RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
10 NOVEMBRE 2021
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Oggi si dà per scontato che se i leaders mondiali vogliono riunirsi per discutere un nuovo accordo sul commercio devono, per proteggersi dalla rabbia pubblica, costruire una moderna fortezza con tanto di blindati, lacrimogeni, idranti e cani d’attacco.
Quando nell’aprile 2001 Quebec City ha ospitato il vertice delle Americhe, il governo canadese ha adottato la misura senza precedenti, costringendo i residenti a esibire i documenti ufficiali per accedere nelle loro case e ai loro posti di lavoro.
NAOMI KLEIN, Recinti e finestre, Baldini & C., 2003, pag. 18
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SOMMARIO
LA SANGUINOSA VENDETTA DELLA CASATA WINDSOR
SIAMO FUORI CONTROLLO
Bibbiano, i 10 bambini sottratti dai servizi sociali tornano tutti a casa
E’ Greta che ce lo chiede!
“Deriva antiscientifica che mira a bloccare il futuro e riportare tutto al passato”?!?
Trieste, la sparata del sindaco Dipiazza: “Contro no green pass leggi come per i brigatisti”
Le forze armate statunitensi non possono impedire alla Cina di riavere Taiwan
LA PROFEZIA DI EMANUELE SEVERINO E L’ESSERE UMANO COME «COSA»
ADAM KADMON, UNCENSORED. IL DIARIO SEGRETO
L’ITALIA È UNA COLONIA BRITANNICA?
CAUCASO: La bufera dei Pandora Papers si abbatte anche su Armenia, Azerbaigian e Georgia
Contro il Green Pass. La posta in gioco: disciplina e sorveglianza
Fenomeno “Squid Game”: diplomazia culturale, censura e geopolitica della rete
SCHIAVI AFRICANI PER PRODURRE ENERGIA GREEN
Lee Kun-hee: il “Re Eremita” di Samsung che ha influenzato le sorti di un intero Paese
PERCHE’ I GIUDICI CHE SBAGLIANO NON PAGANO ?
RAI OPEN ARMS.
Contro la primazia della lingua inglese, tomba d’Europa
LA NAZIONE È IN PERICOLO
Cenoni di Natale solo con terza dose
Mostruoso ed imperdonabile doppio standard di moralità
Variante lambda
Il popolo Jász: lo strano caso degli osseti d’Ungheria
La vittoria di Gualtieri è monca
CRAXI, PROUDHON E LA SINISTRA ITALIANA
Ci avviamo verso la tirannide, ma non è fascismo: è iperdemocrazia
EDITORIALE
LA SANGUINOSA VENDETTA DELLA CASATA WINDSOR
Manlio Lo Presti 10 novembre 2021
La ex-italia raccoglie 40 medaglie ai giochi olimpici di Tokio dopo aver vinto il campionato europeo di calcio con il visibile e fotografato disappunto degli esponenti della casata windsor. Si tratta di una casata vendicativa che non accetta di essere scavalcata. Lo abbiamo visto con il loro disonorevole atteggiamento delle medaglie tolte subito dal collo. Lo abbiamo visto con la loro contestazione di una medaglia d’oro italiana.
La casata si vuole vendicare brutalmente contro l’italiana, come la stessa casata fece con l’Argentina che osò sparare alla nave militare inglese dove c’era un componente Windsor in occasione della contesa delle isole Falkland!!!
Aspettiamoci
- attentati da parte dei capi mafiosi liberati dal precedente ministro Bonafede e sagacemente pilotati da misteriosi ed espertissimi UFFICI POLITICI nascosti tra le pieghe dei nostri beneamati Servizi Segreti (una sorta di Ufficio Politico degli inizi anni Settanta, in stile Federico Umberto D’Amato, per capirci) ,
- ritorsioni dei tassi stabiliti giornalmente in un felpatissimo salottino di una banca privata da parte di 5 banchieri privati inglesi verso le 11,30,
- crescita pilotata dello spread,
- sanguinose azioni guerrigliere in Africa e azioni piratesche contro le postazioni petrolifere dell’Eni,
- incremento esponenziale degli sbarchi di navi ong e di migliaia barchini di cui nessuna parla,
- recrudescenza di azioni criminose da parte delle 8 mafie operanti liberamente nella ex-italia,
- incriminazioni improvvise mediante processi giudiziari e mediatici contro avversari – comunque ricattabili – requisito indispensabile per la loro cooptazione ai vertici,
- assoluzioni altrettanto sospette di politici recedentemente impalati e trucidati dalla stampa pilotata,
- impennate di varianti prossime venture dello PSYCHOVAIRUSS,
- microchip sottocutaneo dopo disservizi pilotati sull’uso del QR cartaceo o da cellulare,
- strane decisioni comunitarie ai danni di banche italiane,
- provvedimenti comunitari draconiani contro politiche industriali nazionali stigmatizzate come “antieruopee”,
Quando accadrà qualcosa di dannoso contro la ex-italia, ricordiamoci di queste riflessioni.
Ricordiamoci, soprattutto,che lo sport è un altro aspetto del predominio geopolitico mondiale.
TUTTO CIO’ PREMESSO
QUESTA ITALIETTA DEMMERDA HA OSATO PRENDERE TUTTE QUESTE MEDAGLIE? BISOGNERÀ RIMETTERE LE COSE AL LORO POSTO, ANCHE CON LA FORZA
CON UNA NUOVA BRITANNIA SI DOVRÀ METTERE IN FILA GLI ITALICI CHE DOVRANNO SOTTOSTARE ED ESEGUIRE MILITARMENTE NUOVI E PIÙ FEROCI ORDINI!
NON A CASO, SI AGGIRANO PENNUTI IN COSTUME PER ABITUARCI ALLA NUOVA SVOLTA MILITARE DELLA POLITICA DELLA EX-ITALIA!
È la vendetta, bellezza!
IN EVIDENZA
SIAMO FUORI CONTROLLO
Lo spread ricomincia a salire come non si era visto dal 2012 e l’inflazione galoppa, complice l’aumento dei prezzi delle bollette. Come se non bastasse, Mario Draghi vara una manovra sostanzialmente ancora da scrivere, una supercazzola da politico consumato tutta numeri appiccicati e propaganda. L’unico a fare festa è Renato Brunetta il quale, se potesse, chiederebbe ufficialmente la mano del premier onde poi divorziare al momento opportuno. Nel frattempo, gran parte del mondo politico è in sonno, una quota residuale sculetta intorno a Mario Draghi, perché in questo momento pare il cavallo vincente, qualcuno lancia petizioni improbabili su altrettanto improbabili presidenti della Repubblica così giusto per ingannare l’attesa.
Qualcun altro scrive libri per racimolare due spicci (raccogliamo l’acqua adesso fino a che siamo popolari) e i soliti furbetti girano il mondo alla ricerca delle conferenze meglio pagate. I più ipocriti, invece, si dedicano alla politica politicante, fanno finte “battaglie di civiltà” e poi si sparano da soli sulle pere auto-affossandosi i disegni di legge per regolare i conti interni al Partito.
Nel frattempo, il merito dei problemi scivola tra le “varie ed eventuali” come quando da ragazzi facevamo l’assemblea di classe e non sapevamo cosa mettere nell’ordine del giorno. E intanto in questi giorni piomberanno in Italia la maggior parte dei leader mondiali e ci diranno di essere sensibili a tematiche come l’inquinamento, la pace nel mondo, i diritti civili, la situazione dei migranti. Solo però che all’inquinamento ci devono pensare i cittadini su cui si scaricano i costi ambientali, la pace nel mondo va bene fino a quando non tocchi gli interessi degli amerikani, ai diritti civili ci pensa Zan, mentre gli immigrati vanno accolti se ad aprire i porti è l’Italia. Se invece la Francia spara a Ventimiglia va tutto bene e forse questi straccioni venuti da lontano sono anche un po’ puzzolenti.
I soldi del Pnrr per ora restano sulla carta e Renato Brunetta si intesta la ripresa, perché il bar ricomincia a vendere il caffè ai poveri dipendenti costretti inutilmente a tornare in presenza (la famosa teoria economica del tramezzino). Dopo il ballottaggio alle Amministrative, dei pericoli fascisti non c’è più traccia, il Monte dei Paschi di Siena può pure bruciare nelle fiamme dell’Inferno, Carlo Calenda si è riscoperto di sinistra e in periferia non si vede già più l’ombra di un politico. Anche il Partito Democratico va in piazza il giorno prima con i sindacati per le str…ate mentre il giorno dopo li fotte nella trattativa sulle pensioni perché si riscopre “draghista”.
E poi ci lamentiamo del fatto che la gente non vada a votare o delle continue violente manifestazioni aventi a oggetto problematiche a volte improbabili. Siamo fuori controllo e probabilmente il clima è fin troppo disteso rispetto a come dovrebbe essere.
FONTE: https://www.opinione.it/politica/2021/10/29/vito-massimano_spread-inflazione-draghi-pd-zan-fascisti/
Bibbiano, i 10 bambini sottratti dai servizi sociali tornano tutti a casa
FONTE: https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/bibbiano-10-bambini-tornano-casa-213835/
E’ Greta che ce lo chiede!
Notizie meravigliose dal Mondo Nuovo. Nell’Est Europa continua la strage dei Novax; clandestini a frotte che spingono ai confini polacchi per entrare nella UE; infine una notiziona che viene dalla:
Spagna, paura del blackout: vanno a ruba bombole, torce e fornelli da campeggio
di Alessandro Oppes
Il governo smentisce: “Non c’è nessun pericolo”. Ma la Protezione civile diffonde le raccomandazioni da seguire in caso d’emergenza. Tutto è partito da una dichiarazione del ministro della Difesa austriaco Klaudia Tanner su un possibile black out che partendo dal Paese dei Campanelli del grande Franz Lear, potrebbe estendersi a macchia d’olio in tutta Europa.
Benvenuti nella Transizione Ecologia, nella Green Economy e nei Friday for Future. Tranquilli, è Greta che ce lo chiede.
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
“Deriva antiscientifica che mira a bloccare il futuro e riportare tutto al passato”?!?
di Alberto Contri 4 NOVEMBRE 2021
Non c’è nulla di peggio, per un cittadino dotato di conoscenze e competenze, educato a rispettare le istituzioni, che sentirsi umiliato da chi le rappresenta, soprattutto se si tratta della più alta carica dello Stato.
In un recente prolusione in una università, il Presidente Mattarella si è detto preoccupato per i rigurgiti di violenza: immaginiamo lo abbia fatto, e con ragione, riferendosi all’inqualificabile irruzione di elementi estremisti nella sede della CGIL. Irruzione che, a detta quasi univoca degli organi di stampa di ogni orientamento, non solo non è stata osteggiata ma in buona sostanza addirittura facilitata.
Quello che più turba e dispiace è che il monito sia stato fatto nello stesso giorno in cui la polizia interveniva con inusitata violenza nel porto di Trieste con idranti e cariche su manifestanti assai pacifici, che oltretutto non risulta avessero mai impedito l’accesso ai portuali che non volevano scioperare.
E nel momento in cui il Governo italiano si mostra gravemente discriminatorio con un provvedimento come il Green Pass, che oltre a non essere stato istituito in nessun altro paese civile, è stato stigmatizzato da alcuni dei più autorevoli e stimati uomini di cultura del nostro paese.
Purtroppo, non basta, perché il Presidente della Repubblica ha voluto anche segnalare il pericolo di una “deriva antiscientifica che mira a bloccare il futuro e riportare tutto al passato.”.
Ponendo il suo autorevole sigillo al dogmatismo scientifico che invece, particolarmente in Italia, sta asfissiando e impedendo qualsiasi confronto serio di carattere “evidence based”.
Tocca quindi sommessamente far notare al Signor Presidente, cui non sono state date le corrette informazioni, che – ad esempio – negli Stati Uniti, la massima istituzione regolatoria dei farmaci, l’FDA, in occasione di una decisione importante come l’eventuale impiego della terza dose, ha indetto una riunione pubblica, invitando a parteciparvi anche personalità scientifiche molto critiche sulla vaccinazione di massa e in particolare dei bambini.
Mentre in Italia, i medici che si permettono di esserlo o di sollevare alcuni dubbi vengono radiati tout court. Per converso, grande libertà di parlare (e anche di mentire spudoratamente) viene lasciata a virologi e clinici di modestissima reputazione internazionale, spesso non esenti da mai dichiarati conflitti di interesse con aziende farmaceutiche.
Il fatto ancora più grave è che mentre le nostre istituzioni regolatorie si oppongono alla pubblicazione dei verbali di decisive riunioni (da noi sempre segrete), il Ministero della Salute continua a imporre ai medici di base il protocollo di cura domiciliare “Paracetamolo e vigile attesa”, oramai unanimemente stigmatizzato dalla letteratura scientifica internazionale, e ritenuto addirittura responsabile non solo di non aver prevenuto, ma addirittura facilitato moltissimi ricoveri in ospedale e in terapia intensiva.
Evidentemente nessuno ha mai riferito al Signor Presidente che una delle massime autorità della virologia mondiale, Sir Andrew Pollard, Direttore dell’Oxford Vaccine Group, ha sentenziato di recente: “L’immunità di gregge è un mito irraggiungibile”. Il che getta una luce preoccupante su una politica vaccinale a tappeto che si prefigge addirittura di coinvolgere i bambini piccoli nei quali (come è stato affermato durante la riunione dell’FDA del 17 ottobre) si può dimostrare che i rischi della vaccinazione superano gli eventuali benefici.
Dubito che il Presidente sia stato inoltre informato del fatto che il ricercatore che ha dato il massimo impulso agli studi della tecnica mRNA messaggero, il dr. Robert Malone, ha lamentato più volte che i dossier autorizzativi siano stati costruiti con dati grossolanamente incompleti riguardo alla sicurezza. Seri dubbi sulla durata dell’efficacia, invece, (recentemente confermati dalle stesse aziende produttrici), sono stati sollevati dal senior editor del British Medical Journal Peter Doshi, la cui autorevolezza scientifica a livello mondiale è indiscussa.
È davvero stupefacente, quindi, che mentre nella comunità scientifica internazionale sta crescendo un dibattito assai critico intorno ai neo-vaccini sulla base dell’acquisizione di nuove evidenze, in Italia si sia creata una cappa di dogmatismo scientifico senza precedenti, quando la scienza vive per sua natura di dubbi, analisi serie, confronti, discussioni.
Interrogarsi sull’assurdità del protocollo “Paracetamolo e vigile attesa” costituisce un elemento di deriva antiscientifica? Stupirsi per la delegittimazione di farmaci a basso costo (qui, qui e qui) che si stanno dimostrando salvavita in Giappone, India e Sudamerica, per di più supportati da robuste metanalisi su lavori randomizzati e controllati, costituisce un altro pilastro della deriva antiscientifica?
Qualche elemento di questa deriva c’è, ma paradossalmente riguarda alcuni responsabili delle istituzioni sanitarie. Cito in proposito due casi piuttosto eclatanti.
Il generale Figliuolo, in diretta tv, ha detto: “In fondo nel vaccino c’è solo un pochino di virus, come si è sempre fatto”. (Si, ma con i vaccini tradizionali, non con quelli a mRNA messaggero).
Particolarmente imbarazzante poi la risposta del Sottosegretario alla Salute, il proctologo Sileri, di fronte alla mia citazione in un talk show dei dati ufficiali sui 24.500 effetti avversi fatali verificati in Europa, pubblicati da Eudravigilance. Per comprendere a che livello di deriva antiscientifica ci troviamo di fronte nelle Istituzioni ufficiali della salute, è sufficiente ascoltare le sue argomentazioni.
Nei prossimi giorni verrà lanciato un appello per la costituzione di un luogo neutro in cui sia possibile confrontarsi con criteri “evidence based” su argomenti di carattere scientifico riguardo a tutta la tematica della pandemia. È augurabile che il Presidente della Repubblica voglia dare il suo avallo ad una iniziativa di ricerca della verità che si ispira al più classico dei metodi scientifici: quello di Galileo.
BELPAESE DA SALVARE
Trieste, la sparata del sindaco Dipiazza: “Contro no green pass leggi come per i brigatisti”
Trieste, 9 nov — Per le manifestazioni no green pass «Servono leggi speciali come con le Brigate rosse»: è la sparata del giorno a firma del sindaco di Trieste Roberto Dipiazza.
Uno degli aspetti più sconcertanti della pandemia riguarda, senza alcun dubbio, l’aver sdoganato la possibilità per chiunque, ma proprio chiunque, di avventurarsi in dichiarazioni che in altri momenti storici sarebbero state duramente criticate e considerate uno sfogo indegno. Tanto più grave se poi certe dichiarazioni arrivano da politici insigniti di responsabilità di governo o amministrazione cittadina.
Dipiazza tifa leggi speciali come per le Brigate rosse
Nel caso di specie, è la volta del neoeletto sindaco di Trieste, il forzista Roberto Dipiazza, il quale non trova di meglio che esultare, («se è davvero così stappo lo champagne») commentando l’annuncio del Ministero dell’Interno in merito al giro di vite contro le manifestazioni no green pass che da settimane si tengono nella città da lui amministrata. Il problema è che Dipiazza non si è limitato alla mera esultanza per la notizia, ma è andato ben oltre, rincarando la dose come ormai di prassi quando si parla di misure restrittive e repressive: «Farei come ai tempi delle Brigate Rosse: leggi speciali. Allora c’era l’emergenza terrorismo, oggi c’è la pandemia ma il periodo è sempre drammatico. A mali estremi, estremi rimedi».
Cosa è rimasto del presunto partito liberale che era un tempo Forza Italia? Mistero. Comparare l’emergenza terrorismo con delle manifestazioni di piazza è veramente pericoloso: si stabilisce una connessione che non esiste ma che eccita ed esaspera gli animi. Anche perché le manifestazioni di piazza contestano l’utilizzo distorto, burocratico e liberticida dello strumento green pass, il cui allargamento a una serie sempre più estesa di attività — non ultimo il lavoro — ha scarsi equivalenti in altri Paesi. Altro che Brigate Rosse.
La fantomatica correlazione tra manifestazioni e Covid
Non pago della comparazione, Dipiazza riesce anche a stabilire la diretta correlazione tra l’aumento dei casi di Covid a Trieste e le manifestazioni, descritte come focolai. Si può manifestare, bontà di Dipiazza, «ma con dei limiti. E il limite maggiore è il diritto degli altri alla salute e al lavoro. E queste continue manifestazioni lo violano, come dimostra il focolaio fra i manifestanti». Dimenticando però che Trieste confina con la Slovenia, Paese tra i più colpiti attualmente dal Covid a livello europeo. E come si possa, con così tanta sicurezza, dare degli untori ai manifestanti no green pass, in un Paese che non è mai riuscito davvero a tracciare le linee di contagio rappresenta un altro stigma pericoloso da gettare sulle spalle dei manifestanti.
Cristina Gauri
FONTE: https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/trieste-sindaco-dipiazza-brigatisti-213902/
CONFLITTI GEOPOLITICI
Le forze armate statunitensi non possono impedire alla Cina di riavere Taiwan
China Arms, 26 ottobre 2021
Secondo media cinesi, il Professor Tang Yonghong, vicedirettore del Taiwan Research Center dell’Università di Xiamen, dichiarava in una intervista che alcuni credono che “gli Stati Uniti siano dietro la questione di Taiwan”, come a dire che gli Stati Uniti sono il fattore decisivo nella questione di Taiwan, ma pensa che l’idea sia sbagliata. Secondo Tang quando la Cina continentale era debole qualche decennio fa, sarebbe stato possibile dirlo, ma ora il divario tra Cina continentale e Stati Uniti è sempre più piccolo e, nelle circostanze attuali, gli Stati Uniti non sono più la forza decisiva nella questione di Taiwan, sebbene svolgano ancora un ruolo. Tang crede che la Cina continentale sia il fattore decisivo e la forza della questione di Taiwan cioè, quando la Cina continentale deve usare la forza, può risolvere la questione di Taiwan, anche se gli Stati Uniti osassero entrare in guerra. Il fattore USA (sulla questione Taiwan) è sceso in posizione secondaria. Prenderli ancora sul serio e pensare che la Cina non abbia la forza per risolvere il problema di Taiwan significa rimanere nella stessa visione di trent’anni fa, non al passo dei tempi. In effetti, gli Stati Uniti sono così consapevoli che hanno scelto di rimanere strategicamente ambigui sulla questione di Taiwan, rifiutandosi di prendere un chiaro impegno ad aiutare la difesa di Taiwan.
Per coincidenza, secondo un rapporto sul World Wide Web del 20 ottobre, Scott Ritter, che fu ufficiale dell’intelligence nel Corpo dei Marines degli Stati Uniti, affermò che il recupero di Taiwan da parte della Cina con la riunificazione pacifica sarò auspicabile per tutti e in linea cogli interessi nazionali statunitensi. Allo stesso tempo, Scott Ritter crede anche che una volta che la Cina continentale deciderà di usare la forza per risolvere la questione di Taiwan, che gli Stati Uniti scelgano o meno di entrare in guerra, il risultato finale sarà lo stesso e non ci sarà modo per impedire alla Cina di completare la riunificazione dello Stretto. In precedenza, parlando di Taiwan, Scott Ritter notò che gli Stati Uniti giocano a un gioco pericoloso e non possono “difendere Taiwan”, cosa di cui la Cina è ben consapevole.
Taiwan è attualmente una mano che gli Stati Uniti usano per cercare di usarla per affrontare la Cina e infine contenerla. Ma a differenza degli alleati dell’Asia-Pacifico degli Stati Uniti, Taiwan non è considerato tale dagli Stati Uniti perché non hanno firmato un “accordo di sicurezza” con essa e non vi hanno schierato truppe o armi, il che significa che le forze armate statunitensi non hanno “modo” per entrare in guerra con la Cina. A meno che gli Stati Uniti non intendano entrare in una guerra con la Cina, non ci sono scuse per il loro coinvolgimento a Taiwan, secondo Scott Ritter. In secondo luogo, Scott Ritter sostiene che anche se gli Stati Uniti fossero determinati a intervenire a Taiwan, ci vorrebbero almeno tre mesi per radunare le truppe per la missione di combattimento. A quel punto, la Cina avrà completato il piano per recuperare Taiwan. Gli analisti ritengono che se gli Stati Uniti vogliono confrontarsi con la Cina su Taiwan, allora non hanno possibilità di vincere. L’unica cosa che farebbe la differenza sono le armi nucleari, ma se gli Stati Uniti insistono nell’usare armi nucleari nello stretto di Taiwan, allora la guerra nucleare tra Stati Uniti e Cina sarà inevitabile, e finché il Pentagono non impazzirà, semplicemente non accetterà il piano.
FONTE: http://aurorasito.altervista.org/?p=20662
CULTURA
LA PROFEZIA DI EMANUELE SEVERINO E L’ESSERE UMANO COME «COSA»
08 NOVEMBRE 2021
Il terzo millennio è cominciato male. Se pensavamo che il secolo scorso, ultimo del secondo millennio, ci avesse fatto provare l’estrema hýbris, ossia l’estrema “tracotanza”, l’estremo “eccesso”, l’estrema “superbia”, l’estremo “orgoglio” e l’estrema “prevaricazione”, ci siamo sbagliati. L’esordio del terzo millennio ci sta portando oltre il nazismo, lo stalinismo, il maoismo.
Dove ci stia portando l’esordio del terzo millennio lo ha scritto nel 1978, in un saggio profetico, Emanuele Severino, “il cui pensiero è considerato come una reale alternativa alla cultura dominante”.
In: “Struttura della storia dell’occidente e oltrepassamento della critica alienata dell’alienazione”, in: “Gli abitatori del tempo” (Armando), Severino scrive: “La forza suprema che oggi domina incontrastata su tutta la terra è l’azione scientifico-tecnologica organizzata da un piano economico-politico”.
La forza scientifico-tecnologica, aggiunge il filosofo bresciano, “non solo domina oggi ogni altra forza della terra, ma si fonda sul progetto del dominio illimitato di tutte le cose, cioè sul progetto di una produzione e distruzione controllate e illimitate dell’universo. Per questo progetto non esiste in linea di principio alcuna cosa che non sia dominabile (ossia producibile e distruttibile) e di fronte alla capacità produttiva-distruttiva della tecnica vanno in effetti cadendo tutti i limiti che in passato, come leggi inderogabili, erano stati posti all’attenzione dell’uomo: la legge di Dio, la legge naturale, la legge morale. La tecnica oltrepassa ogni limite e diventa sempre più invenzione di un mondo nuovo che si libera del vecchio; non si limita più a produrre beni di consumo e strumenti di lavoro, ma si è già incamminata verso la produzione dell’uomo stesso, della sua vita, sentimenti e rappresentazioni e della sua felicità ultima, ossia verso la liberazione dell’uomo dal dolore e dalla morte”.
In questa tracotanza della tecnica è visibile l’ideologia cosmista, che oggi si sta evidenziando nelle teorie del transumanesimo. Una follia collettiva dove i lupi si travestono da agnelli.
“Nel progetto scientifico tecnologico di una produzione-distruzione controllata e limitata di tutte le cose – evidenzia Severino – la cosa è intesa come assoluta disponibilità all’essere prodotta e distrutta”.
In questa disponibilità della cosa è entrato anche l’essere umano, che può essere prodotto (utero in affitto) e distrutto (guerre, guerra batteriologica, fame) a piacimento.
La cosificazione dell’essere umano è in atto con la tracotanza del pensiero unico politicamente corretto delle élite, che si avvalgono della “scienza”, ridotta a dogma e della “tecnica”, assurta a verità incontrovertibile, per sottomettere gli esseri umani al nuovo umanesimo, che è transumanesimo cosmista, facitore di un’umanità-gregge di esseri indifferenziati, senza patria, senza radici, senza storia. Un gregge da controllare e indirizzare, da nutrire secondo i paradigmi della tecnica asservita alle multinazionali, da salvare o non salvare, a seconda delle conseguenze e del business, da rincitrullire con una propaganda ossessiva che presenta una realtà modificata ad uso delle élite dominanti.
In questo quadro, ancora una volta profeticamente, Severino scrive: “L’umanesimo socialista e l’ecologia non si pongono l’abolizione di quel progetto, ma la sua razionalizzazione più efficace e più rispondente ai valori ritenuti di volta in volta irrinunciabili”.
La profezia si sta avverando sotto i nostri occhi. I partiti della sinistra si sono asserviti al pensiero unico politicamente corretto, hanno sposato le tesi della cancellazione della cultura e della storia, ammiccano a tutte le teorie pseudoscientifiche che tendono a fare dell’essere umano una “cosa” da fare e da disfare a piacimento, indifferenti alla dimensione animica, quasi che l’essere umano sia ora ridotto alla sola carne, alla quale si vende l’illusione della salvezza e della bellezza eterne nel qui e ora, incuranti di ogni aspetto che guardi alla dimensione spirituale.
Anche l’ecologia è diventata un oggetto di propaganda.
Per fortuna c’è ancora chi non ha paura di essere fuori dal coro, come Franco Prodi, fisico dell’atmosfera e climatologo di fama mondiale, il quale non teme di dire che con Greta siamo di fronte a un abbaglio mondiale e che il movimento giovanile incanala “nella direzione sbagliata, cioè la lotta al riscaldamento globale, quella che è in realtà un’urgenza giusta, ovvero la salvaguardia del pianeta”.
In un’intervista a Huffingtonpost, Franco Prodi afferma che “al momento, nessuna ricerca scientifica stabilisce una relazione certa tra le attività dell’uomo e il riscaldamento globale. Perciò, dire che siamo noi i responsabili dei cambiamenti climatici è scientificamente infondato”.
Prodi non nega che ci siano i cambiamenti climatici, ma correttamente sostiene che la storia del nostro pianeta è anche la storia dei cambiamenti climatici che si sono susseguiti nel tempo. Nel tardo Medioevo, intorno all’anno 1200, è noto che la temperatura della Terra aumentò significativamente. Così come sappiamo che a metà del diciassettesimo secolo ci fu un fenomeno inverso, ovvero una piccola glaciazione. In entrambi i casi, l’uomo non aveva ancora sviluppato tutte quelle attività industriali che oggi sono considerate responsabili dei cambiamenti climatici. Come si può dire, dunque, che per il 95 per cento è colpa dell’uomo?”.
Si allarma Prodi se una parte del Monte Bianco si sta sciogliendo? No. “Sono fenomeni – dice – che abbiamo già conosciuto. La pianura padana, per dire, era un’enorme ghiacciaio. Poi, la vita è ripresa”.
“Non posso fare a meno – conclude da scienziato non alla moda Prodi – quando parlo, di parlare facendo riferimento alle conoscenze scientifiche che abbiamo a disposizione, e che non dicono quello che il regime catastrofista che domina il discorso pubblico vorrebbe che dicessi. Tutto qui”.
Non meno tranciante è Antonino Zichichi (Il Giornale.it 30 settembre 2019): “Greta ha parlato di clima per attrarre l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. E c’è riuscita. Ma se non c’è la Logica, quindi la Matematica e poi la Scienza, cioè la prova sperimentale, il clima rimane quello che è: una cosa della quale si parla tanto, senza usare il rigore logico di un modello matematico e senza essere riusciti a ottenere la prova sperimentale che ne stabilisce il legame con la realtà. Greta non dovrebbe interrompere gli studi, come ha detto di volere fare, per dedicarsi alla battaglia ecologista, ma tornare nella sua scuola e dire che bisogna imparare la Matematica delle equazioni differenziali non lineari accoppiate e le prove sperimentali necessarie per stabilire se quel sistema di equazioni descrive effettivamente i fenomeni legati al clima. Greta dovrebbe dire che di clima bisognerebbe iniziare a parlarne alle scuole elementari, mettendo in evidenza che siamo l’unica forma di materia vivente dotata di quella straordinaria proprietà alla quale si è dato il nome di Ragione. È grazie alla Ragione che abbiamo scoperto Linguaggio, Logica e Scienza…. […]. È bene precisare – avverte Zichichi – che cambiamento climatico e inquinamento sono due cose completamente diverse. Legarli vuole dire rimandare la soluzione. E infatti l’inquinamento si può combattere subito senza problemi, proibendo di immettere veleni nell’aria. Il riscaldamento globale è tutt’altra cosa, in quanto dipende dal motore meteorologico dominato dalla potenza del Sole. Le attività umane incidono al livello del 5%: il 95% dipende invece da fenomeni naturali legati al Sole. Attribuire alle attività umane il surriscaldamento globale è senza fondamento scientifico. Non c’è la Matematica che permette di fare una previsione del genere”.
La scienza si muove così. La pseudo scienza si muove con la propaganda ad usum e si avvale di competenti, demagoghi, tecnici improvvisati, che si accapigliano in cerca di visibilità, perché ormai il virus che ha colpito lor signori è lo stare sui giornali, in televisione, dicendo tutto e il contrario di tutto. L’importante è la visibilità.
Persino le religioni si sono piegate alla mondanità sociologica ed ecologica, ormai incuranti della loro originaria missione volta a guardare oltre il transito terreno e a indicare un senso all’esistenza.
E così “la tecnica – scrive Severino – si sta già proponendo di giungere alla ricostruzione della struttura mentale dell’individuo, per conferirle quelle qualità psicologiche (le cosiddette «forze morali») che sono richieste per l’efficace funzionamento degli strumenti”.
L’essere umano diventa non solo “cosa”, ma strumento degli strumenti.
“Ma – avverte Severino – proprio perché la tecnica è negazione di ogni verità definitiva, e per dominare la trasformazione delle cose deve essere questa negazione, la civiltà occidentale è destinata all’angoscia più radicale: ogni felicità e ogni paradiso costruiti dalla prassi tecnico-scientifica sono insicuri: la civiltà della tecnica può produrre tutto ed eliminare il rimpianto per ogni felicità di tipo religioso, ma non può produrre l’incontrovertibilità e la sicurezza definitiva del suo dominio”. E così, “l’estrema potenza che l’Occidente è destinato a realizzare è essenzialmente insicura: essa è minacciata dalla possibilità dell’estremo naufragio, perché non esiste, e nell’ambito della civiltà della tecnica non può esistere una verità incontrovertibile e definitiva sul cui fondamento si possa stabilire l’impossibilità di perdere la felicità raggiunta”.
La profezia, che si sta avverando in questo esordio del terzo millennio, è forse l’estrema hýbris che pensavamo di aver confinato nel secolo scorso e che, al contrario, si presenta con la sua faccia tragica, contorniata da nani, ballerine, saltimbanchi, improvvisati “scienziati”, nuovi predicatori della “santa tecnica”, come nei pellegrinaggi nel Medioevo che il magistrale film Brancaleaone ha ben stigmatizzato.
“Il pellegrinaggio – scrive Jaques Le Goff nel suo “L’uomo medievale” – può trasformarsi in un andar errando, in vagabondaggio”.
In questo nuovo Medioevo il pellegrinaggio dello scienziato sulla via della conoscenza si è trasformato in un vagabondaggio sulle vie della tecnica. Ogni giorno tecnici, competenti, pseudo scienziati rovesciano le più diverse opinioni vendute come distillato di conoscenza, salvo ricredersi e dire il contrario di quanto abbiano asserito. Tecnici contro tecnici, competenti contro competenti, vagabondano sulla stampa e sui media in questo viaggio grottesco che accompagna le nostre giornate. “Branca, branca, branca. Leon, leon, leon”.
Siamo entrati nell’estrema hýbris del terzo millennio. La profezia si è avverata.
FONTE: https://www.nuovogiornalenazionale.com/index.php/italia/cultura/4280-la-profezia-di-emanuele-severino-e-l-essere-umano-come-cosa.html
ADAM KADMON, UNCENSORED. IL DIARIO SEGRETO
Adam Kadmon – 1 11 2021
Le mie fiabe nei tanti anni che ebbi modo di parlare a milioni di persone da radio e tv, e come del resto spiegai anche dal telegiornale, sono metafore che hanno sempre avuto uno scopo: prevenire danni e proteggere vite. Non ero un complottista ed infatti come ricordate a migliaia, venivo diffamato sia da complottisti che da scientisti, che da gruppi con orientamenti politici e religiosi di ogni tipo. Un pò come nel film John Wick2 dove ad un certo punto il protagonista nel compiere la scelta giusta si ritrova attaccato da tutti. Evidentemente capita quando uno scrittore narra per pura coincidenza una fiaba talmente scomoda da violare i confini stabiliti da un potere sovranazionale oltretutto uno scrittore che dimostrata di essere davvero totalmente indipendente. Le mie fiabe sono forse informazioni scritte come metafore per evitare censure? Voi lo avevate capito? E certi signori fingevano di non capirlo e poi quando hanno visto che molti iniziavano a capire mi hanno messo un bersaglio addosso dalla metà del 2013 ad oggi? Magari un bersaglio come quello che vedete nella copertina del mio romanzo. Se i mass media hanno insabbiato tutti i libri che ho scritto dopo il 2013, viene da chiedersi cosa potrebbero fare quando leggeranno i contenuti di quel mio romanzo UNCENSORED, che pur esistendo dal 2014 e dovendo diventare la trama di film annunciato nel 2015 venne bloccato dalla morte improvvisa delle persone che mi stavamo aiutando a produrlo con un casting internazionale. Perchè? Ma quant sfortunate e anche tragiche coincidenze sono capitate ad ostacolare la mia carriera da quando scrivo fiabe con la libertà nel cuore… E perchè le mie fiabe, se io le presento da sempre come tali fanno tanta paura a poteri sovranazionali? Cosa temono? Temono forse che si capisca davvero che tante catastrofi, crisi, indebitamenti e provocazioni ai danni della parte onesta dei popoli, sia progettato da tempo? Temono forse che la popolazione di coscienza smetta di farsi prendere in giro e si rifiuti di farsi spingere a spese e guerre inutili che la impoveriscono? A cosa sono dovuti questi dannosi risultati in Italia e all’estero. Quando poi lo hanno capito o non hanno più potuto nascondere come stanno le cose, hanno forse.iniziato a dire “nessuno poteva prevedere” quanto accadeva? E quando in tanti avete fatto notare a quei signori che invece io avevo previsto tutto, guarda caso sono iniziate strane censure anche delle mie fiabe? Comunque stiano le cose il mio romanzo è senza censure. E il mio editore pur sapendo cosa accaduto di brutto a.danno mio e di chi riporta quella particolare storia che leggerete, sta facendo quanto possibile perchè il mio nuovo libro sia davvero UNCENSORED nonostante contenuti profeticamente scomodi che erano già in esso presenti fin dalla prima bozza di tanti anni fa. Perchè censurare la trama di un romanzo o di un film? Forse perchè nelle mie fiabe vi sono insegnamenti per proteggersi da quanto sta ogfi accadendo sul serio da far sembrare tutta la realtà proprio ad un incubo? È tempo di migliorare tutto. Per tutti. E’ una cosa molto grande da compiere ma uniti da piccoli passi fatti con motivazione, perseveranza ed amore possiamo compiere miracoli. Non è utopia. È una possibilità. A noi coglierla o meno. Chi mi legge online dal 2005 sa bene di cosa parlo. E da qualche anno lo sta vedendo come sta vedendo abbattersi su me su facebook, implacabile, una ingiusta censura che rimuove ogni prova. Ma per fortuna ve ne siete accorti. Noi tutti siamo UNCENSORED. E vogliamo essere lasciati liberi di scrivere come la pensiamo. Rivogliamo come nostro diritto, democrazia e libertà decisionale. A proposito, ai tantissimi di voi che mi chiedono qui ed in messaggeria, nel ringraziarvi di Cuore del grande interesse dimostrato per me fin dal 2005, confermo che il romanzo, narra di quegli aspetti della storia alla base di tutte le mie fiabe, di cui finora non avevo ancora mai parlato, anche sulla vita del mio personaggio. E potrebbe essere già disponibile da metà novembre 2021.
Un Abbraccio forte x 7777
FONTE: https://www.facebook.com/AdamKadmon.Pagina.Ufficiale/posts/444161747067075
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
L’ITALIA È UNA COLONIA BRITANNICA? L’INTERVISTA A GIOVANNI FASANELLA
Tra il “Dio stramaledica gli inglesi” di Mario Appelius e il “God Save The Queen” dei Sex Pistols passano circa una trentina d’anni, tre decenni di passioni, di lotte, di ottima musica, di supremazie e di sottomissioni, di amicizie interessate, di riprese economiche, di recessioni, di benessere e di tensioni sociali. Tutto questo flusso ha intrecciato il Regno Unito all’Italia in un rapporto che affonda le sue radici all’alba aurea dell’Ottocento, all’epoca del Risorgimento e della Crimea, andando poi sviluppandosi lungo tutto il Novecento attraverso passaggi molto aspri, questo prima di rinnovarsi seppur parzialmente sotto l’egida di quell’Europa unita che sembrava esserci e che pare invece oggi assai a rischio.
L’approfondimento sulla Union Jack in salsa imperialista è qualcosa che non sempre viene trattato a patto che si escludano i libri di scuola e le leggendarie scorribande di Francis Drake, forse perché si fa fatica a dare una storia alla supremazia moderna e alla nascita della corsa all’oro basata su di essa. “L’Inghilterra è una nazione di bottegai” diceva Napoleone, e se il bottegaio vende la merce è anche per comprarne dell’altra, d’altronde “business as usual”, direbbe Churchill. Insomma, ci accorgiamo che l’Inghilterra è una nazione commerciante, una nazione tanto nazione a sé, amena, al riparo e in vedetta sul futuro, ma al contempo maestra del passato. Giovanni Fasanella, lucano di San Fele, giornalista già a l’Unità e poi a Panorama, da tempo si occupa del lato oscuro della forza, sforzandosi di stracciare i veli dai misteri che ancora in gran quantità nidificano nelle azioni britanniche sul territorio italiano, degne rappresentazioni zerozerosettesche di un universo ancora sconosciuto ai più.
L’ultimo libro che Fasanella ha pubblicato con la collaborazione dell’archivista Mario José Cereghino si chiama “Colonia Italia” e affronta appunto l’ingerenza britannica nell’Italia del dopoguerra e non solo, offrendo notevoli spunti affinché si cerchi di orientare al meglio la bussola in un’epoca in cui il pavimento rischia di girare un po’ troppo sotto i nostri piedi. Abbiamo deciso di incontrare Giovanni per parlare del libro e di questo periodo così intricato e difficile da decifrare quasi fosse un geroglifico.
Dopo “Golpe Inglese” ecco “Colonia Italia”. Dobbiamo aspettarci un sequel del primo lavoro, e soprattutto, com’è nato questo suo interesse per i rapporti tra la Corona inglese e la storia del nostro Paese?
Sì, sulla base di nuovi documenti trovati negli archivi di Londra, “Colonia Italia” sviluppa un punto sfiorato nel “Golpe inglese”: il tentativo da parte britannica di condizionare il corso della politica italiana attraverso il controllo dei mezzi di comunicazione di massa. Quanto al mio interesse per i rapporti tra Inghilterra e Italia, è nato oltre 15 anni fa, quando cominciai a frequentare gli archivi della Commissione parlamentare Stragi, allora presieduta da Giovanni Pellegrino. Spulciando tra quelle carte, trovai alcuni documenti che non erano mai stati presi seriamente in considerazione. Erano interessanti, perché disegnavano, sia pure in modo ipotetico, un contesto internazionale del terrorismo rosso e nero molto diverso dalle vulgate tradizionali: quello della “guerra mediterranea” tra paesi amici ed alleati per il petrolio nordafricano e mediorientale. Da allora, non ho mai mollato questa pista, l’ho approfondita sempre più, arrivando a Londra, grazie anche al contributo determinante di un bavissimo archivista come Mario Josè Cereghino, coautore di “Colonia Italia”. Negli archivi di Stato di Kew Gardens abbiamo trovato le conferme documentali delle ipotesi formulate in quei documenti della commissione Pellegrino.
Restando sul tema degli interessi inglesi, ci può spiegare nello specifico di che interessi si tratta e come si sono dipanate le strategie britanniche per monitorare le iniziative dei nostri governi nel corso dei decenni?
La Gran Bretagna ha sempre avuto una particolare attenzione per l’Italia sin dall’Ottocento. Il nostro paese, collocato geograficamente proprio al centro del Mediterraneo, cioè nell’area sin da allora di maggiore interesse strategico per Londra, è sempre stata una postazione naturale di fondamentale importanza per il controllo delle rotte commerciali e militari verso i domini coloniali britannici in Africa, Medio Oriente e Asia. Nell’era del petrolio, dal punto di vista inglese il ruolo dell’Italia è divenuto ancora più strategico. I problemi tra Londra e Roma sono però cominciati quando parti delle nostre classi dirigenti, quelle cosiddette “sovraniste”, hanno cominciato ad assumere come stella polare della loro politica l’interesse nazionale italiano e non quello britannico, provocando la reazione del Regno Unito, che si è sentito minacciato nelle sue aree vitali. E’ accaduto con Enrico Mattei e con Aldo Moro, per esempio. Entrambi entrarono in rotta di collisione con gli interessi inglesi. Entrambi furono oggetti di continue, violentissime campagne di stampa, vere e proprie macchine del fango, alimentate dalla propaganda occulta dei servizi di Sua Maestà. Entrambi vennero definiti «nemici mortali degli interessi britannici nel mondo», come si legge nei documenti di Kew Gardens. Entrambi furono assassinati.
Molti, in questi mesi di passione dell’eurozona, si chiedono sempre più insistentemente perché il Regno Unito sia rimasto fuori dall’unione monetaria pur mantenendo grossa voce in capitolo. Nei primi mesi del 2015 l’ex ministro delle finanze greco Varoufakis parlò apertamente di unione monetaria come “progetto di natura anglosassone”. Il lavro suo e di Mario Josè può aiutarci a soddisfare qualche dubbio?
La Gran Bretagna è abituata storicamente a giocare su più tavoli partite anche molto diverse. Mantiene un piede in Europa per contenere soprattutto l’egemonia tedesca, ma al tempo stesso puntella strenuamente la propria egemonia nell’area della sterlina e nei paesi del Commonwealth. Senza contare che Londra è una delle piazze finanziarie più importanti del mondo. Il Regno Unito, subito dopo la Seconda guerra mondiale era il più grande impero coloniale della storia ma, nel giro di pochi decenni e a causa anche dell’azione italiana, i suoi possedimenti territoriali e la sua influenza sulla scena mondiale sono andati riducendosi sempre più. Dopo la fine della guerra fredda e il crollo del comunismo sovietico, si sono aperti nuovi spazi e Londra ha cercato di recuperare le posizioni perdute. Oggi aspira nuovamente al ruolo di potenza globale.
Sfatiamo dunque il mito degli Usa come dominatori assoluti? Possiamo allora esagerare e dire che gli States sono il braccio armato degli inglesi?
No, non è vero. Non dimentichiamo che gli Stati Uniti sono nati da una guerra di liberazione nazionale combattuta contro il governo di Sua Maestà. Usa e Gran Bretagna, e “Colonia Italia” lo dimostra, pur nel contesto di un’alleanza politico-militare molto solida, sono stati spesso concorrenti proprio nel Mediterraneo, in Africa e in Medio Oriente. Anche le loro visioni del problema italiano spesso divergevano. Si è visto in alcuni frangenti drammatici della nostra storia recente, stando sia ai documenti de “Il golpe inglese” che a quelli di “Colonia Italia”. Durante la seconda guerra mondiale, per esempio: gli Usa combattevano per la liberazione dell’Italia dal nazifascismo, la Gran Bretagna per la conquista del nostro paese. Subito dopo la guerra, quando si pose il problema dello status italiano: per gli Usa eravamo una nazione cobelligerante, che si era liberata combattendo al fianco degli eserciti alleati, per gli inglesi invece una nazione sconfitta. E poi anche durante gli anni dello stragismo e del terrorismo. Londra appoggiò il tentativo di golpe di Junio Valerio Borghese del 1970, gli Usa lo bloccarono. E di nuovo nel caso Moro: l’Inghilterra progettò veri e propri piani eversivi per fermare la politica morotea, gli americani, nei limiti del possibile, ostacolarono i piani britannici. Vero è invece che, nella sua smisurata ambizione, Londra ha pensato spesso di usare furbescamente la potenza militare americana come il proprio braccio armato, com’è accaduto nel 1953 in Iran, quando il leader nazionalista anti-britannico Mossadeq venne deposto con un golpe organizzato dalla Cia. E vero è anche che alcune componenti dell’establishment Usa sono fortemente anglofile.
Forse quel che desta più curiosità è l’apparente disinteresse dei principali canali mediatici nei confronti di questo argomento. Eppure è un argomento che negli ultimi anni sta lentamente affacciandosi dalle crepe di un muro ben eretto e che appariva invisibile, ancor più che invalicabile. Credi che questo sia l’inizio per una nuova era della Storia, e della storiografia?
E di che cosa ti stupisci? La macchina della propaganda occulta dell’intelligence e della diplomazia britannici ha controllato giornali, Tv e industria editoriale per oltre un secolo, è chiaro che se vai a toccare questo nervo sensibilissimo, non potendo contestare la base documentale del nostro lavoro, reagiscono facendo finta di nulla, silenziando il libro, anche se ci sono state alcune eccezioni (Libero, il quotidiano di Maurizio Belpietro, La Stampa di Mario Calabresi e Sette, il supplemento del Corriere della Sera). Ma non voglio fare la vittima. Avevo già messo nel conto che, nel migliore dei casi, il silenzio sarebbe stato il prezzo da pagare: se disturbi, non puoi certo aspettarti carezze e fiori. Per questo, abbiamo puntato molto sul web: è vero che la rete è popolata anche da imbecilli e paranoici, ma molto meno di quanto vorrebbero far credere certi santoni del pensiero unico che, proprio a causa della rete, stanno perdendo il loro ruolo. Anche grazie a internet, libri come “Il golpe inglese” e “Colonia Italia” sono molto letti, te l’assicuro. E scavano come gocce d’acqua sulla roccia.
Sono rimasto sinceramente colpito da una sua dichiarazione rilasciata alla presentazione del libro, in cui le si chiedeva un’analisi del fenomeno complottista e soprattutto di quello anticomplottista. Può spiegarci che differenza c’è tra una pubblicazione come “Colonia Italia” e una qualsiasi teoria della cospirazione, tra le molte che affollano il web?
Fino a questo momento nessuno ha accusato “Colonia Italia” di essere un libro complottista. Il libro è stato silenziato, ma non accusato di dietrologia. D’altra parte, ripeto, è difficile contestare la ricchissima documentazione su cui si basa, ricavata da ricerche d’archivio durate anni. Ed è proprio questa la differenza tra il lavoro di Cereghino e mio e le panzane paranoidi che circolano sul web. Ma mica solo sul web! Da Piazza Fontana in poi sono stati pubblicati milioni di libri e articoli, sono state realizzate migliaia di trasmissioni televisive, e se mi domandassero: che cosa salveresti?, risponderei: ben poco. Gran parte di questa produzione, infatti, è viziata da letture politico-ideologiche, da teoremi indimostrabili, da campagne di intossicazione e depistaggi. Per cui, è davvero difficile distinguere il vero dal verosimile o dal falso.
Secondo lei complottismo e anticomplottismo fanno parte dello stesso strumento “conservatore”?
Sono due scuole di pensiero, definiamole così, basate su pregiudizi e schemi ideologici, quindi del tutto slegate dai fatti e dai loro contesti politici e geopolitici, dalle dinamiche tra forze e interessi in campo. Ed è vero: senza l’uno non esisterebbe l’altro. Sono due facce della stessa medaglia che si legittimano e si sostengono a vicenda arrecando un danno enorme alla libera ricerca. Ripeto, libera ricerca: libera da schemi, teoremi e verità precostituite e interessate, ma fondata esclusivamente su documenti e testimonianze.
Come mai queste informazioni escono solo ora? E soprattutto, quante ancora sono rimaste nascoste? Non è un periodo felice per Buckingham Palace, si pensi solo al video diffuso dal Sun con la piccola Elisabeth e il suo braccio teso…
No, no, per carità: nessun legame tra “Colonia Italia” e le notizie circolate su certe propensioni filonaziste di alcuni rami della famiglia reale. Le verità contenute in libri come “Il golpe inglese” e “Colonia Italia” escono ora perché due giornalisti e ricercatori solitari hanno deciso di andare a rovistare negli archivi di Stato britannici, dove sono custoditi miliardi di documenti su cui è possibile ricostruire gran parte della storia del mondo. A questo proposito va spezzata una lancia a favore della democrazia anglosassone, molto più trasparente della nostra. In Inghilterra il segreto non è eterno, i documenti sensibili –non proprio tutti ma la gran parte sì- vengono periodicamente declassificati e depositati negli archivi di Stato, dove chiunque può consultarli liberamente e attraverso procedure molto semplici. Prova a cercare dei documenti sensibili negli archivi delle commissioni parlamentari d’inchiesta italiane, usciresti pazzo! Semmai la domanda è un’altra: come mai storici, giornalisti e ricercatori italiani non frequentano gli archivi inglesi, che pure rivestono un’importanza enorme anche per noi, visti il peso e l’influenza di Londra nella nostra storia?
Può essere esagerato affermare che il Commonwealth di fatto non ha mai esaurito l’influenza della sua casa madre?
Non è esagerato, è così.
Nel libro si affrontano gli anni Settanta e le loro contraddizioni. Balzando ad oggi, lei pensa che gli equilibri stiano realmente cambiando, o che i corsi e ricorsi storici alla fine si rincorreranno? In poche parole, che eredità si prefigge di lasciare un lavoro come”Colonia Italia” alle generazioni future?
Gli equilibri sono cominciati a cambiare, purtroppo a svantaggio dell’Italia, dalla morte di Aldo Moro in poi. Sarebbe ora che il caso Moro venisse affrontato non più come un cold case, ma come un delitto politico nel senso più pieno dell’espressione, e quindi anche dal punto di vista delle conseguenze che quella morte ha comportato per l’Italia sul piano interno e su quello della sua presenza sulla scena internazionale. Che cosa si prefigge di lasciare “Colonia Italia” alle generazioni future? Non saprei… E’ un libro che vuole far conoscere una storia troppo a lungo nascosta, non ha la pretesa di educare le masse.
Dopo le stragi a Parigi avvenute nel 2015 è evidente come si stia vivendo in un periodo molto delicato che può fare da preludio ad un riassetto politico epocale. In questo contesto, secondo lei, il ruolo della Gran Bretagna, che ha forti ingerenze in medio oriente, cambierà rispetto al Novecento? E se sì, come?
La Gran Bretagna sta facendo di tutto, ma proprio di tutto, per recuperare le posizioni perdute nel Mediterraneo e in Medio Oriente anche a causa della politica italiana. E lo fa attraverso vere e proprie politiche di destabilizzazione. Lo smembramento di imperi o entità statuali in aree di proprio interesse strategico è uno degli strumenti storicamente usati dal Regno Unito per imporre la sua influenza.
FONTE: https://www.glistatigenerali.com/geopolitica/litalia-e-una-colonia-britannica-lintervista-a-giovanni-fasanella/
CAUCASO: La bufera dei Pandora Papers si abbatte anche su Armenia, Azerbaigian e Georgia
Il 3 ottobre, il Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi (ICIJ) ha pubblicato i “Pandora Papers”. Si tratta di un’inchiesta basata su 11,9 milioni di documenti riguardanti le proprietà offshore di alcune delle persone più ricche ed influenti del pianeta. Tra i coinvolti non vi sono solo 35 leader mondiali, ma anche diversi personaggi famosi, imprenditori, politici e funzionari statali. All’inchiesta hanno lavorato più di 600 giornalisti e, tra i 2,9 terabyte di dati analizzati, sono stati coperti oltre 90 paesi per un arco temporale di 25 anni (dal 1996 al 2020). Lo stesso Consorzio, che si era reso precedentemente famoso per la pubblicazione dei celebri “Panama Papers” nel 2016 e dei “Paradise Papers” nel 2017, ha definito i Pandora Papers sul suo sito ufficiale come “la più grande inchiesta della storia del giornalismo” .
L’inchiesta dell’ICIJ si è abbattuta anche su alcune figure di spicco di Armenia, Azerbaigian e Georgia. Tra queste ne emergono in particolar modo due nel panorama politico del Caucaso Meridionale: il presidente azero Ilham Aliyev e il magnate e politico georgiano Bidzina Ivanishvili. Ma vediamo più nel dettaglio come questi personaggi siano rimasti coinvolti nei Pandora Papers.
La passione della “La dinastia Aliyev” per l’immobiliare londinese
Da un’indagine condotta dall’Organized Crime and Corruption Reporting Project (un’organizzazione di diversi giornalisti indipendenti in Europa Orientale, Caucaso e Asia Centrale affiliata all’ICIJ), si evince come famiglia del presidente azero Ilham Aliyev, mediante società offshore, sia stata coinvolta in affari immobiliari a Londra per un valore di quasi 700 milioni di dollari.
Le prove riportate dall’Organized Crime and Corruption Reporting Project mostrano come gli Aliyev abbiano acquistato, nella maggior parte dei casi in contanti, ben 17 proprietà. Non solo appartamenti, ma anche esercizi commerciali, tra i quali uno storico pub nel quartiere Mayfair di Londra. In tutto ciò il figlio di Aliyev, Heydar, è risultato intestatario di quattro edifici all’età di undici anni. L’Organized Crime and Corruption Reporting Project ha riportato che un blocco di appartamenti da 44,7 milioni di dollari venne acquistato da una società di facciata di proprietà di un collaboratore del presidente nel 2009, per poi essere trasferito un mese dopo ad Heydar.
A dieci giorni dalla pubblicazione dei Panama Papers passati all’insegna del “no-comment”, Aliyev ha finalmente rotto il silenzio sul suo coinvolgimento nell’inchiesta. Nel corso di un’intervista con il quotidiano italiano la Repubblica, alla domanda sui Pandora Papers, sugli immobili a Londra e sulle sue società offshore, il presidente azero ha risposto che l’inchiesta, oltre ad essere stata orchestrata ad hoc ad opera di alcune forze in Occidente collegate all’Armenia, consiste inoltre in insinuazioni o mezze verità per screditare l’immagine dell’Azerbaigian e danneggiare la posizione del suo paese.
Le misteriose società offshore di Ivanishvili
Sempre secondo quanto riportato nei Pandora Papers, all’ex primo ministro e fondatore del partito al governo Bidzina Ivanishvili sono imputate 12 compagnie alle Isole Vergini Britanniche tra il 1998 e il 2016. Per aprire queste attività offshore, costui si è servito di una società chiamata “Alcogal”; un intermediario con sede a Panama che, secondo le parole del consorzio, risulta essere un “fornitore offshore di riferimento per i migliori politici ed élite in America Latina e oltre”.
Una di queste società, la Silverport Holdings Ltd, è stata costituita nel 2016 per detenere società quotate in borsa. Un’altra, chiamata Finseck e fondata nel 1999, sarebbe stata collegata a un trust che Ivanishvili aveva creato per i suoi figli. Infine, la Brighton Corporate Ltd è stata istituita per finanziare l’indebitamento di alcuni progetti del Georgian Co-Investment Fund; un gruppo che ha investito in alcuni dei più grandi progetti economici in Georgia. Tra questi rientrano i Paragraph Resort e Spa nella località balneare di Shekvetili, la Axis Tower e il centro commerciale Galleria a Tbilisi.
In Armenia si preferiscono le concessioni minerarie
Secondo un’indagine di Hetq, un’associazione di giornalisti investigativi che hanno collaborato all’inchiesta dell’ICIJ, due società minerarie armene sono state registrate in giurisdizioni offshore. La prima è Coeur Gold Armenia, registrata alle Seychelles. Nel 2014, questa società aveva vinto l’appalto per la gestione della miniera d’oro di Azatek, situata nella provincia di Vayots Dzor. La seconda è Bazum Steel, creata in Belize nel 2013. Quest’ultima aveva invece vinto la gestione di una potenziale miniera localizzata in prossimità del giacimento di ferro di Bazum.
VaykGold e Surart, le filiali locali di queste due società risultano dal 2012 appartenenti a un volto noto nella politica armena: Vardan Ayvazyan. Costui è stato ministro della protezione ambientale tra il 2001 e il 2007, nonché un deputato del Partito Repubblicano tra il 2007 e il 2018. Nel 2012, Ayvazyan è stato condannato da un tribunale federale degli Stati Uniti a pagare $ 37,5 milioni di danni a una società mineraria statunitense per presunta corruzione.
FONTE: https://www.eastjournal.net/archives/121659
Contro il Green Pass. La posta in gioco: disciplina e sorveglianza
Fenomeno “Squid Game”: diplomazia culturale, censura e geopolitica della rete
Campione di visualizzazioni su Netflix e protagonista di un acceso dibattito etico sul suo impatto su bambini e bambine, “Squid Game” rappresenta l’assalto sudcoreano alla produzione cinematografica e di animazione come strumento di esportazione culturale – una strategia di grande successo per USA e Giappone da decenni a questa parte. Ma cosa c’entra il “gioco del calamaro” con la geopolitica della rete?
Che la nuova serie di produzione sudcoreana sia un enorme successo planetario non è sicuramente passato inosservato in Italia e, più in generale, in Europa. Più in sordina è passata la penetrazione di Squid Game tra il pubblico cinese. Non si tratta di un elemento scontato: sui social network cinesi sono in corso dibattiti accesi non solo sui gusti personali degli utenti rispetto al prodotto cinematografico, ma anche rispetto alla capacità sudcoreana di esportare la propria cultura. Nell’utenza social cinese, si è diffusa in alcuni gruppi l’opinione che la Cina non sia in grado di esportare cultura tramite il cinema a causa della scarsa qualità della produzione cinese – dovuta a sua volta all’imperante censura nel settore. Tutto questo dibattito sta avvenendo pubblicamente, su Internet, senza che Squid Game sia legalmente disponibile in Cina.
Dove arriva la censura?
Ecco quindi aprirsi una serie di domande di natura (geo)politica. Che il regime cinese possa non apprezzare una serie TV di critica sociale (indipendentemente dai dibattiti già citati) dal grande successo e di produzione di un “vicino di casa” schierato a occidente non è una notizia sorprendente. Tuttavia, appare evidente come una fetta di popolazione cinese abbia superato la censura del cosiddetto “Great Firewall” e lo dichiari apertamente online.
Se questo può stupire visto l’immaginario diffuso in Occidente del regime cinese come un censore orwelliano, chi ha dimestichezza con la cybersfera cinese sa che la censura di Pechino è porosa e che una Virtual Private Network (VPN) è uno strumento sufficiente per superarla. Che questo poi possa avere conseguenze politiche e penali diverse a seconda del profilo individuale è una questione importante che merita di essere riconosciuta e trattata estensivamente altrove.
La porosità della censura cinese ha varie ragioni. Se da una parte Pechino ha interesse a controllare il flusso di dati e informazioni nel suo territorio e tra la sua cittadinanza, dall’altra non può negare la volontà della stessa di utilizzare servizi digitali, anche per esprimere opinioni, né la necessità delle aziende cinesi di essere integrate nel mercato globale – dove l’accesso alla rete è un elemento dirimente. Del resto, il cosiddetto “Great Firewall” ha una funzione economicamente protezionistica, oltre ad una politica. Pertanto, deve proteggere le aziende cinesi dalla concorrenza ma senza isolarle dal mercato globale.
Switch-off
Tema diverso in materia di censura online è invece quello degli “switch-off”. Se da una parte la censura è porosa, dall’altra la tendenza per molti regimi autoritari è quella di “spegnere” Internet a livello nazionale, intimando ai fornitori di servizi di rete di interrompere la fornitura del servizio. Il più recente caso del genere è stato in Sudan a seguito del colpo di stato dell’ottobre 2021, ma è solo l’ultimo di una lunga serie. Con questa pratica, si impedisce la circolazione di informazione online in forma completa.
Tuttavia, gli “switch-off” sono tendenzialmente di durata limitata. Del resto, torna nuovamente la necessità quotidiana di avere un’economia digitale funzionante per la maggior parte delle imprese strategiche di qualsiasi paese.
Geopolitica della rete: tra globalizzazione e controllo
Che si tratti di esportare prodotti culturali, servizi o prodotti industriali, per i governi la rete crea tensione fra la necessità di inserire la propria industria in un mercato globale e la volontà di contenere e controllare il flusso di informazione nella propria cybersfera domestica.
Anche se finora si sono menzionati solo governi autoritari, la stessa tensione esiste, in forma diversa, anche per i governi dei paesi democratici. La necessità di contrastare il discorso d’odio e i diritti di lavoratori e lavoratrici si scontra quotidianamente con il potere economico delle piattaforme e la volontà dei governi di mantenere aperti i canali d’accesso per la propria industria al mercato digitale. Le battaglie sindacali contro le condizioni lavorative proibitive nella logistica di Amazon sono un esempio.
Per concludere, non deve stupire se un fenomeno come “Squid Game” ha svicolato gli ostacoli tecnici, giuridici e politici imposti dal cosiddetto “Great Firewall” cinese. La porosità della censura è un elemento legato strettamente alla geopolitica della rete e all’economia politica della stessa.
FONTE: https://geopolitica.info/squid-game/
ECONOMIA
SCHIAVI AFRICANI PER PRODURRE ENERGIA GREEN
Flavio Gallizia 5 10 2021
“Allora funziona così: prendo il gas o il petrolio, li brucio per fare energia elettrica, perdo il 10% per trasportarla ed un altro 20% per immagazzinarla; bambini schiavi scavano il Litio nelle miniere in Africa, il litio è una merda che inquina tutto, ma chi se ne frega tanto le batterie le fanno in Cina.
Produco le auto elettriche che hanno effettivamente una notevole coppia sulle ruote facendo durare meno le gomme anche per via del peso dell’auto.
Smuoverò automobili che invece di pesare 2000 Kg ne pesano 3000.
Ogni anno avrò più pneumatici da smaltire ed ogni decina di anni enormi batterie da 100 KW da sotterrare a Scampia.
Tutto questo la chiamo “scelta ecologica” e vengo eletto al parlamento.
Intanto ex operai della Fiat motori, ora in cassa integrazione, pagano IMU più alta affinché si possano dare sussidi alle auto elettriche.”
FONTE: https://www.facebook.com/flavio.gallizia/posts/10224082655923607
Lee Kun-hee: il “Re Eremita” di Samsung che ha influenzato le sorti di un intero Paese
Il 25 ottobre 2020 la Repubblica di Corea ha perso uno tra gli uomini più illustri e potenti della Storia contemporanea della Penisola, l’ex presidente di Samsung Lee Kun-hee. Il miracolo economico coreano è stato in gran parte possibile grazie al contributo del suo gruppo aziendale che rappresenta l’esempio più emblematico e concreto dell’ascesa coreana nel mondo.
La Corea del Sud presenta oggi un’economia fortemente sviluppata; il Paese vanta risultati macroeconomici di grande rilevanza: in merito al PIL, per esempio, la Repubblica si posiziona al 4° posto tra le economie asiatiche e al 10° a livello mondiale.
La capacità di evolvere da uno dei paesi più poveri al mondo ad un’economia fondata su alti redditi in un lasso di tempo assai contenuto ha fatto acquisire alla Penisola una notorietà rilevante nonché la membership di importanti organizzazioni internazionali quali OECD e G20 (oltre WTO e APEC).
La genesi di Samsung
Nato a Daegu nel 1942 durante l’occupazione giapponese, Lee, dopo gli studi, entra nel gruppo Samsung fondato dal padre. Agli albori della sua storia, il Gruppo diversifica la sua attività in molteplici settori, tra i quali food processing, tessile, ramo assicurativo, finanza e commercio al dettaglio.
Samsung decide di penetrare il settore dell’elettronica soltanto alla fine degli anni ’60: fu proprio il re-indirizzamento del suo core business verso questa area che conferì al Gruppo la possibilità di registrare una fortissima crescita ed espansione internazionale negli anni a venire (insieme ai nuovi investimenti in edilizia e cantieristica a partire dalla metà degli anni ’70).
Lee e il suo approccio visionario
La capacità di Lee di trasformare Samsung da un piccolo attore locale ad un colosso internazionale in grado di influenzare le sorti del proprio paese e della sua crescita nell’arena internazionale spiega come questa potenza industriale sia stata driver fondamentale nel raggiungimento del miracolo economico coreano.
Se si confronta la crescita impressionante dei dati relativi al PIL nella Penisola a partire dalla metà degli anni ’80 con il momento storico in cui Samsung ha iniziato ad internazionalizzare in maniera massiccia, è evidente come i due trend vadano di pari passo.
Inoltre, è proprio nel 1987 che Lee diventa presidente del Gruppo. Appena insediatosi, lamenta il fatto che un business model basato esclusivamente su larghi volumi di vendita ma legati a prodotti di bassa qualità non risulta efficace e sostenibile nel lungo periodo.
Attraverso modalità del tutto creative e singolari (celebre la sua frase “Cambiate tutto tranne vostra moglie e i vostri figli”), l’imprenditore ha più volte sottolineato la necessità di continua innovazione e investimenti in Ricerca & Sviluppo; secondo Lee, soltanto incrementando questi parametri Samsung avrebbe potuto competere efficacemente e in maniera vincente nell’arena del commercio internazionale. Infatti, quest’ultima era ormai caratterizzata da una globalizzazione matura e feroce, colma di giants pronti ad accaparrarsi quote ingenti di mercato (e.g., SONY Corporation).
Lee desiderava che i suoi dirigenti adottassero una forma mentis orientata alla qualità del prodotto, anche se questo avrebbe comportato, nel breve termine, una perdita nelle vendite e nei ricavi.
Inoltre, il tycoon comprese con astuzia l’importanza di un engagement più attivo nella realtà internazionale non solo in riferimento agli aspetti puramente economici-aziendalistici, ma anche nell’implementazione di strategie di soft powerper accrescere la notorietà e la fama del suo Paese: per citare alcuni esempi, è stato decisivo il suo contributo per ospitare le Olimpiadi del 1988 a Seoul, i mondiali di calcio del 2002 (insieme al Giappone) e i Giochi invernali di Pyeongchang del 2018 (in quest’ultimo periodo Lee era anche membro del Comitato Olimpico Internazionale).
I risultati della sua creatura
La ricetta di Lee ha portato Samsung a diventare il più grande produttore mondiale di televisori battendo SONY nel 2006.
Nel 2010 la divisione di Samsung che si occupa di industria pesante ottiene il secondo posto nella classifica delle più grandi aziende cantieristiche al mondo.
Altri successi di rilievo sono stati raggiunti nelle divisioni legate all’edilizia, ramo assicurativo e pubblicità.
Nel 2011 Lee ottiene un altro storico risultato: Samsung sorpassa Apple come più grande produttore di smartphone al mondo. Inoltre, Samsung Electronics nel 2017 è diventata la più grande azienda al mondo in merito alla produzione di tecnologia informatica, di elettronica di consumo e di chip di memoria. Infine, nel 2020 Samsung ottiene l’ottavo posto tra le aziende mondiali a più alto brand value.
Gli intrecci tra politica ed economia: risvolti positivi
Il miracolo coreano è sicuramente stato trainato dal processo di internazionalizzazione di Samsung e la Repubblica deve molto agli investimenti del Gruppo nel corso degli scorsi decenni.
Tuttavia, preme sottolineare come è vero anche il contrario: Samsung deve molto agli sforzi di politica economica intrapresi dal governo per permettere ai conglomerati a conduzione familiare dell’epoca (oltre Samsung si possono citare LG Corporation e Hyundai) di spiccare il volo come attori rilevanti nel commercio internazionale. La crescita di questi gruppi è stata possibile grazie ad incentivi statali come agevolazioni fiscali, finanziamenti a basso costo e forme di protezione quali barriere all’ingresso per competitors internazionali.
Lo Stato (attore politico), ancora una volta, ha giocato un ruolo fondamentale per permettere ai suoi conglomerati (attori economici) di non trovarsi esposti e sopraffatti dalla ferocia dell’arena internazionale; lo Stato si è mobilitato affinché queste aziende (Latecomers) disponessero di sufficienti ed adeguati mezzi per competere efficacemente vis-à-vis multinazionali mature.
Gli intrecci tra politica ed economia: contraccolpi
Tuttavia, lo scheletro portante dell’economia coreana che ha dettato i tempi e le modalità del miracolo economico nazionale ha altresì provocato conseguenze negative nel rapporto tra il Legislatore e le realtà imprenditoriali di grandi dimensioni.
Infatti, l’eccessiva dipendenza dello Stato coreano nei confronti delle aziende multinazionali che popolano il territorio ha generato risvolti di particolare delicatezza e imbarazzo all’interno dei confini nazionali, ma anche per la reputazione coreana nei rapporti con attori esteri ed internazionali.
L’esempio più emblematico è stato l’impeachment nei confronti del presidente Park nel 2018, il quale non ha sicuramente diffuso sentimenti di compiacimento negli ambienti di politica interna, nelle relazioni diplomatiche con gli altri stati (specialmente a livello regionale in East-Asia) nonché con le organizzazioni internazionali di cui la Repubblica di Corea è membro.
La collusione creatasi ha dimostrato come l’implementazione di politiche commerciali di sostegno incondizionato a Gruppi eccessivamente potenti non può che rischiare di sovvertire le relazioni gerarchiche all’interno di un Paese: lo Stato ha creato terreno fertile per il rafforzamento dei suoi attori economici strategici a tal punto da doversi sottomettere, infine, a quelle che erano diventate le pretese delle Corporations stesse.
La Corea del Sud nell’era post-Lee
Samsung gode oggi di un’influenza autorevole sullo sviluppo economico coreano, sulle decisioni politiche del Paese nonché sui media e sulla cultura nazionale in generale.
I ricavi di Samsung contano attualmente circa il 20% del valore delle esportazioni coreane.
Lee ha saputo, nel giro di pochi decenni, diventare l’uomo più ricco della Penisola grazie ai suoi successi e alle strategie vincenti implementate per la crescita del suo Gruppo (non senza alcune pesanti accuse per scandali di diversa natura).
Questi risultati hanno portato il tycoon ad essere anche l’uomo più potente di Corea nonché il 35° uomo più potente al mondo.
Oggi, la Repubblica è esempio virtuoso in merito alla gestione egregia della lotta alla pandemia da COVID-19; il Paese, infatti, ha potuto contare su un legame culturale e storico di cooperazione, trasparenza e fiducia tra governo e cittadini.
Allo stesso tempo, la Penisola è continuamente in apprensione circa eventuali escalation nelle relazioni con la Repubblica Popolare di Corea che potrebbero compromettere la sicurezza nazionale e conseguentemente il proseguo del suo sviluppo economico.
In questo contesto, la Corea del Sud potrebbe trovare i giusti alleati a livello regionale (e.g., all’interno di fori quali l’ASEAN Plus Three) per continuare il suo processo di crescita economica (che deve essere sempre più green ed inclusiva) senza rinunciare alla sicurezza nazionale.
Legami più forti a livello regionale potrebbero altresì essere la chiave per ridimensionare le pretese delle grandi multinazionali di Seoul. Come ci dimostrano altre realtà nel mondo (e.g., l’UE), quando gli stati riescono a parlare con voce univoca e compatta di fronte ai grandi giganti del commercio internazionale, il loro potere contrattuale al tavolo delle trattative risulta decisamente più marcato. È sicuramente vero che molti attori economici godono oggi di fatturati in grado di influenzare le decisioni dei governi a capo dei paesi in cui operano; tuttavia, se gli stati appartenenti ad un’organizzazione internazionale riuscissero a parlare in coro attraverso quest’ultima di fronte alle Corporations, allora le relazioni di potere assumerebbero peculiarità alquanto diverse: dai tavoli di negoziazione potrebbero scaturire risultati in grado di ridimensionare il peso economico, politico e sociale delle multinazionali stesse nonché le libertà di cui esse godono.
Infine, il successo di Lee è stato possibile grazie alla stretta cooperazione tra Stato ed economia, tra attori pubblici e privati, tra interessi individuali e collettivi. La sfida di oggi è ancora la stessa e costituisce l’eredità di Lee: costruire un futuro sostenibile sulla base di solidarietà reciproca e sinergia collettiva.
FONTE: https://geopolitica.info/lee-kun-hee-il-re-eremita-di-samsung-che-ha-influenzato-le-sorti-di-un-intero-paese/
GIUSTIZIA E NORME
PERCHE’ I GIUDICI CHE SBAGLIANO NON PAGANO ?
Marco Creazzola 1 08 2021
Sarebbe troppo facile rispondere con un concetto più volte espresso da un loro esimio rappresentante: non esistono giudici che sbagliano, ma solo delinquenti molto furbi che per un po’ riescono a farli apparire in errore. Magistrati accusati di aver infranto la legge non affrontano i tre gradi di giudizio, vengono giudicati da loro stessi, procedono nella carriera. Possono nascondersi dietro una privacy che ai comuni cittadini è negata. Oppure infrangono sistematicamente quello che è parte sostanziale del loro codice deontologico: «correttezza, riserbo, equilibrio, e rispetto della dignità della funzione».
Azzarderei: l’immunità pressochè totale di cui godono i giudici è un aspetto, non marginale, di quella sorta di grazia divina di cui alcuni di loro si sentono investiti, che li porta ad esibirsi in pubblico, con cinturone e colt, insomma a ‘voler fare gli americani’. A mostrare i muscoli, esibendo immodestia, tronfiaggine, e delirio di onnipotenza, facendo strame dei codici e delle procedure, esercitando una caricatura di giustizia personale e sommaria, raggiungendo vette di comicità tragica e nulla facendo, ahinoi, per circoscrivere il contagio nella categoria. Non la legge al servizio della giustizia, ma una parodia di giustizia al servizio della loro ambizione.
La riforma della giustizia Cartabia parte con proposte condivisibili su alcuni aspetti tecnici e le tempistiche dei processi, mentre nulla appare sulla revisione del giudizio nei confronti di magistrati imputati di reati, sull’insindacabilità del CSM, sulla ridefinizione dei poteri del Ministro e del Procuratore Generale, quali titolari dell’azione disciplinare.
FONTE: https://www.facebook.com/groups/209056506174846/permalink/1246453525768467/
IMMIGRAZIONI
RAI OPEN ARMS.
Francesco Berardino 9 07 2021
Le meravigliose medaglie che gli azzurri hanno portato a casa ci inorgogliscono, come quelle degli azzurri di colore, oramai italiani a tutti gli effetti. Infatti , se sono milioni gli stranieri che vivono e lavorano in Italia, che hanno la cittadinanza italiana, è normale che siano rappresentati anche tra gli olimpionici.
Ma, di qui a farne un gigantesco spot per l’accoglienza dei clandestini come ha fatto RAI 1 comunista, ce ne corre.
E’ mai possibile che questi travisatori pagati da noi tutti, debbano sempre buttarla in politica secondo i loro interessi di bottega?
Lo stesso presidente del Coni, che più che alle medaglie tiene alla sua carriera, non s’è lasciata sfuggire l’occasione per sciogliere lodi alla multietnicità ed all’argamento dello ius soli che, così com’è, è già sufficiente a garantire diritti a chi ha diritto.
FONTE: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=1934212723420323&id=100004948412919
LA LINGUA SALVATA
Contro la primazia della lingua inglese, tomba d’Europa
La primazia della lingua inglese è sotto agli occhi di tutti, tuttavia non è a tutti evidente la gravità di tale primato. Partiamo dalle premesse. L’inglese è una lingua parlata da circa 350 milioni di persone e si stima che altri trecento siano i milioni di persone che la usano come seconda lingua. La sua diffusione si deve – come tutti sanno – all‘imperialismo britannico, che l’ha esportata in mezzo mondo facendone lingua dell’amministrazione e della cultura dall’India, all’Australia, all’Africa fino all’America settentrionale. Proprio da qui, per via dell’espansionismo americano, la lingua inglese ha tratto nuovo impulso. La ragione della diffusione dell’inglese è quindi di ordine politico-militare. E’ la lingua dei conquistatori.
Nel Novecento il Regno Unito smette progressivamente ma inesorabilmente il suo ruolo di potenza e sono gli Stati Uniti a svolgere il compito della diffusione manu militari della lingua inglese. A Londra resta l’onore di essere la patria della lingua imperiale, ed è lungo le sponde del Tamigi che si va ad impararla. Per l’Europa è la fine della Seconda guerra mondiale a segnare l’inizio della primazia dell’inglese sulle altre lingue. Diceva Winston Churchill: “The Power to control the language offers far better prizes than taking away people’s provinces or lands or grinding them down in exploitation. The empires of the future are the empires of the mind”. – Il potere di controllo sulla lingua offre ai conquistatori vantaggi ben maggiori che aggiudicarsi nuovi territori o nuovi paesi. Gli imperi del futuro saranno gli imperi della mente. Churchill ci mette in guardia: i paesi non anglofoni finiranno con l’assorbire in maniera graduale e naturale i valori anglo-americani grazie allo studio della lingua inglese.
Come tutti sanno le due guerre mondiali segnano la fine dell’Europa come centro propulsore della vita politica internazionale. Divisa tra due nuove superpotenze nucleari, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, il vecchio continente è ridotto al ruolo di ancella. Nella pars occidentalis l’inglese si afferma come lingua franca. Un bisticcio di parole che segna il passaggio di un’epoca. Non è infatti più il francese a essere la lingua “franca”, veicolo di cultura da Lisbona a Mosca, parlata per secoli dalle classi colte di Berlino e Pietroburgo, espressione dell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert, dell’illuminismo e della filosofia, ma l’inglese dei supermarket e di Hollywood.
L’inglese non è però la lingua della cultura umanistica, bensì della tecnica. La diffusione dell’anglo-americano corrisponde con la standardizzazione della nostra vita quotidiana, alla digitalizzazione del sentimento e alla rimozione della memoria. L’Europa anglofona è un’Europa che va incontro all’alzheimer. L’Europa è infatti, piaccia o no, un grande luogo della memoria. Le strade d’Europa sono intitolate a statisti, letterati, filosofi, musicisti, oppure ricordano le grandi battaglie che hanno forgiato nel sangue il continente fino al grande suicidio delle due guerre mondiali. Camminare per una città europea significa immergersi in una cassa di risonanza del passato. E ovunque proliferano targhe, monumenti (dal latino monere, ricordare, e mentum, atto; ovvero “ricordare un fatto”), musei e case abitate da poeti, filosofi, compositori. La casa di Shelley e Keats a Roma, quella di Marx a Treviri, quella di Goethe a Weimar. E le città stesse, Weimar, Roma, Parigi, sono cronache viventi.
L’Europa è un grande luogo della memoria, anche della memoria oscura dei massacri, dei treni che portavano a Buchenwald, del rogo degli eretici: un lungo epitaffio di marmo e granito che ricorda la nostra follia, l’anima nera del vecchio continente. Un continente che produce più storia di quante ne possa contenere. E anche per questo l’ha esportata, con il colonialismo, pur con alterne fortune. Negli Stati Uniti vige il rifiuto della memoria. Le strade americane sono elenchi di numeri, di viali che portano al tramonto, di edifici non più vecchi di cinquant’anni, figli di quella mentalità che bene fu riassunta da Henry Ford: “la storia è una sciocchezza“.
L’Europa americana, che trova nell’inglese la sua lingua internazionale, va dritta verso l’oblio di se stessa. Attenzione, la questione non è quella di avere una lingua di comunicazione ausiliaria, necessaria agli scambi e alla comunicazione in un continente (e in un mondo) sempre più integrato, ma che tale lingua sia il risultato di una conquista e che si ponga come forza omologante. A ogni lingua corrisponde una tipologia di forma mentis, un modo peculiare di vedere il mondo. La primazia dell’inglese sta diventando la primazia della mentalità anglo-americana. E lo si vede bene nella politica, nel linguaggio che riduce il lavoro a una prestazione salariata, in nome di una flessibilità che proprio da oltreoceano arriva. O nell’individualismo istituzionalizzato che sta legittimando la fine dello stato sociale. O nell’idea di cultura che è sempre più marketing e meno pensiero.
In Europa è in atto una riduzione del pensiero a burocrazia manageriale, alla cultura umanistica si sostituisce quella scientifica, con disprezzo della prima in nome della meccanica esattezza della seconda. In Europa il pensiero scientifico è stato sempre legato a quello umanistico: al silicio corrisponde un incunabolo. Ma oggi nei computer sempre più piatti possiamo misurare lo spessore della nostra cultura protesa alla bidimensionalità. E dove manca la profondità, manca la speculazione, il pensiero, la ragione. Per l’Europa la minaccia più radicale è questo esperanto di cultura pop (popolare e populista), di mercato di massa, di night-club e fast-food da Lisbona a Kiev.
Lo sviluppo di Internet potrebbe portare alla caduta di molte barriere, allo sviluppo cioè di una coscienza e identità collettiva sempre più omogenee. Ne potrebbe conseguire la fine della nociva diversità, foriera di pulizie etniche, genocidi, atrocità che il Novecento ben conosce. Ma la diversità è anche quella che William Blake definiva la “santità dei minimi particolari”. Ed è quella la santità d’Europa. Non sarà lo sviluppo di burocrazie a salvare il vecchio continente. L’Europa morirà il giorno in cui dimenticherà che “Dio si trova nei dettagli“. La frammentarietà dell’Europa è l’origine della sua fertilità.
E’ evidente che l’Europa attraversa un momento di crisi. Una crisi di identità e di valori di cui la crisi economica è solo un segno esteriore e misurabile, come la febbre per il corpo umano. La malattia non è nei numeri, ma nell’anima, e non sarà con le ricette della standardizzazione burocratica che si guarirà.
Non saranno la lingua unica, il mercato unico, la moneta unica né lo sviluppo di burocrazie o tecnocrazie sul modello lussemburghese a salvarci. In gioco c’è l’”idea di Europa“, quella che parte da Atene più di duemila anni fa. Un’idea che non va dimenticata ma nemmeno imprigionata in un museo, tempio di cose morte. Le nostre città museo, imbalsamate nella soffocante bellezza e schiacciate dal peso del ricordo, devono trovare in quella bellezza e in quel ricordo lo specchio del loro presente. L’Europa è ancora. L’Europa è da sempre “unica” e unita. Lo è nei caffé, come diceva Steiner, in cui Kierkegaard, Wilde, Robespierre, Montale, Marx, si fermavano a discutere. Lo è nell’architettura e nell’arte, da Odessa a Lisbona. Lo è nella storia intrecciata e indissolubile. Lo è nei fantasmi e nei mostri che nascono dal suo lato oscuro.
Tutto questo va esaltato e recuperato perché, nel bene o nel male, qui sta la forza motrice d’Europa. La narcosi di giochi senza frontiere non eviterà nuovi mostri, e già si vede quanto i nazionalismi e i neofascismi trovino sempre più spazio in quest’Europa senza identità. Quello che serve è che di nuovo il toro fecondi la ninfa. Ma per i corridoi del parlamento europeo, nelle sedi dell’Ocse o della Banca centrale, si parla inglese. La lingua dell’omologazione della standardizzazione. Una lingua che ucciderà l’Europa.
La necessità di una lingua ausiliaria non è in discussione: serve alla società globalizzata, serve per non essere tagliati fuori dal mercato del lavoro e dalla competizione capitalistica. L’inglese è la lingua ausiliaria della nostra epoca ma, al contempo, è una lingua di conquista che veicola omologazione. La si paragona al latino, quale follia. Il latino è diventata una sorta di lingua ausiliaria d’Europa quando la potenza romana non c’era già più. E non era la lingua delle masse omologate ma delle menti più luminose d’Europa. Non era una lingua facile, di “comunicazione”, ma era ardua quanto ricca di possibilità espressive, lingua di “parola”.
Certo, mi si obietterà che serve unire la babele europea, insegnando l’inglese come seconda lingua a tutti i cittadini del vecchio continente. E questo è il peggio, se con l’inglese si insegna – come oggi – la supremazia della tecnica, il valore dell’individualismo, l’attitudine al consumo, l’appiattimento identitario. Già avviene di assistere a riunioni in cui si parla inglese quando tutti i presenti sono italiani (o tedeschi, francesi…) e già si attribuisce all’inglese un valore taumaturgico: attraverso le tre “i” (impresa, internet, inglese) qualcuno aveva tracciato il percorso di guarigione del nostro paese malato. Ma a mettere i necessari puntini su quelle “i” si capisce bene che non c’è futuro in quel percorso, solo un gretto conformismo che confonde il mezzo con il fine. E intanto l’Europa soccombe tra le lusinghe di chi dice d’amarla.
FONTE: https://www.eastjournal.net/archives/52982
NOTIZIE DAI SOCIAL WEB
LA NAZIONE È IN PERICOLO
AUGUSTO SINAGRA 13 08 2021
È stato dichiarato lo stato d’assedio. Le 4 FF. AA. sono in emergenza operativa. Sono stati richiamati tutti i congedati nella riserva e dichiarata la mobilitazione generale fino ai 65enni. Cavalli di frisia, cespugli di mitragliatrici, carri armati e Reparti speciali presidiano il Quirinale a protezione della sacra persona del Presidente della Repubblica. Il Governo è attivo ed opera da rifugi blindati nel Monte Sant’Oreste. Il CTS è riunito in seduta permanente in località segreta. Chiusa la Camera e il Senato a protezione di Deputati e Senatori.
Il pericolo é grave e imminente: é stato finalmente isolato in laboratorio il nucleo del gravissimo vayrus e la terribile causa che lo produce e lo diffonde.
Si tratta del fattore CTPP.
Si temono inconsulte reazioni popolari, caos, disordini e violenze. Le Autorità suggeriscono a tutti di stare chiusi in casa.
Papa Bergoglio presiede riti brasiliani nelle Catacombe di San Callisto, per scongiurare il peggio.
FONTE: https://www.facebook.com/100070758812209/posts/119243440444283/
Cenoni di Natale solo con terza dose
Ilaria Bifarini – 9 11 2021
Mostruoso ed imperdonabile doppio standard di moralità
Sisto Ceci 10 08 2021
L’Occidente accetta un epocale, mostruoso ed imperdonabile doppio standard di moralità. Ripassiamo i crimini perpetrati dal nazismo quasi ogni giorno, li esponiamo ai nostri figli come delle lezioni storiche e morali definitive, e mostriamo solidarietà verso tutte le vittime. Al contrario, se si eccettua qualche mosca bianca, siamo del tutto silenti sui crimini commessi dal comunismo.
Così i cadaveri giacciono in mezzo a noi, inosservati, praticamente ovunque. Abbiamo insistito sulla “denazificazione”, e censuriamo con asprezza coloro che edulcorano il passato in nome di nuove o emergenti realtà politiche. Ma non è mai stata effettuata una simile opera di “decomunistizzazione”, ancorché il massacro degli innocenti sia stato esponenzialmente maggiore, e coloro che hanno decretato le condanne e attivato i campi di lavoro e di sterminio siano ancora in vita.
Se i tratta di nazisti, si dà la caccia ai novantenni, giacché le vittime reclamano giustizia. Nel caso dei comunisti, invece, abbiamo bandito ogni “caccia alle streghe” – preferendo che siano i morti a seppellire i vivi.
Ma i morti non possono seppellire nessuno.
DA ALAN CHARLES KORS
FONTE: https://www.facebook.com/100031860510496/posts/542628783475801/
Variante lambda
Marco Gerdol 9 08 2021
Negli ultimi giorni si sono rincorse una serie di notizie che, con tono a volte piuttosto allarmistico, hanno presentato la scoperta di una “nuova” variante denominata lambda, in grado di rappresentare potenzialmente una minaccia addirittura peggiore della delta. Come è ormai prassi da parte di una certa fetta dei media, si è immediatamente parlato di una “variante in grado di resistere ai vaccini” e di una “variante con troppe mutazioni”.
Come prima cosa va detto che non si tratta affatto di una variante “nuova”. E’ una variante nota da parecchi mesi agli addetti ai lavori, che è stata sotto stretta sorveglianza per parecchio tempo, dopo aver portato nello scorso inverno ad una nuova ondata di contagi e decessi in Perù, il paese con il maggiore eccesso di mortalità al mondo (ne avevo già parlato qui ad esempio circa due mesi fa: https://www.facebook.com/photo/?fbid=10222998210577443&set=a.1173013699234). Proprio per questa sua ampia diffusione in Perù e, a ruota, nei paesi limitrofi, lambda è stata portata allo stato di VOI (variant of interest) ed ora si sta considerando la possibilità di elevarla addirittura allo stato di VOC (variant of concern), anche alla luce dei primi dati funzionali raccolti.
La seconda cosa interessante da capire è in che cosa lambda si differenzi dalle altre VOC, per questo scopo è utile il grafico sotto. Lambda è indicata con il codice C.37, alfa (la vecchia variante inglese, in fase di evidente declino) con B.1.1.7, beta (sudafricana, anch’essa quasi desaparecida) con B.1.351, gamma (brasiliana, che continua ad essere prevalente in Sud America) con P.1 ed infine delta con B.1.617.2.
Sono evidenziate solo le mutazioni non sinonime che riguardano la proteina spike, colorate a seconda della loro prevalenza in un determinato lineage, cosa che in prima battuta è forse poco intuitiva, ma che rispecchia l’eterogeneità dei genotipi circolanti, che continuano ad accumulare mutazioni nel tempo (un colore bianco indica quelle che sono molto rare, un colore tendente al viola scuro indica quelle molto frequenti). In altre parole quando parliamo di una “variante” non intendiamo dei genotipi virali esattamente identici tra loro, ma piuttosto uno “sciame” di genotipi che condividono una serie di mutazioni caratterizzanti ma che possono differenziarsi per la presenza o meno di altre mutazioni più rare che talvolta mostrano una distribuzione geografica ben definita.
Alcune di queste mutazioni sono condivise (per convergenza evolutiva) con altre VOC e VOI, altre sono presenti unicamente in lambda, ma l’attenzione dovrebbe soffermarsi su alcune di queste che sono localizzate in corrispondenza di ben noti epitopi riconosciuti da anticorpi neutralizzanti: in particolare sono di grande rilievo una mutazione in posizione 144, un’inusuale delezione di 6 amino acidi nel dominio N-terminale, L452Q (stessa posizione di L452R, presenta in delta, epsilon ed altre) ed F490S nel RBD. Tutto ciò è coerente con l’idea che lambda abbia potuto diffondersi molto in Perù nonostante una ridotto numero di individui suscettibili proprio grazie alla capacità di causare reinfezioni, analogamente a quanto già ipotizzato in precedenza per altre varianti immuno-evasive, come beta e gamma.
I primi dati funzionali derivanti da studi in vitro (fino ad ora tutti preprints) indicano in effetti una riduzione del titolo neutralizzante di sieri di individui vaccinati e resistenza nei confronti di alcuni anticorpi monoclonali. Questa riduzione varia da studio a studio, ma è nell’ordine di 1,5X con vaccinati Pfizer: https://www.biorxiv.org/content/10.1101/2021.07.28.454085v1, 3X con vaccinati CoronaVac: https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2021.06.28.21259673v1, 3X ancora con vaccinati Pfizer, 2,3X con vaccinati Moderna, 3,3X con siero di pazienti guariti: https://www.biorxiv.org/content/10.1101/2021.07.02.450959v1. Come va interpretato tutto ciò? Semplice: in termini di evasione immunitaria lambda è abbastanza in linea con gamma e certamente non è “peggiore”” di beta.
C’è tuttavia un altro aspetto interessante evidenziato da un paio degli studi sopra citati, che riguarda una possibile maggiore infettività (e per questo intendiamo trasmissibilità intrinseca) di lambda rispetto al virus wild type, determinata in parte dalla presenza di L452Q e T76I, in parte dalla presenza di altre mutazioni “compensatorie”, il che renderebbe questa variante dotata non solo di proprietà di evasione immunitaria, ma anche di una capacità di diffusione non trascurabile. E’ quindi evidente che la possibilità che lambda venga elevata dal rango di VOI a quello di VOC è piuttosto viva.
Prima di iniziare a terrorizzarsi bisognerebbe però porsi, forse, una domanda: sarà lambda capace di diffondersi in un contesto dove una variante estremamente trasmissibile come delta è già largamente prevalente, oppure sarà destinata a fare la fine di beta e gamma, che non sono mai riuscite a trovare una diffusione significativa nel mondo occidentale? Per rispondere a questa domanda basta lasciare parlare i dati: in Europa la frequenza di osservazione lambda nell’ultimo mese è stata dello 0,05%, in Nord America dello 0,16%, senza alcun aumento rispetto a giugno. E’ dunque piuttosto chiaro che in uno scenario in cui resti una frazione tuttora piuttosto considerevole di individui suscettibili, tra bambini, ragazzi ed adulti non vaccinati, delta continua a godere di un vantaggio notevole in termini di fitness.
Ma che cosa sta accadendo invece proprio nei paesi sudamericani? In Perù, per il quale mancano dati di sequenziamento recenti, il numero di decessi giornalieri è fortunatamente sceso al suo minimo da aprile 2020, ed era anche ora in un paese che, con un eccesso di mortalità del 157% (in Italia siamo al 21%), potrebbe essere tra i primi ad aver raggiunto un tasso di immunizzazione per infezioni naturali tale da rendere la circolazione virale endemica. In Ecuador, secondo paese al mondo in questa triste classifica, nell’ultimo mese lambda è stabile al 14%, mentre gamma è in crescita (dal 12 al 17%) e delta è in fortissima ascesa (dal 2 al 15%). In Messico, quarto paese per eccessi di mortalità (dopo la Bolivia, per cui non ci sono dati di sequenziamento), lambda è in discesa dal 2 allo 0,8%, gamma è anch’essa in calo (dal 29 al 7,5%) e delta sta esplodendo (dal 26 al 78% nell’ultimo mese).
E prendiamo per ultimo il Cile, paese dove oramai il tasso di vaccinazione della popolazione adulta è molto alto, e dove lambda si era rapidamente diffusa negli ultimi mesi: rispetto a giugno, nell’ultimo mese lambda è scesa dal 21,4 al 19,7%, mentre gamma è salita dal 68,2 al 71,2% e delta sta facendo capolino (da 0,4 a 3,3%).
Che cosa si può dunque concludere dai dati real-life a disposizione? Che sembra attualmente improbabile che lambda possa soppiantare delta nel mondo occidentale portando a nuove ondate, almeno finché continuerà a sussistere un bacino relativamente ampio di soggetti suscettibili nella popolazione. In queste condizioni, delta continuerà ragionevolmente presentare un chiaro vantaggio in termini di fitness. Anche in popolazioni che potrebbero essere più vicine ad una ipotetica soglia dell’immunità di comunità (vuoi per infezioni naturali, vuoi per vaccinazioni, vuoi per una combinazione delle due), delta è in crescita, anche se più lenta di quella che abbiamo visto in Europa, e lambda sembra non mostrare particolari vantaggi evolutivi rispetto a gamma.
Ciò nulla toglie alle previsioni future secondo cui, in un ipotetico scenario in cui la popolazione sarà quasi completamente immunizzata, il vantaggio evolutivo comportato dalla maggiore trasmissibilità intrinseca di delta potrà essere controbilanciato (e forse anche superato) da quello comportato da mutazioni immuno-evasive, che potrebbero finire alla lunga per favorire varianti con minor trasmissibilità intrinseca rispetto a delta, ma più resistenti nei confronti della risposta immunitaria dell’ospite (o peggio, trasmissibili come delta, ma più immuno-evasive). Non è un caso che io abbia incluso nel grafico sotto anche B.1.621, una VOI non ancora codificata con una lettera dell’alfabeto greco, prevalente in Colombia e in lenta (ma significativa, pensando a quanto detto sopra) ascesa in Cile (0,1->0,7%), Ecuador (10,8->16,7%) e Messico (1,8->3,4%). Il suo pattern di mutazioni è molto interessante, e va notata la presenza di P681H, condivisa con alfa e certamente implicata nell’aumentare l’efficienza del taglio furinico tra le subunità S1 ed S2 e di conseguenza di aumentare la trasmissibilità. Un discorso simile potrebbe essere fatto anche per C.1.2 in Sud Africo, altro paese martoriato prima da beta ed ora da delta.
FONTE: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10223365983691541&id=1644792640
PANORAMA INTERNAZIONALE
Il popolo Jász: lo strano caso degli osseti d’Ungheria
Stabilitasi nel XIII secolo nelle terre del regno medievale di Ungheria, il popolo Jász fu una tribù iranica nomade legata all’antico popolo dei sarmati, considerati propri antenati dagli odierni osseti e appartenenti alla più estesa cultura scita (da non confondere con i musulmani sciiti), la quale abitò dal VIII secolo a.C. al II secolo d.C. in un’area geografica conosciuta come Scizia, compresa tra i Carpazi e l’odierno Kazakhstan.
Origini storiche
L’origine del nome “Jász” potrebbe sembrare (erroneamente) avere origine da quello di un’altra tribù sarmata, gli Iazigi, i quali furono ricollocati nel I secolo d.C. dall’imperatore romano Tiberio nella piana del fiume Tibisco, un’area compresa fra l’Ungheria orientale a est del Danubio e parte dell’odierna regione serba della Vojvodina.
Sebbene agli Iazigi si deve il nome dell’odierna città romena Iași, questo popolo non sembra in realtà avere alcun tipo di collegamento diretto con gli Jász ungheresi, i quali migrarono nelle terre magiare solo durante il Basso Medioevo. Questi risultano piuttosto in un legame di discendenza con gli attuali osseti, che nel XII secolo migrarono dal regno di Alania formatosi nel Caucaso settentrionale insieme alle tribù cumane in fuga dalle invasioni mongole. Furono successivamente accolti dal re magiaro Béla IV e arruolati per fronteggiare l’ondata mongola proveniente da est. Dunque, fu loro permesso di abitare un’area che ben presto divenne nota in ungherese come Jászság, letteralmente “terra degli Jász”, in cui stabilirono una forma di autogoverno che sopravvisse fino all’annessione dell’Ungheria all’Impero Ottomano nel XVI e XVII secolo.
Nel 1745, nel corso del dominio asburgico, l’emanazione dell’Atto di Redenzione da parte di Maria Teresa d’Austria ripristinò l’autonomia regionale e i privilegi ereditari del popolo Jász.
Il mito del corno di Lehel
Lehel fu un leggendario condottiero magiaro, che insieme a Bulcsú, capeggiò le invasioni ungheresi che minacciarono l’Europa carolingia tra il IX e il X secolo d.C.. Fonti anonime di epoca medievale lo identificherebbero come figlio di Tas, uno dei sette capitribù dei magiari, appartenente alla dinastia del Gran Principe Árpád. La leggenda che avvolge questa figura risiede nel Chronicon Pictum, un raccolta di storie illustrate scritte nel 1358 da Márk Kálti. Nel 955, dopo la sconfitta nella Battaglia di Lechfeld, Lehel and Bulcsú furono imprigionati e portati di fronte all’imperatore Ottone I, il quale chiese loro come desiderassero morire. In quel momento, Lehel rispose: “Portarmi il mio corno, che soffierò, e poi ti risponderò”. Ricevuto il corno fra le sue mani, il guerriero magiaro si avvicinò al sovrano nemico e lo colpì così duramente da ucciderlo sul colpo. Dopodiché disse: “camminerai davanti a me e mi servirai nell’altro mondo”, riferendosi a una credenza comune fra gli sciti, secondo la quale chiunque uccidessero nella loro vita terrena li avrebbe serviti nell’oltretomba.
Seppur la vicenda relativa all’uccisione dell’imperatore non abbia alcuna conferma storiografica, il presunto corno di Lehel è oggi conservato allo Jász Múzeum a Jászberény ed è considerato uno dei tesori più importanti della nazione ungherese. Ciononostante, studi fatti sulla reliquia confutano la natura leggendaria di questo oggetto, catalogandola come una produzione in avorio risalente al X-XI secolo utilizzata nei circhi bizantini. La manifestazione concreta di questa leggenda emerse nel corso delle invasioni ottomane del XVI, quando il corno si diffuse come ornamento fra i capitani Jász del Regno d’Ungheria come un simbolo di forza in guerra contro i nemici.
La lingua degli Jász
Estintasi nel XV secolo, l’unica testimonianza scritta della lingua jassica fu ritrovata nel 1950 nella Biblioteca Nazionale Széchényi di Budapest. Il documento consisteva in un breve glossario di 34 parole legate a prodotti agricoli. Più che una lingua, lo jassico è da ritenersi un dialetto dell’odierna lingua osseta, al pari dei due principali dialetti tuttora esistenti nella regione del Caucaso: l’iron e il digor. In particolare, il dialetto digor è servito come base per ricostruire questo idioma perduto nel tempo, giacché tra i due saltano all’occhio diverse similitudini: parole come ban (giorno), dan (acqua), ajka (uovo), qaz (oca), fus (pecora) dimostrano lo stretto legame fra questo popolo e gli odierni osseti caucasici. Per quanto riguarda la denominazione del popolo, ās fu il nome con cui i Mongoli chiamavano gli Alani del Caucaso; la versione jas sembra piuttosto derivare da una variazione slava e ungherese di tale termine, legato probabilmente al contatto con i popoli dell’Europa centrale.
L’osseto è una lingua iranica parlata da oltre 500 mila persone, principalmente stanziate fra la Repubblica russa dell’Ossezia del Nord-Alania e la Repubblica de facto dell’Ossezia del Sud. Ritenuta discendente dell’antica lingua sarmata parlata in Asia centrale, essa appartiene al sottogruppo nord-orientale delle lingue iraniche e ha come “parente” più prossimo (seppure estremamente diverse fra loro) la lingua yaghnobī parlata in Tagikistan.
Cosa resta oggi degli osseti d’Ungheria?
Sebbene la lingua riuscì a sopravvivere solo fino al XV secolo e la loro diversità etnica è ormai interamente assimilata a quella ungherese, questo popolo è riuscito a preservare una certa autonomia territoriale e identitaria fino ai giorni nostri. Dal 1876 il territorio dello Jászság costituisce la parte nord-occidentale della contea ungherese Jász-Nagykun-Szolnok, la quale ha come capoluogo la città di Jászberény, situtata a circa 70 chilometri da Budapest.
Nel marzo del 1991 venne costituita l’Associazione del popolo Jász di Budapest (in ungherese: Jászok Egyesülete), che da allora si occupa di promuovere e preservare la cultura e il folklore della regione dello Jászság. Ne fanno parte gli abitanti Jász della capitale, delle province dello Jászság o di altre province, nonché quelli emigrati all’estero. Dal 1998 l’associazione opera come ente di pubblica utilità, e ospita fra i suoi membri anche diversi enti pubblici, come autorità locali, enti preposti alla difesa del folklore e della canzone popolare. Tra gli eventi organizzati si ricordano gli incontri mondiali degli Jász, celebrato per la prima volta nel 1995 in occasione del 250° anniversario dell’Atto di Redenzione che ricostituì i privilegi della comunità jassica.
L’associazione Jász si riunisce con cadenza mensile a Budapest, nella sede della provincia di Pest. Le discussioni non riguardano solo gli Jász e la loro storia, etnografia e tradizioni, ma anche di questioni attuali, come dell’educazione, dell’industria, della cultura nazionale, della sicurezza pubblica e demografica. In questi incontri hanno spesso preso parte numerosi rappresentati della società e della cultura a livello regionale e nazionale, godendo di altrettanto seguito da parte dei media.
FONTE: https://www.eastjournal.net/archives/114197
POLITICA
CRAXI, PROUDHON E LA SINISTRA ITALIANA
Rolando Francazi 9 08 2021
Era l’agosto del 1978 quando Bettino Craxi pubblico’ sull’Espresso il suo saggio su Proudhon, segnando la storia della sinistra in Italia. Il PCI, ovviamente, non gradi’ e scoppio’ la polemica.
Chi volesse togliersi la curiosità di vedere come si schierò nell’occasione la grande stampa, avrà a sua disposizione, in particolare, le collezioni del Corriere della sera e di Repubblica, sicuramente contrarie a Craxi.
In particolare, un editoriale del Corsera pose la questione: ma che bisogno abbiamo ora di metterci a questionare su Proudhon?
Con tanti saluti a quello che fu il grande giornale della operosa e illuminata borghesia italiana.
FONTE: https://www.facebook.com/groups/209056506174846/permalink/1251662111914275/
Ci avviamo verso la tirannide, ma non è fascismo: è iperdemocrazia
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