Il supermanager planetario alla guida di un’azienda ex italiana
Manlio Lo Presti – 26 luglio 2018
La morte di un protagonista dell’economia della produzione non lava improvvisamente gli effetti sociali devastanti del suo operato costruiti e cercati per realizzare esclusivamente ristrutturazioni aziendali dalle conseguenze sanguinose, in pieno stile impero assiro babilonese, prioritariamente ed esclusivamente nell’interesse di un gruppo di azionisti in gran parte non italiani.
È ancora da scrivere – fuori dalle retoriche di regime la vera storia del gruppo FIAT – FCA e dei suoi veri effetti sulla storia economica e sociale dell’Italia dal secondo dopoguerra ad oggi-.
Finora, la vulgata oleografica, stampata e mediatica in circolazione, continua platealmente ad omettere molti punti non ancora chiariti, soprattutto per quanto riguarda la complicità o la pianificata inerzia di importanti parti sociali nazionali che avrebbero dovuto fare il loro dovere usando semplicemente e banalmente la normale diligenza prevista dal loro ruolo istituzionale.
Aspettiamo – senza molta speranza che ciò accada – che gli intellettuali della ex-italia facciano finalmente il loro dovere smettendo la miserabile veste di corifei del DEEP STATE DE’ NOANTRI.
Va ancora una volta detto che la storia del nostro martoriato Paese è un racconto coloniale avente un copione il cui registro fondamentale è stato contrassegnato da una ininterrotta serie di vicende puramente servili fino al ridicolo: potenza dei miliardi di dollari elargiti a piene mani dal Dipartimento di Stato tramite la pressante e soffocante sovragestione degli ambasciatori tempo per tempo designati dalla Casa Bianca.
La vicenda del manager, ex italiano perché DI CITTADINANZA SVIZZERA (Cantone Vaud) dopo essere stato canadese, ne è il paradigma più classico.
Quando l’Italia sbanda o è sul punto di implodere, i poteri atlantici scelgono ed inviano di volta in volta “facilitatori” e “finalizzatori” con le caratteristiche ed i curricula ad hoc per imporre le “sterzate giuste”, specialmente quando l’italietta aveva la vana presunzione di diventare un Paese normale con i suoi manager attenti al reale interesse nazionale e che, per questo, sono stati uno dopo l’altro assassinati e trucidati con operazioni intimidatorie e spettacolari poi coperte da una forestazione infernale e pluriennale di depistaggi a partire da Adriano Olivetti, fino a Mattei, Cagliari e tanti altri ancora.
Come ben riportato dalla biografia di Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Sergio_Marchionne , il manager ha lavorato all’estero senza soluzione di continuità, nell’interesse di strutture americane accuratamente elencate nella ridetta biografia wiki. È stato responsabile di varie strutture atlantiche (membro del CdA del Peterson Institute for International Economics, nonché co-presidente del Consiglio per le Relazioni tra Italia e Stati Uniti), e altissimo dirigente di Unione Banche Svizzere UBS.
La densissima carriera di questo personaggio è stata così folgorante da far pensare che -in perfetta somiglianza con altre note carriere che hanno agito nel nostro Paese – sia stata il raffinatissimo e sagace prodotto di una pianificazione di laboratorio e costruita dai “piani alti” utilizzando strutture universitarie o di selezione e formazione – a titolo puramente esemplificativo – simili a McKinsey, Hay Management, per intenderci
Il personaggio ha dimostrato ampia intelligenza. Ma la sua proiezione professionale è stata esclusivamente internazionale fino al 2004, anno del suo ingresso in Fiat. Anche dal 2004, ha “risanato” con spargimento di sangue italiano il cui peso sociale è stato pagato ovviamente dalla collettività italiana, il gruppo industriale conferendogli una crescente proiezione internazionale grazie alle relazioni acquisite principalmente negli USA.
P.Q.M.
Affermare oggi, che è “scomparso un grande italiano” è un’ipocrisia macroscopica ed una efferata e vergognosa deformazione mediatica, con buona pace dei suoi più accesi laudatori collocati in gran parte in un noto partito di governo, ora rabbiosamente all’opposizione.
Perché Bruto è uomo d’onore… (Shakespeare, Giulio Cesare, Atto III – 1599-1600)
Ne riparleremo