Il miracolo Islanda. Popolo di lettori in una terra di vulcani
La natura sovrasta ogni vita, dalle piccole volpi argentate ai piccoli esseri umani. Triste d’inverno, d’estate è unica la mondo
Il nuovo vichingo, il capitano Gunnarson ha alzato le mani e le ha battute al ritmo del ribollio geotermico dei geyser. Lentamente, perché il fiotto prima di esplodere è un’enorme bolla che si gonfia in attesa di eruttare altissima e potente. I suoi compagni di squadra facevano lo stesso gesto, e così i tifosi islandesi allo stadio. Avevano battuto l’Inghilterra, la perfida Albione ormai più isolana di loro. Il battito delle mani è continuato, scandendo il tempo dell’esplosione naturale della fontana bollente. E poi il geyser umano è scoppiato, come lo Stokkur (il più grande geyser di tutti) ha prodotto meraviglia e gioia. Pochi popoli hanno un legame così stretto con la propria terra come gli islandesi. Il loro paese è un museo naturalistico a cielo aperto, un prodigio di bellezza, mutevole nei materiali, incredibilmente cangiante nei colori. Apparentemente inospitale d’inverno (ricordate NoI Albinoi, film interamente girato nel buio d’Islanda), con le distese di ghiaccio, un freddo becco e turbini di neve, descritta nel tintinnare dei ghiaccio da Bjork, d’estate è un paradiso da perdere la testa. Nulla è così primordiale nel globo. Se l’Africa si può definire ancestrale, l’isola sperduta nell’oceano, ponte tra continenti, è il primitivo assoluto, è il prima del prima che noi si possa immaginare. Non c’erano tribù ad abitarla, finché uno sparuto avamposto di monaci irlandesi capitò lì. E poi arrivarono anche i danesi, ma molto dopo. Le saghe ben descrivono e documentano le gesta di semplici paesani assurti a eroi che vivevano di pastorizia e pesca, una narrazione ante litteram di grande modernità. Perché gli islandesi sono questo: modernità e tradizioni amalgamate alla perfezione e prese seriamente. È gente che usa internet fino al parossismo, vincono così il loro isolamento, ma non permettono di costruire su una collina di Rejkiavik perchè tutti fermamente convinti che lì vi abitino gli spiritelli, i famosi troll. Hanno preteso una specie di neutralità scandinava, combattendo per l’indipendenza dalla Danimarca, e poi sono cascati nella bolla speculativa americana. Ne sono venuti fuori in modo egregio, tutti insieme. Nella lunga, bianca oscurità invernale non si buttano dalla finestra, nelle fattorie sperse nel nulla abbondano strumenti musicali e libri. Una montagna di libri, essendo i più forti lettori al mondo. E anche bravi scrittori, il classico Gudmunsson e il suo bellissimo Angeli dell’Universo, l’ironico Helgason e la sua 101 Rejkiavik. Nella capitale dove si è radunata la maggior parte della popolazione, è un pullulare di bar, deliziosi locali e una vita giovane. Nello stesso tempo, la loro esuberante isola la curano con attenzione, i vulcanologi, i geologi e i biologhi marini abbondano. Perché in Islanda può anche capitare che spunti un’isola all’improvviso, dalla sera alla mattina e gli abitanti increduli della costa meridionale se la trovino davanti. E ne facciano, preservandola, un esperimento naturalistico dove mimare la nascita della fauna e della flora prima dell’avvento dell’uomo. Il paesaggio cambia spesso, dall’imponente crollo di una parte di ghiacciaio è nato il lago degli iceberg, il Jokursarlon, navigabile da mezzi anfibi che portano stranieri e islandesi a toccare gli iceberg emersi, grandi blocchi moventi, a seconda del vento tesissimo, e possa succedere di avere tra le mani il ghiaccio di 1500 anni fa. La natura sovrasta ogni vita, dalle piccole volpi argentate ai piccoli esseri umani. Salendo sull’immenso Vatnajokull con la motoslitta pare di essere al centro dell’universo, di tornare a un grembo e al primo vagito. Solo ghiaccio e cielo, cielo e ghiaccio (e i cellulari funzionano benissimo). La spiaggia nera, il sandur, le cascate gigantesche, la lava a cuscinetto delle gibbose colline dicono dei vulcani, del fuoco e dell’acqua, dell’aria e della terra. Islanda dei contrasti, esplosiva, quieta, fatta di silenzi e solitudine, merluzzi e aringhe, e greggi di pecore sparse in mezzo al nulla. Vitale e introversa. La scrittrice Ava Olafsdottir ha intitolato il suo romanzo: La donna è un’isola. Niente di più vero, anche se, data l’emancipazione totale delle donne islandesi, avrebbe potuto capovolgere il concetto. L’isola è una donna, e non avrebbe fatto una piega.