RASSEGNA STAMPA DETTI E SCRITTI
4 MARZO 2022
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Uno scienziato americano annuncia la fine del mondo o, almeno la distruzione di una parte così vasta del continente, e in maniera così improvvisa da rendere certa la morte di milioni di esseri umani.
(RIVISTA “L’INTRANSIGEANT – Estate 1922)
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SOMMARIO
La Blackwater è nel Donbass col battaglione Azov
I 13 BIO-LABORATORI MILITARI & SUPER SEGRETI DEGLI STATI UNITI
Dove eravate voi “pacifisti” quando…
I beneficiari della guerra: chi negli USA ci guadagna inviando armi all’Ucraina
DAVOS E LA COSPIRAZIONE DELLA LETTERA RUBATA
Il solito, ipocrita Occidente terrorista: Putin “aggressore”
Ucraina: l’attacco lo lanciò la Nato otto anni fa
È agli Straussiani che la Russia ha dichiarato guerra
Green pass, Sileri: nessun obbligo per i rifugiati ucraini
LA SPEREQUAZIONE DELLA DISTRIBUZIONE REDDITUALE A DANNO DELLA CLASSE MEDIA
Contratto a tempo determinato
In Italia è una colpa non solo essere un russo vivente, ma anche russo morto
Conflitto in Ucraina: la situazione attuale in 32 punti
ANALISI SULL’ANDAMENTO DELLA PRIMA SETTIMANA DI GUERRA IN UCRAINA
Una ricompensa di 500 mila dollari per la cattura di comandanti nazisti in Ucraina
Il Memoriale di Yad Vashem e i nazisti ucraini
Possibile massacro a Mariupol (fonte RDP)
La legge razziale ucraina
Non vendo niente, grazie
Ritrovare il senno
Comunicazione di servizio
Guerra dell’informazione
LA PREDIZIONE SUGLI PSICOPERSUASORI DI VANCE PACKARD NEL 1957
Spie: c’è l’Italia, nella guerra contro Putin (e lo Sputnik)
Tutta colpa del Lockdown. Ecco cosa c’entra il suicidio dell’ambasciatrice italiana con il covid
Pnrr, da Bruxelles arriva la prima rata da 21 miliardi per l’Italia
Due milioni di milioni di dollari
Fiat iustitia pereant immundi
Le insidie del modello tedesco
La Russia divorzia dall’Occidente: ora il mondo cambierà
Diseguaglianza in Italia. Il FMI certifica la causa principale (nel silenzio della politica)
Discorso di Vladimir Putin: perché la Russia interviene in Ucraina
Mori: ci hanno fatto male, non credano di passarla liscia
I MEDICI CHE NON VOGLIONO SERVIRE BIG PHARMA SI UNISCONO, NASCE LA SIM
IN EVIDENZA
La Blackwater è nel Donbass col battaglione Azov
CIA e MI6 stanno riorganizzando le reti stay-behind della Nato in Europa Centrale. Se durante la seconda guerra mondiale, per combattere i sovietici, si appoggiavano a ex nazisti, oggi sostengono gruppi neonazisti contro i russi. Non è affatto ovvio: se negli anni Quaranta i nazisti erano pletora, oggi sono molto pochi ed esistono solo grazie all’aiuto degli anglosassoni.
La telefonata tra il presidente Biden e il presidente ucraino Zelensky «non è andata bene», titola la Cnn: mentre «Biden ha avvertito che è praticamente certa l’invasione russa in febbraio, quando il terreno gelato rende possibile il passaggio dei carrarmati», Zelensky «ha chiesto a Biden di abbassare i toni, sostenendo che la minaccia russa è ancora ambigua». Mentre lo stesso presidente ucraino assume un atteggiamento più prudente, le forze armate ucraine si ammassano nel Donbass a ridosso dell’area di Donetsk e Lugansk abitata da popolazioni russe.
Secondo notizie provenienti dalla Missione di monitoraggio speciale dell’Osce in Ucraina, oscurate dal nostro mainstream che parla solo dello schieramento russo, sono qui posizionati reparti dell’Esercito e della Guardia Nazionale ucraini per l’ammontare di circa 150 mila uomini. Essi sono armati e addestrati, e quindi di fatto comandati, da consiglieri militari e istruttori Usa-Nato.
Dal 1991 al 2014, secondo il Servizio di ricerca del Congresso Usa, gli Stati uniti hanno fornito all’Ucraina assistenza militare per 4 miliardi di dollari, cui si sono aggiunti oltre 2,5 miliardi dopo il 2014, più oltre un miliardo fornito dal Fondo fiduciario Nato al quale partecipa anche l’Italia. Questa è solo una parte degli investimenti militari fatti dalle maggiori potenze della Nato in Ucraina.
La Gran Bretagna, ad esempio, ha concluso con Kiev vari accordi militari, investendo tra l’altro 1,7 miliardi di sterline nel potenziamento delle capacità navali dell’Ucraina: tale programma prevede l’armamento di navi ucraine con missili britannici, la produzione congiunta di 8 unità lanciamissili veloci, la costruzione di basi navali sul Mar Nero e anche sul Mar d’Azov tra Ucraina, Crimea e Russia.
In tale quadro, la spesa militare ucraina, che nel 2014 equivaleva al 3% del pil, è passata al 6% nel 2022, corrispondente a oltre 11 miliardi di dollari.
Agli investimenti militari Usa-Nato in Ucraina si aggiunge quello da 10 miliardi di dollari previsto dal piano che sta realizzando Erik Prince, fondatore della compagnia militare privata statunitense Blackwater, ora ridenominata Academy, che ha fornito mercenari alla Cia, al Pentagono e al Dipartimento di stato per operazioni segrete (tra cui torture e assassini), guadagnando miliardi di dollari.
Il piano di Erik Prince, rivelato da un’inchiesta della rivista Time [1], consiste nel creare in Ucraina un esercito privato attraverso una partnership tra la compagnia Lancaster 6, attraverso cui Prince ha fornito mercenari in Medioriente e Africa, e il principale ufficio di intelligence ucraino controllato dalla Cia. Non si sa, ovviamente, quali sarebbero i compiti dell’esercito privato creato in Ucraina dal fondatore della Blackwater, sicuramente con finanziamenti della Cia. Si può comunque prevedere che esso, dalla base in Ucraina, condurrebbe operazioni segrete in Europa, Russia e altre regioni.
Su questo sfondo è particolarmente allarmante la denuncia, fatta dal ministro russo della Difesa Shoigu, che nella regione di Donetsk vi sono «compagnie militari private Usa che stanno preparando una provocazione con impiego di sostanze chimiche sconosciute».
Potrebbe essere la scintilla che provoca la detonazione di una guerra nel cuore dell’Europa: un attacco chimico contro civili ucraini nel Donbass, subito attribuito ai russi di Donetsk e Lugansk, che verrebbero attaccati dalle preponderanti forze ucraine già schierate nella regione, per costringere la Russia a intervenire militarmente a loro difesa.
In prima linea, pronto a fare strage dei russi del Donbass, c’è il battaglione Azov, promosso a reggimento di forze speciali, addestrato e armato da Usa e Nato, distintosi per la sua ferocia negli attacchi alle popolazioni russe di Ucraina. L’Azov, che recluta neonazisti da tutta Europa sotto la sua bandiera che ricalca quella delle SS Das Reich, è comandato dal suo fondatore Andrey Biletsky [2], promosso a colonnello. Non è solo una unità militare, ma un movimento ideologico e politico, di cui Biletsky è il capo carismatico in particolare per l’organizzazione giovanile che viene educata all’odio anti- russo col suo libro «Le parole del Führer bianco».
NOTE
[1] «Exclusive: Documents Reveal Erik Prince’s $10 Billion Plan to Make Weapons and Create a Private Army in Ukraine», Simon Shuster, Time, July 7, 2021.
[2] “In Ucraina vivaio Nato di neonazisti”, di Manlio Dinucci, Il Manifesto (Italia) , Rete Voltaire, 23 luglio 2019.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article215472.html
I beneficiari della guerra: chi negli USA ci guadagna inviando armi all’Ucraina
Giorgij Olisashvili, Россия-Сирия-Планета™
“Affogando” gli altri, perseguendo i propri interessi, sia nello sport che nella politica globale, sin dai tempi dei gangster negli USA è consuetudine dire “niente di personale, solo affari”. E se si legge tra le righe la storia dello svolgersi della prossima isteria anti-russa, c’è molto “a proposito di affari”. Uno spettatore attento potrebbe avere un deja vu, perché quasi tutti in occidente inviano missili Javelin e Stinger a Kiev. In effetti, sembra che ce ne siano già più in Ucraina che uomini in età di leva. Tutto sarà chiaro se so scopre quale azienda produce tali apparecchiature, chi sono i suoi top manager e come hanno fatto carriera i loro amici.
“Non il golf, ma la pesca è l’hobby di un vero democratico!”
Alla fine degli anni ’80, i politici che in seguito avrebbero formato la spina dorsale della squadra di Clinton, e poi Obama, amavano discutere di natura. Si chiamavano così: gruppo di “pescatori di trote”. Questi sono sostenitori ideologici dell’esportazione della democrazia nei Paesi d’oltremare, ad ogni costo. Se il pesce grosso non mordeva il sogno americano, i pescatori di trote subito posarono le canne da pesca e presero la dinamite. E i fornitori di “dinamite” erano proprio lì. Raytheon Technologies, una delle più grandi aziende del complesso militare-industriale nordamericano, riceve il 90% delle entrate da contratti governativi, la cui continuità è assicurata dalla politica estera nordamericana.
Il senatore Richard Blumenthal, secondo gli open data, ebbe 258000 dollari da Raytheon Technologies per la sua campagna elettorale. I primi pagamenti iniziarono nel 2016, e nello stesso anno Blumenthal fece lobby a Washington per l’idea di trasferire il contratto per la produzione dei motori dei caccia F-35 alla Pratt&Whitney, filiale della Raytheon: “La qualità dei pezzi di ricambio non sollevava dubbi poiché consideriamo come fornitore Pratt&Whitney”. Di conseguenza, la società ricevette un ordine per 579 milioni di dollari. 5 anni fa, Blumenthal iniziò improvvisamente a sostenere attivamente la fornitura di armi all’Ucraina: “L’aumento dell’aggressione russa porta a più soldati ucraini feriti. Gli Stati Uniti devono aumentare il sostegno. Saremo costantemente fianco a fianco col popolo ucraino in questa guerra. Sono profondamente colpito dalla determinazione degli ucraini. Sono coraggiosi, resilienti, combatteranno nelle strade delle loro città se gli diamo le armi di cui hanno bisogno. Ecco perché chiedo il trasferimento dei sistemi di difesa aerea portatili Stinger e Javelin in modo che possano distruggere carri armati e aerei”. Inutile dire che entrambi questi complessi sono prodotti da Raytheon Technologies?
Per 5 anni, Javelins portò all’azienda un miliardo e mezzo di dollari e l’Ucraina ne è un mercato chiave. Il piccante è anche che Richard Blumenthal, uno dei principali falchi al Senato, cercò di impersonare il veterano del Vietnam. Tucker Carlson, conduttore di Fox News/USA: “Questo tizio ha mentito a tutti dicendo che ha combattuto, e ora parla con entusiasmo di come gli ucraini combatteranno e moriranno nei combattimenti di strada. Che pessimo soggetto. Costoro iniziano la guerra. Non per proteggere la democrazia ucraina, perché non c’è democrazia in Ucraina, e non c’è mai stata. È un paese cliente dell’amministrazione Biden. Inviamo semplicemente armi e creiamo le condizioni perché possano usarle”.
È importante capire qui che il senatore ha dozzine di tali sponsor e il gigante del complesso militare-industriale ha ancora più di tali senatori. Nell’ultimo ciclo elettorale, Raytheon ha speso quasi 20 milioni di dollari per sostenere politici e lobbisti, finanziando le campagne di Biden e Trump in modo altrettanto generoso. L’Ucraina riceve armi coi soldi dei contribuenti nordamericani, mentre l’apparato dello Stato di Washington e le grandi imprese ad esso collegate ci guadagnano. Dmitrij Suslov, vicedirettore del Center for Comprehensive European and International Studies presso la National Research University Higher School of Economics: “Il governo degli Stati Uniti acquisisce equipaggiamento militare nordamericano, armi nordamericane e le fornisce gratuitamente all’Ucraina, risolvendo così il compito militare, il compito geopolitico di contenere la Russia e, allo stesso tempo, assistendo il proprio complesso militare-industriale. Perché tutto questo, ovviamente, viene pagato, ma dal bilancio federale nordamericano”.
Per affidabilità, Raytheon Technologies ha sua gente non solo nel ramo legislativo, ma anche nell’esecutivo del governo. Il segretario alla Difesa Lloyd Austin, ad esempio, ex-membro del consiglio di amministrazione e azionista di spicco del colosso, al Senato filodemocratico fu approvato con scricchioli, proprio per il conflitto di interessi: “Raytheon è uno dei i più grandi appaltatori militari del mondo. Capisco come appare e i dubbi al riguardo. Per quanto riguarda la pensione, non ho intenzione di ricorrervi e non credo che sia necessaria”. A proposito, l’ex segretario alla Difesa, Mark Esper, fu un ex-top manager della Raytheon. La compagnia non nasconde di essere interessata alla crisi ucraina e la utilizza anche per scopi pubblicitari: “Mentre gli Stati Uniti sono sempre più coinvolti nel crescente conflitto tra Ucraina e Russia, Raytheon, una delle più grandi compagnie di armi al mondo, e Lockheed Martin dicono apertamente agli investitori che le tensioni tra i paesi fanno bene agli affari”.
Raytheon Technologies è uno dei principali sponsor del Center for Strategic and International Studies, dove lavorò il segretario di Stato Anthony Blinken che, tra l’altro, ha anche la propria agenzia che fa pressioni per contratti sulla difesa. Inoltre, il Segretario di Stato Blinken e il capo del Pentagono Austin erano soci comproprietari della Pine Island Capital Partners, che fa soldi investendo in imprese del complesso militar-industriale, e questo è ciò che dice di se stessa: “Pine Island Capital Partners opera principalmente nei settori aerospaziale e della difesa, nonché nel settore governativo, dove l’azienda ha ampi collegamenti e accesso insolito alle informazioni”. Coll’arrivo di Austin e Blinken, la Casa Bianca ha raddoppiato gli aiuti militari all’Ucraina, da 350 milioni di dollari l’anno a 650 milioni l’anno scorso. A quanto pare, ce ne saranno ancora di più. Anthony Blinken, Segretario di Stato Usa: “Stiamo stanziando importi significativi per l’assistenza alla difesa all’Ucraina. Quest’anno sono quasi mezzo miliardo di dollari”.
Blinken è uno dei principali “pescatori di trote”: durante la sua carriera politica salutò i conflitti militari scatenati dagli States. Peter Kuznik, professore di storia all’Università di Washington, direttore dell’Institute for Nuclear Research: “Il segretario Blinken ha sostenuto l’ingresso di truppe in Afghanistan, ha sostenuto l’ingresso di truppe in Iraq, ha sostenuto le operazioni militari statunitensi nei Balcani, ha sostenuto le operazioni della NATO e degli USA in Libia, ha sostenuto i bombardamenti in Siria. Con tale approccio, saremo sempre governati da gente del campo militare”. I lobbisti gestiscono lo spettacolo anche nel settore energetico. Il senatore Ted Cruz ricevete più di 4 milioni di dollari dalle compagnie petrolifere e del gas. E chiedeva disperatamente sanzioni contro il Nord Stream 2 che persino bloccavano la nomina di funzionari dell’amministrazione presidenziale, il motivo era assolutamente fantastico: “Nel 2014 Putin invase la Crimea, ma non raggiunse Kiev e non annetté l’Ucraina. Come mai? Perché il gas russo arriva in Europa attraverso i gasdotti dell’Ucraina. E in caso di invasione, gli ucraini potrebbero farli saltare in aria e isolare la Russia dai mercati. Quindi, il Nord Stream 2 è stato costruito in modo che il transito aggirasse l’Ucraina, solo per portare i carri armati a Kiev”.
Gli Stati Uniti, gonfi di sé, usano la crisi ucraina per attaccare il gasdotto russo. Il GNL statunitense, gas naturale liquefatto, viene scambiato in quello che è noto come mercato spot quick deal. Per gli europei, il GNL costa sempre di più, spesso molte volte di più del carburante blu fornito da Gazprom con contratti a lungo termine. Steve Hilton, consigliere del primo ministro britannico 2010-2012: “Biden è stato molto chiaro nel rispondere alle domande dei giornalisti: “Sì, se Putin lancia un’invasione, non ci sarà il Nord Stream!”. E quando al cancelliere tedesco, che si trovava nelle vicinanze, fu posta la stessa domanda, nemmeno nominò il Nord Stream. Non sostenne le parole di Biden!” È la Gran Bretagna, che siede sul gas norvegese, che può sostenere ciecamente qualsiasi sanzione che promuova il GNL nordamericano in Europa. La Germania è in una situazione completamente diversa.
Igor Jushkov, esperto dell’Università finanziaria del governo della Federazione Russa: “Gli europei si pongono ragionevolmente la domanda: cosa accadrà se le forniture di gas dalla Russia si interromperanno improvvisamente? Perché se verranno imposte sanzioni a Gazprom, alle aziende, infatti, sarà vietato pagare le forniture di gas. E nulla sarà fornito gratuitamente. E se la Russia viene disconnessa da Swift, come trasferire il pagamento del gas tramite operazioni bancarie?
Il gas nordamericano non è solo più costoso del gas russo, è anche meno ecologico e, inoltre, non ce n’è abbastanza. Sullo sfondo della carenza in Europa questo inverno, gli Stati Uniti raddoppiarono le forniture d’oltratlantico, diventando il primo esportatore di GNL, ma semplicemente non hanno volumi aggiuntivi e non ne sono previsti nel prossimo futuro. Aleksandr Frolov, Vicedirettore generale del National Energy Institute: “L’Europa, in quanto mercato piccolo e poco attraente, dipende dai mercati asiatici. Se i prezzi in Europa si allontanano da quelli in Asia, beh, scendono, quale fornitore di GNL sarà disposto a vendere gas in Europa? È libero di non vendere, non è vincolato da contratti a lungo termine. Vuole, porta, non vuole, non porta”.
Un altro problema è la mancanza di condizioni in Europa per ricevere e trasportare GNL nordamericano. E anche qui i politici aiutano gli affari. Amos Hochstein, Senior Energy Adviser del dipartimento di Stato USA: “Ho sempre creduto che le fonti di energia non dovessero essere usate come armi o deterrenti. Tutti i Paesi devono disporre di fonti di energia accessibili e affidabili”. Amos Hochstein è uno dei principali negoziatori energetici del dipartimento di Stato ed ex-top manager della società del gas Tellurian. Insieme ai lobbisti dell’Atlantic Council, sponsorizzato da giganti dell’energia come Chevron, assicurò fondi al Congresso per sostenere la Three Seas Initiative. Nell’ambito di tale piano, saranno costruiti terminali marittimi negli Stati baltici, Polonia e Croazia per ricevere GNL nordamericano. È divertente che il Congresso assegni denaro coll’atto “Sulla protezione della sovranità dell’Ucraina”, mentre l’Ucraina stessa pagherà più del dovuto acquistando il gas dello zio Sam con pagamento da intermediari polacchi.
Aleksej Grivach, Vicedirettore generale per le questioni del gas del National Energy Security Fund: “I nordamericani sono sicuramente interessati alla crisi energetica in Europa. Il primo motivo è commerciale, per creare le condizioni per attrarre investimenti in nuovi progetti GNL. Il secondo fattore è la concorrenza globale, coll’Unione Europea, i principali Paesi industriali d’Europa concorrenti degli Stati Uniti sui mercati. E vendendo a propria energia a un prezzo più alto, aumentano la propria competitività a scapito della competitività dei cosiddetti alleati europei”.
I nordamericani demonizzano la Russia per convincere l’UE a pagare più del dovuto per il vantaggio dell’inverosimile “indipendenza energetica da Mosca”, mentre loro stessi aumentano la fornitura di petrolio russo. Dal febbraio 2019 pre-pandemia, le importazioni sono triplicate. La crisi ucraina è benefica solo per i colossi energetici nordamericani: i maggiori esportatori di GNL costruiscono di corsa impianti e terminali in Texas, Louisiana e Pennsylvania. Tulsi Gabbard, ex-candidata democratica alla presidenza degli Stati Uniti: “Il presidente Biden può impedite tale crisi semplicemente assicurando che l’Ucraina non diventi membro della NATO. Perché se l’Ucraina entrerà nella NATO, le truppe USA e NATO saranno alle porte della Russia, secondo Putin minacciandone gli interessi sulla sicurezza nazionale. In realtà, la probabilità che l’Ucraina aderisca alla NATO è estremamente ridotta. Allora perché Biden e i capi della NATO non garantiscono che non entrerà? E poiché Biden e alleati non lo fanno, concludo che ciò che vogliono è che la Russia attacchi l’Ucraina. Per cosa? In primo luogo, dare all’amministrazione Biden una scusa per imporre le sanzioni più pesanti a Russia e russi. In secondo luogo, riportarci alla Guerra Fredda. Il nostro complesso militare-industriale, che ha il controllo completo dell’amministrazione Biden, ne trarrà grandi benefici”. E non devi essere un “pescatore di trote” per capire che il pesce più grande si trova in acque agitate e, per confonderle, è meglio scatenare una tempesta.
FONTE: http://aurorasito.altervista.org/?p=22907
DAVOS E LA COSPIRAZIONE DELLA LETTERA RUBATA
F. William Engdahl
journal-neo.org
Il famoso racconto di Edgar Allen Poe, La lettera rubata, è adatto a descrivere l’agenda di Klaus Schwab, fondatore, circa 50 anni fa, di quello che oggi è l’influente Forum economico mondiale di Davos (WEF) – Nascosto in bella vista. Nel 2020 Schwab aveva pubblicato un libro intitolato The Great Reset, in cui invitava i leader mondiali a sfruttare “l’opportunità” della pandemia di COVID-19 per riorganizzare completamente l’economia globale in una versione distopica, dall’alto verso il basso, della tecnocratica Agenda 2030 delle Nazioni Unite. A chi volesse fare una paziente ricerca, il WEF di Schwab rivela un sorprendente livello attuativo dell’attuale agenda globalista per un totalitarismo tecnocratico. In particolare, in trent’anni ha sviluppato quadri selezionati con cura per attuare questa agenda, una “scuola di quadri” globale selezionata per “futuri leader globali”. In effetti è quella che potremmo chiamare la Cospirazione di Davos, agenti sguinzagliati in tutto il mondo per infiltrarsi nei circoli politici più importanti e promuovere il sinistro programma del Reset di Davos.
Una delle caratteristiche più sorprendenti del panico isterico per la pandemia di COVID è la coerenza con cui i politici di tutto il mondo hanno agito di pari passo, insieme ai media globali e alle figure chiave della gestione sanitaria, nel portare avanti un’agenda di distruzione economica e umana senza precedenti, in nome della lotta contro un virus. Si scopre che quasi tutti questi personaggi chiave hanno qualcosa in comune. Sono laureati, scelti personalmente o “alunni” come li chiama lui, della scuola davosiana per quadri di Klaus Schwab, e del suo programma annuale chiamato Young Global Leaders che, prima del 2004, portava il nome di Global Leaders for Tomorrow.
Da quando era stato selezionato il primo gruppo dei quadri di Davos, nel 1993, più di 1.400 “futuri leader globali” sono stati formati in un processo altamente segreto, che raramente viene menzionato nella biografia degli adepti. Con la pazienza di un ragno che tesse un’enorme tela, Klaus Schwab e i suoi ricchi sostenitori del World Economic Forum hanno creato la rete più influente di attori politici della storia moderna, e forse dell’intera storia umana.
In un video del 2017 con David Gergen ad Harvard, Schwab si vantava di essere orgoglioso del fatto che “penetriamo nei consigli di governo” con i quadri davosiani del Young Global Leader. Schwab affermava: “Devo dire che posso citare nomi come la signora Merkel … e così via, sono stati tutti Young Global Leaders del World Economic Forum. Ma ciò di cui ora siamo davvero orgogliosi, con le giovani generazioni, come il Primo Ministro Trudeau, il Presidente dell’Argentina e così via, è il fatto che penetriamo nei gabinetti di governo … È vero in Argentina ed è vero in Francia adesso…”
Il Grande Reset
Il Great Reset, come spiegato da Schwab, co-autore dell’omonimo libro del giugno 2020, ed elaborato per intero sul sito web del World Economic Forum, è lì per chiunque sia curioso di scoprirlo. Stabilisce un programma per riorganizzare l’economia globale dall’alto verso il basso, utilizzando le restrizioni della COVID per promuovere, tra le altre cose, un’agenda verde a zero emissioni di carbonio, l’eliminazione delle tradizionali proteine della carne e dell’agricoltura tradizionale, l’eliminazione dei combustibili fossili, la riduzione dei viaggi aerei, l’eliminazione dei contanti a favore di valute digitali emesse dalla banca centrale e un sistema medico totalitario di vaccinazioni obbligatorie.
Nel vertice virtuale dei leader globali di Davos del giugno 2020, giustamente intitolato The Great Reset, Schwab aveva dichiarato: “Ogni paese, dagli Stati Uniti alla Cina, deve partecipare e ogni industria, dal petrolio al gas alla tecnologia, deve essere trasformata. In breve, abbiamo bisogno di un ‘Grande Reset’ del capitalismo… Ci sono molte ragioni per perseguire un Great Reset, ma la più urgente è la COVID-19”. Il Grande Reset, continuava, richiede che “i governi attuino riforme attese da tempo, che promuovano l’uguaglianza dei risultati. A seconda del Paese, queste possono includere modifiche alle imposte sul patrimonio, il ritiro dei sussidi ai combustibili fossili… La seconda componente di un’agenda Great Reset dovrebbe garantire che gli investimenti portino avanti obiettivi condivisi, come l‘uguaglianza e la sostenibilità“.
Ciò che Schwab non menziona è che la sua rete di “leader globali” di Davos è stata al centro della draconiana agenda della COVID, dagli inutili lockdown alle vaccinazioni forzate fino alle mascherine obbligatorie. La pandemia è stata la necessaria prima fase del Grande Reset. Senza di essa non avrebbe potuto parlare di cambiamenti globali fondamentali.
Quello a cui punta l’agenda di Schwab è la redistribuzione globale della ricchezza allo scopo di creare la famigerata economia “sostenibile” dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite: “Anche USA, Cina e Giappone hanno ambiziosi piani di stimolo economico. Invece di usare questi fondi… per colmare le crepe nel vecchio sistema, dovremmo usarli per crearne uno nuovo che sia più resiliente, equo e sostenibile a lungo termine. Ciò significa, ad esempio, costruire infrastrutture urbane “verdi” e creare incentivi affinché le industrie migliorino il loro curriculum in termini di metriche ambientali, sociali e di principi di gestione [ESG, Environmental, Social, Governance, n.d.t.]. Aggiunge: “La terza e ultima priorità di un’agenda Great Reset è sfruttare le innovazioni della Quarta Rivoluzione Industriale per sostenere il bene pubblico, in particolare affrontando le sfide sanitarie e sociali”.
La lettera rubata
Il racconto del 1844 dell’autore americano Edgar Allen Poe, La lettera rubata, racconta di una lettera rubata alla regina di Francia e usata da un ministro senza scrupoli per ricattarla. Quando la polizia di Parigi perquisisce meticolosamente la casa del sospetto ladro senza risultati, un amico dell’ispettore capo riesce a trovare il documento rubato cercandolo in un luogo visibile a tutti, “nascosto in bella vista”.
E nascosta in bella vista è quella che è senza dubbio la cospirazione più sfacciata e criminale dei tempi moderni, il Grande Reset di Davos. Tutto è lì, visibile a chiunque abbia la pazienza di navigare tra le pagine dei comunicati stampa e delle pagine web del WEF. Degno di nota è che gli attori globali, i “quadri” di Davos scelti con cura negli ultimi trent’anni per essere preparati a posizioni di potere da cui attuare l’agenda del Grande Reset, sono nominati apertamente sul sito Web di Davos, rintracciabili con una piccola e paziente ricerca. Esistono liste parziali che nominano una manciata “Young Global Leaders” di Davos. Una ricerca più approfondita sui circa 1400 nominativi nelle classi annuali dei quadri, partendo dal 1992, rivela una cospirazione sorprendentemente dettagliata. Il sito web del WEF afferma che i leader mondiali vengono “formati per essere allineati con la missione del World Economic Forum, per “guidare la cooperazione pubblico-privato nell’interesse pubblico globale”.
Quanto segue è il risultato della revisione di ogni classe del WEF di futuri leader globali dal 1993 in poi.
Ciò che colpisce di più è che gli attori chiave legati a Schwab siano coinvolti nelle misure decisive che hanno reso la “pandemia” COVID-19 un processo economicamente e fisicamente distruttivo. Gli alumni del WEF li troviamo sempre nel bel mezzo di tutto ciò che riguarda la Covid.
Davos, Gates e Vaccini mRNA
Al centro dell’agenda COVID-19 c’è chiaramente il lancio, alla “massima velocità possibile”, di intrugli sperimentali non testati a base di mRNA ingegnerizzato, chiamati erroneamente vaccini, da parte di due società farmaceutiche: Pfizer (con BioNTech in Germania) e Moderna negli Stati Uniti.
Bill Gates (WEF 1993) e la sua Gates Foundation sono al centro del lancio di questi sieri a base di mRNA geneticamente editato, insieme a Tony Fauci del NIAID statunitense. Gates era stato selezionato da Schwab prima ancora della creazione della Bill and Melinda Gates Foundation, nel 1993, nel primo gruppo di quadri del WEF, insieme ad Angela Merkel, Tony Blair, Gordon Brown ed altri. Chissà se era stato Schwab a convincere Gates a creare la fondazione?
Il denaro della Gates Foundation, centinaia di milioni, era, in effetti, servito ad acquisire il controllo della corrotta Organizzazione Mondiale della Sanità delle Nazioni Unite, secondo una persona bene informata all’interno dell’OMS, l’epidemiologa svizzera Astrid Stuckelberger, che in una recente intervista ha dichiarato: “L’OMS è cambiata da quando ero lì… C’era stato un cambiamento nel 2016… Era stato stato speciale: alcune organizzazioni non governative – come GAVI – Global Alliance for Vaccine Immunization – guidate da Bill Gates – erano entrate nell’OMS nel 2006 portando soldi. Da allora, l’OMS si è trasformata in un nuovo tipo di organizzazione internazionale. GAVI ha guadagnato sempre più influenza e una totale immunità, più dei diplomatici all’ONU.”
La fondazione Gates, insieme al WEF di Schwab, nel 2000 aveva creato la GAVI-The Vaccine Alliance. Un compagno di scuola di Gates, altro famigerato allievo dei Global Leaders del WEF, José Manuel Barroso (WEF 1993), –Presidente della Commissione Europea dal 2004 al 2014, ex capo di Goldman Sachs International, membro del comitato direttivo del Bilderberg, era stato nominato CEO dell’alleanza per i vaccini GAVI finanziata da Gates nel gennaio 2021, quando era stata lanciata la campagna per la somministrazione dei sieri mRNA. Barroso ora supervisiona la spesa globale per i vaccini mRNA per Gates e l’OMS.
Albert Bourla, amministratore delegato di Pfizer, è un collaboratore dell’Agenda del WEF. Il suo vicepresidente Pfizer, Vasudha Vats (WEF 2021), è una recluta dei “leader globali” del WEF.
L’altro produttore chiave di iniezioni mRNA è Moderna, il cui CEO, Stéphane Bancel (WEF 2009) è un altro alumnus di Davos. L’anno successivo, nel 2010, Bancel era stato selezionato come amministratore delegato di una nuova società, Moderna, nel Massachusetts. Nel 2016, senza un prodotto mRNA di successo ancora approvato, Moderna di Bancel aveva firmato un accordo quadro per un progetto sanitario globale con la Bill & Melinda Gates Foundation per far avanzare progetti di sviluppo basati sulla tecnologia mRNA per varie malattie infettive. Nello stesso anno, Bancel aveva firmato un accordo quadro per un progetto sanitario globale con Tony Fauci e il NIAID. In un discorso del gennaio 2018 alla JP Morgan Healthcare Conference, più di un anno prima che il mondo sentisse parlare di COVID-19 e di Wuhan, in Cina, Gates aveva dichiarato: “Stiamo sostenendo la tecnologia mRNA di aziende come CureVac e Moderna nello sviluppo di vaccini e farmaci … ” Preveggenza?
I politici di Davos
La seconda componente chiave dell’agenda pandemica di Davos è stato un reclutamento internazionale di politici chiave, in particolare nell’UE e nel Nord America, che hanno sostenuto le misure di lockdown e di vaccinazione forzata più draconiane della storia. Quasi tutti gli attori chiave sono Global Leaders del WEF di Davos.
In Germania, la cancelliera Angela Merkel ha guidato uno dei più severi lockdown COVID, fino al suo ritiro nel dicembre 2021. Era della prima classe WEF del 1993. Anche il suo ministro della Salute, Jens Spahn (WEF 2012), è stato alunno di Davos. Spahn ha reso obbligatorie le iniezioni di mRNA e imposto l’uso delle inutili mascherine. Era un ex lobbista farmaceutico. Philipp Rösler, ministro della Salute dal 2009 al 2011, era stato nominato da Schwab Managing Director del WEF nel 2014. Lo scorso dicembre, si è formata una nuova coalizione di governo, guidata dal cancelliere Olaf Scholz, invitato da Schwab a tenere un discorso speciale all’incontro di Davos del gennaio 2022. Il nuovo ministro degli Esteri tedesco, la leader dei Verdi Annalena Baerbock (WEF 2020), era stata scelta leader globale poco prima della sua candidatura alla cancelleria. La direttrice di Greenpeace Jennifer Morgan, cittadina statunitense, nominata dalla Baerbock Segretario di Stato per la diplomazia sui cambiamenti climatici, è una collaboratrice dell’agenda del WEF e amica intima del membro del consiglio del WEF Al Gore. L’ex capo del Partito dei Verdi tedesco, Cem Özdemir (WEF 2002), è il nuovo ministro dell’Agricoltura.
In Francia, il presidente Emmanuel Macron (WEF 2016) nel 2017 era misteriosamente passato, senza neppure un partito, da un oscuro ministero alla presidenza, appena un anno dopo essere stato selezionato per aderire al programma WEF Global Leaders. In qualità di presidente, Macron ha istituito alcune delle misure COVID più draconiane al mondo, inclusi passaporti interni e vaccini obbligatori.
Altri politici dell’UE del club di Davos includono il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis (WEF 2003) e il primo ministro belga Alexander De Croo (WEF 2015). Entrambi hanno imposto severe misure COVID. Sanna Marin (WEF 2020), il primo ministro finlandese, ha invocato lo stato di emergenza in Finlandia, con lockdown severi ed altre drastiche misure. Nel Regno Unito l’ex primo ministro laburista, Gordon Brown, (WEF 1993) è stato chiamato dall’OMS nell’aprile 2021 a promuovere un programma da 60 miliardi di dollari per la vaccinazione contro la COVID nei “Paesi poveri”. Brown è diventato ambasciatore dell’OMS per il finanziamento globale della salute nel settembre 2021.
In Nord America, il governo canadese di Justin Trudeau, ora soggetto ad una massiccia rivolta popolare contro i suoi severi mandati di vaccinazione ed altre misure, pullula di agenti Davos. Lo stesso Trudeau è un collaboratore dell’Agenda WEF di Davos e relatore frequente a Davos. Nel 2016, Schwab aveva presentato Trudeau affermando: “Non potevo immaginare nessuno che potesse rappresentare meglio il mondo che uscirà dalla Quarta Rivoluzione Industriale”. Per Trudeau l’attore chiave per la COVID è la vice primo ministro e ministro delle finanze Chrystia Freeland, che fa parte del consiglio di fondazione del WEF e guida la risposta di Trudeau alla COVID. Altri agenti del WEF ad Ottawa sono il ministro degli esteri, Mélanie Joly (WEF 2016), e il ministro per le politiche della famiglia, Karina Gould (WEF 2020).
Negli Stati Uniti i massimi incaricati dell’amministrazione Biden includono Jeffrey Zients (WEF 2003), Coordinatore per il Coronavirus della Casa Bianca. Un altro è il segretario ai trasporti Pete Buttigieg (WEF 2019), che aveva annunciato la candidatura alla presidenza subito dopo essere stato scelto da Davos. L’agente dello stato profondo statunitense Samantha Power (WEF 2003) è stata posta da Biden a capo dell’USAID, la principale agenzia di aiuti esteri e strettamente legata alle attività della CIA all’estero. Rebecca Weintraub (WEF 2014), una professoressa di Harvard che auspica la vaccinazione totale di tutti nel mondo, con vaccini obbligatori anche per i bambini, è una consulente del Comitato consultivo nazionale sui vaccini del Dipartimento della salute e dei servizi umani.
Il governatore della California, Gavin Newsom (WEF 2005), ha imposto alcuni dei più severi lockdown e obblighi di mascherine della nazione, così come Jared Polis (WEF 2013), governatore del Colorado che, con un decreto di salute pubblica, ha reso il Colorado uno dei primi stati a richiedere la prova di una vaccinazione completa per essere ammessi ai grandi eventi indoor.
Australia e Nuova Zelanda sono stati due dei campioni mondiali della tirannia COVID. In Australia, il ministro della Salute Greg Hunt era stato Direttore della Strategia del WEF nel 2001 e Leader Globale del WEF nel 2003. Controlla le politiche estreme del governo sulla COVID-19. In Nuova Zelanda, il primo ministro Jacinda Ardern (WEF 2014) aveva incontrato Bill Gates a New York nel settembre 2019, in qualità di relatrice alla conferenza annuale sugli obiettivi di sviluppo sostenibile della Gates Foundation, poco prima degli eventi COVID in Cina e della “simulazione pandemica” Event 201 dell’ottobre successivo, a cura del World Economic Forum e della Bill and Melinda Gates Foundation. In qualità di Primo Ministro, Ardern ha imposto tutta una serie di lockdown, eliminando la maggior parte dei diritti civili e vietando praticamente i viaggi internazionali.
I più importanti Think Tank accademici
Questa è solo una parte della rete globale di Davos, accuratamente coltivata e promossa, che sta dietro l’orchestrazione delle misure pandemiche globali della COVID-19. Un ruolo determinante è svolto dalla Fondazione Rockefeller, il cui presidente, Rajiv Shah (WEF 2007) è stato una figura di spicco dell’Africa Green Revolution presso la Fondazione Gates, così come per i programmi di vaccinazione. In qualità di capo dell’influente Rockefeller Foundation, Shah svolge un ruolo chiave nella promozione del Grande Reset di Davos, di cui è collaboratore. Un altro pensatoio politico statunitense molto influente, il New York Council on Foreign Relations, ha un profondo coinvolgimento nell’agenda COVID-19. Thomas Bollyky (WEF 2013) è Direttore del Global Health Program del CFR ed è un’ex consulente della Gates Foundation, nonché consulente dell’OMS. Ha diretto la Task Force CFR, Improving Pandemic Preparedness: Lessons from COVID-19 (2020).
Jeremy Howard (WEF 2013) è un australiano che all’inizio della COVID-19 ha organizzato una campagna mondiale per le mascherine obbligatorie. Mustapha Mokass (WEF 2015) ha sviluppato un sistema di passaporti vaccinali per l’agenda della Quarta Rivoluzione Industriale di Schwab.
I media mainstream di Goebbels
Il ruolo dei media gestiti è al centro dell’offensiva propagandistica senza precedenti sulla pandemia di COVID-19. Anche su questo fronte Davos e il WEF di Schwab sono protagonisti.
La CNN è uno dei più noti mezzi di propaganda del terrore e sostiene le inoculazioni di mRNA, mentre attacca qualsiasi cura alternativa collaudata. CNN e Davos sono ben collegati.
Il dottor Sanjay Gupta (WEF 2010), corrispondente medico capo per la CNN , ha svolto un ruolo chiave nel promuovere la narrativa ufficiale sulla COVID-19. La dottoressa Leana Sheryle Wen (WEF 2018) è editorialista del Washington Post e analista medico della CNN. In qualità di “collaboratore medico” della CNN, la Wen ha suggerito che la vita dovrebbe essere “dura” per gli Americani che hanno scelto di non farsi vaccinare contro la COVID-19. Anderson Cooper (WEF 2008), un sinistro ex “tirocinante” della CIA, è un importante conduttore della CNN. Jeffrey Dean Zeleny (WEF 2013) è il capo corrispondente per gli affari nazionali della CNN.
Mentre la CNN produce commenti unilaterali sui sieri mRNA e sulla COVID, gli influenti padroni delle aziende dei social media si impegnano in una censura senza precedenti su qualsiasi opinione critica o contraria con uno zelo che farebbe arrossire Goebbels. Tra questi c’è Mark Zuckerberg (WEF 2009), il miliardario proprietario del prodotto CIA Facebook, e il membro del consiglio di Twitter, Martha Lane Fox (WEF 2012), facente parte del Comitato congiunto del Regno Unito per la strategia di sicurezza nazionale e del comitato COVID-19 della Camera dei Lord. Larry Page (WEF 2005) è un miliardario co-fondatore di Google, probabilmente il motore di ricerca più censurato e più utilizzato al mondo.
Anche Marc Benioff (WEF Board of Trustees), proprietario della rivista Time e del cloud computing Salesforce, è collegato alla The Giving Pledge di Bill Gates. Dawood Azami (WEF 2011) è editore multimediale presso la BBC World Service, l’influente emittente statale britannica. Jimmy Wales (WEF 2007) è il fondatore di Wikipedia che notoriamente altera il contenuto delle voci relative alla COVID per promuovere l’agenda dell’OMS e di Davos. Lynn Forester de Rothschild (WEF 1995), con il suo terzo marito, Sir Evelyn Robert de Rothschild, possiede la rivista The Economist, che promuove l’agenda COVID di Davos insieme al prossimo Reset Verde. Era stata presentata a Sir Evelyn da Henry Kissinger alla Conferenza del Bilderberg del 1998 in Scozia.
Altre figure della scuderia di Davos dei futuri leader globali includono Jamie Dimon (WEF 1996), CEO di JP Morgan Chase, Nathaniel Rothschild (WEF 2005), figlio ed erede apparente del barone Jacob Nathaniel “Nat” Rothschild, David Mayer de Rothschild (WEF 2007), un miliardario britannico sostenitore dell’agenda verde con una fortuna stimata in 10 miliardi di dollari.
I “partner” aziendali strategici del WEF che fanno da tutor ai Global Leaders di Davos includono Barclays Bank, Bill & Melinda Gates Foundation, Deutsche Bank AG, General Motors Company, The Goldman Sachs Group Inc., Google Inc., HSBC Holdings Plc, McKinsey & Company e UBS AG e simili.
Questa concentrazione di potere globale è solo una coincidenza o parte di una vera e propria cospirazione? Un esame dell’attuale Consiglio di amministrazione del World Economic Forum potrebbe dare una risposta.
F. William Engdahl
Fonte: journal-neo.org
Link: https://journal-neo.org/2022/02/16/davos-and-the-purloined-letter-conspiracy/
16.02.2022
Tradotto da Papaconscio per comedonchisciotte.org
FONTE: https://comedonchisciotte.org/davos-e-la-cospirazione-della-lettera-rubata/
Il solito, ipocrita Occidente terrorista: Putin “aggressore”
«Ora tutti danno del matto scriteriato a Vladimir Putin, ma i veri folli siamo noi, che ci stiamo bevendo la narrazione patetica che dalla sala ovale della Casa Bianca ci è piombata in testa come verità assoluta: quella dell’Occidente e in primis dell’America come paladina dei diritti inderogabili delle nazioni». Così “Libero”, in un editoriale che commenta la reazione militare russa alle reiterate provocazioni atlantiche in Ucraina, paese “prenotato” ufficialmente per l’ingresso nella Nato in violazione di ogni precedente accordo. Traduzione pratica nei nostri media: Putin avrebbe violato il diritto internazionale, calpestato la sovranità di uno Stato tutelato dall’Onu, riconosciuto ufficialmente e sostenuto militarmente due territori del Donbass (Est dell’Ucraina) che si sono proclamati repubbliche indipendenti. “Libero” punta il dito contro il vizietto storico dell’Occidente: l’interferenza “umanitaria”. «Se osservatori non sempre disinteressati colgono in una certa zona del mondo il prevalere di un tiranno crudele, allora è concesso mandare truppe, rimpiazzare i presidenti, commissariare un paese. È successo in Somalia nel 1993, in Bosnia-Erzegovina fino al 1996».
Il decantato diritto internazionale? Regolarmente ritoccato «a misura del più forte, che non sempre è quello buono». In Kosovo, «senza neppure il minimo cenno di approvazione dell’Onu», nel 1999 la Nato attaccò la Serbia, «accusata di crimini orrendi nella provincia già autonoma di Pristina a maggioranza albanese-musulmana», ma in realtà «i report erano falsi come quelli di Giuda». Non solo: «Noi italiani bombardammo Belgrado per ragioni umanitarie, persino un ospedale. Poi garantimmo una resa onorevole a Milosevic, il presidente comunista di Belgrado, invano difeso dalla Russia e da scrittori come Solzenicyn, spergiurando che il Kosovo sarebbe rimasto sacro suolo della Serbia». In quel caso «la Nato intervenne, inventando panzane, per costituire uno stato mafioso-islamico nel cuore dell’Europa: fu un’operazione condotta da Bill Clinton e Joe Biden». E vogliamo parlare dell’Iraq? Nel 2003, con l’aiuto di servizi segreti europei, «gli Stati Uniti costruirono false prove del possesso, da parte di Saddam Hussein, di armi di distruzione di massa. Guerra di liberazione? È servita a insediare l’Isis».
Altro capitolo, la Libia: «La Nato ha deciso che Gheddafi era cattivo e i jihadisti di Allah buoni». In pratica, sempre secondo “Libero”, «sostenemmo i tagliagola tagliando la gola a noi stessi (per gola qui si intendono i rifornimenti energetici) e consegnando il nostro paese a essere meta di migranti usati come armi di destabilizzazione». Dopo la Libia toccò alla Siria, e via così. Oggi, «Putin ha applicato il medesimo criterio dei precedenti punti “americani”: in particolare, il riferimento è all’Iraq e al Kosovo». L’adesione dell’Ucraina alla Nato? Più che prevedibile, nonostante fosse stata osteggiata già nel 2008 sia da Prodi che dalla Merkel. Ma ora, «il dispiegamento di forze e missili occidentali con basi in Romania, Polonia e Paesi Baltici è un bigliettino di inimicizia sfacciato». Quanto alla popolazione russofona del Donbass e di Odessa: «C’è qualcuno che osi negare sia vessata, ridotta a “dilly”, cittadini di serie B, dall’attuale regime sponsorizzato dall’Occidente per essere una spina nel fianco della Russia?».
Il quotidiano di Sallusti parla di «un secondo livello di ipocrisia», e spiega: «Putin in questi giorni ha reso semplicemente ufficiale ciò che era già reale dal 2014». Ovvero: «Sin dall’invasione e annessione della Crimea, il Donbass è sotto sovranità russa: non c’è servizio segreto occidentale che non lo sappia. Persino le forze militari con divisa ucraina lì servono Mosca. Ci sono stati referendum, in Donbass, dove plebiscitariamente la popolazione ha optato – secondo il principio di autodeterminazione – per l’indipendenza da Kiev». E dunque: «Il principio di autodeterminazione vale solo quando lo decidono gli americani? Anche loro, in fin dei conti, alcuni secoli fa, si dichiararono indipendenti dalla Gran Bretagna, o ci sbagliamo?». Osserva “Libero”: «La storia si muove. Il diritto internazionale si modella in una lotta impari tra puri ideali e sporca forza. Di solito vince la forza». E Putin si è mosso ora «non perché impazzito», ma per ragioni di politica interna («individuare un’aggressione esterna raggruma il popolo intorno al capo») e anche «per mostrare agli europei chi è davvero Biden.
L’uomo della Casa Bianca? «Se ne frega degli interessi e del benessere dei popoli alleati, e fa di tutto per creare le condizioni – esasperando il conflitto diplomatico, muovendo l’esercito – per inimicare la Russia e gli Stati europei». In altre parole: «Che importa a Biden se la bolletta della luce triplica a Bari e a Torino, se i forni di Mestre si spengono e non sciolgono più il vetro perché il gas è troppo caro?». “Libero” cita una riflessione di Jeffrey Sachs, della Columbia University, pubblicata in queste ore sul “Financial Times”. «Gli Stati Uniti – scrive Sachs – dovrebbero garantire alla Russia che l’Ucraina non entrerà mai nella Nato, chiedendo in cambio il completo ritiro delle forze russe dalla regione del Donbass e l’annullamento del riconoscimento dell’indipendenza delle due repubbliche separatiste, oltre alla smobilitazione delle truppe al confine con l’Ucraina, insieme a garanzie sul riconoscimento della sovranità di Kiev». Aggiunge l’analista: «Se gli Usa non proporranno questo accordo, dovrebbero farlo Germania e Francia». Sempre che non sia troppo tardi, ormai, vista la portata dell’offensiva militare russa scatenata contro l’Ucraina.
FONTE: https://www.libreidee.org/2022/02/il-solito-ipocrita-occidente-terrorista-putin-aggressore/
Ucraina: l’attacco lo lanciò la Nato otto anni fa
Gli Occidentali non hanno memoria e ignorano la propria storia. È perciò facile accecarli con la propaganda di guerra. Ignorano che l’Alleanza Atlantica ha fatto due guerre senza autorizzazione del Consiglio di Sicurezza: in Jugoslavia e in Libia (per quest’ultima esisteva un’autorizzazione del Consiglio, ma non per quel che è stato fatto). Ignorano anche che tutti gli allargamenti della Nato a est della linea Oder-Neisse (frontiera tra la Germania e la Polonia) sono illegali. Ignorano infine che il funzionamento gerarchizzato della Nato è anch’esso illegale perché contrario alla Carta delle Nazioni Unite.
La commissaria Ursula von der Leyen ha annunciato che la Ue mette al bando l’agenzia di stampa russa Sputnik e il canale Russia Today così che «non possano più diffondere le loro menzogne per giustificare la guerra di Putin con la loro disinformazione tossica in Europa». La Ue instaura così ufficialmente l’orwelliano Ministero della Verità, che cancellando la memoria riscrive la storia. Viene messo fuorilegge chiunque non ripete la Verità trasmessa dalla Voce dell’America, agenzia ufficiale del governo Usa, che accusa la Russia di «orribile attacco completamente ingiustificato e non provocato contro l’Ucraina». Mettendomi fuorilegge, riporto qui in estrema sintesi la storia degli ultimi trent’anni cancellata dalla memoria.
Nel 1991, mentre terminava la guerra fredda con il dissolvimento del Patto di Varsavia e della stessa Unione Sovietica, gli Stati uniti scatenavano nel Golfo la prima guerra del dopo guerra fredda, annunciando al mondo che «non esiste alcun sostituto alla leadership degli Stati uniti, rimasti il solo Stato con una forza e una influenza globali». Tre anni dopo, nel 1994, la Nato sotto comando Usa effettuava in Bosnia la sua prima azione diretta di guerra e nel 1999 attaccava la Jugoslavia: per 78 giorni, decollando soprattutto dalle basi italiane, 1.100 aerei effettuano 38 mila sortite, sganciando 23 mila bombe e missili che distruggevano in Serbia ponti e industrie, provocando vittime soprattutto tra i civili.
Mentre demoliva con la guerra la Jugoslavia, la Nato, tradendo la promessa fatta alla Russia di «non allargarsi di un pollice ad Est», iniziava la sua espansione ad Est sempre più a ridosso della Russia, che l’avrebbe portata in vent’anni a estendersi da 16 a 30 membri, incorporando paesi dell’ex Patto di Varsavia, dell’ex Urss e della ex Jugoslavia, preparandosi a includere ufficialmente anche Ucraina, Georgia e Bosnia Erzegovina, di fatto già nella Nato [1] Passando di guerra in guerra, Usa e Nato attaccavano e invadevano l’Afghanistan nel 2001 e l’Iraq nel 2003, demolivano con la guerra lo Stato libico nel 2011 e iniziavano tramite l’Isis la stessa operazione in Siria, in parte bloccata quattro anni dopo dall’intervento russo. Solo in Iraq, le due guerre e l’embargo uccidevano direttamente circa 2 milioni di persone, tra cui mezzo milione di bambini.
Nel febbraio 2014 la Nato, che dal 1991 si era impadronita di posti chiave in Ucraina, effettuava tramite formazioni neonaziste appositamente addestrate e armate, il colpo di stato che rovesciava il presidente dell’Ucraina regolarmente eletto. Esso era orchestrato in base a una precisa strategia: attaccare le popolazioni russe di Ucraina per provocare la risposta della Russia e aprire così una profonda frattura in Europa. Quando i russi di Crimea decidevano con il referendum di rientrare nella Russia di cui prima facevano parte, e i russi del Donbass (bombardati da Kiev anche col fosforo bianco) si trinceravano nelle due repubbliche, iniziava contro la Russia la escalation bellica della Nato. La sosteneva la Ue, in cui 21 dei 27 paesi membri appartengono alla Nato sotto comando Usa.
In questi otto anni, forze e basi Usa-Nato con capacità di attacco nucleare sono state dislocate in Europa ancora più a ridosso della Russia, ignorando i ripetuti avvertimenti di Mosca. Il 15 dicembre 2021 la Federazione Russa ha consegnato agli Stati Uniti d’America un articolato progetto di Trattato per disinnescare questa esplosiva situazione [2]). Non solo è stato anch’esso respinto ma, contemporaneamente, è cominciato lo schieramento di forze ucraine, di fatto sotto comando Usa-Nato, per un attacco su larga scala ai russi del Donbass. Da qui la decisione di Mosca di porre un alt alla escalation aggressiva Usa.Nato con l’operazione militare in Ucraina.
Manifestare contro la guerra cancellando la storia, significa contribuire consapevolmente o no alla frenetica campagna Usa-Nato-Ue che bolla la Russia quale pericoloso nemico, che spacca l’Europa per disegni imperiali di potere, trascinandoci alla catastrofe.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article215886.html
È agli Straussiani che la Russia ha dichiarato guerra
La Russia non fa guerra al popolo ucraino, ma a un piccolo gruppo di persone intrinseche al potere statunitense, gruppo che ha trasformato l’Ucraina a sua insaputa: gli Straussiani. Una consorteria costituitasi mezzo secolo fa e che già ha perpetrato un numero incredibile di crimini in America Latina e in Medio Oriente, senza che il popolo statunitense ne fosse consapevole. Ecco la loro storia.
Questo articolo è il seguito di:
1. «La Russia vuole costringere gli USA a rispettare la Carta delle Nazioni Unite», 4 gennaio 2022.
2. «In Kazakistan Washington porta avanti il piano della RAND, poi toccherà alla Transnistria», 11 gennaio 2022.
3. «Washington rifiuta di ascoltare Russia e Cina», 18 gennaio 2022.
4. «Washington e Londra colpite da sordità», 1° febbraio 2022.
5. “Washington e Londra tentano di preservare il dominio sull’Europa”, 8 febbraio 2022.
6. “Due interpretazioni della vicenda ucraina”, 15 febbraio 2022.
7. “Washington suona la tromba di guerra, ma gli alleati desistono”, 23 febbraio 2022.
All’alba del 24 febbraio le forze russe sono entrate massicciamente in Ucraina. Secondo il presidente Vladimir Putin, che ha pronunciato nello stesso momento un discorso televisivo, l’operazione speciale è l’inizio della risposta della Russia a «coloro che aspirano a dominare il mondo» e stanno espandendo le infrastrutture della Nato alle porte del Paese. Nel lungo intervento il presidente ha riassunto come la Nato ha distrutto la Jugoslavia, senza autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, spingendosi fino a bombardare nel 1999 Belgrado. Ha poi ripercorso le distruzioni degli Stati Uniti in Medio Oriente, Iraq, Libia e Siria. Solo dopo questa lunga esposizione ha annunciato l’invio delle truppe in Ucraina con una duplice missione: distruggere le forze armate legate alla Nato e finirla con i gruppi neonazisti armati dalla Nato.
Tutti gli Stati membri dell’Alleanza Atlantica hanno immediatamente denunciato l’occupazione dell’Ucraina, paragonandola a quella della Cecoslovacchia durante la “Primavera di Praga” (1968): la Russia di Vladimir Putin avrebbe adottato la “dottrina Breznev” dell’Unione Sovietica. Per questo motivo il mondo libero deve punire il redivivo “Impero del Male” infliggendogli «costi devastanti».
L’interpretazione dell’Alleanza Atlantica vuole innanzitutto privare la Russia del suo principale argomento: certamente la Nato non è una confederazione fra eguali, è una federazione gerarchizzata comandata dagli anglosassoni; ma la Russia agisce allo stesso modo: non riconosce agli ucraini il diritto di scegliere il proprio destino, come fecero i sovietici con i cecoslovacchi. Certamente la Nato si muove violando i principi di sovranità e uguaglianza fra Stati sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite, ma non deve essere sciolta, a meno che non sia sciolta anche la Russia.
Forse, ma probabilmente no.
Il discorso del presidente Putin non era contro l’Ucraina, né contro gli Stati Uniti, ma esplicitamente contro «coloro che ambiscono a dominare il mondo», ossia contro gli “Straussiani” intrinsechi al potere statunitense. Era a questi ultimi che si rivolgeva la sua dichiarazione di guerra.
Il 25 febbraio il presidente Putin definiva il potere di Kiev «cricca di drogati e neonazisti». Affermazioni, secondo i media atlantisti, di un malato di mente.
Nella notte fra il 25 e il 26 febbraio il presidente ucraino Volodymyr Zelensky rivolgeva alla Russia, attraverso l’ambasciata di Cina a Kiev, una proposta di cessate-il-fuoco. Il Cremlino rispondeva immediatamente ponendo le seguenti condizioni:
– arresto di tutti i nazisti (Dmitro Yarosh e il Battaglione Azov, e così via);
– sostituzione di tutti i nomi delle vie e rimozione dei monumenti che glorificano i collaboratori dei nazisti durante la seconda guerra mondiale (Stepan Bandera e altri);
– deposizione delle armi.
La stampa atlantista lo ignorava, ma il resto del mondo che lo sapeva tratteneva il fiato. La negoziazione è fallita dopo poche ore per l’intervento di Washington. Solo allora le opinioni pubbliche occidentali ne sono state informate, ma le condizioni dei russi sono state tenute nascoste.
Di cosa parla il presidente Putin? Contro chi si batte? E quali sono i motivi che hanno reso cieca e muta la stampa atlantista?
BREVE STORIA DEGLI STRAUSSIANI
È opportuno soffermarsi su questo gruppo, gli Straussiani, del quale gli Occidentali sanno molto poco. Sono personaggi, tutti ebrei, assolutamente non rappresentativi né degli ebrei statunitensi né delle comunità ebraiche nel mondo. Sono stati formati dal filosofo tedesco Leo Strauss, rifugiatosi, all’avvento al potere dei nazisti, negli Stati Uniti, ove divenne professore di filosofia all’università di Chicago. Molte testimonianze attestano che Strauss plasmava un ristretto gruppo di fidati allievi attraverso l’insegnamento orale, di cui perciò non esistono tracce scritte. Spiegava loro che il solo modo per gli ebrei di sottrarsi a un nuovo genocidio è costituire una propria dittatura. Chiamava gli allievi opliti (i soldati di Sparta) e li spediva a disturbare le lezioni dei rivali. Da ultimo insegnava loro la discrezione ed elogiava la «nobile menzogna». Strauss è morto nel 1973, ma la comunità studentesca si è perpetuata.
Mezzo secolo fa, nel 1972, gli Straussiani iniziarono a formare un gruppo politico. Tutti facevano parte della squadra del senatore Democratico Henry “Scoop” Jackson, in particolare Elliott Abrams, Richard Perle e Paul Wolfowitz. Lavoravano a stretto contatto con un gruppo di giornalisti trozkisti, anche loro ebrei, che si erano conosciuti al City College of New York e pubblicavano la rivista Commentary. Venivano chiamati gli “Intellettuali newyorkesi” (New York Intellectuals). Sia gli Straussiani sia gli Intellettuali newyorkesi erano molto legati alla CIA, ma anche, grazie al suocero di Perle, Albert Wohlstetter (stratega militare USA), alla Rand Corporation, il think tank del complesso militare-industriale. Molti di questi giovani si sposarono tra loro, fino a formare un gruppo compatto di un centinaio di persone.
In piena crisi Watergate (1974) il clan redasse e fece adottare l’“emendamento Jackson-Vanik”, che imponeva all’Unione Sovietica di autorizzare l’emigrazione della popolazione ebrea in Israele con minacce di sanzioni economiche. Fu il loro atto fondatore.
Nel 1976 Wolfowitz [1] fu un uno degli artefici del Team B, incaricato dal presidente Gerald Ford di valutare la minaccia sovietica [2]. L’esito fu un rapporto delirante in cui l’Unione Sovietica veniva accusata di prepararsi a conquistare un’«egemonia globale». La guerra fredda cambiò natura: lo scopo non era più isolare (containment) l’URSS, ma fermarla per salvare il «mondo libero».
Gli Straussiani e gli Intellettuali newyorkesi, tutti di sinistra, si misero al servizio del presidente di destra Ronald Reagan. Bisogna capire che entrambi questi gruppi in realtà non sono né di sinistra né di destra. Del resto alcuni loro membri hanno transitato ben cinque volte dal Partito Democratico al Partito Repubblicano e viceversa: l’importante è infiltrare il potere, a qualsiasi ideologia appartenga. Abrams divenne assistente del segretario di Stato. Condusse un’operazione in Guatemala, dove mise al potere un dittatore e sperimentò, con ufficiali del Mossad israeliano, la creazione di riserve per indiani maya, per poterne poi adottare il modello in Israele con gli arabi palestinesi (la Resistenza Maya è valsa a Rigoberta Menchú il premio Nobel per la pace). Abrams continuò i suoi soprusi in Salvador e poi, con l’affare Iran-Contras, contro i sandinisti in Nicaragua. Da parte loro gli Intellettuali newyorkesi, ora chiamati Neoconservatori, crearono il Fondo Nazionale per la Democrazia (National Endowment for Democratie – NED) e l’Istituto degli Stati Uniti per la Pace (U.S. Institute of Peace); un dispositivo che organizzò moltissime rivoluzioni colorate, a cominciare dalla Cina, con il tentativo di colpo di Stato del primo ministro Zhao Ziyang e la repressione di piazza Tienanmen che ne seguì.
Alla fine del mandato di George H. Bush (padre), Wolfowitz, all’epoca numero tre del segretariato alla Difesa, elaborò un documento [3] attorno a un’idea centrale: dopo la decomposizione dell’URSS, gli Stati Uniti devono prevenire l’emergenza di nuovi rivali, a cominciare dall’Unione Europea. Il testo si concludeva con l’auspicio di azioni unilaterali, ossia di mettere fine alla concertazione delle Nazioni Unite. Wolfowitz fu senza dubbio l’ideatore della “Tempesta del deserto”, l’operazione di distruzione dell’Iraq che permise agli Stati Uniti di cambiare le regole del gioco e di organizzare un mondo unilaterale. È in questo periodo che gli Straussiani valorizzarono i concetti di «cambiamento di regime» e di «promozione della democrazia».
Gary Schmitt, Abram Shulsky e Paul Wolfowitz si sono insinuati nella comunità dell’intelligence statunitense grazie al Gruppo di lavoro per la Riforma dell’Intelligence (Consortium for the Study of Intelligence’s Group on Intelligence Reform). Criticarono la presunzione aprioristica che gli altri governi ragionino come quello degli Stati Uniti [4]. Poi criticarono l’assenza di direzione politica dell’intelligence, che la lascia vagare fra soggetti di poca importanza, invece di concentrarsi su quelli essenziali. Politicizzare l’intelligence era quel che Wolfowitz aveva già fatto con il Team B e che ricominciò a fare nel 2002, con l’Ufficio dei Piani Speciali (Office of Special Plans), inventando pretesti per nuove guerre contro Iraq e Iran (la «nobile menzogna» di Leo Strauss).
Gli Straussiani furono estromessi dal potere durante il mandato di Bill Clinton. S’introdussero allora nei think tank di Washington. Nel 1992 William Kristol e Robert Kagan (marito di Victoia Nuland, ampiamente citata negli articoli precedenti) pubblicarono un articolo su Foreign Affairs in cui deploravano la timida politica estera del presidente ed esortavano a un rinnovamento dell’«egemonia disinteressata degli Stati Uniti» (benevolent global hegemony) [5]. L’anno successivo fondarono il Progetto per un Nuovo Secolo Americano (Projet for a New American Century, PNAC) nei locali dell’Istituto Americano per l’Impresa (American Entreprise Insitute), di cui Schmitt, Shulsky e Wolfowitz erano membri. Tutti gli estimatori non ebrei di Leo Strauss, fra cui il protestante Francis Fukuyama, l’autore di La fine della storia, si unirono immediatamente.
Nel 1994 Richard Perle (alias Principe delle tenebre), all’epoca trafficante d’armi, divenne consigliere del presidente ex nazista Alija Izetbebovič in Bosnia Erzegovina. Fu Perle a far venire dall’Afghanistan Osama Bin Laden e la sua Legione Araba (antesignana di Al Qaeda) per difendere il Paese. Perle sarà anche membro della delegazione bosniaca alla firma degli Accordi di Dayton a Parigi.
Nel 1996 membri del PNAC, fra cui Richard Perle, Douglas Feith e David Wurmser, redassero, all’interno dell’Institute for Advanced Strategic and Political Studies, IASP, uno studio per conto del nuovo primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Il rapporto [6] raccomandava l’eliminazione di Yasser Arafat, l’annessione dei territori palestinesi, la guerra contro l’Iraq per trasferirvi in seguito i palestinesi. Il documento traeva ispirazione non soltanto dalle teorie politiche di Leo Strauss, ma anche da quelle di un amico di Strauss, Ze’ev Jabotinsky, fondatore del «sionismo revisionista», di cui il padre di Netanyahu fu segretario particolare.
Il PNAC raccolse fondi per la candidatura di George W. Bush (figlio) e pubblicò prima della sua elezione il celebre rapporto «Ricostruire le difese dell’America» (Rebuilding America’s Defenses), ove auspicava una catastrofe comparabile a quella di Pearl Harbor, pretesto per scaraventare il popolo statunitense in una guerra per l’egemonia globale. Sono esattamente i termini usati l’11 settembre 2001 dal segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, membro del PNAC.
Grazie agli attentati dell’11 Settembre, Perle e Wolfowitz installarono all’ombra di Rumsfeld l’ammiraglio Arthur Cebrowski, che vi svolse un ruolo analogo a quello di Albert Wohlstetter durante la guerra fredda. Impose la strategia della «guerra senza fine»: le forze armate statunitensi non devono più vincere guerre, ma scatenarne tante e farle durare il più a lungo possibile. Lo scopo è distruggere tutte le strutture politiche degli Stati presi di mira per ridurre in miseria le popolazioni e privarle di ogni mezzo per difendersi dagli Stati Uniti [7]; una strategia messa in atto da vent’anni in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Yemen…
L’alleanza fra Straussiani e sionisti revisionisti fu suggellata nel 2003, in occasione di una grande conferenza a Gerusalemme, cui personalità politiche israeliane di ogni genere sfortunatamente si ritennero in dovere di partecipare [8]. Non c’è quindi da meravigliarsi che nel 2006 Victoria Nuland (moglie di Robert Kagan), all’epoca ambasciatrice della Nato, sia intervenuta per proclamare un cessate-il-fuoco in Libano, consentendo all’esercito israeliano battuto di non essere inseguito dallo Hezbollah.
C’è qualcuno che, come Bernard Lewis, ha lavorato con i tre gruppi: gli Straussiani, i Neoconservatori e i sionisti revisionisti. Ex agente dell’intelligence britannica, Lewis acquisì la cittadinanza statunitense e quella israeliana, fu consigliere di Benjamin Netanyahu e membro del Consiglio per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti. Lewis, che a metà carriera affermava che l’islam è incompatibile con il terrorismo e che i terroristi arabi sono in realtà agenti sovietici, in seguito cambiò idea e, con massima disinvoltura, assicurò che è l’islam a predicare il terrorismo. Per conto del Consiglio per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, Lewis inventò la strategia dello «scontro di civiltà», che consiste nella strumentalizzazione delle differenze culturali al fine di mobilitare i mussulmani contro gli ortodossi; concetto reso popolare dal suo assistente al Consiglio, Samuel Huntington, che però non lo presentò come strategia, ma come fatalità contro la quale occorreva agire. Huntington iniziò la carriera come consigliere dei servizi segreti sudafricani dell’apartheid; in seguito scrisse un libro, The Soldier and the State [9], in cui sostiene che i militari, regolari e mercenari, costituiscono una casta a sé, la sola capace di comprendere i bisogni di sicurezza nazionale.
Dopo la distruzione dell’Iraq, gli Straussiani furono bersaglio di ogni sorta di polemica [10]. Tutti si meravigliavano che un gruppo così ristretto, appoggiato da giornalisti neoconservatori, avesse potuto acquisire simile autorevolezza senza che se ne fosse dibattuto pubblicamente. Il Congresso degli Stati Uniti designò un Gruppo di studio sull’Iraq, la Commissione Baker-Hamilton, per valutarne la politica: il rapporto condannò, pur senza nominarla, la strategia Rumsfeld/Cebrowski, deplorando le centinaia di migliaia di morti provocate. Rumsfeld si dimise, ma il Pentagono ne prosegue inesorabilmente la strategia, senza mai adottarla ufficialmente.
Nell’amministrazione Obama gli Straussiani entrarono nel gabinetto del vicepresidente Joe Biden. Il suo consigliere per la Sicurezza nazionale, Jacob Sullivan, svolse un ruolo centrale nell’organizzazione delle operazioni contro la Libia, la Siria e il Myanmar; un altro consigliere, Antony Blinken, si concentrò invece sull’Afghanistan, il Pakistan e l’Iran. Fu Blinken a pilotare i negoziati con la Guida suprema Ali Khamenei, che sfociarono nell’arresto e nella reclusione dei principali membri della squadra del presidente Mahmud Ahmadinejad, in cambio dell’accordo sul nucleare.
Il cambiamento di regime a Kiev del 2014 fu organizzato dagli Straussiani. Il vicepresidente Biden vi s’impegnò risolutamente. Victoria Nuland si recò in Ucraina per sostenere gli elementi neonazisti del Settore Destro e supervisionare il commando israeliano “Delta” [11] in piazza Maidan. Un’intercettazione telefonica rivelò il suo auspicio d’«inculare l’Unione Europea» (sic), nella tradizione del rapporto Wolfowitz del 1992. Ma i dirigenti dell’Unione Europea non capirono e si limitarono a deboli proteste [12].
“Jake” Sullivan e Antony Blinken sistemarono il figlio del vicepresidente Biden, Hunter, nel consiglio di amministrazione di una delle più importanti società di gas, Burisma Holdings, nonostante l’opposizione del segretario di Stato John Kerry. Hunter Biden è un eroinomane che servirà da paravento a una gigantesca truffa a danno del popolo ucraino. Sotto la sorveglianza di Amos Hochstein, il figlio di Biden individuerà parecchi suoi compagni di sballo per farne altri uomini di paglia a capo di diverse società, così da saccheggiare il gas ucraino. Sono costoro che il presidente Putin ha definito «cricca di drogati».
Sullivan e Blinken si appoggiano al padrino mafioso Ihor Kolomoïnsky, che possiede la terza ricchezza del Paese. Benché ebreo, finanzia i duri del Settore Destro, organizzazione neonazista che lavora per la Nato e si batté in piazza Maidan al momento del “cambiamento di regime”.
Kolomoïnsky approfitta delle sue entrature per prendere il potere nella comunità ebraica europea, ma altri della sua stessa parrocchia si oppongono e lo espellono dalle associazioni internazionali. Ciononostante riesce a far nominare il capo del Settore Destro, Dmytro Yarosh, vicesegretario del Consiglio Nazionale di Sicurezza e Difesa ucraino e a farsi nominare governatore della regione di Dnipropetrovsk. I due uomini saranno rapidamente allontanati da ogni incarico politico. È il loro gruppo che il presidente Putin ha definito «cricca di neonazisti».
Nel 2017 Blinken fonda WestExec Advisors, società di consulenza di cui fanno parte ex alti funzionari dell’amministrazione Obama e molti Straussiani. L’attività di questa società è estremamente discreta. Utilizza le relazioni politiche degli adepti per fare soldi: ciò che in ogni Stato di diritto sarebbe chiamato corruzione.
GLI STRAUSSIANI SEMPRE UGUALI A LORO STESSI
Con il ritorno di Joe Biden alla Casa Bianca, questa volta come presidente degli Stati Uniti, gli Straussiani governano l’insieme del sistema. Sullivan è consigliere nazionale per la Sicurezza, Blinken è segretario di Stato e al suo fianco c’è Victoria Nuland. Come ho riferito nei precedenti articoli, a ottobre 2021 Nuland si reca a Mosca e minaccia di schiacciare l’economia della Russia se questa non si mette in riga. È l’inizio dell’attuale crisi.
A Kiev la sottosegretaria di Stato Nuland tira fuori di nuovo Dmitro Yarosh e lo impone al presidente Zelensky, ex attore televisivo protetto da Ihor Kolomoïsky, che il 2 novembre 2021 lo nomina consigliere speciale del capo delle forze armate, generale Valerii Zaluzhnyi. Quest’ultimo, autentico democratico, inizialmente si oppone, alla fine accetta. Interrogato dalla stampa sulla sorprendente coppia che forma con Yarosh, Zaluzhnyi si rifiuta di rispondere e allude a un problema di sicurezza nazionale. Yarosh offre tutta la sua collaborazione al “führer bianco”, colonnello Andrey Biletsky, e al suo Battaglione Azov. Dall’estate 2021 questa copia della divisione SS Das Reich è inquadrata da ex mercenari statunitensi di Blackwater [13].
Questa lunga digressione, servita a connotare gli Straussiani, ci costringe ad ammettere che l’aspirazione della Russia è comprensibile, perfino auspicabile. Sbarazzare il mondo dagli Straussiani significherebbe rendere giustizia agli oltre milione di morti che hanno causato e salvare quelli che s’apprestano ad ammazzare. Resta da vedere se l’intervento militare in Ucraina è il mezzo appropriato.
In ogni caso, se la responsabilità degli avvenimenti in corso cade sugli Straussiani, anche tutti coloro che li hanno lasciati agire senza intervenire ne portano la responsabilità. A cominciare da Germania e Francia, che sette anni fa firmarono gli Accordi di Minsk e non hanno fatto nulla per farli rispettare; in secondo luogo la cinquantina di Stati che, sebbene firmatari delle dichiarazioni dell’OSCE che vietano l’estensione della Nato a est della linea Oder–Neisse, non hanno fatto nulla. Solo Israele, che si è sbarazzata dei sionisti revisionisti, ha espresso una posizione non categorica sugli avvenimenti.
Ecco una lezione da trarre da questa crisi: i popoli di Paesi retti democraticamente sono responsabili delle decisioni prese da chi li governa e mantenute a lungo, anche dopo alternanze di potere.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article215878.html
BELPAESE DA SALVARE
Green pass, Sileri: nessun obbligo per i rifugiati ucraini
LA SPEREQUAZIONE DELLA DISTRIBUZIONE REDDITUALE A DANNO DELLA CLASSE MEDIA
Negli ultimi trent’anni, a partire soprattutto dagli anni Novanta, è aumentata in modo progressivo la disuguaglianza nella distribuzione del reddito degli italiani. Questo è quanto si evince dall’analisi condotta da molti anni da parte della Banca d’Italia riguardo alla distribuzione del reddito basata principalmente sull’indagine riguardo ai bilanci delle famiglie italiane. I risultati ineriscono alla distribuzione del reddito complessivo, ovvero sia da lavoro dipendente, sia da lavoro autonomo e sia da capitale, al netto delle tasse pagate al settore pubblico e dei trasferimenti da esso ricevuto, come pensioni e assistenza sociale. Per effettuare questa analisi la Banca d’Italia si è basata sull’indice Gini, ossia quella misura della distribuzione del reddito pari a 0 quando il reddito complessivo è distribuito in modo uguale tra le unità della popolazione e pari a 1 quando è concentrato in una singola unità.
L’indice succitato è aumentato in modo significativo tra il 1991 e il 1995 e ciò è stato dovuto soprattutto alla crisi valutaria avvenuta agli inizi degli anno ‘90. Infatti, in quel periodo, il reddito medio italiano, al netto delle tasse e dei trasferimenti, iniziò a declinare del 5 per cento, con un distinguo rilevante da palesare, ossia che le famiglie con un benessere più elevato, corrispondente al 20 per cento più alto della distribuzione non furono impoverite da questa crisi, mentre ci fu una significativa diminuzione di reddito dell’11 per cento per le famiglie con reddito più basso, questa aumento delle disuguaglianze ha vanificato la tendenza verificatasi durante gli anni Sessanta verso la riduzione delle stesse. La stessa Ocse, secondo degli studi effettuati al riguardo, conferma che la disuguaglianza del reddito sarebbe aumentata soprattutto per i redditi dei non pensionati rispetto a coloro che sono pensionati. Invece, secondo il World Inequality Lab la disuguaglianza del reddito avrebbe raggiunto i massimi livelli nel 2018-2019, rispetto agli ultimi quarant’anni.
Mentre, secondo quanto riporta la World Bank, la quota corrispondente al 10 per cento delle famiglie con un reddito più elevato avrebbe oscillato tra il 25 e il 27 per cento dal 1995 al 2017, scendendo fino al 2017, per poi risalire successivamente, crescendo in modo significativo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta. Tutta questa sperequazione reddituale, ovviamente, si è incrementata in modo esponenziale durante la pandemia del Covid-19, dove coloro che posseggono un reddito più alto hanno aumentato il loro livello economico in rapporto a coloro che detengono redditi più bassi, intensificando quel processo iniziato negli anni Novanta di distruzione progressiva della classe media, con l’aumento di ricchezza per le classi reddituali più alte e l’aumento del numero di coloro appartenenti alle classi reddituali più basse, sempre più in difficoltà economica.
Dall’analisi approfondita della storia economica della Repubblica italiana, emerge maggiormente il dato inconfutabile del progressivo declino del ceto medio e del suo impoverimento negli anni, a causa di politiche economiche penalizzanti per tutto il settore delle piccole e medie imprese, che grazie anche alle limitazioni per i loro reinvestimenti aziendali, causate dall’oppressione tributaria e dalla mancanza di politiche per ridurre il famoso cuneo fiscale, ossia la tassazione sul costo del lavoro, non solo ha indotto numerose aziende e detentori di partite Iva a chiudere la propria attività, ma ha anche determinato un aumento esponenziale della disoccupazione e degli inoccupati, ossia coloro che non cercano più lavoro a causa della mancanza di offerta.
Quisquis habet nummos secura navigat aura (Petronio).
FONTE: http://www.opinione.it/economia/2022/03/03/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_banca-d-italia-indice-gini-ocse-world-inequality-lab-world-bank-covid-19/
Contratto a tempo determinato
Pubblicato il 3 marzo 2022
Popolo:oh cavolo siamo messi male..abbiamo bisogno di qualcuno che sappia come risollevarci!
Draghi:..io..io..vengo io,sò fa tutto..sono il migliore..con me vu potete sta tranquilli.
Risultato: prezzi aumentati,bollette alle stelle,italiani che smadonnano,ditte che falliscono,debiti che salgono,introduzione dei “puzzle in bianco e nero dai pezzi mancanti”,obbligo dell inoculazione,transizione digitale,transizione ecologica, –> guerra(🤷♂️)invio di armi,distacco dalla russia—>e il gas??🤦♂️
Scusi signor Draghi..lei è licenziato!
FONTE: https://sfero.me/article/contratto-a-tempo-determinato
In Italia è una colpa non solo essere un russo vivente, ma anche russo morto
“Sono arrivato a casa e ho aperto il pc e ho visto una mail che arrivava dalla Bicocca. Diceva ‘Caro professore, stamattina il prorettore alla didattica mi ha comunicato la decisione presa con la rettrice di rimandare il percorso su Dostoevskij. Lo scopo è quello di evitare ogni forma dì polemica soprattutto interna in quanto momento di forte tensione'”, annuncia Nori in una diretta video su Instagram.
“L’Università di Milano-Bicocca è un ateneo aperto al dialogo e all’ascolto anche in questo periodo molto difficile che ci vede sgomenti di fronte all’escalation del conflitto. Il corso dello scrittore Paolo Nori si inserisce all’interno dei percorsi Between writing, percorsi rivolti a studenti e alla cittadinanza che mirano a sviluppare competenze trasversali attraverso forme di scrittura. L’ateneo conferma che tale corso si terrà nei giorni stabiliti e tratterà i contenuti già concordati con lo scrittore. Inoltre, la rettrice dell’Ateneo incontrerà Paolo Nori la prossima settimana per un momento di riflessione”.
CONFLITTI GEOPOLITICI
Conflitto in Ucraina: la situazione attuale in 32 punti
di Roberto Buffagni 28 02 2022
Riassumo con la massima brevità il decorso degli eventi passati e propongo una ipotesi interpretativa degli eventi futuri.
1. Causa profonda della guerra è la decisione strategica USA di espandere a Est la NATO. L’espansione inizia con l’Amministrazione Clinton, dopo il crollo dell’URSS. George Kennan, Henry Kissinger, John Mearsheimer – per citare soltanto le maggiori personalità USA nel campo delle relazioni internazionali– la ritengono un errore di prima grandezza, foriero di gravi conseguenze.
2. Il Summit NATO di Bucarest 2008 dichiara che Georgia e Ucraina entreranno nella NATO. Francia e Germania sono contrarie ma cedono alla pressione americana. Ne risulta un compromesso: non viene specificata la data dell’ingresso.
3. La Russia chiarisce immediatamente che l’ingresso di Georgia e Ucraina nella NATO è inaccettabile. La ragione di fondo è che Georgia e Ucraina nella NATO diventerebbero bastioni militari occidentali alla frontiera russa. Immediatamente dopo il Summit di Bucarest la Russia invade la Georgia per impedire che entri nella NATO. Non è in grado né politicamente né militarmente di fare lo stesso con l’Ucraina.
4. Nel 2014 gli USA orchestrano un colpo di Stato in Ucraina e vi insediano un governo a loro gradito che inserisce in Costituzione la volontà di associarsi alla NATO.
5. Nel 2021 gli Stati Uniti e i paesi UE iniziano ad armare seriamente le FFAA ucraine.
6. A fine 2021 la Russia apre una trattativa diplomatica con gli Stati Uniti. Il punto chiave della proposta russa è la firma di un trattato a garanzia che l’Ucraina non entrerà nella NATO. Contro il costume diplomatico, la Russia rende pubblica la bozza di trattato.
7. Gli Stati Uniti si rifiutano di garantire per iscritto che l’Ucraina non entrerà nella NATO, perché facendolo rinuncerebbero al ruolo di decisore “superiorem non recognoscens” dell’ordine internazionale unipolare, che rivestono da dopo il crollo dell’URSS. Chiariscono immediatamente che NON interverranno militarmente a difesa dell’Ucraina in caso di attacco russo. Una grande potenza nucleare affronta sul campo un’altra grande potenza nucleare solo quando la posta in gioco è un interesse vitale di entrambe. L’Ucraina è un interesse vitale russo, NON è un interesse vitale USA.
8. Alla conferenza di Monaco, il capo del governo ucraino annuncia che l’Ucraina medita di acquisire armi atomiche tattiche. Le armi atomiche tattiche più piccole possono cancellare dalla faccia della terra una divisione corazzata.
9. Forse a causa di questo annuncio, la Russia accelera i tempi. Riconosce le Repubbliche del Donbass, invade l’Ucraina. Conduce la guerra nelle modalità più adeguate a risparmiare la vita dei civili, in vista di una riconciliazione/stabilizzazione dell’Ucraina. L’obiettivo strategico russo NON prevede la conquista totale o parziale del paese, ma la sua neutralizzazione, il riconoscimento delle Repubbliche del Donbass e della Crimea, la smilitarizzazione dell’Ucraina.
10. Gli USA – più precisamente, l’establishment che ne dirige la politica estera, che è in grado di influenzare pesantemente qualsiasi Amministrazione – decidono di attuare una strategia bellica indiretta, con l’obiettivo di provocare il “regime change” in Russia, e utilizzano come strumento politico i paesi UE, che assumono il ruolo di “NATO politico-economica”.
11. Vengono decise dagli USA e dai paesi UE importanti sanzioni economiche alla Russia, compreso il congelamento ossia il sequestro degli attivi della Banca Nazionale russa detenuti in paesi occidentali (un atto di guerra).
12. Vengono altresì decise dai paesi UE draconiane misure che anch’esse risultano in veri e propri atti di guerra: finanziamento UE e invio in Ucraina di sistemi d’arma, non solo difensivi ma offensivi (aerei da combattimento). La distinzione tra sistemi d’arma offensivi e difensivi, che sul campo di battaglia non ha valore alcuno, è invece legalmente rilevante. L’invio di sistemi d’arma difensivi a un paese in guerra non costituisce un atto di guerra contro il suo nemico, l’invio di sistemi d’arma offensivi sì.
13. Svezia e Finlandia, paesi neutrali confinanti con la Russia, annunciano di prendere in considerazione il proprio ingresso nella NATO.
14. La Germania annuncia un vasto programma di riarmo.
15. L’invio di sistemi d’arma all’Ucraina non cambia l’esito del conflitto in Ucraina, perché non muta i rapporti di forza tra i contendenti, fortemente sbilanciati a favore della Russia. È una provocazione rivolta alla Russia. La sfida a reagire ad atti di guerra veri e propri, sapendo che una reazione militare russa contro i paesi UE, che sono anche paesi NATO, causerebbe un conflitto aperto NATO-Russia. L’intento della provocazione è dimostrare l’impotenza russa: “Hai morso un boccone troppo grosso per te”, e così destabilizzare il governo della Federazione russa.
16. Il governo russo eleva l’allerta nucleare. Si tratta di un caso di “to escalate for de-escalation”. Con l’escalation, si manda un messaggio all’avversario: “Sappiate che siamo disposti ad arrivare fino in fondo, conflitto nucleare compreso. De-escalate o ne subirete le conseguenze”.
17. Sono annunciati per stamattina i primi colloqui tra rappresentanti del governo ucraino e del governo russo.
18. L’operazione “regime change” in Russia fa leva su tutte le faglie di conflitto presenti in Russia, anzitutto sui nazionalismi degli Stati che compongono la Federazione. Lo scenario previsto dai pianificatori è analogo a quello già attuato nella ex-Jugoslavia: guerra civile, frammentazione della Federazione russa, implosione dello Stato federale, nuovi governi diretti da personale politico gradito all’Occidente, e il Presidente federale russo V. Putin, già descritto dai media occidentali come gangster mentalmente squilibrato, come il Presidente jugoslavo Milosevic imputato davanti al Tribunale internazionale dell’Aja.
19. Da quanto precede risulta molto chiaro che la Russia NON può fare marcia indietro. Se lo fa, il governo si destabilizza e si innesca la seconda fase dell’operazione “regime change”: rivoluzioni colorate negli Stati componenti la Federazione russa. Inoltre, l’Ucraina è l’ultima linea di difesa militare e politica della Federazione russa, che ha le spalle al muro e difende la sua sopravvivenza.
20. Ricordo che per evitare la presente, pericolosissima situazione, bastava una di queste due cose: a) garantire per iscritto che l’Ucraina non avrebbe aderito alla NATO b) che un solo paese UE proponesse, prima dell’inizio delle ostilità, una revisione del sistema di sicurezza europeo che tenesse conto degli interessi russi, orientata alla neutralizzazione dell’Ucraina.
21. Prevedo che i colloqui tra Ucraina e Russia non sortiranno risultati. Il governo ucraino è guidato dagli USA. È interesse USA, in vista dell’operazione “regime change”, guadagnare tempo e far salire la pressione sul governo russo.
22. Il presente atteggiamento dei paesi UE non è nell’interesse di alcuno dei paesi europei, compresi i paesi confinanti con la Russia. Infatti, la Russia NON ha intenzione di espandersi, né in Ucraina, né altrove (non ne ha la capacità politico-militare). La Russia sta difendendo la sua integrità politica e la sua sopravvivenza come Stato unitario.
23. Il presente atteggiamento dei paesi UE mette a grave rischio tutti i paesi europei. Esso è dettato dagli USA, che così possono fare una politica “short of war” contro la Russia a costo zero. Il costo, economico e politico, lo pagano i popoli europei.
24. Il presente atteggiamento dei paesi UE fa sospettare che i loro dirigenti non si rendano conto della gravità degli atti che stanno compiendo, né delle loro possibili conseguenze.
25. Ripeto infatti che la Russia NON può fare marcia indietro, e che i suoi obiettivi non sono espansionistici o imperialistici, ma strettamente difensivi. La Russia li ritiene interessi vitali, che è necessario garantirsi per sopravvivere.
26. La Russia è una grande potenza nucleare. Nessuno al mondo tranne Dio o il senno di poi sa quali conseguenze potrebbe avere un eventuale successo dell’operazione “regime change” in Russia, perché nessuno può sapere a chi andrebbe il controllo dell’arsenale nucleare russo, o di porzioni di esso, più che sufficienti a provocare distruzioni catastrofiche.
27. Inoltre, un conclusivo fallimento dell’operazione “regime change” seguente a un suo parziale, temporaneo successo, potrebbe favorire comportamenti disperati e irrazionali della direzione politica russa, che, lo ricordo ancora, sente di stare lottando per la sopravvivenza della Russia.
28. La decisione tedesca di riarmare, e di inviare in Ucraina armi che uccideranno soldati russi, unita alla presenza in Ucraina di formazioni che si richiamano al nazional-socialismo, non può non richiamare alla mente dei russi quanto è accaduto nella IIGM, quando i tedeschi uccisero 22 MLN di civili russi, e una parte degli ucraini si schierò contro l’URSS al fianco dei nazisti. I russi chiamano la IIGM “Grande Guerra Patriottica”, ne celebrano solennemente il ricordo, si riuniscono intorno ad esso. Patriottismo e nazionalismo sono una forza molto potente, in Russia. Le emozioni che essi suscitano quando si ritenga in pericolo la sopravvivenza della nazione possono travolgere la razionalità.
29. Molto importante: d’ora in poi, è assolutamente necessario prendere alla lettera, e credere dalla prima parola all’ultima, i moniti e le minacce ufficiali rivolti all’Occidente dalla dirigenza russa. Il centro direttivo politico russo, infatti, non solo non ha alcuna ragione di mentire o di minacciare a vuoto, ma ha l’assoluta necessità di essere chiaro, sincero e coerente nelle proprie dichiarazioni ufficiali rivolte all’occidente. È infatti questo l’unico strumento a sua disposizione per controllare razionalmente il decorso degli eventi, ed evitare che essi sfuggano di mano e precipitino nella catastrofe. Pensare che la direzione russa stia bluffando è la ricetta per il disastro.
30. È molto importante, per chi condividesse questa lettura degli eventi, far giungere, come può, ai parlamentari italiani, il proprio preoccupato dissenso per l’atteggiamento del nostro governo e della UE. Si rammenti che solo il Parlamento può decidere legittimamente atti di guerra, e che l’art. 11 della Costituzione italiana “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Questa in corso è una controversia internazionale, che può comporsi rapidamente garantendo la neutralità ucraina.
31. Per concludere, ricordiamo che un atteggiamento aggressivo e intransigente, e, peggio, la collaborazione all’operazione “regime change” in Russia, può gettare nel baratro l’Ucraina. L’esito militare del conflitto, stanti le forze in campo e l’impossibilità russa di fare marcia indietro, è predeterminato. L’unico effetto reale dell’aggressività intransigente potrebbe essere un aumento della pressione militare russa, al fine di concludere rapidamente le operazioni. Questo implicherebbe l’adozione di uno stile bellico molto più violento, e un aumento vertiginoso di caduti civili. Se poi gli eventi sfuggissero di mano, e dessero luogo a uno scontro diretto NATO-Russia, un atteggiamento aggressivo e intransigente potrebbe gettare nel baratro anche le nazioni europee.
32. Molte persone assistono allo svolgersi di questa vicenda come se fosse una serie TV. Non è una serie TV, è la realtà. Non siamo a Disneyland, non siamo nel Paese delle Meraviglie. Non siamo bambini: non è vero che Papà USA, che è tanto forte e tanto giusto, ci protegge e saprà far sì che tutto finisca nel migliore dei modi. Cerchiamo di essere adulti responsabili. Risolta questa crisi, discuteremo di nuovo dei valori, dei modelli di società, delle ragioni e dei torti: che sono molto importanti. Però, prima di discutere dei valori e dei modelli di società bisogna saper vivere, e sopravvivere.
FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-conflitto_in_ucraina_la_situazione_attuale_in_32_punti/45289_45358/
ANALISI SULL’ANDAMENTO DELLA PRIMA SETTIMANA DI GUERRA IN UCRAINA
Il 24 di febbraio del 2022, alle ore 4.00 di notte in Italia, con un messaggio pre-registrato e diretto sia alla nazione che al resto del mondo, il presidente della Federazione Russa, Vladimir Vladimirovich Putin ha annunciato l’inizio di una massiccia “operazione militare speciale” contro lo stato ucraino a sostegno delle neo-riconosciute Repubblica Popolare di Donetsk e Repubblica Popolare di Lugansk. Il mondo intero ha ben presto scoperto che, sotto le mentite spoglie della “Operazione Militare Speciale” sbandierata dall’inquilino del Cremlino, si celava altresì l’invasione totale in grande stile dell’Ucraina.
Oggi, essendo ormai passata un’intera settimana dall’inizio delle ostilità, ed essendosi in parte diradata la “nebbia di guerra” che inevitabilmente regna suprema all’inizio di ogni conflitto, è possibile fare una prima analisi a 360 gradi della situazione sia sul terreno che nel suo contesto più ampio toccando tutti i punti più importanti e cercando di fare delle previsioni su come le cose possano evolvere fino alla loro conclusione. Ovviamente tali giudizi devono essere necessariamente “temperati” sia da quella che, in certi casi, è la scarsità di informazioni, sia da quella che potremmo definire “povertà di attenzione” da parte dei principali fornitori di notizie che, per una ragione o per l’altra, non riescono, non possono o non vogliono fornire tutti i dati necessari affinché il pubblico possa apprezzare il cosiddetto “sguardo d’insieme”.
Partiamo ora doverosamente ad analizzare il più importante dei “piani” sui quali si sta sviluppando questo evento storico: quello strettamente militare e delle operazioni sul campo.
L’invasione russa dell’Ucraina è scattata, congiuntamente alla messa in onda del discorso di Putin, con un bombardamento massiccio da parte sia delle forze missilistiche che aeree russe di tutto il territorio ucraino, dall’estremo est fino all’estremo ovest del paese. Secondo i dati forniti dal Ministero della Difesa della Federazione Russa, sono stati bombardati in quella prima ondata oltre 1150 obiettivi di diversa entità e importanza che vanno dalle basi aeree, alle basi navali, alle principali industrie facenti parte del complesso militare-industriale del paese e una miriade di altri siti di tutti i tipi.
Il bombardamento iniziale ha visto l’impiego, tra gli altri, di non meno di 150 missili balistici tattici del tipo 9K720 Iskander e OTR-21 Tochka (questi ultimi riattivati per l’occasione dagli ampi stock della riserva) mentre non trovano al momento conferma le voci sull’utilizzo degli R-11/R-17/R-300 Elbrus (meglio noti al grande pubblico come “Scud”). Le Forze Armate russe hanno utilizzato un grande numero di missili da crociera di tutti i tipi e versioni, lanciati dai velivoli delle Forze Aeree, dalla navi di superficie e dai sottomarini della Marina nonché dalle batterie terrestri delle Forze di Terra.
Tra le piattaforme aeree che hanno dato il maggior contributo nel corso di questo bombardamento iniziale vanno annoverati i 138 velivoli della Forza da Bombardamento Strategico della Russia (55 Tupolev Tu-95, 66 Tupolev Tu-22M e 17 Tupolev Tu-160) ognuno in grado di trasportare una pluralità di missili da crociera. Da evidenze risultanti da numerosi video postati da utenti originari dei luoghi del confronto militare, un ruolo di assoluta importanza lo hanno svolto, come già nel corso della Guerra Civile Siriana, varie tipologie di missili facenti parte della famiglia dei 3M-54 Kalibr (che, bisogna ricordarlo, è una “denominazione ombrello” che copre un’ampia gamma di missili), ma non sono stati affatto gli unici, come già descritto con dovizia di particolari nell’analisi intitolata “Sciame di Fuoco” che invito a rileggere. Come detto nell’analisi medesima, i russi hanno inoltre attaccato massicciamente le batterie missilistiche per la difesa aerea ucraine sia sotto il controllo delle Forze di Terra che sotto il controllo delle Forze Aeree al fine di raggiungere il pieno dominio dell’aria. L’offensiva missilistica ed aerea russa però, contrariamente alle dottrine di guerra dei paesi occidentali, ha coinciso in tutto e per tutto con l’inizio del conflitto di terra così come sui mari.
Ad impressionare maggiormente gli osservatori internazionali è stata la velocità con la quale i russi hanno proceduto almeno nelle prime ore dell’attacco. La lunga lista di obiettivi colpiti, così come il tempismo del movimento delle colonne corazzate e meccanizzate nel territorio dell’Ucraina fanno supporre un’eccellente preparazione a livello dell’intelligence che ha fornito ai vertici militari e politici una corretta rappresentazione del posizionamento degli obiettivi così come la dislocazione delle unità ucraine.
Come è noto, le più importanti agenzie di intelligence della Russia (il servizio segreto domestico, FSB, quello estero, SVR, e quello militare GU/GRU) hanno tutti incrementato esponenzialmente la loro presenza nel territorio dell’Ucraina a partire dagli eventi del 2014 ed è logico aspettarsi che la rapidità con la quale i russi hanno colpito gli ucraini in tutti i fronti sia in gran parte attribuibile ad un metodico “lavoro di preparazione nell’ombra” durato per molto tempo.
Dovendo valutare nel complesso le prestazioni ed i risultati ottenuti dai russi sul fronte aereo e missilistico possiamo dire che sono stati eccellenti.
Come correttamente anticipato nell’analisi “Sciame di Fuoco”, l’infrastruttura logistica di sostegno alle Forze Armate Ucraine è stata completamente devastata così come il sistema di difesa antiaerea il quale è stato in gran parte demolito nel corso della prima notte di operazioni nonostante avesse a disposizione un gran numero di batterie missilistiche e di radar di scoperta. Sì è pertanto verificato correttamente lo scenario paventato nella sopra citata analisi di un sistema antiaereo ricco di mezzi ma purtroppo non integrato in una IADS coerente e che non ha saputo agire all’unisono contro l’offensiva aerea e missilistica del nemico. Parallelamente anche la Forza Aerea Ucraina ha sofferto terribilmente a causa dell’attacco nemico nonostante gli ucraini avessero preventivamente disperso una parte dei loro assets in numerosi aeroporti secondari e persino su piste in terra battuta situate ai margini delle foreste dell’Ucraina occidentale.
Dopo sette giorni dall’inizio delle operazioni aeree, i velivoli di Kiev possono portare a compimento solamente attacchi mordi-e-fuggi compiuti da uno o due velivoli alla volta la cui capacità di sopravvivenza, per altro, diminuisce sempre più di giorno in giorno. Mentre i russi, ormai padroni dei cieli, possono far operare i loro velivoli a tutte le altitudini, in base al tipo di missioni che devono compiere (caccia libera, copertura, bombardamento, interdizione sul campo di battaglia, supporto tattico, ecc…) i velivoli ucraini ormai operano esclusivamente a volo radente per evitare di essere intercettati dai russi, ma così facendo, ogni qual volta tentano di attaccare le colonne corazzate e meccanizzate russe, lo devono fare letteralmente attraversando “tunnel” di missili e proiettili traccianti dell’antiaerea convenzionale che accompagna gli elementi corazzati di punta.
Tale tattica è già costata agli ucraini un numero inaccettabile dei loro velivoli e piloti superstiti senza per altro ottenere grandi risultati. I “colpi” migliori, da questo punto di vista, li hanno inflitti gli aerei da supporto tattico Sukhoi Su-25 e gli UAV armati Baykar Bayraktar TB2 che, pur infliggenti danni ai russi, non sono stati e non saranno in grado di fermare l’avanzata dei nemici. È vero che nell’ambito delle discussioni in sede europea relative alle forniture militari d’emergenza che la UE dovrebbe inviare all’Ucraina, vi è la possibilità di mettere a disposizione aerei che sono oggi in servizio oppure sono in magazzino, con le aeronautiche dei paesi dell’ex-Patto di Varsavia e oggi membri della NATO.
Più in dettaglio si parla di 44 Mig-29A/UB in servizio ed in magazzino in possesso delle Forze Aeree Polacche, 21 Mig-29AS/UBS in servizio ed in magazzino presso le Forze Aeree Slovacche, 19 Mig-29A/UB e 23 Su-25 in servizio ed in magazzino appartenenti alla Forza Aerea Bulgara, 28 Mig-29A/UB in magazzino appartenenti alle Forze Aeree Ungheresi, 21 Mig-29A/UB/S immagazzinati dalle Forze Aeree Romene e 25 Su-25K/UBK immagazzinati dalle Forze Aeree Ceche. È vero che, sulla carta, si tratterebbe della fornitura potenziale di ben 181 velivoli da combattimenti, tuttavia prima di farsi prendere dal facile entusiasmo è necessario ricordare che gli aerei immagazzinati da anni necessitano di lunghi e completi cicli di revisione prima di poter tornare a volare, mentre quelli che ancora volano sono logori dopo decenni di operazioni e voli d’addestramento.
Infine, la strumentazione elettronica e gli apparati IFF (Identification Friend or Foe) dei velivoli precedentemente o attualmente in servizio nelle aeronautiche dei paesi sopra citati non sono minimamente compatibili con le strumentazioni in servizio con la Forza Aerea Ucraina, perciò il loro utilizzo con letteralmente zero preparazione porterebbe solamente a danni e farebbe ulteriormente lievitare le già gravi perdite. Ecco perché l’autore delle presente analisi ritiene che la suddetta proposta di fornire velivoli ex-Patto di Varsavia all’Ucraina in definitiva non porterà a nulla. Sicuramente i velivoli e i piloti superstiti della Forza Aerea Ucraina continueranno a servire e combattere, distinguendosi e sfruttando ogni occasione per infliggere danni alle forze dell’invasore, ma con il passare dei giorni combatteranno fino alla progressiva “estinzione”.
Quanto fin qui affermato non significa però che gli aerei e gli elicotteri russi possano operare “impunemente” sopra i cieli dell’Ucraina, dovendosi comunque occasionalmente difendere dalle sortite dei velivoli e delle batterie missilistiche superstiti di Kiev, oltre che dalla contraerea convenzionale e dai missili antiaerei a corto raggio trasportabili a spalla (MANPADS), sempre onnipresenti, e che hanno già avuto modo di infliggere diverse lezioni sanguinose ai nemici. Tuttavia è altresì possibile affermare senza ombra di dubbio che, a conti fatti e considerando tutti gli elementi in nostro possesso, la V-VS ha conquistato stabilmente il dominio dei cieli.
Un ultimo elemento che ci fa capire l’importanza che il dominio dell’aria riveste in questa contesa riguarda il fatto che esso va a neutralizzare le forze d’élite dell’Ucraina andando a vantaggio di quelle della Russia. Rimasti infatti privi sia di aerei da trasporto che di elicotteri, sia i paracadutisti delle Forze da Assalto Aereo che gli operatori delle Forze per Operazioni Speciali di Kiev sono oggi costretti a combattere come semplice fanteria d’élite vedendo quindi grandemente ridotte, se non annullate, le possibilità di poter esprimere il proprio valore aggiunto nella guerra convenzionale.
Non così è invece per gli uomini delle VDV, le Forze Paracadutiste della Russia e per i loro colleghi delle Spetsnaz che possono invece raggiungere ogni angolo del territorio ucraino nella quasi totale impunità e diventando un eccellente moltiplicatore di potenza per le strategie russe.
Stesso identico discorso vale per il fronte navale. In previsione all’invasione dell’Ucraina, la Russia aveva concentrato nell’area del Mar Nero la più grande forza navale dal 1991, rinforzando la Flotta del Mar Nero ivi di stanza con altre ulteriori unità provenienti dalla Flotta del Nord, dalla Flotta del Baltico, dalla Flottiglia del Caspio e persino dallo squadrone dell’Oceano Indiano, oltre ovviamente al naviglio leggero messo a disposizione dalla componente navale alle dipendenze delle Guardie di Frontiera del FSB.
Allo scoppio delle ostilità, i russi hanno bombardato intensamente tutte le basi navali ucraine sia nel Mar d’Azov che nel Mar Nero, colando a picco le unità ivi presenti e devastando le infrastrutture. Il canto del cigno della componente navale ucraina è avvenuto il 25 di febbraio quando una forza di 16 unità diretta verso la cosiddetta Isola dei Serpenti occupata il giorno prima dalle forze navali russe è stata affrontata e dispersa da una bordata di missili antinave sparati dall’incrociatore Moskva e dal pattugliatore Vasily Bykov soffendo la perdita di 6-8 vascelli a seconda delle fonti.
Ignoto per il momento il destino della nave ammiraglia della flotta ucraina, la fregata “Hetman Sahaidachny”, ma secondo fonti russe sarebbe stata colata a picco dal suo stesso equipaggio per prevenirne la cattura. La Marina Ucraina ha ancora a propria disposizione alcune batterie di missili antinave tra i quali i Neptune con i quali ingaggiare le navi russe nel caso si avvicinassero troppo alle coste, mentre sembra che i velivoli dell’Aviazione Navale Ucraina siano stati distrutti al suolo nella loro base di Kherson. Anche la conquista del pieno controllo dello spazio navale è di fondamentale importanza per l’andamento delle operazioni belliche perché ciò garantisce la completa sicurezza della penisola della Crimea ed il suo ruolo come trampolino di lancio per le operazioni offensive nel cuore del territorio ucraino così come apre la possibilità di poter realizzare il tanto atteso sbarco anfibio che permetterebbe ai russi di dare l’assalto sia allo strategico porto di Odessa che alla finitima area della “Foce del Danubio”.
Dulcis in fundo, il dominio tanto del mare quanto dell’aria ha anche una valenza strategica perché impedisce agli ucraini di ricevere aiuti militari tramite ponte aereo e navale e permette ai russi di continuare ad utilizzare queste due “dimensioni” per procedere nella loro opera di bombardamento sia strategico che tattico nei confronti del nemico.
In conclusione, dopo la prima settimana di guerra possiamo affermare che la Forza Aerea, la Marina e le Forze di Difesa Aerea dell’Ucraina hanno cessato di esistere come forze organiche da combattimento e la loro resistenza residua è essenzialmente affidata ad elementi isolati.
Sino ad oggi, l’unica risposta a livello substrategico che le Forze Armate Ucraine sono riuscite a mettere a segno per controbilanciare lo strapotere russo è stata il bombardamento, mediante missili OTR-21 Tochka, della base aerea di Millerovo, situata a circa 80 chilometri da Lugansk che ha causato la distruzione di 1 o 2 velivoli Sukhoi Su-30 a seconda delle fonti. Più complessa si sta rivelando la situazione della contesa terrestre divisa sostanzialmente in quattro fronti.
Il “Primo Fronte”, quello che in realtà ha dato origine al conflitto, è il fronte del Donbass che, nel silenzio assordante della stampa mondiale sta vedendo i combattimenti più accaniti tra gli opposti schieramenti.
Alla vigilia dello scoppio della guerra si fronteggiavano su questo teatro 125.000 soldati ucraini (pari al 50% delle Forze Armate del paese) e 55.000 uomini delle Forze Armate Unificate delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk (anche dette “Forze Unificate della Novorossiya”) supportati da due corpi d’armata russi con altri 20.000 uomini. Nei giorni precedenti lo scoppio delle ostilità vere e proprie, a seguito dell’ordine di mobilitazione generale dell’intera popolazione maschile delle due repubbliche separatiste, le “Forze Unificate della Novorossiya” hanno visto gonfiare a dismisura i loro ranghi composti in larga parte da veterani del conflitto degli ultimi 8 anni. Dall’altra parte, i 125.000 uomini della Forze Armate Ucraine già presenti nel teatro, sono stati rinforzati nelle settimane precedenti allo scoppio delle ostilità da ben 225.000 riservisti, portando il totale delle forze di Kiev presenti nell’area alla ragguardevole cifra di 350.000 uomini.
Già nell’arco temporale compreso tra il 21 ed il 23 di febbraio, le forze sopra citate presenti nell’area del Donbass avevano iniziato ad ingaggiare i soldati ucraini posizionati lungo la “Linea di Contatto” (anche chiamata “Linea Zelensky”) al riparo delle loro munitissime opere difensive. Molto si è parlato negli ultimi giorni, dello schieramento in Ucraina da parte di Mosca di sistemi per il combattimento urbano e antibunker come i TOS-1 “Buratino” e varie altre tipologie di veicoli del genio ma, guardando attentamente i filmati provenienti da quell’area di guerra, si vede che già prima dell’inizio delle ostilità i russi ed i “donbassiani” avevano già concentrato un gran numero di tali mezzi, ad indicazione del fatto che si aspettavano l’inizio di una battaglia stile “Linea Sigfrido”. È così infatti è stato dall’inizio delle ostilità fino ad oggi, con gli ucraini che hanno tenuto la loro massiccia linea difensiva nonostante la pressione montante sia da terra che dall’aria e le forze congiunte russo-donbassiane che hanno continuato ad attaccare forti sia dell’esperienza che della superiorità in potenza di fuoco.
Solo a partire dal 28 di febbraio le linee ucraine nell’area del Donbass hanno cominciato a cedere nelle aree di Severodonetsk, Lysychansk, Novoaidar, Shchastia, Stanitsa Luganska, Volnovakha e Mariupol, ma non bisogna dimenticare che uno rapido sfondamento in quell’area non era mai stato preso in considerazione dagli strateghi di Mosca che, infatti, avevano pensato sin da subito di utilizzare la “battaglia della linea del Donbass” come una sorta di “battaglia d’arresto” per attirare in loco forze vitali che Kiev avrebbe potuto impiegare invece in maniera più proficua altrove, ed infatti gli eventi stanno oggi cominciando a dare ragione alla strategia dell’Alto Comando Russo, ma per poterlo apprezzare, bisogna vedere quanto sta avvenendo altrove.
Il “Secondo Fronte” della Guerra Russo-Ucraina è quello meridionale. Qui sin dall’inizio delle operazioni, i russi hanno lanciato all’attacco una forza meccanizzata di 12-17.000 uomini comprendente, tra gli altri, elementi della Fanteria di Marina subordinati alla Flotta del Mar Nero ed alla Flottiglia del Caspio.
Contrariamente a quanto affermato da numerosi mezzi di stampa, né lungo la cosa del Mare di Azov né lungo quella occidentale del Mar Nero è avvenuto finora alcuno sbarco anfibio “stile Seconda Guerra Mondiale” e le uniche unità russe infiltratesi per via navale o elitrasportate nel teatro delle operazioni sono state quelle delle Spetsnaz, sulle quali però non sono al momento disponibili dettagli esaustivi. La presenza di un terreno favorevole e l’intenso sostegno ricevuto dai velivoli sia ad ala fissa che ad ala rotante ha fatto sì che i russi siano riusciti ad avanzare speditamente in cinque direzioni:
-verso nord-ovest, in direzione di Nova Kakhovka, Kherson e Nikolayev;
-verso nord, in direzione di Energodar e della sua centrale nucleare;
-verso nord-nord-est, in direzione di Tokmak e Zaporozhye;
-verso nord-est, in direzione del Donbass;
-verso est in direzione di Melitopol, Berdiansk e Mariupol.
L’avanzata russa non è stata una “marcia trionfale”, tuttavia gli armati di Mosca sono riusciti ad ottenere risultati eccellenti in rapporto alle forze impiegate. Gli sviluppi nella zona meridionale devono essere tenuti attentamente sotto osservazione perché se l’avanzata verso nord-ovest, una volta superata la resistenza di Kherson e Nikolayev punterà prevedibilmente su Odessa, togliendo all’Ucraina qualsiasi sbocco al mare e permettendo alle forze russe di congiungersi a quelle della Transnistria, l’avanzata verso nord-est in direzione del Donbass minaccia di tagliare qualsiasi via di ritirata ai 350.000 uomini di Kiev che ancora difendono con le unghie e con i denti la “Linea Zelensky”.
Fino ad ora non sono avvenuti episodi di sbandamento tra le file ucraine ma non è detto che le cose non possano virare verso lo scenario peggiore nel caso l’offensiva delle truppe russe del fronte sud continui ad avanzare verso nord-est e venga appoggiata da un analogo sfondamento nella zona di Kharkhov.
Contrariamente a quello che direbbero i “generali da tavolo”, gli alti ufficiali ucraini hanno fatto benissimo fino ad ora ad ordinare alle loro truppe di tenere le linee del Donbass perché una ritirata tattica in presenza di una pressione operata dai russo-donbassiani e sotto la minaccia costante dell’artiglieria e, soprattutto dell’aviazione russa, avrebbe potuto trasformare tale ritirata in una rotta completa, senza contare il fatto che, molto probabilmente, le Forze Armate Ucraine non hanno a disposizione un numero sufficiente di mezzi meccanizzati e motorizzati per riuscire a ritirare tempestivamente 350.000 uomini. Il problema è che, più passano i giorni, più il pericolo che la “Linea Zelensky” si trasformi in una micidiale trappola per i suoi difensori diventa reale. Il metodico annientamento di una forza di 350.000 riecheggerebbe nella Storia come e quanto quello della 6a Armata della Wehrmacht durante la battaglia di Stalingrado nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Per questa ragione è bene che a Kiev si facciano venire in mente delle idee, e pure in fretta!
Il “Terzo Fronte” della Guerra d’Ucraina è il più vasto ed è quello che sia prima che durante la guerra, fino ad ora ha riservato le sorprese più “interessanti” sia per i russi che per il pubblico internazionale. Esso comprendente tutta l’area dell’Ucraina nord-orientale facente parte degli oblast’ di Kharkhov (la seconda città dell’Ucraina), Sumy e Chernigov. Nelle zone della Russia prospicienti a questa vasta area dell’Ucraina, nei mesi precedenti allo scoppio del conflitto, le Forze Armate della Federazione Russa avevano schierato una imponente forza di 200.000 uomini rincalzati da 100.000 riservisti (il famoso schieramento del quale tutti i mezzi di informazione hanno parlato più e più volte e che tutti abbiamo imparato a memoria). Sembrava che dovesse essere questa la forza destinata a dare il “colpo del K.O.” all’Ucraina tuttavia l’offensiva russa nell’area ha fallito per diversi giorni nel tentativo di acquisire la spinta e la grinta necessaria per portare a compimento la missione assegnata.
Le ragioni di questa umiliante debacle sono state diverse quali: l’incompetenza degli alti ufficiali messi a capo delle truppe del settore, una valutazione completamente errata delle difficoltà logistiche che una tale massa di truppe avrebbe incontrato incanalandosi lungo pochi e ben distanti assi stradali, la gagliarda resistenza offerta dalle forze ucraine presenti nella zona. La scelta di pochi e prevedibili assi di avanzata ha fatto sì che la massa di truppe russe si incolonnasse in “carovane” lunghe chilometri ben identificate dalle foto satellitari ormai ampiamente disponibili sul web e che tutt’oggi intasano il traffico lungo le arterie stradali degli oblast’ russi di Bryansk, Kursk, Belgorod e Voronezh.
Questo stato di cose ha fatto sì che, sino ad oggi solamente 45.000 uomini tra quelli assegnati all’offensiva del “terzo fronte” siano stati effettivamente ingaggiati in combattimenti contro gli ucraini mentre tutti gli altri sono semplicemente “incolonnati” sprecando carburante, lanciando improperi e facendo impazzire i loro ufficiali, già sotto pressione da parte degli Alti Comandi. L’avanzata delle truppe russe in questo settore ha incontrato l’accanita resistenza delle forze sia regolari che irregolari di Kiev le quali, complici anche l’incompetenza e le difficoltà logistiche, hanno inflitto gravi perdite umane e materiali all’avversario. A tal proposito è interessante notare che la gran parte delle immagini e dei video circolanti in Internet e raffiguranti un gran numero di mezzi russi di tutti i tipi distrutti nei combattimenti o semplicemente abbandonati dai loro equipaggi per mancanza di carburante o per guasti meccanici provengano proprio da questo teatro operativo. La resistenza ucraina si è inoltre rivelata assai coriacea e ha sfruttato in maniera eccellente le manchevolezze dell’avversario amplificandole fino al parossismo.
Le forze di Kiev sono riuscite mediante attacchi laterali a “canalizzare” i russi verso le principali città della zona quali: Chernigov, Shostka, Krolevets, Konotop, Sumy, Akhtyrka, Kharkov, Kupiansk e diverse altre dove le hanno ingaggiate in estenuanti combattimenti urbani. Solamente negli ultimi due giorni pare che gli ufficiali russi siano riusciti a riprendere il controllo della situazione (e dei loro uomini) e dopo aver superato la resistenza della città di Konotop hanno lanciato le loro forze all’attacco lungo i due assi costituiti dall’autostrada M02 e dall’autostrada H07. Qualora gli ucraini non riuscissero ad organizzate una resistenza all’altezza delle cittadine di Nezhin e Pryluky, le colonne meccanizzate di punta dovrebbero (il condizionale qui è d’obbligo) infine raggiungere il sobborgo kieviano di Brovary entro i prossimi due giorni, chiudendo in due enormi sacche le forze ucraine impegnate nella difesa dell’oblast’ di Chernigov.
Altrove lungo la linea di combattimento, le forze russe stanno lentamente circondando la città di Sumy ed hanno dato l’assalto alla città di Akhtyrka nelle vicinanze della quale, secondo quanto affermato dalle autorità ucraine, sarebbe stato lanciato un esemplare di ordigno ATBIP (denominata anche FOAB, acronimo che sta per “Padre di Tutte le Bombe”), pesante 7,1 tonnellate ed in grado di sprigionare una potenza equivalente a 44 tonnellate di esplosivo TNT convenzionale ed un’esplosione termobarica caratterizzata da un raggio di 300 metri. Inoltre sono impegnate in un’aspra battaglia per la città di Kharkhov, ma al momento non è chiaro se cercheranno di prenderla oppure di circondarla. Qualora i russi dovessero superare gli ostacoli costituiti da Sumy e Akhtyrka, si dirigerebbero poi allo volta di Poltava e da lì verso Kremenchuk, situata sull’omonimo lago facente parte del corso del Dnepr. Una volta neutralizzata Kharkhov, avanzerebbero invece fino a Dnipropetrovsk e da lì a Zaporozhye, entrambe anche’esse sul Dnepr, congiungendosi in tal modo con l’avanzata del già citato “Secondo Fronte” e portando così alla caduta di tutta l’Ucraina a est e a sud del Dnepr.
L’ultimo fronte di battaglia, e quello che dall’inizio del conflitto fino ad ora ha catturato maggiormente l’immaginario collettivo dei media e del pubblico internazionale è stato però il “Quarto Fronte”. Nel corso delle primissime ore del conflitto, mentre gli aerei con la stella rossa colpivano una miriade di obiettivi posti attorno alla capitale, le forze russe entravano in Ucraina da nord attraversando la cosiddetta “Zona di Esclusione Totale” situata a cavallo tra l’Ucraina e la Bielorussia tutt’attorno all’ex-centrale nucleare di Chernobyl e un’unità aviotrasportata russa, probabilmente composta da una forza mista di paracadutisti e spetsnaz, di entità ignota veniva trasportata da una forza di 34 elicotteri direttamente sulle piste dell’aeroporto di Gostomel, controllato dal colosso del comparto aeronautico Antonov al fine di farne una base di lancio avanzata per l’assalto su Kiev.
L’azione improvvisa degli incursori russi, così come l’attacco inaspettato attraverso la “Zona di Esclusione Totale” hanno funto da catalizzatori per una delle più violente ma allo stesso tempo controverse battaglie del conflitto fino ad ora: la battaglia dell’aeroporto di Gostomel.
A seconda che si consultino le fonti ufficiali russe, quelle ucraine oppure si interroghino i residenti dell’area (come ha fatto l’autore della presente analisi) si otterranno risposte diverse e contraddittorie e, probabilmente, molto tempo passerà prima che gli storici militari abbiano la possibilità di consultare tutte le informazioni necessarie a tracciare un profilo esaustivo di questo titanico scontro.
Tra le tante ipotesi ed illazioni, i seguenti elementi costituiscono una pur minima certezza:
– primo: i russi hanno organizzato un’ambiziosa operazione al limite della loro capacità di proiezione;
– secondo: i russi hanno notevolmente sottostimato la capacità e la rapidità di reazione degli ucraini;
– terzo: la battaglia che ne è scaturita è stata molto violenta e causato la devastazione di gran parte delle infrastrutture e dei velivoli lì custoditi, incluso l’unico esemplare esistente dell’iconico Antonov An-225 Mriya, è durata un paio di giorni e si è conclusa con la vittoria delle forze russe che adesso stanno utilizzando lo scalo come punto di sbarco e rifornimento avanzato per le loro forze impegnate nelle operazioni di progressivo accerchiamento ed assalto a Kiev.
In ogni caso, nonostante la loro scaltrezza e plateale audacia, i russi hanno fallito nel loro tentativo di ripetere il colpo di mano di “Kabul 1979” e sono ora impantanati in una serie di protratte e dispendiose operazioni militari alle porte della capitale nemica. Le principali ragioni di questa vistosa battuta d’arresto stanno nella scelta del territorio, assolutamente inadatto per condurre un assalto lampo da parte di un’armata meccanizzata e nella sottovalutazione delle capacità di Kiev di reagire al colpo di mano moscovita. In ogni caso la Russia ha attualmente impegnati su questo fronte circa 30.000 uomini che, se per il momento hanno fallito nel loro obiettivo principale di prendere Kiev, nondimeno stanno allargando una importantissima testa di ponte in vista di future operazioni e stanno attirando le ultime riserve delle Forze Armate Ucraine in una gigantesca “battaglia di attrito” che, per ragioni numeriche, queste ultime non possono in alcun caso vincere.
Come descritto già in passato in un’altra analisi, alla vigilia dell’esplosione del conflitto, le capacità di mobilitazione di tutte le forze militari e paramilitari dell’Ucraina erano di circa 1.610.000 uomini così divisi:
– Forze Armate: 250.000 soldati più 900.000 riservisti;
– Guardia Nazionale: 50.000 uomini;
– Guardia di Frontiera: 50.000 uomini;
– Servizio di Emergenza dello Stato: 60.000 uomini;
– forze paramilitari del Servizio di Sicurezza dell’Ucraina, SBU: 30.000 uomini;
– Polizia Nazionale: 130.000 poliziotti;
– Forze di Difesa Territoriali: 10.000 uomini in servizio attivo più 130.000 volontari.
Nonostante tale apparentemente mastodontica cifra, pare che gli ucraini abbiano già superato la soglia di mobilitazione sopra riportata, e che sia proprio questa la ragione per la quale, in base alle normative della “direttiva sulla mobilitazione generale e la legge marziale”, a tutti gli uomini di età compresa tra i 18 ed i 60 anni è in questo momento vietato lasciare il paese.
Si badi bene, fino a questo momento gli ucraini si sono battuti eccezionalmente bene e, per certi versi, sono riusciti a tenere testa ai russi, seppure non in tutti i fronti del conflitto. Tuttavia, come anche i loro colleghi nel campo avversario hanno compreso molto in fretta, “la guerra è una terrificante industria che tritura senza sosta uomini, mezzi e risorse finanziarie. In questo momento l’Ucraina è già in una situazione di mobilitazione generale mentre la Russia, come dimostrano i dati citati nel corso del testo, ha nei primi sette giorni di ostilità portato avanti le sue azioni offensive impiegando (al netto dei “donbassiani”) circa 112.000 uomini sui 367.000 mobilitati all’inizio delle ostilità (pari a circa il 31%).
Alla luce dei rovesci subiti le autorità russe hanno lanciato in tutto il paese una vasta campagna di rischiamo dei riservisti ed espanso la base della coscrizione obbligatoria per quest’anno in modo tale da poter liberare il maggior numero possibile di unità operative delle forze di terra, il 70% delle quali è in questo momento in fase di ridispiegamento sui vari fronti della Guerra d’Ucraina. Non solo, numerosi indizi sul terreno fanno pensare che molto presto anche la Bielorussia e la Transnistria si uniranno all’alleanza capeggiata da Mosca, aprendo in tal modo due ulteriori fronti che finirebbero così per obbligare Kiev a disperdere ulteriormente le sue forze in via di progressivo assottigliamento. Mentre nei primi tre giorni di guerra le unità di manovra delle Forze Armate Ucraine contrattaccavano i nemici ad ogni occasione in modo da ricacciarli indietro o anche semplicemente logorarli, successivamente gli analisti britannici facenti capo al Royal United Services Institute hanno segnalato come “ora l’esercito regolare di Kiev non è più in grado di operare in formazioni funzionanti ma sta ripiegando largamente su un sistema di difese fisse e deve fare sempre più affidamento sull’arruolamento di volontari armati”.
È chiaro però che questo può rappresentare solamente un palliativo pro-tempore perché non è in grado di colmare in maniera sostenibile e continuativa il divario esistente in potenza di fuoco, specialmente ora che i russi possono godere di una superiorità aerea assoluta e quasi incontrastata con la quale aumentare la pressione sugli ucraini fino a schiacciarli, lentamente ma inesorabilmente. Un ultimo commento riguarda le cifre relative alle perdite.
La Guerra d’Ucraina si sta rivelando un autentico carnaio come l’Europa non vedeva da decenni. È difficile fornire dei dati precisi dato che entrambe le parti mantengono un sostanziale regime di stretta censura militare su questo delicato argomento al fine di non minare il morale delle truppe e delle rispettive opinioni pubbliche interne. Tuttavia non è peregrina l’ipotesi fornita all’autore della presente analisi da alcune fonti tedesche le quali parlano già di 14.000 morti tra le file delle Forze Armate Russe e dei separatisti del Donbass e di un numero di morti tra le fila ucraine oscillante tra le due volte e mezza e le cinque volte quello dei russi e dei “donbassiani” (quindi una forchetta compresa tra 35.000 e 70.000).
Se queste cifre fossero veritiere e tale massacro dovesse andare avanti per tutto il mese di marzo ed eguagliare per durata temporale la Seconda Guerra del Nagorno-Karabakh (44 giorni), e ci sono ottime probabilità che sarà così, allora noi tutti potremmo trovarci di fronte alla lugubre prospettiva di assistere alla più sanguinosa guerra mai accaduta nel continente europeo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
FONTE: https://www.difesaonline.it/mondo-militare/analisi-sullandamento-della-prima-settimana-di-guerra-ucraina
Una ricompensa di 500 mila dollari per la cattura di comandanti nazisti in Ucraina
Il governatore della Cecenia, Ramzan Kadyrov, ha annunciato la conquista da parte di un reggimento ceceno della più grande base militare ucraina. I ceceni sono tradizionalmente reputati combattenti eccezionali.
Kadyrov ha promesso una ricompensa di 500 mila dollari per l’arresto dei comandanti nazisti ucraini venuti a battersi in Cecenia con gli jihadisti dell’Emirato islamico di Itchkeria.
L’8 maggio 2007, a Ternopol (Ucraina occidentale), il neonazista Dmytro Yarosh, attuale consigliere speciale del capo delle forze armate ucraine, organizzò con l’emiro Doku Umarov un congresso per suggellare l’alleanza tra i neonazisti europei e gli jihadisti mediorientali contro la Russia.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article215930.html
Il Memoriale di Yad Vashem e i nazisti ucraini
Il memoriale Yad Vashem di Gerusalemme, principale istituzione mondiale per la conservazione della memoria della “soluzione finale della questione ebraica”, ha in un primo tempo condannato l’amalgama tra alcuni gruppi ucraini e i nazisti fatto dal presidente russo Vladimir Putin.
Il portavoce del Cremlino, Dmitry Preskov, ha perciò invitato l’istituzione ebraica a venire nel Donbass per costatare direttamente le carneficine.
L’ambasciatore ucraino a Tel Aviv ha deplorato le «menzogne» russe e dichiarato che il Cremlino vive decisamente su un altro pianeta; il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha da parte sua ricordato di essere ebreo, quindi di non poter essere nazista.
Fino a oggi il Memoriale Yad Vashem non ha risposto all’invito del Cremlino.
Le istituzioni ebraiche europee sottolineano come diversi anni fa abbiano escluso dai propri ranghi il miliardario ucraino Ihor Kolomoïsky, a causa dei suoi legami con la criminalità e i neonazisti. Kolomoïsky era il produttore dell’attore ebreo Volodymyr Zelensky.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article215929.html
Possibile massacro a Mariupol (fonte RDP)
Secondo la Repubblica Popolare di Donetsk, le forze neonaziste del Battaglione Azov, dopo aver chiuso il corridoio umanitario di Mariupol, hanno portato una sessantina di prigionieri nello scantinato di una scuola che poi hanno minato.
Donetsk denuncia la preparazione di un possibile massacro.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article215924.html
La legge razziale ucraina
L’Ucraina storicamente ha due origini: scandinava e slava. I gruppi che si definiscono «nazionalisti ucraini» non difendono l’Ucraina in quanto nazione, ma la sua origine scandinava contro i russi.
Dal 1° settembre 2020, nonostante la popolazione ucraina parli russo e ucraino, nonché talvolta l’ungherese (detto anche magiaro), nelle amministrazioni pubbliche e nelle scuole è rigorosamente vietato parlare una lingua che non sia ucraino. Le scuole che insegnavano in russo o in magiaro sono state chiuse. Russia e Ungheria hanno protestato ufficialmente.
Il 21 luglio 2021 il presidente Volodymyr Zelensky ha promulgato la «Legge sui popoli autoctoni», secondo cui soltanto gli ucraini di origine scandinava, i tatari e i karaiti, hanno «il diritto di godere pienamente di tutti i Diritti umani e di tutte le libertà fondamentali» (sic). Ne consegue che gli ucraini di origine slava non possono beneficiarne.
I neonazisti ucraini utilizzano largamente simboli nazisti. Non soltanto l’alfabeto runico delle lingue protogermaniche, ma anche i numeri 14 e 88, che si richiamano alle 14 parole dei suprematisti bianchi e alle iniziali del saluto nazista.
Le14 parole sono lo slogan di David Lane: «Dobbiamo assicurare l’esistenza del nostro popolo e un avvenire per i bambini bianchi» (in inglese «We must secure the existence of our people and a future for white children»). David Lane è stato uno dei capi dell’Ordine, un’organizzazione terrorista statunitense. È morto in prigione nel 2007.
Il numero 88 rinvia all’ottava lettera dell’alfabeto: HH, abbreviazione di Heil Hitler.
Per esempio il gruppo attualmente incaricato dal sindaco di Kiev, ex campione del mondo di boxe, categoria pesi massimi, di stanare e uccidere tra gli ucraini di origine slava i «sabotatori», si chiama C14 (foto). “C” per gli ex “Cento di Svyatoslav” e “14” per la loro ideologia di suprematisti bianchi.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article215921.html
CULTURA
Non vendo niente, grazie
Il martirio è una spina nel fianco, un inciampo storico e morale come la sua matrice divina, il Cristo in croce «scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani» (1 Cor 1,23). Per chi non crede è il memento scomodo che «la nozione dell’eternità» resta incisa nei cuori mortali (Ec 3,11) e le salvezze secolari che hanno ingolosito ogni epoca – ma mai nessuna quanto la nostra – non bastano perché «in questa tenda [della dimora terrena] gemiamo desiderando intensamente di essere rivestiti della nostra abitazione celeste» (2 Cor 5,2). Nel suo fissare gli occhi sull’oltre, il martire umilia le offerte del mondo, di chi lo domina e di chi ambisce a farne un paradiso possibile che renda superflue le consolazioni celesti. Prima della sua fede testimonia che no, non è vero che si possa e si voglia mettere tutto nella terra, cavare beatitudine dai suoi abissi, verità dalla conta dei suoi fenomeni, immortalità dalle trame invisibili degli organismi. Dice che la meta desiderata non è qui, per quanto vi si possa avanzare.
Lo sputo del martire sul pentolame del progresso attiva le difese più classiche del progressista. L’allestimento del sacro nel palcoscenico della storia produce i martiri laici la cui caratteristica è precisamente quella di essere anti-eterni, i vincenti del giorno dopo a cui si intitolano le scuole e le vie fino al regime successivo. Imperituri finché dura, soddisfano una sete di gloria senza tempo aggrappandosi alle bandierine dei tempi.
Traslato tutto nel mondo, anche i martiri della fede diventano pedine di una rappresentazione storica in ascesa perpetua. Testimoniano non più la bellezza del premio venturo, ma la bruttezza degli orrori passati, l’«irrazionalità» di luoghi e tempi lontani in cui si uccideva e ci si faceva uccidere nei modi più atroci non tanto per un’idea ma – questo sì, intollerabile – per un’idea religiosa. Messa così, senza orpelli divini, il martirio non suscita più disagio ma sollievo, anzi orgoglio, di essersi tratti dai torbidi di un passato infestato dai fantasmi dello spirito e di guardarlo dai lidi asciutti dell’igiene, della plastica e delle macchine calcolatrici. Le consolazioni che scaturiscono da questa consapevolezza storica sono così rinfrescanti da offuscare la consapevolezza della storia, ad esempio del fatto che «oggi ci sono… più martiri nella Chiesa che nei primi secoli» o che proprio le fondamenta di quella modernità laica e «razionale» di cui ci vantiamo poggiano sui cadaveri invendicati dei martiri. Delle migliaia di religiosi e fedeli massacrati dalle truppe rivoluzionarie che portavano liberté e fraternité in Francia, quattrocentotrentanove sono venerati oggi come beati, per altri seicento è in corso il processo di canonizzazione.
Per motivi non molto diversi, anche i credenti si tengono a buona distanza dall’esempio dei martiri. Non tanto per il (comprensibile) timore di condividerne i tormenti, ma più sostanzialmente perché nelle loro vicende si ribadisce il monito delle Scritture, che tra Cesare e Dio può esserci sì una tregua, ma mai la pace. Nella palma dei martiri sfuma il sogno calvinista e borghese di una vita prospera in ragione della fede, ma anche la pretesa recente che la Chiesa e la comunità dei fedeli lavorino da pari a pari coi poteri civili per contribuire a un progetto «umanitario» globale. E che questa identità solidale di idee e di linguaggio sia essa stessa una prova di qualità, il pedigree di un Cristianesimo finalmente capace di archiviare le rigidità del passato per occupare il suo posto nel mondo: rispettato perché rispettoso, ossequiato perché ossequioso.
Tutto torna, tutto si riconcilia: «Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo». E pazienza se «poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia» (Gv 15,18-19) e se «io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo» (Gv 17,14). Dopo quella preghiera, la «giustizia» degli uomini avrebbe reclamato la morte dell’Agnello per salvare un brigante, primo di una serie di martirii destinati a ripetersi ovunque, con buona pace di chi immagina che la ferita aperta da Adamo si sia rimarginata – o caso fortunato! – nel suo metro quadrato di «mondo civile».
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Ha senso il martirio, ne vale pena? Al netto delle debolezze umane, la risposta sembra facile: sì per chi crede che la terra sia un passaggio e una prova, no per chi non ci crede. Nella pratica è però più complesso, perché quasi mai il dispositivo del martirio si presenta coi contorni scolastici delle agiografie. Rivolgendosi ai fedeli nel 2010, papa Ratzinger commentava che «a noi probabilmente non è richiesto il martirio, ma Gesù ci domanda la fedeltà nelle piccole cose». Solo una settimana dopo dava però una formulazione più ampia e convincente del concetto: «il martire è una persona sommamente libera, libera nei confronti del potere, del mondo; una persona libera, che… si abbandona nelle mani del suo Creatore e Redentore». Se lo intendiamo nel suo etimo (gr. μάρτυς, «testimone»), il martire è chi testimonia la precedenza delle leggi eterne nell’atto di rigettare le offerte dei poteri mondani che a quelle leggi si oppongono, fino al limite estremo della vita. Accettandone piuttosto i castighi, certifica la sua libertà e la loro impotenza, svela il fango di cui è fatta la loro moneta. Per i cristiani, riferisce ancora Giovanni, questa non è un’eventualità ma un destino: «Ricordatevi della parola che vi ho detto: un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). In gradi diversi, il martirio è una chiamata universale.
Assunta questa accezione più estesa, di una imitatio Crucis silloge di ogni singola vita, sorge allora il problema di discernere caso per caso se e quando sia saggio esporsi alle aggressioni delle gerarchie temporali per testimoniare un valore che le trascende, e quando il farlo non sia che una velleità. Il problema è tanto più ingarbugliato dal fatto che oggi le questioni morali non si pongono quasi mai nei termini ultimi dei loro effetti escatologici o almeno esistenziali. L’orizzonte ideale dei moderni si è sbarazzato di questi domini affinché tutto debba spiegarsi secondo funzionalità e razionalità e nulla resti fuori dal microscopio dello scienziato sociale. L’aborto è una questione di «diritti», la chiusura delle chiese di «igiene», la fornicazione di «benessere affettivo» eccetera. Oggi nessuno si sognerebbe di infiggere in modo esplicito un’apostasia o un peccato: significherebbe elevarne la norma sottesa alla dignità di esistere. Non perciò il sacro, ancorché dichiarato defunto, cessa di chiamarci a sé. Lo fa clandestinamente, si camuffa nel vocabolario profano e dal buio della coscienza partorisce i frutti deformi della bigotteria laica, la più fanatica di tutti i culti. La fede nella scienza e nel mercato, l’astinenza dai propri diritti per il «bene comune», i tabù dei regimi sconfitti e di selezionate discriminazioni sociali, i sacrilegi del «negazionismo» e del «revisionismo» placano il bisogno di religione degli uomini e mettono fuori gioco l’eterno. Date queste condizioni, mancano proprio le premesse di un sacrificio «a carte scoperte». Tutto si gioca in metafora, tutto va tradotto e riassegnato a un lessico perduto.
In questa nebbia non è però impossibile orientarsi, lo si può anzi fare senza incertezze a patto che si inverta l’analisi e si allontani lo sguardo dal martire per fissarlo sui primi artefici della sua testimonianza. La faccenda del martirio è una classica proposta d’affari che si presenta nella variante sottrattiva del ricatto, dove cioè il proponente non offre del suo ma minaccia di togliere all’oblato qualcosa che già gli appartiene, avendo la facoltà di farlo. Qui il bene conteso è la fede, il prezzo la vita. Ora, chi fissa quel prezzo? Il martire? No, il persecutore. Chi stabilisce che la fede valga almeno – ma in realtà di più, perché ogni buon negoziatore cerca sempre di spuntare il prezzo più basso – tanto quanto la vita? Ancora, il persecutore. Si può allora dire che il martire «scopre» il valore di ciò in cui crede proprio grazie a chi glielo insidia, come qualcuno scoprirebbe di possedere un tesoro grazie a chi gli offrisse milioni per averlo. Se è scorrettissimo sostenere che i martiri «danno» la vita per la fede (in quel caso sarebbero suicidi) è poco corretto anche attribuire loro l’esclusività della testimonianza. La certificano con l’esempio, è vero, ma non ne sono gli autori.
Il criterio è specialmente infallibile nelle trattative «al buio», quando cioè le intenzioni del proponente sembrano poco chiare o insincere. In principio, un’offerta presentata in termini ricattatori segnala da un lato uno squilibrio di forze e una volontà di sopraffare che lasciano facilmente presagire chi trarrà vantaggio dall’affare, dall’altro l’impossibilità del proponente di ottenere ciò che desidera offrendo un bene proprio di valore comparabile. Da qui si intuisce che la posta in gioco può essere ragionevolmente molto, molto più alta del dichiarato, anche senza sapere quanto e perché. Così alta da non poter essere comprata nemmeno dai più ricchi di mezzi e di sostanze, non senza ricorrere alla forza. E quel sospetto non può che consolidarsi all’aumentare del prezzo «offerto» (cioè dell’entità del sottratto), fino a diventare certezza quando la sproporzione apparente tra i valori si fa grottesca e l’insistenza delle offerte ossessiva. Quindi, ne vale la pena? Evidentemente sì, perché quella pena è il valore, qualunque esso sia. E a chi lo chiede impugnando la pistola dalla parte del calcio non si può che rispondere con le parole pronunciate nel sinedrio: «Tu l’hai detto». Non io.
FONTE: http://ilpedante.org/post/non-compro-niente
Ritrovare il senno
Pubblicato il 4 marzo 2022
Pensate, ad un tratto, se vi chiedessero di smetterla di emozionarvi con i versi di Walt Whitman. Con l’umanità, vibrante e disperata, descritta nell'”Antologia di Spoon River”, da E.L. Masters. Di piantarla, una volta per tutte, di immergervi nelle atmosfere suggestive create da E.A. Poe, nelle “visioni” di Burroughs, nelle avventure narrate da Jack London, negli scritti, intimi e ribelli, di Salinger. Di rinunciare, per il bene comune, a sfrecciare “Sulla strada” in compagnia di Jack Kerouac, ad appassionarvi, visceralmente, alle vicissitudini di Arturo Bandini, raccontate magistralmente da John Fante. Di dare alle fiamme i romanzi di Ray Bradbury, con tutti i suoi scenari distopici, dipinti con grande sapienza e lungimiranza. Tutto questo per il solo fatto che questi autori sono americani, figli di un Paese dalla politica estera del tutto “particolare”, tesa a sconvolgere gli equilibri internazionali a favore dei suoi interessi, che non disdegna l’uso della forza per l’esportazione della democrazia”. Cosa rispondereste? Avallereste davvero quest’ amenità?
Ritroviamo il senno. Riscopriamo pesi e misure. Cio’ che sta accadendo a riguardo del conflitto in atto è assurdo e privo di senso logico. Ci vogliono inconsistenti, gretti, manovrabili, assuefatti dalla propaganda martellante di regime. Vogliono cancellare a tutti i costi il bello, la cultura, l’estetica, il “pulito”, rimodellandoli in base a canoni preimpostati e funzionali ai loro scopi. Non permettiamo questo abominio, quest’ulteriore affronto all’ intelletto, alla storia dell’uomo. Non apriamo le porte all’ignoranza, alle tenebre, alla volontà di distruzione dei nuovi padroni del vapore. Dipende in gran parte da noi, non dimentichiamolo mai.
“Tutti gli altri sono assolutamente soddisfatti della vita così com’è. Io no. Voglio la pura comprensione e poi la vita, così com’è.
Deciderò io stesso cosa fare della mia vita, anche se brucerò nel provarci.” ( J. Kerouac)
FONTE: https://sfero.me/article/ritrovare-il-senno
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Comunicazione di servizio
Lo scorso week-end Voltairenet.org non è stato disponibile. Il server era in Ucraina, a 70 chilometri dal fronte. La società che lo ospitava ci ha piantati in asso. Il nostro tecnico sul posto è riuscito a trasferire i dati in Finlandia, Paese membro dell’Unione Europea ma non della Nato. Ora il sito funziona di nuovo.
Le truppe russe non intendono assolutamente prendere le grandi città. Stanno conducendo un’operazione speciale contro i gruppi neonazisti (Battaglioni Aidar e Azov). Le popolazioni civili, spaventate dalla propaganda di guerra, fuggono le grandi città, dove tuttavia non corrono grandi rischi. Ogni guerra fa vittime innocenti, uccise da tiri non destinati a loro.
Numerosi ucraini sostengono l’azione dell’esercito russo. Sui social network dell’esercito ucraino sono circolati appelli alla diserzione. Il governo Zelensky li ha presentati come opera di sabotatori. Questi cittadini cercano semplicemente di liberare il proprio Paese dai neonazisti. Le forze armate russe non vogliono occupare l’Ucraina, ma faranno pagare al Paese il fatto di aver sostenuto i neonazisti, privando la Russia della possibilità di collegare la Transnistria alla Crimea. Per questo motivo la Nato sta trasferendo truppe in Romania e armi in Moldavia.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article215882.html
Guerra dell’informazione
Dopo il divieto della diffusione in Unione Europea dell’Agenzia russa Sputnik e delle reti televisive del gruppo Russia Today, Mosca ha risposto non già vietando un’agenzia di stampa e una televisione europea, ma chiudendo Radio Echo de Moscou (foto) e TV Dozhd, due media russi finanziati in parte dall’estero. A differenza dell’Unione Europea, Mosca invoca una motivazione giuridica, non politica.
Le due emittenti avevano diffuso false informazioni su perdite russe «incalcolabili» in Ucraina, precisando che numerosi cadetti erano morti. Ma, come ha dichiarato il portavoce del ministero della Difesa russo, Igor Konashenkov, il totale delle perdite russe in combattimento ammonta a 498 morti e 1.597 feriti. All’operazione militare speciale in Ucraina non partecipano né coscritti, né cadetti. Le affermazioni di Radio Echo de Moscou e di TV Dozhd sono propaganda finalizzata a demoralizzare la popolazione russa.
È ormai impossibile consultare dall’Unione Europea siti ufficiali internet russi, formalmente a causa di hacker anonimi; per contro continua a essere possibile consultare siti ufficiali europei dalla Russia.
La propaganda è al culmine. Così abbiamo sentito il presidente Volodymyr Zelensky celebrare come eroi nazionali i soldati dell’Isola dei Serpenti, massacrati dai russi, salvo poi vederli riapparire vivi e vegeti dopo la resa all’esercito russo.
FONTE: https://www.voltairenet.org/article215925.html
LA PREDIZIONE SUGLI PSICOPERSUASORI DI VANCE PACKARD NEL 1957
Bisogna cercare di fare un parallelo tra il funzionamento della nostra mente e il “mondo esterno”. La logica e i meccanismi dei due sono interconnessi. È evidente quanto sia grande l’influenza dei mass media come mezzo di formazione mentale e quanto il nostro pensiero influenzi gli eventi che accadono. Ecco perché i padroni del mondo cercano anche di impadronirsi delle nostre menti con i meccanismi conosciuti e sembrano avere sempre più successo nel farlo.
La via d’uscita da questa prigione è risvegliare la coscienza e proporla al maggior numero di persone possibile.
Un nuovo modo di pensare è necessario per creare un nuovo mondo. E questo è più necessario che mai, perché si stanno mettendo delle catene a questa capacità di pensare. La forza del pensiero creativo è legata alla forza della vita e non alla paura della morte e al desiderio di controllo totale. Invertire questa situazione è una necessità per liberarsi dalle catene che imprigionano la capacità di pensare. È qui che avviene la rinascita. Spegnere la “scatola magica” è un buon inizio. Poi la vita reale si accende.
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Sono passati circa sessant’anni dalla pubblicazione del libro I persuasori occulti di Vance Packard. Era il 1957, e il giornalista e sociologo statunitense aveva deciso di prendere in esame i meccanismi che regolavano i consumi del popolo americano. All’epoca, il libro di Packard veniva considerato fin troppo allarmista. Tuttavia, l’autore sapeva bene che il marketing occulto si sarebbe sviluppato nel corso dei decenni fino a raggiungere scenari impensabili per l’epoca in cui viveva.
Nel frattempo i persuasori sono diventati più bravi, furbi e spietati.
Grazie ai nuovi strumenti tecnologici, alle scoperte nel campo del comportamento, della psicologia cognitiva e delle neuroscienze, sanno cosa ha effetto su di noi molto meglio di quanto noi stessi possiamo immaginare.
Scansionano i nostri cervelli e mettono in luce le paure più nascoste, i sogni, i desideri; ripercorrono le orme che lasciamo ogni volta che usiamo una tessera fedeltà o la carta di credito al supermercato. Sanno cosa ci ispira, ci spaventa e cosa ci seduce, e alla fine, usano queste informazioni per celare la verità, manipolarci mentalmente e persuaderci a comprare.
Vediamo alcune strategie messe in atto dai “persuasori”. VEDI QUI
“Il sopruso più grave che molti manipolatori commettono è, a mio avviso, il tentativo di insinuarsi nell’intimità della mente umana. È questo diritto alla intimità della mente – il diritto di essere, a piacere, razionali o irrazionali – che, io, credo, abbiamo il dovere di difendere” (Vance Packard).
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Tratto da “I persuasori occulti” di V.Packard (ed.Einaudi), 1957
La psichiatria freudiana, secondo la quale molti adulti ricercherebbero inconsciamente quelle piacevoli sensazioni orali provate durante il periodo dell’allattamento e nei primi anni dell’infanzia, dischiuse nuovi orizzonti ai maghi della pubblicità. (…)
Alcuni aspetti del nostro comportamento di consumatori sono così tortuosi e irrazionali che i tecnici della vendita si trovano, talvolta, a roteare gli occhi esasperati e impotenti. Le nostre singolarità psicologiche sono soprattutto rivelate dal fatto che noi, senza esserne coscienti, vediamo e sentiamo, in uno slogan o in un bozzetto pubblicitario, cose che non avremmo dovuto né vedere né sentire. Tale è la sensibilità del nostro occhio interno e del nostro orecchio interno nel cogliere messaggi non intenzionali, che si stenta, talvolta, a reprimere un senso di pietà per i poveri tecnici del mercato. Questi, di fronte alle nostre capricciose, inspiegabili resistenze, si rivolsero ai tecnici della profondità per ottenere diagnosi e rimedi ai loro malanni. (…)
Le inquietanti caratteristiche orwelliane del mondo verso il quale i persuasori sembrano volerci sospingere — sia pure involontariamente – appaiono in tutta la loro evidenza quando si considerano talune delle loro più audaci e ingegnose operazioni.
Ad esempio nel mercato dei beni di consumo, ci pare di poter considerare un segno premonitore di eccezionale gravità l’impiego delle tecniche del profondo per determinare il grado di vulnerabilità delle bambine ai messaggi pubblicitari. Nessuno, letteralmente, può sfuggire all’occhio onniveggente degli analisti motivazionali allorché si presenta la minima occasione di vendita. (…)
A che genere di «domani» stiamo andando incontro nella vendita di prodotti si può vedere dall’uso della psicanalisi sulle ragazzine per scoprire quanto siano sensibili al messaggio pubblicitario. Nessuno, assolutamente nessuno, evidentemente, può essere risparmiato dall’occhio onniveggente del Grande Fratello, il ricercatore motivazionale, se pare che un’occasione di vendere si presenti
A lunga scadenza – diciamo nel 2000 – tutte queste manipolazioni a base psicologica sembreranno, forse, molto ingenue e un po’ ridicole. A quell’epoca i biofisici avranno probabilmente assunto il comando delle operazioni con il « biocontrollo », ossia la persuasione del profondo portata alle sue conseguenze estreme. Il biocontrollo è la nuova scienza che controlla i processi mentali, le reazioni emotive, e le percezioni mediante segnali bioelettrici. Al congresso nazionale di elettronica tenutosi a Chicago nel 1956, l’ingegnere Curtiss R. Schafer, della Norden Keaty Corporation, lesse una relazione sulle prodigiose possibilità offerte dal biocontrollo. Egli affermò che l’elettronica è in grado di provvedere al controllo di tutti gli individui in qualche modo «difficili», facendo risparmiare agli specialisti delle varie discipline sociali tempo e seccature. A suo dire, si tratterebbe di una operazione relativamente semplice.
Gli aeroplani, i missili, talune macchine, sono già guidate elettronicamente; lo stesso principio si può applicare al cervello umano, che ha in sostanza la struttura di una macchina calcolatrice. Attraverso il biocontrollo gli scienziati sono già riusciti ad alterare, in alcuni soggetti umani, il senso d’equilibrio. E hanno provocato artificialmente la sensazione della fame in animali sazi; in altri, hanno provocato il panico senza che nulla di visibile li minacciasse. La rivista «Time» riassumeva in questi termini il pensiero di Schafer: «Il limite ultimo del biocontrollo potrebbe essere il controllo dell’uomo stesso… Ai soggetti controllati non si permetterebbe mai di pensare individualmente. Pochi mesi dopo la nascita, un chirurgo sistemerebbe sotto la cute del bambino degli elettrodi collegati a determinate regioni del cervello… Le percezioni sensoriali e l’attività muscolare del bambino potrebbero essere modificate o completamente controllate da segnali bioelettrici irradiati da un trasmettitore azionato dalle autorità statali ».Per rassicurare i lettori, lo scienziato precisava che gli elettrodi «non provocano alcun disturbo». Non dubito che gli psicopersuasori dei nostri tempi rifiuterebbero con indignazione di commettere una simile sopraffazione a danno dell’uomo. In massima parte, si tratta di persone moralmente integre e bene intenzionate, che seguono l’onda inarrestabile del progresso moderno: vogliono, è vero, controllarci, ma solo per quel tanto che basta a venderci prodotti che potrebbero esserci utili o a diffondere tra di noi idee e opinioni che sono spesso degnissime. Ma quando il processo di manipolazione è cominciato, dove deve arrestarsi? Chi stabilisce il limite oltre il quale esso diventa socialmente pericoloso?
Il futuro sarà umano? Will the future be human World Economic Forum Annual Meeting
In questo impressionante discorso da Davos 2018, lo storico Yuval Harari dice che coloro che controllano i dati plasmeranno il futuro. Spiega che l’umanità avrà presto i dati e la tecnologia per tracciare la propria crescita o la propria decadenza, quindi i dati hanno bisogno di una regolamentazione. Si raccomanda questo video a chiunque sia interessato a tecnologia, governo, etica e libertà.
Riassunto
Gli umani di oggi potrebbero essere gli ultimi homo sapiens. Consideriamo quanto gli umani siano diversi dai loro antenati, gli scimpanzé. In uno o due secoli, regneranno entità molto diverse dagli umani. I ricercatori presto “ingegnerizzeranno corpi e cervelli e menti”. L’economia del 21° secolo sarà imperniata su queste nuove commodities. Chiunque controlli i dati deciderà l’aspetto delle entità future e la natura della vita per tutti. Storicamente, quando pochi potenti rivendicavano i beni più preziosi della società, come la terra o i macchinari, ne derivavano le classi sociali. Se il controllo dei dati è detenuto da poche persone, il risultato sarà una divisione tra le specie.
La potenza di calcolo e gli ampi dati biometrici lo rendono possibile.
Il Prof. Yuval Noah Harari è uno storico, filosofo e l’autore del bestseller Sapiens. Da animali a dèi: Breve storia dell’umanità, Homo deus. Breve storia del futuro, 21 lezioni per il XXI secolo e Sapiens. La nascita dell’umanità. I suoi libri hanno venduto 27,5 milioni di copie in 60 lingue ed è considerato uno degli intellettuali più influenti al mondo.
Nato in Israele nel 1976, Harari ha ricevuto il suo dottorato di ricerca presso l’Università di Oxford nel 2002, ed è attualmente docente presso il Dipartimento di Storia dell’Università Ebraica di Gerusalemme. Nel 2019, in seguito al successo internazionale dei suoi libri, Yuval Noah Harari e Itzik Yahav hanno co-fondato Sapienship: una società a impatto sociale con progetti nel campo dell’intrattenimento e dell’istruzione. L’obiettivo principale di Sapienship è quello di focalizzare il dibattito pubblico sulle più importanti sfide globali che il mondo sta affrontando oggi.
FONTE: https://www.nogeoingegneria.com/librifilms/la-predizione-sugli-psicopersuasori-di-vance-packard-1957/
Spie: c’è l’Italia, nella guerra contro Putin (e lo Sputnik)
Il presunto caso di spionaggio segnalato dai media, che coinvolgerebbe un ufficiale della marina italiana e un militare di Mosca (documenti top secret che l’italiano avrebbe ceduto al russo) sembra la premessa ideale per una “tempesta perfetta”, che scaverebbe un baratro tra il Cremlino e il neonato governo Draghi, già in partenza iper-atlantista. Da quando l’establishment Usa ha decretato la “vittoria” di Biden alle presidenziali 2020, è ricominciato l’assedio verso Est, interpretato da un personaggio – il segretario di Stato, Tony Blinken – che proviene (come lo stesso Biden) da una filiera bellicosa, di spietati finanziatori di guerre. Non a caso sono già stato bombardati gli alleati libanesi di Mosca, che in Siria hanno contribuito a sconfiggere l’Isis. Giustamente, i media rilevano che lo spionaggio resta un reato gravissimo. Al tempo stesso, puntualmente, dimenticano di ricordare come stanno le cose: dall’era Bush, dunque anche sotto Obama, la Russia di Putin è stata sottoposta a un accerchiamento continuo, violento e minaccioso, alimentato da clamorose falsità diffuse a reti unificate, tra un Russiagate e l’altro.
Prima la Georgia, poi l’Ucraina, quindi la Siria. Golpe, rivoluzioni colorate, terrorismo, insulti e provocazioni. In modo fanciullesco, in Italia, c’è chi alza l’immancabile ditino contro la “democrazia imperfetta” dell’era post-gorbaciovana: come se il contesto fosse accademico, e non un feroce ring dove è l’Occidente ad aver regolarmente imbrogliato i russi, calpestando anche gli storici accordi sull’impegno a non estendere la Nato verso Est. Dopo aver sostenuto l’imbarazzante pupazzetto Navalny, tipico esemplare del nazional-razzismo post-sovietico, ora a dare lezioni di democrazia è un gruppetto di avventurieri che sostiene di aver vinto le ultime elezioni, negli Stati Uniti, senza che l’autorità giudiziaria abbia mai vagliato le prove di quello che Donald Trump ha definito un imbroglio senza precedenti, di portata storica. In modo patetico, l’Ue obbedisce a Washington infliggendo nuove sanzioni alla Russia (già costate miliardi, all’export italiano). Ciliegina sulla torta, quest’ultima spy-story: perfetta, a quanto pare, per cancellare per sempre il grande disgelo inaugurato da Berlusconi, che nel 2002 invitò Putin a Pratica di Mare.
Un “incidente” davvero provvidenziale, quest’ultimo, a pochi giorni dagli inauditi insulti che il “presidente” Biden ha rivolto al suo omologo russo, definendolo «un assassino». Domanda: si può pensare che la situazione possa davvero degenerare? «Per ora mi sembra che sia avvenuto un semplice scambio di complimenti», ha detto Draghi qualche giorno fa, in una conferenza stampa, alludendo anche alla replica di Putin (sullo stato di salute, non ottimale, di Biden). E’ tutto solo fumo, dicono gli esperti in geopolitica: dal presunto avvelenamento di Navalny (”firmato” con la tossina sovietica dagli ipotetici killer di Putin, evidentemente imbranati) alle minacce roboanti pronunciate a beneficio dei media. In realtà, c’è chi attribuisce al gruppo di potere del dopo-Trump il vecchio sogno del “regime change”: non perdonano a Putin di aver difeso la sovranità russa, ricorrendo anche alle armi per mettere fine all’incubo dell’Isis, capolavoro della più opaca strategia della tensione di marca occidentale. Né perdonano allo Zar di avere smascherato l’operazione-Covid: primatista mondiale sul fronte dei vaccini con lo Sputnik, la Russia è stato il primo grande paese a uscire dall’emergenza pandemica.
FONTE: https://www.libreidee.org/2021/03/spie-ce-litalia-nella-guerra-contro-putin-e-lo-sputnik/
Tutta colpa del Lockdown. Ecco cosa c’entra il suicidio dell’ambasciatrice italiana con il covid
Si è suicidata buttandosi dal balcone Francesca Tardioli, l’ambasciatrice italiana in Australia: era a casa sua a Foligno, da qualche tempo soffriva di depressione causata dalle severe restrizioni australiane contro il covid; la diplomatica aveva 57 anni e lascia due figli di 27 e 24 anni.
Purtroppo di lockdown si può anche morire. La tragedia si è consumata nella città natale della diplomatica, dove stava trascorrendo un periodo di vacanza. Le prime indiscrezioni raccontavano di un incidente domestico, la donna, infatti, avrebbe perso l’equilibrio sporgendosi troppo dal terrazzo ma, con il passare delle ore, è alla fine emerso che si è trattato di un gesto volontario. La Farnesina l’ha subito ricordata con un tweet: «La ricorderemo con affetto per le sue ammirevoli qualità professionali e umane — sono le parole condivise da tutti i colleghi — una grande diplomatica e servitrice dello Stato». L’incidente è avvenuto nel pomeriggio di sabato.
Francesca era da sola nella sua abitazione, a dare l’allarme è stato un familiare che abita nello stesso palazzo ma non c’è stato nulla da fare. Seguiranno accertamenti più approfonditi da parte delle autorità competenti ma il quadro è già chiaro: quel volo nel vuoto sarebbe stato un gesto volontario, dovuto a un momento di particolare debolezza.
Come avevamo già raccontato in un nostro precedente articolo, il rischio di depressione è una seria realtà oggigiorno: l’allarme arriva dagli psicologi, i quali mettono in guardia sulle gravi conseguenze che la manipolazione mediatica, i lockdown e le misure restrittive possono portare al nostro benessere psicofisico. Fattori comunque ben chiari sin dall’inizio alle Istituzioni e ai mass media, che non si sono comunque minimamente riguardati dal perpetrare continue violenze piscologiche verso la cittadinanza.
In uno studio del settembre 2020 dell’Istituto Superiore di Sanità chiamato “Il fenomeno suicidario in Italia. Aspetti epidemiologici e fattori di rischio“, infatti, le conseguenze delle politiche che ci avrebbero accompagnato per altri due lunghi anni erano ben esposte, punto per punto, come riportiamo di seguito.
Senza pretesa di esaustività, tra i fattori di rischio specifici legati alla pandemia di COVID-19 si può elencare:
- distanziamento sociale (che può aver aumentato l’isolamento e la solitudine, annullato i “contatti non intenzionali”, esacerbato problemi di salute mentale)
- consumo di alcol (che può essere aumentato durante il lockdown nei consumatori “a rischio” e che è documentato aumentare nei periodi di crisi)
- violenza domestica (che può essere aumentata durante il confinamento in casa e in seguito per l’insorgere/esacerbarsi dei problemi economici)
- restrizione delle libertà personali
- paura del contagio (paura di essere contagiati e/o di essere veicolo di contagio per gli altri)
- stress e burnout per medici e operatori sanitari
- ruolo della comunicazione (che può aver esacerbato paura e ansia)
- riduzione dei servizi dedicati alla prevenzione e cura del disagio mentale e del suicidio o riduzione del personale ad essi dedicato
- crisi economica con il conseguente aumento della disoccupazione e della precarietà e riduzione del reddito.
Tutto molto chiaro quindi, peccato che nessuno tra Governo e -cosiddetti- giornalisti si sia mai posto il minimo scrupolo sulle conseguenze del proprio operato.
La situazione australiana
Nel caso specifico della diplomatica italiana, probabilmente, ha pesato in particolar modo la durissima situazione vigente in Australia, dove l’ambasciatrice rappresentava l’Italia e dove da tempo vigono alcune tra le misure restrittive più ferree di quell’emisfero. Ricordiamo infatti come Melbourne, capitale dello stato di Victoria con 5 milioni di abitanti, lo scorso agosto subiva l’imposizione dell’ennesimo lockdown a causa di soli 22 contagi. Molto probabilmente la conta delle vittime sarà destinata ad alzarsi e, plausibilmente, i danni derivanti dalla gestione pandemica si trascineranno per intere generazioni.
FONTE: https://www.ilparagone.it/cronaca/tutta-colpa-del-lockdown-ecco-cosa-centra-il-suicidio-dellambasciatrice-italiana-con-il-covid/
ECONOMIA
Pnrr, da Bruxelles arriva la prima rata da 21 miliardi per l’Italia
“Annunciamo un importante passo avanti nell’attuazione del Recovery Plan italiano. Riteniamo che l’Italia abbia fatto buoni progressi per ricevere il suo primo pagamento nell’ambito del Next Generation EU. Non appena ci sarà l’approvazione anche degli Stati membri, l’Italia riceverà 21 miliardi”.
Gentiloni: per il 2022 non rallentare
I prossimi passi
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
Due milioni di milioni di dollari
Leggo che per condurre la War on Terror, gli Stati Uniti, dal 2001 a oggi, avrebbero speso finora la cifra di two trillion dollars, cioè 2,000,000,000,000 o se preferite, 2⋅1012 dollari. Il calcolo si basa sui dati ufficiali, che per tanti motivi sono estremamente riduttivi, ma ci dà almeno un ordine di grandezza.
La prima domanda che viene in mente è, quanto avrà speso l’altra parte, i cattivi, nella misura in cui abbiano qualcosa in comune tutti coloro che gli Stati Uniti hanno bombardato e stanno bombardando da diciassette anni?
Un’idea ce la dà l’Arma del Delitto dell’11 settembre:
A cui gli Stati Uniti possono contrapporre, ad esempio, questo:
La seconda riguarda i risultati.
Da ottocento basi sparse in tutto il pianeta, i due trilioni vengono lanciati senza posa addosso al Nemico.
Dopo diciassette anni ininterrotti di ammazzamenti (e dopo aver cambiato venti comandanti diversi), gli Stati Uniti manderanno, pare, migliaia di nuovi soldati per assicurare il vacillante fronte afghano (ah, e dopo aver buttato la bomba non nucleare più potente della storia umana addosso agli unici nemici seri dei Taliban).
Per quanto riguarda la Libia, ci limitiamo a una foto della signora Clinton durante la sua visita in Libia (ricordando le sue allegre parole sull’uccisione di Gheddafi, “We came, we saw, he died”):
e a una mappa della situazione attuale nel paese liberato:
Comunque, il risultato finale si riassume in questa “mappa del rischio”, dove in pratica solo nelle zone in verde chiaro, ti puoi sentire tranquillo:
La terza cosa che viene in mente è, come sono fatti due trillion di dollari?
Troviamo questo interessante rendering, ricordando che dovete moltiplicare per due:
FONTE: https://kelebeklerblog.com/2017/05/20/due-milioni-di-milioni-di-dollari/
GIUSTIZIA E NORME
Fiat iustitia pereant immundi
Volendo azzardare un commento su ciò che sta accadendo nel nostro Paese, non si saprebbe davvero da che parte incominciare. Forse dalla più urgente, da quella torpida sensazione di normalità che fa da sfondo agli eventi, da quell’ipnosi molle in cui la tragedia sfugge e sprofonda. Mentre spirano venti di guerra a oriente getto uno sguardo sulle macerie della guerra che imperversa da due anni in casa nostra, e raccolgo detriti a caso.
La scuola. Ragazzini bullizzati dalle maestre (!) perché non si sono lasciati iniettare una fiala, o per lo stesso motivo esclusi dall’aula. Altri messi ai domiciliari su segnalazione anonima, cioè privati della libertà personale senza processo come non si poteva più fare da circa ottocento anni. Perché c’era l’habeas corpus – c’era.
I docenti. Una settimana fa ha parlato in televisione un professore di medicina. Non so che abbia detto, ma il giorno dopo l’università per cui lavora ha fatto sapere al metamondo di Twitter che le parole del docente «non rappresentano il pensiero dell’istituzione» e ha annunciato «ulteriori azioni». Gli internauti gaudenti rilanciavano con frizzi e lazzi sul cognome del malcapitato, che richiama un ortaggio. In questo alato scambio sarebbe dispiaciuto incunearsi per chiedere che cosa mai fosse il «pensiero dell’istituzione». Da quando esiste, dove è codificato? Non penso nell’articolo 33 della Costituzione (anzi) ma neanche nella lunga storia degli atenei, dove fino a ieri pensavano le persone fisiche, non quelle giuridiche. Se durante la peste del Trecento i dottori delle università (non le università) dibattevano liberamente sui rimedi, oggi invece è la scienza che parla per gli scienziati. Sì, ma allora chi parla per la scienza? Mistero.
Il lavoro. Sempre a scuola, una professoressa ha scritto al suo preside che anche ai colleghi molestatori o violenti è riconosciuta una parte dello stipendio nel periodo di sospensione. Un ex ministro della giustizia ha ricordato che anche agli ergastolani è consentito lavorare e guadagnarsi il pane. I giudici amministrativi lombardi si sono giustamente chiesti perché sospendere una psicologa che lavora coi pazienti soltanto in remoto. Già, perché? E perché chi ha già certi anticorpi deve prendere una medicina per sviluppare quegli anticorpi? E perché il «consenso scientifico globale» che vige a Como non vale più a Chiasso? E perché una puntura conta più di un esame di Stato? Perché sì, perché «va fatto e basta». Perché sarà vero, l’acqua non scorre a monte e sei mesi fa non eri ancora nato. Ma io sono il lupo, tu l’agnello.
La democrazia. Pare che il presidente del Consiglio abbia intimato ai parlamentari di «garantire i voti» necessari per approvare le decisioni del Governo. Solita genitura invertita: l’esecutivo, cioè l’organo «che è atto a eseguire» (così il dizionario Gabrielli), dà ordini al legislativo che gli dovrebbe dettar legge, su mandato degli elettori. Ma siccome un mandante deve per forza esserci, allora chi detta i compiti all’esecutore? Altro mistero.
Ora, ragionando a freddo, non è plausibile che un tale sfascio si sia consumato in così pochi mesi, né che un malanno e qualche decreto abbiano tirato giù da soli un edificio messo in piedi nei secoli. No, i muri dovevano già essere crepati da tempo, da molto tempo e forse fin dall’inizio, sicché il crollo era atteso da tutti, temuto da pochi, salutato da molti. E poi il sole continua a sorgere, il latte arriva sugli scaffali e la televisione trasmette dibattiti e giochi a premi. Il vecchio Orwell ci credeva davvero, che in Germania, in Russia e altrove non regnassero che apatia, arretratezza e terrore e che lì nessuno osasse screziare il grigio della dittatura con una canzone o un sorriso. E noi con lui. Perciò no, non può esserci un regime. Se c’è un filo di luce – almeno per me, almeno finché dura – i tempi non possono essere bui.
Ovviamente non si ignorano sofferenze e violenze, si ascoltano certe storie in famiglia e le si legge sui giornali, e certi metodi mai visti prima se non nei libri di storia. Ma per questo c’è l’ipnotico più gagliardo, quello che normalizza ogni abominio: la giustizia. Va bene perché è giusto così. E lo si può dire ovunque, con l’esaltata soddisfazione di un Savonarola laico o con gli occhi bassi di chi si sforza di ingoiare una lezione dura, ma necessaria. Storditi dalle stupidaggini del progresso crediamo davvero che gli aggeggi materiali ci assegnino una palma anche morale sugli avi, sicché non ci vergogniamo di chiedere una lacrima ai ragazzini che oggi non possono salire sull’autobus perché settant’anni fa, in un altro Paese, qualcuno ci poteva salire purché occupasse i sedili sul retro.
Sarebbe facile dimostrare more mathematico che se l’ingiustizia produce i delitti, la giustizia aizza le stragi. Perché la prima è punibile, la seconda impunita. La prima opera nei limiti dell’obiettivo, la seconda non ha limiti né obiettivi se non sé stessa, né remore, né censori. «Non avete pietà», dice Aglaja al principe Myškin, «ma solo giustizia: perciò siete ingiusto», riassume fulmineo Dostoevskij. E Nostro Signore, che di un tribunale fu la vittima più innocente («nos legem habemus»), non ha mai speso una parola di lode per gli zelanti à la Javert, mentre al contrario chiamava «beati i perseguitati a causa della giustizia» e prometteva loro il regno dei cieli. Di persecuzione e giustizia parla anche la storia di san Paolo. Prima dell’incontro con Dio era appunto un persecutore «irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della legge», ma da convertito visse non più «con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede» (Fil 3,6.9). La giustizia può perseguire ma se perseguita è altro, è la maschera di un’ingiustizia.
Quindi, che cosa è giusto? Come si spezza il cerchio dei relativi, quello che ci fa piangere per la signora Parks che tornava dal lavoro (sì, era scientifico anche allora) e non per il cinquantenne con prole che oggi al lavoro proprio non può andarci? Tra i tesori spazzati via dalla barbarie moderna c’è sicuramente lo sforzo millenario di agganciare l’etica, e quindi le leggi, a una norma che trascenda i suoi autori e la preservi dall’assurdo di ancorarsi a sé stessa. Se oggi si urla «o-ne-stà!» nelle piazze, sette secoli fa Tommaso d’Aquino metteva all’ultimo gradino della gerarchia delle leggi lo jus civile codificato dai sovrani. Sopra stavano lo jus gentium comune a ogni popolo e la lex naturalis, l’innata disposizione morale dell’anima (sinderesi) che intuisce la lex aeterna con cui Dio ha ordinato il mondo. L’insubordinazione dei gradi inferiori produce arbitrio e violenza.
L’appiattimento di questa necessaria complessità nella dimensione puntiforme dell’ultimo codicillo vergato dall’ultimo burocrate dà la misura di un deserto odierno che è, nell’ordine, spirituale, culturale e morale. Se la giustizia eterna collassa su quella degli uomini, le prescrizioni di quest’ultima mimano i decreti divini: non devono addurre ragioni se non quelle pasticciate e sibilline di un mistero a cui bisogna chinarsi e promettono una salvezza che nel dominio terreno può essere solo quella della sopravvivenza, del comodo e della vanagloria a spese del prossimo. È dall’istituzione di questa pochezza che si è arrivati dove siamo arrivati: ad accettare l’ingiusto perché non c’è altra giustizia; a parlar d’altro persino dai pulpiti perché non c’è a chi rispondere, né sopra né dopo; a convivere con l’assurdo e l’abnorme perché non c’è norma, e quindi neanche il normale.
FONTE: http://ilpedante.org/post/fiat-iustitia-pereant-immundi
PANORAMA INTERNAZIONALE
Le insidie del modello tedesco
Vincenzo Comito 26.09.2021 RILETTURA
Germania. Il nodo degli investimenti deve fare i conti con il deficit, che nel 2020 ha toccato il fondo: più di 158 miliardi. Il finanziamento di infrastrutture ed ecologia sarà il sicuro terreno di scontro
Le questioni dell’economia sono rimaste quasi in secondo piano durante la campagna elettorale tedesca e comunque hanno avuto meno risalto che nelle elezioni norvegesi. Eppure si dice che c’è un solo ministro a Berlino, quello delle finanze. Dell’Europa, poi, non si è parlato affatto.
IL CANDIDATO SPD, Olaf Scholz, ha insistito sull’innalzamento del salario minimo a 12 euro l’ora e la costruzione di 400mila alloggi all’anno, questioni rilevanti che però toccano solo in maniera parziale i grandi problemi del paese. Intanto i Verdi promuovono un piano per l’ambiente, proponendo un accordo con l’industria.
Ora aggravate dalla pandemia, dal cambiamento climatico e dalla lotta Cina-Usa, le difficoltà dell’economia sono presenti da tempo, ma i gruppi dirigenti sono riusciti sino ad oggi a tenerle a bada. Gli anni di Merkel, come fa rilevare su Le Monde del 4 settembre Joe Kaeser della Siemens, hanno corrisposto con un periodo di prosperità per il paese (però non per tutti: sono aumentate povertà e disuguaglianze), ma ora bisogna guardare ai grandi problemi lasciati dalla cancelliera e investire sull’avvenire.
COSÌ LE INONDAZIONI che hanno toccato di recente la Germania, con il loro grave bilancio, hanno portato a prendere coscienza della necessità di accelerare la spinta alla decarbonizzazione, mentre già qualche mese fa la Corte costituzionale aveva giudicato del tutto insufficienti gli sforzi del governo in proposito. Si pensa che siano necessari 2.300 miliardi di euro di investimenti nei prossimi 30 anni.
Ma sugli investimenti bisogna più in generale ricordare, come fa Il Sole 24 Ore del 23 agosto, che quelli pubblici nel 1970 in Germania erano pari al 5% del Pil, mentre oscillano ormai da tempo intorno al 2% o poco più (di recente persino meno che in Italia, un’impresa); è visibile il decadimento infrastrutturale del paese. E questo per inseguire il pareggio di bilancio (lo Schwarze null di Schauble). D’altro canto, il Covid ha costretto il governo a rinunciare, almeno per il momento, al dogma e il bilancio ha mostrato nel 2020 un deficit mai visto, di più di 158 miliardi di euro; Schauble avrà avuto degli incubi. Ma si tornerà mai alla disciplina di prima?
Come finanziare gli investimenti in ecologia e infrastrutture? Tra le proposte, si parla di un aumento delle imposte per i più ricchi (cosa cui si oppongono gli industriali, ma anche la Cdu con il candidato alla cancelleria Armin Laschet), di trovare invece i soldi nei frutti della crescita futura, e infine di aumentare l’indebitamento. Un sicuro terreno di scontro.
UN ALTRO PROBLEMA riguarda i rapporti con la Cina. Il paese è il primo partner commerciale della Germania; il produttore di chip Infineon vi effettua il 42% delle sue vendite, mentre la Volkswagen il 41,4%. «La Cina è il presente e il futuro dell’auto tedesca», dichiara un esperto; «se non sei a tavola con i cinesi, sei nel menu», aggiunge più in generale un altro.
Ma nel frattempo le imprese del paese asiatico, come quelle tedesche e della Corea del Sud molto focalizzate sul settore industriale, competono sempre più con quelle teutoniche nei macchinari come nelle nuove tecnologie dell’auto e con i coreani nelle costruzioni navali come nell’elettronica di consumo. È di poco tempo fa la sorprendente notizia che le esportazioni cinesi di macchine utensili hanno superato quelle tedesche, raggiungendo il primato nel mondo.
D’altro canto, la Germania è spinta dai suoi interessi economici da una parte, dai suoi legami politici con gli Usa dall’altra; questi ultimi premono per un indurimento della posizione verso il paese asiatico.
Comunque, il settore industriale ha tardato ad adeguarsi ai processi di digitalizzazione come ai mutamenti ambientali e cerca ora di recuperare il terreno perduto; la cosa è evidente nel settore dell’auto, che, direttamente o indirettamente, dà lavoro a circa 15 milioni di persone, una cifra enorme, mentre produce il 55% del valore aggiunto nel settore in Europa, con il 19% della sua popolazione. Gli investimenti messi ora in campo sono molto elevati.
C’È POI L’ANNOSO PROBLEMA di sviluppo del mercato interno, sacrificato sino ad oggi sull’altare delle esportazioni. L’introduzione di un salario minimo nel 2015 ha segnato una prima rottura con tale modello. Ma ci sono molti milioni di lavoratori che percepiscono paghe molto ridotte ed è presente una larga diffusione del part-time (esso tocca più di un lavoratore su quattro).
E tralasciamo il problema delle grandi difficoltà nell’ascesa sociale dei più svantaggiati, mentre sono molti milioni i bambini sotto la soglia della povertà; accenniamo appena al sistema finanziario, che in un rapporto recente viene giudicato come inefficiente e prono agli scandali, con controlli inesistenti e con grandi banche in difficoltà.
Tanti problemi in attesa di risposte, mentre i partner dell’Unione (con Macron e i paesi del Sud in testa) e la stessa Bruxelles scalpitano, impazienti di conoscerle forse più degli stessi tedeschi.
FONTE: https://ilmanifesto.it/le-insidie-del-modello-tedesco/
La Russia divorzia dall’Occidente: ora il mondo cambierà
L’intervento militare russo in Ucraina ha segnato la fine di un’epoca nello stato degli affari globali dopo che il presidente Vladimir Putin ha lanciato l’azione la scorsa settimana. Il suo impatto si farà sentire negli anni a venire, ma Mosca si è posizionata per “diventare un agente di cambiamento cardinale per il mondo intero”. L’operazione delle forze armate russe in Ucraina segna la fine di un’era. Ha avuto inizio con la caduta dell’Unione Sovietica e la sua dissoluzione nel 1991, quando una struttura bipolare abbastanza stabile è stata ribaltata da quello che alla fine è diventato noto come “Ordine mondiale liberale”. Ciò ha aperto la strada agli Stati Uniti e ai loro alleati per svolgere un ruolo dominante nella politica internazionale incentrata sull’ideologia universalista. La crisi si è manifestata molto tempo fa, anche se non ci sono state resistenze significative da parte delle grandi potenze che sono rimaste insoddisfatte della loro posizione nel nuovo campo di gioco politico.
In effetti, per un periodo piuttosto lungo (almeno un decennio e mezzo), non c’era stata praticamente alcuna opposizione. I paesi non occidentali, in particolare Cina e Russia, hanno compiuto sforzi per integrarsi nella gerarchia. Pechino è riuscita non solo a farlo, ma ha anche sfruttato al meglio la situazione per prendere piede come giocatore dominante. Mosca, tuttavia, ne è uscita molto peggio e ha impiegato più tempo per adattarsi a questo nuovo ordine mondiale e consolidare un posto rispettabile all’interno delle sue fila. Il sistema si è rivelato allo stesso tempo rigido e traballante poiché escludeva concettualmente qualsiasi equilibrio di potere. Ancora più importante, tuttavia, non ha consentito un livello sufficiente di diversità culturale e politica, che è intrinsecamente essenziale per il funzionamento sostenibile del mondo. Una visione del mondo uniforme che escludeva tutte le altre è stata imposta utilizzando vari mezzi, compresi gli atteggiamenti nei confronti dell’attività militare.
L’operazione russa è un’immagine speculare di ciò che gli Stati Uniti ei loro alleati hanno fatto più di una volta negli ultimi decenni in diverse parti del mondo. Secondo la leggenda, lo zar Pietro il Grande brindava ai suoi “maestri svedesi” dopo la battaglia di Poltava nel 1709. Ora, l’attuale leadership russa può anche dire di aver imparato molto dall’Occidente. Nelle azioni della Russia in Ucraina, è facile individuare gli elementi – dall’esercito all’informazione – che erano presenti in America e nelle campagne della Nato contro la Jugoslavia, l’Iraq e la Libia. La tensione è stata a lungo in ebollizione e l’Ucraina è ora diventata la prima linea decisiva. Questa non è una battaglia ideologica come quella a cui si è assistito nella seconda metà del Novecento. L’egemonia mondiale è attualmente sfidata a favore di un modello molto più distribuito. Il vecchio concetto di “sfere di influenza” della Guerra Fredda non è più applicabile perché il mondo è diventato molto più trasparente e interconnesso, rendendo possibile l’isolamento solo in misura limitata. Almeno, questo è quello che abbiamo pensato – fino ad ora.
Come spesso è accaduto in passato, la lotta attuale si sta svolgendo per un territorio strategicamente importante. Il vecchio adagio “la storia si ripete” è evidente quando si passa da un media all’altro. Due diversi approcci si sono scontrati. Da un lato, c’è l’esercizio dell’hard power classico, che è guidato da principi semplici, rozzi, ma chiaramente comprensibili: sangue e terra. Dall’altro, dall’altro, un metodo moderno di propagazione degli interessi e dell’influenza, realizzato attraverso un insieme di strumenti ideologici, comunicativi ed economici, efficaci e, allo stesso tempo, malleabili, comunemente chiamati “valori”. Dalla Guerra Fredda, il più moderno di questi approcci è stato quasi sempre il metodo di riferimento. Chiamiamola con il suo nome alla moda, ma impreciso, “guerra ibrida”. Per la maggior parte, tuttavia, questo non ha mai incontrato una seria resistenza, per non parlare di uno scontro armato diretto. L’Ucraina 2022 è il test decisivo che dimostrerà quale di questi approcci regnerà vittorioso. In questo senso, hanno ragione coloro che sospettano che le conseguenze potrebbero essere molto più profonde di quanto pensassero.
La dirigenza russa, che ha deciso misure estremamente drastiche, probabilmente ne ha compreso le conseguenze, o addirittura vi ha consapevolmente aspirato. La pagina della cooperazione con l’Occidente è stata voltata. Ciò non significa che l’isolazionismo diventerà la norma, ma segna la fine di un importante capitolo storico delle relazioni politiche. La nuova Guerra Fredda non finirà presto. Dopo qualche tempo, gli effetti che l’attuale operazione militare ha causato molto probabilmente cominceranno a placarsi, e alcune forme di interazione riprenderanno, ma la linea è inevitabilmente tracciata. Anche in uno scenario favorevole, passeranno molti anni prima che le sanzioni vengano revocate e che i legami vengano ripristinati in modo graduale e selettivo. La ristrutturazione delle priorità economiche richiederà un approccio diverso, che stimolerà lo sviluppo in alcuni modi e lo rallenterà in altri. La parte più attiva della società russa dovrà rendersi conto che il suo vecchio modo di vivere è scomparso. “Fort Russia” ha deciso di mettere alla prova la sua forza e, allo stesso tempo, è diventato un agente di cambiamento cardinale per il mondo intero.
(Fëdor Lukyanov, “La fine di un’era: la pagina della cooperazione con l’Occidente è stata voltata”, da “Russia Today” del 1° marzo 2022. Caporedattore di “Russia in Global Affairs”, Lukyanov è presidente del Council on Foreign and Defence Policy e direttore della ricerca del Valdai International Discussion Club).
FONTE: https://www.libreidee.org/2022/03/la-russia-divorzia-dalloccidente-ora-il-mondo-cambiera/
POLITICA
Diseguaglianza in Italia. Il FMI certifica la causa principale (nel silenzio della politica)
Coniare Rivolta 21 02 2022
Un recentissimo lavoro del Fondo Monetario Internazionale (FMI) fornisce un quadro drammatico sulle disuguaglianze in Italia. Come d’altronde è ben noto, gli ultimi quarant’anni hanno visto un esplodere di tale fenomeno, con un aumento sensibile delle disparità in termini di guadagni che ha portato alla creazione di una vera e propria voragine tra i pochi privilegiati e la grande maggioranza della popolazione.
Non si tratta di una novità, ma di un fenomeno che abbiamo già affrontato in più occasioni, la manifestazione più evidente di come funziona una moderna economia di mercato alimentata dalla continua ricerca del profitto. Fa notizia, però, che ad occuparsene in maniera esplicita sia il FMI, una istituzione internazionale che ha dedicato una larga parte dei suoi sforzi ad alimentare le stesse disuguaglianze su cui oggi si strappa le vesti. Fa ancora più notizia – o meglio, dovrebbe fare notizia, se la cattiva coscienza di classe politica e mezzi di informazione non inducesse a guardare altrove – la causa che il FMI individua alla base dell’esplosione delle disparità di reddito.
Per trovare il colpevole, infatti, non serve cercare molto lontano: le riforme che hanno trasformato, in poco più di venti anni, il mercato del lavoro italiano da uno dei più rigidi in Europa a uno dei più flessibili (parole del FMI) sono le dirette responsabili. Pochi numeri, impietosi, spiegano meglio di tante parole di cosa stiamo parlando. La figura 1 (dati Eurostat) mostra come la percentuale di lavoratori con un contratto a tempo determinato, cioè precario, sia più che raddoppiata tra il 1995 (7%) e il 2021 (17%).
Figura 1: percentuale di lavoratori con un contratto a tempo determinato sul totale dei lavoratori. Fonte: Eurostat
La figura 2 aggiunge un altro tassello: se nel 1992 solo il 2% dei lavoratori si trovava involontariamente in un regime di part-time – cioè era part-time non per scelta, ma per mancanza di alternative migliori – nel 2020 questa percentuale arrivava al 12%.
Figura 2: percentuale di lavoratori con contratto part-time sul totale dei lavoratori. Fonte: OCSE
Quali sono stati gli effetti di questo proliferare senza controllo di precarietà lavorativa ed esistenziale? Lo studio del FMI mette in fila le risposte:
- sono aumentate vertiginosamente le disparità e le disuguaglianze nella distribuzione del reddito;
- chi è entrato nel mercato del dopo il 2000 ha enorme volatilità da un anno all’altro ed incertezza nei propri redditi, rendendo impossibile ogni progetto di vita;
- chi entra nel mercato del lavoro attraverso un contratto a tempo determinato non ha particolari prospettive di trovare un lavoro stabile.
Al danno si aggiunge la beffa. Le riforme strutturali del mercato del lavoro sono state imposte con la scusa ed il pretesto di modernizzare il Paese e renderlo finalmente competitivo sui mercati internazionali. L’effetto ottenuto, però, è stato esattamente l’opposto: la produttività del lavoro in Italia è stata frenata proprio da quelle riforme che, secondo i cantori dell’economia di mercato, avrebbero dovuto portarci in un mondo nuovo e pieno di opportunità. Come la letteratura economica eterodossa ripete da anni, se al padrone è concessa la possibilità di risparmiare sul costo del lavoro con contratti miserabili e vessatori, costui si guarderà bene dall’investire in tecnologie avanzate o nel miglioramento della qualità dei prodotti e continuerà ad utilizzare massicciamente lavoro a basso costo e a basse tutele. Il datore risparmierà anche sulla formazione della propria forza lavoro, preferendo un lavoratore precario da licenziare alla prima necessità a un lavoratore con esperienza e tutele.
Naturalmente gli effetti nefasti della precarizzazione del mercato del lavoro ricadono inevitabilmente sul livello medio dei salari anche dei residui lavoratori con contratto stabile dal momento che la presenza di potenziali alternative a buon mercato esercita una pressione al ribasso sul livello generale dei salari. A questa dinamica si aggiunge come effetto e causa insieme il generale indebolimento dei sindacati che va di pari passo con l’accresciuta ricattabilità dei lavoratori. Una ricattabilità resa poi ancor più drammatica nel contesto di libera circolazione dei capitali dalla minaccia permanente di delocalizzazione all’estero da parte delle imprese. Un circolo vizioso che ha determinato l’enorme processo di redistribuzione regressiva del reddito e della ricchezza che prosegue da più di trent’anni.
Se si gratta appena la patina di propaganda e presunta ineluttabilità che copre gli interventi che hanno riguardato il mercato del lavoro italiano negli ultimi decenni, emerge in maniera indiscutibile una sola possibile interpretazione: il virus della precarietà serve unicamente a creare un esercito industriale di sfruttati, che il padrone usa alla bisogna e getta via quando non serve più, pagati poco, male e in maniera intermittente. Uno strumento che serve ad aumentare il potere contrattuale del padronato, non solamente nei confronti del precario ma anche del lavoratore con contratto ‘regolare’, che sa che se perde il lavoro dovrà poi entrare a sua volta nel girone infernale dei contratti a termine, part-time e così via, un’arma disciplinante per alimentare il profitto sulla pelle di chi lavora.
FONTE: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-diseguaglianza_in_italia_il_fmi_certifica_la_causa_principale_nel_silenzio_della_politica/11_45240/
Discorso di Vladimir Putin: perché la Russia interviene in Ucraina
Cremlino 24 febbraio 2022, ore 6:00 (ora di Mosca)
Cari cittadini russi! Cari amici!
Oggi ritengo necessario tornare ancora una volta sui tragici eventi del Donbass, nonché sulle questioni essenziali per la sicurezza della Russia.
Comincerò da quanto ho già detto nel discorso del 21 febbraio scorso. Parlerò di ciò che in special modo ci preoccupa, delle minacce fondamentali al nostro Paese che, anno dopo anno, passo dopo passo, vengono costruite in modo lampante, senza tante cerimonie, da politici irresponsabili dell’Occidente. Mi riferisco all’espansione del blocco Nato a est, che avvicina le sue infrastrutture militari alle frontiere della Russia.
È noto che da trent’anni cerchiamo con pazienza e costanza di raggiungere un accordo con i maggiori Paesi della Nato sui principi di una sicurezza egualitaria e indivisibile in Europa. In risposta alle nostre proposte ci siamo costantemente scontrati ora con inganni e ciniche menzogne, ora con tentativi di pressione e ricatto; eppure l’Alleanza del Nord Atlantico si espande sistematicamente, ignorando le nostre proteste e preoccupazioni. La macchina militare si muove e, lo ripeto, si avvicina sempre più ai nostri confini.
Perché questo accade? Perché ci parlano in modo insolente, da una posizione di esclusività, d’infallibilità e di permissività? Da dove viene questo atteggiamento d’indifferenza e disprezzo nei confronti dei nostri interessi e delle nostre richieste, assolutamente legittime?
La riposta è chiara, tutto è chiaro e ovvio. L’Unione Sovietica si è indebolita alla fine degli anni Ottanta, poi è crollata. Quegli avvenimenti oggi ci devono servire da lezione: c’insegnano che la paralisi del potere e della volontà è il primo passo verso la decadenza e la totale sparizione. È bastato che perdessimo per poco la fiducia in noi stessi ed ecco il risultato: nel mondo l’equilibrio delle forze si è spezzato.
Di conseguenza i trattati e gli accordi precedenti non sono più di fatto applicati. Tentare di persuadere e chiedere non serve. Ciò che non conviene ai Potenti, ai detentori del potere è dichiarato arcaico, obsoleto, inutile. E viceversa: tutto quel che va a loro vantaggio viene presentato come verità incontrovertibile, da imporre a tutti i costi, senza tanti riguardi, con ogni mezzo. Chi li contraddice viene schiacciato.
Ciò di cui parlo non riguarda solo la Russia, queste preoccupazioni non sono solo nostre. Vale anche per l’insieme delle relazioni internazionali, talvolta per gli stessi alleati degli Stati Uniti. Dopo il crollo dell’URSS è effettivamente iniziata una redistribuzione del mondo; così i principi del diritto internazionale – le cui principali e fondamentali norme furono adottate alla fine della seconda guerra mondiale, consolidandone ampiamente i risultati – hanno cominciato a infastidire gli autoproclamati vincitori della guerra fredda.
Nella vita pratica, nelle relazioni internazionali e nelle regole che le reggono bisogna certamente tener conto dei cambiamenti della situazione mondiale e degli equilibri di potere.
Ma ciò andrebbe fatto in modo professionale, senza esasperazioni, con pazienza, tenendo conto degli interessi di ogni Paese e rispettandoli, nonché in piena consapevolezza della propria responsabilità.
Invece no: uno stato di euforia, prodotto dal sentimento della propria assoluta superiorità, una sorta di moderno assolutismo – per di più sullo sfondo di un basso livello di cultura generale nonché di arroganza – ha caratterizzato l’operato di chi ha preparato, adottato e fatto adottare decisioni vantaggiose solo per sé. Così la situazione ha iniziato a evolvere in modo diverso.
Non occorre cercare lontano per trovare esempi. In primo luogo, senza alcuna autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la sanguinosa operazione militare contro Belgrado. Aerei e missili sono stati usati nel cuore dell’Europa. Diverse settimane di bombardamenti continui su città e infrastrutture di supporto vitale. Dobbiamo ricordare questi fatti, perché alcuni colleghi occidentali non amano ricordarli e quando li costringiamo a parlarne preferiscono fare riferimento non già a norme del diritto internazionale, bensì a circostanze che interpretano come meglio garba loro.
Dopo è stata la volta dell’Iraq, della Libia e della Siria. Il ricorso illegittimo alla forza militare contro la Libia e la distorsione di ogni decisione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla questione libica hanno portato alla distruzione totale di questo Stato, alla creazione di un immenso focolaio di terrorismo internazionale; hanno precipitato il Paese in un disastro umanitario e nell’abisso di una guerra civile che continua tuttora. La tragedia ha condannato centinaia di migliaia, milioni di persone non soltanto in Libia, ma nell’intera regione, a una migrazione massiccia dal Nord Africa e dal Medio Oriente verso l’Europa.
Analogo destino sarebbe toccato alla Siria: l’intervento militare della coalizione occidentale, senza il consenso del governo siriano né l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, non è stato altro che un’aggressione, un’ingerenza.
Ma è l’invasione dell’Iraq a meritare un posto speciale in questa lista di azioni senza alcun fondamento giuridico. Il pretesto fu il possesso, da parte degli Stati Uniti, di informazioni affidabili sulla presenza in Iraq di armi di distruzione di massa. Per dimostrarlo al mondo intero, il segretario di Stato americano ha agitato una provetta, contenente polvere bianca, affermando pubblicamente trattarsi di un’arma chimica realizzata in Iraq. In seguito si accertò ch’era una manipolazione, un bluff: in Iraq non esistevano armi chimiche. Incredibile, stupefacente, ma i fatti sono fatti. Al più alto livello dello Stato e dall’alta tribuna dell’ONU sono state proferite menzogne che hanno prodotto enormi perdite umane, distruzioni, e anche un’incredibile ondata di terrorismo.
Si ha in generale l’impressione che l’Occidente, ovunque nelle molte regioni del mondo in cui impone il proprio ordine, lasci ferite sanguinanti, non rimarginate, ulcere del terrorismo internazionale e dell’estremismo. Gli esempi citati sono i più eclatanti, ma non sono i soli esempi di disprezzo del diritto internazionale. Inclusa la promessa al nostro Paese di non estendere la Nato a oriente nemmeno di un pollice. Ancora una volta ci hanno ingannati o, in termini popolari, ci hanno semplicemente fregati. Sì, si sente spesso dire che la politica è un mestiere sporco. Forse, ma non può essere così sporco, non fino a questo punto. Dopotutto, un comportamento da imbroglioni di tale risma contravviene non soltanto ai principi delle relazioni internazionali, ma soprattutto alle norme della moralità e dell’etica generalmente accettate. Dove sono verità e giustizia? Solo un mucchio di menzogne e ipocrisia.
Del resto gli stessi politici, analisti e giornalisti americani scrivono e dicono che in questi anni negli Stati Uniti è stato creato un vero e proprio “impero della menzogna”. È difficile non essere d’accordo, perché è vero. Ma ammettiamolo: gli Stati Uniti rimangono ciononostante un grande Paese, una potenza alla base di un sistema.
I Paesi satelliti non s’accontentano di approvare docilmente, di acconsentire, di ripetere in coro e come pappagalli le tesi degli Stati Uniti. Ne copiano anche il comportamento e ne accettano con entusiasmo le regole. A ragione si può affermare che il cosiddetto blocco occidentale, forgiato dagli Stati Uniti a propria immagine e somiglianza, è esso stesso l’“impero della menzogna”.
Veniamo al nostro Paese. Dopo il crollo dell’URSS, nonostante l’apertura senza precedenti della nuova moderna Russia e la sua volontà di cooperare onestamente con gli Stati Uniti e gli altri partner occidentali, in condizioni di disarmo praticamente unilaterale, questi hanno cercato di affondarci, di finirci e di distruggerci completamente. È quanto accaduto negli anni Novanta e agli inizi degli anni Duemila, quando il cosiddetto Occidente collettivo ha sostenuto attivamente il separatismo e le bande di mercenari nella Russia meridionale. Quanti sacrifici, quante perdite ci è costato, quali prove abbiamo dovuto affrontare prima di poter definitivamente spezzare le reni del terrorismo internazionale nel Caucaso!
Ce ne ricordiamo e non lo dimenticheremo mai.
Di fatto, fino a poco tempo fa hanno continuamente tentato di usarci per i loro interessi, di distruggere i nostri valori tradizionali e d’imporci i loro pseudo-valori, per corrodere noi, la nostra gente dall’interno. Gli stessi atteggiamenti stanno già imponendo in modo aggressivo nei loro Paesi; portano direttamente al degrado e alla degenerazione, perché contrari alla natura stessa dell’uomo. Da noi non accadrà, da noi non ha mai funzionato. Non funzionerà nemmeno ora.
Ciononostante, a dicembre 2021 abbiamo tentato ancora una volta di raggiungere un accordo con gli Stati Uniti e i loro alleati sui principi per la sicurezza in Europa e sul non-allargamento della Nato. Sforzo vano. Gli Stati Uniti non hanno cambiato la loro posizione. Non ritengono necessario raggiungere un accordo con la Russia su questi punti per noi essenziali. Continuano a perseguire i loro obiettivi senza tenere in alcun conto i nostri interessi.
Ovviamente, in questa situazione ci siamo posti il problema di cosa fare, di cosa dobbiamo aspettarci. La storia ci ha insegnato che nel 1940 e all’inizio del 1941 l’Unione Sovietica tentò d’impedire, o perlomeno di ritardare, lo scoppio della guerra. Per farlo cercò, letteralmente fino all’ultimo minuto, di non provocare il potenziale aggressore, di non prendere o di rimandare le misure più necessarie e più ovvie per prepararsi a respingere l’inevitabile attacco. E queste misure prese alla fine si rivelarono disastrosamente tardive.
Così il Paese si è trovato impreparato a fronteggiare l’invasione della Germania nazista, che il 22 giugno 1941 attaccò la nostra Patria senza dichiararle guerra. Il nemico fu comunque fermato e infine schiacciato, ma a un prezzo enorme. Il tentativo di placare l’aggressore alla vigilia della Grande Guerra Patriottica si rivelò un errore pagato caro dal nostro popolo. Durante i primi mesi di ostilità perdemmo vasti territori strategicamente importanti e morirono milioni di russi. Non ripeteremo lo stesso errore, non ne abbiamo il diritto.
Coloro che ambiscono a dominare il mondo dichiarano pubblicamente, in totale impunità e, sottolineo, senza alcuna giustificazione, che noi, la Russia, siamo il nemico. Invero oggi dispongono d’importanti mezzi finanziari scientifici, tecnologici e militari. Ne siamo consapevoli e valutiamo oggettivamente le minacce in campo economico che bussano costantemente alla nostra porta. Ma conosciamo anche la nostra capacità di resistere a questo ricatto impudente e permanente. Ripeto: valutiamo senza illusioni e in modo estremamente realistico.
In campo militare la Russia moderna, nonostante il crollo dell’URSS e la perdita di gran parte del suo potenziale, è oggi una delle potenze nucleari più importanti al mondo ed è sicuramente più avanti in una serie di armamenti di ultima generazione. A tal proposito, ogni potenziale aggressore non dovrebbe dubitare che un attacco diretto al nostro Paese comporterebbe per lui una sconfitta e conseguenze disastrose.
Allo stesso tempo le tecnologie, comprese quella della difesa, evolvono rapidamente. La leadership in questo campo sta passando e continuerà a passare di mano. Ma lo sviluppo militare dei territori adiacenti ai nostri confini, se lo consentiamo, durerà decenni, e forse per sempre, e costituirà una minaccia sempre più grande e assolutamente inaccettabile per la Russia.
Già ora, mentre la Nato si espande a oriente, la situazione del nostro Paese sta peggiorando e diventando ogni anno più pericolosa. Inoltre, in questi giorni, i dirigenti della Nato hanno parlato della necessità di accelerare, di spingere le infrastrutture dell’Alleanza fino ai confini della Russia. In altri termini, stanno rafforzando la loro posizione. Non possiamo più accontentarci di stare a guardare. Sarebbe assolutamente irresponsabile da parte nostra.
L’ulteriore espansione delle infrastrutture dell’Alleanza del Nord Atlantico, nonché lo sviluppo militare del territorio dell’Ucraina sono per noi inaccettabili. Il problema non è ovviamente l’organizzazione della Nato in sé, mero strumento della politica estera americana. Il problema è che nei territori a noi adiacenti – tengo a precisare: storicamente nostri territori – si sta creando un sistema “anti-Russia”; ostile, controllato dall’esterno, intensamente colonizzato dalle forze armate dei Paesi della Nato, dotato delle armi più innovative.
È la cosiddetta politica di contenimento della Russia praticata da Stati Uniti e loro alleati, con evidenti profitti geopolitici. Per il nostro Paese si tratta di una questione di vita o di morte, una questione di sopravvivenza storica in quanto nazione. Non è un’esagerazione, è semplicemente la verità. È una minaccia reale, non solo per i nostri interessi, ma anche per l’esistenza stessa del nostro Stato, per la sua sovranità. È la linea rossa di cui si è parlato molte volte. L’hanno superata.
Fatte queste premesse, torniamo alla situazione del Donbass. Prendiamo atto che le forze che nel 2014 in Ucraina hanno fatto il colpo di Stato si sono impadronite del potere, e l’hanno conservato, grazie a procedure elettorali meramente decorative; che hanno rifiutato definitivamente di risolvere il conflitto in modo pacifico. Per otto anni, per otto infiniti anni, abbiamo fatto di tutto per risolvere la situazione con mezzi pacifici e politici.
Invano.
Come ho detto nel discorso precedente, è impossibile guardare a quanto accade in questa regione senza muoversi a compassione. È semplicemente impossibile continuare a tollerare. Bisogna immediatamente mettere fine a questo incubo, al genocidio di milioni di persone che ci vivono. Costoro fanno affidamento solo sulla Russia, sperano solo in voi e in me. Sono queste aspirazioni, questi sentimenti, questo dolore di queste persone che ci hanno spinti alla decisione di riconoscere le Repubbliche popolari del Donbass.
Una cosa credo sia importante sottolineare. Per raggiungere i propri obiettivi, i principali Paesi della Nato sostengono in Ucraina gli ultranazionalisti e i neonazisti che da parte loro non perdoneranno mai agli abitanti della Crimea e di Sebastopoli la libera scelta di riunirsi alla Russia.
Loro [gli ultranazionalisti e i neonazisti] tenteranno ovviamente d’infiltrarsi in Crimea, come hanno fatto in Donbass, per portarvi la guerra e uccidere persone inermi. Proprio come hanno fatto le bande punitive dei nazionalisti ucraini, i suppletivi di Hitler durante la Grande Guerra patriottica. E dichiarano apertamente di rivendicare anche altri territori della Russia.
Il corso degli avvenimenti, nonché l’analisi delle informazioni che ci arrivano dimostrano che lo scontro tra la Russia e queste forze è inevitabile. È solo questione di tempo: si stanno preparando e aspettano il momento opportuno. Ora affermano addirittura di possedere armi nucleari. Non permetteremo che questo accada.
Come detto, dopo il crollo dell’URSS la Russia ha accettato nuove realtà geopolitiche. Rispettiamo e continueremo a rispettare le nazioni di nuova formazione nello spazio post-sovietico. Rispettiamo e continueremo a rispettare la loro sovranità. Un esempio è l’assistenza fornita al Kazakistan, che ha dovuto affrontare eventi tragici e sfide alle proprie strutture statali e alla propria integrità territoriale. Ma la Russia non può sentirsi in sicurezza, non può svilupparsi, non può coesistere con una costante minaccia che arriva dal territorio dell’attuale Ucraina.
Permettetemi di ricordarvi che nel 2000-2005 abbiamo risposto militarmente ai terroristi nel Caucaso, difeso l’integrità dello Stato e salvato la Russia. Nel 2014 abbiamo sostenuto la popolazione della Crimea e di Sebastopoli. Nel 2015 abbiamo usato le nostre forze armate per opporre una barriera affidabile alle infiltrazioni di terroristi dalla Siria in Russia. Non potevamo difenderci in altro modo.
Ora accade la stessa cosa. A voi e a me non è stata lasciata altra possibilità di difendere la Russia, il nostro popolo se non nel modo che oggi siamo costretti a usare.
Le circostanze ci obbligano ad agire in modo deciso e immediato. Le Repubbliche popolari del Donbass hanno chiesto aiuto alla Russia.
Perciò, conformemente all’articolo 51, parte VII, della Carta delle Nazioni Unite, con l’autorizzazione del Consiglio della Federazione di Russia, e conformemente ai Trattati di amicizia e di assistenza reciproca con le Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk ratificati dall’Assemblea federale il 22 febbraio scorso, ho deciso di compiere un’operazione militare speciale.
L’obiettivo è proteggere le persone cui il regime di Kiev ha per otto anni imposto abusi e azioni genocidarie. A questo scopo cercheremo di smilitarizzare e denazificare l’Ucraina, come pure di assicurare alla giustizia coloro che hanno compiuto molti e sanguinosi crimini contro civili, compresi i cittadini della Federazione di Russia.
Nello stesso tempo però i nostri piani non includono l’occupazione dei territori ucraini. Non abbiamo intenzione d’imporre nulla ad alcuno con la forza. E in questi ultimi tempi in Occidente sentiamo sempre più spesso affermare che i documenti firmati dal regime totalitario sovietico, che consolidano i risultati della seconda guerra mondiale, non dovrebbero più essere applicati. Ebbene, cosa rispondere?
L’esito della seconda guerra mondiale, come anche i sacrifici del nostro popolo sull’altare della vittoria contro il nazismo, sono sacri. Ma ciò non contravviene agli alti valori dei diritti umani e delle libertà, fondati sulle realtà dei decenni del dopoguerra. E non annulla il diritto delle nazioni all’autodeterminazione, sancito dall’articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite.
Permettetemi di ricordarvi che né durante la fondazione dell’URSS né dopo la seconda guerra mondiale nessuno ha mai chiesto agli abitanti dei territori dell’attuale Ucraina come volessero organizzare la propria vita. La nostra politica è fondata sulla libertà, sulla libertà di scelta di ciascuno di determinare il proprio futuro e quello dei propri figli. E pensiamo che sia importante che questo diritto, il diritto di scegliere, possa essere esercitato da tutti i popoli che vivono sul territorio dell’attuale Ucraina, da tutti coloro che lo desiderano.
A questo riguardo mi rivolgo anche ai cittadini ucraini. Nel 2014 la Russia aveva l’obbligo di proteggere gli abitanti della Crimea e di Sebastopoli da coloro che voi stessi chiamate “nazistelli”. Gli abitanti della Crimea e di Sebastopoli hanno scelto la loro patria storica, la Russia, e noi russi abbiamo sostento questo loro diritto. Lo ripeto: non potevamo fare diversamente.
Gli eventi di oggi non mirano a colpire gli interessi dell’Ucraina e del popolo ucraino. Vogliamo proteggere la Russia stessa da coloro che hanno preso in ostaggio l’Ucraina e tentano di usarla contro il nostro Paese e il suo popolo.
Ripeto, agiamo per autodifenderci dalle minacce contro di noi e da un disastro ancor più grande di quello che sta accadendo oggi. Per quanto possa essere difficile per voi, vi chiedo di capirlo e vi invito alla cooperazione affinché possiamo voltare il più presto possibile questa tragica pagina per progredire insieme, senza permettere ad alcuno d’interferire nei nostri affari, nelle nostre relazioni, che vogliamo costruire in modo indipendente così da superare tutti i problemi e, nonostante i confini, rafforzarci come unica entità. Io ci credo: è questo il nostro futuro.
Mi rivolgo anche ai militari delle forze armate dell’Ucraina. Cari compagni! I vostri padri, nonni, bisnonni non hanno combattuto i nazisti, difendendo la nostra comune Patria per consentire oggi ai neonazisti di prendere il potere in Ucraina. Avete prestato giuramento al popolo ucraino, non a una giunta antipopolare, che deruba l’Ucraina e ne maltratta il popolo.
Non eseguitene gli ordini criminali. Vi esorto a deporre le armi immediatamente e a tornare a casa. Voglio essere chiaro: tutti i militari ucraini che lo faranno potranno lasciare liberamente la zona di guerra e tornare dalle loro famiglie.
Permettetemi d’insistere ancora: l’intera responsabilità di un eventuale spargimento di sangue ricadrà interamente sulla coscienza del regime al potere in Ucraina.
Ora poche parole importanti, molto importanti per chi potrebbe essere tentato dall’esterno d’interferire negli avvenimenti in corso. Chiunque tenti d’intromettersi, o peggio di mettere in pericolo il nostro Paese e il suo popolo, deve sapere che la risposta della Russia sarà immediata e comporterà conseguenze che non avete mai sperimentate nella vostra storia. Siamo pronti ad affrontare ogni evoluzione degli eventi.
Tutte le decisioni in merito sono già state prese.
Spero di essere ascoltato
Mori: ci hanno fatto male, non credano di passarla liscia
Non credano di passarla liscia, i partiti che hanno sottoscritto i peggiori abusi di potere. Lo promette l’avvocato Marco Mori, le cui denunce contro il governo Draghi hanno intasato gli uffici giudiziari italiani. «Non bisogna fidarsi – avverte Mori – di coloro che, nei prossimi mesi, per cercare di rifarsi una verginità, vi diranno che le restrizioni sono state volute da altri, che c’era Draghi, che hanno votato per senso di responsabilità politica». E’ del tutto normale: osservando i sondaggi, si sono accorti che un potenziale partito del “no” (gli italiani contrari al “lasciapassare”) oggi varrebbe anche il 30%, quindi potrebbe diventare una forza di maggioranza relativa, in Parlamento. «Per questo corrono ai ripari e si preparano a cambiare narrativa». Un po’ comodo, no?
«Se questo cambio di narrativa consentirà loro di salvare qualche voto, e di impedire a una vera opposizione di entrare nel futuro Parlamento, a quel punto rimarremmo, ancora una volta, senza nessun tipo di strumento di difesa». Secondo Mori, è invece fondamentale riuscire a spedire nelle istituzioni una pattuglia di parlamentari. Missione: «Dare battaglia a questi personaggi che, finora, lì dentro, hanno goduto di un comfort assolutamente particolare, che ha consentito loro di fare le peggiori oscenità, nei confronti del nostro paese, sia dal punto di vista economico che da quello della cessione di sovranità, oltre chiaramente anche riguardo alle restrizioni, con le quali negli ultimi due anni si è toccata perfino la libertà personale». Per Mori, questa chance non dev’essere sprecata: «Non dobbiamo credere a quei cambi di rotta (che certamente faranno, per cercare di “cucinarci” a dovere ancora una volta)». E questo non riguarda solo la Lega e i 5 Stelle, ma anche Fratelli d’Italia: un partito che si è avvantaggiato dal fatto di essere formalmente all’opposizione, ma la sua «è stata un’opposizione totalmente sterile, nella quale non si è mai presa nessuna posizione giusta, corretta e leale, rispetto a tutto quello che stava avvenendo». Quella Meloni è stata «un’opposizione solo di facciata, per riassorbire eventuali elettori in fuga (prevalentemente dalla Lega)». Insiste Mori: «Questa è stata l’operazione, quindi non dobbiamo cascarci».
L’avvocato genovese si esprime in modo nettissimo: «Queste forze politiche vanno azzerate, è davvero necessario che spariscano dalla scena nazionale». Ricorda Mori: «Io lo dicevo già in tempi non sospetti, quando ripetevo che Lega e 5 Stelle – sull’euro e l’Ue – ci prendevano semplicemente per i fondelli. Avevo capito con chi avevamo a che fare, e volevo evitare che il paese arrivasse a questa situazione, la peggiore possibile, e senza un’opposizione in Parlamento. E’ qualcosa che non possiamo permetterci, nella prossima legislatura». E non pensiate – chiosa Mori – che questo sia un passaggio elettorale inutile: «Perché un gruppo importante di parlamentari, di vera opposizione, avrebbe necessariamente visibilità; e da lì in poi sarebbe un percorso probabilmente in discesa, per andare a recuperare le redini di questa nazione».
(Video: Mori su “Money.it” con Fabio Frabetti).
FONTE: https://www.libreidee.org/2022/02/mori-ci-hanno-fatto-male-non-credano-di-passarla-liscia/
SCIENZE TECNOLOGIE
I MEDICI CHE NON VOGLIONO SERVIRE BIG PHARMA SI UNISCONO, NASCE LA SIM
di Valentina Bennati
comedonchisciotte.org
C’è una buona notizia. Alcune associazioni da tempo impegnate nella tutela della salute si sono unite e hanno costituito la SIM, Società Italiana di Medicina.
Si va quindi formando – e sta crescendo di giorno in giorno – un elenco di medici, odontoiatri e altre figure che si occupano a vario titolo di salute (ad esempio, biologi, psicologi, fisioterapisti) che rivendicano il diritto-dovere di operare in piena libertà e autonomia, senza alcuna pressione, imposizione o condizionamento economico, politico o di qualsiasi altra natura. La appena nata SIM ha, infatti, tre punti fermi: libertà di cura da parte del medico, libertà di scelta del paziente e tenere lontane le interferenze dell’industria farmaceutica.
Sono quattordici al momento gli enti associati tra cui figurano, tra gli altri, AMPAS (Associazione Medici per un’Alimentazione di Segnale), guidata dal dottor Luca Speciani, molto critico, fin dai primi mesi del 2020, verso la gestione politica e sanitaria del nuovo coronavirus; AIMeF (Associazione Italiana Medicina Forestale); AsSIS (Associazione di Studi e Informazione sulla Salute); Mille Medici Per La Costituzione e SOFAI, Società Farmacisti Antroposofi Italiani.
Ma si tratta di una realtà giovane e vivace che sta crescendo rapidamente e che rimane aperta alle adesioni di altre associazioni e singoli nell’intento di formare una rete che abbia sempre maggiore voce e incisività con l’obiettivo finale di promuovere e sviluppare modelli di salute, sanità e cura più umani che tengano in considerazione tutti gli aspetti della persona: fisico, psichico, sociale e spirituale.
Si legge infatti nel Manifesto della SIM:
“Riconosciamo la Medicina basata sulle Prove (EBM) quando si ispira ai principi della prevenzione primaria, della profilassi e della terapia personalizzata, funzionale al mantenimento o al ripristino della salute, intesa come rispetto del fisiologico equilibrio dinamico dei bioritmi circadiani dei sistemi neuro-endocrini. Non accettiamo l’approccio riduzionistico della Medicina Moderna, basata sulla valutazione dell’organo singolo e delle sue funzioni e NON sulle correlazioni esistenti tra l’organo malato e ogni altro organo e di come questi si influenzino tra loro, agendo quindi sulla salute generale del corpo nella sua complessità e interezza. Non consideriamo la Medicina una scienza, ma un’arte che attraverso lo studio dell’anatomia, della fisiologia, della biologia, della biochimica, dell’antropologia, ci permette di conoscere le esigenze funzionali, organiche, psichiche, spirituali dell’essere umano per mantenersi in salute. La medicina è una e ha basi scientifiche, ma richiede anche vicinanza, etica, disponibilità all’assistenza, umanità, empatia, ascolto, competenza, coraggio.”
E ancora:
“Oggi la formazione del medico è sottoposta a forti condizionamenti economici e politici, ed il suo operato è limitato da linee guida stilate da società scientifiche non sempre prive di conflitti d’interessi. Inoltre, l’aggiornamento medico scientifico inerente le tecnologie diagnostiche e i dispositivi sanitari è in parte finanziato direttamente dall’industria farmaceutica.
La sola espressione di dubbi o perplessità viene oggi punita, come se non fosse parte integrante del processo decisionale di cura.
Rivendichiamo dunque il diritto di esercitare il nostro sacro e prezioso lavoro di medici in piena libertà e indipendenza, senza conflitti di interessi e senza dover rendere conto ad entità economiche terze: il nostro obiettivo è e dovrà sempre restare la tutela della salute dell’essere umano: intesa in senso fisico (assenza di malattia), psichico, sociale e spirituale.
I modelli di salute, sanità e cura che intendiamo promuovere e sviluppare devono agire sui determinanti di salute, anche ambientali, socio-economici e culturali, devono privilegiare la cura della persona e non della sola malattia, favorendo un adeguato stile di vita (alimentazione e attività fisica salutari, esposizione alla luce solare, aria pura, ambienti sani, sana socialità) evitando quanto più possibile il ricorso a farmaci, secondo l’antico principio del “Primum non nocere”. Contrasteremo la medicalizzazione della salute, l’invenzione delle malattie e denunceremo i trattamenti inefficaci legati alla sola logica del profitto, lottando per l’indipendenza del sistema sanitario e della ricerca scientifica e contro tutti i conflitti d’interessi.
Dalla lettura del Manifesto emerge anche in modo chiaro la posizione della SIM in tema di obbligo vaccinale, tematica rovente da un anno a questa parte e motivo di scontro e divisione sociale. E la posizione è ovviamente opposta rispetto a quella dell’Ordine dei Medici e degli altri Ordini delle varie professioni sanitarie.
Si legge infatti:
“La protezione della salute collettiva non potrà dunque fare leva su obblighi e costrizioni, che possano contrastare i diritti costituzionali e ogni decisione medica non potrà mai ledere la dignità di ogni singolo individuo e della sua collettività, sia durante la sia vita sia nel momento di accompagnamento alla morte.
Rivendichiamo dunque, insieme a tutti gli altri operatori sanitari, senza i quali il nostro lavoro sarebbe impossibile, la nostra dignità di medici, per poter operare in piena libertà e indipendenza di giudizio, senza alcuna costrizione economica, politica o amministrativa, liberi di esprimere i nostri dubbi e di ampliare le nostre conoscenze sulle cure, con l’obiettivo primario di tutelare la salute dell’essere umano.
Rifiutiamo di asservire il nostro lavoro agli interessi economici o sociali dell’industria o della politica, impegnandoci invece al pieno rispetto della libertà di scelta di cura.”
Infine l’invito ad altre associazioni che condividono il manifesto ad aderire per dare vita, tutti insieme, a forze e risorse sinergiche in grado di superare l’attuale pressione degli obblighi istituzionalizzati e dei protocolli ufficiali e gli abusi perpetrati dagli ordini professionali:
“La Società di Medicina accoglierà i singoli operatori e le Associazioni che vorranno impegnarsi in questo processo di cambiamento, di ricerca, di formazione, di cura dei singoli cittadini e di tutta la popolazione.”
Sì, quel che serve adesso è, appunto, UNIRE LE FORZE perché c’è molto da fare e da cambiare e i singoli e le stesse associazioni da sole, per quanto ricche di iscritti, non sono forti abbastanza.
In questi tempi di deriva autoritaria, ricattatoria e liberticida ci vuole una rete ben organizzata di enti e soggetti che siano in grado di lavorare all’unisono con obiettivi concreti, chiari e condivisi.
Quel che serve adesso è anche LA POSSIBILITA’ DI UN CONFRONTO LIBERO E SERENO adatto allo scambio di conoscenze medico-scientifiche, ma anche di cultura a 360°. Infatti, solo attraverso un dialogo rispettoso tra le diverse esperienze nel campo della medicina e l’interazione con altre scienze e ambiti del sapere, è possibile costruire una vera cultura della salute.
Quello della neonata SIM non sarà un percorso facile, ma gli intenti sono ottimi e le potenzialità importanti si intravedono. Chi è interessato può trovare QUI maggiori informazioni ed eventuali contatti.
FONTE: https://comedonchisciotte.org/i-medici-che-non-vogliono-servire-big-pharma-si-uniscono-nasce-la-sim/
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