Da Flaubert a Nabokov. I capolavori scampati al politicamente corretto

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Da Flaubert a Nabokov. I capolavori scampati al politicamente corretto

Alcune opere celebri non sarebbero mai state «autorizzate» da Facebook e da Hollywood

Massimiliano Parente – 24/07/2018

«Era un buon lavoro come tutti quelli della sua razza; ho conosciuto ben pochi negri che avessero il cuore al posto giusto» scrisse Mark Twain in Viaggio in paradiso (ma di negri sono pieni tutti i romanzi di Twain, a partire dal famoso Le avventure di Huckleberry Finn, senza contare Faulkner e McCarthy).

Mentre se lo avesse scritto oggi su Facebook sarebbe stato bloccato, come è successo a me, bloccato per un mese, per aver usato «negro» (per difendere i negri tra l’altro) e, altro mese, «frocio» (per difendere il gay pride).

Potreste mettere nel vostro status anche una citazione del Tristram Shandy di Laurence Sterne: «I negri hanno un’anima», e Facebook vi metterebbe in punizione. Certo, bisognerebbe spiegare a Zuckerberg che «negro» non è la traduzione italiana della parola spregiativa «nigger», la quale costò a Agatha Christie la censura del titolo Dieci piccoli indiani (l’originale era Ten little niggers). E che non è cambiando le parole che si cambia la mentalità, come spiegano scienziati del livello di Steven Pinker contro la censura del politicamente corretto.

D’altra parte l’algoritmo di Zuckerberg ha appena censurato la Dichiarazione d’Indipendenza americana, mentre gli studenti dell’Università di Manchester hanno cancellato il murales della poesia If di Rudyard Kipling in quanto razzista e imperialista. Figuriamoci cosa succederebbe a romanzi che oggi sarebbero accusati di sessismo, bullismo, razzismo e quant’altro, come la Justine, la Nouvelle Justine o La filosofia nel boudoir, del divin marchese. Nei romanzi di De Sade il concetto è chiaro e ripetuto: «Una bella ragazza deve solo dedicarsi a fottersi e mai a generare». Provate a leggerlo alla Boldrini. La quale va tenuta lontana anche da romanzi sessisti come L’animale morente di Philip Roth, avventura di un vecchio con una giovane (come anche ne La noia di Alberto Moravia) o da American Psycho di Bret Easton Ellis, razzista, sessista, bullista, omicida e alla fine senza neppure una favola della morale.

Da bandire, anzi, per spaccare il capello femminista in quattro, sarebbe anche Madame Bovary, perché diciamo la verità, Flaubert ha scritto un romanzo terribilmente maschilista e incompatibile con l’era del #metoo, che dimostra quanto può essere stronza una donna. Non per altro ne è nato anche un aggettivo: «bovarismo», non propriamente un complimento. E di donne bovariste si riempiranno tutti i romanzi successivi, solo nella Recherche di Proust è pieno, da Odette a Albertine (di quest’ultima il Narratore si libera, facendola morire in un incidente a cavallo, e scoprendo post mortem quanto fosse stronza). Addirittura, all’inizio del secolo successivo un altro francese, Blaise Cendrars, nel suo capolavoro Moravagine (appena ripubblicato da Adelphi), arriva a disprezzare le donne e a elogiare il femminicidio. Per non parlare di Tropico del Cancro e Tropico del Capricorno di Henry Miller, sprizzano sessismo fallico a ogni riga. Per Miller le donne si chiavano e basta, se postaste su Facebook una citazione del tipo «Merda, magari la si chiava insieme… si va in macchina e a caccia, con dei bei vestiti addosso. Lei vuole solo farsi chiavare, e basta» vi arriverebbe un bel messaggio di blocco perché il vostro testo è sessista e non rispetta le regole della community.

A proposito, leggetele, le regole della community di Zuckerberg: non solo non si può dire niente, ma sparirebbe tutta la letteratura mondiale. Se poi si applicassero alla letteratura le regole puritane di Hollywood e Netflix sparirebbe anche il tanto celebrato Petrolio di Pier Paolo Pasolini, dove c’è una scena che dura pagine e pagine di sesso orale praticato da un adulto su un minorenne dopo l’altro (cosa che oltretutto Pasolini faceva anche nella vita, ma Pasolini non si tocca, mentre se Kevin Spacey tocca qualche culo di maschio adulto sul set non lo si fa più lavorare, è un molestatore, come lo è Morgan Freeman solo perché faceva degli apprezzamenti a donne dai vestiti attillati). Per non parlare di Lolita del grande Nabokov, scherziamo? È un’istigazione alla pedofilia bella e buona.

Su Céline meglio soprassedere, come è noto parte dei suoi libri non si ristampano perché antisemiti, Zuckerberg non gli farebbe neppure aprire un account. E però a pensarci bene perfino un insospettabile classico al di sopra di ogni sospetto come I promessi sposi non potrebbe esistere, Don Rodrigo sarebbe bloccato subito da un magistrato in quanto stalker e molestatore e sessista, e però, signore mie, senza Don Rodrigo cosa resterebbe della storia? Quei due sfigati morti di sonno di Renzo e Lucia? Chissà perché, però, nella vita è tutta una molestia e un pugno alzato di Asia Argento, mentre in libreria vanno a ruba i porno per signore, da Cinquanta sfumature di grigio in poi è tutto un elogio della molestia, che amano leggere le donne.

E che dire di King Kong, romanzo e film? Il più grande molestatore di tutti i tempi, grande, grosso e peloso, altro che Harvey Weinstein: vede una donna, si innamora, se la piglia e la trascina sull’Empire State Building. Poi arrivano le femministe politicamente corrette del #metoo a bordo degli aerei e lo abbattono. Ma forse qui, almeno, potremmo sperare nel politicamente corretto degli animalisti.

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