DIEGO FUSARO ODIA LA RESILIENZA

DIEGO FUSARO ODIA LA RESILIENZA

di Manlio Lo Presti (scrittore esperto di banche e finanza)

Il libro di Diego Fusaro “Odio la resilienza”, con il significativo sottotitolo “Contro la mistica della sopportazione”, è stato pubblicato a maggio del 2022. Il Pnrr – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza nasce il 22 giugno 2021, data in cui la Commissione Europea ha approvato il Piano italiano. Il filosofo percepisce nella parola “resilienza” una forte tonalità negativa. Nella neolingua dominante, il significato è quello di adattamento individuale e ininterrotto ad un sistema che è ingiusto nelle sue fondamenta neoliberiste. Una sovrastruttura considerata e propagandata come ineluttabile. Un sistema che, grazie ad una lunga, attenta e continua propaganda, spaccia come irriformabile e senza alternative. Il mutamento, inevitabile e continuo, avviene quindi a carico delle persone. Sono i cittadini che devono incessantemente modificare sé stessi per adattarsi ai mutamenti del neoliberismo selvaggio costruito su una immane montagna di ingiustizie e violenze.
Coloro che non riescono a plasmarsi continuamente sono dei disadattati. Devono farsi aiutare dagli specialisti della mente – psicologi, psichiatri, sociologi, pedagoghi. Il libro evidenzia con grande chiarezza che il neoliberismo globalista ha ribaltato le responsabilità addossando ai cittadini la necessità di riformare sé stessi e non quello di ipotizzare un futuro di libertà e di democrazia intraprendendo azioni di riforme e di ridisegno delle strutture sociali, economiche, culturali. La teologia neoliberista è riuscita ad inculcare nella popolazione la convinzione che il mondo non è modificabile adottando un’ipotesi ideale di società alternativa. Non è casuale l’adozione di questa parola come titolo di un lunghissimo decreto recente con l’uso dell’acronimo PNRR, come a dare un significato ineluttabile che non offre alcuno spazio di riflessione per proposte alternative e/o integrative. Praticamente sono eliminati il futuro, la speranza.
Il libro parte da questa riflessione per offrire ai lettori una panoramica storica, sociale, culturale filosofica e letteraria del concetto di resilienza che nel corso del tempo ha assunto una connotazione sempre più negativa. È sinonimo di sopportazione, di capacità di assorbire senza troppi danni fisici e mentali i colpi negativi di una esistenza costellata di prevaricazioni, ingiustizie ed altre atrocità provenienti da una struttura sociale orientata ossessivamente al successo, all’individualismo, alla denatalità, alla paura della precarietà permanente. Interessante l’analisi della diffusione di correnti psicologiche orientate alle procedure per “lavorare su sé stessi”, di esperti che hanno ricette risolutive, ad esempio, per vivere meglio in 10 tappe. Squadre di psicologi, psichiatri e assistenti sociali che incoraggiano l’azione di rimodellare sé stessi ma mai favoriscono le facoltà di immaginazione di una società diversa e possibile. L’Autore fa notare che nessuna delle correnti intellettuali di oggi prevede minimamente la possibilità di adottare un pensiero di società diverso da quello neoliberale e dell’utilitarismo selvaggio. Nessuno prefigura la possibilità di elaborare una teoria mirante alla creazione di una società alternativa, di un progetto ideale. La citazione di numerosi testi nel corso della trattazione dimostra che l’Autore ha proceduto ad una ricerca minuziosa che ha toccato diversi settori evidenziando le reciproche connessioni.
Il testo si legge con interesse. Fusaro fa ricorso ad una terminologia talvolta barocca ma perfettamente comprensibile. Traspare una giusta dose di indignazione fra le righe. Una posizione etica di dissenso che dà colore e calore alle pagine che si avvicendano velocemente. Questa trattazione evidenzia un punto di vista poco comune su un termine chiave della contemporaneità e di cui si è impadronito la neolingua “turbocapitalista” attuale. La “resilienza” è parente del detto “mi piego ma non mi spezzo”. Offre un universo di sofferta sopportazione senza alcuna possibilità di proposta alternativa. L’Autore ricorda infatti l’ignobile sigla T.I.N.A. del governo inglese della Tatcher, sviluppato in There Is No Alternative. Punto e basta. Nel mondo rovesciato della neolingua ultraliberista, il carico delle disuguaglianze abissali della iperfinanziarizzazione mondiale ricade interamente sulle spalle della techgleba, bersaglio di una consolidata campagna psicologica che la carica continuamente di complessi di colpa.
Da notare, infine, la predilezione per l’uso smodato degli acronimi per far capire il meno possibile. Un trucco di moda nell’Impero romano e nella produzione legislativa dell’Unione Europea. La neolingua del globalismo imperiale è costellata di sigle. Buona lettura

FONTE: https://www.lapekoranera.it/2023/09/05/diego-fusaro-odia-la-resilienza/