NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 10 DICEMBRE 2018

http://federicodezzani.altervista.org/geopolitica-applicata-al-2019/

NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

10 DICEMBRE 2018

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Mantenere efficiente il linguaggio è importante ai fini del pensiero.

EZRA POUND, Saggi letterari, Garzanti, 1973, Pag. 43

 

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Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

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SOMMARIO

Pochi euro al giorno per i poveri africani

Dalla Ue 6.000 euro per ogni migrante salvato. Salvini: “L’Italia non ha bisogno elemosina”. 1

Bruxelles offre 6.000 euro per ogni migrante accolto. Ma Salvini dice no. 1

Il neovocabolario del paradigma liberale

Con l’arresto dell’esecutivo, gli Stati Uniti vogliono soffocare Huawei 1

Trovato morto il Comandante della V Flotta statunitense. 1

Il trionfo del Verdi patriota. È la serata contro i barbari 1

L’invasione degli ultratabù. 1

Carne macinata per l’universo: la vera rivoluzione italiana. 1

L’Italia deve

NON È STATO PUTIN. È LA FRANCIA DI MACRON. 1

L’aggressione della NATO raggiunge le acque russe. 1

Geopolitica applicata al 2019. 1

IL GRANDE GILAD ATZMON HA BISOGNO DI NOI MA PAYPAL LO HA BLOCCATO.. 1

I problemi di Huawei non impediranno alla Cina di guidare la corsa globale del 5G.. 1

L’economia dei lavori fasulli 1

Acquiescente. 1

Regime di Kiev, creatura dei Frankenstein occidentali 1

I neocatecumenali: da Cristo al giudaismo. 1

Il rapimento Huawei ed altri fatti 1

Bifarini: agonia Ue, elettori traditi. Unica chance, l’Italexit 1

Il governo del cedimento. 1

Kennedy: il collegamento a George Bush. 1

 

EVENTO

 

 

EDITORIALE

I POCHI EURO AL GIORNO PER I POVERI AFRICANI

Manlio Lo Presti – 9 dicembre 2018

 

Come ogni anno, il periodo natalizio è caratterizzato da una serie di eventi consumistici, politici, economici, pseudoumanitari.

 

Tutto questo sciame fonetico/sismico/carnevalesco pone in ombra la profonda spiritualità della data: la resurrezione dello spirito e la sua crescita perseguita incessantemente.

 

Fra tanta melassa ipocrita, è particolarmente vistoso e rumoroso il ricorso a martellanti, cruente e strazianti campagne pubblicitarie per Radio, Televisione, Stampa. Campagne costosissime (pagate dalle offerte) con le quali le organizzazioni umanitarie chiedono pochi euro al giorno per l’adozione a distanza degli africani, quindi a casa loro.

 

Ogni “campagna” è corredata da filmati di cui non si sa – come al solito – la datazione né la località. La diffusione di queste immagini viene eseguita nelle ore di maggiore ascolto con costi elevatissimi che- ripeto – vengono detratti dalle somme raccolte.

 

Ricordiamo che dal totale delle donazioni vengono detratti altresì i costi di gestione e gli altissimi stipendi da dirigente industriale dei vertici. (1)

 

Come mai che in loco il costo è nettamente inferiore a quello applicato in Italia dove ogni cosiddetto immigrato costa 35 euro al mese, più 6.000 elargiti da Bruxelles? (2) Nessuna risposta, ovviamente!

 

L’appoggio è garantito dal concentrico bombardamento mediatico televisivo cartaceo gestito dai figli dell’OPZIONE TOGLIATTI e dallo stato TEOCRATICO gesuitico che predicano l’inclusione (che è il motivo buono): un affare da oltre 12.000.000.00 di euro (il motivo vero) incassati dai 26 gruppi politici, dalle 8 mafie, dalle case accoglienza, dalle coop, dallo Stato gesuitico teocratico sul suolo della ex-italia.

 

Vogliamo fare un cenno al processo di “inclusione”? Si tratta di una delle tante mitologie prodotte, con arte e scienza, dagli spin doctors e dagli intellettuali italici generati ed allevati con metodica e cinquantennale cura dalla industria culturale occupata dalla Opzione Togliatti.

 

Come diceva il grande storico e antropologo Norbert Elias, il processo di civilizzazione è un percorso lunghissimo. (3) Egli stesso riporta i lunghissimi tempi per l’apprendimento di comportamenti oggi per noi scontati ed usuali: l’uso della forchetta, sputare nel piatto, pulirsi le mani con i capelli, bisogni fisici espletati liberamente dentro le stanze e nei corridoi, ecc. ecc. ecc.

 

Negli USA – patria della immigrazione (non caotica come adesso accade in europa, ma contingenta) ci sono minoranze residenti da oltre un secolo che non si sono integrate creando città etniche dentro le metropoli. Vedasi le Cinatown e le LittleItaly presenti nelle maggiori metropoli USA. Dentro queste enclaves, gli immigrati di lungo corso conservano con pertinacia le proprie abitudini, la propria lingua, la propria cucina diffusa da numerosi ristiranti etnici! Gli italiani ancora parlano BROCCOLINO anche dopo 70 anni di permanenza.

 

TUTTO CIÒ PREMESSO

 

Si dimostra una mitologia truffaldina la teoria dell’immigrazione per la quale i cosiddetti immigrati si integreranno senza problemi e saranno una risorsa per i versamenti INPS e la riscossione fiscale.

 

Ergo, la gigantesca ondata che si abbatterà molto presto sulla ex-italia non si integrerà affatto ai nostri stili di vita, nonostante il messaggio di qualche politico di spicco della precedente maggioranza che andava dicendo che DOVREMO ESSERE NOI ad adattarci al loro modello, da prendere come insegnamento e riferimento esistenziale!!!!!!!!!!!!!

 

Finora abbiamo avuto solo flussi incontrollati, mentre negli altri Paesi – primo fra tutti la Germania – i flussi sono stati strettamente contingentati. L’arrivo caotico di pseudo immigrati si è rivelata una bomba sociale lanciata dal DEEP STATE DE’ NOANTRI per devastare le strutture sociali dei Paesi membri della cosiddetta unione europea che non accettano “spontaneamente” i diktat sterminatori depressivi, anticiclici dei pretoriani/ragionieri contabili della ue che agiscono per la tutela dell’euro: una unità puramente contabile e AFFATTO UNA MONETA CONDIVISA dai popoli europei!

 

UNA COLOSSALE PRESA IN GIRO costruita sui sensi di colpa per danni causati dagli imperialismi anglofrancotedeschiUSA che hanno razziato e depredato materie prime per lanciare sul sud europa una prima ondata di prossimi 20.000.000 di africani a loro volta sfruttati, inferociti e per nulla disposti ad integrarsi in tempi brevi come contrabbandato dalla megamacchina disinformativa internazionale.

 

IL CONTO NON TORNA E A PAGARE SARANNO I POPOLI DEL SUD EUROPA CHE DEVONO ESSERE  BALCANIZZATI CON L’USO SAGACE DELLE SECESSIONI TERRITORIALI (VEDI SPAGNA E PROSSIMAMENTE LA EX-ITALIA) ED INFINE STERMINATI E SOSTITUITI DA MILIONI DI SCHIAVI IMPORTATI E DISPOSTI A LAVORARE PER MENO DI 300 EURO AL MESE

 

Continua ad avere ragione Goldman (il fondatore della Goldman Sachs) che all’incirca diceva:

 

la gente sceglie per il motivo buono, ma poi DECIDE su quello VERO

 

Ne riparleremo!

 

 

Bibliografia

 

(1) Si leggano con attenzione:

Furlanetto e Zanotelli, L’industria della carità, Chiarelettere, 2013;

Moyo, La carità che uccide. Come gli aiuti dell’Occidente stanno devastando il Terzomondo, Rizzoli, 2011;

Polman, L’industria della solidarietà. Aiuti umanitari nelle zone di guerra, Bruno Mondadori, 2009

(2) Eloquenti i servizi giornalistici di due eminenti testate (che non dovrebbero diffondere false informazioni):

ANSA: http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2018/07/23/migranti.-moavero-porti-italia-aperti-fino-a-modifica-sophia_e92dcb69-e57a-4ec7-8029-862ea4ef86f3.html

IL FOGLIO: https://www.ilfoglio.it/l-italia-vista-dagli-altri/2018/07/25/news/bruxelles-offre-6-000-euro-per-ogni-migrante-accolto-ma-salvini-dice-no-207274/

IL FATTO QUOTIDIANO: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/07/24/migranti-la-proposta-della-ue-sui-centri-controllati-6mila-euro-per-ogni-persona-salvini-no-allelemosina/4512584/

(3) Norbert Elias, La civiltà delle buone maniere, Il Mulino, 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

Dalla Ue 6.000 euro per ogni migrante salvato. Salvini: “L’Italia non ha bisogno elemosina”

Il ministro dell’Interno: “L’ipotesi non esiste”

25 luglio 2018  RILETTURA

 

“Centri controllati” nei Paesi Ue “su base volontaria” per migliorare le procedure di asilo e accelerare i rimpatri degli irregolari. E’ la proposta della Commissione Ue inviata alle capitali e che prevede sostegno finanziario agli Stati che accettano di ospitare i centri. Inoltre, i Paesi che accettano il trasferimento dei migranti sbarcati in uno dei centri controllati – si legge nel documento che l’ANSA ha potuto visionare a Roma – riceveranno 6 mila euro per ogni profugo.

“Se vogliono dare soldi a qualcun altro lo facciano, l’Italia non ha bisogno di elemosina”, dice il ministro dell’Interno Matteo Salvini respingendo al mittente la proposta dell’Ue. “L’ipotesi non esiste, anche perché nel corso del tempo ogni richiedente asilo costa tra i 40 mila e i 50 mila euro”. Dunque, Bruxelles, ha aggiunto il ministro, “l’elemosina se la può tenere. Noi vogliamo chiudere i flussi in arrivo per smaltire l’arretrato di centinaia di migliaia di presenze. Non chiediamo soldi ma dignità e ce la stiamo riprendendo con le nostre mani”.

 

La proposta Ue qui:  (file:///C:/Users/lopre/Documents/Non-paper%20on%20“controlled%20centres”%20in%20the%20EU%20–%20interim%20framework%20.pdf)

 

La Commissione Ue propone il concetto di piattaforme di sbarco dei migranti nei Paesi non Ue in stretta cooperazione con l’Oim e l’Unhcr e in collaborazione con i paesi terzi. L’obiettivo è contribuire a garantire una responsabilità regionale realmente condivisa nel rispondere alle complesse sfide migratorie, ridurre le morti in mare e garantire uno sbarco ordinato e prevedibile. Non si tratterà di campi né di centri di detenzione, ma di aree gestite nel pieno rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani.

La Commissione europea svolgerà una funzione di coordinamento tra gli Stati membri

 

Continua qui:

 

 

http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2018/07/23/migranti.-moavero-porti-italia-aperti-fino-a-modifica-sophia_e92dcb69-e57a-4ec7-8029-862ea4ef86f3.html

 

 

Bruxelles offre 6.000 euro per ogni migrante accolto. Ma Salvini dice no

www.ilfoglio.it                    RILETTURA

La rassegna della stampa internazionale sui principali fatti che riguardano da vicino il nostro paese. Oggi articoli di Spiegel, Times, Mundo, Financial Times, Guardian

La confusionaria politica migratoria nella Ue

Amburgo, 25 lug 08:34 – (Agenzia Nova)  – Sono diverse le navi di organizzazioni private ancora impegnate nel soccorso di migranti nel mar Mediterraneo, dalla “Sarost 5”, ancorata al largo della costa tunisina per 2 settimane, alla Proactiva “Open Arms”. Nessuna di queste navi viene più accolta in base alle leggi di marina internazionali,scrive il settimanale “Der Spiegel”, citando la chiusura dei porti italiani alle navi delle Ong. Lo scorso fine settimana sono state bloccate anche navi dell’agenzia europea Frontex che avevano recuperato circa 450 profughi, che alla fine verranno redistribuiti in parte in altri paesi europei. Una vittoria questa per il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte e per il suo ministro dell’Interno Matteo Salvini, che non intendono più accettare lo sbarco in Italia di tutti i migranti imbarcati dalle navi europee. Il cancelliere tedesco Angela Merkel e il suo ministro dell’Interno, Horst Seehofer, hanno trovato un accordo sulla protezione delle frontiere meridionali contro i rifugiati di secondo arrivo. Il cancelliere austriaco Sebastian Kurz parla di un asse austro-tedesco-italiano sulle politiche in materia di asilo. Ma molte sono le domande che rimangono senza una risposta: cosa accadrà nei prossimi giorni con le navi e le centinaia di migranti che potrebbero arrivare? Come saranno distribuiti i richiedenti asilo? Come dovrebbe spiegarlo Seehofer ai suoi elettori? Cosa dicono gli altri governi della Ue circa l’accoglienza dei rifugiati? Il caos, secondo il settimanale regna sovrano. Il Mediterraneo non è il Brennero, e non può essere chiuso, sostiene il “Der Spiegel”. I litigi e i diverbi rischiano di destabilizzare la Ue, in assenza di una politica comune in materia di rifugiati e immigrazione. Il presidente francese Emmnuel Macron ha proposto che i richiedenti asilo salvati nel Mediterraneo vengano ospitati in “centri controllati” all’interno della Ue e da lì distribuiti tra i paesi disposti a gestire le domande di asilo. Non ha trovato molta approvazione. In Germania, in futuro, i richiedenti le cui procedure di asilo sono responsabilità di altri paesi dell’Unione saranno respinti al confine tedesco-austriaco. Il governo federale di Berlino ha recentemente raggiunto un accordo con il governo della Baviera, ma a quanto pare finora solo con Monaco. Il governo di Vienna, però, non vuole accettare i richiedenti asilo respinti dalla Germania, ed ha avvertito che l’avvio dei respingimenti da parte della Germania farà scattare il blocco del confine meridionale austriaco. La Presidenza austriaca della Ue vuole operare un giro di vite sulle domande di asilo all’interno dell’Unione. Inoltre, i rifugiati soccorsi dalle navi Frontex devono essere “portati direttamente in paesi terzi sicuri”. Il ministro dell’Interno italiano si dice disposto a parlare con Berlino del respingimento in Italia dei richiedenti asilo solo se “il problema degli arrivi primari sarà risolto”. Salvini è stato chiaro ed ha annunciato via Twitter: “O l’Europa ci aiuta a proteggere il nostro paese, o scegliamo altri metodi”. Secondo il “Der Spiegel” la linea dura di Salvini è ben accolta dai suoi elettori, ma non è permanentemente applicabile, come dimostra la riapertura dei porti italiani alla missione “Sophia”. Il ministro, però, sembra scontrarsi con la stessa Guardia costiera italiana, i cui vertici hanno preso posizione a sorpresa contro il ministro. “In mare, la gente sarà salvata in ogni caso”, ha detto l’ammiraglio Felicio Angrisano.

 

Continua a leggere su Der Spiegel

 

Ue: Bruxelles offre ai Paesi membri 6.000 euro per ogni migrante accolto

Madrid, 25 lug 08:34 – (Agenzia Nova) – Sei mila euro a persona: è questo il prezzo che la Commissione europea ha offerto ai Paesi membri per spingerli ad aprire le porte ai migranti che attraversano il mar Mediterraneo. Con questa iniziativa, Bruxelles spera di incentivare la solidarietà e alleviare la pressione sugli Stati più colpiti dal dramma dell’immigrazione. La decisione, spiega “El Mundo”, è arrivata dopo la presa di posizione del governo italiano che ha chiuso i suoi porti a tutte le navi con migranti a bordo. In occasione del vertice Ue di fine giugno, l’Italia aveva concesso a Bruxelles cinque settimane di tempo per cercare una soluzione alternativa ai suoi porti e alla crisi della gestione dei flussi che dura ormai da quattro anni. L’esecutivo comunitario ha quindi messo in marcia il piano su cui i 28 Stati membri si sono accordati in extremis lo scorso mese, dopo nove ore di negoziati.

 

El Mundo

 

L’Italia definisce “un insulto” l’offerta Ue di 6 mila euro per migrante

Londra, 25 lug 08:34 – (Agenzia Nova)  – Il governo di Roma ha scartato, definendolo “un insulto”, un controverso piano messo a punto dalla Commissione europea di Bruxelles che prevede di spendere centinaia di milioni di euro nei nuovi centri Ue per migranti, pensati per alleviare all’Italia il peso della crisi migratoria. Il ministro dell’Interno italiano, Matteo Salvini, ha così commentato la proposta: “Se vogliono dare soldi a qualcuno facciano pure, ma l’Italia non ha bisogno di elemosine”. Salvini ha aggiunto: “Noi vogliamo bloccare l’afflusso di nuovi immigrati per poter fare chiarezza tra le centinaia di migliaia di persone che già sono in Italia. Non vogliamo soldi ma dignità, e quella la recuperiamo con le nostre stesse mani”. Intanto però sempre ieri il ministro degli Esteri italiano, Enzo Moavero, ha annunciato che i porti del paese saranno nuovamente aperti alle navi militari dei paesi Ue per lo sbarco dei migranti da loro raccolti in mare: la misura tuttavia, ha

 

Continua qui: https://www.ilfoglio.it/l-italia-vista-dagli-altri/2018/07/25/news/bruxelles-offre-6-000-euro-per-ogni-migrante-accolto-ma-salvini-dice-no-207274/

 

 

 

IN EVIDENZA

Neovocabolario del paradigma liberale.

Lisa Stanton – 9 dicembre 2018

Libero = Non perseguibile per legge, irresponsabile
Coraggioso =
Impopolare
Liberamente =
Impunemente
Liberale =
Finalizzato all’eliminazione della classe media e lavoratrice
Responsabilità =
Obbedienza 
Austerità =
Impoverimento 
Accoglienza =
Competizione al ribasso su salari e diritti politici e sociali
Competitività =
abbattimento costo del lavoro
Produttività =
precarizzazione del lavoro
Riformare =
riportare i diritti sociali all’epoca premoderna
Accogliere =
deportare schiavi; schiavismo moderno
Populismo =
esprimere idee che possano danneggiare lo 0,01% ricco della popolazione
Concorrenza =
Oligopolio privato 
Competenze =
Conoscenze (di gente nei posti chiave)
Merito =
Conformità agli interessi dominanti 
Complottista =
Critico in odore di socialismo costituzionale
Migrante =
Clandestino
Emigrante =
Sfruttato del Capitale
Immigrato =
Merce
Democrazia =
Teatrino 
Aiutare i poveri =
Favorire i ricchi
No Free Lunch =
locuzione tipica del manager di Stato con prebende milionarie pensionatosi a 50 anni
TINA =
Non ci sono alternative: per fare i nostri comodi dovete vivere come schiavi e/o crepare
Riforme = Deregolamentazione selvaggia e annientamento di diritti
Progetto finanziato dall’UE =
lo Stato mette i soldi, la Ue prende il merito.
Credibilità = da
re prova di sottomissione

In continuo aggiornamento
thanks to Bazaar

 

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Con l’arresto dell’esecutivo, gli Stati Uniti vogliono soffocare Huawei

da aurorasito

Global Times, 6/12/2018

Meng Wanzhou, chief financial officer di Huawei Technologies è stata arrestata dal Canada il 1° dicembre per volere degli Stati Uniti. Meng è anche figlia del fondatore dell’azienda Ren Zhengfei. Ovviamente Washington ricorre a un deprecabile approccio da canaglia perché non può fermare l’avanzata di 5G della Huawei sul mercato. Gli Stati Uniti cercano l’estradizione di Meng per accuse non specificate nel distretto orientale di New York. Secondo i media canadesi, le accuse degli Stati Uniti potrebbero derivare dalla violazione da parte di Huawei delle sanzioni statunitensi all’Iran. Huawei ha negato l’accusa e l’ambasciata cinese in Canada espresse ferma opposizione all’arresto di Meng, affermando che si tratta di “grave violazione dei diritti umani”. Nonostante le informazioni incomplete sul caso, la mossa statunitense va ovviamente contro il consenso raggiunto tra i capi di Stato di Cina e Stati Uniti in Argentina. L’incidente mostra che la Cina affronta una complicata competizione cogli Stati Uniti. Pechino ha bisogno di determinazione e saggezza per salvaguardare i propri interessi.

Con l’arresto, gli Stati Uniti segnalano alla comunità internazionale che attaccano Huawei.

È chiaro che Washington cerca dannatamente di ostacolare Huawei e di mettere la compagnia in pericolo verso le leggi statunitensi. Washington tenta di danneggiare la reputazione internazionale di Huawei e di attaccare al mercato globale del gigante tecnologico con la scusa della legge.

Chiediamo a governo e società cinesi di dare supporto morale a Huawei e ai diplomatici cinesi per l’assistenza tempestiva a Meng. Supportiamo anche Huawei nella battaglia legale contro gli Stati Uniti nel dimostrarne l’innocenza e contrastare le trame di certi statunitensi per colpire la società. Huawei è cresciuta costantemente seguendo rigorosamente le leggi. Ha tratto esperienza da tutte le società

Traduzione di Alessandro Lattanzio

Continua qui: http://aurorasito.altervista.org/?p=3952

 

Trovato morto il Comandante della V Flotta statunitense

2 dicembre 2018 – Sam LaGrone

Il Viceammiraglio Scott A. Stearney, comandante della V Flotta degli Stati Uniti, è stato trovato morto nei suoi alloggi in Bahrayn, secondo una dichiarazione del capo delle operazioni navali, Ammiraglio John Richardson.

Un portavoce della Marina non aveva ulteriori informazioni sull’indagine quando contattato da USNI News. “Il servizio investigativo criminale navale e il ministero dell’Interno del Bahrayn collaborano all’inchiesta, ma in questo momento non si sospetta nessun crimine”, dichiara Richardson. “Scott Stearney era un combattente navale decorato. Era un devoto marito e padre, ed era un buon amico di tutti noi”, aveva detto Richardson. “Il servizio investigativo criminale navale e il ministero dell’Interno del Bahrain collaborano all’inchiesta, ma in questo momento non si sospetta nessun gioco scorretto. L’Ammiraglio Paul Schlise, vicecomandante della 5ª Flotta, assumeva il comando e la continuità delle nostre responsabilità e postura della V Flotta degli Stati Uniti”. In precedenza, Stearney fu direttore delle operazioni presso il Comando centrale degli Stati Uniti nella base aeronautica di MacDill, in Florida. Laureatosi nel 1982 all’Università di Notre Dame, Stearney fu designato un aviatore navale nell’aprile 1984, e volò per più di 4.00 ore, accumulando più di 1000 atterraggi e decollai su portaerei pilotando caccia F/A-18 Hornet e F/A-18E/F Super Hornet. Prestò servizio a bordo di USS Theodore Roosevelt (CVN-71), USS George Washington (CVN-73) e USS

Traduzione di Alessandro Lattanzio

Continua qui: http://aurorasito.altervista.org/?p=3873

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

Il trionfo del Verdi patriota. È la serata contro i barbari

L’opera celebra l’identità nazionale con toni messianici. Applauso da record per Mattarella, simbolo dell’unità

Alessandro Gnocchi – Sab, 08/12/2018

In questo Attila molto acclamato, uno degli applausi più convinti e significativi è partito quando il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è apparso nel palco reale della Scala di Milano.

La platea lo attendeva in piedi da circa cinque minuti. Difficile non attribuire a questo lungo applauso un significato politico: il pubblico si rivolge al simbolo dell’unità d’Italia in un momento di grande incertezza. Subito dopo l’orchestra diretta da Riccardo Chailly ha intonato l’inno nazionale, invitando il pubblico a cantare. Un inaspettato patriottismo è stato il filo conduttore della «Prima». Fuori i centri sociali fanno casino, i manifestanti andrebbero invitati a vedere Attila per ascoltare cosa Verdi, al loro confronto un rivoluzionario, ha ancora da dirci.

Il Prologo si apre con i vincitori, gli Unni, che invocano guerra, sangue e rovine; e si chiude con gli sconfitti, gli eremiti che pregano Dio e l’esule Foresto che canta le lodi della patria perduta. Quale patria è subito chiaro: entra in scena il tricolore, sventolato in più d’una occasione. Attila si rivela un’opera perfetta per inaugurare la stagione della Scala.

La «Prima» si trova in casuale ma piena sintonia con il periodo nel quale viviamo, segnato dalla nostalgia delle nazioni come risposta all’invadente globalizzazione e alle incomprensibili istituzioni europee.

È mancato il colpo d’occhio del nuovo potere giallo-verde, che ha lasciato la scena al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, alla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, al sindaco di Milano Beppe Sala e al governatore Attilio Fontana. Non ci sono Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Poco nutrita la compagine governativa, è formata dai ministri dei Beni culturali Alberto Bonisoli e dell’economia Giovanni Tria.

Attila è specchio dell’interesse di Verdi e di un’epoca intera per il Medioevo come radice (violenta) dell’identità nazionale, che nasce dallo scontro, e non dall’integrazione, tra «barbari» ed eredi della civiltà romana. Attila dunque è un’opera in cui il popolo italiano, che ancora non esisteva, volle vedere soprattutto le allusioni alla lotta per l’indipendenza. Il patriottismo di Attila è addirittura messianico, al punto che la libertà della nazione è suggellata dall’intervento del Papa in persona. Del resto, l’elezione di Pio IX, nel 1846, aveva alimentato le speranze di poter creare una confederazione di Stati sotto la guida simbolica del Papa. Illusione destinata a durare poco. Il pubblico contemporaneo a Verdi piegò tutta l’opera a questa lettura. La protagonista femminile, Odabella, diventa subito una intrepida donna italica, anche se si rivelerà

Continua qui: http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/trionfo-verdi-patriota-serata-contro-i-barbari-1613156.html

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

L’invasione degli ultratabù

05 dicembre, 2018

Ogni civiltà ha i suoi tabù, perché di ogni civiltà è il sacro. Ciò che è sacro è intoccabile, inavvicinabile, perché in origine maledetto. Scrive Pompeo Festo (De verborum significatione) che l’homo sacer è «quem populus iudicavit ob maleficium… quivis homo malus atque improbus». Tra le etimologie proposte, l’accadico sakāru rimanda appunto all’atto del bloccare, interdire, ostruire l’accesso. In una comunità di persone il sacro postula l’indiscutibile, i riferimenti invalicabili dell’identità e dei valori comuni di norma rappresentati nella sintesi di un simbolo o di una formula rituale. L’ambivalenza del sacro è prospettica: nel tracciare un confine inviolabile discrimina ciò che deve restare fuori – il tabù – da ciò che sta dentro e attorno a cui ci si deve raccogliere – il totem. Il binomio freudiano svela così i due volti del sacro: dove c’è un totem c’è un tabù, e viceversa. Se la Repubblica Italiana si rispecchia nel totem dell’antifascismo, il fascismo è un tabù. Se una chiesa fissa il suo totem nel dogma, i tabù sono l’eresia e la bestemmia che lo negano.

Non si ha notizia di civiltà senza tabù, perché il sacro soddisfa un fabbisogno spirituale che si riscontra ovunque. Sarebbe perciò sciocco credere che i tempi laici in cui viviamo si siano emancipati dal sacro e quindi dai tabù. L’errore nasce dalla confusione di sacer e sanctus, dove il secondo rimanda in modo specifico alla sacralità religiosa. Sanctus è participio passato di sancīre, attestato anche nel significato di interdire, separare, dedicare (a una divinità), accomunato a sacer da una possibile radice comune sak-. La convergenza e quasi sovrapposizione nell’uso dei due termini sembra illustrare un processo che dall’era classica a quella cristiana ha progressivamente «relegato» il sacro nelle cose ultraterrene, con il vantaggio di trattare più pragmaticamente le cose umane e della terra, di schivare cioè il rischio di sacralizzarle rendendole così inconoscibili perché inaccessibili al λόγος. Un rischio che si sarebbe confermato e si sta più che mai confermando reale.

Ben lontano dall’essere desacralizzata, la nostra è una società desantificata che nel rinunciare al santo ha trascinato il sacro nel fango della storia. Attaccando il divino nella speranza di guadagnarne una liberazione dagli «schemi», dagli «errori» e, appunto, dai tabù del passato, lo ha frantumato in tante schegge semidivine disseminando il sacro in ogni forma e in ogni dove. Da questo schianto è sorto un politeismo i cui feticci non portano più le insegne della divinità ma ne preservano l’inattaccabilità e il dogmatismo. Se l’esperimento novecentesco dell’ateismo di Stato ha colmato il vuoto del sacro religioso con il suo rimpiazzo politico mantenendo e possibilmente aumentando i corollari presidi di repressione e censura degli eterodossi, il fenomeno è letteralmente esploso negli ultimi anni in seno alle democrazie occidentali.

Svincolati dalla sorveglianza di una dottrina riconosciuta e centrale, i nodi del sacro si sono moltiplicati e hanno infestato il discorso pubblico e privato, e quindi anche il pensiero. Ai richiamati totem laici dell’antifascismo e della democrazia si sono aggiunti quelli dell’Unione Europea, Gerusalemme babelica portatrice e promettitrice di pace, dei suoi padri e profeti, de «i mercati» giusti, onnipotenti e severi, dell’internazionalizzazione di popoli e capitali in cui sciogliersi per rinascere fortificati (Gv, 24-25), dell’accoglienza di ogni diversità purché non di pensiero, del laicismo, del riscaldamento globale, della parità di generi e orientamenti sessuali e della loro moltiplicazione, di cose, persone e organizzazioni che «salvano vite», della storia non più solo patria ma di qualunque angolo di mondo purché scritta dai vincitori, del progresso che si autoavvera nella condanna acritica di tutto ciò che è trascorso. L’ultimo totem è insieme il più promettente e potente: «la scienza» e l’innovazione tecnologica in cui si celebrano non già gli strumenti, ma i fini di un’evoluzione di cui portarci all’altezza espungendo ogni incomputabile residuo di umanità.

Ai totem rispondono più numerosi i tabù: non solo «i fascismi» ma anche «i nazionalismi» e le stesse nazioni, le identità tradizionali (il colore locale è ammesso, purché vendibile), la discriminazione anche solo come distinzione di generi e genti, «odio», razzismo, sessismo, antisemitismo, omofobia, transfobia, xenofobia, islamofobia e tutte le nostalgie di un passato ontologicamente peggiore. Dal totem scientifico discendono i tabù dell’antiscientismo, di chi non si lascia cullare da «gli esperti» circolarmente espressi da «la scienza» come sistema gerarchico e finisce negli antri di «maghi» e «stregoni», della superstizione, dell’antivaccinismo, delle cure alternative e «ciarlatanesche», della critica darwiniana, delle scie chimiche, della terra piatta, cubica o dodecaedrica e di qualsiasi altro dubbio non corroborato dai media o dalle peer review. Non serve che il soggetto si affili direttamente a un tabù: basta che non si dissoci dalla sua lettera e dai suoi latori con la dovuta veemenza. Allora sarà detto revisionista, negazionista, complottista o reazionario, dato in pasto al gregge schiumante e accusato della stessa bestialità con cui lo si attacca. Non potendolo più chiamare eretico, dell’eretico subirà la sorte sociale, fin quando il sognato tramonto delle garanzie costituzionali non renderà lecita anche quella penale.

A questi tabù generali ciascuno aggiunge i propri e quelli della propria fazione, in un proliferare senza freni di caveat dialettici dove l’elaborazione verbale e concettuale diventa un campo minato, un percorso a ostacoli irto di cose da non dire, o da dire avendo reso devoto omaggio al loro contrario («premesso che personalmente», «ben lungi dal difendere» e via scusando). Si instaura così la «dittatura del politicamente corretto» denunciata e descritta da molti autori, che nell’incarcerare il discorso toglie spazio al pensiero e lo impoverisce, lo confina in un cono di luce sempre più angusto dove può solo balbettare e ridursi alla litania degli slogan e degli hashtag, fino all’afasia. Ciò che resta è un pensiero minimo e lobotomico asservito alla sua negazione, un intelletto tutto teso allo spegnimento si sé: proprio e altrui, presente, futuro e persino passato, con la pretesa di distruggere o riscrivere le testimonianze sgradite alle nuove dottrine. L’epoca presente si candida così a diventare non solo la più bigotta e fanatica, ma anche quella intellettualmente più povera, la più sterile e puerile degli ultimi secoli.

***

Nel rompere gli argini del sacro, l’eclissi del santo ne ha liberalizzato anche i sacerdoti, conoscitori e guardiani del tabù, il cui soglio vacante si è lasciato occupare da chi già occupava il trono secolare dell’economia e delle armi, dai vincitori del mondo e da chi ne accetta la legge. Ecco un’ascoltata intellettuale enunciare, con apposito test, un lungo elenco di propositiones in odore di «fascismo» per misurare l’omodossia dei lettori. Eccone un altro che nel «populismo» vede non già l’etichetta storica di un momento storico ma la colpa eterna del «fascismo eterno» formulata da un pater ecclesiae. Ecco l’analisi di un «maschilismo» che sedurrebbe le anime per «vie insidiose» e invisibili ai non iniziati. Ed ecco il giornalista di un grande giornale che, al contrario, distribuisce dispense dal tabù atavico dell’infanzia sofferente spiegando «quando è necessario mostrare la foto di un bimbo che muore». Quando? Solo in casi estremi: quelli cioè decisi da lui e dai suoi editori per attaccare i governi a sé nemici, perché lì «non può esistere il sospetto che sia un modo di speculare sui minori». Chi controlla i tabù controlla il pensiero, ne traccia i confini e l’orizzonte, alza gli argini dentro cui deve fluire per imporgli l’unico corso possibile: il proprio. Scrive Roberto Pecchioli:

Il XXI secolo, tecnologico e permissivo, ha bisogno di un sistema di potere allucinogeno: le masse devono essere convinte di godere di ampie libertà, nonché di avere grandi possibilità individuali. Un esercito di finti pezzi unici, sospinti però verso comportamenti, gusti, reazioni assolutamente comuni e previste. È il principio del soft power, che agisce per linee interne, a livello subliminale, persuasivo, per coazione a ripetere, mostrando e imponendo modelli, ottenendo senza violenza fisica comportamenti o attitudini di proprio gradimento.

E ancora:

Ciò che chiamiamo politicamente corretto è una accattivante confezione di preconcetti basata su un unico postulato: l’uguaglianza quasi paranoica, ossessiva, superstiziosa, che diventa uniformità, gabbia inviolabile. Timoroso di se stesso, l’uomo mette a confronto la sua percezione di fatti, il proprio principio di realtà, inevitabilmente diverso dalla visione ufficiale, e censura se stesso, si considera cattivo, malvagio in quanto giudica altrimenti, e, nella maggioranza dei casi, si conforma, sino a introiettare come giusto e vero quello che il suo proprio convincimento rifiuterebbe.

I frutti del condizionamento a contrariis sono strabilianti, non ottenibili con tecniche di propaganda «positiva». Emmanuel Macron, già banchiere presso i Rotschild e misteriosamente catapultato al Ministero dell’economia nel 2014, dove fece approvare con procedura d’urgenza la legge ferocemente padronale che porta il suo nome, lo stesso Macron contro cui oggi le classi popolari francesi manifestano mettendo a ferro e fuoco il Paese, si aggiudicò le elezioni presidenziali del 2017 contro Marine Le Pen perché quest’ultima era tabù, figlia di un neofascista, dimostrando così che lo stigma sacrale si trasmette anche per via di sangue, non solo ideologica. Per lo stesso motivo qualcuno è riuscito a scrivere che non si possono criticare le idee e le iniziative politiche di George Soros senza violare il tabù dell’«antisemitismo», vantando il finanziere ungherese un’ascendenza ebraica. Associando tabù lontani si creano e si governano i «moderati», che non essendo mai tali negli atti e nelle idee si definiscono così perché abbracciano gli atti e le idee del manovratore di turno collocandosi con prevedibile diligenza tra gli «estremismi», cioè i tabù, che ha fabbricato per loro. L’intransigenza del metodo generale produce, per imitazione, parrocchie e sottogruppi ancora più intransigenti, in reciproca guerra per aggiudicarsi la palma dei «puri». Nasce così il fenomeno del «mai con», infallibile nel soffocare in culla le possibili alleanze tra dissenzienti, tutti impegnati a restringere ulteriormente il già ristretto recinto sacrale per bearsi della propria incontaminazione.

Andrebbe chiaramente detto – e qui lo diciamo – che non è possibile rendere omaggio al complicato olimpo dei totem e dei tabù contemporanei per guadagnarsi il diritto di esprimersi, e insieme esprimere un pensiero libero e originale, figuriamoci critico. Perché le minuziose mappe del sacro servono precisamente a sopprimere la libertà di pronunciare ciò che dispiace a chi ha la forza di imporle. Non si può vincere rispettando le regole degli avversari. Quando parlo del libro che ho recentemente pubblicato con Pier Paolo Dal Monte sui rischi di avere reso coercitive e indiscutibili diverse vaccinazioni per l’infanzia, mi guardo bene dal prendere le distanze dai «no vax». Non perché io lo sia o non lo sia, ma perché quel tabù serve proprio ed esclusivamente – lo ripeto: esclusivamente, mancandogli ogni fondamento analitico – a squalificare ogni posizione critica sul tema, e quindi anche ciò che ho scritto nel libro. Sicché mi sconfesserei già in partenza. Né sarebbe intelligente esercitarsi in distinzioni di scuola questista su quale sia il «vero» oscurantismo, il «vero» razzismo, il «vero» negazionismo o, viceversa, la «vera» Europa, il «vero» internazionalismo, il «vero» progresso e via dicendo, perché si è già visto che il sacro è postulato in ontologia, esiste proprio per mettere i cardini fondanti dell’identità al riparo dalla dialettica. Il suo essere indeclinabile è cioè sostanziale, non accidentale. L’unica strategia costruttiva è quindi quella di disconoscere i tabù vulgati, di allontanarsene e di rimuoverli dalla propria agenda per costruire un pensiero altro e ancorato ai propri, personali tabù: meglio se pochi e meglio ancora, per quanto possibile, se non inquinati dal mondo.

http://ilpedante.org/post/l-invasione-degli-ultratabu

 

SCIANCA, PEROTTI E IL SOLITO PROBLEMA DELLA “MITOLOGIA DELLA PUREZZA ORIGINALE”

5 dicembre 2018

 

 

 

In questo post Antonio Martino lasciava questo commento:

 

L’interrogativo è rimasto aperto, ma il dubbio (ascoltando i tg, leggendo i giornali così come pubblicazioni e monografie varie) che la cerchia DI PERSONE CONSAPEVOLI sia ancora piuttosto isolata, rimane.

Non c’è giorno che non mi domandi – di fronte al monopolio della falsa informazione, delle reazioni internazionali alle nostre politiche economiche, di fronte ai disservizi che subiamo ogni sacrosanto giorno o ai servizi di cui non usufruiamo, di fronte al totale dissesto del territorio, al senso di smarrimento delle persone e alla perdita di prospettive future, di fronte alla rassegnazione che si legge nelle parole e negli occhi dei più svariati interlocutori – come abbiamo perso memoria di quello che siamo e valiamo (come popolo, intendo).

Mi chiedo perché subiamo sommessamente l’incuria e la devastazione, i disservizi e la

 

Continua qui: http://orizzonte48.blogspot.com/2018/12/scianca-perotti-e-il-solito-problema.html

 

BELPAESE DA SALVARE

Carne macinata per l’universo: la vera rivoluzione italiana

Scritto il 09/12/18

Sono tornato in via Filippo Buonarroti, sono tornato in via Ferrari, in piazza Garibaldi e dove ho fatto le scuole, in via Ugo Bassi.

Qualcuno di voi si ricorda di chi era Filippo Buonarroti? Un anarchico rivoluzionario? No, non era proprio un anarchico, perché allora, quando lui era in vita, l’anarchia non si era ancora compiuta in un qualche pensiero. Ma in tutte le città d’Italia c’è una via intitolata a Filippo Buonarroti. Qualcuno ha avuto la forza, il desiderio di intitolargliela. Intorno agli anni ‘20 del 1800, Filippo Buonarroti è stato considerato, dai giornali conservatori di tutta Europa, il più grande rivoluzionario europeo vivente. Filippo Buonarroti ha fatto una cosa che nessun altro uomo ha osato compiere, nella storia dell’umanità. Ha fondato e costituito un paese a totale regime comunista: Oneglia. Lui, come prefetto robespierriano della Rivoluzione Francese, è stato mandato a governare Oneglia – sapete, Oneglia, in fondo alla Liguria, che allora era francese. E lì costituì un paese totalmente comunista, con l’estinzione della proprietà privata e il ricalcolo dei beni, a tutti. Guardate che i paesi che noi chiamiamo comunisti non si sono mai chiamati comunisti, si chiamavano “paesi socialisti verso il comunismo” (verso il baratro, poi). A Oneglia, invece: redistribuzione delle terre e istruzione obbligatoria fino al più alto grado, per tutti. E’ stato un paese comunista che è durato 9 mesi.

Poi è arrivato il Direttorio, Robespierre ha fatto la fine che ha fatto, Buonarroti è stato richiamato a Parigi e messo in galera, e chi s’è visto s’è visto. Gli onegliesi, da allora, non si sono mai più ripresi. Perché è stata un’esperienza che ha sconvolto la loro vita, ha rivoluzionato ovviamente le loro vite, e da allora – fino a oggi – votano sempre e solo a destra.

E’ dal collegio di Oneglia che è uscito fuori questo fiore della repubblica, il ministro Scajola. Se Buonarroti è ancora vivo, in qualche universo parallelo, forse si rende conto che avrebbe dovuto rivedere un po’ le sue posizioni. Ma il punto è un altro. Il titolo di questa conferenza dovrebbe essere questo: carne macinata per l’universo. E “carne macinata per l’universo” è il giudizio che dà Carlyle – il grande poeta, drammaturgo, uomo di cultura e anche politico, inglese – quando gli chiedono chi fosse Giuseppe Mazzini. Carlyle risponde: «Nessun uomo come Giuseppe Mazzini è, per me, carne macinata per l’universo». Quello che io so, di quello che è stato chiamato Risorgimento, è che ci sono state

 

Continua qui: http://www.libreidee.org/2018/12/carne-macinata-per-luniverso-la-vera-rivoluzione-italiana/

 

 

 

L’ITALIA DEVE.

 Paolo Barnard

L’Italia deve uscire dall’Eurozona.

L’Italia si deve ricordare come stavamo – sì, certo, con le nostre mafie, le mazzette, i politucoli puzzoni, le parrocchiette industriali – quello che volete, ma come stavamo prima di diventare un intero popolo di straccioni che spendono una moneta tedesca. Ma vi ricordate? Si lavorava, si compravano case e si risparmiava per i figli più di chiunque altro al mondo.

L’Italia deve capire che non ce ne facciamo un cazzo di un gruppo di ragazzetti stellati che vogliono farci tutti più onesti e corretti, ma che concordano in pieno col mantenere 60 milioni d’italiani annichiliti sotto la Chemioeconomia della moneta tedesca.

L’Italia deve capire che non ce ne facciamo un cazzo di non vedere più rom e neri per strada, ma che invece ce ne faremmo tantissimo di avere un ‘duro con l’Europa’ che lo fosse davvero, e non un falsario cacasotto bulletto

Continua qui: http://paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=2120

 

 

CONFLITTI GEOPOLITICI

NON È STATO PUTIN. È LA FRANCIA DI MACRON.

Maurizio Blondet  8 dicembre 2018

Pensate solo cosa direbbero Repubblica, Il Corriere, le Botteri e le Berlinguer se queste foto venissero dalla Russia. Invece vengono dalla Francia.

Sono i liceali di Mantes-La-Jolie che la polizia ha arrestato e sistemato così, perché hanno partecipato a disordini nel clima creato dall’insurrezione dei Gilet Gialli.

“Più Europa” ha gettato la maschera della democrazia e dell’umanità, e si rivela

 

Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/non-e-stato-putin-e-la-francia-di-macron/

 

 

 

L’aggressione della NATO raggiunge le acque russe

da aurorasito

Tony Cartalucci, LDR, 7 dicembre 2018

Il recente incidente dello Stretto di Kerch segna un nuovo minimo tra l’espansione a guida statunitense della NATO verso est. La provocazione intenzionale eseguita da Kiev vide tre navi militari ucraine sequestrate dalla Russia. Le navi avevano intenzionalmente violato il protocollo per attraversare lo Stretto, protocollo precedentemente concordato da Kiev ed osservato dalle sie navi militari. La misura di cui l’Ucraina sapeva di questi protocolli e dell’accordo del 2003 che li ha istituiti, comprende eventi organizzati in Ucraina da “think tank ” sponsorizzati dalla NATO che discutono della necessità di “strapparli” per esercitare maggiore controllo sul Mare di Azov. Sulla scia di tale incidente, avvenivano i prevedibili appelli ad usarlo come pretesto per espandere la NATO ancora più ad est, col collega del Consiglio di politica estera nrodamericano ed ex professore dell’US Army War College Stephen Blank che dichiarava la necessità per gli Stati Uniti di “affittare” i porti ucraini nel Mar d’Azov, pattugliare il mare con navi da guerra statunitensi, il tutto impegnandosi a armare “a pieno regime” le forze ucraine. Il commento di Blank, pubblicato su The Hill nel pezzo intitolato “L’attacco della Russia all’Ucraina è un atto di guerra”, preannuncia altra narrativa anti-russa d ‘espansione verso est della NATO in Ucraina per numerose palesi falsità. Egli menzionava il “sequestro” russo della Crimea, “affermando che la Crimea, il Mare di Azov e lo Stretto di Kerch sono esclusivamente acque russe”, e la costruzione del ponte di Crimea che Blank afferma impedisca il commercio ucraino nel Mare di Azov, tutte provocazioni russe. Tuttavia, Blank omette convenientemente il putsch di USA-NATO che prese il potere in Ucraina nel 2013, mettendo in primo piano le tensioni ucraino-russe. Da alcuna parte Blank menziona il ruolo prominente che le organizzazioni paramilitari neonaziste ebbero nel rovesciare il governo eletto nel 2013, sia nella condotta contro imprese, istituzioni russe e persino ucraini do ascendenza russa, in particolare nel Donbas, nell’est dell’Ucraina. Blank perfino finge ignoranza sulle motivazioni del Presidente Vladimir Putin nel rimpatrio della Crimea e prendere provvedimenti contro un’Ucraina completamente ostile ai confini della Russia. Ugualmente opportunamente ometteva i decenni di espansione verso est della NATO insieme a vari episodi in cui fece guerre ben oltre sua giurisdizione e mandato, come in Libia e Afghanistan. Assieme alle pretese di Blank per una “risposta”, è abbondantemente chiaro chi si ne ha più beneficiato dall’incidente dello Stretto di Kerch, considerando la sistematica espansione della NATO in corso molto prima che il Presidente Putin arrivasse al potere.

Blank suggeriva: “Oltre ad imporre più sanzioni, condurre una robusta campagna informativa e trasferire più armi in Ucraina, possiamo e dobbiamo fare qualcosa di più innovativo e decisivo. Abbiamo i mezzi e il precedente per farlo”. Quindi suggeriva: “L’Ucraina potrebbe affittare i porti sul Mar Nero e persino nel Mar d’Azov agli Stati Uniti mentre gli prestiamo l’equipaggiamento militare di cui hanno bisogno per la guerra aerea, navale e terrestre. Le navi militari statunitensi o della NATO potrebbero quindi rimanere in quei porti per tutto il tempo necessario senza portare ufficialmente l’Ucraina nella NATO.

Ridurrebbe notevolmente la possibilità di un attacco russo se quelle forze pattugliassero Mar Nero e Mar d’Azov”. Blank concludeva sostenendo: “Non solo tali forze scoraggiano i futuri attacchi russi mostrando a tutti, non ultimo a Mosca, che l’avventurismo avventato di Putin ha semplicemente portato la NATO a restare in Ucraina, esattamente l’opposto dei suoi obiettivi”. Eppure, affermare che le azioni della Russia hanno spinto l’ingresso della NATO in Ucraina è assurdo, specialmente considerando l’espansione decennale e implacabile della NATO verso est.

Il colpo di Stato di USA-NATO nel 2013 era volto a mettere al potere un regime fantoccio che avrebbe sradicato influenza ed interessi russi in Ucraina, accelerato l’entrata dell’Ucraina nell’Unione europea e nella NATO aderendo al fronte della NATO in espansione letteralmente ai confini della Russia.

L’espansione della NATO era l’obiettivo da molto prima “dell’avventurismo avventato di Putin”

Nonostante le assicurazioni di alti rappresentanti statunitensi all’Unione Sovietica verso la fine della Guerra Fredda, che la NATO non sarebbe stata ampliata di “un pollice verso est” , da allora si è stata estesa direttamente ai confini della Russia. I membri della NATO che confinano con la Russia ora includono Estonia, Lettonia e Norvegia, con Georgia e Ucraina confinanti con la Russia e considerati Paesi “aspiranti”. La Norvegia fu ospite di uno delle più grandi esercitazioni della NATO negli ultimi decenni: Trident Juncture. Altre esercitazioni si tengono regolarmente negli Stati baltici al confine con la Russia. E le truppe statunitensi hanno svolto addestramento, fornito armi e assicurato il mantenimento di regimi conformi in Ucraina e Georgia. Il segretario di Stato nordamericano James Baker, come rivelato in documenti oramai declassificati conservati negli archivi dalla George Washington University, assicurò personalmente e ripetutamente all’allora capo russo Mikhail Gorbaciov che la NATO non si sarebbe ulteriormente espansa verso i confini russi. In un documento intitolato “Memorandum delle conversazioni tra Mikhail Gorbaciov e James Baker a Mosca”, Baker affermò sulla riunificazione della Germania: “Abbiamo combattuto una guerra insieme per portare la pace in Europa. Non abbiamo gestito bene la pace nella Guerra Fredda. E ora ci troviamo di fronte a cambiamenti rapidi e fondamentali. E siamo in una posizione migliore per cooperare nel preservare la pace. Voglio che tu sappia una cosa per certo. Il presidente e io abbiamo chiarito che non cerchiamo alcun vantaggio unilaterale in questo processo”. In altre parole, gli Stati Uniti riconobbero il ruolo dell’Unione Sovietica nella sconfitta della Germania nazista e ammisero che entrambe le nazioni non riuscirono a mediare la pace nel dopoguerra. Gli Stati Uniti dichiararono anche di voler cooperare con la Russia su riunificazione della Germania e l’ordine politico post-Guerra fredda nell’Europa orientale. Sarebbe logico che, in cambio di qualsiasi tipo di cooperazione da parte di Mosca, si dovesse assicurare la certezza che la NATO non si espandesse ulteriormente ad est. Baker continuò sostenendo: “Tutti i nostri alleati e gli europei dell’est che abbiamo incontrato ci hanno detto che vogliono che manteniamo una presenza in Europa. Non sono sicuro che tu lo voglia o no. Ma lasciami dire che se i nostri alleati vogliono che noi ce ne andiamo, saremmo via in un minuto. Infatti, se vogliono che ce ne andiamo, andremo e posso assicurarti che il sentimento del popolo statunitense è tale che vorrebbe che ce ne andassimo immediatamente. Il meccanismo con cui abbiamo la presenza militare statunitense in Europa è la NATO.

Se abolite la NATO, non ci sarà più presenza degli Stati Uniti”.

Certo, se il sentimento del popolo statunitense era ed è che gli Stati Uniti ritirino la propria presenza militare dall’Europa, come difensori della democrazia globale gli Stati Uniti si trovano a dover prendere una decisione molto antidemocratica mantenendo i propri militari in Europa a prescindere.

Baker poi affermava: “Comprendiamo la necessità di garanzie nei Paesi dell’Est. Se manteniamo una presenza in una Germania che fa parte della NATO, non ci sarebbe estensione della giurisdizione della NATO e le forze della NATO di un pollice a est”. Baker ribadì tale punto chiedendo a Gorbaciov: “Preferiresti una Germania unita al di fuori della NATO indipendente e senza forze statunitensi o una Germania unita con legami con la NATO e assicurati che non ci sia alcuna estensione dell’attuale giurisdizione della NATO verso est?” Ovviamente allora, proprio come adesso, la Russia non ebbe nulla da guadagnare permettendo alla NATO di continuare ad espandersi verso est.

L’incontro tra il cancelliere tedesco Helmut Kohl e Gorbaciov, in seguito alla riunione Baker-Gorbaciov, ribadì nuovamente gli impegni a non espandere ulteriormente la NATO verso est. Gli Stati Uniti, in retrospettiva e senza sorpresa, affermarono che le riunioni, il linguaggio usato e gli accordi non erano vincolanti, o interpretati male e alla fine privi il vincolo all’espansione della NATO, fino ai confini della Russia.

Alcuni affermarono che le assicurazioni si applicavano solo alla presenza della NATO in Germania, ma chiaramente le assicurazioni di Baker di non espandere la giurisdizione della NATO verso est dalla Germania erano un riconoscimento che la mossa della NATO verso est, ovunque, era vista come minaccia e provocazione da Mosca. Se gli Stati Uniti capissero che l’espansione verso est della giurisdizione della NATO dalla Germania sarebbe stata giustamente considerata una minaccia e provocazione, perché non sarebbe ugualmente compreso che l’espansione verso est al di fuori della Germania fino ai confini della Russia sarebbe percepita come minaccia e provocazione

Continua qui: http://aurorasito.altervista.org/?p=3990

 

Geopolitica applicata al 2019

6 dicembre 2018da Federico Dezzani

Nell’ultimo scorcio del 2018 si assiste ad una molteplicità di crisi apparentemente inestricabile ed indecifrabile: la probabile uscita “caotica” di Londra dall’Unione Europea, il braccio di ferro tra Roma e Bruxelles, le proteste dei “gilet gialli” in Francia, il riaccendersi delle tensioni attorno alla Crimea, l’uscita degli USA dall’accordo sui missili nucleari a medio raggio, le pressioni americane sul Nord Stream 2, l’escalation politico-economica tra Cina e USA culminata con l’arresto della figlia del fondatore di Huawei. Nessuna di questa crisi si estinguerà in fretta, gettando le basi di un 2019 “esplosivo”. È quindi opportuno fare un po’ di ordine, riconducendo questi diversi eventi ad un unico discorso: la lotta delle potenze marittime contro l’Eurasia.

Dal golfo di Biscaglia al Mar cinese

Avremmo voluto dedicare le nostre energie alla preparazione del secondo volume di “Terra contro Mare”: l’incalzare degli eventi ci costringe però ad affrontare tramite articoli ciò avrebbe dovuto essere raccontato tramite libro. Amen, ci portiamo avanti col lavoro.

Chi osservi oggi il panorama internazionale non può che rimanere stupito ed intimorito dalla molteplicità di crisi che si accavallano senza sosta: il Regno Unito è quasi certamente destinato ad un rovinoso divorzio con la UE, la Quinta Repubblica sembra scricchiolare sotto l’onda d’urto dei “gilet gialli”, il barometro finanziario dell’Italia segna tempesta, la Crimea è nuovamente motivo di preoccupazione per il braccio di ferro tra Russia e Ucraina attorno allo stretto di Kerch, gli USA minacciano di schierare nuovamente in Europa i missili nucleari a medio raggio, riportando così le lancette dell’orologio indietro agli anni più bui della Guerra Fredda, la tensioni politiche-commerciali tra USA e Cina hanno raggiunto una nuova vetta con il clamoroso arresto della figlia del fondatore di Huawei, colosso cinese delle telecomunicazioni finito nel mirino economico-militare degli USA. Il sommarsi di queste crisi potrebbero facilmente stordire l’osservatore, spingendolo a parlare genericamente di “caos” o “anarchia” internazionale. In realtà, questi fenomeni apparentemente scollegati sono riconducibili alla lotta delle potenze marittime a quelle continentali: nella fattispecie alla secolare guerra degli angloamericani all’Eurasia.

È quindi giunto il momento di fare un po’ di ordine.

Partiamo con una prima carta, per mettere bene in evidenza la dialettica Terra-Mare. Nell’immagine sono ben visibili le tre grandi entità politiche continentali (Unione Europea, Russia e Cina), che occupano buona parte dell’Eurasia e, situate ai margini, le potenze marittime (USA e GB). Quella delle potenze marittime non è solo una marginalità geografica, ma sempre più una marginalità economica e politica. Un crescente numero di attori, dalla Turchia al Pakistan, passando per l’Iran e l’Iraq, guardano ormai alla Russia o alla Cina per sicurezza/investimenti; l’Unione Europea e la Cina rappresentano poi rispettivamente la prima e la terza (aspirante seconda, prima cioè degli USA) economia mondiale. Ora, rebus sic stantibus, l’integrazione tra queste tre grandi entità politiche non farebbe che aumentare col tempo, anche perché, a differenza del Novecento, non esiste più nessuna barriera ideologica a dividerle: Pechino costruirebbe la propria via della seta marittima/terrestre verso l’Europa e Mosca poserebbe volentieri i gasdotti, aprendo il proprio mercato agli investimenti europei. Nel volgere di un decennio scarso, l’influenza mondiale delle potenze marittime crollerebbe.

Occorre quindi agire.

Cosa progettano gli strateghi angloamericani? La solida destabilizzazione continentale, già cara a Lord Palmerston, che incendi Europa ed Asia.

Nessuna delle tre grandi entità politiche deve quindi essere risparmiata: Unione Europea, Russia e Cina.

Ora, apriamo una piccola parentesi sull’Unione Europea: come abbiamo sempre sottolineato nelle nostre analisi, la UE è nata come il corrispettivo politico della NATO, tanto che entrambi le organizzazioni hanno la sede a Bruxelles.

La UE, quindi, come “prodotto” angloamericano: nello specifico, come “testa di ponte” angloamericana in Eurasia (Zbigniew Brzezinski dixit). Qualsiasi organizzazione dotata di una propria struttura e di centri decisionali può però, ad un certo punto, emanciparsi, specie se esiste uno o più attori regionali (Germania e Francia), in grado di amministrare autonomamente l’unione.

Per usare una similitudine, l’Unione Europea potrebbe ad un certo punto emanciparsi dagli angloamericani come i figli si emancipano dai genitori, andando per la propria strada. Possono USA e GB permettersi l’indipendenza dell’Unione Europea? Assolutamente no. Finché gli angloamericani conservavano l’indiscusso primato economico e militare (1945-2008), era loro interesse difendere ed estendere la CECA-CEE-UE: l’interesse scompare e si trasforma in volontà di distruzione quando questo primato viene meno.

La svolta “sovranista” di Londra (referendum per la Brexit) e Washington (elezioni di Donald Trump) coincide col mutato sentimento dell’establishment atlantico verso l’Unione Europea.

Abbiamo già dedicato gli ultimi due nostri articoli a spiegare come l’Unione Europea ed il nocciolo dell’eurozona sarà destabilizzato.

Sebbene molte banche d’affari diano ancora l’ipotesi come sfavorita1, è probabile che Londra abbandoni l’Unione Europea nel modo più rovinoso possibile, ossia con l’opzione “no deal”, bocciando l’11 dicembre l’accordo stipulato da Theresa May e lasciando che l’Inghilterra esca dalla UE senza alcuna intesa, entro il 31 marzo 2019. Il burrascoso divorzio di Londra, con importanti ricadute finanziarie ed economiche, sarà l’innesco della “bomba” collocata nel lato meridionale dell’Europa, ossia l’Italia. Il rallentamento economico a livello globale e la nascita di un governo populista (benedetto da Goldman Sachs) rendono infatti la terza economia d’Europa più fragile che mai: è sufficiente uno choc esterno perché il nostro debito pubblico vada incontro a seri problemi di solvibilità. Possono l’eurozona e la UE sopravvivere ad un default italiano/Italexit?

Spostiamoci così al nord delle Alpi. Con il lento eclissarsi di Angela Merkel, la guida dell’Unione Europea è stata formalmente assunta da Emmanuel Macron, che si è fatto portatore del (inconcludente) progetto di riforma dell’eurozona. L’ex-banchiere Rothschild non è certamente popolare, resta il fatto che le possibilità dell’Europa di resistere all’assalto atlantico sono appese alla sua persona. La sua proposta, ai primi di novembre, di creare un esercito europeo per “nous protéger à l’égard de la Chine, de la Russie et même des États-Unis d’Amérique”2, ha scatenato l’immediata ira di Donald Trump, che non si è certamente limitato a rispondere per le rime su Twitter. Se, infatti, il progetto di emancipazione militare europeo andasse in porto, per gli USA diverrebbe molto più difficile “incunearsi” militarmente tra Europa e Russia. Washington ha infatti in serbo per l’Europa un ritorno in grande stile alla Guerra Fredda, così da recidere qualsiasi legame politico-economico tra le capitali europee occidentali e Mosca: verso la fine di ottobre (prima quindi della clamorosa asserzione di Macron) gli USA hanno annunciato la loro uscita dal trattato INF del 1987 che, ritirando i missili nucleari tattici dal suolo europeo, aveva aperto al disgelo tra URSS e USA. Il 4 dicembre, il segretario di Stato Mike Pompeo ha lanciato un ultimatum di 60 giorni alla Russia perché smantelli i propri (presunti) euromissili, lasciando intendere che Washington sarebbe pronta a schierare nuovamente i propri. In questo modo, dalla Romania alla Polonia, si alzerebbe una nuova cortina di ferro, col dispiegamento di armi nucleari tattiche da un lato e dall’altro.

L’intenzione di Emmanuel Macron di emancipare la Francia e l’Europa dalla tutela americana è certamente all’origine della rivoluzione colorata nota come “gilet jaunes”: anziché “la corruzione”, si è scelta questa volta come pretesto per le manifestazioni, sempre più violente, il rialzo delle accise sui carburanti. Donald Trump ha rivendicato, piuttosto sfacciatamente, le proteste con un tweet che collega i “gilet jaunes” alla “military protection” degli USA (già il “maggio francese” fu un tentativo di rovesciare Charles De Gaulle e sabotare l’asse franco-sovietico).

 

Continua qui: http://federicodezzani.altervista.org/geopolitica-applicata-al-2019/

 

CULTURA

IL GRANDE GILAD ATZMON HA BISOGNO DI NOI MA PAYPAL LO HA BLOCCATO

Maurizio Blondet  3 dicembre 2018

Sono stato citato in giudizio per diffamazione presso l’Alta Corte in Inghilterra dal Gideon Falter, la presidente della Campagna Contro Antisemitsmo  (CAA).

Ho preso la decisione di combattere questa cruciale battaglia per la libertà di espressione anche se questa lotta rappresenta un rischio reale di mandare in bancarotta me e la mia famiglia.

Scelgo di combattere la loro causa perché credo che la CAA e il suo presidente e il suo uso delle leggi sulla diffamazione rappresentino un pericolo per la libertà di espressione e il futuro di questo paese come società aperta. Adesso basta!

Il signor Falter mi ha citato in giudizio per i commenti che ho fatto sul mio sito web.

I miei commenti sono stati fatti nel contesto di esprimere la mia opinione sulla situazione in cui, lo scorso luglio, il British Crown Prosecution Service (CPS) ha attestato che non c’era stato alcun aumento dell’antisemitismo in Gran Bretagna, e Gideon Falter e il CAA hanno rifiutato di accettare il verdetto di CPS.

Falter e il CAA hanno insistito sul fatto che l’antisemitismo era in

 

Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/gilad-atzmon-ha-bisogno-di-noi/

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO DISINFORMAZIONE

I problemi di Huawei non impediranno alla Cina di guidare la corsa globale del 5G

da aurorasito

Chen Qingqing, Global Times, 7/12/2018

L’arresto della CFO di Huawei e la messa al bando della società da certi mercati non ostacolerà le ambizioni della Cina a sviluppare e promuovere l’adozione mondiale del 5G, guidata dalle politiche di sostegno del governo e da un forte ecosistema, affermavano i rappresentanti del settore. Rimangono, tuttavia, incertezze in quanto Stati Uniti e loro alleati continuano a bloccare le aziende cinesi dalla partecipazione alla costruzione delle reti 5G nei mercati locali. Huawei, un importante fornitore di apparecchiature 5G nel mondo, è stata coinvolta in problemi, suscitando preoccupazioni sul fatto che la Cina possa ancora guidare il mercato globale dei 5G, la prossima generazione di tecnologie delle reti wireless. La direttrice finanziaria di Huawei, Meng Wanzhou, è detenuta dalle autorità canadesi dl 1° dicembre su richiesta degli Stati Uniti, che ne cercano l’estradizione con accuse non specifiche dai pubblici ministeri nel distretto orientale di New York. Il Giappone annunciava piani per vietare l’acquisto di attrezzature di Huawei e sua rivale nazionale ZTE, diventando l’ultimo Paese a seguire gli Stati Uniti, che continua a fare pressione sui principali alleati per dire no alle apparecchiature Huawei per ragioni di sicurezza nazionale. Huawei dichiarava in una lettera ai fornitori globali che è irragionevole che il governo degli Stati Uniti utilizzi tale approccio per fare pressioni su un’entità commerciale. “Indipendentemente da quanto irragionevole sia il loro approccio, le partnership che abbiamo coi nostri fornitori globali rimarranno invariate”, affermava.

La società ha acquistato un grande volume di componenti, dai processori per computer ai chip di connessione wireless dei fornitori statunitensi, tra cui Qualcomm e Intel, secondo un rapporto di Guosen Securities. Comprende anche connettori a radiofrequenza e chip di memoria dei produttori di chip statunitensi come Qorvo e Micron, indicava il rapporto. “Non c’è dubbio che i Paesi che bloccano Huawei rappresentano un notevole ostacolo a ricerca e sviluppo nella tecnologia 5G”, dichiarava Li Zhen, esperto del settore della CCID Consulting di Pechino. Tuttavia, tali difficoltà avranno un impatto limitato sullo sviluppo complessivo della Cina nel 5G, dato che il Paese ha già superato Stati Uniti ed Europa nella commercializzazione della nuova tecnologia, osservava. Mentre certi Paesi rifiutano Huawei nelle operazioni 5G, altri ne accolgono il sostegno allo sviluppo locale del 5G. Huawei collaborava col vettore locale Altice Portugal per implementare servizi 5G in Portogallo, dichiarava la società. Finora, l’azienda ha firmato accordi con circa 50 vettori nel mondo e ha consegnato 10000 stazioni base 5G, dichiarava Huawei.

Andando avanti

 Il Ministero dell’Industria e della Tecnologia dell’Informazione (MIIT) della Cina confermava di aver approvato le bande di frequenza di prova 5G, che introdurrà con test su larga scala a livello nazionale. Nel frattempo, China Mobile, il maggiore vettore cinese, inizierà presto la costruzione di una rete di prova 5G, dichiarava Shang Bing, presidente della compagnia. Un altro importante vettore, China Unicom è pronto ad adottare su larga scala la propria rete 5G dopo aver ricevuto l’approvazione all’uso della banda di

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LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

L’economia dei lavori fasulli

di Nicolò Bellanca



Immagina un ufficio nel quale ogni funzionario, aspirando al prestigio e al potere, vuole moltiplicare i suoi subordinati e ridurre i suoi rivali. Per ottenere questo scopo, il burocrate A si lamenta con i suoi superiori (che sia vero o meno!) di avere troppo lavoro da svolgere. Esistono tre fondamentali risposte alle sue lagnanze: può dividere il lavoro con un collega di pari livello B, oppure può farsi aiutare da un subordinato C, o infine può ottenere l’assunzione di due subalterni, C e D. La soluzione che si avvale di B non gli sta bene, poiché costui sarebbe un rivale per la promozione. Nemmeno gli aggrada la soluzione in cui viene assunto soltanto C, in quanto costui costituirebbe il suo unico sostituto, e quindi un suo potenziale rivale. Se invece entrano in ufficio C e D, il funzionario A li comanda facilmente, mettendo l’uno contro l’altro, e accresce il proprio prestigio e potere, essendone il capo. Dopo un po’ di tempo, l’impiegato C si lamenterà (che sia vero o meno!) di avere troppo lavoro; in base alla stessa logica, arriveranno E ed F. Si lagnerà anche D e giungeranno G e H ad aiutarlo. Così otto burocrati copriranno i compiti che all’inizio svolgeva uno solo!

Ho appena ricordato la cosiddetta “legge di Parkinson”, secondo cui le organizzazioni tendono a espandersi indipendentemente dalla quantità di lavoro da svolgere[1]. In due suoi libri recenti, l’antropologo David Graeber si sofferma sullo stesso fenomeno: la burocratizzazione del mondo e il proliferare di lavori superflui, privi di senso e perfino dannosi[2]. Graeber distingue i “lavori socialmente utili” mediante un esperimento di pensiero: chi di noi sentirebbe la mancanza di una determinata mansione, se essa scomparisse dall’oggi al domani? Assolutamente vitali per la società sono attività monotone, usuranti e senza prestigio, come l’infermiere, il netturbino, il meccanico, il conducente di autobus, il commesso del negozio di alimentari, il vigile del fuoco, il contadino o il cuoco. Plausibilmente rilevanti sono il maestro di scuola elementare o certe categorie di scrittori, artisti e musicisti (senza i quali il mondo sarebbe un luogo più triste); ma anche chi fabbrica beni tangibili di consumo quotidiano, chi eroga servizi qualificati nell’ambito della salute pubblica (come il medico) o chi, esercitando per “volontariato” mansioni altruistiche, spesso nemmeno viene retribuito. Piuttosto – specialmente in ambito burocratico e finanziario, così del settore pubblico come di quello privato –, un buon numero di colletti bianchi vengono pagati per non fare nulla l’intera giornata. In termini di efficienza economica, si tratta di lavori fittizi, fasulli, sostanzialmente inventati, che appesantiscono i costi dell’organizzazione e che quindi costituiscono attività irrazionali. Il loro scopo principale è extraeconomico: tenere impiegata una fascia della popolazione che altrimenti – di fronte alla debolezza della crescita mercantile e al dilagare dell’automazione – rimarrebbe disoccupata. Questa economia fasulla (bullshitisation) si articola per Graeber in cinque principali comparti. La funzione dei “tirapiedi” consiste nel far sentire importanti i superiori con servigi spesso inutili. Gli “sgherri” hanno il compito di convincerci che la loro organizzazione è migliore delle altre; spesso addirittura sono reclutati per consentire all’organizzazione di affermare che sta facendo qualcosa che in effetti non sta facendo, come accade per quelli che ne curano l’immagine su tematiche socialmente ed eticamente sensibili. I “ricucitori” risolvono problemi che non dovrebbero esistere, essendo generati da gaffe, errori e pigrizie dei propri capi.

 

I “barracaselle” (o “passacarte”) sono addetti a compilare moduli e rapporti che nessuno guarderà. I “capomastri”, infine, sono controllori il cui lavoro si riduce a guardare altri che lavorano, nonché a inventare compiti inutili per tenere occupati i sottoposti.

Graeber dedica molte pagine a illustrare che chi svolge lavori fasulli o “del cavolo” (bullshit jobs) ne è consapevole. Semplicemente, deve evitare di riconoscerlo. Privatamente può lamentarsi, percependo la propria vita come priva di senso. In ufficio può trascorrere ore e ore in attività completamente estranee al mansionario per il quale riceve lo stipendio. Ma formalmente deve manifestare apprezzamento per l’organizzazione che lo recluta, difendendola nei riguardi dei suoi critici. La sua è dunque una condizione esistenziale schizofrenica, nella quale una parte della propria identità annaspa, fatica a rassegnarsi e talvolta prova a scappare, mentre l’altra parte è intrappolata in un copione prestabilito da recitare invariabilmente giorno dopo giorno. Né basta sottostare al ricatto del licenziamento, alla lealtà verso il superiore e all’accettazione passiva delle procedure.

 

La fedeltà all’organizzazione richiede la complicità: «gli scatti di carriera […] dipendono soprattutto da quanto si è disposti a stare al gioco, facendo finta che si basino sul merito»[3].

L’economia fasulla spinge alle estreme conseguenze il processo di burocratizzazione. Se inizialmente si introducono mansioni burocratiche per risolvere un problema, l’organizzazione, una volta che incorpora quelle mansioni, incontra nuovi problemi i quali, a loro volta, appaiono affrontabili soltanto per via burocratica. In una battuta, si creano commissioni per risolvere il problema delle troppe commissioni[4]. Come nella “legge di Parkinson”, illustrata in apertura, anche ammettendo che il reclutamento del primo funzionario abbia un’utilità, i sette addetti che vengono successivamente impiegati danno forma ad uno stuolo di attività fittizie. La migliore comprova si incontra nelle organizzazioni che, essendo prive di progresso tecnologico, non avrebbero ragioni per modificare il proprio assetto. È il caso del mondo universitario. Da trent’anni, annota Graeber, negli Atenei statunitensi o britannici il numero di amministrativi supera quello dei docenti, e i docenti sono costretti a dedicare alle attività amministrative almeno lo stesso tempo che destinano a ricerca e insegnamento messi assieme. L’esito paradossale è un mare di scartoffie in cui si parla d’incoraggiare la creatività, ma che in effetti esiste proprio per strangolare qualsiasi creatività (e qualunque pensiero critico)[5].

Marx sosteneva che, per far funzionare il capitalismo, deve esistere un “esercito industriale di riserva”, formato di disoccupati. Adesso quell’esercito viene suddiviso in tre parti: accanto ai disoccupati veri e propri, vi sono i lavoratori fittizi che, essendo remunerati a vuoto, temono di perdere il loro privilegio e si mantengono abbarbicati allo status quo; e vi sono quelli che, immersi nell’incertezza e nel precariato, sono unicamente preoccupati di galleggiare.

 

Così, applicando la logica del divide et impera, il sistema economico aumenta la propria capacità egemonica opponendo chi cerca lavoro, a chi ha un lavoro fittizio, a chi si batte nella gig economy.

 

Graeber respinge la tesi, molto diffusa, per la quale questa evoluzione strutturale dipenderebbe dall’ascesa del settore dei servizi. La riconduce alla crescita della finanza, ma, più a fondo, allo svuotamento del modo capitalistico di produzione, a favore di un “feudalesimo manageriale” in cui ricchezza e potere sono attribuiti su basi non economiche, bensì politiche. Come il feudalesimo medioevale aveva la tendenza a creare infinite gerarchie di signori, vassalli e servi, così l’attuale sistema – basato sullo sfruttamento delle rendite di posizione – tende ad articolarsi in una infinita stratificazione nella quale quasi tutti siamo, allo stesso tempo, subordinati a qualcuno e superiori ad altri.

La riflessione di Graeber – della quale abbiamo fin qui dato conto – ha il pregio di attirare l’attenzione su una delle principali strategie di consenso politico che oggi viene perseguita: l’economia dei lavori fasulli è un formidabile ammortizzatore sociale, nei riguardi di una crescita economica che non genera occupazione adeguata in quantità e in qualità[6]. Essa mostra però anche notevoli debolezze sul versante dell’indagine e della spiegazione teorica. Il volume Bullshit jobs non poggia su una documentazione empirica rigorosa e sistematica. Esordisce menzionando un sondaggio per il quale, in Gran Bretagna, quasi 4 intervistati su 10 (il 37%) giudica il proprio mestiere completamente inutile[7]. Ma, soprattutto, sostituisce la ricerca etnografica di campo, che nella tradizione antropologica richiede canoni metodologici severi, con pagine e pagine di brani tratti dalla “grande discussione online” che è seguita all’articolo iniziale di Graeber sull’argomento, rimpiazzando la “osservazione partecipante” con l’aneddotica. Passando al versante teorico, Graeber non può evitare la domanda centrale: come distinguere i “veri” lavori che creano valore da quelli fasulli? Qualunque risposta non può non discendere da una concettualizzazione dell’economia, implicita o esplicita che essa sia. Graeber prova a rispondere riferendosi all’autovalutazione delle persone: se un impiegato giudica privo di significato il proprio lavoro, esso è un “lavoro del cavolo”. Si tratta di un criterio imperniato su opinioni e credenze individuali, che non scontatamente collima con un altro, pure invocato da Graeber: che un determinato lavoro sia riconosciuto come benefico per altri sulla base di una valutazione collettiva. Anzi, ed è un punto cruciale per un pensatore anarchico (come Graeber si qualifica), tra i due criteri può aprirsi una divaricazione, ogni volta che la libertà dei singoli esprime preferenze e valori contrastanti le ideologie correnti. Consapevole della difficoltà, Graeber passa, verso la fine del suo libro, ad un terzo criterio: un’attività lavorativa è utile, e quindi dotata di senso, non quando genera beni tangibili o ricchezza materiale, né quando aumenta il tempo libero, e nemmeno quando accumula profitto per i capitalisti, bensì quando crea socialità. I lavori produttivi di valore sono insomma quelli che non vorremmo fossero svolti da una macchina, ossia i lavori di cura[8]. Con questo criterio l’autore scivola sul terreno dell’analisi normativa, chiedendosi non come il sistema economico funziona, ma come dovrebbe funzionare.

Riassumendo, Graeber fornisce non una ma tre risposte: i lavori “veri” sono quelli che ognuno giudica tali; sono quelli che la collettività considera tali; sono infine quelli che l’intellettuale auspica siano tali. Purtroppo, più risposte tra loro incompatibili non aiutano a capire. Per fortuna, su questa tematica sono disponibili elaborazioni molto più solide. Una argomenta che è produttivo il settore dell’economia che produce qualcosa (di materiale o immateriale) che (direttamente o indirettamente) sia usabile nella riproduzione di tutte le merci, e quindi nell’accumulazione capitalista. Un’altra sostiene che è produttivo il lavoro pagato dal capitale, mentre non lo è quello remunerato dalla spesa del reddito; è quindi improduttivo il lavoro che, esterno alla sfera dei rapporti capitalisti, riguarda la realizzazione del valore aggiunto o il trasferimento di diritti di proprietà su beni e ricchezza[9]. Una terza, infine, unisce le due posizioni precedenti: è produttivo il lavoro che si scambia con il capitale e

 

Continua qui: http://temi.repubblica.it/micromega-online/leconomia-dei-lavori-fasulli-david-graeber-bullshit-jobs-recensione/

 

LA LINGUA SALVATA

Acquiescente

ac-quie-scèn-te

SIGNRemissivo, accondiscendente

dal latino acquiescens, participio presente di acquièscere ‘acconsentire’, composto di ad- ‘a’ e quiescere ‘riposare’.

Questa parola formidabile comunica un concetto con una sfumatura di un’esattezza prodigiosa. Quando si dice che la nostra è una lingua raffinata parliamo anche di casi come questo.

Per apprezzare questa raffinatezza va notato che l’acquiescente (è difficile anche scriverlo) ha una galassia di sinonimi: remissivoaccondiscendente, arrendevole, conciliante, accomodante, docile, sottomesso, e via e via. Ma il remissivo si rimette al volere altrui, l’accondiscendente vi aderisce, l’arrendevole alza le mani e cede, il conciliante e l’accomodante ne convengono, il docile e il sottomesso vi ubbidiscono. L’acquiescente ci parla invece di quiete.

Ce ne parla in una maniera precisa: il verbo latino quiescere è un incoativo, cioè descrive l’iniziare di un’azione – in questo caso l’acquietarsi, il calmarsi. Così l’acquiescente ci si presenta come la qualità di chi si sta volgendo alla quiete, e in particolare di chi, entrato in contatto con una volontà esterna, ne è tranquillamente persuaso, serenamente convinto, senza l’increspatura di un’obiezione, senza un

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PANORAMA INTERNAZIONALE

Regime di Kiev, creatura dei Frankenstein occidentali

8 dicembre 2018da aurorasito

SCF, 07.12.2018

Il Presidente Vladimir Putin si espresse in modo succinto quando avvertiva che le prospettive di pace in Ucraina sono trascurabili finché le autorità attuali a Kiev rimangono al potere. Peggio ancora, viste le nuove provocazioni del regime di Kiev, l’intera regione è minacciata di conflitto e persino guerra totale. Sembra chiaro, e criminalmente riprovevole. che il regime di Kiev e il suo presidente Petro Poroshenko siano intenzionati a trascinare Stati Uniti e NATO in una guerra con la Russia. La condotta incendiaria dei politici ucraini e loro militari è quella di un regime fuori controllo, senza riguardo per la pace internazionale. Ma tale creazione di Frankenstein è solo responsabilità dei governi statunitensi ed europei che permettono tale comportamento pericoloso. La portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova lo sapeva bene affermando che la Russia impedisce all’Europa di scivolare verso la guerra contenendo stoicamente la condotta provocatoria del regime di Kiev. Eppure il regime ribalta la realtà affermando che “difende l’Europa” dall’aggressione russa. L’incidente dello Stretto di Kerch era un cinico e flagrante tentativo di Poroshenko d’incitare un conflitto con la Russia. Le tre navi da guerra ucraine violarono i confini marittimi russi con una manovra deliberatamente minacciosa. Mosca aveva il diritto di arrestare le navi armate e o 24 membri dell’equipaggio, alcuni dei quali dei servizi segreti. Assurdamente, il regime di Kiev accusa la Russia di “illegalità”. Più imbarazzante, i governi statunitense ed europeo sembrano accettare tale narrativa da pervertiti e arringavano la Russia sull’incidente. Poroshenko fece il giro sui media statunitensi ed europei sollecitando il sostegno militare statunitense e NATO.

Questa settimana veniva riferito che la 6a flotta dell’US Navy pensava d’inviare una nave da guerra nella zona del Mar Nero “in risposta all’aggressione russa”. Secondo quanto riferito, aerei statunitensi sorvolarono il territorio ucraino col cosiddetto trattato dei cieli aperti, con sfacciato spettacolo di forza verso Mosca. Dopo l’incidente dello Stretto di Kerch, il regime di Kiev compiva diversi passi per infiammare le tensioni con la Russia, rinnovando la spinta allo scisma nella Chiesa ortodossa russa. Evidentemente, i politici di Kiev cercano d’istigare un conflitto settario tra ucraini, molti dei quali desiderano rimanere con l’ortodossia russa prevalente piuttosto che con una presunta nuova chiesa ucraina. L’agenda nefasta è anche quella di antagonizzare Mosca, obbligata a difendere la sicurezza dei propri interessi ed ecclesiastici. C’erano state anche notizie credibili che le forze armate ucraine mobilitassero artiglieria e truppe sulla linea di contatto con le regioni separatiste del Donbas di

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I neocatecumenali: da Cristo al giudaismo

Maurizio Blondet  9 ottobre 2015

Un nostro interlocutore neocatecumenale ci scriveva: “sono conscio che se si privilegia troppo l’aspetto della mensa rischia di venir meno la percezione del sacrificio sull’altare, l’ho sperimentato sulla mia pelle, anche se devo dire che ultimamente dai miei ‘catechisti’ è stato ripetuto più volte che la messa è un sacrificio“… Notare: lo dicono “ultimamente”; il che significa che prima non avveniva, ammesso che lo dicano effettivamente e, comunque, se anche lo dicono e poi non “si vive” né nella celebrazione né conseguentemente nella vita, non è la stessa cosa che dice e fa la Chiesa.

Riprendo in proposito il testo di un precedente confronto, che è un documento, per mettere in risalto cos’è che si vive nel cammino e alcuni dei numerosi elementi che provano la giudaizzazione e, quindi, la deformazione della nostra fede, proprio in rapporto all’Eucaristia.

Dice Emanuele:

 

 

Nei seminari di Kiko c’è sempre una Bimah ebraica…
 

…e quando mai il cammino ha svilito la Nuova Alleanza? dai ragazzi ma credete davvero in quello che scrivete? Vorrei far riflettere su uno dei primi canti in uso nel cammino. Un canto che sciaguratamente usa un termine ebraico, e una modalità ebraica per ringraziare Dio nel giorno di Pasqua: enumerare i suoi prodigi. Vorrei far notare come finisce il canto.

Ora se c’è del male in questo….

DAJENU
Di quanti beni ci ha colmato il Signore [3 volte]
Se Cristo ci avesse fatto uscire dall’ Egitto
e non avesse fatto giustizia del faraone:
Rit.: Questo ci sarebbe bastato, ci sarebbe bastato
dajenù, dajenù, dajenù.
Se avesse fatto giustizia del Faraone
e non ci avesse liberato da tutti gli idoli:
Rit……..

……. omissis…

Tanto più dobbiamo ringraziare il Signore![3 volte]
Che ci ha fatto uscire dall’ Egitto
Che ha fatto giustizia del faraone
Che ci ha liberato da tutti i nemici
Che ci ha dato le loro ricchezze…
Che ha aperto il mare per noi…
Che vi ha affondato i nostri oppressori…
Che ci ha donato un cammino nel deserto…
Che ci ha nutrito con il pane della vita…
Che ci ha dato il giorno del Signore…
Che ci ha donato la Nuova Alleanza…
Che ci ha fatto entrare nella Chiesa…
Che ha costruito in noi il suo tempio…
e lo ha riempito del suo spirito Santo
nel perdono dei peccati.
Cristo nostra Pasqua
è risorto per noi!
Alleluia, alleluia, alleluia

 

ecco questo è il senso del patrimonio ebraico in questo canto: semplicemente un incipit in una lista di ringraziamenti…”
Caro Emanuele, vedi che avvalori il mio discorso? Il canto può essere bello e trascinare e svegliare l’emotività quanto ti pare e, ne convengo, è anche in tema con la Pasqua: ma con la Pasqua ebraica.

 
Pagliacciate neocatecumenali: celebrano una “cena ebraica”!
 

Ma che ci azzecca Daienu, con tutti i prodigi del Signore nella Pasqua degli Ebrei, quando abbiamo il Prodigio dei Prodigi, il nostro Signore Gesù Cristo Nato Morto e Risorto per noi?

Tra le cose che enumera sulla Nuova Alleanza il canto non dice è salito sulla Croce ed è morto per noi”. Non ti sembra una dimenticanza grave? Eppure, è solo attraverso il Suo Sacrificio che accadono tutte le altre cose enumerate dalla Nuova Alleanza in poi, Risurrezione compresa.

Non dimenticare che nel Suo c’è anche il nostro sacrificio (implica l’offerta e la vittima in espiazione per il peccato, e sono parole dure ma VERE che danno fastidio ai modernisti e ai falsi cristiani), altrimenti non siamo cristiani, siamo rimasti “ebrei” nonostante tutte le parole cristiane usate come specchietti per le allodole!

E quando poi l’iniziatore del cammino dice alla stampa (13 giugno 2008):

“… Nelle comunità portiamo avanti infatti una catechesi basata sulla Pasqua ebrea, con il pane azzimo a significare la schiavitù e l’uscita dall’Egitto e la coppa del vino a significare la Terra promessa

Capito? Questo non solo non è la Messa cattolica, non è nemmeno un rito cristiano: è un rito EBREO!!! La nostra Terra Promessa, la nostra Pasqua è Cristo. La nostra salvezza è il Suo Corpo Offerto, il Suo Sangue versato “in Sacrificio” per noi…

È vero che Gesù nella Cena pasquale con i suoi discepoli probabilmente ha pronunciato la benedizione finale sulla quarta coppa; ma ha dato a tutto un significato NUOVO, quello che hanno vissuto e vivono i cristiani da sempre… Il cosiddetto ritorno alle origini di Kiko non è un ritorno alle nostre origini ebraiche, è un ritorno all’ebraismo tout court!

 

La parodia della cena ebraica la fanno usando i calici della Messa…

Se la Messa è un Sacrificio è un sacrificio, non è solo il memoriale della Cena… Kiko nega l’«espiazione» (è scritto nero su bianco nei “mamotreti” del Direttorio)… Ebbene, cosa viene detto nella formula di Consacrazione? «…versato in sacrificio per voi…». Sapete che parola usano gli ebrei cristiani per indicare questo termine? “kippur” … e allora? Agnus Dei qui tollit peccata mundi: ma in latino “tollit” non significa propriamente “togliere”, bensì “prendere su di Sé” … dunque il capro espiatorio, quindi

 

Continua qui: http://neocatecumenali.blogspot.it/2014/11/il-cammino-e-la-giudaizzazione-del.html

 

POLITICA

Il rapimento Huawei ed altri fatti

6 dicembre 2018da aurorasito

21SilkRd

Potrebbe esserci molto di più di quanto non appaia dall’arresto in Canada, su richiesta degli Stati Uniti, della direttrice finanziaria di Huawei ed erede Meng Wanzhou.

Fonti cinesi hanno raccolto i seguenti fatti:

  • Aprile 2017: un direttore del gigante tecnologico cinese Huawei accompagna personalmente il famoso fisico Zhang Shoucheng dall’hotel di Shanghai a Shenzhen. Jackson e Wood, professore di fisica alla Stanford University, e Zhang era in città per partecipare a un summit sull’IT.
    Settembre 2018: il Prof. Zhang riceve un premio europeo sulla fisica, uno dei suoi molti riconoscimenti. Si prevede che il suo lavoro in fisica quantistica rivoluzionerà l’industria globale dei semiconduttori. Yang Zhenning, il primo scienziato cinese a ricevere il Nobel per la Fisica (1957), aveva predetto che Zhang sarebbe stato il suo successore.
  • 1 dicembre 2018: il prof. Zhang e Meng Wanzhou dovevano partecipare a una

 

Continua qui: http://aurorasito.altervista.org/?p=3963

 

 

Bifarini: agonia Ue, elettori traditi. Unica chance, l’Italexit

Scritto il 08/12/18

Dopo la bocciatura definitiva della manovra da parte della Commissione Europea con la prospettiva dell’apertura della procedura d’infrazione contro l’Italia per deficit eccessivo, da più parti ci si chiede quale strada percorrere. Scendere a patti con Bruxelles, come sembrerebbe chiedere il ministro degli affari europei Paolo Savona, o andare avanti con il muro contro muro come chiedono invece Salvini e Di Maio? Ha senso cercare ancora un accordo con l’Unione Europea sulla manovra? Credo a questo punto che non ci siano più le condizioni. C’è un accanimento da parte dell’Unione Europea nei confronti dell’Italia che è motivato più da ragioni ideologiche e politiche che da questioni economiche. La spesa a deficit prevista da questa manovra è assolutamente in linea con quanto attuato dai governi precedenti, anzi anche inferiore. Il debito pubblico, dovuto al pagamento degli interessi sul debito stesso, è cresciuto con lo stesso Monti, a riprova che le misure di austerity non funzionano, così come con Letta, Gentiloni e Renzi. Ma mai come con la coalizione giallo-verde c’era stato un attacco così duro e ostinato da parte sia di Bruxelles che dei media e di tutta la potente macchina della propaganda.

Siamo di fronte a un bivio: è giunto il momento di scelte coraggiose. Continuare a sottostare a regole e parametri infondati, assurti a dogmi, significa rinunciare per sempre alla propria sovranità economica e politica. Una perdita di democrazia inaccettabile per i cittadini, che alle urne hanno espresso la loro volontà di cambiamento. C’è uno scollamento troppo forte ormai tra le istanze delle popolazioni e quelle dei tecnocrati di Bruxelles, che non le rappresentano.

Attraverso l’imposizione di parametri contabili si è creata una dittatura dei mercati che sta generando solo povertà e disoccupazione. L’unica possibile via d’uscita è recuperare la propria sovranità monetaria.

Continuare a ‘trattare’ con l’Ue che ci somministra la pillola mortifera dell’austerity significa condannarsi a una lenta e dolorosa agonia. Nonostante il terrorismo creato dal mainstream, tornare a una nostra moneta – che si chiami lira o qualsiasi altro nome – non rappresenterebbe nulla di trascendentale. Al mondo, a parte l’Eurozona e le ex colonie francesi che adottano il

 

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Il governo del cedimento

Giorgio Cremaschi(7 dicembre 2018)

Il governo si è incamminato verso il cedimento completo alla UE. Per questo la Borsa sta festeggiando da giorni e la finanza che manovra sullo spread ha preso atto della svolta e ha cominciato a stringere la corda.

Salvini e Di Maio sono e si sono incastrati sullo spread: dopo la sua discesa, a seguito della loro disponibilità a trattare con la UE, non potranno certo farlo risalire con frasi né tantomeno con comportamenti di rottura. D’altra parte, anche la Commissione UE ha tutto l’interesse all’accordo, perché questo confermerebbe la sovranità limitata degli stati del sud Europa, ridarebbe forza a trattati feroci come il Fiscal Compact, che in realtà nessuno stato sta rispettando e può rispettare. Ed inoltre consoliderebbe la sempre più chiara alleanza tra la nuova Europa dei governi reazionari di Kurtz e Orban e quella dei vecchi governi liberisti di Macron e Merkel. Salvini e Di Maio hanno preso una cantonata devastante quando si sono illusi che i partiti ed i governi che li hanno sostenuti quando chiudevano i porti, li avrebbero appoggiati anche sulle pensioni e sul reddito. Non hanno capito che i reazionari del nord ed est Europa odiano i migranti, così come disprezzano gli italiani e tutti i popoli meridionali fannulloni e spendaccioni. E neppure hanno capito che i fascisti del sud, come il partito neofranchista Vox che è appena entrato nel parlamento regionale dell’Andalusia in Spagna, sono tanto reazionari quanto europeisti.

Salvini e Di Maio hanno subìto dai mercati, dal grande padronato, dalla UE, una pressione ben più leggera di quanto toccò alla Grecia di Tsipras nel 2014. Ma é bastato solo alludere alla stessa medicina somministrata allora dalla Troika, lo ha fatto anche Monti che ne possiede adeguate conoscenze, ed i due fieri sovranisti si sono piegati come fuscelli. Dopo la tragedia greca la farsa italiana.

Oramai la trattativa governo UE ha un solo vero scopo: permettere di salvare la faccia ai gialloverdi, almeno fino alle elezioni europee.

Il deficit infatti sarà ridotto dal 2,4 al 2 o anche più in basso. Questo vuol dire che, rispetto alla sua stessa manovra, il governo dovrà tagliare dai 7 ai 9 miliardi le misure che intende fare, o altre spese su altre voci. Complessivamente la manovra si configurerà come quella più liberista e austera dai tempi di Monti. Verrà stretto ancora il cappio che da più di venti anni strangola l’economia del paese, quello dell’attivo primario di bilancio. Cioè lo Stato, alla fine di tutte le partite di giro, ancora una volta restituirà ai cittadini molto meno di quello che riscuoterà in tasse e contributi. Tria ha inoltre promesso 18 miliardi di privatizzazioni all’anno per abbassare il debito. Non c’è male per chi aveva commentato la strage del Ponte Morandi riproponendo la necessità delle privatizzazioni. Ma con la disinvoltura che lo distingue è stato proprio Di Maio a propagandare la nuova grande privatizzazione. Aggiungendo che non riguarderà aziende, ma solo edifici e terreni. Se fosse vero, considerato che dopo averla regalata alla UE questa svendita di beni pubblici sarà sottoposta a obblighi brutali, saremmo alla più grande dismissione di suolo pubblico ai privati da cento anni in qua. Nel paese dei disastri idrogeologici questa sarebbe davvero una scelta criminale.

Il governo Salvini Di Maio era partito come il contestatore delle regole UE e ne diventerà uno dei più ligi esecutori, privatizzazioni ed austerità saranno la sua vera politica, il resto propaganda. È vero dunque che la finanziaria che concorderanno Conte e Moscovici aggraverà la crisi economica, visto che l’Italia, assieme alla Germania e ad altri paesi di Europa, sta entrando in recessione. Gli industriali se ne sono accorti e, come hanno sempre fatto quando i guadagni calavano, dopo aver appoggiato il governo hanno iniziati a criticarlo. Con il solo scopo di rafforzare le posizioni liberiste di Salvini e di portarlo alla fine a guidare da solo il paese.

Ma cosa resterà allora della manovra del popolo festeggiata dal balcone, tra tagli, privatizzazioni, rinvii di spesa? Ben poco. Le due operazioni bandiera, il reddito di cittadinanza e l’abolizione della legge Fornero si sgonfieranno e si ridurranno a poche misure di facciata, dello stesso segno e dimensione degli 80 euro e delle varie mance elettorali del governo Renzi.

Il reddito di cittadinanza da tempo non è più tale, ma è diventato una social card come quella di Tremonti, che si aggiunge al reddito di inclusione del governo Gentiloni.

Si darà qualche soldo in più, da spendere subito e bene col bancomat di stato, ad una ristretta platea di poveri, ma soprattutto si finanzieranno con danaro pubblico le paghe di fame di chi lavora. Se il padrone dà 400 euro al mese,

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STORIA

Kennedy: il collegamento a George Bush

1 dicembre 2018da aurorasito

Mark Turner, Kennedy File #3, 1992

Il collegamento a George Bush

In questi giorni in cui alcuni non possono nemmeno nominare il presidente degli Stati Uniti, non è affatto sorprendente che molti non sappiano nulla delle possibili connessioni di George Bush coll’assassinio di Kennedy. La relazione ha radici nel “precedente” impiego di Bush nella CIA. Dato che gli agenti della CIA, fu detto in passato, non lasciano mai l’agenzia.

È opera della CIA!

Molti ricercatori accusano dell’omicidio di John F. Kennedy la CIA. Il modo più semplice per scagionare mafia o gruppi non governativi è guardare l’enorme copertura data al governo negli anni. Se il boss della mafia Carlos Marcello avesse davvero ordinato l’omicidio, avrebbero potuto CIA e FBI sopprimere così tante prove per così tanto tempo? Poteva ridurre la normale sicurezza per l’assassinio? Poteva metter fuori uso il sistema telefonico di Washington DC per un’ora, proprio mentre si svolse l’attentato? Poteva convincere la Commissione Warren a rilasciare una versione ufficiale dell’omicidio così idiota? Ovviamente no. Attuazione e insabbiamento dovevano svolgersi nel governo, non senza. La CIA sembrava avere i più grevi motivi per eliminare Kennedy. Durante la presidenza Eisenhower, la CIA propose un piano per invadere Cuba, la Baia dei Porci. Il pensiero era che i cittadini avrebbero saputo dell’attacco e vi si sarebbero uniti per rovesciare Castro. Gli ex-cubani furono addestrati dalla CIA e il governo degli Stati Uniti li armò e gli diede mezzi di trasporto. Poiché era quasi a fine amministrazione, Eisenhower rimise in sesto il piano in modo che il nuovo presidente non avrebbe dovuto affrontare problemi che potessero sorgere dalla missione. Entrando in carica, Kennedy decise che il requisito del piano di 16 aerei avrebbe ovviamente rivelato il sostegno americano alla trama. Il piano aveva sperato che il coinvolgimento americano non sarebbe diventato noto al mondo. L’uso di 16 aerei avrebbe reso evidente a tutti il sostegno statunitense. Kennedy ridotto il numero di aerei a sei. Quando la data dell’invasione si avvicinò, Kennedy decise di non aderire al piano e annunciò alla stampa che gli Stati Uniti non avrebbero invaso militarmente Cuba. La CIA portò avanti il piano scoprendo che le cose non andavano come sperato. Chiese più aerei, ma fu detto che avrebbero dovuto trattenerli fin quando le forze catturavano un aeroporto cubano. Quindi, gli aerei potrebbero essere inviati e la spiegazione sarebbe stata che erano aerei catturati che i ribelli impiegavano. I ribelli sostenuti dalla CIA non arrivarono mai così lontano e furono rapidamente sconfitti. I cittadini di Cuba non aderirono mai alla loro lotta. La CIA, come rivelato nei libri dei protagonisti, accusò Kennedy della sconfitta. Libri e documenti rivelano un profondo odio per il tradimento immaginario.

Più tardi, Kennedy formò un comitato per tenerlo informato su ciò che accadeva in Vietnam. Il coinvolgimento statunitense era ancora minore a quel punto, ma Kennedy era preoccupato. Fu detto che non poteva giustificare l’invio di statunitensi dall’altra parte del mondo per combattere il comunismo quando esisteva a sud della Florida, a Cuba. Uno dei membri del gruppo era Allen Dulles, capo della CIA. Kennedy lo colse mentire varie volte e lo licenziò. Il fatto che la CIA avesse continuato ad addestrare i cubani per un’altra invasione

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