José Saramago, Saggio sulla lucidità, Einaudi, 2004, Pag. 290
Manlio Lo Presti – 3 aprile 2018
Questo libro, pubblicato da Saramago nel 2004 e nello stesso anno stampato in Italia da Einaudi, può essere considerato a giusto titolo un “giallo elettorale” con risvolti politici. Una lettura di grande attualità se pensiamo alla incertezza politica ed istituzionale in cui versa oggi, nel 2018, il nostro tormentato Paese.
L’Autore induce a domandarci: quale è il perimetro delle cosiddette libertà civili? Si tratta di una questione difficile e ancora priva di una risposta condivisa che il libro affronta sviluppandola nel corso di una narrazione di profilo volutamente basso, quasi banale. Il lettore viene coinvolto in un rapido susseguirsi di fatti che avvengono dopo la decisione della popolazione di una imprecisata nazione (leggasi Portogallo) a votare scheda bianca, con una affluenza alle urne di oltre il 70 percento!
La narrazione descrive l’incalzare degli avvenimenti con uno stile minimalista costituito da un uso sapiente dei dialoghi e dall’utilizzo di una punteggiatura scarna. Le scarsissime maiuscole usate solo ad inizio periodo, vogliono conferire scarso peso alle persone e alle istituzioni che intrecciano i loro destini all’interno di eventi apparentemente senza importanza.
Il finto minimalismo dell’Autore inquadra la reazione dei Poteri nazionali dentro un alone di miseria morale, di ottusità sociale e di cinismo. Le forze di polizia si muovono con cautela nell’indagare sul perché del massiccio voto bianco, nel timore di una violenta reazione della popolazione. Nel frattempo, mentre la polizia e servizi segreti sguinzagliati annusano e girano, la gente continua a vivere e ad amministrarsi da sola con saggezza ed equilibrio, dopo che i Poteri hanno deciso di lasciare vigliaccamente la città, nella speranza che questa imploda nel caos, anche provocato da un attentato da parte dei servizi segreti.
La figa delle Autorità evidenzia il sentimento di odio che il potere nutre nei confronti delle masse governate e che volentieri sterminerebbe ad un primo accesso di ribellione, in barba ad ogni precetto democratico.
Nonostante il gioco di specchi, di silenzi, di frasi pronunciate sottovoce o urlate nei luoghi chiusi del Palazzo, si evidenzia con prepotenza la tesi di fondo che percorre tutto il testo: in che misura sono utili allo sviluppo democratico di un popolo i presunti amministratori della Cosa pubblica fintanto che la Cosa stessa viene gestita come una proprietà personale?
Il libro ha una fine che non riveliamo. Una fine coerente con la millenaria contrapposizione tra dominatori e sudditi – oggi pietosamente ridefiniti politici e cittadini. Cambiano i suonatori, ma la musica è sempre la stessa.
Si tratta di un bel libro sulla libertà. Si articola con una fitta sequenza di colpi di scena, con sottili descrizioni della natura umana nella sua meravigliosa ed insperata capacità di riscatto e di resurrezione.
Un libro da leggere e da regalare.