NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI
12 LUGLIO 2019
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Quando a rubare sono i vinti si parla di saccheggio,
quando a farlo sono i vincitori allora si tratta di recupero.
DANIEL ESTULIN, Cospirazione octopus, Castelvecchi, 2013, pag. 85
https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/
Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.
Tutti i numeri dell’anno 2018 e 2019 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com
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SOMMARIO
I partiti sono macchine costose
Viva la beffa di Lampedusa. Viva gli “Idraulici” 1
Sei immigrato e gay? Hai diritto all’asilo senza alcuna perrizia. Sarebbe “discriminazione”
Boom di migranti “omosessuali”. Iscritti all’Arcigay per avere asilo. 1 I corsari del mondialismo
Sea Watch, fra i donatori spuntano gli islamisti turchi 1
Riduzione del numero dei parlamentari
Non avete idea di cosa sia il degrado se non avete visto i Simpson sovietici 1
Guerra, “regime change” o che altro? Tutte le opzioni di Trump sull’Iran
Vedere senza osservare, sapere senza capire: il problema della negazione nell’Edipo Re di Sofocle
Keats e le “cose belle” alle radici dell’anima (perduta) dell’Europa 1
Russiagate, c’è puzza di regia internazionale 1
Breve storia del Cara di Mineo 1
Addio al business dell’accoglienza. E le cooperative sono costrette a chiudere 1
Altro che libertà individuale, i neoliberisti vivranno come Kunta Kinte 1
L’Oro paese per paese. Come cambia la geografia 1
Riserve auree e Bankitalia: di chi sono? Tutta la verità 1
Meglio Trump che mai: finalmente qualcuno si è accorto che Libra è un grosso guaio per gli Stati 1
Giuseppe Sala, dopo la condanna santo subito 1
NELL’ARKANSAS DEI CLINTON, SENATRICE UCCISA – indagava su affidi pedofili 1
Crollo dell’URSS? Una benedizione. Presidente consiglio europeo
TUTTE LE STRADE PORTANO A RENZI – BANCA ETRURIA HA FINANZIATO LA FONDAZIONE “OPEN” 1
Pd, indagato il tesoriere Bonifazi: “Fondi illeciti” 1
Foa: “Eurodeputati PD finanziati da Soros”
Perché Unicef non ha querelato il cognato di Renzi (davvero) 1
EDITORIALE
I partiti sono macchine costose
Manlio Lo Presti – 12 luglio 2019
L’Italia non smentisce la sua vocazione cospirazionista. A tempi alterni, partono inchieste giornalistiche contro il bersaglio di turno con lo scopo di screditarlo e minarlo per abbatterlo, ovviamente le motivazioni eminentemente politiche sono totalmente assenti.
Da tempo assistiamo ad una profonda trasformazione della ricerca, dell’analisi e della diffusione delle notizie. La prima mutazione – a detta di un mio amico giornalista – riguarda i contenuti che diventano sempre più irrilevanti. In sostanza il giornalista mi ha detto che “NON IMPORTA QUELLO CHE SCRIVI, MA SE LA NOTIZIA ATTIRA I LETTORI CHE LA APRONO SUL WEB CLICCANDO SUL SITO.
Il numero di clic è la determinante perché genera meccanismi di attrazione pubblicitaria con i relativi guadagni.
E la verità, il contenuto, l’informazione, l’inchiesta che costa fatica e anni di riflessioni, studi, analisi, comparazioni, ecc.?
TUTTO AL MACERO.
Gira la NOTIZIA SPARATA sui vari canali social, carta stampata, reti televisive per un tempo prestabilito e POI SPARISCE D’INCANTO per far posto ad un’altra gragnuola di “notizie” che scadono come il latte.
Il tempismo della sua “uscita” contro il nemico da sterminare è l’indizio fondamentale.
L’importante è mantenere la tensione con la numerosità dei flussi in continua sostituzione fra loro, a prescindere dai contenuti!
LA NOTIZIA NON DEVE ESSERE NECESSARIAMENTE VERA.
LA NOTIZIA VIENE LANCIATA PER MINACCIARE
QUALCUNO, UN GRUPPO, UNA NAZIONE.
DURA UN CERTO TEMPO E POI SCOMPARE …
TUTTO CIÒ PREMESSO
Sono notizie forse vere, ma sparate, quelle che girano sulla royalty che avrebbe intascato la Lega
per una mediazione petrolifera fra Russia e Italia.
La sua tempistica diffusione coincide con l’aumento della pressione politica della Lega su alcuni argomenti sgraditi alle sinistre e ai sindacati che tornano ad agitarsi dopo una indecorosa, miserabile e sospetta inerzia durante i governi Pd/Dem.
La notizia sparata inoltre è stata diffusa dalla megamacchina controllata al 90% da un gruppo politico attualmente al 9% e in corso di estinzione!
Un gruppo politico che ha avuto oltre 150 carcerazioni per corruzione in tutta l’Italia, che ha preso i soldi da miliardari americani, dalla Francia che gli decora con la legione d’onore una certa parte dei suoi affiliati, dalla germania, dall’unione europea.
Un gruppo politico che è ampiamente coinvolto nelle truffe immigrazioniste IN COLLUSIONE CON LE 8 MAFIE PER L’AGGUANTAMENTO OSSESSIVO di incassi di 12.000.000.000 di euro
Stiamo quindi parlando della cosiddetta “accoglienza” riservata esclusivamente a coloro che possono pagare.
I bambini squartati dalla fame, dalle epidemie, dalle guerre coloniali provocate dai Paesi europei-USA-Russia-Cina, dalla denutrizione che non li fa stare in piedi, beh, quelli che le tanto osannate Ong non soccorreranno mai PERCHE’ NON POSSONO PAGARE!
Un principio mercantile per il quale QUALCUNO E’ PIU’ MIGRANTE DI ALTRI. Altro che #siamoumani …
Al di fuori del fondamentale rispetto del requisito della veridicità delle notizie, va valutato il “tempismo” della loro diffusione.
Il tempismo è una determinante sull’effetto di una notizia, e gli strapagatissimi SPIN DOCTORS esperti di sovversione e disinformazione reclutati nelle università e nelle strutture private in maggioranza a trazione Usa e inglese LO SANNO BENISSIMO!
P.Q.M.
Tempismo e verità sono strettamente correlati.
Una notizia vera,
DIFFUSA MOLTO TEMPO DOPO O AL MOMENTO GIUSTO,
assume significati semantici e simbolici profondamente diversi,
come nel caso della vicenda dei bambini morti di stenti in Grecia
che la nobile firma di un giornalone schierato con i buonisti neomaccartisti antifa
ha deliberatamente occultato “per non suscitare odio”. (1)
La notizia può essere versa in tutto o in parte, ma la sua distribuzione in precisi tempi denuncia palesemente una REGIA INTERNAZIONALE
Ne riparleremo …
https://www.youtube.com/watch?v=WAqHqyQySFI
IN EVIDENZA
Viva la beffa di Lampedusa. Viva gli “Idraulici”
Cristiano Puglisi – 10 luglio 2019
Ma chi sono “Gli Idraulici”?
Nel pomeriggio di ieri, a Lampedusa, un gruppo di tre attivisti che si sono autodefiniti con questo nome ha inscenato una protesta simbolica contro le navi delle ONG all’imbocco del porto dell’isola siciliana. Dopo essersi avvicinati alla nave Open Arms, hanno esibito uno striscione con la scritta “scafisti” e hanno iniziato a lanciare contro l’equipaggio delle mutande sporche di… Nutella. Una protesta che i tre, in un comunicato stampa, hanno definito “La beffa di Lampedusa”, con evidente riferimento all’impresa dannunziana di Buccari.
“Gli Idraulici – hanno scritto nel comunicato – credono nell’Ordine Naturale delle cose. Ma sanno che per ritornarci servirà la più grande ondata di merda mai vista dopo quella cavalcata da Bodhi in Point Break. Sanno anche che ci vuole esempio, sanno che qualcuno deve pur iniziare a sporcarsi le mani di merda. Gli Idraulici non hanno un partito politico di riferimento. Diversi
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http://blog.ilgiornale.it/puglisi/2019/07/10/viva-la-beffa-di-lampedusa-viva-gli-idraulici/
Sei immigrato e gay? Hai diritto all’asilo, senza alcuna perizia. Sarebbe “discriminazione”
Di Anna Pedri – 26 Gennaio 2018 RILETTURA
Per concedere l’asilo di solito si usa fare test psicologici, al fine di capire quanti traumi siano stati riportati nel Paese d’origine e verificare l’effettiva persecuzione. Ma ora questo principio non vale più per quanti si dichiarano omosessuali. La Corte di Giustizia Ue ha infatti stabilito che è sufficiente credere sulla parola a quanti dicono che a causa del loro orientamento sessuale non possono vivere in sicurezza a casa loro. La domanda di asilo viene automaticamente accettata.
Nonostante la Corte di giustizia dell’Ue riconosca il diritto alle autorità nazionali di disporre perizie all’interno della valutazione della domanda di asilo, per meglio stabilire le reali esigenze di protezione internazionale, indagare sui gusti sessuali dei migranti secondo i giudici costituisce un’ingerenza nel diritto della persona in questione al rispetto della sua vita privata. Anche
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Boom di migranti “omosessuali”. Iscritti all’Arcigay per avere asilo
Boom di migranti che si dichiarano omosessuali per ottenere lo status di rifugiato. Alcuni si iscrivono anche all’Arcigay. Grimoldi (Ln): “rischiamo che venga riconosciuto lo status di rifugiati a decine di migliaia di immigrati che altrimenti verrebbero espulsi”
Claudio Cartaldo – Mar, 06/09/2016 RILETTURA
Gli immigrati ormai han capito come ottenere lo status di rifugiato. Le commissioni territoriali sono chiamate a “scoprire” tra le persone in fuga dalla guerra quelle che si fingono deportate, perseguitate, condannate a morte.
E sono tante. Tantissime. Alcuni mesi fa una mediatrice culturale aveva raccontato al Giornale.it che il più delle volte le storie dei migranti si assomigliavano. Spesso inventate di sana pianta: chi diceva di non avere più una famiglia in Patria, chi di essere sotto tiro del governo di turno. Ultimamente però per ottenere lo status di rifugiati in molti si dichiarano gay e dicono di provenire da uno dei tanti Paesi islamici (africani o mediorientali) dove si applica la shaaria che prevede il carcere o addirittura la pena capitale per gli omosessuali.
I migranti dicono di essere gay
L’allarme nei giorni scorsi è stato lanciato dagli operatori delle Marche dove c’è stata un’impennata di ‘outing’: in pratica quasi tutti i richiedenti asilo, nel presentare la domanda, hanno detto di essere omosessuali. Sembra che gli immigrati abbiano ricevuto un’imbeccata, qualcuno vocifera da addetti dell’Unhcr: visto che le loro domande sarebbero state respinte, trattandosi di semplici migranti economici, gli sarebbe stato suggerito di dichiararsi omosessuali. E così hanno fatto. E stanno facendo. Facile prevedere che in questo modo quel
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I CORSARI DEL MONDIALISMO
Lasciamo perdere il tifo da stadio e ricordiamoci chi c’è dietro l’immigrazionismo
5 luglio 2019
Da un mese il dibattito politico è incentrato sulla “Capitana” della Sea Watch che violando le leggi italiane ha “forzato” le disposizioni del nostro governo e di fatto la nostra sovranità.
Un’azione premeditata, ben pianificata a tavolino nei minimi particolari, dove la giovane tedesca è un mero esecutore. I media e gli analisti non ricercano i “mandanti” – la regia di comando- e il dibattito così si è fossilizzato sulla ricca, plurilaureata con i rasta che vuole salvare il mondo.
Massimo Fini-una delle poche penne anticonformiste e libere- in un recente
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https://iltalebano.com/2019/07/05/i-corsari-del-mondialismo/
Sea Watch, fra i donatori spuntano gli islamisti turchi
Lorenza Formicola – 7 luglio 2019
Anche la Millî Görüş e la Hasene International, sotto la mezzaluna turca, hanno deciso di donare 10.000 euro alla nave della Ong Sea Watch. Organizzazione musulmana turca presente in un po’ tutta Europa, Millî Görüş finanzia la costruzione di moschee e fa proseliti, diffondendo fra gli immigrati, specie in Germania, una visione politica e radicale dell’islam. Erbakan, suo principale ispiratore, morto sette anni fa, arrivò a dire che “gli europei sono malati, daremo loro il farmaco giusto. Tutta l’Europa diventerà islamica. Conquisteremo Roma”. Anche tramite le Ong che fanno sponda tra il Mediterraneo e il mondo islamico.
Anche la Millî Görüş e la Hasene International, sotto la mezzaluna turca, hanno deciso di donare 10.000 euro alla nave Ong Sea Watch. Carola Rackete, oltre alle donazioni, tra le tante, della chiesa evangelica tedesca, del capogruppo dei Verdi nel Bundestag, Gregor Gysi, e dell’ex europarlamentare del Pd, Elena Ethel Schlein – come ha rivelato Fausto Biloslavo –, adesso ha anche l’appoggio dei fedeli islamici in Europa.
La Millî Görüş l’associazione islamica (in turco vuol dire ‘visione nazionale’) è un’organizzazione musulmana turca presente in un po’ tutta Europa. Sono stati contati circa 500.000 membri nel Vecchio Continente, tutti legati al movimento islamico che, finalmente, s’è schierato dalla parte della chiesa cattolica tedesca. Sembrano lontani i tempi dell’opposizione di uno dei fondatori della Millî Görüş – Necmettin Erbakan – alla visita del papa tedesco Benedetto XVI in Turchia, adesso che anche il cardinale di Monaco Reinhard Marx ha deciso di donare 50mila euro per le Ong nel Mediterraneo la Lifeline e la Sea Eye, che in queste ore sfida il governo italiano dopo la Sea Watch.
Il segretario generale della Millî Görüş Bekir Altaş, negli ultimi giorni, si era già speso a sostegno di Carola, contro la politica europea sull’immigrazione e contro il modus operandi del ministro Matteo Salvini. “Con la criminalizzazione e l’arresto dei soccorritori si è varcata la soglia della tollerabilità”, ha ammonito. L’intervento, però, dell’associazione islamica turca non è troppo una novità. Si tratta, infatti, di un organismo che opera in gran parte dell’Europa, in particolare in Germania, Austria e Italia. Ma anche in Danimarca, Svezia e Regno Unito. In Germania, dove la presenza è più radicata che altrove, l’organizzazione è sotto osservazione speciale a causa dell’islamismo radicale. Ralph Ghadban, libanese esperto di islam in Germania, già qualche anno fa avvertiva che l’islam predicato in Europa nelle moschee controllate dalla Turchia tramite la Millî Görüş è talmente osservante della shari’a, “da esigere una netta separazione dai valori individualistici dell’Occidente”. E l’organizzazione è comparsa anche nei dossier dopo la nomina del cancelliere Merkel del turco Sinan Selen a vicepresidente del BfV – l’ufficio federale della Protezione della costituzione (Bundesamt für Verfassungsschutz) – perché il movimento islamico-nazionalista venisse monitorato.
In Austria, la Millî Görüş s’è scontrata con il governo quando la scorsa estate Sebastian Kurz decise di espellere sessanta imam e chiudere sette moschee del Paese. In Danimarca, lo Stato turco ha finanziato nel 2017, con la
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http://www.lanuovabq.it/it/sea-watch-fra-i-donatori-spuntano-gli-islamisti-turchi
Riduzione del numero dei parlamentari
Giovedì 11 Luglio 2019 – 132ª Seduta pubblica
(La seduta ha inizio alle ore 09:37)
In apertura di seduta il sen. Ferrari (PD) ha richiamato le notizie di stampa sulle intercettazioni di conversazioni tra esponenti della Lega e funzionari russi, ha segnalato che tre interrogazioni sull’argomento non sono state pubblicate perché giudicate inammissibili dalla Presidenza; ha chiesto quindi spiegazioni sulla direttiva restrittiva riguardante gli atti di sindacato ispettivo. Il Presidente del Senato ha spiegato di aver ammesso le interrogazioni su fatti che hanno fondamento probatorio e ha ribadito l’inammissibilità di dibattiti su ipotesi giornalistiche. Nel corso della seduta il sen. Ferrari (PD), alla luce dell’inchiesta aperta dalla magistratura, ha chiesto un’informativa del Presidente del Consiglio sui contatti tra la Lega e la Russia.
Con 180 voti favorevoli e 50 contrari l’Assemblea ha approvato in seconda deliberazione il ddl costituzionale n. 214-515-805-B, Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari. Il testotorna alla Camera dei deputati per la seconda deliberazione.
Il ddl prevede la riduzione complessiva del numero di parlamentari, i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. Nella seduta di ieri si è conclusa la discussione generale e hanno avuto luogo le repliche. Nelle dichiarazioni di voto il sen. Durnwalder (Aut) ha annunciato voto favorevole, pur esprimendo perplessità su un testo che non interviene sul procedimento legislativo, sul rapporto tra Parlamento ed Esecutivo e sul rapporto tra elettori ed eletti; ringraziando il relatore, sen. Calderoli, per la modifica relativa alle province autonome, ha segnalato infine al Governo l’opportunità di garantire, in sede di rideterminazione dei collegi elettorali, un’adeguata rappresentanza del gruppo linguistico tedesco. Secondo la sen. De Petris (Misto-LeU), che ha annunciato voto contrario, l’ossessione degli ultimi anni di modificare per via costituzionale l’assetto delle Camere ha indebolito il potere legislativo; la mera diminuzione del numero dei parlamentari rivela una concezione riduttiva della democrazia parlamentare e un’analisi errata delle ragioni della crisi della rappresentanza. Il sen. Ciriani (FdI), nel dichiarare voto favorevole, ha osservato che la sola riduzione del numero dei parlamentari sembra volta a ottenere un facile consenso e ha auspicato un intervento di riforma più ampio che preveda il presidenzialismo, il superamento del bicameralismo perfetto, la soppressione dei senatori a vita, la revisione delle soglie elettorali di sbarramento. Secondo il sen. Zanda (PD), che ha dichiarato voto contrario, la riduzione dei parlamentari non può curare i malanni della democrazia, al contrario nell’attuale contesto caratterizzato da una miscela di nazionalismo e autoritarismo pericolosa per la tenuta europea, l’intervento si configura come un tentativo di controllare la rappresentanza e accelerarne il declino. La sen. Faggi (L-SP), nell’annunciare voto favorevole, ha manifestato stupore per i timori espressi dal PD che nel 2014 ha proposto una modifica, bocciata dagli elettori, che sopprimeva l’elezione diretta del Senato e riduceva a cento il numero dei rappresentanti. Il sen. Malan (FI), annunciando la non partecipazione al voto, ha ricordato il costante contributo alle riforme costituzionali dato dal Gruppo che è favorevole a una riduzione del numero dei parlamentari in un contesto di miglioramento dell’efficienza istituzionale; la modifica odierna assume invece un diverso significato alla luce dell’ideologia antidemocratica di M5S. Il sen. Corbetta (M5S) nell’annunciare voto favorevole, ha ricordato che la modifica si configura come un intervento costituzionale limitato, chiaro, semplice, condiviso a parole da tutte le forze politiche; la riduzione del numero dei parlamentari, in una misura pari alle democrazie europee, unitamente alle altre proposte relative agli istituti di democrazia diretta, mira a rinsaldare il rapporto tra cittadini e istituzioni.
L’Assemblea ha approvato le seguenti ratifiche di accordi internazionali: ddl n. 987, Ratifica ed esecuzione dei seguenti Trattati: a) Trattato di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica federale della Nigeria, fatto a Roma l’8 novembre 2016; b) Accordo di mutua assistenza in materia penale tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica federale della Nigeria, fatto a Roma l’8 novembre 2016; c) Accordo sul trasferimento delle persone condannate tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica federale della Nigeria, fatto a Roma l’8 novembre 2016, il testo passa alla camera; ddl n. 1014, Ratifica ed esecuzione del Trattato sul trasferimento delle persone condannate o sottoposte a misure di sicurezza tra la Repubblica italiana e la Repubblica argentina, fatto a Buenos Aires l’8 maggio 2017, il testo passa alla camera; ddl n. 1015, Ratifica ed esecuzione del Trattato di estradizione tra la Repubblica italiana e la Repubblica orientale dell’Uruguay, fatto a Montevideo l’11 maggio 2017, il testo passa alla Camera; il ddl n. 1016, Ratifica ed
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ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Non avete idea di cosa sia il degrado se non avete visto i Simpson sovietici
Rifare la celebre sigla della altrettanto celebre famiglia americana in un mondo diverso: quello desolato, violento e disperato delle periferie post-sovietiche. Farà riflettere
10 luglio 2019
Pensare ai Simpson come l’immagine di una famiglia disfunzionale è scorretto. Tutto sommato, nonostante le assurdità surreali che determinano le avventure di Bart e Homer, tutto si svolge all’interno del quadro, familiare anche se non sempre rassicurante, del cartone animato americano. Colori pastellati, assenza di ferite e dolori definitivi, tendenza allo humour semplice e all’ironia (non alla satira, oh no) che stempera ogni dramma, relativa ricomposizione finale della famiglia americana.
Insomma, i Simpson sono per stomaci deboli. Quelli forti invece apprezzeranno la
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https://www.linkiesta.it/it/article/2019/07/10/simpson-post-sovietici/42821/
CONFLITTI GEOPOLITICI
Guerra, “regime change” o che altro? Tutte le opzioni di Trump sull’Iran
© REUTERS / CARLOS BARRIA
11.07.2019 – Mario Sommossa
Oramai ci siamo abituati a vedere ondeggiare tra l’insulto e le blandizie le dichiarazioni di Trump sui temi di politica internazionale.
L’esempio più clamoroso è il rapporto con la Corea del Nord ove, dopo essersi insultati reciprocamente a fasi alterne, entrambi hanno affermato di aver ricevuto una lettera dell’altro così gentile e amichevole da non poter rinunciare a un nuovo incontro, cosa effettivamente avvenuta pochi giorni fa, addirittura a Pyongyang.
Un caso, però, in cui la coerenza di comportamento del Presidente americano sembra passare ogni possibilità di comprensione è la questione iraniana. E’ pur vero che non si devono giudicare le sue azioni secondo la logica della diplomazia tradizionale, sia perché lui ne è totalmente digiuno, sia perché del suo modo di intendere le relazioni internazionali ha volutamente fatto una bandiera che lo contraddistingue di fronte ai suoi elettori. Tuttavia, ogni azione deve avere un qualche fine perfino quando non lo si dichiara o lo si camuffa con falsi obiettivi. Cerchiamo dunque di capire cosa Trump vorrebbe ottenere da Teheran.
A prima vista le ipotesi sono almeno tre: un nuovo negoziato, un cambiamento di regime o la guerra.
Nonostante le dichiarazioni dei suoi collaboratori, Bolton in primis, una nuova guerra in Medio Oriente sarebbe disastrosa per gli USA e Trump, pur senza escluderla, ripete continuamente che è l’ultima delle soluzioni cui mirerebbe. Nel caso gli USA decidessero per il conflitto armato, esso potrebbe avvenire con due modalità: un singolo bombardamento “chirurgico” (o una serie di attacchi aerei come quelli effettuati in Siria) oppure una guerra vera e propria con invasione di truppe di terra. Che gli Stati Uniti siano in assoluto la più grande potenza militare del mondo è indiscutibile, ma è pur vero che, dal Vietnam in poi con l’eccezione della guerra di Serbia, non hanno vinto alcun conflitto e, dopo essere rimasti impantanati per anni, se ne sono dovuti andare lasciando una situazione peggiore (per loro) di quando tutto era cominciato. Afghanistan e Iraq sono i maggiori esempi ma anche Somalia e Libano hanno rappresentato l’emblema di sconfitte che l’opinione pubblica americana preferisce non ricordare.
Nel caso di un attacco aereo, al Pentagono tutti sanno che l’Iran non è né la Siria né la Jugoslavia. Le capacità di reazione antiaerea iraniana è maggiore di quanto potevano vantare i due Paesi e non c’è alcuna certezza che gli obiettivi colpiti riescano a impedire le capacità di reazione. A essere oggetto di risposta di Teheran non sarebbe certo il territorio degli Stati Uniti, fuori portata anche dei più capaci dei missili iraniani, ma lo sarebbero Israele e Arabia Saudita, stretti alleati e primi fautori di un’azione armata. Ciò porterebbe immediatamente a un allargarsi del conflitto, con immediata destabilizzazione di tutta l’area medio-orientale e conseguenze tragiche sulla possibilità di utilizzo dello stretto di Hormuz per i transiti del petrolio e del gas. Anche gli oleodotti che attraversano la penisola per arrivare al Mar Rosso ed evitare così il passaggio dal Golfo non sarebbero al sicuro e l’invio di missili (da parte degli Huthi dello Yemen) che già l’hanno danneggiato è stato fatto proprio per dimostrarlo.
Per mettere fuori uso tutte, o quasi, le capacità reattive iraniane occorrerebbe che all’azione aerea si accompagni una di terra. In questo caso, però, è bene non dimenticare che l’Iran non è l’Iraq e che gran parte del Paese oltre ad essere molto più vasto e abitato è pure montagnoso. Occorrerebbero dunque molte centinaia di migliaia di uomini che dovranno trattenersi nell’occupazione per molti lunghi anni. Durante i quali è inimmaginabile che le Guardie Rivoluzionarie e cioè le forze meglio armate del Paese rinuncino a organizzare azioni di guerriglia continuata e velenosa. Anche se si trovasse un gruppo di persone disposte a diventare un Governo fantoccio, è molto probabile che il dopo-guerra si trasformi in una lunga guerra civile ove la maggioranza della popolazione, per quanto stanca degli Ayatollah, non parteggerebbe certo per gli americani. Si tratta inoltre di vedere come si comporteranno Cina e Russia che ben difficilmente sarebbero pronte a plaudire a una nuova instabilità con possibili coloriture di stampo islamista.
Se escludiamo la convenienza di una guerra, dobbiamo però considerare le altre due ipotesi e cioè l’obiettivo di cambio di regime o il costringere Teheran a una nuova negoziazione. Se quest’ultima fosse la scelta cui Trump mira sembrano del tutto fuori luogo i contenuti delle ultime sanzioni applicate dopo l’abbattimento del drone-spia. Si è trattato, infatti, di “punire” tra
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Libia, missili francesi scoperti in una base del generale Haftar. Parigi costretta ad ammettere: “Nostri, ma erano fuori uso”
È la scoperta fatta dal dipartimento di Stato americano e rivelata dal New York Times che in queste ore sta mettendo in imbarazzo Parigi, rilanciando i sospetti sul fatto che i francesi, alleati degli americani nella guerra in Libia, stiano in realtà alimentando segretamente il conflitto parteggiando per i ribelli
di F. Q. | 11 Luglio 2019
Quattro missili anticarro Javalin fabbricati negli Stati Uniti e che la Francia acquistò nel 2010 proprio da Washington sono stati ritrovati a Gharian, in Libia, nella base strategica dell’offensiva lanciata contro Tripoli dall’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) guidato dal generale Khalifa Haftar. È la scoperta fatta dal dipartimento di Stato americano e rivelata dal New York Times che in queste ore sta mettendo in imbarazzo Parigi, rilanciando i sospetti sul fatto che i francesi, alleati degli americani nella guerra in Libia, stiano in realtà alimentando segretamente il conflitto parteggiando per i ribelli.Oltretutto dopo che nei mesi scorsi la Difesa francese aveva negato con forza di aver in qualche modo sostenuto l’avanzata di Haftar.
I quattro missili anticarro Javelin, dal costo di oltre 170 mila dollari l’uno, sono stati rinvenuti il mese scorso dall’esercito del Governo riconosciuto dalle Nazioni Unite e guidato da Fayez al-Serraj in un campo dei miliziani di Haftar a Gharian, città in una zona montuosa a sud di Tripoli riconquistata nelle scorse settimane dalle forze che sostengono il governo di concordia nazionale (Gna) del premier al-Serraj. All’inizio il portavoce delle forze pro-Gna, Mohammed Qununu, aveva sostenuto che i missili appartenevano alle “forze armate degli Emirati Arabi Uniti” e l’origine dei Javalin era rimasta incerta finché il Dipartimento di Stato non ne ha rivelato i numeri seriali.
La Francia è stata costretta così a rompere il silenzio per fornire la sua versione della vicenda: “I missili Javelin trovati a Gharian appartenevano effettivamente ai militari francesi che li avevano acquistati dagli Stati Uniti”, ha ammesso il ministero francese della Difesa. Secondo Parigi, “queste armi erano destinate all’autodifesa di unità francesi” dispiegate nel quadro di una
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CULTURA
Vedere senza osservare, sapere senza capire: il problema della negazione nell’Edipo Re di Sofocle
10 luglio, 2019 di Sabino Nanni
Ancora oggi, parlare di “complesso di Edipo” suscita, in chi sia culturalmente estraneo alla psicologia del profondo, risposte sostanzialmente emotive; il che spiega, a mio avviso, il diffuso rifiuto (ingiustificato sul piano razionale) non solo della psicoanalisi, ma anche di ogni forma di approfondimento che riguardi la vita interiore. Alcuni si sentono inorriditi e scandalizzati di fronte all’idea che, sia pure a livello inconscio, possiamo nutrire desideri incestuosi e parri/matricidi. Altri reagiscono con l’incredulità. Altri ancora accettano l’esistenza di un complesso di Edipo con una sorta di “atto di fede”; il che non aiuta certo a porre su di un piano razionale la discussione su questo problema. Fra le tre posizioni, quella che ritengo la più razionale (la meno emotiva), essendo parzialmente giustificata dai dati di fatto, è quella dell’incredulità. In effetti, esistono trattamenti analitici condotti a fondo (e capaci di produrre effetti benefici) in cui non compaiono indizi certi di vere e proprie tendenze incestuose e di desideri omicidi verso uno dei genitori. Chi meglio spiegò questi rilievi clinici, a mio avviso, fu Kohut con una presa di posizione che scandalizzò molti psicoanalisti. Egli, pur riconoscendo la grande diffusione del complesso di Edipo, ne negò il carattere universale e necessario. Negò che nutrire, e poi superare, desideri incestuosi e parricidi dovesse essere un passaggio obbligato di ogni sviluppo sano. In condizioni sane, secondo Kohut, assistiamo ad una rivalità con il genitore dello stesso sesso e ad un’attrazione per quello di sesso opposto che, però, non arrivano mai a produrre desideri omicidi e incestuosi perché, fin dall’inizio, temperate e raddolcite dalla comprensione empatica e dall’affetto di chi ci ha messo al mondo. Il complesso di Edipo, secondo quest’Autore, rappresenta una patologia diffusa, prodotta da carenze affettive e soprattutto da un difetto di comprensione empatica da parte dei genitori. Ecco perché ritengo che le risposte emotive che ho descritto rappresentino le posizioni difensive di chi si rifiuta di riconoscere le diffuse carenze affettive ed empatiche della famiglia: il rifiuto scandalizzato dell’idea che un bambino possa nutrire desideri così “mostruosi” significa negare l’esistenza di questa patologia così diffusa; l’accettazione acritica del complesso di Edipo come tappa “normale” e necessaria dello sviluppo significa negare il carattere patologico e le cause (per nulla “naturali” e inevitabili) di questa anomalia così grave. Entrambe le posizioni, benché apparentemente opposte, sono al servizio della negazione di un male che, in realtà, ci occorrerebbe conoscere per poterlo curare.
Qual è l’origine prima del complesso di Edipo? Ritengo sia una diffusa patologia del narcisismo dei genitori, posti a dura prova di fronte ai figli che crescono; patologia che interferisce negativamente sulla loro capacità di comprensione empatica della prole. Il genitore dal narcisismo fragile (patologico e immaturo) vive come intollerabile la rivalità del figlio dello stesso sesso, ed il fatto che questi aspiri a prendere il suo posto nella vita, come inevitabilmente accadrà. L’altro genitore, ugualmente malato, non sopporta che il figlio aspiri a non essere più il bambino che vuol bene a papà e mamma, ma voglia diventare un adulto che ama un’altra persona adulta (il che è la premessa per la scelta, che un giorno farà, di prendere la sua strada e allontanarsi dalla famiglia d’origine). Se, come troppo comunemente accade, queste difficoltà non vengono affrontate, ma negate, il figlio, lasciato solo, privato della comprensione empatica, svilupperà desideri omicidi e incestuosi che non sono altro che la copia speculare, esasperata, di quel che provano gli stessi genitori.
L’Edipo Re di Sofocle, com’è noto, rappresentò la fonte principale da cui Freud attinse per sviluppare il concetto di “complesso di Edipo”, che applicò ai suoi pazienti. Pur seguendo Kohut nel negare il carattere universale e necessario di tale realtà interiore, l’opera del grande tragico greco, tuttavia, ci fornisce importanti suggerimenti riguardo a ciò che ne è alla base. In questo domina, in tutti i personaggi, il meccanismo di difesa della negazione.
Qui sotto riporto alcuni brani tratti dall’Edipo Re. Ho apposto, per ciascuno, i miei commenti fra parentesi quadre ed in corsivo.
Pag. 11: Creonte (di ritorno dall’oracolo di Delfi):
… c’è qualcosa d’impuro che contamina
la terra nostra e che di lei si pasce,
che bisogna respingere da lei,
né più dare alimento all’insanabile
[Ciò che crea la peste in Tebe continuerà a “dare alimento all’insanabile” finché le colpe di Edipo che l’hanno causato (e che hanno suscitato l’ira degli Dei) non diverranno consapevoli ed ammesse: finché in Edipo stesso, e in chi
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http://www.psychiatryonline.it/node/8133
Keats e le “cose belle” alle radici dell’anima (perduta) dell’Europa
Il poeta inglese e il tedesco Hölderlin hanno integrato e superato la visione illuministica
Giuseppe Conte – Mer, 10/07/2019
Nell’ampio ma spesso anche stanco e stereotipato discorso sulle radici dell’Europa sono state sempre sottovalutate quelle che affondano nel terreno del grande Romanticismo.
È certo fondamentale l’apporto dell’Illuminismo nel definire i principi politici e sociali a cui l’uomo europeo si ispira: libertà individuale, diritti civili, tolleranza, democrazia, ragione. Ma per capire la grande costruzione spirituale che chiamiamo Europa non possiamo fare a meno di parlare anche di passione, bellezza, senso del sacro, senso della natura, dimensione cosmica dell’essere, tutti valori cui furono i poeti per primi a dar voce. Nella sintesi di Victor Hugo: dopo i diritti dell’uomo, vengono i diritti dell’anima. E non è detto che siano meno importanti.
Riflettevo su questi temi leggendo due Meridiani Mondadori (isola felice di alta cultura nell’editoria contemporanea) usciti da poco, uno dedicato a John Keats (Opere, a cura e con un saggio introduttivo di Nadia Fusini, pagg. 1477, euro 80), l’altro a Friedrich Hölderlin (Prose, Teatro e Lettere, a cura e con un saggio introduttivo di Luigi Reitani, pagg. 1763, euro 80). Mentre leggevo, coglievo degli imprevisti parallelismi tra i destini dell’autore inglese e di quello tedesco, oggi sempre più riconosciuti come figure capitali del Romanticismo europeo. Tutti e due subiscono il dramma della condizione di orfano. Keats di padre e di madre, Hölderlin di un padre naturale e di uno acquistato con il secondo matrimonio di una madre che rimarrà a lungo assente dalla sua vita. Tutti e due sentono il fascino delle idee politiche rivoluzionarie che vengono dalla Francia, Keats, che pure era di umili origini e fu considerato poeta «plebeo», in maniera più cauta, Hölderlin, di famiglia borghese benestante, con una più forte partecipazione filosofica. Entrambi rifiutarono in nome della poesia di avere un ruolo e un mestiere definito, Keats lasciò la medicina, Hölderlin, che ebbe una formazione teologica, la prospettiva di fare il pastore e poi l’attività di precettore in case aristocratiche. Entrambi vissero amori complessi, mentali, segnati da difficoltà e tragedie: Keats con Fanny Brawne, la «carissima signorina» di una lettera datata 1 luglio 1819, che l’8 dello stesso mese diventa «mia dolce ragazza» e il 15 «amore mio», Hölderlin con Suzette Gontard, la giovane moglie di un banchiere, che il poeta trasfigurò in Diotima e la cui morte precoce non fu estranea al suo ingresso nella follia.
La malattia alla fine infierì su entrambi: Keats morì a 26 anni di tisi, nonostante il suo trasferimento in Italia in cerca di un clima migliore, Hölderlin visse a lungo, ma i disturbi nervosi divennero tali che fu costretto a passare più di metà della sua esistenza in isolamento nella torre sul Neckar presso il falegname Ernst Zimmer, calato in tante identità fittizie sino a quella di Scardanelli, con cui firmò i suoi ultimi scritti. Le affinità tra i due poeti riguardano, oltre che il loro destino, le loro idee: sono affascinati dalla Grecia, ricorrono al mito in una chiave non ironica o didascalica come avevano fatto i poeti illuministi ma ricercando in esso i primi principi della conoscenza, hanno una
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A me i famosi “competenti” di cui tanto si parla ricordano più il cugino Gastone che Archimede Pitagorico. Lo scandalo dei concorsi truccati all’Università di Catania, il concorsone a Preside bloccato dagli studi legali e l’ancor più recente arresto del giudice Francesco Bellomo, dimostrano ancora una volta di che pasta siano fatti i famosi “competenti” del Belpaese e quanto sia aleatoria la loro pretesa di essere riconosciuti come tali. Nonostante le numerose evidenze di un culturame profondamente malato, i colpi di coda delle élite intellettuali sono sempre più violenti e frequenti. Ma non fermeranno la tendenza in atto.
Ai travasi di bile su twitter, da qualche tempo si sono aggiunti persino libri tematici nel tentativo di dimostrare che la critica pop alla cultura ufficiale si basa su atteggiamenti psicotici, su invidia, sulla diffusione dei social. La loro preoccupazione è grande, ed è giusto che sia così, perché l’impero che hanno ereditato sta per vacillare. In Italia ci sono persino politici che difendono con le unghie e con i denti le loro rendite di posizione elitaria nelle università e tra gli editori, pur affermando di rappresentare la middle class, o addirittura il proletariato.
La realtà – per lor signori inaccettabile – è che i social media non c’entrano proprio un bel nulla con l’attacco alla loro credibilità
Molto più semplicemente, si sta tornando ad una cultura non istituzionalizzata per la quale la conoscenza va dimostrata con l’autorevolezza e la forza degli argomenti e non grazie a pubblicazioni su riviste (che loro stessi dirigono e possiedono) e posizioni accademiche di prestigio, che magari ricoprono in virtù di un sistema classista quando non apertamente nepotista.
Il riconoscimento dell’autorità è quanto di più sensato ci possa essere quando si vive ancora sotto tutela, cioè da bambini. Le finalità sono educative e dunque giù le mani, che Dio non voglia. La Natura prevede che il più piccolo impari dal più grande: sono il primo a dirlo.
Nel mondo degli adulti e tra adulti, invece, la cultura impartita dall’autorità può sempre meno senza il supporto della logica, dei dati e dei risultati. L’Ipse dixit («l’ha detto Lui») funzionerà ancora in qualche satrapia orientale, ma anche lì ha ormai i giorni contati, e per fortuna.
Chi si oppone a questa tendenza citando Umberto Eco il cui canto del cigno fu contro il popolo che sui social era libero di sostenere qualsiasi stupidaggine, ha la memoria corta. Oppure fa parte dell’élite culturale e quindi non ha alcuna convenienza affinchè qualcosa cambi.
Se il problema è la memoria, comunque, la si può rinfrescare facilmente. Il caso delle Università italiane, ad esempio, è emblematico e tutti quelli che hanno annusato l’aria del college potrebbero ricordarsi che chi vi insegna sovente appartiene ai vertici culturali della città che ospita l’ateneo. Non di rado l’accademico di turno ha fatto o fa politica attiva, e spesso ha esperienza come amministratore o deputato o senatore. Il lavoro in classe, che in alcune facoltà inizia de facto a novembre e termina ai primi di luglio, è di 120 ore annue di lezioni in aula. Ma quelle poche lezioni sono spesso preparate dagli assistenti, cioè da soggetti che aspirano a trovare una loro collocazione professionale dentro l’Università. Seppur in forma un po’ confusa, ammiccante e blanda, la possibilità di fare il dottorato (e dunque poi l’assistente) fu offerta anche al sottoscritto. Dopo un primo giro di informazioni mi convinsi che non poteva fare al caso mio. Si trattava, in sostanza, di rimanere a carico dei genitori minimo fino ai 30 anni, portando borse, ammiccando a battute insulse, scrivendo approfondimenti su argomenti che
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http://micidial.it/2019/07/ai-limiti-della-docenza/
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Russiagate, c’è puzza di regia internazionale
12-07-2019 – Ruben Razzante
Esplode il Russiagate. Ma ci sono troppe cose che non convincono dello scoop di Buzzfeed. Potrebbe esserci una regia internazionale per incidere e orientare gli equilibri politici del nostro Paese. E l’ascesa di Salvini in questa fase potrebbe scombinare i piani di quanti vogliono mettere le mani su aziende italiane decotte e interessi nazionali di vario tipo.
All’epoca della guerra fredda fiumi di denaro russo transitavano verso il Partito comunista italiano per sostenere la battaglia “rossa” contro il Patto Atlantico. Il pericolo sovietico era reale e l’alleanza occidentale ha assicurato al nostro Paese la ricostruzione morale e materiale post-bellica, impedendo la deriva comunista sul piano della gestione del potere. Tuttavia, il sostegno economico di Mosca a tutti i Partiti comunisti, anche quello italiano, era reale e concreto. La logica dei blocchi ha ideologizzato per decenni la dialettica politica impedendo all’Italia di crescere come democrazia liberale. E il ritardo culturale e istituzionale da questo punto di vista lo stiamo pagando ancora oggi.
Fino a trent’anni fa l’Unione sovietica ha minacciato l’Occidente, ha rappresentato un rischio concreto per le libertà democratiche. Oggi la Russia è un Paese post-comunista, si è aperto al pensiero liberale, anche in campo economico, e ha fatto enormi progressi sulla strada della democratizzazione. Per questa ragione, intrattenere relazioni con la Russia è anche per l’Italia un’opportunità e non più una tentazione demoniaca.
Ecco perché bisogna leggere senza le lenti deformanti dell’ideologia (in questo caso anti-leghista) le ultime polemiche scoppiate a seguito delle rivelazioni riguardanti presunti finanziamenti illeciti al Carroccio provenienti da ambienti russi. La notizia è frutto di alcune inchieste giornalistiche, sia negli Stati Uniti sia in Italia. La Procura di Milano ha aperto un fascicolo sui fondi russi. L’ipotesi di reato, formulata dal Procuratore Aggiunto Fabio De Pasquale e dai pm Gaetano Ruta e Sergio Spadaro, sarebbe corruzione internazionale. Alcune persone sono già state sentite in Procura.
L’indagine nasce da alcuni articoli e in particolare dall’audio pubblicato sul sito americano BuzzFeed, con la voce di Gianluca Savoini, leghista presidente dell’Associazione Lombardia-Russia, che il 18 ottobre dell’anno scorso a Mosca avrebbe trattato con alcuni russi per far arrivare fino a 65 milioni di dollari alla Lega nell’ambito di affari legati al petrolio. L’intesa si
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http://www.lanuovabq.it/it/russiagate-ce-puzza-di-regia-internazionale
DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI
Breve storia del Cara di Mineo
di Alessandro Puglia – 15 febbraio 2019 RILETTURA
Lunedì riprenderanno i trasferimenti al Cara di Mineo. Nato nel 2011 sotto l’ex governo Berlusconi e per volere dell’ex ministro leghista Maroni, il centro profughi più grande d’Europa, in passato con oltre 4000 ospiti, si avvia verso la chiusura. Una pagina nera dell’accoglienza attraversata dalle inchieste di “Mafia capitale”, ma anche, nell’ultimo periodo, dall’operato dei commissari straordinari che hanno tentato di rigenerare quello che non è mai stato un albergo a cinque stelle
This camp is no good”, “questo campo non è buono”, chiunque abbia osato avvicinarsi alle recinzioni che circondano il Cara di Mineo avrà sentito almeno una volta qualche migrante ripetere questa frase tra il via vai di militari che dal giorno della sua apertura, il 18 marzo 2011, sorvegliano giorno e notte il centro richiedenti asilo più grande d’Europa, arrivato in passato ad ospitare fino a 4000 persone.
Oggi di “ospiti” ce ne sono meno di 1200 e il piano di sgomberi previsto dal ministero dell’Interno porterà entro la fine dell’anno a svuotare completamente il centro. Giovedì 7 febbraio sono stati 44 i migranti trasferiti nei Cas (centri d’accoglienza straordinaria) tra Trapani, Siracusa e Ragusa, mentre altri gruppi di 50 – al momento solo uomini senza nucleo familiare – verranno trasferiti il 18 e il 27 febbraio. Un piano di trasferimenti costituito da liste di persone che nel corso dell’anno dovranno lasciare il Cara, studiato per non dare troppo nell’occhio, ma che secondo le testimonianze degli ospiti non garantisce né certezze sul proprio futuro, né offre una soluzione a quelle speranze di integrazione maturate invano negli anni di permanenza nel centro.
La vicenda del Cara di Mineo è storia antica. Inaugurato a marzo del 2011 dall’allora governo Berlusconi e dall’ex ministro dell’Interno leghista Roberto Maroni, quello che fu chiamato “Il villaggio della solidarietà” nasce all’interno del Residence degli aranci: 400 villette che originariamente dovevano essere destinate ai marines della vicina base militare americana di Sigonella. Attorno al Cara, nella strada che da Catania porta a Caltagirone, dominano distese di aranceti e due, tre distributori di benzina. Insomma, il nulla.
Èqui che secondo l’ex ministro leghista il mega Cara di Mineo sarebbe servito per rispondere all’emergenza umanitaria della Primavera Araba e ai conseguenti sbarchi di quegli anni a Lampedusa. Un’eccellenza europea fu definita che ben presto si rivela un luogo di affari per alcuni professionisti dell’accoglienza supportati da personaggi politici di rilievo.
Il ramo siciliano dell’inchiesta di Mafia Capitale, quella per cui “il traffico di immigrati rende più della droga”, come hanno rivelato le intercettazioni della nota inchiesta, si svolge proprio qui. Il numero gonfiato di presenze di migranti per far lievitare i compensi delle ditte impegnate nei servizi del centro di accoglienza, la “parentopoli” nelle assunzioni fino a un bando di 97,8 milioni di euro costruito ad hoc coinvolgono l’ex consorzio del Sol. Calatino dietro cui gravitano imprenditori, sindaci e politici. Tra i nomi spiccano quelli di Luca Odevaine, ex componente del tavolo di coordinamento sull’immigrazione del Viminale condannato a sei mesi di reclusione, l’ex presidente del consorzio Sol Calatino terre d’accoglienza Paolo Ragusa, l’ex direttore del consorzio Sol Calatino Giovanni Ferrera, gli ex vertici delle Associazioni temporanee di imprese interessate, l’ex sindaco di Mineo Anna Aloisi e l’ex sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione (Ncd) all’epoca dei fatti presidente della Provincia di Catania e indagato in qualità di soggetto attuatore del Cara di Mineo.
Tra commissioni d’inchiesta, visite di parlamentari, a febbraio 2015 arriva il parere dell’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione, che attraverso il suo presidente, Raffaele Cantone, chiede il commissariamento del Cara di Mineo: «Il bando per la gestione del centro era stato costruito in modo tale da escludere completamente la concorrenza, con una logica unitaria e senza divisione in lotti, richiedendo una serie di presupposti specifici in cui davvero mancava solo che indicassero anche il nome diretto del vincitore, era un classico bando su misura», spiegava Cantone.
Il 30 Settembre 2015, a seguito del parere dell’Anac, la Prefettura di Catania nomina come commissari straordinari l’ingegnere Giuseppe Di Natale e il prof. Giuseppe Caruso.
Il Cara di Mineo – nonostante permangono le difficoltà degli ospiti che fronteggiano le lungaggini della burocrazia per aver esaminato il proprio status di rifugiato – si avvia verso una ripresa proprio grazie all’incessante lavoro dei commissari prefettizi.
Dopo anni e anni di richieste da parte dei tanti migranti di fede cattolica viene finalmente adibito un prefabbricato per celebrare la messa cattolica, che si svolge regolarmente ogni domenica alle 18. Viene inaugurata una nuova moschea, si intensificano i corsi di lingua italiana, viene rafforzato il job center riuscendo in diversi casi a far trovare un lavoro agli ospiti , uomini e donne partecipano attivamente ai progetti dell’orto biologico. La squadra di calcio del Cara di Mineo, interamente composta da rifugiati, scala presto tre categorie e si intensificano le attività legate allo sport e alla musica. Qui nel 2017 viene accolta anche la piccola Mercy, la bimba nata a bordo della nave Aquarius che ha ispirato l’omonima canzone del gruppo pop francese Madame Monsieur, l’anno scorso all’Eurovision.
Tanti ragazzi – in ogni spazio libero del centro – giocano continuamente a calcio: «Avevamo creato con sacrificio e impegno una sorta di Università dell’accoglienza, l’integrazione era già un concetto superato, perché il nostro spirito era quello della condivisione. Ricordo ancora il sorriso di due ragazzi del Camerun nel giorno in cui siamo riusciti a trovargli un posto di lavoro in una struttura per anziani» ricorda l’ex commissario prefettizio Giuseppe Di Natale.
Nonostante le numerose attività, dal giorno della sua apertura ad oggi, molti ospiti continuano a sentirsi “prigionieri” dal punto di vista psicologico e questo perché a differenza dei sei mesi (prorogabili di nove in casi straordinari)
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http://www.vita.it/it/story/2019/02/15/breve-storia-del-cara-di-mineo/271/
Addio al business dell’accoglienza. E le cooperative sono costrette a chiudere
Dopo Trento, anche dalla provincia di Rovigo arrivano le prime voci di dissenso contro gli effetti del Decreto sicurezza: trovandosi senza fondi, molte coop saranno costrette a chiudere o ad effettuare importanti tagli del personale. Rappresentanti Cgil: “Alimentata voragine della disoccupazione”
Federico Garau – Gio, 03/01/2019
Mentre imperversa lo scontro fra il ministro Salvini ed i sindaci ribelli, anche i centri d’accoglienza, che vedono ridurre drasticamente il numero di stranieri all’interno delle loro strutture, si uniscono alle voci di dissenso contro le nuove norme vigenti.
Un caso emblematico è quello di Rovigo, dove nei prossimi mesi gli effetti del Decreto sicurezza porteranno ad un ingente numero di licenziamenti. Gran parte del personale impiegato nelle cooperative non sarà più necessario, considerata l’evidente diminuzione di richiedenti asilo.
Un caso emblematico è quello di Rovigo, dove nei prossimi mesi gli effetti del Decreto sicurezza porteranno ad un ingente numero di licenziamenti. Gran parte del personale impiegato nelle cooperative non sarà più necessario, considerata l’evidente diminuzione di richiedenti asilo.
Dopo Trento, dunque, anche dalla zona del Polesine cominciano ad arrivare le dure condanne dei sindacati, che accusano il governo giallo-verde di stare creando nuovi disoccupati.
Col restringimento dell’accoglienza, le casse dei centri saranno sempre più vuote, di conseguenza
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http://www.ilgiornale.it/news/cronache/centri-accoglienza-costretti-ai-tagli-allarme-sindacati-1623893.html
ECONOMIA
Altro che libertà individuale, i neoliberisti vivranno come Kunta Kinte
Insigni filosofi, economisti e Cettolaqualunquisti dibattono sulle differenze tra il pensiero liberale e quello liberista. Chi invoca Benedetto Croce, chi sottolinea che è tutta fuffa italiana e che nel resto del mondo “questa distinzione non esiste”, chi ritiene che i sottili distinguo facciano solo perdere tempo. Sono pochi pochissimi quelli che si concentrano sul termine neoliberismo, che non significa né liberale né liberista, proprio come marxista non significa marxiano e neokeynesiano non vuol dire postkeynesiano.
La visione olistica dell’universo è una gran bella cosa, ma anche le sfumature hanno un certo rilievo.
Fermi tutti. Prima di abbandonare il pezzo, garantisco che non è nulla di complicato e che circostanziare il fenomeno è invece molto utile.
Il pensiero neoliberista non ha grandi teorici alle spalle, e citare gli economisti austriaci o la scuola di Chicago delle volte è fuorviante. In fondo, Hayek e Friedman per nostra fortuna sono morti e sepolti, ed i loro epigoni nostrani alla Michele Boldrin fanno paura solo alle sagre (e solo se girano con le guardie del corpo).
Il pensiero neoliberista ha a che fare con la tecnica e con il vertiginoso aumento dei servizi finanziari e assicurativi ad essa collegati. Per non parlare dell’ingegneria finanziaria, qualsiasi cosa essa significhi.
Il modello neoliberista, in altri termini, si autoalimenta da solo, in modo autoreferenziale, come avviene per la tecnologia fine a sé stessa. Il suo destino, se “lasciata correre”, è quello di ottenere scopi opposti a quelli per cui è nata.
Qual è l’obiettivo del capitalista tradizionale?
Accumulare capitali.
E per far che?
Per avere potere!
Gira che ti rigira tutto il modello capitalista va a parare sull’accumulo dei capitali, il cui scopo era quello di emancipare l’accumulatore e di fornirgli i mezzi per esercitare una qualche forma di potere. Col neoliberismo c’è una piccola, ma significativa variante: chi accumula capitale non lo utilizza poi affatto a suo piacimento. Che si tratti di grande o piccolo accumulatore di capitale, il sistema attuale induce all’erosione del capitale tramite un sistema di vincoli finanziari che lo tengono legato al lavoro, alle preoccupazioni ed ai conti per tutta la vita. Nel caso dei capitalisti veri e propri, quelli che possiedono i mezzi di produzione, i guadagni implicano un continuo reimpiego, oppure la vendita dell’attività, o, come la chiamano gli anglicisti del settore, una exit. I grandi capitalisti tradizionali, insomma, devono continuare a reinvestire i capitali per essere concorrenziali, oppure vendere.
Non affronteremo il tema della caduta tendenziale del saggio di profitto di cui parlava Marx in questa occasione perché è più interessante ciò che accade ai “capitalisti” che non possiedono i mezzi di produzione (noi), ma che si limitano a parcheggiare capitali nei loro conti sotto forma di risparmio. Costoro col sistema neoliberista sono soggetti a continui vincoli economici, a prescindere dalle quote di denaro accumulato, dalla personale capacità di risparmio e dagli investimenti effettuati.
Propongo alcuni esempi sulle modalità di funzionamento, affinché sia più chiaro il meccanismo che lo differenzia significativamente da tutti quelli precedenti.
Tutti possediamo il cellulare e, sovente, è la prima cosa che guardiamo al mattino appena svegli. Uno strumento, checché se ne dica, indispensabile per come si è organizzato il lavoro ed i rapporti famigliari. Da qualche tempo, tuttavia, le società che erogano il servizio di telefonia mobile non consentono più al cliente di usufruire del servizio tramite tariffe a consumo, ma solo con abbonamento. Ora, è del tutto evidente che l’abbonamento rappresenta un vincolo molto forte, sotto il profilo pratico infinitamente più forte della tariffa a consumo. Dunque, se fino a pochi anni or sono un cliente poteva acquistare una tessera telefonica e decidere se ricaricarla, di quanto e quando, ora questo non è più possibile. Anche se la legge garantisce ancora che blablabla, di fatto occorre litigare con seimila operatori e fare il diavolo a quattro per avere ancora da qualche compagnia una sim ricaricabile: tutte prevedono un vincolo contrattuale, con il denaro prelevato direttamente dal conto corrente bancario. Che tu sia un milionario o un povero disgraziato, il modello neoliberista prevede per te un vincolo, un abbonamento, qualcosa che ti leghi ai servizi, senza la possibilità pratica di sganciarti, neanche per brevi periodi.
Siete mai stati in un concessionario d’auto di recente? Io si, e vi avviso che rispetto a
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http://micidial.it/2019/07/altro-che-liberta-individuale-i-neo-liberisti-vivranno-come-kunta-kinte/
L’Oro paese per paese. Come cambia la geografia
Tanti non hanno voglia di leggere filippiche infinite magari infarcite di grafici e tabelle. Allora, di tanto in tanto, proponiamo qualche infografica. In questa qua sopra sull’oro, notate la posizione di tutto rispetto dell’Italia. Tra l’altro in questi mesi è andata a buon fine la battaglia portata avanti da Claudio Borghi, economista della Lega e presidente della Commissione Bilancio della Camera, volta a sancire una volta per tutte la proprietà pubblica dell’oro italiano depositato a Fort Knox ed in vari altri caveau del mondo.
Giunta la proposta in aula, il presidente di Montecitorio Roberto Fico ha sottoposto per competenza la questione alla Banca centrale europea.
La quale ha risposto che l’oro detenuto appartiene allo Stato italiano, e non, dunque, alla Banca d’Italia.
Interessante, comunque, vedere cosa dice il sito della Banca d’Italia sui dati relativi al gold:
Le riserve auree italiane ammontano a 2.452 tonnellate – delle quali 4,1 tonnellate sotto forma di moneta (si tratta di 871.713 pezzi di moneta il c.d. “oro monetato”) e le rimanenti sotto forma di lingotti – dopo che nel 1999 sono
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http://micidial.it/2019/06/loro-paese-per-paese-come-cambia-la-geografia/
Riserve auree e Bankitalia: di chi sono? Tutta la verità
14 Febbraio 2019, di Daniele Chicca
Presentando una bozza di legge per chiarire a chi appartengono le riserve auree depositate presso Bankitalia, Claudio Borghi della Lega ha sollevato un polverone. La Stampa sostiene che la misura sia volta a coprire le spese per prevenire lo scatto delle clausole di salvaguardia. Che vorrebbero dire aumento dell’IVA nei prossimi due anni.
A fare discutere è stato anche il tempismo della proposta del presidente della Commissione Bilancio della Camera. L’idea è emersa pochi giorni dopo che la coalizione di governo giallo verde ha attaccato verbalmente i vertici di Consob e di Bankitalia, chiedendone l’azzeramento.
Borghi vuole proteggere le riserve auree italiane per precisare a chi appartengono le migliaia di tonnellate di oro gestite dalla Banca d’Italia. Nel testo si specifica che l’oro è dello Stato italiano e non di autorità esterne, ossia della Bce. In realtà come vedremo più avanti, le cose stanno diversamente.
L’iniziativa potrebbe però aprire la strada all’ipotesi di vendere le riserve auree. Progetto di cui aveva discusso più di cinque anni fa Beppe Grillo, cofondatore del MoVimento 5 Stelle, sul suo blog. Con l’obiettivo di servirsi del ricavato per rimettere in carreggiata i conti pubblici.
In fatto di riserve auree, Italia terza potenza al mondo
L’Italia sostiene di avere in mano 2.451,8 tonnellate (metriche) di riserve auree. Se le cifre sono corrette, si tratterebbe della quarta somma più alto dopo la Germania, gli Stati Uniti e il Fondo Monetario Internazionale. Saremmo il paese custode del terzo ammontare di oro al mondo. Al contrario della maggior parte delle nazioni, in cui le riserve auree sono di proprietà dello Stato ma gestite dalla banca centrale, in Italia la banca centrale detiene e custodisce l’oro allo stesso tempo.
Il problema è poi che la Banca d’Italia fa parte dell’Eurosistema e dunque deve sottostare alla Bce. L’Articolo 127 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE, ex Articolo 105 del Trattato EC), stabilisce che le riserve valutarie e auree fanno parte delle riserve di proprietà dell’Area Euro.
Bankitalia possiede fisicamente inoltre 119,4 tonnellate di oro, riserve auree depositate a Palazzo Koch a Roma. Mentre l’altra metà si trova alla Federal Reserve Bank di New York (FRBNY). Un’altra piccola fetta è custodita invece a Londra presso la Banca d’Inghilterra e un’altra ancora a Berna, nei forzieri della Banca Nazionale Svizzera (SNB) per conto della Banca delle Banche centrali, la Banca dei Regolamenti Internazionali (Bank for International Settlements).
Non ci sono tuttavia prove concrete su queste riserve, specialmente per l’oro detenuto all’estero. Su cui non è possibile effettuare verifiche. I 16-20 miliardi di ricavi previsti con la vendita di oro sarebbe la somma ideale per sterilizzare l’incremento dell’IVA l’anno prossimo. Ci vorrebbero infatti 32 miliardi in due anni (20 e 12) per scongiurare l’attivazione delle clausole di salvaguardia.
Oro: la controversia ruota intorno a Borghi e Grillo
Il problema del piano sarebbe che la vendita delle riserve auree è una misura una tantum. Per scongiurare l’aumento dell’IVA serve invece una misura di finanziamento ricorrente nel tempo. Il progetto – anche se fosse veramente fattibile – servirebbe solo a rimandare un problema.
Secondo Grillo permetterebbe di respirare offrendo una copertura extra al bilancio, senza violare i vincoli di bilancio. “Ma soprattutto metterebbe finalmente fine a questa litania sul fatto che non ci sono soldi”.
La proposta di legge di Borghi, presentata per la verità alla Camera per la prima volta il 6 agosto del 2018, va in questa direzione. L’intento è quello di “assicurare chiarezza interpretativa poiché la Banca d’Italia, secondo quanto dispone l’articolo 4, secondo comma, del testo unico, provvede in ordine alla gestione delle riserve ufficiali, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 31 dello statuto del Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea”.
L’Italia, pur impegnandosi a rispettare gli obblighi internazionali derivanti da trattati, vuole esplicitare la “permanenza della proprietà delle riserve auree allo Stato italiano”. Vista la natura ibrida assunta dalla Banca d’Italia nel corso degli anni, la proposta di legge di Borghi conclude che “una specificazione su questo punto si rende necessaria”.
Riserve auree: la bozza di legge di Borghi
La bozza del testo, dice Borghi, è solo un’ipotesi al vaglio del governo. La proposta di legge non è ancora stata ufficialmente presentata in parlamento e, anche se fosse, non vuol dire che il governo abbia intenzione di vendere sul serio le riserve auree.
L’intento di Borghi con le sue dichiarazioni ai media è quello di “rassicurare la gente sul fatto che il governo non intende cedere oro” per porre rimedio alle difficoltà riscontrate sul fronte delle finanze pubbliche.
“La mia proposta di legge vuole semplicemente chiarire che le riserve auree appartengono allo Stato, non a qualcun altro”, ha precisato Borghi a Bloomberg. Se ci fossero dubbi sulle nostre intenzioni, si ricordi che c’è un’altra legge che dice che le riserve auree non possono essere vendute senza la maggioranza di due terzi del parlamento”.
Quello che vuole dire Borghi qui, è che servirebbe infatti un ordine per legge costituzionale.
Bankitalia: “le riserve auree sono nostre”
In una guida del 2014, Banca d’Italia spiega che le riserve auree sono di proprietà dell’istituto. “La proprietà delle riserve ufficiali è assegnata per legge alla Banca d’Italia”, si legge nella prima pagina (vedi allegato qui sotto).
La ragione per la quale le riserve auree, costituite prevalentemente da lingotti (95.493) ma anche in parte minore da monete, appartengono a Bankitalia e non allo Stato sono storiche.
Riserve auree: perché appartengono a Bankitalia e non lo Stato
Fino agli Anni ’60 le riserve auree non erano detenute dalla Banca d’Italia bensì da un ente chiamato l’Ufficio Italiano dei Cambi (UIC). Autorità fondata nel 1945 il cui compito principale era quello di gestire le riserve valutarie
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https://www.wallstreetitalia.com/riserve-auree-bankitalia-tutta-la-verita/
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
12 luglio 2019
Meglio Trump che mai: finalmente qualcuno si è accorto che Libra è un grosso guaio per gli Stati
Tre tweet del presidente degli Stati Uniti squarciano il silenzio della politica sulla moneta di Facebook. Naif e rozzo finché volete, The Donald ha posto questioni serie. L’Europa dov’è?
Aspettavamo con ansia il primo politico che dicesse qualcosa di concreto su Libra, la criptovaluta lanciata da Facebook qualche settimana fa, che nell’ambizione di Mark Zuckerberg dovrebbe diventare “l’internet delle monete”, il nuovo standard delle transazioni economico-finanziarie. Aspettavamo con ansia, e il primo a corrispondere alle nostre attese, ieri sera, con una serie di tweet, è stato Donald Trump: “Non sono un fan di Bitcoin e altre criptovalute, che non sono denaro, e il cui valore è altamente volatile e basato sul nulla. Tali attività possono facilitare comportamenti illeciti, tra cui il traffico di droga e altre attività illegali – ha scritto -. Allo stesso modo, la “valuta virtuale” di Facebook, Libra, avrà poca reputazione o affidabilità. Se Facebook e altre aziende vogliono diventare una banca, devono diventare soggetti a tutti i regolamenti bancari, proprio come le altre banche, sia nazionali, sia internazionali. Abbiamo una sola valuta reale negli Stati Uniti ed è più forte che mai, affidabile e affidabile. È di gran lunga la valuta più dominante in qualsiasi parte del mondo e rimarrà sempre così. Si chiama il dollaro degli Stati Uniti!”, ha concluso.
Naif finché volete, rozzo finché volete, ma è difficile dargli torto. Non tanto nell’opera di delegittimazione delle criptovalute – non sono la prima né l’ultima attività finanziaria basata sul nulla, né l’unica valuta con cui si possono comprare droga e attività illegali, anzi -, quando piuttosto nell’essersi posto, finora, come unico soggetto di interposizione tra Mark Zuckerberg e la sua assoluta libertà di fare quel che vuole. L’abbiamo già scritto su queste pagine, lo ribadiamo: quel che qualunque governo serio avrebbe dovuto dire a Mark Zuckerberg e agli altri soci dell’Associazione Libra, quelli che andranno a costituire una riserva da un miliardo di dollari e di cui non abbiamo il piacere di conoscere il nome, è che nel loro Paese l’internet delle valute non avrebbe mai messo piede se non a determinate condizioni. E avrebbero dovuto dirlo dieci secondi dopo l’annuncio di Libra.
Che nessuno l’abbia fatto, sinora, dice molto della qualità di chi ci governa, della loro comprensione delle grandi questioni della modernità – e lo sono sia le criptovalute, sia la blockchain, sia il ruolo sociale e politico di gigantesche multinazionali come Facebook -, e della loro stessa ambizione a governarle. Possibile, ci chiediamo, che nessuno tra loro si sia posto il problema della tassazione delle transazioni su Libra, non una questione da nulla visto che l’emittente della medesima ha un rapporto complicato con il fisco, e la sua sede in un Paese dove le multinazionali non pagano le tasse? Possibile che nessuno si sia posto il problema del rapporto tra una valuta che ha 1,7 miliardi (in crescita) di utenti potenziali, che minaccia di diventare concorrente di euro e dollaro – anzi, peggio: di mandarli in soffitta – senza porsi il tema della regolazione finanziaria di questa moneta? Davvero pensano di poterla gestire con l’Associazione Libra con sede a Ginevra come banca centrale? Ancora: nessuno si è posto il problema del cambio di questa moneta con le altre valute, di come e chi ne determinerà
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https://www.linkiesta.it/it/article/2019/07/12/trump-cosa-ha-detto-libra-facebook/42852/
GIUSTIZIA E NORME
Giuseppe Sala, dopo la condanna santo subito
Esperta di giustizia, liberacittadinanza.it
9 Luglio 2019
La condanna di Giuseppe Sala a 6 mesi di reclusione, convertita in una pena pecuniaria di 45mila euro, per aver retrodatato la nomina di due commissari della gara di appalto più rilevante di tutto il pacchetto Expo, probabilmente non meriterebbe una particolarissima attenzione nel panorama quanto mai caotico e sconfortante dell’odierna cronaca politico-giudiziaria se non fosse per le reazioni incredibili dell’interessato, del “nuovo” Pd dominato più dal Lotti “autosospeso” che da Zingaretti, della politica tutta, con l’eccezione del M5S, e della stampa all’unisono, escluso il Fatto Quotidiano.
La categoria del “reato a fin di bene”, ignota persino nei tempi infausti della Repubblica delle banane o dei “fichi d’india”, come preferiva definirla Gianni Agnelli, degli anni d’oro di B. ha trovato nel caso del falso commesso dall’attuale sindaco di Milano un consenso talmente unanime ed entusiastico che per coerenza sembrerebbe prioritario “rifondare” il diritto penale alla luce delle “buone intenzioni” o quantomeno abrogare dall’oggi al domani il reato di falso materiale e ideologico.
E non sembrerebbe vero ma per “il martire” Sala che avrebbe, con straordinario senso di responsabilità e spirito di sacrificio, firmato e riconfermato ripetutamente una falsità pur di non rinviare l’Expo delle meraviglie, si tratta della stessa fattispecie criminosa per cui era stata rinviata a giudizio Virginia Raggi che si era, peraltro, formalmente impegnata a dimettersi in base allo statuto del M5S qualora fosse stata condannata.
Solo che quando si trattava della sindaca di Roma il falso era un reato serissimo, gravissimo e altamente disonorevole. Poi “nelle aule del tribunale” è arrivata l’assoluzione ma la sindaca era già stata condannata irrevocabilmente sui giornaloni e nei commenti a titoli unificati dei gazzettieri del pensiero unico già prima della richiesta di rinvio a giudizio. La Raggi continuò ad essere considerata bugiarda e manipolatrice anche dopo l’assoluzione e l’accertamento da parte dei giudici che le interferenze sulla nomina di Renato Marra erano avvenute in sua assenza. L’ipotesi delle dimissioni per il sindaco di Milano invece non è nemmeno configurabile: Sala si è
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https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/07/09/giuseppe-sala-dopo-la-condanna-santo-subito/5309826/
PANORAMA INTERNAZIONALE
NELL’ARKANSAS DEI CLINTON, SENATRICE UCCISA – indagava su affidi pedofili
Maurizio Blondet 12 Luglio 2019 0
Si chiamava Linda Collins-Smith, aveva 57 anni, era stata fino al 2016 senatrice del Senato dello Stato dell’Arkansas. E’ stata uccisa con diversi colpi di pistola il 4 giugno, fuori da casa sua, nei pressi di Little Rock. Quando il corpo è stato trovato, era in avanzato stato di decomposizione. Dell’assassinio è stata formalmente accusata una conoscente della senatrice, Rebecca Lynn O’Donnell di 48 anni. Il movente dell’omicida non è stato reso noto.
Ma ecco la bomba: mentre il magistrato inquirente ha imposto il più rigoroso segreto istruttorio, l’FBI ha avocato a sé il caso perché – stando a “fonti della polizia federale” – la senatrice stava indagando di persona su casi di pornografia infantile in un giro criminale dell’Arkansas che comprendeva anche un traffico di affidi di bambini, con gravi responsabilità dei servizi sociali dello Stato.
La Collins-Smith aveva esplicitamente sollevato la questione della corruzione del Dipartimento Servizi Umani (sic) dello Stato, e specificamente della sua unità di servizi di protezione dell’infanzia: denunciando un ammanco di 40-50 milioni di dollari in quel settore, ma soprattutto un sistema criminale di affidi a genitori che pagavano per questo. E’ possibile che conducesse le sue indagini in collaborazione informale col l’FBI, perché subito dopo la scoperta del corpo i federali hanno cominciato a condurre interrogatori con una sistematicità che indica che sapevano già dove e chi cercare.
Si dice anche che l’uccisa
“stava per rendere pubblico lo scandalo”.
E si apprestava ad accusare direttamente Hillary Clinton:
https://www.snopes.com/fact-check/linda-collins-smith-clintons/
Che l’evento possa avere sviluppi impensabili e arrivare al cuore del Sistema, lo suggerisce che il teatro dell’omicidio, l’Arkansas, è lo stato dove i coniugi Clinton (gli abituali clienti di J. Epstein) hanno costruito le loro iniziali fortune, in modi discutibili; per esempio l’aeroporto di Mena in Arkansas, mentre Bill Clinton era governatore, è stato al centro di traffici sporchi della Cia con contrabbando di armi ai Contras del Nicaragua, e droga e riciclaggio. Tutta una serie di storie circondano l’ente creato dal governatore Clinton, in teoria per lo sviluppo dell’Arkansas, che è una zona depressa, lo ADFA (Authority Development and Finance Authority), ma in realtà usato come la cassaforte dei loro affari. Attorno agli anni di Clinton governatore c’è un tale numero di morti sospette,sempre catalogate come “suicidi” anche quanod il suiciida si sarebbe sparato due volte alla nuca, da far parlare di Arkancide (Da Arkansas e Omicide) , http://www.arkancide.com/
detta anche
“Sindrome di morte improvvisa dell’Akansas”.
Si va da Vincent Foster, socio di Hillary nello studio legale di lei (e forse suo amante), “suicida” nel 1993 a 48 anni, a Russel Welch, investigatore dello stato dell’Arkansas, avvelenato …con l’antrace mentre stava indagando sugli affari sporchi dei Clinton. La lista (almeno 49 morti sospette) è troppo lunga per raccontarla. Basti dire che di essa si occupò Ambrose Evans-Pritchard, il prestigioso giornalista del Telegraph , che ci ha fatto un’inchiesta, che si può leggere qui:
http://www.geocities.ws/incindiary1999/jerryparks.html
Chi vuole informarsi della lista di suicidi e omicidi, può farlo alla voce “Clinton Body Count”
https://www.conservapedia.com/Clinton_body_count
Dove troverà anche il servizio che Hillary aveva organizzato “per localizzare, perseguitare, molestare e intimidire le donne legate sessualmente a Bill Clinton”.
L’omicidio a revolverate di Seth Rich, l’attivista sospettato di aver soffiato le e-mail compromettenti della Clinton Wikileaks, nel 2016, ha aperto una seconda fase di “conteggio dei cadaveri”. Del resto, la disponibilità ad assassinare, Hillary l’ha mopstrata pubblicamente quando propose al gabinetto di Obama (in cui sedeva come segretaria di Stato) di “Drone Assange“, cioè’ uccidere il fondatore di Wikileaks,, rifugiato nell’ambasciata, con un drone. E tutti ricordano l’agghiacciante sorrisetto con cui si vantò dell’assassinio di Gheddafi in un’intervista televisiva : “We came, We Saw, he died”. Vedi https://www.youtube.com/watch?v=Fgcd1ghag5Y
Noi possiamo ricordare la furia da belva con cui Killary si scagliò contro Guido Bertolaso, il capo della protezione civile che partecipava ai soccorsi dopo il terremoto di Haiti nel 2010, e criticò l’aspetto militare dei “soccorritori americani”. Hillary ottenne subito dal ministro degli esteri berlusconiano Franco Frattini (j) prendesse le più vergognose distanze da Bertolaso.
Poco dopo, una decina di “soccorritori” americani furono accusati di traffico di bambini: stavano portando in Usa 33 “orfanelli” che invece avevano i genitori.
“Epstein apparteneva all’intelligence”
Che il Sistema Clinton sia prossimo a venire smantellato, dopo l’arresto del pedofilo Jeffrey Epstein, lo lascia sperare la frase di Alex Acosta: il procuratore degli Stati Uniti per la Florida del Sud, che nel 2007-2008 ha costruito il congegno legale per cui Epstein è stato praticamente non-perseguito allora, nonostante le accuse documentate dell’FBI. Un trucco legale molto discusso, come minimo. Che metteva in pericolo la carriera del procuratore. Che ora, invece, è ministro del Lavoro nell’Amministrazione Trump.
Adesso il sito The Daily Beast racconta che quando il “transition team” di Trump ha intervistato l’ex procuratore, gli ha chiesto se “il caso Epstein potrebbe essere un problema [per le udienze senatoriali di conferma della carica]?” . Acosta aveva spiegato, in modo casuale, che lui Epstein l’aveva visto una sola volta; e che aveva confezionato l’accordo di non-prosecution con uno degli avvocati di Epstein perché gli era stato “detto” di fare marcia indietro, che Epstein era al di sopra del suo grado di paga. “Mi è stato detto che Epstein” apparteneva all’intelligence “e di lasciarlo in pace”. Il transition team di Trump ha ritenuto la risposta sufficiente.
Infatti: quale servizio d’intelligence non considererebbe un tesoro Epstein, con la sua potente clientela che caricava sul suo Boeing “Lolita Express” a fare sesso con bambine nella sua isola privata? “Epstein ha messo in piedi una macchina del ricatto”, ha detto la commentatrice tv conservatrice Ann Coulter: risulta infatti dalle deposizioni delle ragazzine che aveva arruolato, “che voleva che facessero sesso con uomini potenti,e poi tornare da lui e riferire, descrivere quello che volevano, quali erano i loro gusti feticisti;
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Crollo dell’URSS? Una benedizione – Presidente del Consiglio europeo
© REUTERS / Virginia Mayo/Pool – 11.07.2019
Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha definito il collasso dell’Unione Sovietica una benedizione per i sovietici ed europei.
Durante la conferenza “Georgia’s European Way” (“Il percorso europeo della Georgia”), che si sta tenendo a Batumi, Georgia, presidente del Consiglio europeo dal 2014, il polacco Donald Tusk, ha espresso il parere che il crollo dell’URSS sia stato “una benedizione” per ucraini, georgiani, i popoli dell’Europa Centrale e Orientale e per gli stessi russi.
La conferenza si svolge in occasione del 10° anniversario del programma dell’UE “Partenariato orientale”. Il 31 ottobre Donald Tusk abbandonerà la sua carica di presidente del Consiglio europeo, quindi con ogni probabilità questa sarà la sua ultima visita ufficiale in Georgia.
“Il collasso dell’Unione Sovietica NON è stato la più grande catastrofe geopolitica del secolo. Oggi in Georgia voglio dire con chiarezza e ad alta voce: il collasso dell’URSS è stato una benedizione per i georgiani, i polacchi, gli ucraini e tutta l’Europa Centrale e Orientale. E anche per i russi”, ha scritto Dusk su Twitter.
Il presidente del Consiglio Europeo ha aggiunto che quest’anno oltre ai 10 anni dalla creazione del
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POLITICA
“Fondi Russia alla Lega”, Procura di Milano apre fascicolo per corruzione internazionale: indagato Savoini
L’indagine mette al centro l’incontro avvenuto il 18 ottobre del 2018 all’Hotel Metropol della capitale russa e l’audio, pubblicato dal sito statunitense BuzzFeed, in cui si sente una voce attribuita all’ex collaboratore del Carroccio e presidente dell’associazione Lombardia-Russia. Si ipotizza che siano coinvolti anche dei funzionari pubblici di Mosca. Lui all’Adnkronos: “Non ho mai preso soldi da Mosca, non ho mai parlato a nome della Lega e di Salvini, non ho mai fatto cose illegali e non ho mai incontrato ‘emissari del Cremlino'”
di F. Q. | 11 Luglio 2019
La Procura di Milano ha aperto un fascicolo sui presunti fondi russi alla Lega e l’ipotesi di reato è di corruzione internazionale. Tra gli indagati c’è anche Gianluca Savoini, ex collaboratore del Carroccio e animatore dell’associazione Lombardia-Russia, intercettato in un audio mentre si accorda con tre russi per un maxi-finanziamento prima delle Europee. “Non ho mai preso soldi da Mosca”, è stato il suo commento all’agenzia Adnkronos, “non ho mai parlato a nome della Lega e di Salvini, non ho mai fatto cose illegali e non ho mai incontrato ‘emissari del Cremlino’”. L’inchiesta è stata aperta a febbraio scorso e, da quanto si apprende, sono già state sentite alcune persone.
La tesi di corruzione internazionale nasce dall’ipotesi che siano coinvolti
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TUTTE LE STRADE PORTANO A RENZI – BANCA ETRURIA HA FINANZIATO LA FONDAZIONE “OPEN”
DEL PREMIER CAZZONE, ATTRAVERSO UN’AZIENDA ARETINA DI CUI ERA SOCIO PRIVATO – UN BONIFICO DI 15 MILA EURO
Renzi ha sostenuto quattro campagne elettorali (in cinque anni): due nel 2009 (primarie e amministrative a Firenze), una nel 2012 e un’altra nel 2013. Il tutto senza sostegno economico da parte del Pd, rimborsi elettorali, né fondi pubblici. Dunque, Renzi dove li ha trovati i soldi?… –
Fabrizio Boschi per “il Giornale” – 21 GEN 2016 RILETTURA
Gira che ti rigira ci siamo arrivati. È spuntata una pista che da Banca Etruria porta a Matteo Renzi. L’istituto aretino, infatti, ha finanziato la Fondazione Open che sostiene le iniziative elettorali, le campagne e tutti i giochini che si inventa il presidente del Consiglio un giorno sì e l’ altro pure. Tra le altre cose la Fondazione è quella che ha organizzato (e pagato) le Leopolde.
Questi soldi sono arrivati alla Fondazione attraverso una società, fondata dagli azionisti della fallita Banca Etruria, l’ Intesa Aretina Scarl, di cui la banca è uno dei soci privati insieme a Mps. L’ azienda fondata nel 1999 gestisce il servizio idrico integrato di 31 comuni nell’ Alto Valdarno e il suo nome compare sul sito della Fondazione Open, tra i finanziatori: un bonifico da 15mila euro.
«È gravissimo che Renzi abbia varato il salva-banche dopo aver ricevuto quei soldi da Banca Etruria che maggiormente ne ha beneficiato – commenta il consigliere regionale della Toscana, Giovanni Donzelli (Fratelli d’ Italia) – Il
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Pd, indagato il tesoriere Bonifazi: “Fondi illeciti”
Nel mirino della procura di Roma 150mila euro versati da Luca Parnasi nelle casse della fondazione “Eyu” e che sarebbero stati (in realtà) destinati al partito. Bonifazi si difende: “Nessun finanziamento illecito”
Raffaello Binelli – 21/09/2018
La procura di Roma ha iscritto nel registro degli indagati il tesoriere del Pd Francesco Bonifazi.
L’inchiesta riguarda i fondi girati alla politica dall’imprenditore Luca Parnasi, finito in manette a giugno per la vicenda dello stadio della Roma. L’ipotesi di reato è finanziamento illecito ai partiti. Nello specifico gli inquirenti vorrebbero fare luce su 150mila euro versati da Parnasi alla fondazione “Eyu”, presieduta da Bonifazi ma destinati al partito e non iscritti (come previsto) nel bilancio. Parnasi avrebbe finanziato anche alla onlus “Più voci”, amministrata da Giulio Centemero, tesoriere del Carroccio. Negli atti dell’inchiesta, come riportato da alcuni giornali, vi sarebbero diverse conversazioni tra Bonifazi e Parnasi.
Parnasi ha confermato che all’incontro, avvenuto prima dell’ultima campagna elettorale, avevano partecipato Bonifazi e Domenico Petrolo, responsabile del fundraising di Eyu. Ma visto che la riunione si è svolta a sant’Andrea delle Fratte, luogo coperto dall’immunità parlamentare, quella conversazione non dovrebbe essere utilizzabile.
Bonifazi replica così alle notizie sul proprio conto: “Non c’è nessun finanziamento illecito al Pd, non c’è nessuna fattura falsa della Fondazione EUY – scrive su Twitter -. Abbiamo tutti i documenti in regola. E siamo pronti a dimostrarlo in qualsiasi sede”.
Intanto la notizia diventa strumento di polemica politica: “È singolare che ci attacchino partiti – dice il vicepremier Luigi Di Maio – come il Pd che ha il tesoriere indagato per fondi illeciti presi da Parnasi, quello dello stadio della Roma”. La portavoce del M5S, Mirella Liuzzi, rincara la dose: “Bonifazi tesoriere Pd indagato per finanziamento illecito. Siamo stati i primi a denunciare, bene che magistrati facciano luce su ennesimo scandalo. Ora calendarizzare subito legge su trasparenza nei bilanci delle
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http://www.ilgiornale.it/news/politica/pd-indagato-tesoriere-bonifazi-fondi-illeciti-1578808.html
Foa: «Eurodeputati Pd finanziati da Soros». Bufera sul presidente Rai
di Al.Tr.
«Un enorme numero» di parlamentari Ue, inclusa «l’intera delegazione del Pd» sono finanziati dal miliardario ungherese George Soros. Lo ha detto il presidente della Rai, Marcello Foa, in un’intervista al quotidiano liberal israeliano Haaretz rilasciata durante il suo viaggio a Tel Aviv, nella quale cita un rapporto della Open Society, la fondazione creata dal magnate ungherese.
Una dichiarazione che ha scatenato la bufera sul numero uno della Rai, con gli europarlamentari dem che annunciano querele, giudicando «gravissime» le parole del presidente. «Contro di me accuse strumentali, è evidente l’intento politico» ha replicato Foa.
«Accuse gravissime, si dimetta»
Unanime la protesta dei Dem contro le parole del numero uno di Viale Mazzini. A cominciare dal vicepresidente del parlamento Ue (ed ex giornalista Rai), David Sassoli che dice: «Non avrei mai immaginato di dover querelare e chiedere i danni al presidente della Rai», Foa «dovrà dimostrare quello che ha sostenuto, privo di fondamento, in Tribunale davanti a un giudice». Il capogruppo Pd al Senato, Andrea Marcucci, afferma che l’elezione di Foa «è illegittima», «
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Perché Unicef non ha querelato il cognato di Renzi (davvero)
di REDAZIONE | 05/10/2018
Gira sui social un video, molto condiviso da alcuni esponenti M5S, girato da Roberto Lipari che parla della vicenda Unicef-Conticini finita sui giornali questa estate. Unicef New York non ha infatti sporto querela nei confronti dei fratelli Conticini (tra cui Alessandro Conticini, cognato di Renzi) indagati dalla Procura di Firenze perché accusati di aver utilizzato a fini personali parte dei fondi versati dalle associazioni umanitarie alla loro Play Therapy Africa. Nello specifico l’indagine, partita nel 2016, parla di 6,6 milioni di dollari. Dopo una serie di “approfondimenti interni” Paolo Rozera, direttore di Unicef Italia al suo rientro da New York, ha spiegato che il Fondo delle Nazioni Unite non denuncerà.
Video qui: https://www.facebook.com/myrobertolipari/videos/1146338808856395/
Si grida al complotto a favore del cognato di Renzi, ma pochi si sono presi la briga di capire perché Unicef non abbia sporto denuncia. Partiamo però da alcuni elementi. Con il decreto approvato dal Governo Gentiloni alcuni reati in Italia, in particolare i “delitti contro il patrimonio”, non sono procedibili d’ufficio ma tramite querela delle parti offese. Nei casi rientra la truffa, la frode informatica e l’appropriazione indebita, casistiche similari a quelle delle persone coinvolte nell’indagine partita da Firenze. Senza querela da parte dell’organizzazione internazionale l’indagine Conticini(dove, ribadiamo, i diretti interessati hanno respinto le accuse subite sulla vicenda) potrebbe subire un contraccolpo.
A fare da cassa da risonanza in queste ore ci ha pensato Alessandro Di Battista, che ha notato (cercando su Google) che nel Consiglio Direttivo di Unicef Italia figurano Giovanni Malagò e Walter Veltroni. «Io do un consiglio non richiesto a Unicef: querelate, saranno i magistrati italiani a fare chiarezza. Ne va della vostra credibilità. Un’organizzazione che vive soprattutto grazie alle donazioni di migliaia di cittadini non solo deve essere trasparente, deve apparire trasparente perché chi semina dubbi non raccoglie più niente», ha detto l’ex deputato. Tralasciando il fatto che deve esser Unicef New York a sporgere denuncia come realtà offesa e non Unicef Italia perché non c’è stata la denuncia?
A CHE PUNTO SI TROVA L’INDAGINE SUI CONTICINI
Prima di fornirvi la versione di Unicef spieghiamo a che punto è l’indagine fiorentina. I pm Luca Turco e Giuseppina Mione lo scorso agosto hanno dovuto trasmettere richiesta di rogatoria internazionale alle ipotizzate parti lese: Unicef New York, Fondazione Pulitzer, Action Usa. Il fascicolo delle indagini – spiegava il Fatto Quotidiano questo agosto – era praticamente chiuso: mancavano solo gli esiti delle rogatorie. La società di Conticini, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, avrebbe ricevuto cospicue donazioni dagli Usa. Riportava il Fatto: «In particolare da Unicef (3,8 milioni di dollari tra 2008 e 2013) e Fondazione Pulitzer (5,5 milioni di dollari tra 2009 e 2016 transitati dalla onlus Operations Usa). Altri 900mila dollari complessivi sarebbero arrivati dalle ong Australian High Commission, Avsi, Fxb, Mobility without barriers foundation, Oak, Undp, France Volontaires». Secondo l’accusa i fratelli Conticini avrebbero dirottato ben 6,6 milioni di circa 10 complessivi ricevuti per aiutare i bambini in Africa, su conti correnti personali usandoli per investimenti immobiliari all’estero e altre operazioni finanziarie.
LA VERSIONE DI UNICEF CHE I 5 STELLE SEMBRANO IGNORARE
Parliamo dei 3,8 milioni di dollari versati dall’UNICEF alla società Play Therapy Africa Ltd. Non sei milioni e passa come spiegano nel popolarissimo video. «”Play Therapy Africa” – recita una nota dell’organizzazione internazionale – è stata una tra le migliaia di implementing partner con cui l’UNICEF ha avuto a che fare nel corso degli anni, negli oltre 150 Paesi in via di sviluppo in cui opera stabilmente».
Nell’ottobre 2008 l’UNICEF ha stipulato un primo contratto con Play Therapy, con lo specifico incarico di fornire «analisi e servizi di assistenza psicologica tramite approccio ludico ai bambini vittime di traumi».
PTA era una nuova nel campo della cooperazione internazionale, ma vantava l’accreditamento da parte di una buona ONG internazionale (la Play Therapy International). All’epoca PTA era diretta da Alessandro Conticini che alle spalle contava diversi impieghi nel settore, tra cui l’incarico per alcuni anni come Child Protection Specialist presso l’UNICEF Etiopia. Siccome la prima fase di collaborazione sembrava andare bene Unicef ha stretto con PTA una estensione della collaborazione a dieci paesi (anche fuori
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https://www.giornalettismo.com/perche-unicef-non-querela-cognato-renzi-davvero/
Inchiesta sui fondi di beneficenza, i Pm scrivono all’Unicef: “Se non presentate denuncia non potrete avere i soldi”. Il post di Renzi
“In Italia la legge è cambiata e se non presenterete denuncia non potremo proseguire l’inchiesta per appropriazione indebita”. La rogatoria
TiscaliNews
Ieri Matteo Renzi avvertiva con una nota della intenzione di “procedere in sede civile e penale contro chiunque accosti il suo nome a una vicenda giudiziaria che riguarderebbe un fratello del marito di una sorella di Renzi”. La vicenda è legata a una inchiesta che “vede tra gli indagati (insieme ai suoi due fratelli Alessandro e Luca) Andrea Conticini, cognato di Matteo Renzi”, marito di Matilde Renzi. L’inchiesta della procura di Firenze avrebbe portato – stando a quanto si legge sui giornali (v. per esempio Repubblica e Corriere della Sera) e riporta l’agenzia Ansa – “a indagare tutti e tre i fratelli Alessandro, Luca e Andrea Conticini per riciclaggio, e Alessandro e Luca anche per appropriazione indebita”. Oggi sulla questione ritorna Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera spiegando come i magistrati di Firenze abbiano “inviato un vero e proprio avviso (rogatoria) alle organizzazioni umanitarie, che avevano donato alla società di Alessandro Conticini denaro da destinare ai bimbi africani”, per informarle che “in Italia la legge è cambiata” e “se non presenterete una denuncia non potremo proseguire l’inchiesta per appropriazione indebita. E dunque non avrete alcuna possibilità di reclamare i soldi elargiti”.
Secondo quanto si legge sempre sul Corriere sarebbero “10 i milioni di dollari versati per sostenere progetti in favore dell’infanzia in difficoltà. Di questi, 6 milioni e 600mila dollari sarebbero però finiti sui conti personali degli imprenditori, e in parte, anche nelle casse della Eventi6, società amministrata dalla mamma di Renzi”.
La rogatoria spedita alle autorità Usa, sempre stando a quanto riporta il quotidiano milanese, “ha come destinatari l’Unicef, la Fondazione Pulitzer e sei associazioni australiane e statunitensi che avevano elargito alla Play Therapy Africa Limited e ad altre due organizzazioni no profit di Alessandro Conticini, che è stato per anni direttore Unicef di Addis Abeba e poi è rientrato in Italia”.
Queste organizzazioni internazionali sarebbero state informate dell’inchiesta avviata a Firenze. Ma – come prima si diceva – affinché si proceda dovranno presentare denuncia, e per questo si sarebbe deciso di “trasmettere formale avviso”.
La risposta di Renzi su Facebook
Intanto Matteo Renzi risponde ancora sulla vicenda con un post sul suo profilo Facebook. “Prendiamola sul ridere, dai, che forse è meglio così – scrive – Dopo i sacchetti di plastica, le Lamborghini di Ibiza, i servizi segreti in Consip, i
Continua qui:
https://notizie.tiscali.it/cronaca/articoli/pm-scrivono-unicef-denunciate-o-non-potremo-procedere/
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