NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 18 MARZO 2020
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Giornate commemorative: punti nodali del fraintendimento.
ELIAS CANETTI, La rapidità dello spirito, Adelphi, 1996, pag. 87
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SOMMARIO
Magaldi: italiani felici e reclusi a vita, aspettando altri virus?
La quarantena non ha mai sconfitto le malattie
L’Italia sta cadendo nella trappola
MALVEZZI: COI 150 MILIARDI REGALATI ALLA UE COSTRUIVAMO CENTINAIA DI OSPEDALI
Veneziani: ci minaccia il pericolo di una dittatura sanitaria
Nuccio Ordine: “la buona scuola è solo quella in cui sono buoni professori”
Riflessioni su immigrazione e terrore islamista
L’occidente attacca il mondo che orbita verso Russia e Cina
IL DRAGO: MITO E SIMBOLO
Diplomatici statunitensi coinvolti nella tratta di sangue umano e agenti patogeni per un programma militare segreto
Gli Usa ammettono: il coronavirus era da noi già nel 2019
Il neoliberismo tra sonno e insonnia
La Francia vuole soffiare Avio all’Italia?
BERLINO KAPUTT (e sono stati gli americani, di nuovo)
Erdogan sfrutta i migranti per ricattare l’UE e nascondere la sconfitta in Siria
Nell’Europa chiusa per il virus, la Ue apre le porte all’esercito Usa
Coronavirus, la ‘guerra delle mascherine in Europa’: 19mln requisite da altri Paesi
Di Stefano: “fascismo e antifascismo? Non c’è nessuna guerra civile in atto: è una truffa montata ad arte per distrarci”
Vaccini e scienza. Le nuove sofisticate armi batteriologiche di sterminio.
IL GEN. LAPORTA: ALDO MORO NON ERA A VIA FANI IL 16 MARZO 1978.
La caduta di Saigon, 40 anni dopo
IN EVIDENZA
Magaldi: italiani felici e reclusi a vita, aspettando altri virus?
Scritto il 18/3/20
Si colpevolizza chi indugia nel portare a spasso il cane, dopo che si è lasciato che migliaia di persone lasciassero la Lombardia per dirigersi al Sud: secondo la logica della quarantena sono potenziali untori, e si lascia tuttora che queste ondate si muovano, senza che queste persone vengano prima sottoposte a un test.
Ci viene proposta una retorica da “grande fratello” orwelliano, plaudendo ai pecoroni che si mettono a cantare, a comando, dai balconi. Abbiamo scoperto quanto è facile limitare la libertà e costringere i cittadini in casa: moltissimi italiani, festosi e scodinzolanti, hanno già introiettato la segregazione della quarantena.
Ma se questa emergenza durerà altri mesi, o magari un anno, staremo tutti in casa in attesa di avere lumi su quando riprenderà la vita normale? E se in futuro dovessero arrivare 2-3 virus all’anno che facciamo, sospendiamo la nostra vita? Bella mutazione antropologica: reclusi in casa per sempre? E’ questo il futuro che ci attende? Nella Seconda Guerra Mondiale, chi entrò in guerra in nome della libertà e della democrazia, contro il totalitarismo hitleriano, mise nel conto milioni di morti. E adesso noi, senza colpo ferire, saremo privati della democrazia. Non si vota più: rinviate elezioni e referendum, fino alla scomparsa del coronavirus. E se dovesse presentarsi un virus all’anno? Democrazia kaputt?
Quanto alla libertà, è già sospesa: siamo confinati. E qualcuno già invoca l’esercito, accanto alla polizia, a spiegarci quanto possiamo passeggiare col cane e fin dove possiamo spingerci a fare la spesa. I nostri nonni, dicevo, sono morti per preservare libertà e democrazia, che non sono mai gratuite. E noi che cosa siamo disposti a fare? Nessuno pensi, il 3 aprile, di tornare alla vita normale. Alternative? In prima battuta, Boris Johnson ha annunciato la strategia dell’immunità di gregge per la Gran Bretagna: contagiarsi tutti, per indebolire velocemente il virus. Certo, ci sarebbe un costo da pagare. Ma perché, noi non lo stiamo già pagando, un costo di vite umane? Noi in Italia contiamo i morti perché tutto è stato fatto, tranne che operare una quarantena draconiana e congruente. Siamo pieni di falle, e ora si attende che esplodano i focolai al Sud, dove la sanità è disastrata. Non sottovaluto affatto il rischio-coronavirus, ma statisticamente so che riguarda una porzione esigua della popolazione. So che purtroppo si muore in modo atroce, ma la Tv ha drammatizzato l’emergenza mostrando solo sofferenze, angoscia e bare. Invece, la prima cosa seria da fare era (ed è) assicurare a tutti la giusta assistenza, anche con ospedali da campo. Trovo scandaloso quello che è accaduto.
Questo è vergognoso: lasci scorrazzare per il paese degli untori, mentre chiudi in casa tutti gli altri, e non riesci nemmeno a consentire tempestivamente alla Protezione civile di allestire posti letto aggiuntivi a Milano. Settimane di retorica, senza che si sia provveduto per tempo a dotarsi di personale medico e terapia intensiva per tutti. Così, nel 2020 scopriamo questo: che può non aver neppure bisogno dell’economia, il sogno di alcune filiere neoaristocratiche, finanziarie e oligarchiche, che passa anche attraverso il modello-Cina (e cioè, organizzare il mondo in termini post-democratici o anti-democratici). Il neoliberismo sa che deprimere le classi medie, precarizzando e schiavizzando il lavoro proletario, è un ottimo modo per ridurre la democrazia – che si basa sulla dignità del cittadino, dotato di un minimo di mezzi materiali. Ormai invece la crisi del coronavirus supera lo schema neoliberista e rende attuale il ritorno a risposte rooseveltiane e keynesiane. Ma attenzione: per chi sognava società autoritarie e dispotiche, non liberali e non democratiche, il coronavirus è una manna dal cielo, visto il tipo di risposta che sta provocando.
Virus doloso o colposo? Dubito che ci sia una regia, nella diffusione epidemica, ma la cosa va comunque verificata. Cosa c’è a monte di questa storia? Penso a una serie di atti che si sono sovrapposti. Per ora non vedo una premeditazione univoca, in questa vicenda. Certo, vale la pena di indagare per capire se qualcuno, tirando il dado, non abbia visto lontano, sulle possibilità offerte dal coronavirus. Ma queste stesse possibilità non sono state predeterminate: non cadiamo nel determinismo complottistico. Dipende molto da noi, fino a che punto tollerare la restrizione della libertà. E comunque: possiamo escludere che qualcuno, per comprimere libertà e democrazia in nome della salute pubblica, si possa inventare ogni anno un virus anche più letale del coronavirus? Se non vogliamo che i virus diventino il pretesto per rinchiudere la gente dentro casa, una volta messe al riparo le categorie più esposte (gli over-70), dobbiamo affrontare il rischio, nello spirito della possibile immunità di gregge, accettando anche di mettere in gioco la vita (come fecero i nostri nonni). L’altermativa è quella di passare i prossimi 100 anni chiusi in casa, perché magari arriva un virus all’anno?
Io credo nella disobbedienza civile, ma oggi dico a tutti: obbediamo alla legge. E intanto vediamo dove questo ci porterà. Intanto esaminiamo i costi della quarantena, anche sanitari. C’è chi arriva a criminalizzare chi fa jogging, magari per motivi di salute. Domani vedremo quanti infarti, diabeti, suicidi e depressioni avremo. Tutti problemi che uccidono più del coronavirus. Benissimo, teniamoci la quarantena. Ma fino a quando? Voi ce la fate, a stare chiusi in casa per un anno, magari aspettando il prossimo virus l’anno seguente? E poi, naturalmente, c’è la catastrofe economica. Intanto, i primi 25 miliardi stanziati da Conte sono solo una mancia. Ogni giorno che passa, per molti, significa la prospettiva di non riaprire mai più la sua attività. Visto che verrà prolungata la quarantena e verrà distrutto un sistema di consumi e di produzioni, gli indennizzi dovranno essere cospicui. E bisognerà anche avere un piano di investimenti importanti, per restituire lavoro a tutte le categorie sociali.
Comunque, insisto: qualcuno utilizzerà questa crisi per comprimere libertà e democrazia, magari – secondo il modello cinese – assicurando prosperità economica. In un futuro scenario distopico, ci potrebbero dire: potrete tornare al supermercato, ma subendo grosse restrizioni. Temo le grandi idee subliminali, sottese all’emergenza. Quindi, attenzione: facciamo in modo di avere un New Deal pieno, e – come quello varato da Roosevelt – in un contesto di democrazia social-liberale. Restando al profilo sanitario del problema, noi oggi conteggiamo l’incidenza patologica del virus solo sulla base dei contagiati ufficiali. E i contagiati non ufficiali? Quando dovessero uscire di casa, che succederà? Quindi non facciamo più uscire di casa nessuno? Questa è una via senza uscita. Se tirano troppo la corda, alla lunga le persone si rivolteranno: come potranno restare in casa per un anno intero? Ecco perché dico che questo non è il momento di affacciarsi al balcone come cagnolini ammaestrati, di edificarsi dicendo “ce la faremo, Italia”. Questo è il momento di incazzarsi, e di dire: ma come, voi non avete i posti letto per tutti, ci fate vedere le bare, ci mostrate le lacrime dei conduttori televisivi che si commuovono, e poi – quando vi chiedono gli strumenti per la terapia intensiva – non li avete?
Bisognerebbe elaborare il lutto, certo, e poi capire che cosa ci ha portato a questo. E dire: non potere tenerci imprigionati per sempre. Invece, la gente festeggia. E’ lo stesso stile, da Istituto Luce, che riempiva piazza Venezia per le adunate del Duce: a uno schioccar di dita, gli italiani – festanti – devono stringersi, tutti insieme, nel dire “ce la faremo”. Ma di che state parlando?! Portate semmai gli apparecchi medici in Lombardia, preparatevi per le emergenze in Puglia, in Sicilia, in Calabria, e state zitti. Evitate di fare troppi cori: un popolo sano, forte ed equilibrato, aspetta, prima di mettersi a fare i cori da stadio. Agli italiani sui balconi dico: non avete capito bene cosa ci sta attendendo. Succede sempre così, quando vengono meno libertà e democrazia. I cittadini vengono manipolati: li si rabbonisce con i cori da stadio, si mandano in onda le partite della nazionale di calcio. Ma non servono le false rassicirazioni: c’è bisogno di capire (seriamente) dove ti vuole portare, chi ti sta governando. Verranno tempi duri, per chi vuole preservare la democrazia e la libertà. Intanto, il 3 aprile beccatevi il rinnovo della quarantena. Tolleratelo, introiettatelo. Abituatevi, se vi fa piacere. E poi vediamo, dove ci portano.
(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Gioele Magaldi racconta”, su YouTube il 16 marzo 2020).
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https://www.libreidee.org/2020/03/magaldi-italiani-felici-e-reclusi-a-vita-aspettando-altri-virus/
La quarantena non ha mai sconfitto le malattie
di Thierry Meyssan
Non siete esperti di Covid-19, nessuno lo è. Gli scienziati non sono onniscienti, le ricerche sono solo agli inizi. In mancanza di dati precisi dobbiamo prendere le ipotesi per quel che sono: semplici ipotesi, appunto. La storia ci insegna che fino a oggi nessuna malattia è stata sconfitta da misure di quarantena, che possono farci guadagnare tempo, ma non vincere.
RETE VOLTAIRE | DAMASCO (SIRIA) | 17 MARZO 2020
Il presidente Macron giustifica le misure adottate con i pareri ricevuti dagli scienziati. Se avesse interpellato altri scienziati avrebbe avuto pareri diversi. Oggi il Covid-19 è oggetto di studio, non di conoscenza.
L’epidemia di Covid-19 risveglia angosce ancestrali. A un tratto, alcuni fra noi vedono i vicini, gli amici e i membri della propria famiglia come minace. C’è il rischio reale di assistere, fra breve, ad atti di violenza.
Di fronte a un pericolo, qualunque esso sia, dobbiamo innanzitutto mantenerci ragionevoli, non razionali. Sono modalità di pensiero molto diverse. Nel caso del Covid-19, poiché partiamo da dati parziali, non possiamo pensare logicamente.
Il Covid-19 è una malattia fino a oggi sconosciuta, che sembra poter uccidere fino all’1% della popolazione mondiale, ma che per il momento ha fatto morire solo qualche migliaio di persone. I ricercatori hanno iniziato a studiarla scientificamente da poco. Sappiamo che è causata da un virus che si trasmette attraverso le mucose facciali. Nessuno sa come impedirne la propagazione, ma tutti hanno i propri a priori.
A seconda della scuola di pensiero cui appartengono, gli scienziati hanno consigliato le autorità in modo diverso:
Le autorità cinesi sono ricorse a un isolamento della popolazione, abbinato a una visita medica domiciliare ogni due giorni. Le persone sospettate di contagio sono state portate a forza in ospedale. Un metodo empirico che ha prodotto il declino della malattia. Questo però non significa che sia stato in qualche modo efficace, né che la malattia sia stata definitivamente sradicata.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità auspica l’isolamento della popolazione, senza però visita medica domiciliare. L’ipotesi da cui parte l’OMS è che i bambini possano diventare portatori sani del virus e contaminare i nonni, ossia gli anziani nei quali la malattia può presentarsi in forma acuta.
Le autorità svedesi ricorrono a un terzo metodo: ritengono che solo le persone anziane debbano essere protette e che non ci siano prove che la malattia sia diffusa dai bambini. Mettono perciò in isolamento solo gli anziani e non chiudono né scuole né imprese.
Quale di questi metodi è giusto, supponendo che uno possa esserlo? Potremo saperlo solo dopo una sperimentazione di lunga durata.
Dobbiamo peraltro ricordarci che mai nella storia un’epidemia è stata sconfitta da quarantene, ma unicamente da misure d’igiene. Le quarantene non proteggono le popolazioni dove la malattia è già presente, permettono solo di guadagnare tempo.
Dobbiamo diffidare dell’angoscia che induce i nostri dirigenti ad adottare le misure più radicali, ossia più traumatizzanti rispetto a quelle già prese dai vicini. La spirale delle misure ci mostra il livello di panico della classe dirigente, non ci insegna con quali mezzi dobbiamo combattere la malattia.
Inoltre, come sempre accade, alcuni dirigenti politici strumentalizzano la crisi in funzione della propria agenda personale.
In 25 anni, il mondo sviluppato ha conosciuto diversi episodi di delirio collettivo. Durante la crisi della mucca pazza abbiamo sacrificato bestiame su immensi roghi; al passaggio all’anno 2000 abbiamo creduto che gli aerei ci sarebbero caduti sulla testa; con gli attentati dell’11 Settembre abbiamo creduto che i barbari stessero per distruggere la civiltà occidentale; e così via. A posteriori queste ingenuità ci sono sembrate ridicole. Consultate i vecchi giornali e avrete la prova della credulità dei lettori, non quella dei nostri avi, ma di noi stessi e soltanto pochi anni fa.
L’Occidente è sempre meno ragionevole e sempre più dogmatico.
Senza rendercene conto abbiamo aderito a una forma religiosa di pensiero in cui abbiamo sostituito la supposta volontà divina con la presunta conoscenza scientifica.
La Scienza ci dice poco sul Covid-19 e proprio nulla sul modo per impedirne la propagazione. Siamo solo nel campo delle ipotesi.
https://www.voltairenet.org/article209491.html
L’Italia sta cadendo nella trappola
Lorenzo Vita – 17 MARZO 2020
Qualcosa di strano aleggia sull’Italia. E il virus sembra esserne complice (o arma) inconsapevole. Perché anche nel momento di crisi, nella cosiddetta “ora più buia” come ha ricordato – ampiamente – il nostro Giuseppe Conte, c’è qualcosa che cammina e che va al di là delle semplici intenzioni del nostro Paese. Il mondo si è fermato: è vero. Ma non il sistema che coordina, armonizza, monitora e controlla l’Europa. E in questa Europa traballante c’è ancora chi governo, c’è ancora chi decide e c’è ancora chi esegue – più o meno pedissequamente e soprattutto ossequiosamente – i rigidi dettami dell’ortodossia burocratica europea.
L’Italia, chiaramente, è fra questo secondo gruppo. E l’Europa franco-tedesca, altrettanto chiaramente, è tra i primi. Perché sia chiaro, la crisi da coronavirus sta colpendo tutti indiscriminatamente ma, come scrisse George Orwell nella sua “Fattoria degli animali”, c’è sempre qualcuno più uguale degli altri. Così, mentre l’Italia è al chiodo per un contagio da contenere e che vede alcuni (tiepidi) spiragli di fermata, nel frattempo Francia, Germania e resto d’Europa iniziano a tremare per il virus ma di certo non guardano al Sud dell’Europa con l’aria di chi è pronta ad aiutare gratuitamente per carità cristiana.
Arriva così il 16 marzo e il mitico Eurogruppo. Quello che avrebbe dovuto discutere della riforma del famigerato Meccanismo europeo di stabilità ma che, per evidenti esigenze di servizio date da una pandemia appena dichiarata, ha preferito glissare concentrandosi sulle eventuali soluzioni alla più grave crisi della storia dell’Unione europea. Fin qui tutti contenti: lo stesso governo italiano ha voluto ribadire il concetto che – tra le righe – questo rinvio della riforma del Mes è una vittoria tutta di Palazzo Chigi. Che altrimenti avrebbe dovuto spiegare a milioni di italiani e all’opposizione come mai approvava una riforma del cosiddetto fondo salva-Stati proprio con l’acqua alla gola.
Il problema è che la riforma del Mes non è l’istituzione del Mes. Il Meccanismo già c’è e attenzione, potrebbe entrare in azione. Lo ha detto anche implicitamente lo stesso Financial Times, autorevole rivista finanziaria britannica, che nel suo consueto appuntamento sulle politiche europee ricorda come non solo in Europa vi sia il Meccanismo europeo di stabilità, ma anche che qualcuno inizia a pensare che possa entrare in azione. Perché alcuni Paesi come l’Italia, ricorda Ft, “rischiano di minare la loro solvibilità se lanciano pacchetti di incentivi scarsamente mirati ed eccessivi in risposta al virus”. A ricordare il rischio che le manovre emergenziali varate dal governo possano attivare proprio quel meccanismo la cui riforma è stata rinviata, è anche Jörg Krämer della Commerzbank tedesca. Ed ecco l’altrta notizia del Financial Times: venerdì scorso, una telefonata tra alti funzionari dei dicasteri finanziari europei ha discusso proprio del ruolo del fondo salva-Stati in questa crisi.
Insomma, la vittoria del governo nella “ora più buia” di churchilliana memoria rischia in realtà di essere semplicemente inutile. Il Mes non si forma: ma si rischia di attivarlo. Incatenando l’Italia al giogo di un Eurogruppo che non vede l’ora di saldare i conti con un Paese che ha da sempre un grosso difetto: altissimo debito pubblico e elevato risparmio privato. Una brutta faccenda per quei Paesi europei che invece da sempre chiedono all’Italia di ripianare il debito sovrano spostando il risparmio dei contribuenti.
Ora, il problema non è minimo. Perché se si attiva il Mes (che ripetiamo, già esiste) di fatto le già scarne libertà sovrane dell’Italia in termini finanziari verrebbero di fatto cancellate. A decidere il futuro dell’Italia, una volta intervenuto il Meccanismo, non sarebbe più il governo più o meno scelto dal popolo, ma direttamente un board di esperti con cui l’Italia dovrà firmare un memorandum attraverso il quale condizionare il piano di “salvataggio” a precise regole dettate non certo da Roma. Il Mes deciderà poi in base a quanto deciso dal Paese colpito, in coordinamento con la Commissione europea, la Bce (quella di Christine Lagarde) e forse del Fondo monetario internazionale.
Chiaramente l’Italia non può sorridere in alcun caso. L’emergenza coronavirus ha condotto il governo a scelte drastiche da cui sarà difficilissimo uscirne e non senza un piano di indebitamento. L’indebitamento è un problema per l’Europa e la Bce, che proprio per evitare che un Paese possa sforare troppo senza garanzie, si sono inventati il fondo salva-Stati, che interverrebbe teoricamente a tutela della nazione in pericolo.
Ma l’arcano vuole che per essere salvato debba piegarti al volere del salvatore: la Bce.
Che a quanto pare, vista la “gaffe” di Lagarde quando Piazza Affari ha perso il 17%, non sembra per nulla intenzionata a dare una mano all’Italia. Anzi, c’è il pericolo che abbia interessi completamente divergenti rispetto a quelli degli italiani.
Inutile dire che per l’Italia ora scatta l’allarme generale.
I continui crolli di Piazza Affari mettono a repentaglio i nostri asset strategici e il nostro mercato azionario. Il governo, in affanno, non può pompare liquidità come fa la Germania e qualcuno, in Europa, parla di attivare il Meccanismo di stabilità.
I falchi europei già hanno segnalato, con un tempismo sospetto alquanto quello della Lagarde, di non avere interesse a concedere troppa flessibilità al Paese. E intanto, da Oriente, qualcuno di molto grande bussa alle nostre porte.
Uno scenario che ricorda da lontano quello greco: Paese in difficoltà, Europa che lo abbandona, intervento del fondo salva-Stati, Pechino che passa all’azione.
Certo, la Grecia non è l’Italia. Ma questo 2020 non sembra (purtroppo) arido di pessime sorprese.
https://it.insideover.com/politica/italia-trappola-mes-assedio-europa.html
BELPAESE DA SALVARE
MALVEZZI: COI 150 MILIARDI REGALATI ALLA UE COSTRUIVAMO CENTINAIA DI OSPEDALI
15 Marzo, 2020 posted by Fabio Lugano
Vi proponiamo un intervento di Valerio Malvezzi a RadioRadio. La domanda è semplice: perché il Coronavirus sta causando così tanti morti in Italia ed è così pericoloso? Perchè noi, al contrario di altri paesi, Germania in Testa, abbiamo tagliano in modo assurdo le nostre spese sanitarie. Ricordiamo che noi abbiamo 12 mila posti in rianimazione, contro i 39 mila della Germania. Questo perché in questi anni abbiamo seguito tutti i comandamenti e gli ordini europei.
Basterebbe notare che dal 2000 al 2019 abbiamo dato, all’Unione, 92 Miliardi di euro come contribuzione, a cui aggiungerne altri 58 per il MES. Sono ben 150 miliardi con i quali si sarebbero potuti costruire centinaia di ospedali, e mantenerli, ma che sono andati a foraggiare il dannoso fondo MES oppure la burocrazia di Bruxelles. Invece si innesta un circolo vizioso per cui la gente si lamenta della sanità, le lamentele vanno sui giornali e con la scusa dell’efficientamento si tagliano ancora le risorse alle Regioni per gli ospedali.
Intanto abbiamo tagliato 132 miliardi alla sanità in 10 anni.
E si muore.
Buon Ascolto
VIDEO QUI: https://youtu.be/LJ43AEykENA
Veneziani: ci minaccia il pericolo di una dittatura sanitaria
Scritto il 18/3/20
Dopo l’esperienza del virus, sappiamo che l’eventuale minaccia totalitaria che si annida nel futuro potrà essere una dittatura sanitaria. Dittatura globale e/o nazionale, giustificata da norme anti-contagio. Vi invito a un viaggio letterario e forse un po’ profetico nel futuro globale, partendo dai nostri giorni. Stiamo sperimentando sulla nostra pelle che nel nome della salute è possibile revocare la libertà, sospendere i diritti elementari e la democrazia, imporre senza se e senza ma norme restrittive, fino al coprifuoco. È possibile mettere un paese agli arresti domiciliari, isolare gli individui, impedire ogni possibile riunione di persone, decomporre la società in molecole, e tenerla insieme solo con le istruzioni a distanza del potere sanitario. Più magari un vago patriottismo ricreativo e consolatorio, da finestra o da balcone… Nessuno mette in discussione la profilassi e la prevenzione adottate, si può dissentire su singoli provvedimenti, su tempi, modi e aree di applicazione; ma nessuno vuol farsi obiettore di coscienza, renitente, se non ribelle, agli imperativi sanitari vigenti.
E comunque tutti li accettiamo col sottinteso che si tratta di un periodo breve, transitorio, uno stato provvisorio d’eccezione. Ma se il rischio dovesse protrarsi, si potrebbe protrarre anche la quarantena e dunque la carcerazione preventiva di un popolo. Disperso, atomizzato, in tante cellule che devono osservare l’obbligo di restare separate (ecco come sterilizzare il populismo). Del resto, anche un’esperienza breve ma traumatica lascia segni destinati a durare e modificare il nostro rapporto col potere, con la vita e con gli altri. Il tema di fondo è antico quanto l’uomo e la politica. Il potere regge sulla paura, lo diceva Hobbes e in modi diversi Machiavelli. E lo dicevano gli antichi prima di loro. E la paura è sempre, alla fine, paura di morire. A volte si affronta e si addomestica quel timore attraverso due grandi rielaborazioni mitiche e sacrali: la visione eroica della vita o la visione religiosa ultraterrena. Se il modo in cui spendi la vita vale più della vita stessa, se l’aspettativa dell’Aldilà supera la difesa della pelle qui e ora, ad ogni costo, allora magari puoi scommettere fino in fondo.
Se sei disposto a rischiare anche la vita hai una libertà che nessuno può toglierti. Ma se tutto è qui e non ci aspetta altro, né la gloria né l’eternità, allora la vita è l’assoluto e per lei siamo disposti a tutto, in balia di chiunque possa minacciarla o proteggerla. La libertà dalla paura ha anche una variante disperata: se vivi nella schiavitù e nella miseria più nera, se non hai nulla da perdere se non il tuo inferno quotidiano, allora forse sei disposto a mettere a repentaglio la tua incolumità e perfino la tua sopravvivenza. Ma se tutto sommato hai la tua casa e i tuoi minimi agi, la tua vita passabile, se non serena, allora no, la salvaguardia della salute è imperativo assoluto, e giustifica ogni rinuncia. E la nostra è una società salutista e in fondo benestante, che ha un solo, umanissimo e unanime imperativo, vivere più a lungo possibile e possibilmente bene. Di conseguenza davanti al terrore di contaminarsi e al rischio di morire, non c’è diritto, libertà, voto, opinione che tenga. Prima di tutto la salute. La voglia di sicurezza, fino a ieri esecrata, diventa una priorità assoluta. È la biopolitica.
Se riscrivessimo oggi 1984 o “La Fattoria degli animali” di George Orwell, “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley o “Il Padrone del Mondo” di Robert Hugh Benson, se immaginassimo una distopia, cioè un’utopia negativa nel futuro, figureremmo un potere totalitario che usa la sanità, il contagio e la protezione dal contagio come la sua arma di dominazione assoluta. Magari non limitandosi a fronteggiare i casi di contagio ma procurandoli perfino, per esercitare poi il suo potere totalitario sulla società o su paesi che resistono alla sottomissione. Stiamo parlando di letteratura e non di realtà storica, sappiamo distinguere tra i fatti e l’immaginazione, non ci lasciamo prendere da nessuna sindrome del complotto diabolico. Però la letteratura a volte enfatizza, figura, esprime alcune latenti ma reali preoccupazioni della gente e a volte – pur nella sua narrazione fantasiosa – coglie alcune inquietanti tendenze e costeggia perfino alcune profezie. Pensiamoci, pur mantenendo lo scarto tra la realtà e l’immaginazione.
Qualche giorno fa sottolineavo gli aspetti positivi della tremenda situazione che stiamo vivendo, la riscoperta di alcuni principi fino a ieri condannati: l’ordine e la disciplina, l’orgoglio nazionale e il senso della casa, solo per dirne alcuni. Ora sto sottolineando invece le controindicazioni inverse, gli effetti collaterali possibili di un terrore sanitario collettivo. Perché ogni scenario che si apre ha almeno due principali possibilità di sviluppo, oltreché di lettura, più un’infinità di varianti, gradi e sfumature. Nel frattempo, patisco come voi queste interminate giornate di prove tecniche di fine umanità, con le metropoli ridotte, come aveva scritto Eugenio Montale riferendosi a Milano, a “enorme conglomerato di eremiti”. Una sera ho passeggiato da solo a Roma tra le rovine della contemporaneità, ben più spettrali e desolanti delle rovine antiche. E mi ha fatto così male che non ci riproverei più, anche se avessi una dispensa speciale per farlo. Non puoi vivere se il mondo intorno è morto. Ma restiamo in attesa di resurrezione.
(Marcello Veneziani, “Il pericolo di una dittatura sanitaria”, da “La Verità” del 15 marzo 2020).
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Nuccio Ordine: “la buona scuola è solo quella in cui sono buoni professori”
di Aurora Pepa
pubblicato il 19 Febbraio 2018
In un periodo buio, buissimo, per il sistema dell’istruzione nazionale, che sempre più sta gettando nel dimenticatoio la vera essenza dell’importanza della formazione, ci sono ancora – per fortuna – docenti che si rifiutano di concepire quello scolastico come un ambiente dove parcheggiare giovani apatici nel periodo di vita che va dall’infanzia all’adolescenza. Nuccio Ordine è uno di questi: tenta di ribellarsi alla legittimazione smisurata dell’utilizzo degli smartphones in classe, si oppone all’idea che l’alternanza scuola-lavoro possa sostituire le ore di lezione tradizionali, crede ancora con forte convinzione che la cultura sia uno degli aspetti più utili nella vita di un essere umano e di un Paese.
Professor Ordine, l’“utilità dell’inutile”, prima ancora di essere il titolo di un suo libro, è un concetto. Cosa significa?
Si tratta di due termini che, per essere capiti, vanno inseriti in un contesto ben preciso: se noi volessimo sapere cosa è utile e cosa è inutile nella nostra società, basta guardare i bilanci dei governi. Semplicemente, è utile ciò che non viene tagliato. Inutile è invece ciò che viene tagliato: la scuola e l’università, la cultura, le biblioteche e i beni archeologici.
Come è possibile che la cultura sia ritenuta inutile?
Essa non produce profitto ed il vero dramma è che proprio i saperi in senso lato, che dunque non producono profitto, sono invece a mio avviso ciò di cui l’umanità ha più bisogno. La letteratura, la filosofia, l’arte, le biblioteche, gli scavi archeologici … Sono tutti fondamentali per cercare di rendere più umana l’umanità.
Che futuro prevede per il mondo della scuola, dell’università e dell’istruzione in generale?
Di fronte a noi, adesso, abbiamo un quadro disastroso: siamo in un momento in cui la scuola soffre perché non ci sono finanziamenti, in cui si riducono i sostegni alle università e alla ricerca scientifica di base, in cui il numero dei docenti si è ridotto vorticosamente negli ultimi anni a causa dei pensionamenti non rimpiazzabili. La tendenza generale è quella di pensare che la scuola moderna, la cosiddetta “buona scuola”, consista nell’investimento di soldi per la scuola digitale: questa è una follia terribile! Introdurre e legittimare, come è stato fatto negli ultimi giorni, l’uso dello smartphone in classe è una pazzia. Si crede che per leggere Dante e per studiare Kant sia necessario avere il supporto digitale, quando invece tutti sappiamo che la “buona scuola” la fanno solo e soltanto i buoni professori. Anziché investire per la formazione, per la selezione e per la retribuzione dei docenti, ci siamo abituati a pensare che un professore che abbia una classe fornita di smartphone possa far circolare meglio il sapere.
Cioè?
Basterebbe guardare ciò che è accaduto in Paesi che hanno già fatto questi esperimenti, come il Regno Unito: lì, si sono spesi milioni e milioni di sterline per investimenti di tipo digitale e, alla fine, gli ispettori non riescono ancora a comprendere se e in quale modo tali dispositivi digitali siano riusciti realmente a far studiare meglio i ragazzi. Al contrario, numerosi studi dimostrano che, utilizzandoli, gli studenti si distraggono molto più facilmente: un vero e proprio grido d’allarme, perché oggi i nostri giovani passano troppo tempo davanti agli schermi di cellulari e computers. La scuola dovrebbe disintossicarli da questi dispositivi.
E invece?
E invece questa scuola è una scuola costruita male, perché fa credere agli studenti che si debba studiare per imparare un nuovo mestiere: è una scuola che produrrà solamente buoni consumatori che, in maniera sempre entusiastica, acquisteranno dispositivi elettronici pensando che il sapere e la modernità passino attraverso tali strumenti.
Quanto le nuove generazioni percepiscono come utile – se effettivamente così la percepiscono – la cultura?
È questo il nodo centrale: gli studenti hanno la percezione che viene loro suggerita dalla scuola e dalla società. Molti colleghi, in maniera a mio avviso errata, puntano il dito contro gli studenti accusandoli di essere poco partecipativi e disinteressati, ma gli studenti sono semplicemente il frutto di questo tipo di società. La società li schiavizza, facendo loro credere che la scuola serve non ad insegnare qualcosa e a farli diventare uomini migliori, ma a proiettarli già in un mestiere che porterà al guadagno di soldi: è anche questa una forma di corruzione.
Ad esempio?
Basti pensare alla domanda “che cosa vuoi fare da grande?” che viene sempre sottoposta ai ragazzini di terza media, di modo che essi scelgano la scuola superiore e poi l’università già in sintonia con un disegno prestabilito. Questo dimostra che gli studenti non riescono più a comprendere il valore in sé della cultura: etimologicamente, “scuola” deriva dal greco “scholé”, che significa otium ed è per questo che a scuola si va per diventare migliori, non per fare cose che si possano poi tradurre in una utilità di tipo economico. Eppure, la parte migliore di questo Paese sono proprio gli studenti!
Che significa?
Quando gli studenti trovano un professore motivato, che ama ciò che insegna e che entra in classe ed è capace di entusiasmarli perché lui per primo crede in quello che sta facendo … allora gli studenti si appassionano. I giovani hanno bisogno di valori forti, devono poter vedere il legame che c’è tra la letteratura, l’arte, la filosofia e la vita. Far credere loro che è necessario conoscere l’Ariosto per superare un esame, prendere una laurea e poi trovarsi un lavoro, vuol dire svilire il messaggio culturale e formare solo futuri consumatori passivi. La scuola dovrebbe essere il luogo di resistenza ai luoghi comuni della società. Oggi tutto va nella direzione della velocità, della superficialità e dello scambio immediato, ma è proprio la scuola che ha il compito di far capire che imparare vuol dire lentezza, sedimentazione, raccoglimento e silenzio.
Che idea si è fatto lei dell’alternanza scuola lavoro?
È una maniera per non far comprendere ai ragazzi che una scuola seria presuppone comunque un lavoro. Quali sono le proposte che l’alternanza scuola-lavoro fa? Mandare gli studenti nei McDonald’s a perdere delle ore importanti che potrebbero essere investite in maniera sicuramente più intelligente. Non solo la riforma è applicata male, ma personalmente non sottrarrei mai delle lezioni ai ragazzi, durante l’anno scolastico, anzi quelle ore le investirei per fare ancora di più ed approfondire altri saperi. Allo stesso modo, però, ritengo anche che sia giusto che un giovane impari fin dai quattordici, quindici anni l’importanza del lavoro e di fare dei sacrifici: penserei allora a dei progetti da sviluppare per qualche settimana durante il periodo estivo, così da non togliere quella quantità infinita di ore agli studenti durante l’anno scolastico.
Qual è un autore che ognuno dovrebbe leggere, almeno una volta nella vita, anche in relazione ai tempi difficili che il mondo sta attraversando?
Ce ne sarebbero tanti, ma direi senza dubbio Ludovico Ariosto, un autore a me molto caro: se potessi, imporrei a tutti di leggere l’Orlando Furioso. In primo luogo, perché, a dispetto di quello che pensava l’arcivescovo di Ferrara con le sue omelie contro gli immigrati, la famiglia estense deriva da quello che oggi verrebbe chiamato “un extracomunitario”. L’Ariosto, infatti, proprio dal matrimonio tra Bradamante e Ruggiero fa discendere la famiglia d’Este: ma Ruggiero è un musulmano, dunque pagano, convertitosi poi al cristianesimo. La grandezza dell’Ariosto sta proprio nel far capire che dietro a pagani e cristiani ci sono innanzitutto esseri umani. In secondo luogo, poi, vi è nella sua opera tutta la relatività dei punti di vista: in un’epoca piena di spacciatori di verità e di certezze, leggere la realtà alla luce dei dogmi significa non capirla. Oggi proprio la diversità ed il molteplice vengono giudicati negativamente: l’amore e l’odio, la follia e la saggezza, la simulazione e la dissimulazione, sono tutte facce della stessa medaglia, ed è la complessità della vita che ci fa comprendere come guardare la stessa cosa da prospettive diverse voglia dire vederla diversa. E, in questo, Ariosto è stato un maestro.
CONFLITTI GEOPOLITICI
Riflessioni su immigrazione e terrore islamista
PUBBLICATO IL 27 GIUGNO 2015 RILETTURA NECESSARIA
Vorrei fare il punto della situazione alla luce degli ultimi, tragici, eventi. Anzitutto l’immigrazione.
Gli scafisti non sono “mercanti di schiavi”, sono trasportatori che forniscono, dietro lauto pagamento, il servizio che viene loro richiesto.
Gli immigranti non sono schiavi, sono passeggeri volontari e paganti.
Nessuno li ha dovuti costringere a imbarcarsi, l’hanno fatto volontariamente.
L’industria dell’”accoglienza” creata dalla pelosa carità pubblica è fonte di lauti profitti per un considerevole numero di furbastri.
Sono questi gli unici disonesti dell’intera storia.
Sono loro che dovrebbero essere puniti, e severamente; certamente non gli scafisti, né tanto meno i migranti.
Date le tendenze demografiche prevalenti in Europa, l’opposizione all’ingresso di persone che desiderano vivere e lavorare nei nostri paesi è poco giustificata. Secondo i demografi, sono trenta le nazioni europee moribonde, che hanno cioè un tasso di fertilità pari o inferiore a 1,5. Comprendo senza difficoltà le preoccupazioni che l’afflusso d’immigranti suscita nell’opinione pubblica europea. Sono di due ordini, culturale e relativo alla sicurezza.
Si teme che il massiccio ingresso di persone di lingua, religione e cultura diverse dalla nostra finisca col trasformare le nostre società e cancellarne l’identità. E’, tuttavia, un timore fondato sulla scarsa fiducia nei nostri valori, nel nostro modo di vivere. Non credo proprio che, se un paio di milioni d’immigranti venissero a stabilirsi in Italia, invece di assorbire loro la nostra lingua e la nostra cultura, sarebbero i sessanta milioni d’italiani a smettere di esserlo.
Il problema della sicurezza è più serio.
Molti dei potenziali immigranti proverrebbero da paesi mussulmani e alcuni fra loro potrebbero essere indottrinati dall’ideologia nazi-islamista.
È un pericolo grave che, alla luce di quanto accaduto in questi giorni, deve essere attentamente preso in considerazione. Tuttavia, per i giovani che vogliono stabilirsi in Italia per trovarvi lavoro una soluzione ci sarebbe.
Non è per niente nuova, risalendo all’Impero Romano, ma potrebbe credo funzionare. Agli inizi del mio periodo alla Difesa incombeva il problema dell’afflusso di albanesi che volevano venire a vivere in Italia.
Proposi che avremmo dovuto lasciarli entrare e arruolarli in un’apposita brigata albanese.
Avrebbero servito per cinque anni, durante i quali avrebbero imparato la nostra lingua, la nostra storia, le nostre leggi e un mestiere. Al termine dei cinque anni, avrebbero potuto diventare cittadini italiani.
Per l’Italia quest’operazione sarebbe stata decisamente conveniente: avremmo avuto a basso costo una brigata di militari di religione mussulmana, utilizzabili molto efficacemente nelle missioni internazionali in paesi islamici e, al termine dei cinque anni, persone che, grazie a un rigoroso addestramento militare, sarebbero diventate cittadini utili alla società e rispettosi delle leggi.
La mia non è, come potrebbe sembrare, una proposta, è soltanto una riflessione dettata dalla stanchezza nei confronti degli insensati slogan che sull’argomento impazzano.
Mi piacerebbe conoscere l’opinione dei frequentatori di questo blog sul tema.
http://antoniomartino.org/riflessioni-su-immigrazione-e-terrore-islamista/
L’occidente attacca il mondo che orbita verso Russia e Cina
Scritto il14 MARZO 2020
Andre Vltchek, New Eastern Outlook 13.03.2020
Francamente e in sintesi: recentemente gli Stati Uniti d’America hanno superato diversi limiti commettendo atrocità in molte parti del mondo. In passato, alcun paese poteva cavarsela; tali situazioni porterebbero inevitabilmente alla guerra. Attualmente, la guerra viene “evitata” solo perché il mondo è troppo spaventato da Washington e dalle sue azioni mafiose. I Paesi di tutti i continenti accettano l’illegalità e la delinquenza di Washington ed alleati; amaramente, ma accettano. Se ordinato, molti si mettono in ginocchio, implorando pietà. Se colpiti duramente, perdono coraggio e forza di reagire. Non ci sono sanzioni, né embarghi imposti agli Stati Uniti, che è il peggior violatore del diritto internazionale. Non ci sono azioni di ritorsione intraprese contro il loro bullismo, attacchi, operazioni segrete e palesi. L’ONU è uno zimbello, sdentato ed irrilevante, sinonimo di interessi occidentali. Il fatto è che il mondo è spaventato. È pietrificato. Proprio come una piccola creatura è pietrificata e immobilizzata di fronte a un cobra. È arrivato a questo livello. Ad un livello primitivo, mai visto prima. In passato, le colonie reagivano mirando all’indipendenza. L’Indocina combatté contro l’impero occidentale, perdendo milioni, di persone ma combatté. Ora Washington e i suoi alleati commettono crimini e ridono in faccia alle vittime: “E adesso? Che cosa hai intenzione di fare? Mi colpisci? Prova; Brucerò vivi i tuoi familiari, spezzerò tutte le tue ossa”. Pensi che esageri? Oh no, affatto! Questo è il livello in cui l’occidente è sprofondato. E quasi nessuno osa parlarne! Tranne… Beh, certo, tranne Russia, Cina, Iran e poche altre nazioni coraggiose.
Ma guardate cosa è successo all’Iran. È solo un esempio di quanto sia pazza, folle la politica estera di Washington (se si potesse davvero definirla una politica estera): L’Iran non ha fatto nulla di male a nessuno; almeno non nella storia recente. Nel 1953, l’occidente organizzò e attuò un orribile colpo di stato contro il Primo ministro democratico e di sinistra Mohammad Mosaddegh. Washington e Londra misero sul trono un vero mostro: Shah Reza Pahlavi. Milioni di vite furono rovinate. Persone furono torturate, violentate e assassinate. Poi, nel 1980, l’Iraq fu armato e scatenato contro l’Iran, sempre dall’occidente. Di conseguenza, centinaia di migliaia di persone morirono. Ma no, non bastava! L’Iran moderno, socialista e internazionalista ha contribuito a difendere il Medio Oriente dal terrorismo scatenato dall’occidente e dai suoi alleati nel Golfo. Teheran unì le forze con diversi Paesi di sinistra in America Latina, incluso il Venezuela, aiutandoli, tra le altre cose, a costruire alloggi sociali, media e l’industria petrolifera. Pertanto, l’Iran è diventato il bersaglio di Stati Uniti ed Israele. Il presidente Trump annullò il Piano d’azione globale congiunto (JCPOA), un accordo vantaggioso per tutti. Senza ragione, furono reintrodotte le sanzioni contro l’Iran. Gli alleati dell’Iran in Iraq, Siria, Libano, Yemen e altrove, furono attaccati dai droni israeliani e dagli aerei da guerra e da implacabili bombardamenti sauditi. Quindi, gli Stati Uniti uccisero la più venerata figura militare iraniana, il Generale Qasim Sulaymani sul suolo iracheno. Questo fu un doppio atto di guerra, contro l’Iran e l’Iraq, che aveva ufficialmente invitato il Generale Sulaymani a negoziare il processo di pace coi sauditi. Quindi, il vero banditismo di Washington si svelò. L’Iran, oltraggiato e in lutto, dichiarò vendetta; di vendicare l’omicidio del suo eroico comandante, così come gli altri che furono uccisi dall’attacco nordamericano vicino all’aeroporto di Baghdad. Trump e il suo entourage risposero immediatamente minacciando l’Iran, dichiarando che se osava delle ritorsioni, avrebbe affrontato una terribile ritorsione. Fondamentalmente, gli Stati Uniti affermavano di poter uccidere un popolo ovunque vogliano, e se si reagisce, si riserva il diritto di cancellarlo. Il mondo non fece nulla. Non fa niente. Le Nazioni Unite non fanno nulla di concreto per fermare il più grande prepotente. Il 4 gennaio 2020, Donald Trump twittò in 3 messaggi qualcosa che assomigliava vagamente alla lingua delle forze di occupazione tedesche durante la Seconda Guerra Mondiale: “L’Iran parla in modo molto audace di prendere di mira alcuni beni statunitensi come vendetta per aver liberato il mondo del loro leader terrorista che aveva appena ucciso un americano e ferito gravemente molti altri, per non parlare di tutte le persone che aveva ucciso durante la sua vita, tra cui recentemente centinaia di manifestanti iraniani. Stava già attaccando la nostra ambasciata e si preparava ad ulteriori colpi in altre località. L’Iran non era altro che problemi per molti anni. Lasciate che ciò serva da AVVERTIMENTO che se l’Iran colpisce qualche nordamericano o beni nordamericani, prendiamo di mira 52 siti iraniani (che rappresentano i 52 ostaggi nordamericani presi dall’Iran molti anni fa), alcuni ad un livello molto alto ed importanti per l’Iran e la cultura iraniana e quegli obiettivi, e l’Iran stesso, SARANNO COLPITI MOLTO VELOCEMENTE E DURAMENTE. Gli Stati Uniti non vogliono più minacce!” Menzogne oltraggiose, manipolazioni di un affarista primitivo, eletto dal popolo nordamericano per guidare il proprio Paese e il mondo. Un uomo incolto (una delle cose che, forse, l’ha reso così popolare tra così tanti nel suo Paese). Quello che diceva veramente è questo: “Abbiamo rovesciato il vostro governo, scatenato una guerra contro di voi, imposto sanzioni, impedito di vendere il vostro petrolio e poi abbiamo ucciso il secondo uomo più importante del vostro Paese. Va tutto bene. Ma se vi difendete, se osate vendicarvi, bombarderemo il vostro Paese fino all’età della pietra, dato che abbiamo bombardato così tanti altri Paesi così, tra cui Laos, Cambogia e Vietnam”. Tutto questo perché Stati Uniti ed occidente credono di essere costituiti da eletti. Che sono diversi e per definizione giusti. E cioè, amici e compagni, la stessa “filosofia” usata da SIIL ed al-Qaida. È un fanatismo religioso profondo, estremista. Poiché gli Stati Uniti usano il fondamentalismo di mercato nelle loro guerre commerciali, applicano il fanatismo primitivo nel modo con cui trattano il resto del mondo. In un certo senso, l’ordine mondiale ora assomiglia all’ordine imposto a Mosul dall’occupazione dello SIOL.
Dopo l’assassinio del Generale Sulaymani, il pianeta ne fu oltraggiato, tra cui alcuni alleati di Washington. Anche Israele rifiutò di appoggiare gli Stati Uniti in questo caso. L’UNESCO (che gli Stati Uniti lasciarono dopo aver riconosciuto la Palestina e rifiutato di seguire il diktat di Washington), dichiarò, come riportato da RT: “Nel frattempo, l’UNESCO ha anche detto agli Stati Uniti di stare lontano dal patrimonio culturale iraniano, ricordando a Washington che è parte di trattati che proibiscono esplicitamente il bombardamento di siti culturali durante i conflitti armati”. Ma non è tutto. Non è finita solo coll’Iran. L’Iraq, oltraggiato dall’omicidio di alleati iraniani sul proprio territorio e che alcuni suoi cittadini venissero uccisi dall’attacco, chiese il completo ritiro delle forze militari statunitensi. La risposta di Trump: “Se ci chiedono di andarcene, se non lo facciamo su base molto amichevole, gli addebiteremo sanzioni come non hanno mai visto prima. Abbiamo una base aerea straordinariamente costosa. Costruirla costò miliardi di dollari. Molto prima di me. Non partiremo se non ci ripagheranno per questo”. Ora pensate solo a quello che è successo: l’Iraq fu affamato e bombardato, e centinaia di migliaia morirono a causa dell’uranio impoverito utilizzato nelle testate statunitensi. Poi ci fu l’invasione nordamericana del 2003. Il Paese fu completamente rovinato. Una volta orgoglioso l’Iraq, con un indice di sviluppo umano molto elevato (UNDP) praticamente collassò, divenne un mendicante. Inoltre, i gruppi terroristici furono inoculato nel suo territorio, per così dire, e in Siria. E ora il presidente del Paese occupante chiede che la vittima, l’Iraq, paghi le basi militari costruite sul suo territorio? Questo è, ovviamente, completamente malato, grottesco, ma nessuno ride, proprio come nessuno vomita in pubblico. E tali tattiche mafiose hanno pagato finora. L’Iraq che alla fine osava alzarsi, che urlava forte, abbattuto dall’occupazione, iniziò a indietreggiare. L’ufficio di Abdul Mahdi emise un comunicato: “Il primo ministro notava l’importanza della cooperazione reciproca per attuare il ritiro delle truppe straniere, in linea con la risoluzione del parlamento iracheno, e per stabilire le relazioni cogli Stati Uniti su base adeguata”. Certo, le minacce e i carri armai statunitensi sul territorio iracheno spaventavano molte persone a Baghdad. Le forze di occupazione degli Stati Uniti non hanno mai portato nulla di buono alle loro vittime. Il miglior esempio è l’Afghanistan, un tempo orgoglioso Paese socialista, dove donne e uomini godevano di pari diritti. Circa due decenni dopo l’occupazione USA/NATO, il Paese è il più povero con la più breve aspettativa di vita nel continente asiatico. Vi lavorai in diverse occasioni e rimasi scioccato dalla bestialità del dominio degli Stati Uniti. Donne vestite di Burqa che chiedono l’elemosina coi loro bambini, sedute su dossi stradali vicino alle basi militari statunitensi. Queste basi sono circondate da papaveri utilizzati per la coltivazione e la produzione di droghe, sotto la sponsorizzazione di Stati Uniti e Regno Unito. E i mercenari stranieri, così come i soldati della NATO, mi raccontarono storie orribili di disprezzo: come il cibo inutilizzato bruciato dagli statunitensi mentre la gente muore di fame. Come, quando una vecchia base viene abbandonata, viene demolita. La logica è semplice: “Non c’era nulla quando venivamo e non ci sarà nulla dopo la nostra partenza!” Ma pagare per le basi di occupazione è qualcosa di nuovo; un nuovo concetto dell’impero. Siria, “Vogliamo petrolio” dichiarò Trump. Niente leccornie, niente nascondino. L’esercito nordamericano rimani. I militari turchi, che da anni sostengono i terroristi, rimangono. I terroristi uiguri appoggiati dagli USA restano nella zona d’Idlib. Mentre, di recente, il 24 febbraio, gli israeliani bombardavano la periferia di Damasco. E tutto ciò può accadere. Alla luce del sole. Impegnati da persone che supportano apertamente, promuovono persino la tortura. Imperialisti che la BBC recentemente descrisse come “non interventisti!” In breve: regime degli Stati Uniti.
Negli ultimi mesi, Washington ha creato e finanziato le rivolte a Hong Kong, intimidendo la Cina, cercando di ingannare la nazione più popolosa con la repressione di traditori che chiedono il ritorno del dominio colonialista inglese, nonché un’invasione degli Stati Uniti. La Cina affronta la brutale aggressione della propaganda occidentale collegati al coronavirus. Washington rovesciava il governo socialista e democratico multietnico in Bolivia e fa morire di fame milioni di persone, sostenendo al contempo una marionetta di destra auto-proclamata ed illegittima in Venezuela.
Le cose che l’occidente fa a Cina e Russia avrebbero porttato a una guerra, se fossero accadute 30 anni fa. Più diplomazia viene usata da Russia e Cina, più aggressivi diventano gli Stati Uniti, più si sentrno rassicurati del proprio eccezionalismo. È tempo di ripensare l’intero concetto di ingaggio cogli Stati Uniti. Poiché Stati Uniti e loro alleati hanno già superato i limiti ed ora tengono in ostaggio l’intero mondo. Forse quello che viviamo non è una guerra, almeno non nel senso classico della parola, ma è un’occupazione brutale e senza vergogna. Quasi l’intero pianeta fu occupato dall’Europa circa 100 anni fa. Ora è occupato, direttamente e indirettamente, dalla progenie europea, gli Stati Uniti. Non è sempre un’occupazione militare, ma è un’occupazione. Il mondo è in ostaggio. Pietrificato. Non osa parlare, sognare, spesso nemmeno pensare. Questa è la disposizione globale più antidemocratica che si possa immaginare. Il mondo è in ginocchio. Si è arreso, come in un rituale religioso estremista. Viene colpito ma non risponde. Viene saccheggiato, ma non osa proteggere se stesso e la sua gente. Tutto ciò non ha senso: i Paesi occupati, o i cui i governi rovesciati, vivono ora in assoluta miseria, anche in agonia: Iraq e Libia, Afghanistan, Indonesia, Honduras, Brasile, per citarne solo alcuni. Per quanto tempo il mondo intero leccherà gli stivali di un Paese con solo circa 300 milioni di abitanti, che non produce nulla e governa il mondo con brutalità e paura? Stampa solo denaro. Insulta la logica umana. Volgarizza tutto sulla terra; tutto ciò che era sacro per l’umanità. Devo ricordare a chi preferisce non accorgersene: milioni muoiono ogni anno nel mondo a causa di tale “disposizione del mondo”. La resa e la sottomissione non salvano vite. L’impero non si ferma mai; non ne ha mai abbastanza. E un’altra saggezza antica: inginocchiarsi al terrore non ha mai portato liberazione o progresso! In sempre più Paesi che visito, nel mondo, le persone ammirano la “via russa” e la “via cinese”. Non lo leggerete mai nei media occidentali, ma proprio questo accade: i Paesi feriti, brutalizzati e umiliati cominciano ad orbitare verso quei grandi Paesi che si oppongono orgogliosamente rifiutandosi di arrendersi al terrore occidentale.
Andre Vltchek è filosofo, romanziere, regista e giornalista investigativo. È un autore del Mondo di parole e immagini di Vltchek ed ha scritto numerosi libri, tra cui la L’iniziativa Cintura e Via della Cina: Paesi che si collegano salvando milioni di vite. Scrive in particolare per la rivista online “New Eastern Outlook“.
Traduzione di Alessandro Lattanzio
http://aurorasito.altervista.org/?p=10796
CULTURA
IL DRAGO: MITO E SIMBOLO
di Carla Amirante
Relazione al Convegno internazionale Il simbolo nel mito attraverso gli studi del Novecento, Recanati – Ancona ottobre 2006 – Pubblicata nell’omonimo volume di Atti del Convegno, Ancona 2008
Abstract
Il saggio prende in esame la figura del Drago sottolineando la sua origine antichissima – addirittura preistorica – e la sua longevità, che gli ha permesso di giungere fino ai nostri giorni come personaggio mitico simbolo di forza e potenza.
La sua presenza nel passato, anche come divinità, presso tutte le genti del globo è stata caratterizzata in maniera differente, nelle varie epoche storiche e diverse aree
geografiche, per quanto riguarda sia il suo aspetto fisico, sia i suoi tratti psicologici ed intellettuali. Questa varietà di significati di cui è stato caricato, ora come immagine negativa di violenza bruta, primordiale e distruttiva, ora come personificazione di qualità positive, ha permesso a questo animale mitico di nascere con certezza più di seimila anni fa, di giungere vitale ai nostri giorni e di entrare nell’epoca del futuro in ottima forma come protagonista di storie fantastiche.
Il suo percorso storico, dopo una prima apparizione in epoca preistorica, incomincia con le prime civiltà mesopotamiche ed egizia e prosegue con i Greci, gli Ebrei e le popolazioni del Nord-Europa. Ovviamente si è posta un’attenzione particolare alla cultura dell’Estremo-Oriente, Cina e Giappone, dove il Drago è stato venerato e profondamente sentito, entrando addirittura nel vissuto quotidiano. Infine, non si sono volute trascurare le credenze dei popoli ancora primitivi alla fine dell‟800.
La ricerca termina con un rapido excursus sul drago nell’arte, incluso il settore cinematografico.
Generalità
Il Drago è un animale decisamente fuori dal comune, è l’essere favoloso e grandioso per eccellenza, che raccoglie in sé elementi sia positivi che negativi a seconda delle epoche storiche o dei luoghi geografici presi in esame. Esso, nelle molte storie in cui è presente, non figura come il primo attore ma sicuramente come un comprimario molto importante, ed è sempre una figura di grande prestigio ed autorevolezza che non va sottovalutato mai, sia che agisca a fin di bene sia che procuri devastazioni e morti.
Il termine drago deriva dalla parola greca drákōn, che a sua volta prende origine dal verbo dérkesthai che significa “guardare”, e dalla parola latina drăco (nom.), dracōnen (acc.): entrambi i termini si pongono in relazione con la vista, infatti una delle caratteristiche più importanti del Drago è quella di possedere uno sguardo acutissimo e paralizzante.
La sua vita è lunghissima perché inizia in tempi lontanissimi e giunge fino ai tempi nostri rinverdita dal cinema, dalla televisione e dalla narrativa Fantasy. La sua nascita si perde nella notte dei tempi ed è coeva a quella delle divinità più antiche con le quali spesso si trova in lotta per il dominio del mondo. Il suo aspetto del resto, a testimonianza della sua antichità, è molto simile agli unici draghi veramente esistiti, che sono stati i dinosauri, vissuti nel mesozoico, circa cento milioni di anni prima dell’uomo ed estintisi alla fine del cretaceo (65 milioni di anni fa). La credenza della loro reale esistenza si può spiegare, secondo la teoria di F. Dacque, in una memoria originaria di essi che si sia fissata nel DNA dell’uomo anche se quest’ultimo è venuto al mondo molto tempo dopo.
Vi può essere anche un’altra teoria che spieghi simile credenza, basata sul fatto che in vari luoghi della terra sono state rinvenute ossa e carcasse di giganteschi animali preistorici. Questi ritrovamenti, inspiegabili per gli uomini del tempo antico hanno creato la leggenda dell’esistenza del Drago.
Possiamo anche pensare ad una visione della natura fantasiosa e poetica, doti che certo non mancavano negli uomini primitivi, che hanno voluto vedere nelle forme particolari delle montagne, dei fiumi od anche delle nuvole delle figure straordinarie e favolose simili a persone o animali fantastici, tra cui il Drago.
Il Drago ha caratteristiche fisiche multiformi: infatti, benché sia in origine nato con sembianze di gigantesco rettile, con il trascorrere dei secoli ha assunto forme più complesse, frutto della fantasia dei vari popoli: converrà quindi prendere in esame tutte le sue diverse manifestazioni.
La sua prima apparizione sulla scena dell’immaginario umano è quella di enorme serpente, ed infatti la costellazione, che da lui prende il nome di Drago, ha proprio la forma di un lungo rettile ed occupa un posto astronomico di vitale importanza, perché, a causa della precessione degli equinozi, il polo celeste compie ogni 25765 anni il giro completo di una circonferenza il cui centro si trova sul dorso di questa costellazione. Inoltre, i due nodi, quello ascendente e quello discendente, i punti degli equinozi, erano visti come la testa e la coda del Drago: il primo è il punto in cui il Sole, all’inizio della primavera, interseca l’equatore celeste ed il secondo, quello in
cui sempre questo astro lo incrocia di nuovo in autunno, ed inoltre in questi punti le orbite dei pianeti e della Luna si incontrano con l’eclittica dando luogo alle eclissi di Sole. Sappiamo quanto gli uomini antichi fossero superstiziosi e dessero grande importanza ai fenomeni astronomici, per cui nelle eclissi di Sole immaginavano che il Drago divorasse la Luna. Sempre legati all’immagine del serpente furono i nomi scelti per indicare le stelle più brillanti della costellazione: Eltanin, dall’arabo al-tinnin, “il serpente”, e Thuban, “la testa del serpente”.
In seguito da enorme serpente primordiale, esso divenne prima mostro marino od altro animale mostruoso, poi, con le civiltà che si evolvevano e tendevano ad antropomorfizzare la natura ed i suoi fenomeni, un essere metà uomo e metà bestia, fino a nascondersi sotto sembianze umane; perciò il suo percorso evolutivo è stato molto eterogeneo: in principio serpente, poi animale di enormi dimensioni e di fattezze mostruose tali da incutere grande terrore, in seguito coccodrillo alato che sputava lingue di fuoco, ed infine uomo o donna nell’aspetto esteriore.
Ci sono stati Draghi che, oltre ad avere il corpo di grosso e lungo serpente, hanno avuto le fauci di un coccodrillo, con le corna sulla testa, ma senza zampe ed ali. Altri invece sono completi di tutto, possiedono da due a quattro zampe, due ali, un corpo ricoperto da una corazza di squame che li protegge dai colpi dei nemici rendendoli invincibili, molte teste, che una volta tagliate ricrescono, una cresta dentellata lungo il dorso, lingua e coda biforcute ed inoltre sputano fuoco e fiamme dalla bocca e dalle narici.
I Draghi celesti, soprattutto di origine cinese, sono provvisti di grandi ali che permettono loro di volare molto in alto e velocemente sino al sole.
Ci sono inoltre varie suddivisioni tra i draghi in base al loro colore, bianco, nero, rosso ecc. oppure in base alle loro scaglie d’oro, d’argento, di bronzo ecc. ed ancora suddivisioni a seconda che le scaglie siano formate da pietre preziose come lo smeraldo, il rubino, l’ametista ecc… La dimora del Drago può essere, in relazione alla sua struttura fisica, il cielo come l’abisso dei mari, una profonda caverna, una pianura desolata, un vulcano in piena attività, un bosco, perché egli è, a seconda dei casi, un animale celeste, terrestre o acquatico.
Queste caratteristiche fisiche hanno un significato ben preciso: in base ai colori ed alla materia di cui sono fatti, i draghi hanno infatti doti diverse, poteri particolari.
Se le differenze in base all’aspetto esteriore possono essere molte, in comune hanno la vista acutissima, lo sguardo paralizzante, l’udito molto fine ed un olfatto eccezionale, gli artigli e zanne capaci di sgretolare torri, mura e rocce. Altra caratteristica molto importante di questo animale è la sua capacità di nascondersi sotto diverse sembianze comprese quelle umane, come quelle di un bel giovane o di una graziosa vergine, per meglio raggiungere i suoi scopi non sempre encomiabili; ma per poter usare il suo soffio pestifero e mortale deve riacquistare il suo vero aspetto.
Abbiamo visto sia gli aspetti esteriori diversi che quelli comuni e questa varietà di caratteri riaffiora anche nella personalità del Drago, che in Cina ed in estremo Oriente in genere è un’entità positiva e si presenta come un essere saggio e sapiente, mentre mano a mano che ci si sposta verso l’Occidente e l’Europa esso perde gli aspetti buoni e diviene addirittura simbolo del male, sotto le cui sembianze si può nascondere il diavolo stesso.
Si può dire che il Drago incarna negli aspetti positivi i simboli della forza, della sapienza nel dare saggi consigli e giuste risposte, oppure il ruolo di attento custode del tesoro perché protegge ricchezze e cose sacre contro intromissioni non degne, può addirittura svolgere una funzione apotropaica capace di scongiurare sciagure varie come catastrofi, alluvioni, incendi e malanni; invece se visto in senso negativo, esso incarna vari vizi: l’avidità, perché nasconde e custodisce i tesori utili all’uomo, come l’immortalità o la scienza universale; la voracità, perché divora vitelli, pecore ed esseri umani; la concupiscenza, perché gli vengono offerte le fanciulle vergini; ed ancora il male assoluto, perché in lui si cela il diavolo.
Descritte in grandi linee le caratteristiche fisiche e morali, può affermarsi che il Drago come immagine risponde pienamente al concetto di simbolo perché, analizzando il termine, si evidenziano gli stretti legami che intercorrono con esso.
Brevemente dirò ciò che già sappiamo del termine simbolo: esso è una parola di origine greca formata dalla preposizione syn e dal verbo ballo, che uniti significano “metto insieme”. In origine con questa parola si designavano le due unità di un oggetto spezzato che poteva essere ricomposto in seguito, così ogni singola parte era riconoscimento dell’altra. Con il tempo questo termine ha acquistato il significato di “stare in luogo” e perciò di funzione rappresentativa di qualcos’altro, con forte somiglianza od analogia tra termine ed oggetto simboleggiato.
Analizzando la figura del nostro Drago, la prima impressione che ricaviamo è che la sua persona è fortemente legata alla natura per il fatto stesso di essere un animale. Egli è una grossa bestia primordiale che con la sua forza e la sua mole possente evoca la grandiosità della natura, della terra ai suoi albori di gestazione durante le ere preistoriche. Il drago come animale del sottosuolo provoca le eruzioni dei vulcani ed i terremoti, come animale degli abissi marini genera i maremoti e come animale celeste dà luogo a temporali, tuoni ed uragani; il più delle volte egli unisce in sé tutte
queste potenzialità in quanto possiede le tre caratteristiche naturali, di essere marino o lacustre, terrestre e celeste.
Fermo restando lo stretto legame tra il Drago, elemento visibile del simbolo e l’entità astratta rappresentata, andremo a ricavare altre impressioni e simbologie frutto del pensiero degli uomini, che evolvendosi hanno voluto attribuirgli caratteristiche sempre più complesse.
Spiegare la sua lunga vita è difficile sia per l’estensione del territorio in cui si è mosso, in pratica tutto il pianeta ed anche il cielo sovrastante, sia per la nascita, avvenuta chissà quando, forse in epoca preistorica, e spiegata in maniera diversa dalle religioni antiche, sia infine per le azioni compiute da lui fino ai giorni nostri, tante e multiformi.
Il Medio-Oriente. Rispettando l’ordine cronologico ufficiale del sorgere delle civiltà, inizieremo dal Medio-Oriente, e precisamente dalla Mezzaluna fertile
Continua qui: https://www.academia.edu/39642169/Il_Drago_mito_e_simbolo
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Diplomatici statunitensi coinvolti nella tratta di sangue umano e agenti patogeni per un programma militare segreto
Maurizio Blondet 14 Marzo 2020
(Ricordiamo anche questa scoperta della grande giornalista Dilyana Gaytandzhieva, 12 settembre 2018
US diplomats involved in trafficking of human blood and pathogens for secret military program
L’ambasciata americana a Tbilisi trasporta sangue umano congelato e agenti patogeni come carico diplomatico per un programma militare USA segreto. Documenti interni, che coinvolgono diplomatici statunitensi nel trasporto e nella sperimentazione di agenti patogeni sotto copertura diplomatica, mi sono stati divulgati da addetti ai lavori georgiani. Secondo questi documenti, gli scienziati del Pentagono sono stati dispiegati nella Repubblica di Georgia e hanno ricevuto l’immunità diplomatica per la ricerca di malattie mortali e mordere gli insetti presso il Centro Lugar, il biolaboratorio del Pentagono nella capitale georgiana Tbilisi.
Questa struttura militare è solo uno dei tanti biolaboratori del Pentagono sparsi in 25 paesi in tutto il mondo. Sono finanziati dalla Defense Threat Reduction Agency (DTRA) nell’ambito di un programma militare da 2,1 miliardi di dollari – Cooperative Biological Engagement Program (CBEP) e si trovano in paesi dell’ex Unione Sovietica come Georgia e Ucraina, Medio Oriente, Sud-est asiatico e Africa.
Il biolaboratorio del Pentagono è pesantemente sorvegliato. Tutti i passanti entro un raggio di 100 m sono filmati sebbene il biolaboratorio militare sia situato in una zona residenziale.
Le guardie di sicurezza mi avvertono che se non rispetterò, mostrerò il mio passaporto e lascerò questo posto, sarò arrestata. Anche la mia richiesta ufficiale al Centro Lugar per l’accesso alla struttura e per le interviste è stata respinta.
Esperimenti segreti di notte
Tuttavia, torno di notte quando il laboratorio sembra funzionare ancora. Non importa quanto lontano l’aria è carica di odore di sostanze chimiche. Questo odore proveniente dal centro Lugar di notte viene soffiato dal vento nella zona residenziale. I residenti locali del quartiere di Alexeevka, dove si trova il laboratorio, si lamentano che durante la notte vengono bruciate segretamente sostanze chimiche pericolose e che i rifiuti pericolosi vengono svuotati nel fiume vicino attraverso i tubi del laboratorio.
[…]
I vicini ricordano un tragico incidente che coinvolse quattro filippini che lavoravano al Lugar Center. Due degli stranieri sono morti per un presunto avvelenamento da gas nel loro appartamento in affitto nel blocco 44 dell’insediamento di Alexeevka.
“La prima volta che hanno chiamato il servizio di emergenza ci è stato detto che avevano avvelenamento da cibo da pesce. Ma la seconda volta, quando arrivò l’ambulanza, uscì della schiuma dalla bocca. Gridavano: “Aiuto, aiuto!” Quando sono morti, li hanno portati via e hanno coperto tutto. È successo tutto qui”, Albert Nurbekyan mostra l’appartamento sigillato dove morirono gli scienziati stranieri.
Sangue umano e agenti patogeni come carico diplomatico presso l’ambasciata degli Stati Uniti – documenti trapelati
I documenti interni e la corrispondenza tra il Ministero della Salute della Georgia e l’Ambasciata degli Stati Uniti a Tbilisi mostrano quali esperimenti sono stati condotti presso il Centro Lugar. I documenti trapelati rivelano che l’ambasciata degli Stati Uniti a Tbilisi trasporta agenti patogeni, nonché sangue umano congelato, come carico diplomatico.
Di seguito i documenti che comprovano la natura vampiresca della “valigia diplomatica” … materiali deperibili conservati in ghiaccio secco; agenti patogeni come il batterio Bartonella e suoi anticorpi, Escherichia Coli, Shigella..
Altri documenti eccezionali sono nell’articolo originale di Dylian. Qui:
Gli Usa ammettono: il coronavirus era da noi già nel 2019
Scritto il 15/3/20
«Potrebbe essere stato l’esercito Usa ad aver portato l’epidemia a Wuhan». Così il portavoce del ministero degli esteri cinese Zhao Lijian. Una riflessione nata dopo l’audizione al Congresso degli Stati Uniti del direttore del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie, Robert Redfield, nella quale ha riconosciuto che alcune persone, morte negli Usa di recente causa polmonite, sarebbero invece decedute per Covid-19 non diagnosticato.
«È stato trovato il paziente zero negli Stati Uniti?». Ha rincarato la dose Lijian. «Quante sono le persone infette? Come si chiamano gli ospedali? Potrebbe essere l’esercito americano che ha portato l’epidemia a Wuhan. Siate trasparenti! Rendete pubblici i vostri dati! Gli Stati Uniti ci devono una spiegazione!». La vicenda è riportata da “The Hill”, che spiega come ciò sia parte di una narrativa cospirativa che circola sul web, e che vede il virus portato in Cina dagli atleti americani, e loro numeroso seguito, che si sono recati a Whuan per partecipare ai Giochi mondiali militari, che si sono svolti tra il 18 e il 27 ottobre 2019, praticamente quando è iniziata l’epidemia. Non necessariamente un atto criminogeno, ma una trasmissione involontaria: gli atleti Usa, o il seguito, sarebbero stati già infetti da coronavirus.
La tesi sarebbe sostenuta da una coincidenza: cinque atleti di nazionalità ancora ignota sarebbero stati ricoverati in un ospedale locale per virus ignoto. Vero il ricovero, spiega il “Global Times”, ma si trattava del ben noto colera. E, però, la domanda posta resta. Secondo “Global Research”, già ad agosto, un medico di Taiwan avrebbe avvertito gli Stati Uniti che alcuni decessi per polmonite attribuiti alle sigarette elettroniche, le “svapo”, erano in realtà da attribuire a un nuovo coronavirus. “Repubblica”, a settembre, riferiva di 550 ammalati con problematiche polmonari, che avevano portato ad alcuni decessi. Conto più che approssimativo, se si tiene conto di cosa sia la sanità americana, che all’inizio dell’epidemia, ad esempio, ha negato il tampone a cittadini di ritorno dalla Cina perché non avevano i soldi per pagarli (qualcosa sta cambiando, vedi il “Washington Post”). Certo, la vicenda “svapo” va vista nell’ottica di una guerra mossa dalle potenti industrie del tabacco alla concorrenza, ma è pur vero che non si sono registrati analoghi disturbi in altre aree del mondo, come l’Italia, dove lo “svapo” aveva preso piede.
Ad alimentare la possibilità che la polemica impegnata da Zhao Lijian abbia una sua plausibilità, è anche il fatto che il cosiddetto “paziente zero” di Whuan, da cui è nata l’epidemia, sia ancora causa di controversie. Così andiamo a qualcosa di più inquietante, forse collegato, forse no: il 5 agosto il “New York Times” riportava la notizia che il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie degli Stati Uniti aveva intimato al laboratorio di armi batteriologiche di Fort Detrick di «cessare ogni attività» perché il sistema di filtraggio delle acque reflue non era sicuro. Un po’ quanto viene descritto nel film “Cattive acque”, uscito tre settimane fa in Italia (tempestività di Hollywood), che racconta la storia vera della battaglia giudiziaria intrapresa da un avvocato americano contro l’azienda chimica Dupont, i cui scarichi hanno avvelenato, e continuano ad avvelenare, migliaia di persone (non solo, spiega anche dell’avvelenamento da sostanze chimiche di circa il 90% dell’umanità… da vedere, in streaming, dato che i cinema son chiusi).
Ovviamente si disse che nessuna sostanza pericolosa era effettivamente fuoriuscita da Fort Detrick, che però è stato chiuso in via preventiva. In altra nota, avevamo accennato come a luglio 2019, cioè poco prima della chiusura di Fort Detrick, la Camera degli Stati Uniti aveva chiesto formalmente al Pentagono se avesse testato e usato armi chimiche tra gli anni ’50 e gli anni ’70. Una richiesta insolita e non motivata da problematiche d’attualità. La cui spiegazione potrebbe essere proprio la contaminazione causata da Fort Detrick, notizia che presumibilmente circolava in alcuni ambiti. Un modo per far pressione, in maniera indiretta come si usa in tali casi, sulla vicenda, perché si chiudesse senza suscitare polveroni sull’Us Army. Al di là delle domande, si può notare come l’episodio di cronaca nera – che, ripetiamo, non necessariamente ha a che vedere col coronavirus – abbia come focus Fort Detrick, sito che richiama alla memoria altro ed oscuro.
Qualcuno ricorderà il panico che per diversi mesi attanagliò il mondo dopo l’11 Settembre a causa della diffusione di missive contenenti antrace, letale arma batteriologica. La responsabilità dell’invio della posta avvelenata, indirizzata a personalità importanti e non d’America e del mondo, fu attribuita all’Agenzia terrorista nota come Al-Qaeda (il segretario di Stato americano Colin Powell usò tale minaccia per convincere il mondo della necessità di attaccare l’Iraq, che avrebbe avuto magazzini pieni di antrace). L’Fbi scoprì poi che l’antrace che aveva terrorizzato il mondo proveniva dall’America, da Fort Detrick appunto. La vicenda si chiuse individuando anche un possibile untore, un ignoto ricercatore che prestava la sua opera in quel laboratorio strategico. Che, ovviamente, non avrebbe mai potuto far tutto quel pandemonio globale da solo… tant’è. Morì suicida, tutto insabbiato.
(”Dall’antrace al coronavirus, le vie di Fort Detrick”, post di “Piccole Note” del 13 marzo 2020).
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https://www.libreidee.org/2020/03/gli-usa-ammettono-coronavirus-da-noi-gia-a-ottobre-2019/
ECONOMIA
Il neoliberismo tra sonno e insonnia
di Valentina Fulginiti |
(ATTAC Bologna, Consiglio nazionale e coordinatrice della campagna Gats)*
Anno 2050, quartiere ricco di metropoli europea o nordamericana.
Proviamo a seguire la giornata immaginaria della nostra famiglia tipo. La nostra bambina tipo, di 8 anni, si avvia verso la scuola sul suo pulmino fiammante (gentile omaggio di un’impresa che produce automobili, audiovisivi e software); entra in un corridoio affollato di cartelloni pubblicitari e consuma così la colazione gentilmente offerta dalla compagnia leader nel settore delle bibite gassate, leggendo nel frattempo il programma delle lezioni, stampato sul vassoio a fianco di alcune informazioni su una corretta alimentazione.
Nel frattempo sua nonna si reca, con le carte di credito ben nascoste, presso un ospedale privato per fare le analisi del sangue; sull’ingresso la colpiscono le pubblicità turistiche con villaggi appositi per gli anziani convalescenti: il tutto fa parte del programma pensionistico di una nuova assicurazione sanitaria che assicura “Leisure, safety and health” a tutti gli abbonati.
Alla fontana del giardino, la nonna assetata può scegliere tra tre rubinetti colorati (che ricordano vagamente quelli dei vecchi pub): acqua gassata, naturale o the freddo deteinato, ciascuno gentilmente offerto da un diverso ramo del comparto alimentare della multinazionale che controlla l’ ospedale.
Sembra fantascienza, e per il momento è solo un esercizio di scrittura, ma questo incubo potrebbe diventare realtà. Ospedali mercificati, rubinetti di acqua con i loghi più o meno noti di colossi dell’economia mondiale, libri di testo con i marchi delle multinazionali stanno diventando i simboli ricorrenti delle campagne che denunciano i rischi delle politiche neoliberiste, della mercificazione portata in atto da governi nazionali e sopranazionali, dalla politica sconsiderata dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC, o in inglese WTO). In alcune realtà, del resto, si trovano scenari che già adesso evocano la mercificazione totale: la giornata della piccola Kitty non è in fondo molto diversa dalla giornata di bambini statunitensi che ricevono quotidianamente sussidi didattici, sponsor, lezioni, o pasti da aziende come Minute Maid, Proctor & Gamble, Mc Donalds, Kellogg’s e tante altre.[i]
Il nostro mondo è veramente sottoposto a una minaccia di queste dimensioni o si tratta di esagerazioni di anti – globalizzatori catastrofici e arretrati? Che proporzioni assumerà questa minaccia, e quanto modificherà le nostre abitudini correnti? A queste domande proveremo a dare risposta nel corso di un breve excursus sulla nascita del WTO, sugli accordi attualmente in fase di negoziato, per comprendere meglio le prospettive con cui guardiamo alla prossima Conferenza Ministeriale del WTO, che si terrà a Cancùn il prossimo settembre.
Il mondo che ci stanno preparando
1. Il WTO: la nascita
Nata nel 1995 nel corso dell’Uruguay Round, l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) sembra sorgere dal nulla. In realtà, il WTO ha alle spalle, lontanissime nel tempo, le ceneri di un precedente progetto, l’ITO o International Trade Organization, parte del progetto di governance globale partorito negli accordi di Bretton Woods, e che si inscriveva nell’ideale di un mondo governato da regole comuni. Di fatto, l’ITO rimane inattivo, a differenza delle sorelle WB e IMF (Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale) poiché inadeguato alla necessità statunitense di garantire uno sbocco commerciale alla propria sovrapproduzione industriale. A tale scopo risulta più adeguato il GATT, trattato di liberalizzazione che coinvolge solo 23 paesi: se non la madre, è la cugina più prossima del WTO.
La nascita del WTO nel 1995 deve quindi far pensare a una fase e a una volontà politica nuove rispetto a quel primo progetto. Le regole comuni che si vogliono ora imporre si inseriscono in un divario sempre crescente e ormai incalcolabile tra nord e sud del mondo; e corrispondono a una mutata funzione degli stati: non più gestori politici di un’economia che almeno formalmente deve rispondere alle sfide economiche e sociali, ma garanti e gestori della sicurezza e dei profitti dei privati, sempre più enormi e concentrati nelle mani dei pochi attori egemoni sul mercato internazionale.
2. Gli obiettivi
Il WTO nasce con l’obiettivo di estendere al mercato mondiale le regole della libera concorrenza, nell’ottica che la liberalizzazione economica aumenti il tenore di vita e favorisca lo sviluppo. Per risolvere i problemi, si tratta solo di aumentare la trasparenza e l’equità di condizioni di tutti gli attori sulla scena del commercio globale, e di abbattere gli squilibri innaturali, le discriminazioni nella concorrenza, i protezionismi: una logica che, malgrado la sua apparente ragionevolezza, appare passibile di numerose critiche e suscettibile di riforme.
L’applicazione di questa libera concorrenza sembra ridurre l’intero mondo a un mercato, a maggior ragione in assenza di politiche e scelte sociali. Non esiste alcun contraltare che salvaguardi gli interessi non direttamente legati all’economia (che, in realtà, sembrano identificarsi con i poteri economicamente forti). E la normativa GATT già vigente, che applica la libera concorrenza alle politiche industriali e agricole, ne fornisce una prova. Ricordiamo tutti le vere e proprie guerre commerciali tra USA e UE , tra cui è particolarmente famosa quella provocata dal rifiuto europeo a importare senza alcuna dicitura speciale carne contenente ormoni – tale rifiuto, più rigoroso del necessario, è all’origine di sanzioni e dazi che colpiscono alcuni prodotti europei. Un altro esempio, ben più drammatico e scottante, è il fenomeno del dumping, la vera concorrenza sleale esercitata a danno delle agricolture del terzo Mondo: la riduzione delle tariffe, non viene applicata nella stessa misura da tutti i paesi, e le economie del Terzo mondo si trovano a competere con esportazioni europee rese possibili da 250 miliardi di dollari di sussidi ogni anno.
Il complesso di meccanismi e regole già applicato al mercato dei beni,dal 1995 a oggi va estendendosi a una sfera sempre più vasta. Oggi sono stati affrontati con la stessa prospettiva temi come brevetti farmaceutici e agricoli, le politiche agro-alimentari e il commercio dei servizi nel loro complesso (160 quelli già inseriti nei negoziati, tra cui acqua, istruzione, ambiente, sanità, trasporti); altri settori sono stati individuati per i negoziati futuri.
3. Verso l’espansione selvaggia.
Si apre così la nuova fase del neoliberismo mondiale, lungamente preparata dalle svolte neoliberiste degli anni ‘80: il mercato globale si deve estendere alle nuove fonti che, più redditizie della produzione agricola e industriale, e soprattutto non ancora controllate, offrono la possibilità di cristallizzare un immenso guadagno e un immenso divario. Liberalizzare i servizi significa infatti mettere le mani su settori fondamentali, su mercati enormi e soprattutto garantiti. A tal proposito, questo il parere ufficiale del Commissario Europeo al Commercio, Pascal Lamy: “I servizi giocano un ruolo sempre più importante nell’economia globale, ma questa posizione forte e crescente non è ancora riflessa nella composizione del commercio mondiale. Diverse barriere all’accesso continuano a ostacolare il commercio dei servizi e agiscono come un freno sulla crescita economica. Teoricamente, in ogni paese l’andamento del settore dei servizi può fare la differenza tra una crescita cospicua e rapida, poiché i servizi costituiscono uno stimolo essenziale per la produzione di beni e di altri servizi. Essi comprendono una vasta e diversificata gamma di attività economiche e sono a fondamento delle economie dei paesi sviluppati, e anche di molti paesi in via di sviluppo. L’accesso a servizi di alta qualità, in particolare quelli legati alle infrastrutture come le telecomunicazioni, i trasporti e i servizi finanziari, reca vantaggio all’intera economia, aumentando la produttività nei diversi settori ed è cruciale per lo sviluppo economico.” (Dati estrapolati da Captive Kids. A report on corporate takeover of schools, in www.corpowatch.org, a cura del Corporate Watch Institute)
I vertici che hanno segnato la progressiva apertura del mercato di servizi sono le Conferenza Ministeriali di Seattle del 1999 , e Doha del novembre 2001, accompagnati da un crescente movimento di pressione dell’opinione pubblica, allarmata dalle possibili conseguenze di una liberalizzazione selvaggia. Grazie alle contestazioni il vertice di Seattle si è chiuso senza l’apertura di un novo round di negoziati (il tanto enfatizzato Millennium Round); ma a Doha, nel Qatar, lontano dalle proteste, gli stati aderenti non hanno perso tempo.
I principali imputati sono gli accordi sul copyright, racchiusi nel famigerato TRIPS (uno dei temi centrali sul piatto a Doha), e l’Accordo GATS, di cui ci occuperemo in dettaglio.
4. L’Accordo Generale sul Commercio dei Servizi: struttura e regole fondamentali.
Il nome GATS, che è la sigla di General Agreement for Trade of Services, mette un po’ di spavento a chi ignora l’inglese e l’economia. I primi paragrafi, a leggerli, descrivono il paese dell’utopia e della meraviglia, in cui altissimi standard di qualità, libertà di scelta, equità sociale e immensi profitti sono obiettivi correlati l’uno all’altro, non solo compatibili, ma addirittura reciprocamente indispensabili.
Il funzionamento di questo accordo è regolato da alcune norme abbastanza semplici. I principi di funzionamento costituiscono quella cornice legale rigida che fa da sfondo alle singole trattative: i principi generali e gli obiettivi dell’accordo, la definizione di ciò che in ambito WTO si intende per servizio, le regole di applicazione, che precedono i risultati delle trattative (in pratica si tratta dell’elenco dei settori che gli stati avranno deciso di liberalizzare, e che sarà ultimato solo nel 2005, alla scadenza definitiva del Round).
I servizi liberalizzabili sul mercato mondiale sono dunque raccolti attraverso quattro modalità: [1] fornitura oltre i confini (l’azienda fornisce il servizio nel territorio di un altro paese); [2] consumo oltre il confine; [3] presenza commerciale, che include filiali, infrastrutture controllate e fornite dall’azienda, e, in pratica, gli investimenti; [4] spostamento di persone, quindi trasferimento i dipendenti o personale qualificato.
Questa vastissima definizione di servizio commerciabile su base trans-nazionale comprende circa 160 servizi, tra i quali rientrano le categorie dei servizi finanziari (con la possibilità, conseguente, di una liberalizzazione dei sistemi di previdenza) le risorse ambientali (quindi forniture idriche, energetiche); i trasporti; le telecomunicazioni; i servizi culturali; le produzioni di audiovisivi; i sistemi sanitari; la formazione secondaria e universitaria; i servizi alle imprese (ad esempio consulenze e collocamenti); i servizi postali; il settore turistico.
Praticamente, è incluso ogni tipo di servizio ad eccezione di magistratura, esercito e burocrazie statali.
A tutti questi settori vengono applicate le normative di libera concorrenza: ciò significa che ai governi sarà vietato di promulgare normative che abbiano come fine o come effetto quello di discriminare il libero accesso al commercio di un determinato servizio; le normative a tutela dell’ambiente, dei diritti dei lavoratori, dei consumatori, della trasparenza o dell’equità sociale non dovranno essere più rigorose del necessario.
Parliamo non solo dei governi e dei parlamenti nazionali o sopranazionali (regionali e continentali, ad esempio), ma anche, in direzione opposta, degli Enti locali, poiché il GATS si applica a tutti livelli compreso quelli comunali, provinciali e regionali.
Tradotto in pratica, potrebbe voler dire che se una piccola mensa biologica della scuola materna di un minuscolo comune si trovasse a competere con un colosso dell’alimentare, l’Ente potrebbe trovarsi impossibilitato a scegliere la cooperativa in base alla troppo rigorosa volontà di salvaguardare la salute e la corretta educazione alimentare dei suoi piccoli cittadini. La multinazionale sarebbe messa sullo stesso piano della piccola mensa, in una competizione basata esclusivamente su criteri economici; tuttavia, secondo i fautori del GATS, la qualità e l’efficienza del servizio sarebbero premiate proprio grazie al naturale meccanismo della competizione economica.
Esaminiamo ora alcuni dei principi fondamentali che dovrebbero garantire questa assenza di discriminazioni. Il principio della nazione più favorita stabilisce che le concessioni applicate da un paese membro a un altro vengano automaticamente estese a tutti gli altri, impedendo il formarsi di rapporti commerciali privilegiati. Il principio del trattamento nazionale stabilisce che non vi possano essere discriminazioni a favore delle propria industria o fornitura nazionale: se il settore è liberalizzato, l’azienda di Stato deve competere con i fornitori provati esteri, in ogni caso.
Tali regole permettono alcune eccezioni, che però espongono alla possibilità di subire ritorsioni, richieste di apertura e citazione da parte di altri stati, le cui aziende hanno interesse a espandersi: già adesso, tra i paesi dell’Unione Europea, l’Italia ha ricevuto il più alto numero di questo tipo di richieste, riguardanti la barriere sui servizi pubblici (in particolare 5 richieste di abbattimento, una di restrizione degli scopi e una di chiarimento). Se poi consideriamo che le controversie di questo tipo vengono risolte da un tribunale interno (è un caso unico tra le organizzazioni internazionali), il Dispute Settlement Body, che affida il giudizio gruppi di tre esperti nominati dalle commissioni giudicanti, i panels, ci rendiamo anche conto della quasi irreversibilità di questi accordi, e del loro schiacciante potere.
Il quadro complessivo rischia di essere la trasformazione del complesso dei bisogni e dei diritti in un enorme mercato, per di più squilibrato: difficile affermare il contrario, di fronte a norme come il single undertaking (gli accordi devono essere sottoscritti tutti insieme, senza possibilità di rigettarne una parte: un capestro per le nazioni più deboli, e non solo), o come la regola del fornitore principale, secondo cui la nazione preminente nell’offerta di un prodotto ha diritto, essa sola, a concessioni tariffarie da parte dell’importatore: (praticamente una legittimazione delle egemonie e dei divari preesistenti).
5. I problemi e le sfide politiche.
Un problema di squilibrio, dunque. Ma non solo. C’è anche un problema legato al mercato, all’idea che la libertà di concorrenza sia di per sé una fonte di efficienza e di ricchezza.
Problemi legati all’equità della distribuzione, anche all’interno degli stati: cosa che la gestione del mercato non basta, di per sé, ad assicurare.
Problemi di genere, che si intrecciano agli altri problemi di equità: laddove l’accesso a un servizio o bene fondamentale sarà una lotta, le donne rischiano di essere due volte deprivate.
Problemi che riguardano il diritto del lavoro: minacciato dalla inevitabile ricaduta delle privatizzazioni (una delle conseguenze logiche dell’ applicazione del GATS) e dalla necessità di abbassarne il costo e di frantumarne i ritmi, per reggere la competitività.
Problemi di sovranità e democrazia: un accordo del genere, impedendo ai governi di legiferare su aspetti fondamentali come salute, lavoro, equità sociale e di genere, non svuota di senso le istituzioni elettive e, quindi, la stessa capacità di esercitare i nostri diritti di cittadinanza e la nostre scelte politiche? Il mondo complessivo che questi accordi disegnano è in ultima analisi agghiacciante. L’economia come strumento di egemonia e di dominio, affiancato a un controllo militare interno ed esterno: un intero universo di diritti e di doveri ridotto a un mercato di beni e servizi da scambiare tra pochi. Gli accordi per la liberalizzazione dei servizi costituiscono una pietra miliare dell’era dell’accesso, in cui lo status della persona non si definisce più in base alla sua condizione giuridica, ma in base alla sua possibilità di accedere a determinati servizi; e questa possibilità dipende in misura rilevante dalla condizione economica, nel momento in cui il libero mercato è l’unica forma di gestione e offerta.
Tale processo di mercificazione è del resto più lontano nel tempo: in quella che può giustamente essere definita come l’offensiva sociale degli anni ‘90, l’ondata di privatizzazioni che si è abbattuta sull’Europa ha creato molte condizioni di partenza: l’apertura ai privati di settori strategici (acqua, energia, pensioni, servizi postali e sanitari), l’introduzione dei nuovi standard di valutazione efficientismi e produttivisti, improntati a alla stessa ideologia aziendale che ha guidato la riorganizzazione e la svendita di interi comparti pubblici. Il GATS costituirebbe l’ennesimo e definitivo affondo, che sancirebbe l’irreversibilità e la dimensione di questi mutamenti.
Ma servizi come quelli compresi nel GATS non possono essere valutati solo in base alle scelte economiche. Per molti di questi servizi, un accesso selettivo e non paritario costituisce anche un deficit di efficienza, il che appare con particolare evidenza in rapporto ai parametri di valutazione di servizi come la sanità o l’istruzione: anche al più distratto dei cittadini pare riduttivo che la qualità di un sistema scolastico o sanitario si valuti dal rapporto tra offerta e domanda e che in un mercato libero, la competitività economica possa corrispondere a quegli aspetti non aziendale di cura delle persone e di attenzione specifica che sono richiesti da quel tipo di prestazioni. Per altri settori il problema è più complesso; siamo abituati da tempo a percepirli come merci, e non riusciamo immediatamente a pensarne un altro utilizzo, una gestione alternativa. L’acqua si compra in bottiglia; pure, appare abbastanza evidente che essa è un bene fondamentale per la vita, ed è quindi ragionevole sostenere che il suo utilizzo non debba essere sottoposto alle stesse logiche che regolano la produzione e il consumo di una qualsiasi bevanda gassata.
Il problema che si pone non è tanto quello di contestare una singola applicazione della normativa, ma forse è quello di ripensare un modello alternativo di gestione dell’economia: in cui la politica segua le strade che danno risposte ai bisogni e ai diritti collettivi (ciò che intendiamo come pubblico), e non sia una mera garanzia economica e militare dei profitti di pochi (ciò che è assolutamente privato).
È una nuova sfida che si apre alla politica: difendere ciò che, diritto, è oggi minacciato, ma anche trovare delle nuove forme per una gestione di questi diritti, che sappia tenere conto delle esigenze sociali e uscire dal dogma – fallimentare, come abbiamo visto – dell’equivalenza di libera concorrenza, efficienza e sviluppo. Una nuova sfida che i movimenti sociali dovranno rilanciare con ancora più forza: la prospettiva da cui guardare al vertice di Cancùn.
* Articolo pubblicato per Narcomafie
“Sarà qualcun’altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo”.
Der Wehrwolf
https://forum.termometropolitico.it/260588-il-neoliberismo-tra-sonno-e-insonnia.html
La Francia vuole soffiare Avio all’Italia?
Andrea Muratore – 15 MARZO 2020
Nel pieno della crisi economico-finanziaria da coronavirus la Francia guarda con interesse a Avio, una delle maggiori eccellenze del nostro settore di frontiera dell’aerospazio, e rilancia l’idea di un’alleanza industriale tra il gruppo italiano e la transalpina Ariane. “Sarebbe positivo se si potessero fare raggruppamenti industriali in modo da liberare più mezzi finanziari e maggiori capacità di investimento nel settore dei lanciatori spaziali, che è strategico per la nostra indipendenza”, ha dichiarato recentemente il ministro dell’Economia di Parigi Bruno Le Maire.
La nuova corsa allo spazio è partita economica, geopolitica e strategica in cui l’Italia ha numerose carte da giocare. In primo luogo esse afferiscono a un settore industriale e produttivo dinamico sia nella realizzazione della componentistica (dagli spettrometri alle valvole termiche per i satelliti) sia nella ricerca e sviluppo di moduli, impianti e vettori per l’esplorazione spaziale e lo sfruttamento dei suoi dividendi in diversi settori.
Prima dell’esplodere dell’emergenza coronavirus l’Italia si era posizionata in prima linea nell’espansione della politica spaziale europea e del bilancio dell’European Space Agency (Esa), puntando a misure capaci di avere una ricaduta diretta su un tessuto industriale e produttivo dinamico per la space economy.
Quarto a livello europeo e settimo su scala mondiale, l’aerospazio italiano fattura 15 miliardi di euro l’anno e produce esportazioni per circa 5,8 miliardi. Al suo interno si muovono dinamiche industrie di piccola e media taglia tra cui, come scrive BeBeez, “Zoppas Industries, che fa parte delle aziende della storica famiglia industriale che è il numero uno mondiale nella produzione di resistenze elettriche e sistemi riscaldanti per gli elettrodomestici, ma che progetta e produce anche elementi riscaldanti di elevata qualità e affidabilità per satelliti e altri veicoli spaziali, avendo fornito sinora più di cento programmi spaziali internazionali”. Il nerbo del settore restano però i grandi gruppi: Leonardo, Thales e, appunto, Avio. Che gioca un ruolo da protagonista nella corsa allo sviluppo e all’aggiornamento dei lanciatori Vega, fondamentali per la messa in orbita di piccoli satelliti, entrati impetuosamente nell’interesse di Parigi.
Lo sviluppo del programma Vega, a partire dal volo inaugurale del 2012, ha messo in discussione l’assoluta centralità della Francia e dei lanciatori Ariane nei programmi dell’Esa. Il binomio tra la capacità autonoma dell’industria francese di realizzare lanciatori e il controllo di Parigi sulla base di Kourou, in Guyana Francese, da cui effettuare i lanci è sempre stato considerato inscalfibile, prima che Roma ed Avio intervenissero a spezzare un monopolio de facto. Come fa notare su Formiche l’analista e ingegnere aerospaziale Marcello Spagnulo “ogni operazione europea che potenzialmente potrebbe perturbare tale configurazione è sempre destinata a mettere in allerta Parigi. Negli anni 2000, la volontà italiana di realizzare il Vega incontrò non poche difficoltà prima di vedere la luce. Ancora oggi, i suoi piani di crescita creano reazioni contrastanti oltralpe. Ora, in Europa si deve aggiungere anche una rinnovata ambizione tedesca con la OHB di Brema che ha costituito una società, la Rocket Factory Augsburg GmbH, controllata dalla MT Aerospace, per realizzare un nuovo lanciatore”.
Di fronte all’ipotesi di una concorrenza crescente la Francia offre all’Italia l’alleanza industriale in una fase critica per l’economia europea per mascherare evidenti obiettivi industriali e strategici. Anche nella settimana più dura per le borse italiane negli ultimi anni Avio ha contenuto a meno del 7% la perdita complessiva, confermando uno stato di salute roccioso (380-400 milioni di utili previsti per l’esercizio 2019), ma oggigiorno ogni iniziativa nei confronti di attori strategici per l’economia italiana va valutata nel profondo. Il rischio che un’alleanza o una fusione con partner transalpini destinati a far la parte del leone abbattano le prospettive di programmi economici, industriali e politici autonomi per il nostro settore aerospaziale non è da escludere e compito del governo è rimandare a tempi migliori ogni discussione di questo tipo: la guerra economica, anche se latente, non si ferma mai. Ed è bene esser pronti a prevenirla prima di ritrovarsi, al termine di una fase emergenziale, dimidiati in un comparto tanto promettente per l’economia nazionale.
https://it.insideover.com/economia/la-francia-vuole-soffiare-avio-allitalia.html
BERLINO KAPUTT (e sono stati gli americani, di nuovo)
Maurizio Blondet 15 Marzo 2020
La Germania che di colpo stacca un assegno da 550 miliardi, e si rimangia il decennio di politica economica “zero null” di Schauble e di Merkel?
“La decisione di stampare 550 miliardi è etero diretta”. “Due giorni fa la Merkel è stata avvertita della fine del suo mandato e dall’incarico”. E da chi? Sentite questa ipotesi straordinaria: sono stati gli americani.
“Il contingente [di Europe Defender 2020] si trova sul territorio tedesco e di fatto ha esautorato il governo”.
Il generale comandante dell’esercitazione si è avvalso delle clausole di armistizio del 1945, con la resa incondizionata della Germania. Infatti,
“La Germania perdente dopo la fine della guerra si dotò di una Costituzione temporanea ovviamente scritta dagli americani e dai russi. Doveva restare vigente per un breve periodo poi la Germania avrebbe dovuto Indire un’assemblea Costituente e darsi una vera e propria Costituzione cosa che non fece mai.
Doveva restare vigente per un breve periodo poi la Germania avrebbe dovuto Indire un’assemblea Costituente e darsi una vera e propria Costituzione cosa che non fece mai. infatti la Germania non è uno stato Ma allo stato attuale alla forma in diritto di una Confederazione di Lander. Giuridicamente non possiede il titolo di Stato né tantomeno di nazione e quindi tra le altre cose non avrebbe potuto aderire all’Unione Europea e siglare Patti”
E guarda caso, il comandante generale dell’esercitazione “Europe Defender 2020”, General Christopher Cavoli, è probabilmente stato esposto al coronavirus (dopotutto “il generale italiano dello stato maggiore Salvatore Farina ha contratto il virus, dice Reuters”) e quindi non può tornare subito in USA, causa le misure dettate da Trump. Resterà qui per un po’, a fare la quarantena. In Germania. Con le sue truppe.
“L’impero del quarto Reich tedesco ha esalato l’ultimo respiro e con esso verrà giù un bel po’ di roba marcia”
Questa ricostruzione non è mia. Viene da una twitterista con intuizioni eccezionali, che conosco solo dal suo pseudo:
Valeria KindQ
@VNotKind
Una che il Deep State non lo regge proprio!
Non so su cosa ella basi la sua ricostruzione, se su informazioni riservate a lei accessibili o pura (e geniale) immaginazione politica.
Né io ho la minima informazione aggiuntiva che confermi questa ricostruzione di ValeriaKindQ. Salvo una: la sua plausibilità.
Nel momento in cui la Federal Reserve, ben conscia del collasso imminente di tutto il sistema occidentale basato sul dollaro, annunciava l’iniezione di 1500 MILIARDI di dollari dal nulla, la Lagarde con la sua frasetta sugli spread italiani ha fatto crollare tutte le borse europee, del -16, del -14%. Non c’era tempo da perdere; la banca centrale europea stava per far collassare il sistema, e proprio nel momento in cui la Cina giganteggia di nuovo: uscita dall’epidemia, manda “aiuti” e soccorsi all’Italia che l’Europa ha abbandonato.
Il Deep State americano, con fulminea capacità di decisione, ha esautorato la Merkel per salvare il salvabile. I due ministri tedeschi Scholz e Altmaier l’hanno palesemente sostituita quando hanno annunciato i 550 miliardi, e aiuti di Stato “illimitati” alle aziende, e ri-nazionalizzazioni di processi produttivi strategici; hanno seppellito trent’anni di dottrina politica fasulla Schauble-Merkel. E Scholz è quello che, giorni fa, ha rifiutato di dare la mano alla Cancelliera, con la scusa del coronavirus.
Sono i curatori fallimentari per conto dell’America. E se davvero “l’America” l’ha fatto facendo valere le clausole dell’armistizio del’45 , è veramente la disfatta dal Quarto Reich UE. La Germania è tornata alla casella del ’45, firma di nuovo la resa, dopo aver di nuovo ridotto l’Europa in macerie.
“Il crepuscolo dei Babbei” (cit.)
Se le cose stanno così, la disfatta è anche quella del governicchio italiano,
di Conte, di Gualtieri, di Mattarella, di Visco e di Zingaretti,
di tutti coloro che, nel deep state italiota,
stanno al potere solo in quanto servi della UE.
La UE “di prima”, che non c’è più.
Non è, sia chiaro, un Crepuscolo degli dei. E’ il Crepuscolo dei Babbei, come titola gongolante Alberto Bagnai su goofynomics.
(Qui, da leggere: https://goofynomics.blogspot.com/2020/03/il-crepuscolo-dei-babbei.html)
Babbei perché proprio lui, il senatore dell’opposizione, aveva suggerito in parlamento, giorni fa, “di fronte a un’aula semideserta, quale fosse la strategia più corretta da seguire e perché l’emergenza offrisse una opportunità tattica:”.
Fate un deficit del 7 per cento, promettendo che negli anni seguenti diminuite il deficit di mezzo punto, fino a tornare al 3 per centro sacro. Quel che ha fatto per anni la Francia. L’epidemia e il blocco economico che ne consegue vi danno l’opportunità di farlo, vincendo le resistenze di Bruxelles”.
VIDEO QUI: https://youtu.be/j7HQ7yi84F8
Era il regalo di un successo politico, quello che Bagnai offriva ai piddini. I piddini non hanno voluto. Per viltà.
Scrive il senatore: “I piddini, in riunione, non volevano saperne: “Non possiamo dare al Governo l’impegno a fare qualsiasi cosa sia necessaria, non possiamo rilasciare deleghe in bianco… Noi, come al solito, imbecilli subalterni”. Ed in braghe di tela, obbedienti a un Reich che non esiste più. Per stupidità. Per mancanza di palle. Per incapacità previsionale. E peggio.
E questo peggio, ben lo delinea Bagnai: “La débâcle cui stiamo assistendo non è solo la sconfitta di un governante dissimulatore, narcisista e accentratore, che diffidente come un imperatore della decadenza affastella sulla propria scrivania tutte le pratiche per non risolverne nessuna; non è solo la rotta di una maggioranza variegata e incompetente, incapace di decisione perché incapace di visione; ma è anche e ahimè soprattutto la rovinosa disfatta del deep state italiano, di quel cordone sanitario di civil servant di alto bordo posti dal potere a perimetro e custodia dei politici, il tracollo di quegli uomini che effettivamente sono, anche quando non lo rivendicano con amabile alterigia, il potere”.
Quello è il vero peggio: l’incompetenza dei tecnocrati, lo scadimento dell’apparato burocratico e dei grand commis che una volta assistevano i politici (i politici passano, loro restano), ne traducevano la raffazzonata ed approssimativa volontà politica in testi legislativi corretti e coordinati con il quadro legislativo storico, ne scongiuravano con consigli discreti dietro le quinte, gli errori.
Questa classe non esiste più. I suoi stipendioni li prendono gente come Ignazio Visco: prototipo del tecnocrate incompetente e, proprio per questo, servile: verso il Quirinale, verso Bruxelles, verso la Merkel, verso la Lagarde – verso qualunque donnetta tra Francoforte e Berlino.
“Dove sono i capi ufficio legislativo competenti, i capi di gabinetto callidi e lungimiranti, le segreterie tecniche agguerrite e reattive di una volta?”, chiede Bagnai.
Trent’anni di “nomine” piddine a questi posti, hanno fatto scomparire questa classe assolutamente necessaria, i sapienti degli “arcana imperi” in nome di quella continuità che è la patria. Sostituendoli con gente del partito e vicina al partito, magistrati di area, incompetenti ma “europeisti” e fedeli – esattamente come sono incompetenti i Gualtieri e i Mattarella.
E questa è una tragedia. Ha ragione Bagnai a preoccuparsi, perché l’assenza dei “capi di gabinetto callidi e lungimiranti” danneggerà anche il governo dell’attuale opposizione. Quando sarà.
La secessione di fatto più vicina
Per ora, il gigantesco 550 miliardi di Scholz & Altmaier rispetto ai (forse) 27 di Conte § Gualtieri, avrà un ovvio effetto: che il Nord ferito e impoverito dal coronavirus graviterà ancor più verso la Germania economica e industriale –mentre il Sud arretrerà ancor più verso il reddito di cittadinanza permanente, senza studiare né lavorare quindi primitivizzandosi intellettualmente, riducendosi culturalmente al Neanderthal, perdendosi anche questa ulteriore rivoluzione produttiva che si annuncia con gli aiuto di Stato tedeschi.
Il fato che Fontana abbia assunto, per gestire l’emergenza in Lombardia, quel Bertolaso da tutti invocato e che i piddini non hanno voluto, è un chiaro sintomo del futuro.
Questo è ciò che ha ottenuto il governo piddino per servile timore di sforare il deficit dettato dal Reich.
Se la ricostruzione è vera, certo ci saranno conseguenze malvage
per i rapporti europei con la Russia.
Gli “americani” ci venderanno il gas di scisto,
i gasdotti Est-Ovest saranno obliterati?
Vediamo. Per ora ci basti questa giornata.
https://www.maurizioblondet.it/berlino-kaputt-e-sono-stati-gli-americani-di-nuovo/
IMMIGRAZIONI
Erdogan sfrutta i migranti per ricattare l’UE e nascondere la sconfitta in Siria
Scritto il15 MARZO 2020
- A. Hasun, SANA, 13 marzo 2020
Numerosi resoconti dei media illustravano le “intenzioni malvagie” del regime turco per sfruttare la questione dei migranti sul proprio territorio per ricattare l’Unione europea, ottenere vantaggi politici e coprire le ripercussioni dell’aggressione alle Siria. Il quotidiano Izvestija osservava che il regime del presidente turco Recep Tayyip Erdogan usa i siriani sfollati a causa del terrorismo, come carta per fare pressione sull’Unione europea e ricattarne i Paesi. Per far ciò apriva i confini affinché gli sfollati andassero in Europa, manipolandone il numero.
L’esperto militare Vladislav Shurygin affermava che il regime di Erdogan esagerava il numero dei rifugiati per costringere l’Europa ad assisterla nell’aggressione alla Siria, ricevere più fondi e fare pressioni sulla Russia tramite organizzazioni internazionali, per fermare l’operazione dell’antiterrorismo ad Idlib. Lars Patrick Berg, politico tedesco e membro della commissione per la sicurezza e la difesa del Parlamento europeo, affermava che l’Unione europea dovrebbe dire “no” ai tentativi di ricatto di Erdogan e considerarli come attacco alla sua sovranità e sicurezza, ed anche chiese d’imporre nuove sanzioni alla Turchia per il suo ricatto.
Il quotidiano “American Conservatives” criticava le politiche contraddittorie di Erdogan in Siria, coinvolgendo il suo Paese in una guerra costosa destinata al fallimento. Sottolineava che l’accordo raggiunto tra Unione europea e Turchia nel 2016 era errato, poiché fu dimostrato che la Turchia esagerava sul numero dei rifugiati in casa e che li derubava, ed ora Erdogan pone di nuovo agli europei opzioni difficili.
Gli osservatori vedono che, usando il dossier dei rifugiati per fare pressione sull’Europa, Erdogan cerca d’alleviare la crisi interna dovuta all’aggressione alla Siria e per distogliere l’attenzione dalle perdite di truppe turche nel governatorato d’Idlib. Gli osservatori chiarivano che Erdogan recentemente aveva aperto i confini del suo paese coll’Europa a migliaia di rifugiati dopo aver ripetutamente fallito nel convincere gli alleati occidentali ad aiutarlo.
Altri esperti e diplomatici descrivevano le minacce di Erdogan usando i rifugiati come “nient’altro che un tentativo di alleviare le ripercussioni delle perdite delle sue forze in Siria e tentativo di ottenere concessioni dall’Unione europea, ricevendo così 10 miliardi di euro per finanziare l’aggressione sulla Siria”. Oltre ad utilizzare la crisi dei rifugiati come carta per raggiungere i suoi obiettivi, Erdogan aveva anche sostenuto diverse organizzazioni terroristiche in Siria finanziandole e armandole e aveva anche collaborato coi terroristi nel derubare risorse petrolifere, antichità e fabbriche nel nord della Siria.
http://aurorasito.altervista.org/?p=10814
PANORAMA INTERNAZIONALE
Nell’Europa chiusa per il virus, la Ue apre le porte all’esercito Usa
di Manlio Dinucci
Trentamila soldati statunitensi stanno per sbarcare in Europa senza rispettare le misure sanitarie promulgate dall’Unione Europea e dagli Stati membri.
O il comandante dell’Esercito USA per l’Europa è un incompetente che mette inutilmente a rischio la vita dei soldati, oppure questi ultimi sono stati già vaccinati.
RETE VOLTAIRE | ROMA (ITALIA) | 10 MARZO 2020
I ministri della Difesa dei 27 paesi della Ue, 22 dei quali membri della Nato, si sono incontrati il 4-5 marzo a Zagabria in Croazia. Tema centrale della riunione (cui ha partecipato per l’Italia il ministro Guerini del Pd) non è stato come affrontare la crisi da Coronavirus che blocca la mobilità civile, ma come incrementare la «mobilità militare». Test decisivo è l’esercitazione Defender Europe 20 (Difensore dell’Europa 2020), in aprile e maggio. Il segretario generale della Nato Stoltenberg, che ha partecipato alla riunione Ue, la definisce «il più grande spiegamento di forze Usa in Europa dalla fine della Guerra Fredda». Stanno arrivando dagli Usa in Europa – comunica lo Us Army Europe (Esercito Usa in Europa) – i 20.000 soldati che. insieme ad altri 10.000 già presenti e a 7.000 di alleati Nato, «si spargeranno attraverso la regione europea». Le forze Usa portano con sé 33.000 pezzi di equipaggiamento militare, dagli armamenti personali ai carrarmati Abrams.
Occorrono quindi adeguate infrastrutture per il loro trasporto. C’è però un problema, evidenziato in un rapporto del Parlamento Europeo (febbraio 2020): «Dagli anni Novanta le infrastrutture europee sono state sviluppate puramente a scopi civili. La mobilità militare è però ritornata ad essere una questione chiave per la Nato. Poiché la Nato manca degli strumenti per migliorare la mobilità militare in Europa, l’Unione europea, che ha gli strumenti legislativi e finanziari per farlo, svolge un ruolo indispensabile». Il Piano d’azione sulla mobilità militare, presentato dalla Commissione europea nel 2018, prevede di modificare «le infrastrutture non adatte al peso o alle dimensioni dei mezzi militari». Ad esempio, se un ponte non può reggere il peso di una colonna di carrarmati, deve essere rafforzato o ricostruito. In base a tale criterio, la prova di carico del nuovo ponte, che a Genova sostituirà il ponte Morandi crollato, dovrebbe essere fatta con carrarmati Abrams da 70 tonnellate. Tali modifiche, inutili per usi civili, comportano forti spese a carico dei paesi membri, con un «possibile contributo finanziario Ue». La Commissione europea ha destinato a tale scopo un primo stanziamento di 30 miliardi di euro, denaro pubblico proveniente dalle nostre tasche.
Il Piano prevede inoltre di «semplificare le formalità doganali per le operazioni militari e il trasporto di merci pericolose di tipo militare». Lo Us Army Europe ha richiesto l’istituzione di «un’Area Schengen militare», con la differenza che a circolare liberamente non sono persone ma carrarmati. L’esercitazione Defender Europe 20 – è stato detto all’incontro di Zagabria – permetterà di «individuare nella mobilità militare qualsiasi strozzatura, che la Ue dovrà rimuovere». La rete dei trasporti Ue sarà quindi testata da 30.000 soldati Usa, che «si spargeranno attraverso la regione europea», esentati dalle norme sul Coronavirus. Lo conferma il video dello Us Army Europe sull’arrivo in Baviera, il 6 marzo, dei primi 200 soldati Usa: mentre in Lombardia, a poche centinaia di km di distanza, vigono le norme più severe, in Baviera – dove si è verificato il primo contagio europeo di Coronavirus – i soldati Usa, scesi dall’aereo, stringono le mani delle autorità tedesche e abbracciano i commilitoni senza alcuna mascherina.
Sorge spontanea la domanda: forse sono già vaccinati contro il Coronavirus? Ci si domanda inoltre che scopo abbia «il più grande spiegamento di forze Usa in Europa dalla fine della Guerra Fredda», ufficialmente per «proteggere l’Europa da qualsiasi potenziale minaccia» (con chiaro riferimento alla «minaccia russa»), nel momento in cui l’Europa è in crisi per la minaccia del Coronavirus (c’è un caso perfino nel Quartier generale Nato a Bruxelles). E poiché lo Us Army Europe comunica che «movimenti di truppe ed equipaggiamenti in Europa dureranno fino a luglio», ci si domanda se tutti i 20.000 soldati Usa ritorneranno in patria o se una parte resterà invece qui con i suoi armamenti. Il Difensore non sarà mica l’Invasore dell’Europa?
https://www.voltairenet.org/article209447.html
Coronavirus, la ‘guerra delle mascherine in Europa’: 19mln requisite da altri Paesi
16.03.2020
La ‘guerra delle mascherine in Europa’ danneggia l’Italia che aveva acquistato sul mercato 19 milioni di pezzi poi requisiti addirittura da Paesi di transito dei materiali sanitari. Di Maio pronto a denunciare.
Le imprese italiane avevano già acquistato un totale di 19 milioni di mascherine da loro fornitori dislocati in vari Paesi europei, ma queste mascherine non sono mai arrivate perché i Paesi di provenienza ne hanno vietato l’esportazione.
Ma ciò che più colpisce è il fatto che addirittura dei Paesi europei di transito hanno requisito le mascherine per dirottarle sui loro mercati interni.
Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha annunciato che l’Italia non resterà a guardare:
“Denunceremo in ogni sede possibile i Paesi che si macchieranno della pratica ignobile di requisire mascherine destinate all’Italia. È inaccettabile che materiale medico venga bloccato per strada. La nostra priorità è la salute dei cittadini e stiamo lavorando per far arrivare in Italia aiuti sanitari nel minor tempo possibile”.
L’Italia si attrezza per produrle in proprio
In Italia manca una produzione sufficiente di mascherine professionali, di solito importate dalla Cina. Ecco che alcune aziende che avevano abbandonato la produzione ne hanno ripristinato la linea produttiva, ma i tempi tecnici di produzione ci sono e le quantità sono purtroppo minime in un momento di elevata emergenza come questo.
Anche la Protezione civile veneta ha avviato una produzione di mascherine con materiale fornito gratuitamente da aziende del territorio. In questo caso la produzione totale di mascherine gratuite sarà di 6mila e saranno destinate agli operatori sanitari.
Gli aiuti dall’estero
Dalla Cina è arrivato un primo carico di aiuti composto da materiale sanitario e da una equipe di medici della Croce Rossa Cinese.
La Germania e la Francia, è notizia di ieri,
hanno sbloccato l’esportazione di mascherine verso l’Italia
in precedenza requisite.
POLITICA
Di Stefano: “fascismo e antifascismo? Non c’è nessuna guerra civile in atto: è una truffa montata ad arte per distrarci”
di Aurora Pepa
pubblicato il 01 Marzo 2018 RILETTURA
Attualmente segretario nazionale di Casapound, Simone Di Stefano è nel pieno del turbinio vorticoso delle elezioni politiche che lo vedono concorrere come candidato premier di un partito nato dieci anni fa che, pur non riconoscendosi esplicitamente ed ufficialmente nelle categorie di destra e sinistra, va a collocarsi nell’area estrema della destra nazionale.
Questa campagna elettorale è stata caratterizzata dal ritorno in vita delle ormai superate classificazioni fascismo/antifascismo…
È un clima montato ad arte per cercare di spaventare gli italiani e convincerli a digerire il futuro governo tecnico: è una vecchia logica che abbiamo già visto negli anni. C’è chi soffia sul fuoco e, secondo me, chi paga la campagna elettorale ad Emma Bonino è proprio lo stesso che soffia sul fuoco per tentare di aizzare i cosiddetti “opposti estremisti”. Non c’è nessuna guerra civile in atto e spero che gli italiani lo abbiano capito: da questo punto di vista, direi piuttosto che quella in atto è una grande truffa. Ci vogliono convincere che la guerra civile è proprio fuori dalla nostra porta di casa e quindi, tutto sommato, sarebbe meglio votare per i vecchi partiti. Pur considerando l’appartenenza storica ed ideologica di Casapound alla politica del fascismo italiano, ci sono i cento anni di distanza a parlare. Noi non proponiamo alcuno Stato totalitario, ma ci riconosciamo nella bandiera tricolore e nella Costituzione e, anzi, pensiamo che proprio la Costituzione sia lo strumento con cui creare la nazione che vogliamo. Speriamo che in essa possano riconoscersi tutti gli italiani: facciamola finita con la storia della guerra civile e guardiamo al futuro; la guerra è finita settant’anni fa, abbiamo il dovere di andare avanti.
La posizione antieuro e anti-Unione Europea di Casapound è ormai nota…
Nel nostro progetto di recupero di sovranità, vi è sicuramente anche l’idea di una nostra moneta e di una nostra banca centrale, di rompere i vicoli del pareggio di bilancio e di uscire dall’Unione Europea, che ormai è una sovrastruttura impossibile da riformare. Anzi, l’Unione Europea è stata congeniata totalmente per favorire la situazione economica che stiamo vivendo, dove il grande capitale la fa da padrone. Per noi abbandonare l’euro e l’Unione Europea è il primo passo da fare, perché essi sono irriformabili.
C’è una stretta connessione tra economia e lavoro, nel vostro progetto politico?
Si, perché c’è un collegamento diretto tra Unione Europea, euro e lavoro: con una nostra moneta potremmo, ad esempio, tornare a fare degli investimenti pubblici, necessari per far ripartire la situazione dal punto di vista economico, sia per quanto riguarda l’abbassamento delle tasse ai piccoli imprenditori, che non riescono più a sopravvivere con una pressione fiscale di questo tipo, sia aumentando i servizi sociali, soprattutto con le assunzioni nel comparto pubblico.
Cioè?
Tanti ragazzi e giovani non hanno un lavoro, ma c’è anche tanta gente che esce dal mondo del lavoro a quaranta, cinquanta anni, e poi non riesce più ad entrare. Si dovrebbe valutare la possibilità di impiegarli nel settore pubblico proprio per generare quel lavoro e quella piena occupazione così come sono stabiliti dalla Costituzione. L’idea è quella di una moneta sovrana utilizzata come strumento per far ripartire la nazione e far tornare l’Italia ad essere quella che era un tempo: ovvero la quarta economia del mondo.
L’immigrazione è un altro dei temi “protagonisti” di questa campagna elettorale. Quali sono le vostre proposte in merito?
Al momento è necessario assolutamente fermare i flussi, quali che siano e qualunque che sia la provenienza. Bisogna iniziare a fare dei piani di sviluppo in Africa per cercare di far tornare indietro le persone: questo si può fare se sei uno Stato sovrano e se hai la tua moneta e la tua capacità di bilancio. L’acquisto di prestigio conseguente faciliterà la realizzazione di accordi bilaterali che potranno consentire all’Italia di tornare in Africa a costruire le infrastrutture necessarie a liberare quegli Stati sovrani dalle multinazionali e dal capitale che li opprimono. Magari, poi, quelle infrastrutture e quei piani di sviluppo verranno fatti tramite accordi precisi in cui si chiede che le nazioni possano riprendersi i giovani, che oggi si trovano nei centri di accoglienza, a lavorare su quei territori e a costruirsi le proprie case. Abbiamo disperatamente bisogno che in Africa esistano Stati sovrani e liberi, che siano degni di questo nome e che possano costruire e sviluppare il loro futuro nelle terre di appartenenza.
Cosa pensa Casapound dell’attuale centrodestra?
In generale, daremo il nostro appoggio a qualsiasi governo che propugnerà l’uscita dell’Italia dall’euro, di qualunque area politica esso sia. Più tecnicamente, però, credo che con questa legge elettorale non possa vincere nessuno e mi pare un paradosso pensare che possa esistere un governo di centrodestra. Se anche dovesse vincere il centrodestra, dubito fortemente che ci siano Matteo Salvini e Alberto Bagnai a gestire l’economia. La grande truffa di queste elezioni è che Salvini va in giro dicendo che, se dovesse prendere un voto in più di Berlusconi, quest’ultimo gli lascerà carta bianca e la possibilità di fare ciò che vuole. E invece è proprio il contrario: se succederà questo, Berlusconi avrà solo una scusa in più per fare un governo tecnico o di grande coalizione. Questa è a mio avviso l’ipotesi più plausibile: la legge elettorale non consentirà a nessuno di vincere queste elezioni. Oppure, penso anche che probabilmente ci ritroveremo un altro Brunetta ed il solito impianto liberista del centrodestra, che a noi fa letteralmente schifo.
È importante ripartire dall’interesse nazionale?
È essenziale, è tutto. Per noi è preminente: lo abbiamo scritto a chiare lettere anche nel nostro programma. Dobbiamo ripartire dall’interesse nazionale e avere l’interesse nazionale come stella polare dell’attività politica, perché questo poi si riverbererà su tutto il resto: sullo stato sociale, sull’economia, sulla geopolitica. L’interesse nazionale è la parola chiave del futuro di questa nazione.
SCIENZE TECNOLOGIE
Vaccini e scienza. Le nuove sofisticate armi batteriologiche di sterminio.
antimassoneria.altervista.org| RILETTURA NECESSARIA
– 1° Le chiamano “morti sospette”
– 2° Medici che non ci stanno
– 3° Cosa ci iniettano attraverso i vaccini?
– 4° Che senso hanno i vaccini obbligatori?
– 5° L’élite che controlla l’industria farmaceutica, bioterrorismo e spopolamento
– 6° L’agenda 21 e la silenziosa estinzione
A cura di Floriana Castro Agnello – 2016
1° LE CHIAMANO “MORTI SOSPETTE”
L’eloquente forma architettonica di uno dei laboratori della Merck
Si allunga la conta delle vittime attorno al business dei vaccini. Non se ne sente parlare in TV e sui giornali cosiddetti mainstream notizie di questo genere passano raramente e con pochi dettagli, pochi ovviamente hanno voglia di indagare. Eppure, sui vaccini esistono miriadi di basi per poter mettere scatenare un vero scandalo ai danni delle ditte farmaceutiche con il conseguente ritiro dal mercato dei nocivi prodotti che vengono commercializzati per vaccinare milioni di infanti e adulti. Ciò di cui vorremmo discutere in questo articolo è che i decessi e le malattie legate alla somministrazione di vaccini non dovrebbero essere considerati sospetti, e nemmeno dei semplici casi di malasanità. Sotto sotto vi è infatti molto di più. Settembre 2016. Un bimbo di 18 mesi al quale era stato somministrato il vaccino antimeningococco del tipo C -contro la meningite – è morto a Palagonia (CT). (1)
La Procura della Repubblica di Caltagirone ha aperto un’inchiesta per stabilire le cause del decesso. Ma, il triste caso del bimbo di Palagonia non è affatto un caso isolato: sono aperte inchieste anche a Roma e in Toscana relative al decesso subito dopo la somministrazione di vaccini. RaiNews riporta che in Italia sono già 11 le morti “sospette” (2) “Continuano le segnalazioni legate alla somministrazione del vaccino antinfluenzale Fluad: con gli ultimi 8 casi, il numero di morti sospette tocca quota 11. Il direttore dell’Aifa, l’Agenzia italiana del Farmaco, non esclude il ritiro di nuovi lotti del prodotto della Novartis, dopo averne già bloccati due a causa di tre decessi sospetti a 48 ore dalla vaccinazione”. E ancora in Basilicata all’ospedale di Lagonegro cinque i medici indagati, dopo la morte di una bambina, che secondo la denuncia dei genitori, aveva cominciato a star male subito dopo la somministrazione del vaccino esavalente. L’accusa per gli indagati- come si legge su La Gazzetta del Mezzogiorno- è di omicidio colposo in concorso. (3) E voi mamme, dopo aver sottoposto il vostro infante di tre mesi alle vaccinazioni, di cui ignorate totalmente la composizione, vi sentite sicure quando il vostro bimbo, nel migliore dei casi, viene colto da febbri da cavallo, solo perché il vostro medico vi dice che è una reazione “normale”? I Servizi delle ASL predisposti alle vaccinazioni sono soliti assicurare che i vaccini non causano alcun effetto indesiderato importante e, se ciò accade, è un evento eccezionale. Se non facessimo i vaccini del resto ritorneremmo ai tempi della peste bubbonica ci ripetono in continuazione i medici e gli operatori sanitari da talk show. Ovviamente la gente sulla tragica realtà dei vaccini non sa nulla, ma continua a credere per fede. Fede nella “medicina”. Le vaccinazioni in verità non hanno diminuito la percentuale di morte per malattie infettive e non hanno neppure accelerato la curva di discesa delle stesse.
2° MEDICI CHE NON CI STANNO
Si deve ricordare infatti, che l’industria Farmaceutica ha una enorme influenza sui Governi, sulla Medicina, sui Medici inclusa l’O.M.S. Infatti la maggior parte delle ricerche in campo medico, la preparazione Universitaria dei medici, e molte carriere all’interno ed all’esterno della Sanità, sono influenzate dalle Case Farmaceutiche. Il dottor Claudio Capozza ci informa che LEGALMENTE (vedi legge sul consenso informato) i medici dovrebbero informare i pazienti, circa gli effetti collaterali immediati e quelli a distanza di anni delle vaccinazioni, anche se non richiesti. (4) Va sottolineato che non tutti i medici per fortuna, non riportano e non riconoscono i casi di reazione alle vaccinazioni. Ma, purtroppo, i fabbricanti di vaccini, in accordo con i Governi, omettono volutamente di allegare il foglietto accompagnatorio circa le controindicazioni ed effetti collaterali, foglietto che per legge è obbligatorio per tutti i farmaci; così, niente foglietto, niente informazione da parte dei medici. L’ex virologo della casa farmaceutica Merck, Stephen A Krahling è stato minacciato con il carcere per aver cercato di esporre la frode scientifica e la falsificazione di dati utilizzata dalle multinazionali dei vaccini per rendere i suoi prodotti pericolosi per la salute dei cittadini secondo un documento depositato presso il governo degli Stati Uniti. (5) Sui documenti ufficiali dell’“United States District Court for the Eastern District of Pennsylvania” leggiamo che i signori del business dei vaccini hanno anche tentato di pagare Krahling con promesse di bonus finanziari in cambio del suo silenzio. (6)
È noto che le vaccinazioni indeboliscono il sistema immunitario trasmesso per via placentare alla nascita; e queste vaccinazioni polivalenti, compresa quella per Epatite B, hanno trasformato innocue malattie infantili in serie e gravi affezioni morbose, tra la popolazione dei vaccinati. La pertosse aveva avuto un declino sino a quando la vaccinazione fu resa obbligatoria nel 1978 ed ha avuto un incremento tale da essere oggi triplicata. In America (ove le vaccinazioni sono obbligatorie) le epidemie colpiscono il 100% delle persone vaccinate, mentre al contrario, non vi fu più epidemia di Morbillo tra i soggetti non vaccinati. Anche l’epidemiologo Tom Jefferson della Cochrane Collaboration è molto critico in merito all’uso fraudolento dei dati di sperimentazione clinica che vengono utilizzati dalle società farmaceutiche per giustificare il ricorso alla vaccinazione di massa. Infatti, egli aggiunge:
“Le aziende farmaceutiche possono nascondere i risultati negativi degli studi molto in profondità e gonfiare enormemente i vantaggi. La ragione per l’introduzione della vaccinazione contro l’HPV è stata quella di prevenire il cancro del collo dell’utero, ma non ci sono prove cliniche per dimostrare che lo farà. Dobbiamo procedere con una linea molto attenta, soppesare i potenziali rischi e benefici che un vaccino può provocare. Con il vaccino anti-HPV, i danni non sono stati adeguatamente studiati. Le autorità non vogliono sentire il concetto di “effetto collaterale”.
3° COSA CI INIETTANO CON I VACCINI?
I vaccini contengono batteri o virus vivi (con virulenza attenuata) o morti; contengono un illimitato non conosciuto numero di virus da animali (si sa infatti che le colture sono spesso allestite su organi di animali ) e solo pochi virus conosciuti vengono testati. Contengono inoltre endotossine batteriche, tossine ad alto livello, antibiotici, proteine eterologhe, materiale genetico e tessuti provenienti da uova di pollo, da reni di cani o di scimmie, da cervello di coniglio, da mucche, da maiali e persino da feti umani abortiti! I vaccini fabbricati in linee di cellule fetali umane contengono livelli inaccettabilmente elevati di frammenti contaminanti di DNA fetale. Il genoma umano contiene naturalmente aree soggette alla formazione di doppia interruzione del filamento di DNA e di mutagenesi inserzionale! I vaccini contengono anche il famigerato thiomersal (un sale di mercurio) non segnalato perché è al di sotto dei LIMITI DI LEGGE! Chi stabilisce questi limiti? Gli stessi produttori dei vaccini! Chi produce il vaccino dice: “non dichiaro questa sostanza chimica o proteica perché mi è servita solo per alcuni passaggi nella preparazione e ne è rimasta una dose così bassa che non può fare male!!” Sappiamo che dosi infinitesimali di sostanza sono attive sul nostro organismo.
Ma non solo, i vaccini contengono inoltre formaldeide, alluminio in percentuale dello 0,25% per ogni dose vaccinica ed è ben nota la loro tossicità. Un nuovo studio pubblicato da Journal of Trace Elements in Medicine and Biology avanza una possibilità inquietante: l’idrossido di alluminio, adiuvante comunemente utilizzato nei vaccini dell’infanzia [soprattutto nell’esavalente e nell’anti-pneumoccica], è causa di sovraccarico d’alluminio nel sito dell’iniezione e contribuisce alla patogenesi di malattie come la sindrome da stanchezza cronica, miofascite macrofagica e pseudolinfoma sottocutaneo. L’Alluminio non ha alcuna nota funzione benefica in biologia. È una sostanza in grado di penetrare nel cervello e raggiungere la placenta e il feto. È necessario aumentare la consapevolezza della pericolosità dell’alluminio nel ruolo del cancro alla mammella, per la sua proprietà d’azione “metalloestrogena”, e per la sua presenza anche nei prodotti per la cura del corpo [per esempio negli antitraspiranti, nei farmaci, nell’ambiente, e nel nostro cibo. (8) Un altro studio pubblicato nel 2011 sulla rivista Journal of Inorganic Biochemistry ha sollevato il tema della correlazione tra autismo e vaccinazioni, concentrandosi sul ruolo cruciale degli adiuvanti in alluminio come agenti neurotossici. (9) Osservando i grafici dell’OMS, si comprende come la riduzione della mortalità di molte malattie per cui ancora vacciniamo i nostri bambini, si sia verificata prima ancora che iniziassero le vaccinazioni di massa.
È bene sapere che essi sono generalmente ritardati ed il loro sviluppo è insidioso ma sono collegati alle vaccinazioni. Possono essere frequenti, (asma, infezioni ricorrenti), meno frequenti (autismo) e rari (lupus).
– Debolezza immunitaria, asma, allergie, eczemi e vasculopatie
– Alterazioni del comportamento, difficoltà di apprendimento e paralisi
– Tonsilliti frequenti, otiti, reumatismo articolare
– Sordità, cecità
– Morbo di Crohn, leucemia, cancro, sclerosi multipla, sindrome da fatica cronica, lupus
– Problemi psichiatrici, autismo, ritardo mentale, epilessia, parkinsonismo, sindrome di Guillan-Barre’
– Insufficienza Epatica, renale e cardiaca
L’abbattimento della mortalità, che tanto vantano i sostenitori dei vaccini, non essendo stato conseguente alle vaccinazioni, come abbiamo già detto è avvenuto per le migliorate condizioni di igiene di vita e di nutrizione della popolazione e non per merito dei vaccini. (7)
4° CHE SENSO HANNO I VACCINI OBBLIGATORI?
L’élite di potentati è riuscita ad ottenere l’estromissione dalle scuole per i bambini non vaccinati e la segnalazione dei genitori presso i Tribunali dei minori per una verifica dell’idoneità genitoriale, nonostante tre dei quattro vaccini obbligatori in Italia non mirano a debellare malattie contagiose. I vaccini “obbligatori” sono quello contro la Polio, la Difterite, il Tetano, e l’Epatite B. Vi siete chiesti che senso ha vaccinare un bambino di tre mesi contro l’Epatite B? Una malattia che si trasmette per contagio sessuale o da sangue infetto? Credo che un bambino di tre mesi non corra questo rischio… E ancora, quale necessità vi è nell’inoculare obbligatoriamente un vaccino contro la difterite? L’incidenza della malattia è andata gradualmente riducendosi dagli anni ’60 agli anni ’80 grazie alle migliorate condizioni di vita e all’uso degli antibiotici ed oggi è praticamente scomparsa. E che dire del vaccino contro la Polio? Questa malattia è ormai scomparsa in Italia come nel resto d’Europa anche l’OMS, il 21 giugno 2002, ha dichiarato ufficialmente che l’Europa è ormai libera dalla poliomielite. Anche in questo caso le ragioni si trovano nelle migliorate condizioni di vita e di igiene, quindi non è la vaccinazione ad aver debellato il virus. E ancora, quante probabilità ha un neonato di contrarre il tetano? Quanti casi di tetano si verificano in Italia ogni anno e in che fascia di età? E’ abbastanza comune sentir dire che il tetano si contrae attraverso il ferimento con materiali arrugginiti, in realtà la ruggine in sé non ha la capacità di generare una malattia. Il problema tetano si pone se l’oggetto con cui ci si fa male potrebbe è contaminato da feci di cavalli, mucche o ovini, animali che possono ospitare nel loro intestino il Clostridium tetani, batterio responsabile della malattia, e come potete facilmente immaginare è molto difficile che un bambino di tre mesi corra questo rischio, specie se si considera che il tetano è quasi sempre causato da scarsa igiene e insufficiente attenzione alla ferita subita.. I dati italiani pubblicati dal nostro Ministero della Salute dal 1993 in poi illustrano chiaramente che oggi i casi di tetano semplicemente non esistono più in età pediatrica, mentre sono più frequenti tra gli adulti. Chi vuole coprire i propri figli con la vaccinazione antitetanica dovrebbe inoltre mettere in conto di vaccinarli tre volte: dopo la prima si prevede un richiamo ai tre mesi ed uno all’anno. Si ripunge dopo cinque anni e se si seguono i protocolli ufficiali ci si deve rivaccinare ogni 10 anni, ma quegli stessi protocolli sostengono che se la vaccinazione è stata eseguita da oltre cinque anni ci si deve considerare scoperti e a quel punto sarebbe meglio vaccinarsi ogni cinque anni per il resto della vita, quindi, almeno circa 18 volte nel corso della vita. Praticamente non lo fa nessuno e non succede nulla di statisticamente rilevante. (10)
5° L’ELITE CHE CONTROLLA LE CAUSE FARMACEUTICHE, BIOTERRORISMO E SPOPOLAMENTO
L’élite che controlla le case farmaceutiche ha individuato sin dal dopoguerra l’utilità dei vaccini come mezzo di riduzione della popolazione, a beneficio delle teorie malthusiane secondo cui saremmo in troppi, tanto vale quindi sfoltire un po’ il pianeta, e non di poco se si considera che l’ideale proposto è quello di non superare la soglia di un miliardo di abitanti nell’intero globo terrestre. Vedremo se ci riusciranno, dato che né Hitler, né Stalin, né Pol Pot insieme a tutti gli altri macellai della storia riuscirono a raggiungere questo obiettivo. Nel 2011 fu pubblicata in rete un’intervista risalente agli anni 70 a Maurice Hilleman, illustre scienziato della Merck scopritore di vaccini contro la parotite, la varicella e il morbillo. Hilleman ammise che i vaccini somministrati erano contaminati dalla presenza di virus tumorali e dall’AIDS (11). (video in basso) Alla domanda sul perché una tale notizia non fosse stata fornita alla stampa il giornalista ottenne questa risposta: “Certo che non fu data alla stampa; questa è una questione scientifica” (!!) Quindi, è un affare che riguarda esclusivamente i signori dello sfoltimento umano, ai popoli non vengono quindi riconosciuti né il diritto alla vita né alla salute, ma nemmeno la capacità di intendere; di riflettere; di scegliere, o anche di comprendere la differenza tra bene e male e il discernimento da ciò che è vero e da ciò che è falso.
Vediamo quindi le basi queste basi “scientifiche” sulla quale si basano i produttori di vaccini. I signori che dirigono i fili del mondo e della sanità, ossia i banchieri, sono i proprietari e quindi possessori dei pacchetti “azionari” di controllo di: banche, finanziarie, multinazionali, ma soprattutto delle multinazionali di farmaci e vaccini, più potenti del mondo, ossia: Big Pharma, Monsanto, Pfizer, Merck, Novartis, Sanofi e l’intera l’industria farmaceutica. (12) A cosa mirano quindi questi signori? Per quale ragione spingono i governi a creare leggi per l’inoculazione dei “vaccini obbligatori”? Oltre alle massicce campagne per i vaccini cosiddetti “facoltativi”? Business, sicuramente, ma c’è di più. L’idea è quella di controllare maggiormente la salute dei popoli così come la loro fertilità. Se cerchiamo su Wikipedia la parola “bioterrorismo” troviamo la seguente definizione “(il bioterrorismo NdR) … consiste nell’utilizzo intenzionale di agenti biologici (virus, batteri o tossine) in azioni contro l’incolumità pubblica”. (13)
È bene sapere che tali armi chiamate “armi biologiche” sono note sin dall’antichità e sono stati deliberatamente realizzati oggetti di vario tipo per nascondere e trasmettere agenti di malattia al nemico. Come l’impiego di cadaveri o carcasse di animali infetti per contaminare pozzi, cisterne e raccolte d’acqua utilizzate dagli eserciti e dalla popolazione, veleni e altre sostanze tossiche ritrovabili in natura o realizzate ad hoc. Anche il virus del vaiolo è stato sfruttato come arma biologica. I tartari addirittura catapultavano cadaveri infetti da peste bubbonica oltre le mura delle città assediate, in modo da diffondere il contagio e la morte prima della battaglia. Nel 1763 in Nova Scozia Sir Jeffrey Amherst, governatore dello Stato, distribuì ai pellerossa coperte utilizzate negli ospedali in cui venivano ricoverati i vaiolosi, diffondendo così il morbo tra le tribù indigene; nello stesso periodo gli inglesi mandarono tra i maori, in Nuova Zelanda, gruppi di prostitute malate di sifilide, sterminando così le popolazioni. Nel 1931 durante l’occupazione della Manciuria da parte del Giappone, quest’unità utilizzò i prigionieri di guerra come cavie da laboratorio. Inoltre, sono documentate almeno cinque incursioni nel 1941 di aerei giapponesi sulla Cina con lo scopo di spargere la peste bubbonica. Potremmo continuare a citare decine e decine di casi di malattie, epidemie e contagi avvenuti dolosamente a scopo bellico. Ma mentre nel passato le armi biologiche erano pensate e costruite soprattutto per aggredire gli eserciti nemici, oggi è la popolazione civile ad essere bersaglio di queste armi da parte dei gruppi terroristici dell’alta finanza. (14)
6° L’AGENDA 21 E LA SILENZIOSA ESTINZIONE
Nessuna sorpresa se un’arma micidiale contro il nemico, oggi rappresentato dal genere umano, possa essere rappresentata dai vaccini messi a disposizione dell’Agenda 21, il progetto onusiano che prevede lo spopolamento del pianeta. Nel periodo in cui tutti i riflettori erano puntati sulla pandemia aviaria il dottor Hultin, dell’Armed Forces Institute di Rockwill, riuscì a far rivivere il virus della spagnola che sterminò nel 1918 ben oltre 20 milioni di persone. Per riuscire nell’impresa, Hultin, aveva riesumato i cadaveri di alcune persone decedute in Islanda (dove il freddo aveva conservato il resto) in modo da estrarre il virus dai polmoni e manipolarlo in laboratorio. Ufficialmente, la ricerca, finanziata dal Pentagono, aveva come obiettivo la creazione di un vaccino contro una pandemia, che non esiste più! In questo modo però gli USA si impossessavano di un’arma batteriologica micidiale in grado di abbattere parte della popolazione mondiale! (15)
E alla riduzione di questo cancro che essi chiamano il genere umano che tutti gli occhi e i finanziamenti sono diretti. Negli anni 90 l’OMS organizza una campagna straordinaria di vaccinazione contro il tetano in tutti i Paesi a rischio di questa malattia. La campagna di vaccinazione viene destinata esclusivamente alla popolazione femminile e con un’età compresa tra i 15 e i 45 anni, quindi, solo la popolazione femminile in età fertile può contrarre il tetano? Questo è ciò che ha pensato un comitato locale pro-vita, che fa analizzare il vaccino anti-tetano utilizzato. Si scopre che all’interno, il vaccino è arricchito con un ormone, (gonadodropina corionica hCG) capace di bloccare l’impianto dell’ovulo fecondato all’interno dell’utero: in buona sostanza provoca un aborto spontaneo quando comincia la gravidanza. Di fatto si trattava di un vaccino anti-concezionale. Ne seguì uno scandalo, a questo punto l’OMS dovette ammettere che il vaccino era stato veramente arricchito con HCG, assicurando che le quantità erano però insignificanti. Qualsiasi organo di informazione avrebbe potuto cominciare a chiedersi per quale motivo allora era stato inserito l’ormone HCG se la sua quantità risulta totalmente innocua, ma ovviamente nessun media osò sollevare la questione.
Molti ricorderanno il tam tam mediatico scatenatosi in occasione delle sperimentazioni del Gardasil, un presunto vaccino contro l’HPV (tumore all’utero) che negli USA venne esteso anche ai ragazzi che però sono sprovvisti di utero (!!!).
Il vaccino ebbe come sponsor numerosi medici e operatori sanitari che furono pagati per svolgere conferenze in favore delle vaccinazioni contro l’HPV, nonostante il vaccino sia risultato mortale per numerose ragazzine in USA e abbia registrato ben 28 casi di aborto spontaneo e 5 casi di danni fetali gravi su 77 donne vaccinate (16) E’ bene ricordare che questo vaccino è dichiarato attivo solo su una piccola percentuale di ceppi responsabili delle infezioni da Papilloma virus, come si apprende dal bugiardino e dai documenti del produttore che, però, temiamo pochi leggano. E, tanto per puntualizzare, sia chiaro che:
- quelle infezioni sono comunissime in tutte le donne;
- nella soverchiante maggioranza dei casi sono del tutto benigne e passano addirittura inosservate;
- il cancro del collo dell’utero ha anche altre origini che non siano il virus e, comunque, quella malattia è facilmente diagnosticabile con grande precocità ed è altrettanto facilmente curabile;
Nel Regno Unito, da gennaio 2005 a aprile 2015 sono stati registrati più di 8000 [8 mila !!!] casi di reazioni avverse da parte delle adolescenti interessate – di cui più di 2500 rovinate a vita – a causa di questo vaccino promosso in modo aggressivo dall’industria e dagli enti sanitari preposti. Negli Stati Uniti, la banca dati del VAERS [Vaccine Adverse Events Reporting System] mostra chiaramente che i vaccini con gli effetti avversi più segnalati sono Gardasil e Cervarix,
In Giappone è stata sospesa la raccomandazione vaccinale a seguito di numerose reazioni avverse, in Francia è stata avviata una petizione pubblica di 420 Medici francesi per indagare i danni permanenti causati nella popolazione femminile. In Svizzera è stata avviata da tempo un’inchiesta a favore dei consumatori, rivelazioni shock sono state riportate nel libro Omertà nei laboratori farmaceutici: Confessioni di un medico, scritto dal Dr. Bernard Dalbergue, ex medico del settore farmaceutico [in particolare Merck – MSD Francia – produttore di Gardasil, anticipate in un’intervista sulla rivista Principi Sanitari n. 66 di aprile 2014. (17) Le sospette segnalazioni di reazioni avverse [ADR] giunte al governo britannico rappresentano solo una piccola frazione del numero totale di reazioni avverse ai vaccini che si verificano nella realtà. Come ha spiegato The Independent, il dato ufficiale di 21.822 spiega solo il 10% del numero di lesioni effettive, suggerendo che almeno 218.220 bambini e adulti nel Regno Unito sono stati danneggiati o uccisi dai vaccini negli ultimi dieci anni. Contrariamente alle polemiche scatenatesi all’estero in seguito alla diffusione e ai danni provocati dal Gardasil, in Italia si è registrata una controtendenza: in difesa del Gardasil è sceso in campo nientepopodimeno che il volto della scienza e della sapienza incarnata, il solito Umberto Veronesi insieme alla cricca di oncologi asserviti al sistema.
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BIBLIOGRAFIA E WEBGRAFIA CLICCA QUI
Video shock -Vaccine pioneer admits adding cancer-causing virus to Vaccine- https://www.youtube.com/watch?v=13QiSV_lrDQ
http://antimassoneria.altervista.org/vaccini-scienza-moderne-armi-battereologiche-del-xx-secolo/
STORIA
IL GEN. LAPORTA: ALDO MORO NON ERA A VIA FANI IL 16 MARZO 1978.
16 Marzo 2020 Pubblicato da Marco Tosatti
Marco Tosatti
Carissimi Stilumcuriali, oggi, 16 marzo, ricorrenza del rapimento di Aldo Moro e della strage della scorta a via Fani, il generale Piero Laporta ci fa il regalo di una ricostruzione di ciò che accadde quel giorno, tanto clamorosa nelle sue conseguenze quanto realistica e dettagliata. Buona lettura.
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Questo articolo lo dedico a quanti erigono immagini del presidente Aldo Moro con l’Unità in tasca e ai sedicenti esperti, ricercatori e registi, seminatori di falsità.
Costoro insultano consapevolmente la sua memoria e la sua dignità. Aldo Moro fu sinceramente e lealmente democristiano, atlantico, fedele alla Costituzione e vocato a cercare la collaborazione fra l’Italia, i suoi grandi gruppi industriali (come la Fiat) il Partito Comunista Italiano, il Dipartimento di Stato, l’Europa e il Mediooriente. Fu tradito da tutti, anche da quanti si dissero favorevoli alla trattativa. Fu una cinica commedia. Il risultato oggi è sotto gli occhi di tutti.
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Aldo Moro non è stato rapito in via Fani, il 16 marzo 1978, alle ore 09.02, com’è stato sempre raccontato dagli uomini dello Stato, dagli investigatori, dai magistrati, dai politici, dalla stampa e dalla tivvù. Ce lo assicura lo stesso presidente Aldo Moro. Vediamo come.
In via Fani furono rinvenuti 91 bossoli, 49 dei quali d’una sola arma, d’un tiratore mai identificato, d’altissima perizia, peculiare a militari delle forze speciali, «un gioiello di perfezione», secondo un testimone, intervistato da “Repubblica” il 18 marzo 1978.
91 bossoli, 42 dei quali sparati dai rimanenti sei brigatisti. A detta di Valerio Morucci, «l’unica prova dell’azione era stata compiuta nella villa di Velletri». Ammesso che abbiano sparato, impossibile che abbiano acquisito perizia da tiratori, neppure lontanamente accostabile a quella del professionista. I brigatisti sono assassini buoni a sparare alle spalle di vittime inermi a brevissima distanza, niente di più.
Il presidente Aldo Moro, come si sa, sarebbe uscito indenne dalla tempesta di fuoco, quindi rapito e trasportato sull’auto che poi l’avrebbe portato alla “prigione del popolo”.
I suoi assassini potevano permettersi un ostaggio ferito? No, perché sarebbe diventato un problema logistico d’asperrima gestione.
I suoi assassini potevano permettersi di uccidere, sia pure casualmente, il presidente Aldo Moro? No, perché tutta la finzione successiva, ruotata intorno a una “finta trattativa” – e dimostreremo che fu una finzione – non sarebbe rimasta in piedi. Aldo Moro doveva dunque essere rapito incolume. Perché la sua incolumità fosse certa, egli non doveva essere sulla scena della strage.
Per capirci circa l’impossibilità di garantire l’incolumità di Aldo Moro, mentre i sette assassini sparavano, occorre seguire un elementare ragionamento. Supponete di impugnare una pistola e mirare a un bersaglio posto a 2 metri e mezzo da voi. Sparate dal fianco, senza mirare, confidando proprio sulla prossimità del bersaglio, esattamente come fecero i sette assassini. Se la vostra pistola o la mitraglietta, nel momento in cui sparate, devia di solo 4 centimetri, il colpo sul bersaglio è deviato di mezzo metro. Quattro centimetri sono nulla per un tiratore non addestrato. Se poi i centimetri fossero sei, solo due in più, perché il primo colpo vi ha spostato la mano, la deviazione finale sarebbe di 75 centimetri. D’altronde anche il precisissimo tiratore professionista, che spara senza minima dispersione, nulla potrebbe fare se l’ostaggio, come sarebbe naturale, si muovesse scompostamente e improvvisamente, ponendosi sulla traiettoria dei suoi colpi. Insomma, il presidente Aldo Moro, incolume, a via Fani non c’era.
L’obiezione più immediata è che ci sono testimonianze d’un uomo trascinato verso l’auto che poi di dilegua. Vi sono almeno due risposte possibili, una un po’ più perfida dell’altra. La prima. I brigatisti, dovendo simulare la presenza di Moro (che come dimostreremo non c’era) prepararono un figuro che ne fece le parti. I testimoni, scombussolati dalla strage, videro uno che in realtà non era Aldo Moro. La seconda. Far dire a un testimone d’aver visto ciò che non ha visto non è impossibile. Comunque sia, ai fini del nostro discorso questo dettaglio è secondario, perché Aldo Moro non c’era, come dimostreremo.
Da tutte le lettere che Aldo Moro ha scritto, quelle fatteci ritrovare, risalta la totale assenza di interesse per la sorte della scorta. Non una sillaba viene spesa da Aldo Moro. Questo dettaglio fu utilizzato da eminenti esperti per assicurare che Aldo Moro aveva scritto quelle lettere sotto dettatura, dunque non era più lui.
In realtà tale assenza di interesse per la morte dei cinque sventurati sarebbe inspiegabile per chi ha conosciuto Aldo Moro, un cattolico profondamente credente, d’assoluta bontà, compassionevole come un vero cattolico deve essere.
Aldo Moro, riferendosi alla scorta, scrisse solo che era stata inadeguata, nient’altro. Aveva ragione di scrivere così. Egli era infatti ignaro della sorte della scorta, sebbene fosse del tutto consapevole che essi si erano lasciati ingannare da chi lo aveva “prelevato”.
Nel libro “Aldo Moro, Ultimi Scritti, 16 marzo -9 maggio 1978”, a cura di Eugenio Tassini, ed. Piemme, 1998, a pagina 13, nella lettera a Francesco Cossiga, diffusa il 29 maggio 1978, Aldo Moro scrive:
«Benché non sappia nulla né del modo né di quanto accaduto dopo il mio prelevamento, è fuori discussione – mi è stato detto con tutta chiarezza – che sono considerato un prigioniero politico…» E più avanti continua, riferendosi a questo brano: «Soprattutto questa ragione di Stato nel mio caso significa, riprendendo lo spunto accennato innanzi sulla mia attuale condizione, che io mi trovo sotto un dominio pieno e incontrollato…»
È l’unica volta che Aldo Moro scrive “prelevamento”. Nelle lettere successive scriverà sempre “rapimento”. Egli non usava le parole a caso, tutt’altro, le distillava con estrema precisione. Qui correla il “prelevamento” alla ragion di Stato, dunque allo Stato e al “dominio pieno e incontrollato”.
A pagina 159 dello stesso libro, Aldo Moro fornisce la chiave di quanto accaduto, con un messaggio tanto inequivocabile quanto terribile, in una forma del tutto morbida, com’è nel suo stile.
Quando conclude la lunga lettera, scritta all’adorata moglie, nel giorno della Santa Pasqua, il 27 marzo 1978, butta lì alcune raccomandazioni, apparentemente inoffensive: «Ed ora alcune cose pratiche. Ho lasciato lo stipendio al solito posto. C’è da ritirare una camicia in lavanderia.
Data la gravidanza e il misero stipendio del marito, aiuta un po’ Anna. Puoi prelevare per questa necessità da qualche assegno firmato e non riscosso che Rana potrà aiutarti a realizzare. Spero che, mancando io, Anna ti porti i fiori di giunchiglie per il giorno delle nozze» e poi arriva il punto esplosivo «Sempre tramite Rana, bisognerebbe cercare di raccogliere cinque borse che erano in macchina. Niente di politico ma tutte attività correnti, rimaste a giacere nel corso della crisi. C’erano anche vari indumenti di viaggio».
Aldo Moro è quindi convinto che l’auto su cui ha viaggiato, quel mattino sicuramente sino alla chiesa di Santa Chiara, sia giunta a destinazione, senza di lui ma con le sue borse e quindi con la scorta in buona salute.
Tutte le mattine Aldo Moro, scendendo dalla sua abitazione di via Cortina D’Ampezzo, si fermava alle otto e trenta alla chiesa di Santa Chiara, per una breve preghiera prima di dirigersi al lavoro.
Aldo Moro ha quindi visto coi suoi occhi la sua scorta andare via, portandosi le sue borse e i suoi indumenti di viaggio e chiede alla moglie di recuperarli.
Questo significa che Aldo Moro non è in via Fani quando la scorta è annientata. La scorta deve essere annientata affinché non si sappia che cosa è accaduto prima, ad Aldo Moro, in piazza Santa Chiara, quando esce dalla chiesa.
Fin qui i fatti. Ora andiamo alle deduzioni.
Aldo Moro è stato allontanato dalla sua scorta. Questo può essere avvenuto solo per opera d’un drappello di carabinieri o poliziotti (finti o veri non sta a noi dirlo) comandati da un ufficiale ben noto al capo scorta, Oreste Leonardi, il quale mai avrebbe abbandonato il suo Presidente in mani sconosciute.
«Signor Presidente, mezz’ora fa Radio Città futura ha annunciato il suo rapimento» quindi rivolgendosi anche a Leonardi, il delinquente in uniforme avrebbe potuto aggiungere: «Abbiamo quindi pensato a un piano diversivo. Lei, signor Presidente, potrebbe venire con noi con auto blindata e scorta adeguata. Tu, Leonardi fai il tragitto prestabilito. All’incrocio fra via Fani e via Stresa troverai dei nostri in uniforme dell’Alitalia. Rallentate e fatevi riconoscere. Anzi, per evitare equivoci, perché non so bene da quale reparto arrivino, mettete le mitragliette nel portabagagli, caso mai le tirate fuori dopo. Ci vediamo in Parlamento».
In Parlamento, dove Aldo Moro pensava che la sua scorta fosse giunta indenne e con le sue cinque borse, gabbata dai rapitori veri, quelli che lo avevano “prelevato”, com’egli scrive a Cossiga. Una scorta inadeguata, dopo tutto, ha ragione Aldo Moro di lamentarsene. Come dite? Potevano telefonare al comando per sincerarsi che tutto fosse regolare? Non c’erano cellulari e quel mattino la SIP ebbe un’avaria; tutte le comunicazioni telefoniche erano bloccate. È verosimile che a Leonardi fosse consegnato un ordine scritto autentico nella sua falsità. Il resto è noto? Non è detto. Aldo Moro non poteva tornare vivo dalla prigionia, altrimenti avrebbe testimoniato, e sarebbero saltati tutti a cominciare dai fautori della linea intransigente della DC e del PCI, oltre ai fedeli servitori dello Stato prestatisi a questa porcheria. La trattativa aveva dunque un unico sbocco possibile: la morte di Aldo Moro, non la trattativa.
I suoi assassini, i pochi individuati, fanno una vita agiata.
Piero Laporta
La caduta di Saigon, 40 anni dopo
Il 30 aprile 1975 le truppe nordvietnamite entravano a Saigon. Gli americani hanno perso la guerra, ma oggi il capitalismo ha vinto.
di Massimo Morello 27 Aprile 2015 RILETTURA
Bien dong, bien dong» ripete Ninh, «Il mare dell’est», come i vietnamiti chiamano il Mar della Cina Meridionale. Mette le mani in acqua, ne raccoglie un po’ e me la offre: «Bevi: qui è già salata». Iniziava così, nel delta del Mekong, la risalita del fiume che attraversa il sud-est asiatico. Durante la guerra in Vietnam l’espressione «being up the Mekong», era una metafora del rischio. Ma ormai era divenuto un richiamo esotico. Era il 2005 e in Vietnam si celebrava il trentesimo anniversario del «Giai Phong», la “liberazione”. Il 30 aprile 1975 le truppe nordvietnamite erano entrate a Saigon, mentre gli ultimi americani e i vietnamiti compromessi col governo del sud, venivano fatti evacuare in elicottero dal tetto dell’ambasciata. Oggi la sede di quell’ambasciata è occupata da un parco e dal Consolato Generale degli Stati Uniti a Ho Chi Minh City, come fu ribattezzata Saigon il primo maggio 1975 (il nome ufficiale è Thanh pho Ho Chi Minh, la città di Ho Chi Minh).
E oggi, alla vigilia del quarantesimo anniversario, come in ogni altro anniversario dell’evento, è inevitabile citare Tiziano Terzani, che ne fu testimone. «Quando vidi i primi carri armati entrare nella città, e la prima camionetta carica di ribelli, di vietcong, venire giù per rue Catinat, con loro che urlavano “Giai Phong!” per me era la Storia. Piansi. Non soltanto all’idea che la guerra era finita, ma perché sentivo la Storia. Quella era la Storia». «La storia ci ha coinvolti» dice semplicemente Trinh, che era un ufficiale dell’Arvn (Army of the Republic of Vietnam), l’esercito del sud, e ha scontato il suo coinvolgimento in un campo di rieducazione. Oggi dirige un albergo di lusso al confine con la Cambogia. Quella Storia era ineluttabilmente destinata a finire, come le illusioni di Terzani. Si è trasformata in un intreccio di storie, i cui personaggi non sono più classificabili in categorie ideologiche.
«Sono una spia, un agente in sonno, un fantasma, un uomo a due volti» dice il narratore de The Sympathizer, romanzo di Thanh Nguyen, vietnamita nato in America. Appena pubblicato, inizia con la caduta (o la liberazione) di Saigon nel 1975 e sintetizza tutte le storie che da allora si sono dipanate in Vietnam. L’anonimo narratore dalla personalità ambivalente incarna le contraddizioni, i dubbi, gli altalenanti rapporti di amore e odio che contraddistinguono i vietnamiti, spesso costretti a scegliere non tra giusto e sbagliato, bensì tra giusto e giusto. «Ricorda che la miglior medicina è un sano senso di relativismo» è una delle lezioni di questo libro.
È la filosofia di Ninh, che pesca pesci gatto nel Delta del Mekong. Per lui gli americani nemici sono gli allevatori di pesce gatto del Mississippi: secondo loro solo le specie americane possono chiamarsi «catfish», mentre le vietnamite devono essere commercializzate col nome locale di «basa». I nemici veri, per Ninh, come per l’84% dei suoi compatrioti (almeno secondo il Pew Research Center), sono i cinesi: costruiscono dighe sull’alto corso del Mekong mettendo a rischio l’ecosistema del fiume e rivendicano il controllo del Bien Dong.
«I teatri di Guerra sono diventati poli produttivi: il Delta del Mekong a sud, il delta del Fiume Rosso a nord: nel primo si concentra il 35% del pil, nel secondo il 25» dice Johan Kruimer, manager di una delle società finanziarie spuntate a Saigon. «È una questione di costi e produttività. Dopo mille anni di guerre, la sopravvivenza resta il primo pensiero, la volontà di assicurarsi un futuro migliore è feroce».
L’America ha perso, il capitalismo ha vinto
«Vietnam is on a roll», il Vietnam è sulla cresta dell’onda, dice Justine, affascinante rappresentante dei viet kieu, rifugiati o figli di rifugiati negli Usa poi rientrati in Vietnam. «Mia madre voleva farmi scoprire le mie radici. Ero una tipica ragazza americana, molto California style. E il Vietnam era molto comunista. Superato lo shock, ho capito che era un’opportunità». Justine esprime tutti i nodi culturali che rendono il Vietnam un laboratorio di antropologia contemporanea. Quando parla dei vietnamiti, ad esempio, si riferisce soltanto ai locali, mentre come viet kieu rivendica un’identità genericamente asiatica, accettando le contaminazioni occidentali. D’altra parte rimprovera ai giovani vietnamiti la perdita del senso d’identità, dei valori tradizionali codificati dal confucianesimo per inseguire una ricchezza effimera. Quando parla di tradizione locale, invece, non si riferisce né a Confucio né a Buddha, bensì al comunismo. Ma a questo riconosce il merito di mantenere ordine nel paese.
Il relativismo dei concetti di democrazia e comunismo è uno degli elementi tipici dei personaggi che animano le nuove storie viet. «Non disegno per la massa» dice Dinh, stilista che ha ricreato in chiave fashion il tradizionale ai dai, la lunga tunica attillata dai profondi spacchi laterali che fu bandita dal regime come decadente. I suoi sono splendidi e costosi modelli con disegni dai colori accesi ricamati a mano. «Ti metti all’incrocio tra la Nguyen Thiep e la Dong Khoi, di fronte allo showroom di Gucci. E aspetti che passi una donna in ao dai bianco sullo sfondo delle vetrine». Per Michelle, designer di oggetti in lacca, questa è l’immagine simbolo di Saigon.
Secondo Bill Hayton, autore di Vietnam Rising Dragon, la metamorfosi del Vietnam in nuovo dragone asiatico è ben definita da un passaggio semantico: in vietnamita il termine “com” significa raccolto, ma anche cibo, pasto e addirittura la moglie. Oggi, sempre più spesso, è riferito a commodity.
Del resto, secondo un’altra indagine, il 95% dei vietnamiti ha fede nel capitalismo. La percentuale più alta del mondo. Superiore anche a quella degli americani. Per molti giovani il nuovo idolo è Pham Nhat Vuong, primo vietnamita a entrare nella lista dei miliardari della rivista Forbes. Definito il Donald Trump vietnamita, è nato ad Hanoi nel 1968 (l’anno dell’offensiva del Tet, che segnò l’inizio della fine della guerra e uno dei suoi momenti più cruenti): suo padre era un ufficiale del nord, sua madre una venditrice ambulante.
Vietnam ♥ America
Tutto è cominciato nel 1986, quando il sesto congresso del partito dei lavoratori vietnamiti ha sancito il Doi Moi, rinnovamento, la politica di liberalizzazione economica. Una manovra resa inevitabile dalla fine degli aiuti dei «paesi fratelli» del blocco comunista e dall’inflazione al 775 per cento. L’anno seguente è varata la legge che consente le rimesse dall’estero: da allora sono arrivati oltre 38 miliardi di euro. Nel 1988 la risoluzione n.10 abolisce il sistema di pianificazione statale.
Nel 1995, con l’adesione all’Asean (l’associazione dei paesi del sud-est asiatico), la riapertura delle relazioni con gli Usa e l’accesso ai prestiti del Fondo Monetario Internazionale, il Doi Moi ha un’ulteriore accelerazione. Non a caso il 2015 è ricordato, quasi più che per l’anniversario della liberazione per il ventennale della normalizzazione dei rapporti con gli Stati Uniti. Cementata, l’anno seguente, dai primi accordi commerciali e, nel 2007, dall’adesione alla World Trade Organization.
Così, dal 2000 al 2014, il Pil procapite è passato da circa 400 dollari a quasi 2000. Secondo la Camera di Commercio Americana in Vietnam, nel 2014 il Vietnam ha ottenuto il record di esportazioni negli Usa tra i paesi del Sud-Est Asiatico, con una quota del 20% (destinato a raggiungere il 30 nel 2020), pari a 36 miliardi di dollari. Il Vietnam, inoltre, è uno dei maggiori supporter del Trans-Pacific Partnership, il trattato commerciale proposto dagli Stati Uniti che dovrebbe comprendere 12 nazioni dell’area a eccezione della Cina. «Il trattato permetterà all’economia vietnamita di integrarsi completamente col mondo industrializzato e ci proteggerà dall’espansionismo cinese» ha dichiarato Tuong Lai, sociologo molto ascoltato ai vertici del governo di Hanoi.
Per ricambiare, pochi mesi fa, gli Stati Uniti hanno parzialmente revocato l’embargo sulla vendita di armi al Vietnam. Decisione motivata dalla necessità di fornire mezzi navali (come le cinque motovedette veloci appena consegnate) da contrapporre alla flotta cinese nel Bien Dong. Questo rapporto «fraterno» (così definito da Pham Quang Vinh, nuovo ambasciatore del Vietnam negli Usa) sarà consolidato in giugno con la visita a Washington di Nguyen Phu Trong, il primo segretario generale del partito comunista vietnamita a recarsi negli Stati Uniti. L’anno prossimo il rapporto potrebbe divenire ancor più stretto.
Hillary e lo Zen del Giocoliere
Nel 2016 Hillary Clinton potrebbe diventare il nuovo presidente degli Stati Uniti ed è stata lei a teorizzare il riposizionamento della politica estera americana in Asia, il cosiddetto “pivot to Asia”, e a porre le basi della US-Vietnam Comprehensive Partnership, sorta di accordo quadro che prelude addirittura a un’alleanza strategica.
Chiunque sia il presidente americano, dovrà fare i conti con un’arte tradizionale vietnamita: lo Zen del Giocoliere. L’espressione, coniata da M.K. Bhadrakumar, esperto di geopolitica asiatica, si riferisce sia alla filosofia buddhista diffusa in Vietnam sia alla capacità di trovare un equilibrio tra forze contrapposte (uno dei fini dello Zen). E’ un’arte o una filosofia che il Vietnam ha elaborato nel corso di millenni e messo in pratica anche durante la guerra, quando è riuscito a mantenere buone relazioni sia con la Russia (allora URSS) e con la Cina, mentre le due grandi potenze comuniste si fronteggiavano sul confine dell’Ussuri.
Oggi il gioco è più complesso: il Vietnam deve mantenere l’equilibrio tra Stati Uniti, Cina e Russia. La Cina, infatti, è il suo maggior partner economico e il governo di Hanoi ha prontamente aderito alla Asia Infrastructure Investment Bank, istituzione finanziaria guidata dalla Cina e antagonista della Asian Development Bank i cui azionisti di maggioranza sono Usa e Giappone. La Russia, invece, non vuole inserirsi tra America e Cina come concorrente economico, ma compete con l’America quale partner strategico del Vietnam. Resta il suo maggior fornitore d’armi, ed è riuscito ad aggiudicarsi l’utilizzo della base navale di Cam Ranh, dove gli americani sarebbero voluti tornare da alleati dopo averla abbandonata nel 1972.
La sintesi migliore è quella di Chu Nam, un vecchio che si vanta di essere conosciuto in tutto il Delta per il suo pho, la zuppa di vermicelli di riso. «Ho venduto il pho ai francesi. Poi ai giapponesi. E poi agli americani» dice. «Adesso lo vendo a chiunque lo vuole». Il futuro di Chu Nam e dei novanta milioni di suoi connazionali sarà deciso l’anno prossimo, quando compirà i suoi primi quarant’anni la Repubblica Socialista del Vietnam, proclamata nel 1976. Nel gennaio 2016 si svolgerà il dodicesimo congresso del Partito Comunista Vietnamita “la forza che guida lo stato e la società”. Il rinnovamento vietnamita, infatti, non comprende la liberalizzazione politica: basti pensare che, secondo un’interpretazione piuttosto elastica dell’articolo 80 del codice penale, ogni critica al governo può essere equiparata al reato di spionaggio.
Il prossimo congresso potrebbe essere l’occasione per qualche apertura. Soprattutto se sarà eletto nuovo segretario generale del partito l’attuale primo ministro Nguyen Tan Dung, l’uomo secondo cui “la democrazia è il futuro”, sostenitore di un sempre più stretto legame con gli Stati Uniti e di una liberalizzazione delle imprese di stato. Dung può contare sull’appoggio della nuova generazione di giovani e aggressivi imprenditori. Come suo genero, Henry Nguyen, un viet kieu che ha introdotto in Vietnam il capitalismo “tech-venture” (fondi per settori ad alta tecnologia) e che è il maggior partner locale della McDonald, che ha aperto il primo locale a Saigon.
Tutte le fotografie sono di Terry Fincher/Hulton Archive
https://www.rivistastudio.com/la-caduta-di-saigon-40-anni-dopo/
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