NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI
13 NOVEMBRE 2018
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Puoi fare molta più strada con una parola gentile e una pistola
che con una parola gentile e basta. (Al Capone)
Gino & Michele, Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano,
Baldini Castoldi, 2000, pag. 311
https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/
Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.
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IN EVIDENZA
Via libera della Ue al falso Made in Italy
Chardonnay, Merlot, Cabernet, Sauvignon, Shiraz. Mai sentiti? Sono vitigni internazionali ma che assumono profumi diversi ed hanno anche particolari procedure a seconda dell’origine delle uve. Ecco perché vi era l’obbligo di indicare l’origine delle chicchi. La Coldiretti ora denuncia che l’Unione Europea ha modificato il regolamento e che questo obbligo non ci sarà più.
In pratica questo significa che si potranno vendere bottiglie di Chardonnay, Merlot, Cabernet, Sauvignon e Shiraz senza indicare in etichetta la provenienza dell’uva che potrà essere così provenire da qualsiasi parte del mondo.
Secondo quando riporta il quotidiano l’Adige:
«In questo modo sarà possibile fare in “laboratorio” vino italiano – lamenta l’organizzazione agricola Coldiretti – usando vini o mosti provenienti da altri Paesi, come la Spagna, per essere poi venduto specie sui mercati esteri sotto la copertura di simboli e marchi tricolori ma senza alcun legame con i vigneti ed il territorio nazionale. Una situazione che – denuncia Coldiretti – alimenta le speculazioni in atto sulla vendemmia 2018, con ingiustificate riduzioni a due cifre dei prezzi del vino riconosciuti ai produttori giustificato con l’aumento della
Continua qui: http://micidial.it/2018/11/12531/
L’ultima notte di Desirée
- LO SPACCIATORE MARCO MANCINI E’ IL TASSELLO MANCANTE PER RICOSTRUIRE L’ULTIMA NOTTE E LA MORTE DI DESIREE MARIOTTINI, A CUI PROBABILMENTE HA FORNITO LE DOSI FATALI
2. TRENTASEIENNE, INCENSURATO, FERMATO SABATO SCORSO, AVEVA IN TASCA 12 DOSI DI COCAINA E UNA SCATOLA INTERA DI QUENTIAX, USATO PER PATOLOGIE TRA CUI LA SCHIZOFRENIA
3. LA TESTIMONE CHIAVE, ANTONELLA, HA RACCONTATO: “HO VISTO JOSEF (PROBABILMENTE YUSIF SALIA) CHE HA DATO DEL METADONE A DESIRÉE, DOPO CHE QUESTA AVEVA GIÀ PRESO L’EROINA. PACO NON HA AVUTO ALCUNO SCRUPOLO E HA INIZIATO A FORNIRE EROINA, CRACK E COCAINA CRUDA, NONCHÉ PSICOFARMACI, AL FINE DI TENERE VICINO A SÉ LA RAGAZZA”
Sara Menafra e Camilla Mozzetti per “il Messaggero” 13 nov 2018
Lo spacciatore, il tassello mancante della storia che racconta le ultime orribili ore di vita di Desirée Mariottini, era lì a drogarsi con lei e, probabilmente aveva fornito la droga, la notte in cui la ragazza è morta. È il nuovo particolare che ha deciso di raccontare alla Squadra Mobile Antonella F., la ragazza che, subito dopo i fatti, aveva descritto il clima in cui è nata la violenza nei confronti della sedicenne di Cisterna di Latina e quelle stanze di via dei Lucani stranamente affollate.
Ora ha deciso di raccontare anche il ruolo di Marco Mancini, lo spacciatore che secondo la ricostruzione dei pm ha fornito le dosi fatali. Antonella dice che Marco, il pusher fermato due giorni fa, era lì con loro, l’ ultima notte di Desirée: «Quella sera racconta adesso hanno cominciato a cuocere la cocaina e a fumarla e c’ ero io, Muriel, Giovanna, Paco, Ibrahim, un nord africano che non so se marocchino o egiziano, un senegalese che dovrebbe chiamarsi Pi e c’era anche Marco, la stessa persona di cui la volta precedente non vi ho voluto riferire ma che portava sul posto, in cambio di droga, alcuni psicofarmaci».
Pur dando diversi particolari sulla scena del delitto e le persone presenti, subito dopo la morte di Desirée, Antonella ha rifiutato di parlare di Marco, il suo «amichetto». Ora, invece, ha deciso di aggiungere nuovi elementi, forse dopo un contatto con la famiglia della ragazza: «Ho ricevuto una chiamata da tale Mirko, mentre ero qui in Questura l’altro giorno, il quale mi ha detto che il padre di Desirée mi voleva conoscere per
Continua qui: http://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/spacciatore-marco-mancini-rsquo-tassello-mancante-ricostruire-187755.htm
NON È ECONOMIA, MA LOTTA DI LIBERAZIONE.
www.maurizioblondet.it – 11 NOVEMBRE 2018
Dubito che i media ve lo racconteranno, ma tre giorni fa Mario Draghi ha dovuto difendere le sue azioni come capo della Banca Centrale Europea davanti al parlamento irlandese. Le sue auguste, impunibili orecchie hanno dovuto ascoltare accuse come: hai mandato dei “diktat” ai governi europei, anzi delle”lettere di riscatto”, ransom notes, “richieste di riscatto”: ossia quelle letterine che i malviventi mandano ai parenti di una persona che hanno rapito: se vuoi che il tuo caro torni, paga il riscatto. E’ stato accusato, quando nel 2010 le banche irlandesi sono entrate in crisi, di aver accollato la perdita allo Stato impedendo che venisse pagato dai responsabili, gli “investitori” detentori di azioni ed obbligazioni bancarie, sottoponendo l’Irlanda ad una troika di prestatori internazionali che hanno imposto le note condizionalità.
Draghi si è difeso dicendo, fra l’altro, che “i consigli” (diktat) che diede all’Irlanda allora “non erano interamente sbagliati”, not entirely wrong. Ha commentato Matthew Klein, collaboratore del Financial Times: “Non del tutto sbagliato” sarebbe il titolo ideale per un libro sulla BCE.
https://www.ft.com/content/66caac52-e37f-11e8-a6e5-792428919ceehttps:/
E’ altamente improbabile che in Italia le auguste orecchie del Banchiere ex Goldman (mai che qualcuno osi eccepire l’incompatibilità di simili “funzionari” che passano da pubblico a privato e di nuovo pubblico…) vengano offese da simili rilievi. La BCE ha l’abitudine che quando ci manda lettere di riscatto, i governi si piegano ed obbediscono ai suoi “consigli” non completamente sbagliati. Applicati da Mario Monti, com’è noto, sono costati al noi italiani un crollo del Pil di circa 300 miliardi (certificati: dal ministro Padoan nel 2017), un calo del 5% annuo per quattro anni invece dell’1,6% calcolato dalle “previsioni” UE e BCE, non completamente sbagliate.
“la manovra di Monti, come certificò il @MEF nel 2017: una perdita di PIL di poco meno € 300miliardi (4,7% medio annuo, 75mld per 4 anni). Si voleva ripetere quell’esperienza”
Tredici trimestri di recessione, la distruzione di industrie e imprese, un migliaio di suicidi fra gli imprenditori. Quando qualche giorno fa all’Eurogruppo Draghi ha recapitato al ministro Tria la solita testa di cavallo, intimandogli davanti agli altri europei per umiliarlo che il nostro deficit deve essere ridotto “oltre quanto richiedono le regole UE”, ossia non solo dell’2,45%, e nemmeno dell’1,9, bensì ( di quanto?, lo 0,9%?) ci ha voluto imporre la stessa ricetta che ordinò a Monti dopo il golpe del 2011. Evidentemente sapendo – o no? – che avrebbe ottenuto gli stessi risultati.
Tria stavolta ha risposto: le previsioni UE sono sbagliate, tecnicamente sbagliate. Ha risposto che Francia e Germania hanno sforato i limiti di deficit (o di surplus), senza che la UE avviasse contro di loro il processo che adesso hanno imbastito contro l’Italia. Che in una fase di recessione mondiale, è folle esigere una riduzione della spesa pubblica, quando la teoria economica, anche mainstream, consiglia la sua espansione in deficit.
Poteva dire anche di più, per esempio chiedere che si avviasse una procedura per surplus eccessivo e destabilizzante contro la Germania, che con esso ci rovina i rapporti con gli Stati Uniti. Ma già la risposta è bastata: improvvisamente, le speranze che Repubblica e gli altri media ponevano su Tria come quinta colonna, sono svanite. Repubblica ha cominciato a scrivere articoli dove tratta Tria come tratta Borghi e Bagnai.
Ma ovviamente ha ragione Tria, come anche confermano una dozzina e di economisti di fama internazionale. Ma che fa Draghi? Proprio in un contesto di calo aggravato, che preoccupa perfino gli industriali tedeschi ( ormai i concessionari vendono le auto con sconti del 20%), egli chiude il quantitative easing, diciamo “la stampa” di centinaia di miliardi con cui ha tenuto in piedi non l’economia italiana, no, ma le banche della zona euro riempiendole di questo denaro-base, che la banche poi non prestano ma usano per tamponare le loro falle.
L’intero mondo globalizzato sta cadendo in una nuova recessione, Cina compresa. L’intera zona euro denuncia vistosi cali delle economie, ed ecco che Draghi sceglie questo momento per chiudere la stampatrice. Superando così il geniale intervento di Trichet, il suo predecessore alla BCE, che nel 2008, di fronte alla crisi mondiale da subprime, pensò bene di rincarare il costo del denaro in Europa, in modo da mandarci nell’abisso della depressione.
https://www.internazionale.it/opinione/james-surowiecki/2011/09/15/il-grande-errore-di-trichet
Anche stavolta la banca centrale e Mario Draghi riusciranno forse ad imporci le ricette non totalmente sbagliate: non hanno intelligenza, non hanno la testa, ma hanno il potere. Il potere di far mancare la liquidità, di prosciugare il bancomat, di strangolarci facendoci mancare il denaro da un momento all’altro, e far saltare le nostre banche.
Lo ha fatto con la Grecia e sta decidendo se può farlo con noi. Per ora, tiene il governo sotto pressione, mantenendo lo spread fra 290 e 320 – perché “i tassi di interesse li fanno le banche centrali e non i mercati” (Cesaratto). Del resto è la BCE che finora ha comprato il nostro debito pubblico, e basta che qualcuno con qualche decina di miliardi sul “mercato” rovente ci speculi contro, per farci alzare il costo del rifinanziamento del debito. Ovviamente adesso, con questi rendimenti al 3%, che solo l’Italia paga, i “mercati” sono ben felici di prestarci. Allora arrivano i complici di Bankitalia a dire che “L’aumento dello spread «è già costato al contribuente quasi 1,5 miliardi di interessi in più negli ultimi sei mesi”. Abbiamo qui il caso mai visto di una banca centrale nazionale che fa dell’allarmismo sui conti della nazione di cui dovrebbe essere la garante della stabilità monetaria. Una cosa da codice penale – in altri tempi. Prima che i banchieri centrali si rendessero impunibili per legge dei loro errori.
La banca centrale italiana (ossia Visco) sta dicendo ai “mercati” che lo Stato italiano italiano rischia l’insolvenza, se non obbedisce ai diktat e alle “lettere di riscatto” mandate dalla BCE? Pur sapendo che ciò che esige la banca centrale da noi è
http://bastaconleurocrisi.blogspot.com/2018/11/moneta-fiscale-per-litalia.html
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ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
POTERI FORTI.
Figlia di magistrati, Nobili e Ilda Boccassini, investe e uccide un medico. La notizia non arriva ai giornali e sul luogo dell’incidente arriva prima di tutti Ciacci,attuale capo dei vigili di #Milano,ex collaboratore della stessa Boccassini
Milano, la figlia della Boccassini investe e uccide un pedone sulle strisce | Polemiche sul capo dei vigili
Il sindacato di Polizia locale milanese denuncia: “Sul luogo dellʼincidente lʼex collaboratore del magistrato madre dellʼinvestitrice”
Un uomo, investito sulle strisce pedonali da uno scooter: la vittima, il medico e infettivologo Luca Voltolin, muore in ospedale. Un tragico incidente stradale come molti altri accaduti a Milano, non fosse altro che il motorino è condotto dalla figlia di due noti magistrati milanesi, Alberto Nobili e Ilda Boccassini. La motociclista viene indagata per omicidio stradale, ma la notizia per più di un mese non arriva ai giornali. E, a rendere più “sospetta” la vicenda, ci pensa l’Usb, sindacato di base dei vigili urbani, che segnala la presenza sul luogo dell’incidente, prima di volanti e ambulanze, di Marco Ciacci, attuale capo dei vigili di Milano ed ex dirigente di polizia giudiziaria, nonché ex collaboratore della stessa Boccassini, madre dell’investitrice.
L‘incidente risale alla sera del 3 ottobre in viale Monte Nero, quando lo scooter guidato da Alice Nobili, 35 anni, urta un pedone sulle strisce pedonali. L’uomo cade e batte la testa: morirà al Policlinico dopo sei giorni di coma. La Procura apre un’inchiesta per il reato di omicidio stradale, indagando la conducente dello scooter, figlia dei due magistrati.
Due cose di questa vicenda colpiscono: la prima è il fatto che nessuno la faccia trapelare, e solo il quotidiano Libero la riprenda (poi ripresa da altri quotidiani milanesi), quasi un mese dopo. La seconda, denuncia il sindacato della Polizia locale Usb, è che che quella sera in viale Monte Nero “sarebbe intervenuto sul posto prima delle pattuglie proprio Marco Ciacci”, che “…ha collaborato per anni con la
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BELPAESE DA SALVARE
L’Italia è finita, il Sud verso la resistenza
(di Michele Eugenio Di Carlo)
“L’Italia è finita” è il titolo che Pino Aprile ha dato al suo ultimo libro.
Da lunedì 22 ottobre, l’Italia non esisterà più e questo crimine sta avvenendo nel silenzio generale, nonostante fior di economisti, docenti universitari, storici, scrittori, giornalisti, imprenditori, intellettuali, abbiano promosso un’iniziativa popolare contro il regionalismo differenziato.
Il 22 ottobre la ministra leghista Erica Stefani, su mandato del governatore veneto Luca Zaia e con il consenso pieno non solo della Lega, ma dell’intero arco dei partiti che contano nelle regioni del nord, presenterà un disegno di legge sull’autonomia del Veneto, sostenuta – non vi potevano essere dubbi – dal vicepremier Matteo Salvini.
Il fatto stesso che al Veneto – ma in seguito alla Lombardia ed all’Emilia Romagna – si permetta di avere rapporti con lo Stato come fosse un altro Stato, mettendo in secondo piano il Parlamento, attesta in maniera chiara che l’Italia, mai davvero nata, è davvero finita.
E che i partiti al governo non scherzino affatto, sostenuti fino a prova contraria dall’opposizione, lo ricorda l’attivista meridionalista salentino Crocifisso Aloisi, quando ci comunica quanto scritto a pagina 112 del DEF 2018: “Autonomia differenziata. Una priorità è costituita dall’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione concernente l’attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario. Sulla questione è già stato avviato un percorso con tre Regioni (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) nel 2017 e nei primi mesi del 2018. Si tratta, quindi, di portare a compimento l’attuazione di disposizioni così rilevanti per il sistema delle autonomie territoriali del nostro Paese.”
Eppure Gianfranco Viesti, noto docente di economia dell’Università di Bari, nonché primo promotore della petizione popolare contro la cosiddetta “secessione dei ricchi” (se non l’avete sottoscritta, potete farlo cliccando qui), il 3 maggio di quest’anno, presso la Casa della Cultura di Milano aveva fornito seri elementi di riflessione e tesi per favorire una discussione non più rinviabile e che oggi scopriamo essere stata addirittura del tutto ignorata, evidentemente non gradita agli ambienti che contano e che decidono.
Nella sua relazione Viesti riaffermava dati chiarissimi e incontestabili: nell’ultimo decennio l’Italia, in forte declino, ha perso posizioni rispetto a diverse aree d’Europa e ha allargato la frattura tra il sud e il centro-nord a livello demografico ed economico. Frattura che ha inciso profondamente sul piano dell’occupazione, del tenore di vita, dei servizi e delle strutture a disposizione dei meridionali. Infatti, le ultime stime riportano una disoccupazione assestata sotto il 7% al nord, mentre al Sud si aggira intorno al 20 % con punte impressionanti del 30% come ad esempio in Capitanata, dove più di un giovane su due non lavora e non studia.
Viesti aveva elencato le statistiche sui tassi di crescita dell’economia europea del XXI secolo: un Italia cresciuta di solo l’ 1% contro il 23% dell’Unione Europea, il 18% dell’area euro, il 38% dell’area non euro; paesi dell’est balzati in avanti e paesi del sud-Europa in caduta libera. E con una divergenza italiana sostanziale: il centro-nord cresciuto del 3%, il sud crollato del 7% e che ha perso nell’ultimo decennio 10 punti di PIL.
Come spesso abbiamo denunciato da meridionalisti, precise e individuabili sono le scelte di politica governativa che hanno la responsabilità di questo disastro annunciato, ampiamente prevedibile, che ha portato il Mezzogiorno al limite della desertificazione sociale ed economica.
Nell’ultimo decennio, la differenza dei livelli di reddito interni all’Italia si è accentuata e ha colpito le fasce deboli e povere della popolazione, in particolare quelle residenti al sud. Questo è uno scenario economico dovuto a scelte politiche che persistono dagli anni Novanta e che il regionalismo differenziato, già in atto da 20 anni, ha portato alle estreme conseguenze.
Anche l’ultima manovra redistributiva, quella del governo Renzi, ha inciso molto più al Nord che al Sud, dove i veri poveri, i disoccupati, i lavoratori non dipendenti, non hanno usufruito di alcun beneficio.
Il servizio sanitario del paese è diventato duale: il sud ha vissuto drammaticamente la riduzione delle sue strutture sanitarie e la restrizione della loro efficienza lungo l’asse della vergognosa e umiliante migrazione sanitaria in direttrice nord, fenomeno accompagnato da un flusso miliardario di denaro pubblico e privato da sud verso nord.
Non sarebbe stato il caso di potenziare e rendere efficienti le strutture al sud per evitare l’indecoroso flusso migratorio di natura sanitaria?
No, sicuramente no, dato che la volontà politica dominante seguiva l’obiettivo della secessione fiscale, sociale e civile. No, se le nuove politiche sull’ autonomia regionale a geometria variabile sono nei fatti impostate proprio a questo fine: ridurre i livelli essenziali di assistenza alle regioni povere e potenziarle a quelle ricche che tratterranno il 90% delle tasse versate sul proprio territorio, contro ogni norma costituzionale.
Nel sistema universitario sono state adottate, non da oggi, politiche esplicite di smantellamento delle università del sud che anche in questo caso alimentano migrazioni studentesche e spostamento di risorse con danni ingenti per l’economia meridionale.
Inoltre, i fondi nazionali per la coesione interna sono stati decisamente ridotti, in particolare
Michele Eugenio Di Carlo
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CONFLITTI GEOPOLITICI
La guerra non convenzionale ai confini: il pretesto imperiale per intervenire in Venezuela
Gruppi irregolari, traffico di droga e agenda politica colombiana
di Rebeca M. Westphal, Mision Verdad 8 novembre 2018
L’aumento delle situazioni irregolari nella regione di confine dello Stato venezuelano va esaminato tenendo conto delle caratteristiche fondamentali della società criminale occidentale che, per dare spazio illimitato alle multinazionali cerca la frattura violenta delle frontiere nazionali.
Dall’inizio del secolo, il Venezuela ha dato origine a cambiamenti del modello economico globale, optando per relazioni di uguaglianza tra nazioni, nonché investimenti sociali agli finanziamenti per le imprese. Ecco perché la motivazione di varie alternative per poter scatenare conflitti ha molto a che fare col bisogno dei privati di ridurre la capacità degli Stati-nazione di amministrare le risorse naturali nei loro territori, necessarie a sostenere l’industria del consumo globalizzato. Tale idea rientra nell’assassinio di truppe della Guardia Nazionale Bolivariana (GNB) nel pieno della campagna per neutralizzare il traffico di droga ai confini del Venezuela, affrontando le strategie estere che danneggiano la normalità economica. Durante il violento conflitto del 5 novembre, nello stato di Amazonas, riportato dal Ministro della Difesa Vladimir Padrino López, 12 persone furono ferite, oltre ai tre agenti del GNB uccisi. La rappresaglia esplose dopo che le operazioni contro contrabbando e traffico di droga dell’esercito venezuelano portarono alla cattura di nove paramilitari colombiani con armi da guerra. La distrazione che la Colombia diffonde coll’account Twitter del suo ministero degli Esteri a Bogotá, suggerendo frettolosamente che i perpetratori dell’attacco siano membri della guerriglia colombiana, segnala l’approfondimento dei veri elementi della violenta escalation al confine colombiano-venezuelano.
Gruppi irregolari, traffico di droga e agenda politica colombiana
Lo Stato colombiano ha assunto il compito di rafforzare economicamente e politicamente le mafie del narcotraffico negli ultimi 60 anni. La struttura criminale nel paese ha ramificato i flussi commerciali coll’ottimizzazione della produzione. Quanto basta per ricordare, come promemoria, che l’aumento della coltivazione della foglia di coca nel 2018 fu del 31% rispetto agli anni precedenti. Questo porta a chiedersi quali siano le rotte commerciali illegali che gli operatori devono impostare per collocare i loro prodotti nel mercato internazionale dei consumatori. Il Venezuela, in questo senso, è un passo geostrategico per arrivare nei Paesi del Nord Atlantico, in particolare negli Stati Uniti, dove c’è la maggior parte dei consumatori di narcotici nel mondo. La corsa tra i cartelli per controllare questa rotta e ampliare i confini dell’industria illegale della droga costringe il governo venezuelano a sviluppare politiche di sicurezza alla frontiera per contenere tali attività illecite. Un’altra decisione sul business della droga è la regolamentazione della benzina che viene sollevata nel nuovo piano dei prezzi internazionali del carburante, elemento necessario nella preparazione della pasta di cocaina e da cui si fornisce il traffico di droga colombiano col contrabbando dell’estrazione in Venezuela. Ma i motivi che scatenano scontri nell’Amazzonia colombiana-venezuelana non derivano esclusivamente da movimenti per salvaguardare la sovranità venezuelana, ma sono anche legati a disaccordi tra il governo colombiano e l’amministrazione di Washington sul controllo del traffico di droga. Le politiche economiche della Colombia sono supervisionate direttamente dal dipartimento di Stato degli Stati Uniti da quando fu approvato l’Accordo di libero scambio tra i due Paesi. Pertanto, pesa sugli ultimi negoziati tra il governo entrante di Iván Duque e il presidente Donald Trump nella lotta al traffico di droga, tenendo conto che l’esportazione di cocaina è uno dei pilastri fondamentali del para-economia colombiana. In una riunione tenutasi a settembre, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nella riunione intitolata “Appello globale all’azione sul problema globale della droga”, Trump mostrava preoccupazione per le “cifre allarmanti di produzione e consumo di sostanze psicoattive ” e accolse con favore la campagna antidroga di Duque. Questo, più che una congratulazione, è un obbligo che il presidente colombiano deve adempiere, generando risultati concreti con la diminuzione della produzione di droghe che gli Stati Uniti possono accettare senza intaccare i profitti degli attori coinvolti nella complessa struttura de traffico internazionale di droga. Nel campo pratico, gli operatori che aggirano tale diplomazia circostanziale portano la merce ai comuni dai produttori dalla Colombia, usando nuove rotte che li allontanano dalle minacce e che non interrompono la crescita dei profitti. Inoltre, spostano i raccolti nelle aree confinanti col Venezuela, esponendole a dispute tra paramilitari, mercenari e altri membri del gruppo criminale che guida ol traffico di droga.
Arco Minerario del Orinoco e lotta transnazionale per le risorse minerarie
Sebbene sia necessario ribadire la suddetta partecipazione del traffico di droga come pratica irregolare che altera l’ordine pubblico di un Paese, non bisogna dimenticare che tali gruppi armati sono il braccio militare degli interessi transnazionali e possono facilmente essere trasferiti ad altri compiti, secondo il bisogni dei finanziatori. Quali altri motivi possono innescare conflitti armati in una regione così sensibile alla copertura dei media? Uno sguardo alla geografia dell’Amazzonia risponde a questa domanda. Lo Stato dell’Amazzonia nord-orientale fa parte dell’Orinoco Mining Arc (AMO), area nazionale creata nel 2016 come strategica per la sistemazione di diverse ricchezze minerarie e petrolifere, costituendo la recente politica statale di diversificazione dell’economia.
Nel sottosuolo di questa regione ci sono giacimenti di oro, coltan, diamanti, bauxite e altri minerali. Le aziende che operano nelle vicinanze del triplo confine che condivide Amazonas con Brasile e Colombia possono facilmente, in questi Paesi, eludere la legislazione nazionale sulla protezione dell’ambiente e il rispetto dei diritti delle comunità che vivono nelle aree minerarie. “È più facile essere illegali che legali”, secondo il Controllore Generale della Repubblica di Colombia. Ciò è dovuto al fatto che lo Stato agisce come rappresentante artificiale in condanna della criminalità organizzata, mentre allo stesso tempo permette alle multinazionali vantaggi sul piano illegale, acquisendo reddito paraeconomico. La rapida ascesa di Jair Bolsonaro in Brasile delinea anche nuove aggressioni transfrontaliere violando il suolo venezuelano e continuere l’estrazione illegale di risorse minerarie, dato che nella sua campagna elettorale sollevò la necessità di sostenere le industrie estrattive straniere, deregolamentando le procedure ambientali in Amazzonia e fissando una posizione ostile al governo di Maduro. Un’altra motivazione che collega i settori della criminalità organizzata all’estrazione illegale è che tale attività è la più redditizia nel riciclare il traffico di droga. La somma di tali due attori politici, fondamentali per le aggressioni al Venezuela, può aumentare il finanziamento ai gruppi armati legati ad attività minerarie illegali, provocano uno scenario di violenze nelle aree di confine.
Crimine organizzato ed esempi in Africa
Per meno di tali motivi, conflitti sanguinosi si scatenano nel continente africano. La rapida revisione di tre specifici casi contemporanei (Angola, Sierra Leone e Repubblica Democratica del Congo) ci consente di comprendere come la logica della predazione neoliberale lavori per accedere alle materie prime, sempre più scarse e necessarie per sostenere l’apparato industriale del consumismo. In questi tre Paesi, le multinazionali europee e nordamericane si accontentarono di svuotare la dispensa minerale, fomentando rivalità tra tribù, movimenti separatisti, adesioni di Paesi che si affacciano al conflitto, attacchi a minoranze etniche o religiose attivando situazioni di caos, disabilitando la capacità di ordine degli Stati-nazione e innescando l’intervento di forze militari straniere nei territori delle liti. Le situazioni in Angola e Sierra Leone mostrano la somiglianza di entrambi i conflitti verificatisi nel contesto del commercio di diamanti. La partecipazione eterogenea di eserciti nazionali, mercenari, gruppi paramilitari e forze internazionali di mantenimento della pace ebbe un saldo di 70000 e 1 milione di morti, rispettivamente. D’altra parte, nei 20 anni di violenze in Congo, Paese dai vari giacimenti di oro, diamanti, cobalto, columbio, tantalio, rame, radio e uranio, sono morti 4 milioni di cittadini. Le società importatrici di coltan, principalmente di Stati Uniti, Germania, Canada e Regno Unito, capitalizzarono l’80% delle riserve mondiali di questo elemento strategico, concentrato nella RDC. L’approvazione dell’AMO come zona di sviluppo strategico gioca,
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CULTURA
La storia nascosta del conservatorismo
di Daniel Pipes
Philadelphia Inquirer – 31 luglio 2018
Pezzo in lingua originale inglese: Conservatism’s Hidden History
Traduzioni di Angelita La Spada
Cos’è il conservatorismo?
Prima di leggere un articolo così titolato, scritto da Ofir Haivry e Yoram Hazony e pubblicato su un recente numero di American Affairs, avrei risposto la libertà individuale, il governo oligarchico e una solida politica estera. Il loro articolo mi ha fornito una interpretazione più approfondita e completamente diversa.
Con chiarezza e arguzia, Haivry e Hazony raccontano una storia intellettuale poco conosciuta del conservatorismo inglese che risale al XV secolo e al trattato De Laudibus Legum Angliae, scritto dal giurista inglese Sir John Fortescue (intorno al 1470), a cui si conformarono eminenti pensatori come John Selden, Jonathan Swift ed Edmund Burke.
Un frontespizio del trattato De Laudibus Legum Angliae di Sir John Fortescue (scritto intorno al1470).
Questi pensatori abbracciarono una visione che rispettava la tradizione adattandola intelligentemente alle nuove circostanze, qualcosa che Haivry e Hazony chiamano empirismo storico. I conservatori apprezzano le opere delle generazioni precedenti, in particolare la Costituzione inglese e la Bibbia ebraica. Essi considerano l’eccezionale sviluppo della libertà in Inghilterra come il felice risultato di tali conquiste straordinarie come la Magna Carta (1215) e la Petizione dei Diritti (1628).
La prudenza è la parola d’ordine dei conservatori: guardare alla nazione e alla religione come guida; assicurarsi di limitare il potere esecutivo e mantenere le libertà individuali. I giudici devono rispettare l’intento originario espresso nei documenti. I politici, se il matrimonio è sempre stato considerato ovunque come l’unione tra un uomo e una donna, devono fare molta attenzione a non modificarlo sostanzialmente. I governi devono assicurare che gli immigrati si assimilino alla cultura del paese ospite.
I progressisti, al contrario, sono razionalisti perché credono nella capacità illimitata di ogni persona a pensare con la propria testa. La tradizione non conta molto: “Piuttosto che argomentare sull’esperienza storica delle nazioni, essi enunciano assiomi generali che ritengono essere validi per tutti gli esseri umani, e che presumono che saranno accettati da tutti gli esseri umani che li esaminano con le loro innate abilità razionali”.
Il progressismo è più giovane di due secoli rispetto al conservatorismo, e risale alla pubblicazione dei Due trattati sul governo (1689) di John Locke, in cui quest’ultimo formulava presunte leggi della natura, ipotizzando in modo irriflessivo che potessero essere applicate a ogni essere umano. Haivry e Hazony spiegano: “Il progressismo è una dottrina politica basata sul presupposto che la ragione sia ovunque uguale e accessibile, in linea di principio, a tutti gli individui; e che basta consultare la ragione per arrivare all’unica forma di governo che è ovunque la migliore, per tutto il genere umano”.
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Un frontespizio dei Due trattati sul governo (1689) di Locke
Il pericolo qui, ovviamente, è che i singoli umani nutrono alcune idee strane e ottuse. Il progressismo sforna idee molto lontane dalla sobrietà della Costituzione inglese, a cominciare dalla Rivoluzione francese e per finire con i totalitarismi del nostro tempo. Le leggi universali proclamate possono giustificare qualsiasi peccato una volta che sono disancorate dalla saggezza e dall’esperienza accumulate.
I conservatori e i progressisti hanno combattuto per tre secoli nel Regno Unito. I conservatori possono considerare la monarchia e la common law ancora in vigore come dei loro successi; i progressisti possono puntare sull’immigrazione incontrollata e su almeno 85 tribunali della Sharia funzionanti.
Esiste un dibattito americano analogo. Tra i conservatori figuravano: Alexander Hamilton, George Washington e John Adams e tra i progressisti: Thomas Jefferson, Thomas Paine e Andrew Jackson. Ogni parte ha avuto i propri trionfi. La Dichiarazione d’Indipendenza (1776) è un documento progressista che contiene varie “verità lapalissiane”, ossia “che tutti gli uomini sono stati creati uguali [e] che essi sono stati dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili”. La Costituzione americana (1787) non fa alcuna menzione delle verità universali; piuttosto, trasforma le caratteristiche chiave della Costituzione inglese per l’uso americano.
Queste differenze storiche continuano a dominare le battaglie quotidiane della vita pubblica americana, con i progressisti che credono nei principi universali e i conservatori che celebrano la cultura nazionale. Pertanto, i progressisti vogliono trasferire il potere alle Nazioni Unite, e i conservatori no.
I progressisti accolgono con entusiasmo gli immigrati somali, i conservatori nutrono dubbi sulla loro integrazione. I progressisti sono meno religiosi, i conservatori di più.
Un cartello progressista americano che recita: “Gli immigrati sono una benedizione, non un peso”. |
Le due parti sono equamente allineate nella politica americana, con il potere che si sposta regolarmente avanti e indietro. Ma nell’istruzione e nella cultura, il progressismo domina. Nelle scuole, ad esempio, i progressisti insegnano il progressismo e i conservatori sono quasi assenti. Questa egemonia progressista significa che i conservatori vengono regolarmente tacciati di essere “illiberali” e quindi moralmente inferiori; così, un recente articolo pubblicato da Atlantic chiede: “Il conservatorismo americano è intrinsecamente bigotto?”.
Significa anche – come mi scrive Haivry – che “mentre centinaia di importanti università e istituti sono dediti ad analizzare la tradizione progressista, nessuno si dedica allo studio e allo sviluppo dei principi del conservatorismo anglo-americano.
Continua qui: http://it.danielpipes.org/18463/la-storia-nascosta-del-conservatorismo
CYBERWAR SPIONAGGIO DISINFORMAZIONE
“Lavoro al telefono”: come fare ricerca sotto copertura in un Call Center
di Melissa Pignatelli – 19 settembre 2018
Jamie Woodcock è stato sei mesi nascosto in un call center britannico a fare ricerca: voleva capire i nuovi processi lavorativi di un “mestiere” che percepiamo in molti come fastidioso. Gli strumenti pratici dell’etnografia, come la presenza sul posto, il dialogo, la raccolta dati, l’analisi, la riflessione, la scrittura, gli hanno permesso di cogliere il punto di vista del lavoratore e di vedere come una maggiore ricerca potrebbe essere utile alla collettività.
La sua posizione non era nota ai suoi compagni di lavoro e ha scoperto così una realtà nella quale le persone sono molto sotto pressione, iper-stressate e soggette ad un ricambio delle risorse umane che arriva fino al 50% al mese. La sua conclusione evidenzia come, includendo i suggerimenti dei lavoratori stessi, l’estrema digitalizzazione di quest’attività può essere usata in maniera non unicamente coercitiva o di sorveglianza della performance lavorativa.
La ricerca, pubblicata in riviste specializzate sia nel blog della London School of Economics con il titolo “Working the Phones” è diventata un volume universitario destinato, secondo i critici, ad avere molto impatto sullo studio dell’organizzazione dei processi di lavoro. Leggiamo dal blog:
“Lo scopo di Working the Phones era di fornire una finestra sulle esperienze e le condizioni di lavoro in un call center, per confermare che è davvero stressante, difficile e precario. Ma il libro mirava anche ad andare oltre a questo, per esplorare come i lavoratori, sia individualmente che collettivamente, si stanno opponendo al modo in cui il loro lavoro è attualmente organizzato: questo è espresso chiaramente dalle loro resistenze e dall’alto tasso di rotazione.
In questo contesto, dal punto di vista dei lavoratori del call center, la tecnologia potrebbe non solo essere utilizzata per la sorveglianza ed il controllo dittatoriale dei datori di lavoro, ma potrebbe consentire maggiore autonomia e libertà di lavoro. Per capire meglio tutto ciò però, abbiamo una pressante necessità di studi etnografici sul lavoro, soprattutto se vogliamo capire meglio gli effetti della digitalizzazione ed il tipo di lavoro che vogliamo per il nostro futuro.
È diventato sempre più frequente sentir dire quanto la meccanizzazione spazzerà via intere aree di lavoro, trasformandolo radicalmente. Tuttavia, nel call center nel quale ho lavorato, ho visto dipendenti fare cose che sono molto difficili da automatizzare. Riuscire a fare una vendita al telefono, è qualcosa di molto più complesso di leggere un copione. I lavoratori che hanno
Continua qui: http://larivistaculturale.com/2018/09/19/lavoro-al-telefono-come-fare-ricerca-sotto-copertura-in-un-call-center/
DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI
Sgomberato il centro Baobab. “Non tolleriamo zone franche”
Blitz nel centro dietro la stazione Tiburtina che aiuta i migranti in transito a evitare i controlli. Salvini: “E non è finita qui”
Chiara Sarra – Mar, 13/11/2018
“Zone franche, senza Stato e legalità, non sono più tollerate”. Così questa mattina il Viminale ha ordinato lo sgombero del “Baobab Experience”, la tendopoli che accoglieva i “migranti in transito” a Roma e che aveva aiutato anche gli stranieri fuggiti dal centro accoglienza di Rocca di Papa dopo essere arrivati in Italia a bordo della Diciotti.
“L’avevamo promesso, lo stiamo facendo. E non è finita qui. Dalle parole ai fatti”, ha detto Matteo Salvini commentando la notizia.
Protestano invece i volontari che da tempo accolgono gli stranieri nel campo dietro la stazione Tiburtina di Roma. “Le questioni sociali, a Roma, si risolvono così: polizia e ruspa”, scrivono su Twitter, “Il Campidoglio a 5 stelle non è diverso né dai precedenti,
Continua qui: http://www.ilgiornale.it/news/roma/sgomberato-centro-baobab-non-tolleriamo-zone-franche-1601176.html
ECONOMIA
Le Tasse si mangiano metà dello Stipendio (anche dei lavoratori Dipendenti)
«Le tasse sono la cosa più bella del mondo». Ricordiamo tutti la frase del Ministro per l’economia dell’allora governo Prodi, Padoa Schioppa. Lui pensava che servissero a pagare i servizi del welfare, ed è per questo che non è stato un granché ome ministro del Tesoro. Le tasse sono indispensabili per accettare la valuta come mezzo di scambio, ma sono le obbligazioni (il debito) che pagano i servizi pubblici. Detto questo, le tasse in Italia non solo non servono per i servizi, ma sono anche un freno al potere d’acquisto, in un modo diventato inaccettabile. Di solito, si ritiene che vadano a massacrare il popolo delle partite iva e degli imprenditori, ma i report registrano una realtà drammatica anche per i lavoratori dipendenti. Riportiamo dunque, per intero, l’allarme del commercialisti di Rimini nel loro studio annuale (disponibile QUI)
Il fisco ‘uccide’ i redditi ed umilia il lavoro. Non si può dire altrimenti se si riconduce Ad estrema sintesi lo studio che anche quest’anno la Fondazione dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Rimini ha condotto per indagare il reale impatto del fisco sul reddito dei lavoratori italiani e riminesi.
Incrociando le oltre 100 tasse con gli stili di vita e le ipotesi di consumo desunte dai dati ISTAT, emerge come il quotidiano impegno dei lavoratori dipendenti e autonomi sia stritolato da un fisco opprimente.
“Rilanciamo l’urlo disperato dei contribuenti – commenta il Prof. Giuseppe Savioli, Presidente della Fondazione dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Rimini – anche quest’anno sottoposti ad un prelievo umiliante. Persiste un modello che esclude ogni ipotesi di crescita, con le Amministrazioni che mostrano l’incapacità di immaginare politiche di sviluppo, di agire per rendere più efficiente e utile il loro supporto a cittadini e imprese, e ancor meno di mettere insieme risultati concreti nel contrasto dell’evasione fiscale. Anche quest’anno abbiamo allargato l’analisi al reddito d’impresa e si conferma il giudizio dello scorso anno: in questo quadro è impossibile trovare qualsiasi motivazione per accollarsi il rischio dell’avvio di nuove attività imprenditoriali”.
Mario, Giovanni e Marco risiedono nel Comune di Rimini, fanno parte di un nucleo familiare composto da tre persone: il capofamiglia, la moglie, fiscalmente non a carico e un figlio che frequenta l’università. I primi due, dipendenti, percepiscono 14 mensilità. Tutti e tre possiedono una casa di proprietà, un’autovettura di media cilindrata (1.400 cc) e provano a risparmiare il 10% del loro reddito. In famiglia hanno tre telefoni cellulari.
LE TASSE DI MARIO
Mario è un impiegato con un reddito medio mensile netto in busta paga di 1.300 euro. Il suo reddito è di 18.200 euro.
La pressione tributaria per imposte dirette è del 16,2% del reddito complessivo lordo. La pressione fiscale inclusiva anche dei contributi assistenziali e previdenziali è del 25,4% del reddito complessivo lordo. Il peso fiscale sopportato dalla famiglia per imposte indirette è di 6.382 euro. In questa cifra hanno gran peso voci come sanità (495 euro) e istruzione (1.720 euro), quasi due mensilità.
La pressione fiscale, comprensiva dei contributi a carico del lavoratore, arriva al 51,5%.
Ciò significa che il suo reddito netto spendibile si riduce al 48,5% del reddito lordo ritraibile dalla sua attività lavorativa. Ogni mese i vari enti impositori prelevano dalle sue tasche circa 1.050,00 Euro, lasciandogli un reddito netto mensile disponibile di soli Euro 990,00 circa.
Le risorse sono drenate al contribuente Mario dallo Stato per il 72,1%, dalle regioni con il 4,3% dalla provincia con l’1,3%, dal comune con il 4,4% e dall’Inps per il 17,8%.
Riassumendo: il Sig. Mario vive con 1.300,00 netti mensili in busta paga (prima quindi di assolvere le imposte indirette) devolve per prelievi fiscali per 12.606 euro all’anno, ossia 1.050 euro mensili, ossia 187 giorni all’anno del proprio lavoro (un giorno in meno dello scorso anno!). Considerando una settimana lavorativa di cinque giorni, significano 37.7 settimane.
Quest’anno Mario ha lavorato fino al 6 luglio per pagare le tasse
LE TASSE DI GIOVANNI
Giovanni è un dipendente con mansioni più qualificate, con un reddito medio mensile netto in busta paga di 2.500 euro. Il suo reddito è di 35.000 euro
La pressione tributaria per imposte dirette è del 29,2% del reddito complessivo lordo. La pressione fiscale inclusiva anche dei contributi assistenziali e previdenziali è del 38,4 % del reddito complessivo lordo.
Il peso fiscale sopportato dalla famiglia per imposte indirette è di 9.108 euro. In questa cifra incidono con peso rilevante i trasporti (2.563 euro), l’istruzione (1.977 euro), la casa (1.177 euro) e salute (565 euro).
La pressione fiscale, comprensiva dei contributi a carico del lavoratore, supera il 54%. Ciò significa che il suo reddito netto spendibile si riduce al 45,45% del reddito lordo ritraibile dalla sua attività lavorativa
Ogni mese i vari enti impositori prelevano dalle sue tasche oltre 2.500,00 Euro, lasciandogli un reddito netto mensile spendibile di soli Euro 2.133,00 circa.
Le risorse sono drenate al contribuente Giovanni dallo Stato per il 77,02 %, dalle regioni con il 3,49 % dalla provincia, con lo 0,54%, dal comune con il 2,08% e dall’Inps per il 16,87%.Riassumendo: il Sig. Giovanni ha un
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Moneta Fiscale per l’Italia
sabato 3 novembre 2018
Biagio Bossone / Marco Cattaneo / Massimo Costa / Stefano Sylos Labini
Alcuni anni fa, abbiamo iniziato a proporre la Moneta Fiscale (MF) come strumento in grado di superare le disfunzioni dell’Eurozona. E’ quindi abbastanza frustrante leggere sul Financial Times (28 ottobre 2018) in un articolo di Wolfgang Munchau (“Italy is setting itself for a monumental fiscal failure”) che la MF, data la sua natura di moneta parallela, innescherebbe la rottura dell’euro.
Non è così. La MF è un titolo trasferibile e negoziabile emesso dallo Stato, che i titolari potranno utilizzare per conseguire sconti fiscali a partire da due anni dopo l’emissione. Questi titoli avranno valore fin dall’emissione, in quanto incorporeranno un impegno irrevocabile dello Stato emittente, e potranno immediatamente essere scambiati contro euro o utilizzati come strumento di pagamento (in parallelo all’euro) su una piattaforma dedicata dove verrebbero accettati su base volontaria.
La MF sarà distribuita gratuitamente per finanziare investimenti pubblici e programmi di spesa sociale, per integrare i redditi dei lavoratori e per ridurre il cuneo fiscale sui costi di lavoro a vantaggio delle aziende. Questo produce un incremento sostenibile di domanda interna e migliora la competitività delle aziende (con effetti analoghi a un riallineamento del cambio). Diventa quindi possibile riassorbire l’enorme output gap dell’Italia senza deteriorare il saldo commerciale estero del paese.
Sulla base di quanto affermato dagli IFRS (International Financial Reporting Standards), la MF non costituisce debito, in quanto non esiste obbligazione di rimborso da parte dell’emittente. L’ESA (European System of Accounts) infatti la considera un “non-payable deferred tax asset”, che non impatta sui conti pubblici fino al momento dell’utilizzo per conseguire sconti fiscali – quando, due anni dopo l’emissione, produzione e gettito fiscale si saranno incrementati grazie al maggior potere d’acquisto in circolazione.
Sulla base di ipotesi prudenziali (moltiplicatore fiscale di 1x e ripresa degli investimenti privati tale da riassorbire, in quattro anni, metà della flessione rispetto al PIL subita tra il 2007 e oggi) una graduale emissione di MF, che inizi nel 2019 e raggiunga 100 miliardi nel 2021 (il che si confronta con oltre 800 miliardi di entrate fiscali del settore pubblico), continuando poi invariata, innalzerebbe la crescita del PIL reale al 3% nel periodo 2019-2021 e in un intervallo 1,5%-2% successivamente. Ciò genera maggior gettito sufficiente a compensare gli sconti fiscali via via che arrivano a maturazione.
In caso di temporanei scostamenti negativi rispetto alle previsioni, una serie di azioni possono essere attuate per garantire gli obiettivi fiscali: finanziare alcuni investimenti pubblici in MF e non in euro; aumentare le tasse da pagare in euro ma compensare il contribuente mediante erogazioni di MF; incentivare i titolari di MF a posporne l’utilizzo per conseguire sconti fiscali riconoscendo una maggiorazione di importo dei quantitativi da essi posseduti; ridurre il debito collocando (a pagamento) MF sul mercato. Queste azioni innalzerebbero la disponibilità di euro per il governo evitando effetti prociclici e – punto di grande importanza – impedirebbero il formarsi sul mercato finanziario di situazioni di incertezza. L’alto margine di copertura (il rapporto tra gli incassi pubblici lordi e gli sconti fiscali che diventano utilizzabili ogni anno) renderebbe la manovra sostenibile.
Attivando un programma di MF, l’Italia farebbe ripartire la sua crescita senza
Continua qui: http://bastaconleurocrisi.blogspot.com/2018/11/moneta-fiscale-per-litalia.html
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
Come evitare il Prelievo Forzoso dal Conto Corrente
Torna l’incubo della patrimoniale, come un fastidioso refrain. Ovunque in queste ore circolano avvisi da panico: il governo frugherà nei nostri conti, persino in quelli paypal! Come fare allora a difendersi da eventuali prelievi forzosi? E’ il caso di portarli all’estero?
Se uno porta i soldi fuori dall’Italia e lo dichiara nel modello per la tassazione RW sta facendo qualcosa di legale. E’ una cosa LE-GA-LE
E’ per questo che per evitare una patrimoniale non ha tanto senso affidarsi a consulenti vari e andare all’estero, o spostare la macchina verso Chiasso, a meno che non ci siano condizioni particolari e vantaggiose con quella banca per i soldi tenuti lì. Secondo il sottoscritto si può fare tutto senza muovere il sederino dalla sedia, basta avere dimestichezza con le piattaforme internazionali ed essere aggiornati sulla legislazione. Va aggiunto a quanto sto per dirvi che il mio sito non fa pubblicità, non è un sito monetarizzato, e dunque anche l’osservazione che sto per fare non è dovuta ad un qualche interesse, ma per quel che ho avuto modo di vedere in questi anni
un megaborker internazionale molto attrezzato ed apprezzato è InteractiveBorkers.
Precisato ancora che chi scrive non ha il conto con IB e non gliene può fregare di meno che qualche lettore di micidial lo faccia, val la pena precisare perchè lo sottoponiamo all’attenzione di chi ci legge se soffre di una paura fotonica delle patrimoniali.
Interactive brokers – che vanta commissioni sull’intraday imbattibili per chi fa trading online – tanto per cominciare non rischia come altre banche perché non presta soldi, quindi non ha sulle spalle le famose “sofferenze bancarie”. Eppoi non fa pagare nulla per la tenuta conto. I soldi depositati, per natura di questa banca, sarebbero destinati alla compravendita di prodotti finanziari e quindi guadagna sulle commissioni di compravendita e non gli interessa nulla se i vostri soldi – invece che usarli per scambiare ad ogni piè sospinto – vengono invece solo parcheggiati.
Quindi si può aprire quel conto tramite l’assistenza italiana ma è in realtà un conto estero e non costa nulla nel corso dell’anno. Ovviamente, occorre compilare come già detto il quadro RW in sede di dichiarazione dei redditi. Dunque, se parliamo di rifugiare la liquidità dovrebbe essere ok perchè lo stato italiano non può effettuare prelievi forzosi da una banca estera. Lo stato non può penalizzare nemmeno i soldi portati all’estero. Quindi i soldi depositati in IB soffriranno della tassa del bollo, che però c’è anche se i soldini vostri li tenete in Italia
Beninteso, una patrimoniale eventuale potrebbe colpire anche all’estero, ma se preleva, preleva quanto dichiarato sul quadro RW. Lo stato – insomma – non ha giurisdizione quindi sarà il correntista di IB a doverglieli versare e magari calcolando quanto dovuto moltiplicando l’aliquota calata dal Governo italiano per la giacenza a fine anno: in quel caso basterebbe disinvestire tutto prima.
Io però credo che dei soldi all’estero i legislatori si scorderanno volutamente perché sono meno del 5% del totale e perché molti potenti italiani, politici in primis, ce li hanno pure loro (i soldi all’estero). La tragicomica manovra Amato che in una notte (1992) ci prelevò soldi direttamente dal conto corrente, quella volta, ha interessato solo i soldi in Italia. Se però chiederanno una fetta del capitale all’estero ci sarà almeno il vantaggio di poterli gestire e soprattutto prelevare, mentre in Italia le banche magari restano
Continua qui: http://micidial.it/2018/10/come-evitare-il-prelievo-forzoso-dal-conto-corrente/
I tassi d’interesse li fanno le banche centrali, non i mercati
www.maurizioblondet.it 11 novembre 2018
Pubblichiamo un post di Sergio Cesaratto, professore ordinario di Politica monetaria e fiscale nell’Unione Monetaria Europea, Università di Siena, e Antonino Iero, staff Direzione Regolamentazione e Studi Economici gruppo Unipol
Nel pieno della polemica di queste settimane, il commissario europeo Pierre Moscovici ha affermato: “Una manovra che aumenta il debito pubblico che è già 132%, il cui rimborso annuale ammonta a 65 miliardi l’equivalente del bilancio per l’istruzione, e che pesa 1.000 euro a italiano, non è bene per il popolo. È il popolo che paga ed è il popolo che rimborsa. Sono i più vulnerabili” (La Repubblica, 26 ottobre 2018). La ricetta di Moscovici, presentata come puro buon senso dalla maggior parte degli opinionisti, consisterebbe nell’abbattere il debito pubblico per abbattere la mole di interessi. O viceversa? Due cose oltre a tasse e funerale sono certe: le manovre di abbattimento del rapporto fra debito pubblico e PIL sono una fatica di Sisifo, in quanto spesso deprimono il denominatore più che il numeratore. La spesa per interessi non è una “variabile indipendente”, un fattore ineluttabile: i tassi di interesse li fanno le banche centrali e non i mercati, a meno che questi vengano lasciati operare liberamente.
Un altro commentatore, Carlo Bastasin (2018), nel passato spesso molto lucido, ha scritto che alla tesi che l’austerità sia stata responsabile dell’”aumento di circa 33 punti percentuali del debito pubblico tra il 2008 e il 2016, non corrisponde a un’analisi appena approfondita. Sono sufficienti pochi calcoli per verificare che l’aumento del debito è in larghissima parte attribuibile all’incremento della spesa per interessi sul debito stesso. Altri fattori più tecnici (tra cui quasi 4 punti di Pil in aiuti italiani ai Paesi europei in difficoltà) possono aver contribuito, ma è stata la tensione sui tassi d’interesse, causata soprattutto dall’incertezza sulla permanenza dell’Italia nell’euro, a far esplodere il debito”.
Più che con elevatezza del debito, Bastasin sembra prendersela con il timore di una
Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/e-il-tasso-di-interesse-bellezza-da-leggere/
GIUSTIZIA E NORME
IL PRESCRITTORE
Maurizio Blondet 9 novembre 2018
Il Pres.Ass.Magistrati Davigo ammette ingerenze ‘positive’ delle Nazioni Unite in Tangentopoli che azzerò intera classe politica tranne PDS (Radioanchio, 17 febbraio 2017)
DAVIGO: “Basta frottole: se i delitti non si prescrivono più, i processi durano meno”
L’ex pm di Mani Pulite: “Troppi procedimenti proprio perché ci sono troppi appelli e ricorsi in Cassazione, fatti in attesa del colpo di spugna”
di Gianni Barbacetto | Il Fatto Quotidiano 07/11/2018
(…) negli Stati Uniti la prescrizione si blocca con l’inizio del processo. È l’Italia l’anomalia: abbiamo un sistema giudiziario in cui un imputato condannato in primo grado fa appello per avere ridotta la pena, ma sperando in realtà di non scontare alcuna pena, neppure ridotta, perché tanto arriverà la prescrizione.
Sa che cosa succede invece negli Stati Uniti?
Che cosa succede?
Che il 90 per cento degli imputati si dichiara colpevole, se lo è, perché ha interesse a limitare i danni.
C’è un’altra questione che non viene affrontata.
Quale?
In Italia, se appellante è il solo imputato, non è possibile la reformatio in peius della pena: chi fa appello può avere la pena cambiata solo in meglio. Questo, per esempio in Francia, non c’è. Infatti in Francia solo il 40 per cento delle sentenze di condanna a pena da eseguire viene appellato, mentre in Italia il 100 per cento: ti conviene e non rischi nulla. Ma è così che, nella struttura piramidale della giustizia italiana, le Corti d’appello saltano.
Guido Crosetto:
“Un piccolo passo avanti per la demagogia, un grande passo indietro per la democrazia. Il tentativo di pagare i debiti elettorali all’ala integralista della magistratura, uccidendo la democrazia ed instaurando la dittatura dei PM, non può passare in silenzio.
A titolo informativo, per chi non ci arrivasse, l’eliminazione della prescrizione fa piacere al boss mafioso o all’omicida, per i quali poco importano i tempi, ma distrugge la vita degli innocenti che incappano nella superficialità o nella partigianeria di alcuni magistrati”.
Non hanno obbligo di orari. Guadagnano più di ogni altro dipendente dello
Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/il-prescrittore/
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
Operai a casa per maltempo, Luxottica integra gli stipendi
Rimborsati in 8mila
Redazione – 11/11/2018
Luxottica integrerà la totalità degli stipendi di oltre 8mila dipendenti degli stabilimenti di Agordo, Cencenighe, Sedico (Belluno) e Pederobba (Treviso) costretti a casa dal fermo degli impianti per gli effetti del maltempo nelle tre giornate di lunedì 29, martedì 30 e mercoledì 31 ottobre e assoggettati al regime di cassa integrazione.
Il rimborso della quota di stipendio non coperta dall’istituto previdenziale sarà riconosciuto dall’azienda, che ha condiviso l’iniziativa con i sindacati, e sarà previsto per tutti i lavoratori direttamente nella busta paga di dicembre.
Nel 2017 gli investimenti fatti dal gruppo di occhialeria di Leonardo Del Vecchio a favore delle comunità locali di riferimento sono stati pari a 13,2 milioni di euro. Le iniziative di welfare territoriale e aziendale sono numerose. Nello stabilimento di Agordo (Belluno), Luxottica e il Comune hanno firmato un accordo per potenziare i servizi dell’asilo nido e
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Il mobbing è caratterizzato dall’intento persecutorio dell’azienda
– Oltre che dalla sistematicità degli atti vessatori (Cassazione Sezione Lavoro n. 21328 del 14 settembre 2017, Pres. Macioce, Rel. Di Paolantonio). |
Il medico Clemente S., dipendente dell’Azienda Sanitaria di Lecce, si è rivolto al locale Tribunale deducendo di aver subito una condotta vessatoria consistita nella disattivazione del Reparto di primario presso l’Ospedale di Lecce. Egli ha sostenuto di aver subito un’azione di mobbing essendo stato privato per oltre un decennio del suo ruolo di primario e isolato in un reparto fantasma. Pertanto, egli ha chiesto la condanna dell’azienda al risarcimento dei danni. Sia il Tribunale che, in grado di appello, la Corte di Lecce hanno ritenuto la domanda priva di fondamento, escludendo il diritto del medico al risarcimento del danno. Clemente S. ha proposto ricorso per Cassazione allegando vizi di motivazione e violazione di legge. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso osservando che nella condotta aziendale denunciata non poteva ravvisarsi una fattispecie di mobbing, caratterizzata oltre che dalla reiterazione e dalla sistematicità degli atti vessatori, anche dall’intento persecutorio.
La Corte di Lecce – ha osservato la Cassazione – si è attenuta al conforme orientamento della Suprema Corte secondo cui il mobbing richiede: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati
Continua qui: http://www.legge-e-giustizia.it/index.php?option=com_content&task=view&id=5625&Itemid=131
LA LINGUA SALVATA
Agguato
ag-guà-to
SignAppostamento volto a un attacco improvviso, e l’attacco stesso; insidia, tranello; luogo dell’imboscata
dall’antico francese aguait ‘guardia, sorveglianza, imboscata’, dall’ipotetica voce francone wahta ‘guardia’.
Paroline come questa ci permettono di scoprire cose molto interessanti sulle ramificazioni dei concetti che usiamo.
Se il micio mi fa un agguato – teso a saltarmi al polpaccio quando passo – significa che si è appostato e che è pronto a scagliare il suo attacco sorprendente: questo lo sappiamo. Ora, il termine ‘agguato’ è un parente stretto del verbo guatare, anzi qualcuno lo indica come suo derivato, passando per il desueto agguatare: visto che guatare significa ‘guardare a lungo e insistentemente’, si potrebbe pensare che questo particolare modo di tenere fisso lo sguardo dia forma anche all’agguato. Dopotutto è quello che si fa quando ci si apposta, rivolti a un avviso, a un segno dell’arrivo di chi dobbiamo attaccare, senza nemmeno battere le palpebre. Ma il guardare (toh, stessa origine) viene dopo.
Il nocciolo primo dell’agguato (e di tutta questa banda di parole) è l’attesa. Tant’è che
Continua qui: https://unaparolaalgiorno.it/significato/A/agguato
PANORAMA INTERNAZIONALE
L’ONU conferma: l’Iran continua a rispettare l’accordo sul nucleare
Un nuovo rapporto delle Nazioni Unite afferma che l’Iran continua a rispettare le restrizioni dell’accordo 5+1.
Fonte: AP – Foto Reuters – Notizia del: 13/11/2018
Nel suo rapporto trimestrale riservato distribuito ieri agli stati membri dell’accordo nucleare iraniano, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica delle Nazioni Unite (AIEA) ribadisce che l’Iran rimane entro i limiti stabiliti dal piano d’azione comune e completa, JCPOA, del 2015, il cui obiettivo è impedire a Teheran di sviluppare armi nucleari in cambio di incentivi, ha riferito AP.
Secondo il rapporto, l’Iran continua a rispettare i limiti nonostante i problemi
Continua qui: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-lonu_conferma_liran_continua_a_rispettare_laccordo_sul_nucleare/82_26060/
Libia, background per una situazione complessa
di La Redazione – 12 novembre 2018
La Libia è oggi per molti cittadini africani una tappa obbligatoria nel lungo viaggio verso il sogno europeo che passa, oltre il deserto e il Mediterraneo, dalle coste italiane. L’ingovernabilità attuale del paese e la conseguente destabilizzazione regionale affondano le radici nella storia, nel susseguirsi della storia delle Libie.
La Libia come entità statale unica se la sono inventati gli italiani nella loro breve, ma intensa, avventura coloniale africana. Furono proprio gli italiani a condurre sotto un unico governo le tre province ottomane di Cirenaica, Tripolitania e del Fezzan. L’impresa, però, non fu semplice. I libici opposero una strenua resistenza tanto alla presenza dell’Italia liberale quanto all’Italia fascista.
Iniziata con l’idea di risolvere i gravi problemi sociali e demografici, accompagnata dalla volontà di affermarsi come potenza sullo scacchiere europeo, l’esperienza coloniale italiana è stata relativamente breve. L’Italia perse la sua Quarta Sponda alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando passò sotto il controllo della Gran Bretagna.
Il governo inglese decise di mantenere l’unità libica trasformandola in una monarchia. Re Idris I doveva unificare, nel nome della sua Confraternita religiosa, la Senussia, i vari adepti disseminati in Cirenaica e Tripolitania. Un potere centrale che rimase troppo debole: il giovane colonnello Muhammar Gheddafi riuscì infatti a conquistare il potere nel 1969 con facilità.
Gheddafi trasformò la Libia nella “Jamahiriyya”, termine inventato per indicare una repubblica nella quale lo Stato sarebbe stato assente e il potere gestito attraverso una serie di consigli locali. Nei fatti, però, la Libia fu per lungo tempo controllata da un unico capo.
Il colonnello Gheddafi è stato responsabile di un certo equilibrio nel deserto e tra i paesi del Sahel (i paesi a sud del Sahara). Quando fu posto un termine al suo regime per sollevazione popolare, ma soprattutto per l’intervento delle potenze estere Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, tutta la regione si è destabilizzata con le gravi conseguenze di cui vediamo gli effetti ancora oggi .
Per un quadro più chiaro degli interessi internazionali che gravitano intorno alla Libia è possibile vedere la spiegazione di Alberto Negri in questa puntata di Nemo – nessuno escluso programma di Rai 2, andata in onda il 11 maggio 2017. Per un punto sulle implicazioni italiane in Libia leggere l’analisi di Alberto Negri sul Sole 24 Ore del 5 luglio 2017 La trappola libica, le ferite che non passano.
Non è quindi possibile raccontare la storia di un’unica Libia. Ecco dunque una selezione di letture delle due ultime Libie: la Libia la colonia italiana, il cui passato, origine e storia sono stati in parte rimossi, e la Libia di Gheddafi.
Oltremare, Storia dell’espansione coloniale italiana di Nicola Labanca, il Mulino, 2007. Una ricostruzione delle campagne di conquista italiane in Africa (Eritrea, Somalia e Libia) con l’intento di riprende i messaggi della propaganda che affascinarono gli italiani e mostrare i pochi reali vantaggi dei possedimenti africani. Labanca tenta di spiegare il motivo dello spazio marginale che l’esperienza coloniale occupa nella
Continua qui: http://larivistaculturale.com/2018/11/12/libia-il-background-di-una-situazione-complessa/
Unicef Italia: ingerenze sulla politica italiana, Ius Soli e hate speech sui social
Responsabile ufficio stampa ed esperta in comunicazione.
28 dicembre 2017 RILETTURA
Come un social media manager può “affondare” la sede nazionale di un’agenzia delle Nazioni Unite in pochi tweet
Unicef è un’agenzia delle Nazioni Unite, fondata nel dicembre del 1946 per sostenere i bambini vittime della seconda guerra mondiale, con sede a New York, la cui missione è portare assistenza umanitaria ai minori dei paesi in via di sviluppo.
Sono passati 71 anni e nonostante i miliardi di dollari spesi annualmente (parliamo di 5.009.557.471$ nel 2015), i bambini delle zone più povere del mondo continuano quotidianamente a morire per la mancanza di cibo e delle opportune cure medico-sanitarie.
Ha quindi ancora senso che i 147 governi nazionali, le 4 istituzioni intergovernative (tra cui la Commissione Europea), il plotone di fondazioni (non potevano mancare la Open Society Foundations di George Soros, la Oak Foundation e la Rockefeller Foundation)[1] l’esercito di aziende e gli speranzosi privati donatori, sostengano ancora questa agenzia delle Nazioni Unite, che di certo non ha fatto una “rivoluzione umanitaria” là dove c’era e, appunto, c’è ancora bisogno?
Prima di passare alle vicende legate strettamente a Unicef Italia, vediamo chi compare nel direttivo a livello internazionale.
Il Direttore Generale di Unicef dal 2010 è Anthony Lake; apprendiamo dalla sua biografia che è attivo da più di 45 anni nel settore pubblico: consigliere per il Comitato Internazionale della Croce Rossa, Direttore del Marshall Legacy Institute, membro del consiglio di amministrazione di Save The Children e dell’Overseas Development Council. E non manca neanche il sostegno a due discussi ex-presidenti americani: nel biennio 2007-2008, Lake è stato consigliere senior per la politica estera della campagna presidenziale di Barack Obama, ruolo che aveva già svolto durante la campagna presidenziale di Bill Clinton del 1991-1992, dove, ad elezione avvenuta, è stato designato come Consigliere per la Sicurezza Nazionale dal 1993 al 1997 e poi come Inviato Speciale del Presidente degli Stati Uniti in Eritrea ed Etiopia, Haiti, Bosnia e Herzegovina, e Irlanda del Nord.[2]
Uno dei Vicedirettori Generali è il britannico Justin Forsyth, che precedentemente è stato amministratore delegato di Save the Children UK e responsabile di Oxfam. Come Anthony Lake, anche Forsyth ha avuto cariche politiche: è stato Special Adviser
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POLITICA
MATTARELLA AMMONITORE
di Marcello Veneziani, Il Tempo 9 novembre 2018
Non so di quali gravi problemi psicologici io soffra ma ogni volta che vedo in tv il presidente Mattarella mi sento uno straniero in patria. Anzi peggio, sento lui come il commissario, il proconsole inviato dalla Ue nel protettorato dell’Italistan per sedare le popolazioni ribelli. Nel mio stato allucinatorio lo vedo come un regnante assiro-babilonese, frutto di altre epoche e di altri mondi e il suo stile, il suo linguaggio, il suo incedere, il suo sontuoso copricapo bianco mi sembrano confermarlo. Sarà sicuramente una mia debolezza mentale, un trauma infantile o prenatale, ma non riesco mai a riconoscermi in quello che dice. Anzi penso quasi sempre il contrario di quel che dice, a parte il fondo inevitabile di ovvietà atmosferica e istituzionale con cui incarta il tutto e che è retaggio del suo ruolo protocollare.
Ma è possibile, mi chiedo preoccupato, che tutto quel che dice e persino il tono con cui lo dice, mi sembra sempre negare quel che mi sembra la realtà dei fatti, la storia vissuta, la vita reale dei popoli, il sentire comune, il disagio diffuso, la memoria storica, la percezione comune della realtà, oltre che le mie convinzioni ideali? Possibile che anche quando affronta temi che dovrebbero essere condivisi, come l’amor patrio o la celebrazione delle feste nazionali, lui riesca a dire il contrario di quel che mi aspetto da un Capo dello Stato e dal presidente degli italiani? L’Italia per lui non è la nostra patria ma il luogo d’accoglienza universale, una specie di gigantesca tenda da campo predisposta dalle autorità europee. Le identità dei popoli, per lui, sono un cancro da sradicare, un muro da abbattere. Vanno bene le identità individuali o di genere, ma non quelle nazionali, popolari, civili. Le migrazioni per lui vanno accolte e benedette; le diversità culturali e religiose vanno ammesse se riguardano gli stranieri, vanno invece rimosse se ricordano le nostre radici, altrimenti siamo intolleranti. Le nazioni per lui sono solo il preambolo funesto ai nazionalismi che sono la vera piaga del mondo; quando a me pare invece che i mali della nostra epoca siano piuttosto legati al suo contrario, allo sradicamento universale, alla cancellazione forzata delle identità, dei popoli e dei territori, al dominio cinico e apolide del capitale finanziario che non ha patria ma solo profitti; e ai flussi migratori incontrollati che in generale impoveriscono i paesi che lasciano e inguaiano quelli che invadono. Se un gruppo di migranti stupra una ragazza lui tace, se gli italiani dicono una sciocchezza contro i migranti o le donne, lui interviene per condannare. Non si perde mezza celebrazione che riguardi l’antifascismo e l’antirazzismo, è sempre lì a commemorare coi suoi discorsi, mentre salta vagoni di ricorrenze cruciali, di anniversari patriottici, di caduti per l’Italia, di vittime del comunismo, dei bombardamenti alleati, delle dominazioni altrui.
Se gli capita un IV novembre tra i piedi lui non ricorda la Vittoria ma solo la fine della guerra e non commemora l’Italia e i suoi soldati ma l’Europa. E se proprio deve celebrare un patriota, celebra l’eroe nazionale degli albanesi o di chivoletevoi, non un patriota dell’Italia. E sostiene come l’ultimo militante dell’Anpi che il fascismo è il male assoluto e non ha fatto neanche una cosa buona, negando l’evidenza storica: una cosa del genere non riuscirei a dirla neanche di Mao e Stalin che sono i recordman mondiali di sterminio, per giunta dei propri connazionali e per colmo in tempo di pace; notizie che al Quirinale non risultano mai pervenute.
E non c’è giorno che non ci sia una sua dichiarazione ecumenica e curiale nella
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STORIA
La rivolta dei marinai di Cattaro
da aurorasito
Manfred Ecker, Neue Linkswende 29 aprile 2015
La rivolta dei marinai di Cattaro del 1918 è un evento storico che, se avesse avuto successo, avrebbe formato l’intero corso del XX secolo. Quando, il 1° febbraio 1918, nel porto adriatico di Cattaro, 6000 marinai issarono le bandiere rosse su 40 navi della flotta austro-ungarica, il grande sciopero del gennaio 1918 in Austria era appena finito, ma si era diffuso in Germania ed era ancora vivo. I due movimenti, tuttavia, rimasero separati e l’imperatore Carlo poté stabilizzare il suo regime ancora una volta e continuare la guerra. Ci vollero altri dieci mesi prima che la rivolta dei marinai avesse successo a Kiel, all’inizio del novembre 1918, inaugurando la rivoluzione in Germania e ponendo fine alla guerra. Ci sarebbero state probabilmente centinaia di migliaia di morti in meno durante la guerra mondiale se il successo dei marinai di Cattaro avesse rotto l’isolamento della rivoluzione russa. Perché, quando scoppiò la rivolta di Cattaro, Austria-Ungheria, Germania, Bulgaria e Turchia negoziarono con la Russia rivoluzionaria a Brest-Litovsk. La rivolta avrebbe potuto costringere a una conclusione favorevole per la Russia rivoluzionaria, avendo un grande impatto sull’ulteriore corso della storia.
La vita dei marinai a Cattaro
Nell’estremo sud della monarchia del Danubio, al confine tra Croazia e Montenegro, si trovano le baie di Cattaro (oggi Kotor). Cattaro era la seconda base navale più importante della Marina Militare austriaca, con una squadre di incrociatori, un aeroporto e una base per sommergibili. Era una base strategicamente importante, tra le altre cose per le linee di rifornimento dall’Adriatico al fronte balcanico. Tuttavia, la flotta compì poche missioni e gli equipaggi erano a terra permanentemente, eseguendo frequenti esercitazioni e svolgendo costantemente lavori inutili. L’attesa era estenuante. Mentre ai marinai veniva dato cibo misero e alcuna licenza per anni, gli ufficiali si divertivano con pasti sontuoso.
Cause sociali e politiche
L’insoddisfazione non fu l’unico fattore decisivo della rivolta. Si era stanchi della monarchia danubiana, della guerra e si sperava in una rapida pace. Nel novembre 1917, i sovieti (i consigli degli operai e dei soldati) presero il potere in Russia e immediatamente offrirono il cessate il fuoco alla Germania ed alleati. Le popolazioni delle nazioni belligeranti e, soprattutto, i soldati, erano speranzosi. Grandi segmenti di operai e soldati erano entusiasti della Rivoluzione russa. Il panico colse il governo. Il 17 gennaio, l’imperatore Carlo telegrafò al negoziatore austriaco, il ministro degli Esteri conte Czernin, a Brest-Litovsk: “Devo riaffermare ancora una volta che il destino della monarchia e della dinastia dipende dalla conclusione più rapida possibile della pace a Brest-Litovsk… se la pace non arriva, ci sarà la rivoluzione, anche se c’è ancora tanto da mangiare. Questo è un avvertimento serio, in tempi seri”. Durante lo sciopero del 13-20 gennaio 1918, che si diffuse da Wiener Neustadt via Budapest e Vienna a Berlino, a Vienna si formarono i consigli operai che chiedevano la cessazione della censura, della legge marziale, la giornata di otto ore, e altro ancora.
Una serie di insurrezioni isolate
Questa radicalizzazione politica aveva colpito anche soldati e marinai di Cattaro. Il 1° febbraio 1918, formarono dei consigli sul modello russo e chiesero la parità di trattamento di tutte le componenti della squadra, la democratizzazione del governo, la pace immediata e il diritto dei popoli all’autodeterminazione. Era un movimento completamente rivoluzionario. Ma la ribellione deu marinai finì il 3 febbraio, non riuscendo ad occupare i porti circostanti. Le forze di terra furono contattate e alcune navi si staccarono. Sul guardacoste “Rudolf”, un dei leader, il nostromo Sagner, fu ucciso e la resistenza repressa. Anche la flotta di Pola fu messa contro la flotta di Cattaro. Soprattutto, la rivolta rimase isolata. Secondo Julius Braunthal, il presidente del partito socialdemocratico, Viktor Adler, cercò personalmente di trattenerla.
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