NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI
12 NOVEMBRE 2018
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Andremo sempre più a fondo senza mai toccare il fondo
(Ennio Flaiano)
FAUSTO CAPELLI, Il libro aperto degli aforismi, Rubettino, 2015, pag. 251
https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/
Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.
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EDITORIALE
Evvivaaaa! Hanno trovato l’italiano
Manlio Lo Presti – 12 novembre 2018
Con la povera Pamela non ci erano riusciti. Al sedicesimo inquisito se erano fermati per non farsi coprire di ridicolo. Adesso con la infausta e vergognosa vicenda di Desirée HANNO TROVATO LO SPACCIATORE ITALIANO (che però si sono dimenticati di definire geometra o – nella versione 2.0, giovane romano).
Adesso partiranno ardite ed impervie architetture ermeneutiche difensive degli avvocati dei cosiddetti immigrati che ci pagano le pensioni, per fare alleggerire la pena ai violentatori che non hanno spacciato, che forse non hanno ucciso – anche se i referti mortuari parlano di morte per percosse e violenza carnale – quindi potevano violentare e fra due mesi potranno uscire dal carcere usufruendo della infernale forestazione di clemenze ed agevolazioni procedurali SCONOSCIUTE PERO’ PER GLI ITALIANI DEMMERDA, ovviamente.
Si muovano rapidamente coloro che hanno i poteri per poter fermare questa altra farsa per la quale circola una tesi non scritta – ma propagandata dai mezzi TV e quotidiani – secondo la quale un italiano violentatore, spacciatore e simili VALE 5 VIOLENTATORI SODOMITI AFRICANI. Un tentativo di fra quadrare i conti CON I CONNAZIONALI = STERMINATORI VIOLENTATORI IMMIGRATI.
Se non agiranno per cinismo e per mancanza in un residuo di dignità, il disegno orwelliano neomaccartista potrà continuare con maggiore e devastante vigore il suo percorso eversivo. I soliti noti potranno riprendere a percepire i titanici guadagni con un rinnovato traffico schiavista, inizialmente dalla Libia, adesso volutamente e scientificamente in fiamme! Così facendo, salveranno inoltre il teorema del NEOMACCARTISMO ANTIFA BUONISTA che identifica questi criminali come il futuro modello della nostra società a cui gli italiani si conformeranno.
Strana mania quella dell’intera europa (non si merita la maiuscola) quella di profondersi in infiniti “consigli” che sono in realtà minacce contro la ex-italia. Un esempio è quello di Oettinger quando afferma che i “mercati” insegneranno come votare agli italiani subdoli, infedeli, inaffidabili, spreconi, razzisti, ingrati (demmerda, appunto) nei confronti dell’unione europea per il fatto di averli risparmiati dallo sterminio stile Grecia. Per non dimenticare il martellamento ossessivo/continuativo/ininterrotto/immarcescibile/delirante/autistico de EL PAPA che si aggiunge al coro planetario per farci fuori con il colloso, zuccheroso mantra immigrazionista che ci cola addosso come una melassa, messaggio a cui non crede più nessuno, finalmente.
Non facciamoci illusioni, le legioni del DEEP STATE DE’ NOANTRI e del pianeta continuano a logorare il governo attuale.
I francesi continuano a regalarci immigrati oltre confine.
I maltesi hanno ripreso a sterzarci altri immigrati dotandoli di telefono satellitare da € 8.000 ciascuno, di bussole, di mappe e di cibo.
La Libia sta per esplodere grazie agli anglofrancesi con l’esito distruttivo di lanciarci a brevissimo termine oltre 2.000.000 di libici sulle nostre coste.
Va fatto sapere che ciascun c.d. immigrato frutterà 6.000 euro elargiti dalla UE = 12.000.000.000. Una somma delle dimensioni di una manovra finanziaria che riprenderanno ad incassare i soliti noti:
coop,
casa famiglia,
ONG,
navi mediterranee varie,
8 mafie,
politici della ex maggioranza,
ed infine, per la parte più importante dei soldi, l’ingombrante Stato teocratico incarnito nell’Urbe.
Un’altra bordata è quella del finanziere ebraico-magiaro-USA-immigrazionista che ha stanziato INIZIALI 500.000.000 di euro per finanziare vari milioni di carte di credito anonime emessa da un circuito internazionale notoriamente americano. Questa montagna di carte è donata ai c.d. immigrati che potranno prelevare 35 euro al giorno!
LO STERMINIO IMMGRAZIONISTA CONTINUA …
(fine della 153esima puntata).
Ne riparleremo
IN EVIDENZA
Il cadavere nel pozzo
05 novembre, 2018
Restando sul tema che ha motivato la sospensione di questo blog, ho seguito con interesse le risposte date dall’onorevole Stefano Patuanelli, capogruppo M5S al Senato, al pubblico di una trasmissione locale andata in onda il 26 ottobre scorso a proposito del disegno di legge n. 770, che porta la sua firma. Il DDL, che si candida a sostituire la legge Lorenzin in tema di vaccinazioni obbligatorie e il cui testo è oggetto di audizioni in Senato in questi giorni, è già stato qui criticato in quanto, collocandosi in perfetta continuità con la norma varata dal governo precedente, ne moltiplica i difetti e ne amplia la forza sanzionatoria, la portata, i destinatari.
Ai lettori – fortunatamente pochi – che ancora si interrogano su quanto sia giustificata l’attenzione ormai quasi esclusiva che dedico al nuovo obbligo vaccinale, dovrebbe bastare il fatto che in tutta la storia d’Italia – inclusa, quindi, quella caratterizzata da ondate epidemiche oggi sconosciute – non si era mai assistito a un’imposizione farmaceutica di massa di queste proporzioni e alla collegata limitazione dei più elementari diritti sociali. Come è logico aspettarsi, la riduzione dei casi di malattie infettive si era invece accompagnata, fino all’anno scorso, a un progressivo allentamento dei già blandi obblighi di vaccinazione senza peraltro incidere negativamente sulle coperture. O dovrebbe ancora prima bastare l’altrettanto inaudita pressione ricattatoria esercitata sui professionisti della sanità che – lo ripetiamo: per la prima volta nella storia nazionale – devono oggi temere provvedimenti disciplinari qualora, in scienza e coscienza, fornissero ai propri assistiti il «consiglio di non vaccinarsi». Ho descritto gli intuibili effetti che questa militarizzazione del personale sanitario sta producendo sull’indipendenza dei medici e quindi sulla fiducia dei pazienti – e quindi sulla loro salute – nel libro Immunità di legge. Gli stessi allarmi erano stati lanciati, tra gli altri, dal prof. Ivan Cavicchi in un lucido editoriale del settembre scorso. Più recentemente l’autorevole rivista medica La revue Prescrire ha denunciato come l’obbligo plurivaccinale che da quest’anno colpisce anche i piccoli francesi sia frutto dell’«incapacità di sostenere gli operatori sanitari nel loro ruolo di mediatori, fornendo dati non influenzati dalle opinioni per quantificare i rischi e i benefici».
Se da un lato è risibile che l’aumento della minoranza presunta «novax» abbia cagionato le presunte epidemie di morbillo (il calo 2014-2016 ha interessato i duenni, pari nei tre anni a un sovrastimato – perché al netto di ritardatari, recuperati ed esentati – 0,09% della popolazione complessiva, laddove l’età mediana dei contagiati è stata di 27 anni, mentre non esiste alcuna correlazione tra coperture e contagi a livello regionale), dall’altro non è spiegabile perché l’eventuale SCOPPIO di una malattia – quasi certamente non eliminabile con la profilassi in uso – debba giustificare la vaccinazione perentoria contro altre undici malattie, poi ridotte a nove. In compenso, sappiamo da recenti studi europei che l’obbligatorietà non è uno strumento efficace per promuovere una maggiore adesione del pubblico alla profilassi.
Che cosa resta, quindi? Come minimo, l’ennesimo esercizio di mercimonio dei diritti al consumo, la confermata fiaba di un mercato «libero» predicato solo a chi non se lo può permettere per consegnare ai grandi i comfort di un mercato coatto e schedulato dal legislatore. Ma, molto più gravemente, anche un inedito esperimento di subordinazione dei diritti sociali a una somministrazione continuativa, massificata e forzosa di prodotti farmaceutici. Da qui nasce una concorrenza tra diritti ugualmente fondanti: da un lato quello all’inviolabilità della persona (Costituzione, art. 13) la cui cessione eccederebbe ampiamente la misura dei«limiti imposti dal rispetto della persona umana» (art. 32) perché non motivata da malattia, incapacità o urgenza, dall’altro quello allo studio (art. 34), al lavoro (art. 4) e, nelle intenzioni mai sopite della prima bozza Lorenzin, addirittura alla genitorialità (art. 30). Da irrevocabili, i diritti sociali diventano così un premio da riservare a coloro che si piegano a una disciplina di massa definita da confini non prevedibili né negoziabili dall’assemblea del popolo (art. 1) perché dettati da commissioni tecniche che si pretendono al servizio di una reificata e insindacabile «scienza». Come già altre imposizioni tecniche, anche questa trarrebbe forza dal raggiungimento di soglie percentuali e totemiche (le coperture) il cui nesso con l’obiettivo asserito è postulato e indiretto: perché non misurano lo stato di salute o di immunità dei soggetti ma la loro compliance, la sottomissione al comando, sicché tendono ossessivamente a una quasi-totalità (il novantacinque per cento, successore del tre per cento economico) in onta a ogni criterio analitico. Questo esperimento, se riuscisse come è già in parte riuscito, ci avvicinerebbe a grandi passi ad altri e solo apparentemente lontani modelli di condizionalità dei diritti come quello dei crediti sociali recentemente introdotto in Cina.
Giacché i diritti sociali sono anche i pilastri su cui si fonda una comunità coesa, è anche naturale attendersi che il disegno di legge, qualora approvato nel suo testo base, acuirebbe ulteriormente gli effetti divisivi e persecutori già innescati dalla legge Lorenzin, con una minoranza renitente – e prevedibilmente sempre meno minoritaria, con l’aumento degli interessati e degli obblighi – spinta ai margini della società e tra le fauci feroci del gregge, a rinverdire anche fuor di metafora i fasti della manzoniana caccia all’untore. In altre sedi, riferendomi alle esclusioni scolastiche dei minori non conformi ai piani vaccinali, ho impropriamente evocato un’analogia con l’ignobile regio decreto legge n. 1390 del 5 settembre 1938 che vietava ai giovani ebrei la frequenza delle «scuole di qualsiasi ordine e grado, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale». Impropriamente, perché pochi giorni dopo i fascisti avrebbero stabilito, con il regio decreto n. 1630 del 23 settembre 1938, che «le comunità israelitiche possono aprire… scuole elementari, con effetti legali, per fanciulli di razza ebraica», mentre oggi si mobilitano i funzionari dello Stato per scovare e chiudere eventuali «asili abusivi» dove i piccoli sottratti all’iniezione potrebbero – distolga il Cielo! – giocare, cantare filastrocche, coltivare una vita sociale.
L’ipotesi migliore è che chi ha redatto il disegno di legge non abbia minimamente calcolato le sue conseguenze sociali. Facciamo un conto: con gli attuali e ben più blandi requisiti della legge Lorenzin, già oggi il 12,6% degli studenti delle scuole dell’obbligo in Lombardia non è in regola con il calendario vaccinale. Proiettando il dato campionario (che non include gli over 16, pure inclusi nel provvedimento), i minori irregolari sarebbero almeno 133.384 nella regione e 846.143 nella nazione. A questi corrisponderebbero più di 1 milione e 200 mila genitori a cui possono aggiungersi nonni, parenti e conoscenti «solidali». Anche assumendo il massimo effetto persuasivo dell’obbligo, con la nuova legge si metterebbero comunque a rischio centinaia di migliaia di carriere scolastiche (per dirne una: dopo cinquanta giorni di assenza, la bocciatura è d’ufficio) generando caos, dispersione scolastica ed emarginazione a livelli difficili da immaginare, perché mai registrati. E che dire degli «esercenti le professioni sanitarie» citati all’art. 5, comma 1 del provvedimento? E degli «operator[i] ed educator[i scolastici]» che, pur non menzionati nel testo
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The efficacy of mandatory vaccinations. An ASSET analysis
January 21, 2016
The recent case of the French parents who risked a jail sentence for refusing to vaccinate their children reignited the intense debate over mandatory vaccinations, whose efficacy as an instrument to maintain high level of vaccine coverage has been questioned.
A study performed by experts from the ASSET project found no evidence of a relationship between mandatory vaccinations and rates of childhood immunization in European countries.
The authors of the research gathered data on all the countries within the European Economic Area; information on policies of mandatory or recommended vaccinations came from the VENICE project while those on childhood immunisation coverage were obtained from UNICEF. The analysis focused on three relevant vaccinations, on which different policies have been adopted in different countries: polio (Pol3), measles (MCV1) and pertussis containing vaccines (DTP3).
From 2007 to 2013, the enforcement of mandatory vaccinations does not appear to be relevant in determining childhood immunisation rate in the analysed countries. Those where a vaccination is
Continua qui:http://www.asset-scienceinsociety.eu/news/features/efficacy-mandatory-vaccinations-asset-analysis
Il Belgio ha usato i soldi di Gheddafi per favorire l’immigrazione in Europa
6 novembre 2018 – Mauro Indelicato
Quando scoppia il caos in Libia nel 2011 e la Francia assieme alla Gran Bretagna iniziano a preannunciare un intervento bellico, nelle tv di tutta Europa vengono annunciati a più riprese alcuni provvedimenti che scattano contro Gheddafi. In primo luogo, vengono congelati i beni del rais in Europa. Non sono certamente pochi: tra fondi di investimento statali, partecipazioni, quote e società, in ballo ci sono miliardi di Euro custoditi nelle banche di buona parte del vecchio continente. Si tratta, nella realtà, non tanto di beni privati della famiglia di Gheddafi bensì di soldi dei libici.
Con la stessa imprecisione con la quale all’epoca si dà notizia di fosse comuni e bombardamenti sui manifestanti attuati da Gheddafi, si definisce “tesoro” del rais quello che in realtà costituisce un blocco di beni e denaro di fondi di investimenti sovrani e non solo. Tutto però viene congelato, in attesa di sviluppi. O almeno così pare: dal Belgio infatti emerge l’ombra di uno scandalo riferibile proprio ai soldi libici congelati.
Le vicende delle Libia ci riguardano da vicino.
Vogliamo tornare sul campo per essere i vostri occhi.
Lo scandalo che imbarazza Bruxelles
A congelare quei beni contribuiscono anche alcune risoluzioni dell’Onu. Questo non è un episodio di poco conto nell’economia della guerra che si sviluppa poi con l’intervento Nato. Il governo libico, non personalmente Gheddafi, si ritrova con miliardi di euro bloccati e Tripoli inizia a far fatica nel finanziare la propria economia di guerra. Si hanno meno soldi per pagare i soldati, per mettere carburante a carri armati ed aerei, la situazione quindi inizia a sfuggire di mano al rais ed al suo entourage. Se già di per sé il congelamento dei fondi libici appare come un’intromissione dell’Onu e della comunità internazionale in un conflitto che, in teoria, ha come obiettivo la “tutela” dei civili e non il regime change, quello che in queste settimane si scopre in Belgio è ancora più grave.
Un’inchiesta della Rtbf, la radio televisione belga in lingua francese, svela come in realtà l’esecutivo di Bruxelles non abbia affatto all’epoca congelato i fondi. Anzi, una fetta di quei soldi sarebbe servita a finanziare una miriade di sigle, formazioni e gruppi spesso anche ricollegabili alla galassia jihadista. Secondo la tv belga, un totale di 14 miliardi ricollegabili ai conti di Gheddafi risulta presente nel 2011 in alcune banche belghe. I soldi sono ripartiti tra le sedi locali di Bnp Paribas Fortis, Ing, Kbc e Euroclear Bank. Da queste somme si sarebbe generato un flusso di denaro non indifferente finito nelle tasche di svariati gruppi libici.
Continua qui:http://www.occhidellaguerra.it/il-belgio-ha-usato-fondi-congelati-a-gheddafi-per-finanziare-limmigrazione/
Libia, lascia il clan antibarconi. In arrivo un’ondata di migranti
10 ottobre 2017 – Mauro Indelicato
Molte incognite, numerosi sospetti ma, alla luce delle ultime evoluzioni, emerge anche un quadro dove seppur in maniera indiretta l’accordo tra Italia e Libia sui migranti ha avuto un ruolo non indifferente nella rottura degli equilibri nella città di Sabrata; è in questa località portuale, da cui negli anni passati è partita la grande maggioranza di barconi diretti in Italia, che per adesso si concentra gran parte dell’attenzione degli attori impegnati nel frastagliato scenario libico.
Già da diversi giorni, precisamente dallo scorso 17 settembre, si assiste ad un’intensa fase di scontri tra alcune fazioni che si contendono il controllo della città, adesso la situazione sembra farsi ancora più incandescente dopo la cacciata della milizia degli Anas al Dabbashi, la stessa cioè che dopo aver gestito la tratta di migranti verso il nostro paese, ha accettato di combatterla determinando il calo degli sbarchi in Italia; sembra essere stato proprio l’accordo tra Roma e Tripoli ad aver scoperchiato, a Sabrata, il vaso di Pandora ed adesso la situazione, sul fronte del contrasto all’immigrazione, appare più che mai incerta.
Il ruolo dell’accordo tra Italia e Libia nei combattimenti scoppiati a Sabrata
Il governo italiano, a fronte dei numeri che fino al mese di luglio hanno ben testimoniato un livello importante raggiunto dall’emergenza immigrazione, ha dialogato con quello libico in modo da giungere ad una soluzione del problema; Roma ha trattato con Al Serraj, ossia con il capo dell’esecutivo voluto dall’Onu ed ufficialmente unico rappresentante del paese, anche se la sua capacità di controllo del territorio non riesce ad essere efficace nemmeno poco al di fuori delle sedi governative ed è contrapposto al generale Haftar, il quale invece controlla gran parte della Cirenaica ed è braccio militare del governo con sede a Tobruck. L’accordo Italia – Libia ha comunque previsto un impegno da parte di Al Serray per fermare le partenze dalla costa della Tripolitania, in cambio Roma ha assicurato soldi ed addestramento per rimettere in sesto la guardia costiera libica, per lo più milizie od ex appartenenti di ciò che era rimasto delle forze di sicurezza durante il governo di Gheddafi.
Ed è proprio qui che, in gran parte, ruota il problema che ha poi contribuito all’escalation di violenza a Sabrata: non avendo per l’appunto un vero e proprio esercito su cui contare e delle forze in grado di controllare il territorio, Al Serray per mantenere fede al suo impegno preso con Roma non ha potuto fare altro che servirsi delle milizie che gestiscono il flusso di migranti nella città portuale prima menzionata. Secondo alcuni reportage della Reuters e dell’Associated Press, il governo italiano sarebbe stato perfettamente a conoscenza del fatto che Tripoli avrebbe girato le somme erogate da Roma, circa cinque milioni di Euro, direttamente alle milizie di Sabrata e quindi alle
Continua qui:http://www.occhidellaguerra.it/libia-la-milizia-contrastava-le-partenze-dei-barconi-fugge-sabrata/
Populismo o momento Polanyi? Ecco come il mercato distrugge la società
Pier Paolo Dal Monte – 6 novemnre 2018
Per conoscere il pensiero di Polaniy, leggere il bell’articolo riportato nella sezione CULTURA
Vi è un fenomeno che negli ultimi anni si è fatto sempre più evidente e pervasivo nella scena politica del cosiddetto occidente: una sorta di rivolta contro le élite (reali o percepite che siano) che viene definito, col consueto semplicismo imbelle che caratterizza i mezzi di comunicazione di massa, col termine di populismo o, più cacofonicamente, con quello di antipolitica (come se la politica fosse mera questione di ortodossia nei confronti del potere costituito). Naturalmente, codesti sono semplici significanti vuoti atti a definire, senza spiegare, un movimento che si sta espandendo a macchia d’olio in tutto l’emisfero occidentale e che, nella sua manifestazione fattuale, è iniziato nel Regno Unito con la cosiddetta Brexit, si è esteso dall’altra parte dell’oceano con l’elezione di Donald Trump – sineddoche di un “contropotere” rispetto a quello che potremmo definire “globalismo finanziario” – e ha toccato il nostro Paese, in occasione del referendum costituzionale del 2016 e delle elezioni politiche di quest’anno.
Siccome le categorie di “populismo” e di “antipolitica” non possono ambire alla funzione di interpretare alcunché – ma al massimo a quella di stigmatizzare un fenomeno – per cercare di comprendere quello che sta accadendo ci avvarremo della chiave di lettura fornitaci dagli epigoni degli storici della “lunga durata”, in particolare del lavoro di Giovanni Arrighi (Il lungo XX secolo, 2014). Secondo questa interpretazione, il fenomeno storico denominato capitalismo può essere diviso in cicli periodici di accumulazione, che si sono succeduti dal suo avvento.
Ogni ciclo di è costituito da tre fasi:
- Un periodo iniziale di espansione finanziaria – che si potrebbe definire di “accumulazione originaria” – nel quale un nuovo ciclo si sviluppa in maniera “parassitaria” sul capitale accumulato dal ciclo precedente.
- Un periodo di sviluppo e consolidamento, nel quale si verifica l’espansione materiale: il periodo del capitalismo produttivo/manifatturiero.
3. Una fase terminale di espansione finanziaria, ovvero di “conversione” del processo di accumulazione, dall’economia produttiva alla cosiddetta speculazione finanziaria. Questo fenomeno è l’espressione di una crisi nella quale quello che è definito “l’agente dominante dei processi sistemici di accumulazione del capitale” riscontra difficoltà crescenti a creare un adeguato profitto tramite la produzione di merci materiali. Pertanto, il “capitale mobile” viene indirizzato verso la finanza.
Questa sequenza di fenomeni ha conseguenze piuttosto rilevanti sull’assetto dell’economia-mondo. Il periodo di espansione finanziaria comporta notevoli costi sociali, poiché al contrario della modalità di produzione materiale non può sostenere economicamente una vasta classe media, siccome solo una parte esigua della popolazione può spartire i profitti della speculazione e dell’intermediazione finanziaria. Le criticità di questo fenomeno sono ben osservabili in tutto il mondo occidentale attraverso fenomeni quali l’allargarsi della forbice tra salari e profitti, le bolle finanziarie, l’aumento del debito a carico dei cittadini, la recessione, la deindustrializzazione, eccetera.
Inoltre, la finanziarizzazione dà luogo a quello che David Harvey ha definito “accumulazione per espropriazione”, nella quale i capitali accumulati diffusamente durante gli anni dell’economia “produttiva” vengono concentrati verso le élite che controllano gli strumenti finanziari: questo comporta una diffusa espropriazione di capitale fisico (beni) accumulati dalla società nel suo assieme. Qualsiasi tipo di bolla speculativa implica una espropriazione di capitali e una concentrazione di strumenti monetari nelle mani di chi la controlla: “Questo è ciò che accadde nel sudest asiatico nel 1997-1998, in Russia nel 1998, in Argentina nel 2001-2002. E quello che è successo nel mondo intero nel 2008-2009″
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BELPAESE DA SALVARE
Interessi dell’Italia a rischio: tre guerre ci minacciano
30 ottobre 2018 – Gianni Micalessin
Afghanistan, Siria e Libia ovvero tre simboli delle crisi internazionali diventati dei punti interrogativi anche per la politica estera e di difesa del nostro paese.
In Afghanistan dal 2002 ad oggi l’Italia ha investito più di otto miliardi di euro, oltre alle vite di 53 militari e al sangue di 650 feriti. A cos’è servito? A cosa punta la permanenza dei 900 soldati italiani ancora presenti a Herat e dintorni? A che serve lasciarne solo 700 come proposto dal governo giallo-verde nell’ambito della politica di tagli alle spese militari? Sono questioni essenziali per l’Italia a cui deve saper rispondere non solo chi governa, ma anche chi fa informazione. Mantenere una presenza nel paese degli aquiloni ha un senso solo nell’ambito di una strategia politico militare legata all’interesse nazionale.
Mappa di Alberto Bellotto
Se è nostro interesse restare in Afghanistan nel nome degli impegni Nato allora questa nostra presenza costosa, prolungata nel tempo e quantitativamente elevata (il nostro contingente è il più numeroso dopo quello statunitense) deve esser compensata con accordi economici in loco o accordi politici capaci di garantire attraverso la Nato i nostri interessi in zone geo-strategiche per noi più cruciali come il Mediterraneo centrale e il Nord Africa. Ma tutto questo deve venir anche raccontato. Se i media non spiegano le ragioni della nostra presenza in Afghanistan e il contesto in cui operano i nostri militari il pubblico ben difficilmente ne comprenderà l’importanza e le conseguenze nell’ambito di una strategia globale. Per questo, cari lettori, chiediamo il vostro aiuto per tornare in Afghanistan.
Lo stesso vale per la Siria. Il conflitto costato oltre trecentomila vite sembra finalmente ad un passo dalla fine. E, nonostante nessuno ne parli, la Russia sta portando a casa un successo senza precedenti. Mentre la Somalia, l’Afghanistan, l’Iraq e la Libia, ovvero tutti i più recenti interventi umanitari dell’Occidente, si sono rivelati un fiasco l’unico intervento di Mosca dopo la caduta dell’Unione Sovietica sembra spingere la Siria verso un’insperata pacificazione.
Mappa di Alberto Bellotto
Se è nostro interesse restare in Afghanistan nel nome degli impegni Nato allora questa nostra presenza costosa, prolungata nel tempo e quantitativamente elevata (il nostro contingente è il più numeroso dopo quello statunitense) deve esser compensata con accordi economici in loco o accordi politici capaci di garantire attraverso la Nato i nostri interessi in zone geo-strategiche per noi più cruciali come il Mediterraneo centrale e il Nord Africa. Ma tutto questo deve venir anche raccontato. Se i media non spiegano le ragioni della nostra presenza in Afghanistan e il contesto in cui operano i nostri militari il pubblico ben difficilmente ne comprenderà l’importanza e le conseguenze nell’ambito di una strategia globale. Per questo, cari lettori, chiediamo il vostro aiuto per tornare in Afghanistan.
Lo stesso vale per la Siria. Il conflitto costato oltre trecentomila vite sembra finalmente ad un passo dalla fine. E, nonostante nessuno ne parli, la Russia sta portando a casa un successo senza precedenti. Mentre la Somalia, l’Afghanistan,
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CONFLITTI GEOPOLITICI
Dopo la morte di Khashoggi, Trudeau non bloccherà una vendita di armi da 12 miliardi di dollari ai Sauditi, perché i soldi la spuntano sempre sull’omicidio
7 novembre 2018 – ROBERT FISK
Ad almeno 5.000 miglia di distanza dalla città in cui il suo corpo è stato sepolto in segreto (intero o a pezzettini) dai suoi assassini sauditi, l’omicidio di Jamal Khashoggi ora irrita la coscienza (e i cordoni della borsa) di un’altra nazione. Perchè il Canada, patria del pensiero libero e democratico (soprattutto con Justin Trudeau), si trova di colpo a dover gestire l’eredità del predecessore (conservatore) del brillante e giovane Primo Ministro, insieme ad una semplice questione di coscienza o soldi: deve Trudeau stracciare un accordo militare con l’Arabia Saudita, risalente al 2014, del valore di 12 miliardi di dollari?
Quando Ottawa aveva deciso di vendere i suoi veicoli blindati leggeri (LAV) nuovi di zecca al regno saudita, i Sauditi erano già famosi per tagliare teste e sostenere furiosi e ben armati Islamisti. Ma Mohammed bin Salman non era ancora diventato l’erede al trono di questa pia nazione. I Sauditi non avevano ancora invaso lo Yemen, tagliato la testa ai suoi leaders sciiti, imprigionato gli stessi principi della famiglia reale, rapito il Primo Ministro libanese e smembrato Khashoggi.
Così, il governo conservatore canadese di Stephen Harper non si era fatto scupoli per rifilare i suoi LAV (come vengono chiamati questi mostriciattoli corazzati) a Riad, specificatamente per il “trasporto e la protezione” dei funzionari governativi.
Ora, difficilmente si può accusare Trudeau di essere un sostenitore del regime saudita. In agosto, gli uomini di Mohammed bin Salman avevano ordinato l’espulsione dell’ambasciatore canadese a Riad e avevano bloccato gli accordi commerciali con il Canada, dopo che il Ministro degli Esteri di Trudeau aveva protestato contro l’arresto nel regno [saudita] di alcuni attivisti per i diritti delle donne. I Canadesi avevano rilasciato false dichiarazioni, avevano affermato i Sauditi, che, per quanto riguarda le false dichiarazioni, avrebbero presto raggiunto una fama degna di un film dell’orrore holliwoodiano. Trudeau si è ritrovato sul libro nero dei Sauditi, insieme a Washington, perché, solo due mesi prima, Trump lo aveva definito “debole e disonesto”.
Naturalmente, appena Khashoggi è stato fatto fuori nel consolato saudita di Istanbul, l’anima liberale del Canada ha iniziato a mobilitarsi. Sicuramente, ora Trudeau deve stracciare l’accordo del 2014 che riguarda tutti quei luccicanti mezzi corazzati che Harper aveva venduto ai Sauditi in quell’anno. Purtroppo, alcuni giorni fa si è scoperto che l’accordo comprendeva quella che il governo Trudeau ha descritto come una ‘clausola sulla cancellazione dell’accordo’ che, nel caso la transazione riguardante i veicoli blindati non venisse completata, costerebbe ai Canadesi miliardi di dollari.
Economicamente parlando, la cosa può anche avere un senso, fino ad un certo punto, ma, con tutto quello in cui sono coinvolti i Sauditi, c’è anche il fattore “opps!”
Perchè è venuto fuori, ahimè, che questi innocui LAV canadesi sono stati filmati nel 2017 nella provincia orientale dell’Arabia Saudita mentre soffocavano una rivolta di civili sciiti. Il Ministero degli Esteri canadese, che ora si chiama (e questo è un capolavoro di ironia) “Global Affairs Canada”, ha sospeso le esportazioni di armi e ha aperto un’indagine “completa ed approfondita”. Al giorno d’oggi abbiamo tutti familiarità con le “indagini complete ed approfondite”, come quella che i Sauditi stanno portando avanti con entusiasmo sulla scomparsa di Khashoggi, sepolto di nascosto; ovviamente, la versione canadese di questo tipo di inchiesta ha concluso che i veicoli provenienti dal Canada erano stati sottoposti a “modifiche” successive all’esportazione.
Adesso, chi dirige lo spettacolo a Riad è Mohammed bin Salman e ad Ottawa lo presenta Trudeau. Ma ora è arrivato, ancora una volta, il fattore saudita “opps!”
I LAV, come si è saputo in seguito, erano stati equipaggiati in segreto con torrette e mitragliatrici e questi veicoli erano stati utilizzzati nel 2017 in un’operazione in cui erano stati uccisi 20 civili, Ma, ecco che arriva il deus ex machina che batte tutti, il rapporto di Global Affairs aggiungeva (con ulteriore ed inconscia ironia) che non si era verificata nessuna violazione dei diritti umani, che le forze saudite “si erano sforzate di ridurre al minimo le perdite fra i civili” e che l’uso della forza (i lettori lo avranno ormai immaginato) era stato “proporzionato ed appropriato”.
Grazie a Dio, i Sauditi da quei veicoli sparavano con le mitragliatrici e non stavano attaccando i loro nemici con coltellacci e seghe da ossa.
Ma ora, e qui la vecchia metafora calza stranamente a pennello, Trudeau si è ritrovato con il coltello piantato nella schiena. Si fa avanti un certo Ed Fast, un parlamentare canadese dell’opposizione conservatrice, che, quando aveva ricoperto la carica di Ministro per il Commercio Internazionale di Ottawa, aveva contribuito a condurre in porto l’originale e redditizia vendita di armi ai Sauditi. Lui non ha nulla a che vedere con le minuzie del contratto. Le penali erano state volute dalla General Dynamics Land Systems, [l’azienda] che aveva assemblato in Ontario queste sciagurate macchine.
Inoltre, durante lo scorso fine settimana, Fast aveva aggiunto che il contratto andrebbe rispettato; il Canada dovrebbe invece punire i Sauditi confiscando le proprietà dei cittadini sauditi che si rendono colpevoli di violazioni dei diritti umani e terminare le importazioni di greggio saudita. E incrementare il trasbordo di petrolio canadese dall’Alberta, che confina con la Columbia Britannica, dove, opps!, Fast, guarda caso, fa il parlamentare.
Nessuno più dei Sauditi avrebbe potuto apprezzare meglio una cosa del genere. Perchè Fast, da buon recidivo, ha minimizzato alla grande l’omicidio Khashoggi. Ha descritto la decapitazione del giornalista saudita ad Istanbul e la sua sepoltura in segreto da parte dei Sauditi come una “questione” e una “situazione”. “Questione” intesa come “problema”, suppongo. Secondo il punto di vista di Fast, la mancata consegna delle armi non “punirebbe” realmente i Sauditi perchè, e ci risiamo, Riad non farebbe altro che rifornirsi di mezzi corazzati da altre nazioni.
Dennis Horak, un ex-ambasciatore canadese in Arabia Saudita (è strano come gli ex-ambasciatori occidentali a Riad
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Grecia oggi: segui il denaro (di Soros)
7 novembre 2018 – DI GRIGORIOU PANAGIOTIS
Di seguito alcuni estratti dai tre articoli pubblicati nel mese di ottobre sul blog www.greekcrisis.fr.
In Grecia, ormai, si assiste ad una emigrazione che ribalta i canoni seguiti fino a pochi anni fa. Dopo anni in cui erano i bulgari ad entrare nella UE, cioè in Grecia, in cerca di miglior fortuna, ora sono i bulgari – tornati a casa loro dopo la crisi – ad ospitare i greci in cerca di minori costi della vita. Intanto, il governo elimina l’insegnamento di parti importanti della storia greca, nonché del latino, riducendo fortemente anche l’insegnamento del greco antico, in un impeto di trasformazione della scuola ellenica quasi in un’istituzione “per stranieri”. I quali stranieri, del resto, godono di affitto pagato (dalle solite ONG) e di incentivi a stabilirsi nel paese, ma sono spesso vittima di attacchi e di violenze, prevedibili, dato l’abbandono in cui versano i luoghi oggetto di insediamento.
Del resto la Grecia è stata spesso in passato terreno di conquista per forze esterne, fin da quando – ai primi dell’800 – il neo-istituito stato greco indipendente veniva affidato al governo dei principi bavaresi e subiva le pesanti ingerenze di Francia e Inghilterra, oggi uniti agli USA nell’opera di modifica dei confini con la regione slavomacedone che si cerca a tutti i costi di denominare Macedonia del Nord, anche contro la volontà sia dei greci che dei suoi abitanti che hanno disertato il referendum poche settimane fa, senza peraltro che il processo sia stato fermato. Anzi, il Parlamento di Skopije ha approvato lo stesso l’accordo bocciato dalle urne grazie – si dice – a diversi milioni di euro versati a una decina di deputati dell’opposizione che hanno “miracolosamente” cambiato idea. Soldi che girano copiosi anche dietro l’azione di due ministri del governo Tsipras, uno (Kammenos) sotto l’ala degli USA prima con Obama e adesso con Trump, e l’altro (Kotsias) finanziato da Soros e in disgrazia perché troppo amico della Germania e del finanziere Ungherese. Se si vuol capire dove vanno i Balcani, bisogna seguire il denaro: quello di Soros, ma non solo.
L’Italia è, agli occhi di molti greci, la speranza del momento, la scintilla di rivalsa contro le istituzioni europee che potrebbe, se dovesse continuare l’azione del governo giallo-verde, far saltare l’intero sistema. Lo pensa Panagiotis Grigoriou e molti altri non solo in Grecia, che vedono vacillare la costruzione distopica di regole messa in piedi in Europa dalle elites transnazionali, di fronte ai primi rifiuti di uno stato “vittima” delle loro politiche. Politiche che, va ricordato, non sono solo vessazioni economiche, ma mirano a cancellare intere civiltà, come mostrano misure come quelle che, in Grecia, hanno messo sotto tiro le campane delle chiese e le feste nazionali, sia religiose che civili (come il 28 ottobre, anniversario del NO all’ultimatum italiano del governo Mussolini durante la II guerra mondiale) che i mondializzatori vogliono abolire per affievolire quel po’ di identità nazionale che è rimasta al popolo greco, mentre gli accordi (palesi ed occulti) firmati dal Governo mirano a smontare pezzo per pezzo il paese stesso.
Da “ Xenocrazia Bavarese” pubblicato il 14 ottobre 2018
(…) Grecia così meta-moderna, le cui cure palliative per non dire il colpo di grazia, sono state affidate al (quasi) ultimo dei bastardi, vale a dire, la banda criminale della sinistra modello SYRIZA, in attesa della loro sostituzione da parte dell’altro clan criminale, quello di Mitsotakis e della sua presunta destra di Nuova Democrazia. Nel frattempo, molti pensionati nostrani, [giunti] a 400 euro mensili dopo l’ennesima diminuzione delle pensioni, abbandonano la Grecia per la Bulgaria, solo per sopravvivere. In realtà i greci subiscono un vero pogrom, e quindi lasciano il loro paese a malincuore.
Molte famiglie bulgare, i cui membri hanno lavorato in passato nelle case dei greci, ora senza lavoro tornano al loro paese, e propongono ai greci di loro conoscenza di ospitarli a casa loro in Bulgaria, in cambio di un… affitto. L’importo mensile è molto più basso del costo della vita in Grecia (stampa greca, ottobre 2018). Va notato che la Bulgaria ha perso più del 20% della sua popolazione in 20 anni, una vera e propria emorragia, i giovani sono emigrati in maniera massiccia in Occidente per trovare lavoro, poiché la presunta “integrazione” nell’Unione europea ha facilitato questo declino demografico.
Come è stato ricordato durante la trasmissione serale di Lámbros Kalarrýtis Radio 90,1 FM (12 ottobre 2018), “contrariamente alle dichiarazioni dei governi e la propaganda dei mondializzatori Europeisti, questa immigrazione, per lo più musulmana, in Grecia, è un fatto costruito, voluto e accompagnato da un vero e proprio programma parallelo di de-ellenizzazione e de-cristianizzazione della Grecia. Non a caso, allo stesso tempo, i nuovi programmi della scuola annunciati dal ministro dell’istruzione Gavrlóglou (di SYRIZA), fanno scomparire la storia della democrazia greca e dell’antichità, le guerre contro i Medi, Temistocle e Pericle, Antigone, Tucidide, così come la rivoluzione nazionale contro i turchi dell’Impero ottomano e allo stesso tempo, si diminuisce drasticamente l’insegnamento del greco antico e si elimina quello del latino. Infine, l’insegnamento della lingua greca è sempre più simile a quello di una lingua insegnata ad una popolazione per cui il greco non è la lingua materna, strano, no? Sembra ci si stia preparando a … convertire la scuola greca in una struttura destinata al ricevimento di sole popolazioni non autoctone”.
“[ciò] (…) è in flagrante opposizione a ciò che [dice] la nostra Costituzione. Recentemente il cinismo dell’UE e di altri, compreso il governo greco, è quello di lasciare che la popolazione cresca negli “hot spot” a Lesbo, come sulle altre isole, senza controllare le frontiere, per rendere la situazione esplosiva per tutti, sia per i migranti che per la popolazione greca delle isole.”
“Il governo e le ONG di Soros, con il pretesto di una crisi chiamata umanitaria, installano questi migranti nella Grecia continentale, attraverso tra le altre cose, il programma Hestia, [che prevede] affitti completamente coperti [dalle ONG]. La stessa denominazione, Hestia, non è scelta per caso, perché in buon greco il termine si riferisce ad un’installazione durevole per non dire definitivo. Ricordiamo una volta per tutte, il problema della migrazione non è un problema umanitario, è prima un problema geopolitico, e in geopolitica c’è di solito la guerra. Per inciso, si tratta di un grande commercio a favore dei contrabbandieri e delle ONG in gran parte sovvenzionate. (…) “, (Lámbros Kalarrýtis Ed i relativi ospiti sulla radio 90,1 FM il 12 ottobre 2018, città della memoria).”
Nella stessa serie di fatti oscuri, un altro greco di 84 anni è stato trovato inanimato nella sua barca ormeggiata nel porto di Vólos in Tessaglia. E’ morto, perché il cosiddetto sistema sanitario, non poteva più assumere nel tempo il suo crudele bisogno di dialisi, (stampa greca dell’11 ottobre 2018). E sul versante migranti, il bilancio è anche pesante nei giorni scorsi. In primo luogo, ci sono stati i corpi di una donna di 35 anni e due figlie, rispettivamente, circa 18 e 15 anni di età; Sono stati trovati vicino al confine tra Grecia e Turchia in Tracia. Queste povere donne, sono state uccise in modo particolarmente selvaggio all’arma bianca, mentre ancora indossavano i loro gioielli, quindi il furto non è di certo uno dei motivi del reato.
Tropismi d’autunno, per non dire di un infinito inverno europeista. Tra greci e italiani, ad esempio, a Nafplio, si evocano queste manovre di casta a Bruxelles e a Berlino, contro l’attuale Italia e contro il suo governo democraticamente eletto. Qualunque sia il paese e la sensibilità politica, qualsiasi politica favorevole alla conservazione dei diritti dei popoli e delle nazioni sovrane in questa Europa, diventerà sempre sospetto e riprovevole agli occhi dei… lobbisti della morte. Da qui la necessità di mettere in chiaro che i popoli di quest’Europa sottomessa devono in primo luogo boicottare le cosiddette elezioni europee, un processo fittizio, usato dalla propaganda per convalidare le istituzioni imperiali e colonizzanti all’interno della cosiddetta UE, sotto il controllo in gran parte tedesco.
Segno dei tempi, dal lato … oscuro della forza, Horst Seehofer, capo della CSU bavarese e ministro degli interni all’interno del governo di Merkel, ha detto la settimana scorsa che “i bavaresi che hanno governato la Grecia in passato per un certo periodo, avrebbero dovuto governarla più a lungo”. La stampa greca ha in gran parte riprodotto queste dichiarazioni e con ragione. Si tratta di un’allusione al periodo in cui bavaresi governavano la Grecia con potere assoluto, subito dopo l’indipendenza, tra il 1833 ed il 1843 sotto il giovane Ottone, figlio minore di Luigi I di Baviera, imposto da Inghilterra e Francia, che – ricordiamolo – hanno fomentato l’assassinio del Primo governatore della Grecia John Kapodistrias Ex capo della diplomazia dello zar, e già giudicato troppo Pro-russo, Quasi due secoli Prima di Vladimir Vladimirovich Putin.
(…) C’è questa pianificazione storicamente visibile da parte della Germania e forse anche degli Stati Uniti, che si è spinta fino al punto di indebolire la Grecia mutilandola, ipotizzando – in un futuro non così lontano il Nord, la Macedonia greca, ai vicini slavi, (come durante l’occupazione tedesca degli anni 1940), e la Tracia (occidentale), dove vive una minoranza musulmana (120.000 persone su una popolazione totale di 360.000 abitanti per tutta la Tracia greca) alla Turchia. No, non è l’allucinazione, ma l’osservazione dall’interno dei fatti e dei gesti attuali degli attori geopolitici in Europa e ben oltre.
(…) [Ultimamente] un numero sconosciuto di migranti principalmente afgani e pakistani, (…) passano illegalmente il confine in Tracia, tra Grecia e Turchia. (…) queste popolazioni musulmane che il governo SYRIZA/ANELA già installa nella Macedonia greca e in Tracia, faranno, prima o poi, volontariamente o no, il Gioco della Turchia, con o senza Erdogan tra l’altro. Per inciso, la Germania e/o la NATO controlleranno i Balcani fino all’ultima montagna più remota, quando tutti i paesi saranno piccoli e indeboliti, Grecia inclusa,
Testo originale Http://www.greekcrisis.fr/2018/10/0687.html#deb
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Da “Chi vuole i milioni di Soros?” pubblicato sabato 20 ottobre 2018
Colori autunnali. Le foglie cadono dagli alberi, mentre piovono milioni sui Balcani… [provenienti] dai fondi del finanziere e speculatore George Soros. Ad Atene, il Ministero degli affari esteri, il fanfarone patentato Nikos Kotziás si è dimesso. Nel Consiglio dei ministri, Kotziás ha avuto un alterco verbale molto violento con il suo collega alla difesa, l’altro fanfarone Pános Kamménos. Quest’ultimo, secondo i media greci, ha tra l’altro accusato Kotziás di aver ricevuto 50 milioni di euro dal finanziere Soros al fine di far progredire a tutti i costi l’accordo macedone tra Tsípras e Zaev, che è lo stesso scritto a Berlino, Bruxelles, dalla NATO e soprattutto, dallo speculatore Soros.
(…) si osserva che per il momento (…) Kotziás non sporge denuncia per esempio per diffamazione, anzi, è il procuratore che ordina un’indagine sul finanziamento di alcuni mezzi d’informazione in Albania e nell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia da parte del Ministero degli affari esteri sotto la direzione di Kotziás, secondo la stampa greca del 19 ottobre. Il greco della strada come quello che sta al caffè inevitabilmente amaro, come il meccanico del quartiere, si chiede non senza logica: “Se Kotziás ha davvero preso 50 milioni da parte di Soros, uno come Tsípras quanti milioni di euro avrà preso per far andare in porto l’affare macedone? Domanda molto popolare e questione probabilmente “populista”!
Il giornalista, apertamente Pro-U. S. e Pro-britannico Georgios Trángas nella sua trasmissione su 90,1 FM del 19 ottobre, (…) espone la sua versione del Fatti: “Kotziás, è un utile idiota ed è anche per questo motivo che non è stato sostenuto da Tsípras. [che] di gran lunga preferisce il suo Ministro della difesa Kamménos, e giustamente. Kamménos è collegato al circolo di Donald Trump, e anche a Israele, e non fa nulla senza prima telefonare agli americani, come [in occasione del] suo recente viaggio ufficiale negli Stati Uniti. Quando tutti ad Atene in modo – va detto – sconsiderato supportavano verbalmente Hilary Clinton, Tsípras compreso, Pános Kamménos era l’unico politico greco che parlava pubblicamente a favore del candidato Trump.
“Così Kamménos ha già ottenuto il via libera americano per il suo futuro viaggio ufficiale a Mosca, in cui accompagnerà Tsípras dal Presidente Putin, visita ufficiale prevista per la fine di quest’anno. Mentre Kotziás, era stato dichiarato indesiderabile a Mosca fin dall’inizio, poiché era all’origine dell’estradizione di due diplomatici russi la scorsa estate (…) Incidentalmente Kotziás era stato più l’uomo di Berlino o piuttosto di Soros, come infine della loro politica nei Balcani
(…)
“Durante un incontro tra di noi un po’ più tardi, Kamménos In persona mi ha detto che nei giorni del doloroso negoziato finale tra il team Tsípras e Bruxelles cioè Berlino nel luglio 2015, Tsípras gli ha chiesto di venire a Bruxelles per trovare finalmente una via d’uscita. Giunto a Bruxelles, Kamménos in primo luogo ha avvertito Tsípras che la stanza assegnata alla delegazione greca era piena dei microfoni tedeschi ed in più, che Varoufákis era un agente o meglio un dipendente di Soros. Una parte della delegazione greca si riunì allora in un ristorante di pesce, e fu Kamménos a telefonare gli americani, all’epoca amministrazione Obama che reagì qualche tempo dopo, indicando ai greci che dovevano aspettare l’imminente chiamata di Francis Hollande e l’arrivo, in caso di emergenza, di una delegazione francese che avrebbe portato le proposte da adottare in modo da… chiudere i negoziati “.
“Durante la sua visita la scorsa settimana negli Stati Uniti, Kamménos ha informato i suoi interlocutori delle azioni di Soros, ed è stato informato dagli americani. Inoltre Tsípras è stato informato delle intenzioni di Kamménos prima che partisse. In realtà, il vano Kotziás è stato divorato e fatto fuori da Kamménos nel momento stesso in cui questi saliva sull’aereo per gli Stati Uniti. Inutile dire che Kamménos ha avuto via libera per attaccare Soros e la sua attività in Grecia, dal momento che Donald Trump, sappiamo quanto sia in guerra contro il finanziere e speculatore Soros, ” Georgios Trángas, 90,1 FM al 19 ottobre, citato a memoria. Questo è ciò che i greci possono a volte sentire alla
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Il documentario che la Lobby israeliana non vuole che vediate
Davide 9 novembre 2018
FONTE: MOON OF ALABAMA
Oggi (2 novembre 2018, nota CdC), il sito “The Electronic Intifada” ha pubblicato le prime due parti di “La Lobby negli USA” un’inchiesta segreta in quattro parti di Al Jazeera, riguardante le campagne di condizionamento segreto condotte da Israele negli Stati Uniti.
La prevista diffusione del film è stata vietata dal Qatar, proprietario di Al Jazeera, per conto di Israele.
Nel seguito la descrizione di “Electronic Intifada”:
“Per ottenere un accesso senza precedenti tra gli addetti interni della lobby israeliana, il giornalista clandestino, “Tony” si è presentato a Washington come volontario filo-israeliano.
Il film che ne risulta mostra gli sforzi di Israele e dei suoi lobbisti per spiare, screditare e minacciare i cittadini americani che sostengono i diritti dell’uomo in Palestina, in particolare i BDS (1) il movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni.
Il film dimostra che il Ministero degli Affari strategici, agenzia governativa israeliana semi-segreta per le operazioni clandestine, collabora con una vasta rete di organizzazioni che hanno sede negli Stati Uniti.
Questa rete di organizzazioni include: “Israel on Campus Coalition”, “The Israel Project” e la “Foundation for Defense of Democracies”.
È stupefacente che Israele possa operare senza conseguenze con operazioni di spionaggio e di informazione di tal fatta contro cittadini americani e per di più all’interno degli Stati Uniti.
Israele e la sua lobby hanno fatto tutto il possibile per eliminare il film e la sua
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CULTURA
Karl Polanyi: l’economia non è destino, il mercato non è natura
“L’economia non è il nostro destino; non esiste un sistema di leggi economiche autonome, vale a dire: l’economia non costituisce un processo naturale, ma è sempre stata una creazione culturale scaturita dalla libera scelta degli uomini. Sicché, anche il futuro dell’economia, o di un determinato sistema economico, è rimesso alla libera volontà di uomini”.
Quello citato è un passaggio decisivo del “Capitalismo moderno” di Werner Sombart, uno dei grandi dimenticati della sociologia e dell’economia. Il concetto espresso da Sombart è lo stesso che attraversa vita e opera di un altro pensatore eterodosso assai poco amato dai circoli liberisti e liberali, Karl Polanyi (1886-1964), austro ungherese vissuto anche in Inghilterra e negli Stati Uniti, attivo per mezzo secolo, sino alla soglia degli anni Sessanta. Il suo testo più importante, La grande trasformazione, del 1944, ribaltò le più consolidate convinzioni degli economisti, uno dei cui postulati è che gli uomini siano esseri razionali che agiscono nel modo che promette loro il miglior vantaggio economico, sia che la scelta riguardi un’automobile, l’elezione di un deputato o la scelta di una vacanza.
Polanyi ribaltò quell’idea, già contestata da un grande della precedente generazione, Vilfredo Pareto, con la teoria delle azioni logiche e non logiche, corrispondenti, nel lessico paretiano, a residui e derivazioni. Assai interessante è scoprire che nessuno dei tre pensatori menzionati fu un economista puro: sociologo e filosofo Sombart, addirittura ingegnere ferroviario, gigante della sociologia e poi successore di Leon Walras nella cattedra di economia nell’università di Losanna, Pareto, Karl Polanyi studioso a cavallo tra storia, antropologia, politica, sociologia ed economia. Oggi diremmo che inaugurarono l’indagine multidisciplinare, ma è forse più corretto affermare che il loro approccio scientifico fu di tipo organico, olistico, legato cioè ad una concezione dell’uomo lontana dalle semplificazioni settoriali, dalle ubbie e dai luoghi comuni degli economisti.
Il Nostro, in particolare, affermò che gli uomini sono esseri sociali, immersi in una sorta di “zuppa” fatta di cultura, usi, costumi, idee ricevute, storia. Sin troppo facile riconoscervi l’influsso della grande tradizione inaugurata da Aristotele e della sua definizione dell’uomo “animale politico”. Si era costruito una solida formazione sociologica e psicologica, frequentando intellettuali come Gyorgy Lukàcs e Karl Mannheim e gli fu estranea qualsiasi teoria, a cominciare dallo stesso marxismo, che riducesse l’uomo all’economia ed alla propensione allo scambio. La vita economica, per lui, è nutrita di tutto ciò che costituisce l’orizzonte pratico, esistenziale e spirituale degli uomini e delle civiltà nelle quali vivono.
Se per Vilfredo Pareto gli uomini compiono azioni logiche e non logiche, che rendono irriducibili alla sola dimensione economica le loro condotte, l’intera opera di Karl Polanyi è tesa a smontare una doppia pretesa liberale. La prima è quella, del tutto menzognera, del mercato autoregolato, l’altra, ancora più falsa ed insidiosa, è la tesi secondo cui l’economia di mercato non è che l’estensione naturale della pulsione allo scambio che anima l’uomo, un destino ineluttabile in cui ci saremmo felicemente rinchiusi. L’importanza della doppia battaglia dell’intellettuale ungherese scaturisce dal primo dei suoi bersagli polemici. Egli osserva infatti che forme di mercato sono sempre esistite, anche quando l’uomo era raccoglitore e cacciatore, ma solo a partire dal XIX secolo, con la rivoluzione industriale e la fondazione dell’economia come sapere autonomo e dotato di statuto scientifico, si è teorizzata, o ideologizzata, l’idea di mercato autoregolato. Fu Adam Smith, l’ultimo degli scozzesi ed il primo degli economisti classici, ad affermare che esiste una forma di sistematizzazione degli attori economici in grado di produrre, come nel principio dei vasi comunicanti, l’equilibrio in grado di soddisfare tutti, organizzando la società attorno al libero scambio (la mano invisibile).
Polanyi fu tra i primi a studiare l’economia con lo sguardo dell’antropologo culturale, aiutato in ciò dal clamore suscitato dagli studi compiuti sul campo da Bronislaw Malinowski alle isole Trobriand, i cui abitanti praticano il “kula”, lo scambio a base di dono e controdono, nonché dalla grande lezione di Marcel Mauss sull’economia del dono e della reciprocità, i cui echi sono tuttora vivi specialmente nella cultura francese. In particolare, da Mauss trasse il concetto di reciprocità, ovvero la logica dell’azione non finalizzata al tornaconto economico, che diventerà poi elemento centrale della riflessione di altri studiosi estranei alle grandi correnti ideologiche marxiste e liberali, come Illich, Castoriadis e, in Italia, di economisti keynesiani come Federico Caffè, che molto insistette sulla dignità del lavoro.
Negli scambi caratterizzati dalla reciprocità assumono valore le persone, gli usi, le relazioni, i legami che si intrecciano, i rapporti che si intrattengono. Da quanto riferito, si comprende quanto scarsa sia stata l’accoglienza dell’opera polanyiana in un epoca dominata dallo scontro tra liberismo e comunismo e dall’ormai imminente sconfitta definitiva dei fascismi: la Grande Trasformazione uscì infatti nel 1944 e la sua recezione avvenne molto lentamente, centrata soprattutto sull’analisi storico-antropologica e solo di recente è stata oggetto di riscoperta delle tesi economiche.
Polanyi era personalmente un socialista umanitario, come allora si diceva, vicino in particolare al “gildismo” britannico, non marxista, antifascista al punto di essere stato autore, nel 1935, di un saggio, “L’essenza del fascismo”, in cui tratta i movimenti nazionalpopolari come semplici mosse (tale è il termine che utilizza) del capitalismo per conservare potere e presa sulle masse. Una interpretazione vecchia, ingenerosa, frutto del marxismo più ortodosso, largamente errata e superata dagli studiosi dei decenni successivi, a partire dall’israeliano Zeev Sternhell, da Nolte, dallo stesso Furet ed altri. Proprio dall’Essenza del fascismo, tuttavia, si ricavano, paradossalmente, spunti per iscrivere Polanyi tra gli studiosi che credono nella società organica, se non anche nel novero degli autori in cui si rintraccia un’ispirazione comunitarista. Valga al vero il passo seguente: “Come è concepibile una società che non sia una relazione di persone? Questa implica una società che non avrebbe l’individuo come sua unità. Ma in una società del genere, come può essere possibile la vita economica se né la cooperazione né lo scambio – entrambe relazioni personali tra individui – possono avere spazio in essa?” Al netto del linguaggio utilizzato, l’attacco appare sferrato ben più all’economia liberale (e con altrettanta ragione a quella pianificata comunista) che ai fascismi, che conservarono il mercato, ma lo sottomisero a regole, limiti e controlli, organizzandolo attorno all’interesse nazionale.
L’uomo, insomma, non è necessariamente oeconomicus per Polanyi e l’obiettivo dei suoi sforzi fu quello di costruire una antropologia economica. Dall’incontro con Lukàcs e con gli intellettuali ungheresi ricavò la ferma convinzione che al centro della storia ci siano gli uomini e non le leggi economiche, oltre all’opposizione allo storicismo tedesco, in particolare alla nota separazione tra scienza naturali e scienze dello spirito, o sociali, introdotta da Dilthey. Nella Grande Trasformazione questi temi diventano centrali, sin dall’analisi della nascita della società industriale in Inghilterra e della sua storia, vista come successione di crisi dovute all’innaturalità ed in definitiva all’impossibilità di una società retta unicamente dalle leggi del mercato e dal “laissez-faire”.
L’attualità di queste idee è assoluta, ed è ulteriormente attestata, oggi, dalla prevalenza della debordiana società-spettacolo e dalla pervasività della comunicazione pubblicitaria, in cui si invera il principio enunciato da Marshall Mac Luhan secondo cui “il mezzo è il messaggio”. Attraverso l’interazione tra pubblicità e spettacolo, i padroni del mercato spoliticizzano la società e la rendono un semplice luogo di scambio e, innanzitutto, di consumo. La grande intuizione di Polanyi, che rende il suo pensiero punto di riferimento per l’antagonismo antiliberale odierno, è che la società di mercato è un episodio, per quanto importante, della storia umana, uno solo dei modi in cui l’uomo può organizzare la propria vita civile. Lo stesso mercato autoregolato nasce insieme con la rivoluzione industriale: prima, esistevano luoghi e sistemi di scambio i cui prezzi non dipendevano dalla cosiddetta legge della domanda e dell’offerta, ma erano controllati a livello centrale, quindi tendenzialmente stabili.
La logica esclusivamente utilitaristica dell’agire umano viene respinta con fermezza anche attraverso un’argomentazione tipica dell’antropologia: l’uomo dipende, per la sua sopravvivenza, dalla natura e dai suoi simili, o conspecifici, come direbbero gli etologi alla Konrad Lorenz. Anzi, egli è l’essere debole, incompleto per eccellenza, quello meno dotato di un bagaglio di istinti e di capacità genetiche. Per citare un contemporaneo di Polanyi, Arnold Gehlen, fondatore dell’antropologia filosofica (L’uomo, la natura ed il suo posto nel mondo) l’uomo è l’essere “carente” per eccellenza, e solo le sue capacità intellettuali, poste al servizio della collaborazione con gli altri, lo “esonerano”, ovvero gli permettono di vivere in maniera organizzata e stratificata.
Un processo economico ha una vita definita solo nell’ambito di forme sociali concrete, per cui può inserirsi in svariate istituzioni (la parentela, la politica, la religione, lo Stato ecc.) non economiche, che assicurano la sussistenza e la rete di relazioni di cui è parte. In quest’ottica, le tre principali forme di organizzazione ed integrazione in cui si definiscono i processi economici sono la reciprocità, la redistribuzione e lo scambio, oltre all’economia domestica e contadina. Economia del dono, o meglio degli obblighi reciproci la prima, fortemente centralizzata la seconda, tipica del mondo precolombiano degli Incas, degli Egizi e di diverse civiltà mesopotamiche costituite da imperi burocratici, e, nella modernità, il comunismo storico novecentesco e per diversi aspetti i fascismi. In queste due modalità Polanyi rinviene l’esistenza di traffici senza mercato, mentre il terzo modello, quello dello scambio, è diventato prevalente ed ha scacciato ogni forma alternativa con la pretesa dell’autoregolazione.
Aristotele, il primo ad analizzare, nella sua monumentale opera, l’economia, anzi ad inventare la parola stessa – regola, norma della casa – dette un giudizio positivo sul concetto di scambio ed anche alla provvista di beni non prodotti in proprio, vietando tuttavia, con un giudizio inappellabile, la cosiddetta crematistica, ossia la ricchezza fine a se stessa, l’arricchimento come obiettivo, l’accumulo, ritenuti effetti degenerativi di condotte innaturali. Sulla base di questa mole di studi e conoscenze inserite in concreta integrazione con il mondo della vita, Polanyi individua il posto che l’economia occupa nelle varie società umane, asserendo che nelle comunità basate sul dono o sulla redistribuzione, essa è inserita (“embedded”) nel tessuto civile, mentre laddove prevale la logica dello scambio e del tornaconto, si scorpora da tutto il resto, istituendo, determinando la forma di ogni ambito relazionale.
Nella società liberalcapitalista, l’economia è dappertutto e, soprattutto, è il tutto, cui ogni altro principio è subordinato o abolito. Di qui la distruzione sistematica delle identità culturali, nazionali, linguistiche dei popoli, la lotta contro le idee e le credenze che non si lascino avvolgere dal mercato o che non possano essere oggetto di compravendita o riduzione ad un prezzo espresso in denaro. In molte culture, era assente anche un termine per designare l’organizzazione delle condizioni materiali dell’esistenza. Fino all’inizio dell’800, anche in Europa si parlava di economia politica. Lo stesso pensiero marxista non si discosta nell’essenziale dai predicati liberali, giacché accoglie il pregiudizio economicista del suo nemico storico, secondo cui il movente dei comportamenti umani è la soddisfazione dei bisogni materiali, ancorché denunci che l’asserito carattere di leggi naturali del mercato è soltanto il prodotto di precise circostanze storiche, i rapporti di produzione.
Nelle due principali ideologie moderne, le uniche per Polanyi, che in questo sbaglia clamorosamente, giacché attribuisce ai fascismi la sola funzione di guardia nera del capitalismo e trascura il contributo del pensiero sociale cattolico, si decreta una supremazia assoluta, o addirittura un’esclusiva valenza, delle azioni economiche. Tuttavia, ed è la chiave interpretativa del suo pensiero, questa è l’eccezione, nel divenire storico, e non certo la regola. E’ stato possibile, presso altre civiltà, e per millenni anche in quella di cui la nostra postmodernità è erede, produrre scambiare, distribuire beni, merci e servizi mantenendo la dimensione comunitaria delle società coinvolte e le loro ragioni simboliche.
In tale ottica, egli revoca opportunamente in dubbio un altro dogma liberale, quello secondo cui la libertà e la giustizia vengono deterministicamente, quasi eudemonisticamente collegate all’economia di mercato, sintesi e perfezionamento insuperabile di tutte le forme di organizzazione sociale, dunque autorizzata a sradicare, svalutare, screditare, distruggere anche con la violenza, una violenza “buona” ed umanitaria” ogni altra idea della vita.
Interessante, al riguardo, è un passo della Grande Trasformazione, in cui si segnala che nella gran parte delle società è stata dimostrata dagli etnografi, “l’assenza del motivo del guadagno, l’assenza del principio del lavoro per una remunerazione, l’assenza del principio del minimo sforzo, e, in particolare, l’assenza di qualunque istituzione separata e distinta basata su motivi economici.” Ed ancora, verbatim, “l’economia dell’uomo è immersa nei suoi rapporti sociali. L’uomo non agisce in modo da salvaguardare il suo interesse individuale nel possesso di beni materiali, agisce in modo da salvaguardare la sua posizione sociale, le sue pretese sociali, i suoi vantaggi sociali”. Su questo punto, sorprende l’affinità con il sociologo americano di origine norvegese Thorsten Veblen e la sua opera “Teoria della classe agiata”, in cui spiega e teorizza quelli che chiama i “consumi vistosi” dei più ricchi, spesso non giustificati da alcuna logica, convenienza o utilità, ma tesi a confermare il ruolo egemone del gruppo sociale di appartenenza.
Indirettamente, Polanyi sembra contestare anche uno dei capisaldi dell’utilitarismo contemporaneo, quella teoria dei giochi di Nash e Von Neumann con cui si formalizzano in linguaggio matematico le decisioni o scelte individuali in situazioni di conflitto o di interazione strategica con i rivali. Il meccanismo relativo è quello della retroazione finalizzata al massimo guadagno, e la ricerca di soluzioni competitive o cooperative esclusivamente per fini utilitari, ed è ampiamente utilizzato nel contesto della concorrenza e nella gestione delle trattative economiche.
L’attualità del pensatore ungherese risulta evidente anche per il rifiuto assoluto di considerare la terra, il lavoro e l’uomo alla stregua di merci, e sta influenzando profondamente diverse scuole economiche in varie nazioni, come il regolazionismo francese di cui è esponente Jean–Paul Fitoussi, oltre alle analisi degli scambi non economici, come il volontariato o le economie informali. Tra i grandi del presente, echi di Polanyi sono presenti in un Premio Nobel del livello di Paul Krugman e nelle elaborazioni di Serge Latouche.
Un altro brano importante dell’opera del Nostro è la seguente, tratta dall’Essenza del fascismo: “dopo l’abolizione della sfera politica democratica resta solo la vita economica; il capitalismo organizzato nei diversi settori dell’industria diventa l’intera società: questa è la soluzione fascista”. Clamoroso è l’abbaglio in cui incorre il pensatore ungherese, giacché quella descritta è la soluzione liberale che abbiamo davanti agli occhi, svincolata da ogni principio, valore o idea: l’economia come struttura, destino, camicia di forza.
Molta pubblicistica progressista afferma che il liberismo odierno sia fascismo: un’operazione insensata ed antistorica, poiché la forza del liberalismo sta esattamente nel contrario, ovvero nel suo apparente antiautoritarismo, nel libertarismo consumistico che diffonde, nell’indifferentismo etico, nella derisione di ogni ideale. Ciò che conta, tuttavia, poiché la parola fascismo, per damnatio memoriae, ha finito per contenere tutti i mali del mondo, è che il liberismo reale cominci ad essere associato al male. La maschera antiautoritaria della democrazia liberale sta cadendo di giorno in giorno, sotto i colpi del principio di realtà. Certo è, purtroppo, che la maggioranza ha introiettato i modi di vita imposti dall’economia di consumo, e la costrizione, o la vera e propria violenza si cela ancora nella falsa coscienza del desiderio di plebi abbagliate dalle luci del supermercato globale, convinte che “non ci sono alternative”.
Le alternative sono difficili, forse dure, dopo tanti decenni in cui le generazioni sono state indebolite, fiaccate, avvelenate da menzogne, persuase che i vizi siano libertà, disabituate al sacrificio e, prima ancora, al pensiero ribelle che diventa lotta. Polanyi è uno dei maestri a cui fare riferimento, comprendendo anche l’ultima, in ordine di tempo, delle sue opere, Per un nuovo Occidente.
La società organica che egli prospetta si basa sull’interdipendenza e la comunità, nasce dai bisogni e dalla vita quotidiana degli uomini, ed è quindi preesistente all’economia ed alle sue leggi, vere o presunte. La società industriale di cui siamo figli ha imposto modelli antropologici, economici e politici del tutto nuovi, che sono certo possibili, ma non unici o insuperabili punti d’arrivo, per cui possono e devono essere criticati alla radice. In via preliminare, Polanyi confutò la teoria liberale delle merci fittizie, ovvero lavoro, terra e moneta. “Lavoro, terra e moneta sono gli elementi essenziali dell’industria; anch’essi debbono essere organizzati in mercati poiché formano una parte vitale del sistema economico; tuttavia essi non sono evidentemente delle merci ed il postulato per cui tutto ciò che è comprato e venduto deve essere stato prodotto per la vendita è per questi manifestamente falso”.
Non ci può essere condanna più netta per i dogmi liberalcapitalistici, e, per quanto riguarda la moneta, va ricordato che il bersaglio del pensatore fu il sistema aureo, che legava l’emissione monetaria al possesso di oro ed alla convertibilità nel metallo prezioso (ricordate la falsa dicitura sulle vecchie lire “pagabili a vista al portatore”, cioè teoricamente convertibili in oro?). Dopo l’abolizione del sistema aureo a seguito della crisi d’inizio anni Settanta, la moneta è diventata un monopolio sganciato da qualunque bene o
DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI
Fino a quando il mondo ricco non pensa “un mondo”, la migrazione si intensificherà
7 novembre 2018 – DI SLAVOJ ŽIZEK
rt.com
Il mondo “ricco” ha urgente bisogno di affrontare le ragioni alla base della migrazione di massa, piuttosto che i suoi sintomi. E di capire che [tutti noi] viviamo in un solo mondo.
La migrazione è, ancora una volta, notizia principale. Colonne di migranti dell’Honduras si stanno avvicinando al confine degli Stati Uniti attraverso il Messico; i migranti africani hanno rotto le barriere e sono entrati nella piccola exclave spagnola sulla punta settentrionale dell’Africa; i migranti mediorientali stanno cercando di entrare in Croazia.
Sebbene i numeri siano relativamente piccoli, essi segnalano un fatto geopolitico di base.
Nel suo “World Interior of Capital“, il filosofo tedesco Peter Sloterdijk dimostra come, grazie alla globalizzazione, il sistema capitalista sia giunto a determinare tutte le condizioni di vita.
Il primo segno di questo sviluppo fu il Crystal Palace di Londra, il sito della prima Esposizione Mondiale nel 1851. La sua struttura rendeva palpabile l’esclusività della globalizzazione come la costruzione e l’espansione di un mondo interiore i cui confini sono invisibili, ma praticamente insormontabili dall’esterno e che ora è abitato da un miliardo e mezzo di vincitori della globalizzazione.
Tuttavia, tre volte questo numero è lasciato in piedi fuori dalla porta. Di conseguenza, “l’interno del mondo del capitale non è un’agorà o una fiera a cielo aperto, ma piuttosto una serra che ha attirato verso l’interno tutto ciò che una volta era all’esterno”.
Due orbite
Questo interno, costruito sugli eccessi capitalistici, determina tutto: “Il fatto principale dell’Età Moderna non era che la terra girasse intorno al sole, ma che i soldi girano intorno alla terra”. Dopo il processo che ha trasformato il mondo in globo, “la vita sociale potrebbe aver luogo solo in un interno espanso, uno spazio interno artificialmente condizionato e addomesticato”.
Ciò che Sloterdijk ha giustamente sottolineato è che la globalizzazione capitalista non sta solo per apertura e conquista, ma anche per un globo chiuso in se stesso che separa l’interno dal suo esterno.
I due aspetti sono inseparabili: la portata globale del capitalismo è radicata nel modo in cui esso introduce in tutto il mondo una radicale divisione di classe, separando quelli protetti dalla sfera da quelli al di fuori della sua copertura. Il flusso di rifugiati è un ricordo momentaneo del mondo violento al di fuori della nostra Cupola, un mondo che, per noi, addetti ai lavori, appare per lo più in trasmissioni televisive su paesi lontani violenti, non come parte della nostra realtà, e invadente.
Lezioni di storia
Pertanto, il nostro dovere etico-politico non è solo quello di diventare consapevoli della realtà al di fuori della nostra Cupola, ma di assumere pienamente la nostra corresponsabilità degli orrori al di fuori della nostra Cupola. L’ipocrisia delle reazioni al brutale omicidio di Jamal Khashoggi fornisce un bell’esempio di come funziona questa Cupola. In un senso più ampio, era uno di noi, ben posizionato all’interno della Cupola, quindi siamo scioccati e indignati.
Ma le nostre cure sono ridicolmente rimosse: il vero scandalo è che l’omicidio di Istanbul ha causato uno scandalo molto più grande dello Yemen, dove l’Arabia Saudita sta distruggendo un intero paese. Ordinando (probabilmente) l’omicidio, Mohammed bin Salman (MBS) ha dimenticato la lezione di Stalin: se uccidi una persona, sei un criminale; se uccidi ne migliaia, sei un eroe. Quindi MBS avrebbe dovuto continuare a uccidere migliaia di persone nello Yemen.
Dunque, tornando alla nostra domanda leninista: che cosa si deve fare?
La prima e (purtroppo) predominante reazione è quella di un auto-recinto protettivo: il mondo là fuori è in disordine, proteggiamoci con muri di ogni tipo.
Sta emergendo un nuovo ordine mondiale in cui l’unica alternativa allo “scontro di civiltà” rimane la coesistenza pacifica delle civiltà (o degli “stili di vita”, un termine più popolare oggi): i matrimoni forzati e l’omofobia (o l’idea che una donna che va da sola in un luogo pubblico provoca lo stupro) sono OK, solo che sono limitati a un altro paese che è altrimenti pienamente incluso nel mercato mondiale.
La triste verità che sostiene questa nuova “tolleranza” è che il capitalismo globale di oggi non può più permettersi una visione positiva dell’umanità emancipata, nemmeno come un sogno ideologico.
Una visione
L’universalismo liberal-democratico di Fukuyama fallì a causa dei suoi limiti e incongruenze immanenti, e il populismo è il sintomo di questo fallimento, la sua malattia quella di Huntington. Ma la soluzione non è il nazionalismo
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Il nigeriano e il buonista
Giampaolo Rossi – 3 febbraio 2018 RILETTURA
PRIMO E SECONDO
Il primo è un nigeriano.
Il secondo è un buonista.
Il primo è un criminale.
Il secondo è un idiota.
Il primo fa lo spacciatore, a volte il ladro e forse anche l’assassino e il macellaio sui corpi di povere ragazze.
Il secondo fa il politico di sinistra, l’intellettuale impegnato, il volontario delle Ong con i soldi di Soros, il fighetto radical-chic con il culo degli altri.
Il primo è un immigrato irregolare con precedenti penali che gira libero per le nostre città a spacciare e a delinquere come se niente fosse.
Il secondo è un italiano regolare a cui dell’Italia non frega nulla ma grazie alle sue idee sballate, alla sua ipocrisia pelosa, ci sta riempiendo di rifiuti umani che vengono a distruggere la nostra già difficile convivenza civile.
Il primo, il nigeriano, è scappato dal suo Paese a causa della guerra, ci dicono. Ma da che mondo è mondo dalle guerre scappano le donne e i bambini mentre lui è un uomo di 28 anni.
E francamente è strana questa immigrazione che porta in Europa masse di giovani sani di corpo e di mente e lascia sotto le bombe e le persecuzioni i più indifesi.
Il secondo, il buonista, vive da sempre qui, gode della libertà e della sicurezza che gli sono garantiti ed è così stupido da convincersi che facendo entrare tutti, lui faccia il bene di queste persone e di se stesso, mentre fa solo il bene dell’élite globalista che pilota questo esodo di nuovi schiavi.
Il nigeriano, quello che si traveste da profugo, da povero, da diseredato, è solo uno schifoso delinquente che si approfitta della possibilità che noi diamo a lui per farsi manovalanza delle organizzazioni criminali, in cambio di facili guadagni.
Il buonista, quello che si veste di solidarietà, è solo uno schifoso schiavista, uno di quelli che è convinto che gli immigrati ci pagheranno le pensioni o che è meglio farli entrare tutti così li mettiamo a raccogliere i pomodori come dice Emma Bonino (e questo solo perché in Italia non coltiviamo cotone come nella Virginia del XIX secolo).
Boldrini, Migranti come stile di vita
NON SOLO…
Il nigeriano non è solo il nigeriano; è anche il tunisino, il marocchino, il bosniaco insomma è tutti quelli che chiamiamo clandestini e che una volta in Italia si mettono a rubare, stuprare, spacciare, assassinare, rafforzando la già folta fauna di delinquenti nativi.
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ECONOMIA
Mai vendere le attività strategiche di una nazione
Lisa Stanton – 9 novembre 2018
Le attività strategiche come il settore bancario, dei trasporti, delle telecomunicazioni non si lasciano ai privati per poi sperare che lo Stato le salvi: tutto ciò che lo Stato non può consentire che fallisca, va nazionalizzato.
Ma servirebbe un Partito che sia Patriottico ed intelligente, internazionalista ma sociale, aperto ma capace di discernere l’interesse Nazionale.
Purtroppo il 5Stelle è di fondo un partito esterofilo, ed anche molti esponenti della Lega nordista (esclusi Bagnai, Borghi ed il loro gruppo) soffrono della sindrome di Stoccolma per esser diventati il mercato secondario della Germania, per le cui aziende producono componentistica.
La Lamborghini era forse senza mercato e senza futuro? La Ducati? Eppure, il gruppo Volkswagen che le ha assorbite ha disposto che i telai si producano in Vietnam per risparmiare 7€ a pezzo. E la Verlicchi ha chiuso.
Nelle aziende dell’agroalimentare, anche quelle destinate al mercato interno, la
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PANORAMA INTERNAZIONALE
Mosca – Costantinopoli: scisma nella chiesa ortodossa.
8 novembre 2018 DI ELISEO BERTOLASI
comedonchisciotte.org
Come riportato da Ria Novosti, il 3 novembre il presidente ucraino Petro Poroshenko e il patriarca Bartolomeo hanno firmato un accordo di collaborazione e cooperazione tra l’Ucraina e il Patriarcato di Costantinopoli.
Il presidente ucraino su twitter, ha definito l’evento “storico”, aggiungendo: “L’accordo che oggi abbiamo firmato completa il processo di conferimento del “tomos” (decreto ecclesiastico) secondo tutti i canoni della Chiesa ortodossa”.
Il Patriarca di Costantinopoli, da parte sua, ha affermato che questo accordo contribuirà ad accelerare la concessione dell’autocefalia alla Chiesa ortodossa in Ucraina. Inoltre, è convinto che sarà importante sia per le relazioni bilaterali, sia per l’ortodossia nel suo insieme.
Poroshenko è intenzionato ad ottenere da Costantinopoli il conferimento dell’autocefalia alla struttura non canonica (secondo il Patriarcato di Mosca) della chiesa ucraina (patriarcato di Kiev). A metà ottobre, il Patriarcato di Costantinopoli con l’annuncio di dare avvio a tale procedura, ha abrogato l’atto del 1686 che sanciva il trasferimento della “Metropolia” di Kiev sotto la giurisdizione del Patriarcato di Mosca, togliendo, contemporaneamente, anche l’anatema posto dalla Chiesa ortodossa russa sui due leader delle strutture ecclesiastiche non canoniche ucraine: a Filarete, capo del “Patriarcato di Kiev” e a Macario, capo della Chiesa ortodossa autocefala ucraina (Filarete fondò la sua struttura nel 1992 con il sostegno dell’allora presidente ucraino Leonid Kravchuk. la Chiesa ortodossa autocefala ucraina venne fondata dal Direttorio della Repubblica Popolare dell’Ucraina nel 1920 n.d.r.).
Il Sinodo della Chiesa ortodossa russa ha interpretato l’azione di Costantinopoli come “scisma” e ha annunciato la rottura delle sue relazioni con Costantinopoli su tutto il proprio territorio canonico, che comprende anche l’Ucraina e la Bielorussia. Secondo il metropolita Hilarion (presidente del Dipartimento delle relazioni estere del Patriarcato di Mosca n.d.r.), Costantinopoli con questo atto ha perso il diritto di venir considerato il centro di coordinamento dell’Ortodossia.
Ecco, in esclusiva, l’opinione del famoso politologo russo professor Aleksandr Dugin riguardo la delicata questione:
“Si tratta di uno scisma tra il patriarcato di Costantinopoli e il patriarcato di Mosca. L’aspetto più negativo di tutta la questione è che il governo ucraino potrà utilizzare questo fatto come pretesto per prendere, anche con la violenza, le
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SCIENZE TECNOLOGIE
Non si ferma l’emorragia di industrie italiane all’estero
Lisa Stanton – 8 novembre 2018
L’Italia fu la quarta nazione al mondo a lanciare satelliti propri, nel dicembre 1964, con il San Marco. Eravamo leader europei (escludendo l’URSS), come in quasi tutti i campi della scienza, dell’innovazione e della tecnologia.
https://it.wikipedia.org/wiki/Cronologia_dei_voli_spaziali
Nacque dopo qualche anno l’ASI, l’Agenzia Spaziale Italiana, che ha un budget annuale di 1,6 miliardi di euro, e che nel 2014 ha avuto l’onore di avere come presidente Roberto Battiston, marito di Paola Prodi (nipote di Romano).
Costui è stato confermato a capo dell’Agenzia il 7 maggio scorso dalla Fedeli, valente ministra al MIUR di un governo dimissionato, ma senza il via libera dal Ministero dell’Economia, la registrazione degli organi di controllo interni ed il parere vincolante del Comitato interministeriale per le politiche dello spazio.
https://www.startmag.it/inn…/asi-governo-spaziale-battiston/
Ma non era solo questo: al nuovo Comitato nominato dal governo gialloverde era subito arrivato un bel fascicolo su Battiston nel quale era accusato di aver abbandonato l’aerospaziale italiano, cedendo progetti ad altri paesi ed appiattendosi totalmente alla Francia.
Il nostro aerospazio è in via di dismissione fin dal 2004 con la cessione della maggioranza di Alenia Aerospazio ad Alcatel prima ed a Thales dopo.
Ma, anziché rafforzare un settore strategico e provare a riconquistarlo Battiston, fresco di Legion D’Onore concessa a Palazzo Farnese dall’ambasciatore di Francia per la “Gentile Collaborazione”
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