La “sacralità” della cultura
La “sacralità” della cultura, questo mito che abbiamo messo in circolazione, si riallaccia al proposito degli illuminati francesi di sostituire i religiosi, di cui combattevano il monopolio educativo e le “superstizioni” ma accettavano l’investitura celeste, se non divina, e il compito di fare il buon pastore.
I religiosi sempre, gli illuminati quasi sempre, erano convinti di possedere la verità assoluta che rende simili a Dio.
Come ha dimostrato Hayek anche l’idealismo di Hegel e il positivismo scientifico di Comte, pure in apparenza opposti, confluiscono entrambi nell’immenso serbatoio di superbia, dal quale attingeranno i totalitarismi del nostro dannato XX secolo.
Le masse furono accusate di non essere razionali, e forse non lo sono, ma l’esperienza ci ha mostrato, spero non del tutto inutilmente, quanto possa essere peggio il razionalismo acritico, privo di dubbi, dei pianificatori del destino altrui.
uperbia
Sergio Ricossa, I pericoli della solidarietà, Rizzoli, 1993, pag. 72-73