia che:
«La complessità di un microcircuito, misurata ad esempio tramite il numero di transistor per chip, raddoppia ogni 18 mesi (e quadruplica quindi ogni 3 anni)».
Dunque, la potenza di calcolo di questi processori e dei computers che li implementano, incrementa (all’incirca) di conseguenza.
Nel 2003, in un’intervista a c|net, Gordon Moore profetizzava che la sua “legge” sarebbe stata ancora valida per almeno dieci anni. Nel 2015 Krzanic, all’epoca CEO di Intel, in un’intervista a WSJ aveva rimodulato la performance attesa dall’industria dei microprocessori. Nella Turing Lecture all’ISCA del 2018, affidata a John L. Hennessy e David A. Patterson, è stato dimostrato come dal 2010 questo ritmo non sia più sostenuto.
Secondo Wikipedia, ciò potrebbe essere dovuto al raggiungimento dei limiti fisici, fenomeni connessi alla corrente di sottosoglia, ai limiti dei metalli usati nei gate ed a quelli dei materiali dei canali.
La proposta di Mims, per modellare la crescita di questo settore fondamentale, è quella di formulare una “Legge di Huang”, da Jensen Huang appunto. Quanto Intel è il leader nella produzione di CPU tanto Nvidia è il suo omologo nel mondo delle GPU – i processori nati per la grafica ma oggi usati per il calcolo parallelo (GPGPU). Questi sono il fattore abilitante di molte tecnologie basate su Intelligenza Artificiale (AI), come il riconoscimento degli oggetti (nel senso più lato: cose, ma anche i volti o le voci, ad esempio), o i veicoli a guida autonoma. Nvidia ha infatti consolidato la sua posizione sul mercato dei processori, acquisendo la ARM Holdings per quaranta miliardi di Dollari nel 2020. Questa “Legge di Huang” enuncerebbe che “la performance dei chips alla base dei sistemi informatici per AI duplica ogni due anni, per miglioramenti sia hardware che software“. Lungi ancora dall’essere stata dimostrata, questa legge ci da uno spunto per interpretare il futuro dell’informatica.
Così come Intel è stata tra le aziende più importanti per sostenere la crescita della potenza di calcolo delle CPU al tempo di Moore e della usa legge, ma di certo non l’unica. Sostenere questa crescita ha richiesto miliardi e legioni di ingegneri sparsi in migliaia di aziende grandi e piccole. Parimenti, Nvidia non è la sola realtà a sostenere la legge di Huang e forse i suoi prodotti perderanno un giorno l’innovatività di cui godono oggi. L’acquisizione di ARM sembra volta a mitigare questo rischio e i recenti risultati presentati al SIGGRAPH sembrano confermare che è ancora il leader di questo segmento di mercato.
FONTE: https://www.infosec.news/2021/08/17/news/ai-robotica/un-ceo-virtuale-dalla-legge-di-moore-alla-legge-di-huang/
La Legge di Moore spiegata in 10 esempi
MERCOLEDÌ 15 APRILE 2015
È stata formulata 50 anni fa dall’informatico Gordon Moore: spiega come, quanto e a che ritmo i dispositivi tecnologici migliorano, diventando sempre più piccoli
Gordon Moore è un imprenditore statunitense che ha formulato una legge, la Legge di Moore, secondo cui “il numero di transistor che è possibile stampare su di un circuito integrato raddoppia ogni 18-24 mesi”. La Legge di Moore, elaborata nel 1965, è diventata una metafora definitiva per la tecnologica moderna: da decenni i transistor sono gli elementi base della maggior parte dei dispositivi elettronici, sia analogici che digitali. Un circuito integrato è un circuito elettronico miniaturizzato che permette, sfruttando le proprietà dei transistor, di elaborare segnali elettrici. Qualsiasi operazione venga svolta su un qualsiasi dispositivo elettronico, analogico o digitale, ha origine da un circuito integrato, a sua volta composto da diversi transistor: e maggior è il numero di transistor, migliori e più veloci saranno le operazioni svolte sul dispositivo.
La Legge di Moore è stata raffigurata da un grafico che mostra l’aumento nel tempo del numero di transistor presenti in un circuito integrato: il grafico è stato elaborato il 19 aprile 1965 e da allora è diventato molto noto e subito riconoscibile agli esperti e agli addetti ai lavori.
Per ricordare il cinquantesimo anniversario dalla pubblicazione della fondamentale tesi di Gordon Moore – Cramming More Components Onto Integrated Circuits (“Ammassare molti più componenti in un circuito integrato”) – abbiamo selezionato alcune immagini che mostrano come la Legge di Moore ha cambiato il modo in cui pensiamo alla sorprendente velocità di evoluzione del settore tecnologico.
1. L’aumento della capacità di elaborazione predetto da Moore nel 1965 mostra come un singolo dispositivo – per esempio uno smartphone – è diventato potente tanto quanto lo era, solo una generazione fa, un intero insieme di dispositivi elettronici.
2. La crescita esponenziale della capacità di elaborazione spiega che un solo computer potrebbe un giorno avere la capacità di elaborazione di un cervello umano (e probabilmente faremo in tempo a vederlo succedere nei prossimi anni). Questo potrebbe aprire le porte alla singolarità tecnologica: entro il 2045 un solo computer potrebbe avere la capacità di elaborazione pari a quella dell’intera umanità.
3. In ogni tipo di tecnologia elettronica, si è vista negli ultimi 50 anni l’incredibile riduzione delle dimensioni dei più comuni prodotti tecnologici, resa possibile dal posizionamento di più transistor in un solo circuito integrato.
4. La capacità di elaborazione che un tempo stava in un’intera stanza, sta sul palmo delle nostre mani. Come spiega Peter Diamandis – fisico e ingegnere autore di Bold e di Abundance: The Future Is Better Than You Think – un normale smartphone può oggi ospitare un numero di app per un valore complessivo di circa 850mila euro.
5. La Legge di Moore ci ha anche aiutati a capire la sorprendente riduzione negli ultimi 50 anni del prezzo e delle dimensioni degli spazi di archiviazione informatica.
6. La combinazione tra una capacità che aumenta e una dimensione che diminuisce ha migliorato le prestazioni in quasi ogni ambito delle attività umane.
7. E, tra le attività umane, ci sono anche i videogiochi.
8. Data la sconcertante velocità dei cambiamenti tecnologici negli ultimi 50 anni, si è provato a raccontare questa rapidità d’innovazione in termini chiari, comprensibili anche per i non esperti di tecnologia. Come ha spiegato Intel a inizio 2014, se la popolazione umana fosse cresciuta negli ultimi 50 anni con un andamento simile a quello individuata da Moore per i transistor, nel 2029 sulla Terra ci sarebbero circa mille miliardi di persone.
9. Un’altra metafora suggerisce di pensare ai transistor come a persone stipate in un luogo per assistere a un concerto. Nel 1970 ci sarebbero stati, per quel concerto, 2.300 spettatori; 40 anni dopo lo stesso luogo avrebbe potuto accogliere più di un miliardo di persone.
This #cool #infographic explains #MooresLaw simply; as if transistors were people. Check it out! pic.twitter.com/6U9MGo0C
— Cymer (@CymerInc) 23 Ottobre 2012
10. Arriverà un momento in cui non riusciremo più ad accumulare e ad aggiungere transistor su di un singolo circuito. La Legge di Moore dice che a quel punto i cambiamenti e il miglioramento nell’elaborazione dei computer dovrebbero arrivare da un livello atomico, perché i transistor, a un certo punto, non potranno più ridursi oltre un certo limite.
FONTE: https://www.ilpost.it/2015/04/15/legge-moore-spiegazione-10-esempi/
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