NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 27 MAGGIO 2019

Manfred Weber (a sinistra) sarà democraticamente eletto alla successione di Jean-Claude Juncker (a destra). Juncker fu costretto a dimettersi da primo ministro del Lussemburgo dopo che furono accertate le sue responsabilità nella rete clandestina «stay-behind» della NATO.

NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

27 MAGGIO 2019

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

IUS MURMURANDI.

Il diritto di mormorare.

È l’unica consolazione di chi non ha

la possibilità di modificare in meglio

una condizione di cose che non approva.

MICHELE GAGLIARDO, Dizionario delle voci latine, Sansoni, 1985, pag. 101

 

http://www.dettiescritti.com/

https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/

 

Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

SOMMARIO

 

La pagliacciata dell’Unione Europea 1    

E tu che lavoro fai?

Sono tutti francesi 1   

Greta e le torri gemelle

Con la scusa dell’odio ci imbavagliano 1

Dal Lazio oltre 120 milioni ai film di sinistra. 1    

Saviano nei libri scolastici

La scuola obbliga a comprare il libro di Saviano. 1     

Quando penso ai accini penso a Giulio Andreotti

Sul divenire 1   

Il cadavere della verità

È STATA LA CIA A INVENTARE IL CONCETTO DI “TEORIA DEL COMPLOTTO”. 1

Cassazione: il “matrimonio rom” con le spose bambine è reato 1

Lo scandalo delle nozze tra bambini: baby sposa in lacrime, l’ira sui social 1

Spose bambine decine di casi in Italia che nessuno racconta: ecco dove 1    

Zingaretti illustra la sua ricetta per l’immigrazione

Quando la sinistra chiuse i porti (e Repubblica batteva le mani) 1    

Ariecco Battisti   

I giudici italiani sono come il marchese del Grillo

Mercatone Uno fallisce: 1800 dipendenti perdono il lavoro. 1    

Lavoro    

Lo sciopero proposto da CGIL, CISL e UIL PER IL 2taglio delle pensioni”

Olanda: via ministro migranti, ‘nasconde i crimini violenti’ 1

Papa Ratzinger? Costretto a dimettersi perché era contro immigrazione e Islam. 1

Riflessioni su “Governance. Il management totalitario” di Deneault 1

IL LEOLUCA ORLANDO CHE LASCIA LA COMMEMORAZIONE DI FALCONE PERCHÉ NON VUOLE AVERE NIENTE A CHE FARE CON SALVINI È LO STESSO CHE NEL 1990 ANDÒ DA SANTORO AD ACCUSARE FALCONE DI INSABBIARE LE INDAGINI SU RIINA?. 1

Nicola Zingaretti l’Erede di un patrimonio dilapidato e quelle piazze di nessuno 1    

Le corna della sinistra      

Giuseppina Ghersi 25 aprile 1945

La Merkel ha dimenticato quando l’Europa dimezzò i debiti di guerra alla Germania. 1      

La resistenza partigiana sotto accusa dall’Aia per genocidio

 

 

IN EVIDENZA

La pagliacciata dell’Unione Europea

di Thierry Meyssan

Secondo Thierry Meyssan, gli europei sono ciechi perché non vogliono vedere. Nonostante gli innegabili fallimenti, insistono a ritenere che l’Unione Europea significhi pace e prosperità. Credono che sul piano interno ci sia contrapposizione tra patrioti e populisti, in realtà entrambe le parti si pongono sotto la protezione del Pentagono, che le difende dalla Russia. La strategia internazionale nata dopo la seconda guerra mondiale va avanti a loro spese, senza che ne abbiano consapevolezza.

RETE VOLTAIRE | DAMASCO (SIRIA) | 26 MAGGIO 2019

opo la comune vittoria della Seconda guerra mondiale, Sati Uniti e Regno Unito fecero propria l’immagine dell’alleato sovietico descritta dall’ambasciatore USA a Mosca, George Kennan: l’URSS, un impero totalitario che ambiva conquistare il mondo. Sicché invertirono la rotta e studiarono la strategia del contenimento (containment): il mondo si divideva in tre parti, la parte già sotto il dominio sovietico, la parte libera e, infine, la parte da decolonizzare e da proteggere dall’orco sovietico.

Inizialmente, quando Stalin continuava a deportare popolazioni nei gulag, l’analisi poteva sembrare corretta. Ma, almeno dopo la morte di Stalin, la sua falsità avrebbe dovuto essere evidente. Infatti, Che Guevara, ministro dell’Economia a Cuba, scrisse un libro contro il modello sovietico e proseguì la rivoluzione in Africa senza chiedere permesso ai sovietici, contando però sul loro appoggio.

Comunque sia, Stati Uniti e Regno Unito decisero di proteggere l’Europa Occidentale dal giogo sovietico e di creare gli “Stati Uniti d’Europa”, secondo un modello che si richiamava a quello che gli europei, stanchi di farsi la guerra, concepirono all’inizio del XX secolo. In realtà si trattava di un modello completamente diverso, paragonabile invece a quello della Lega Araba o a quello dell’Organizzazione degli Stati Americani, istituita nello stesso periodo.

Poche furono le personalità dell’Europa Occidentale che vi si opposero. Tuttavia, mettendo a frutto la lezione della divisione del mondo uscita dalla Conferenza di Yalta, gollisti e comunisti francesi non sciolsero l’alleanza che strinsero durante la guerra mondiale e ostacolarono la creazione di una struttura sovranazionale, nell’intento di preservare, più o meno, le sovranità nazionali, benché sotto le bandiere britannica e statunitense. Per questa ragione gollisti e comunisti francesi si opposero insieme al comando integrato della NATO e alla riformulazione della costruzione europea degli anglosassoni. Gollisti e comunisti francesi consideravano l’Europa coincidente con l’intero continente, «da Brest a Vladivostok». In effetti, dopo aver concepito il loro particolare sistema giuridico, gli inglesi si erano allontanati dalla cultura europea, mentre i russi l’avevano estesa conquistando la Siberia.

La dissoluzione dell’URSS nel 1991 avrebbe dovuto mettere fine a queste discussioni. Non fu così. Infatti, il segretario di Stato James Baker annunciò che Comunità Europea e NATO avrebbero integrato tutti gli Stati europei liberatisi dal giogo sovietico. Gli Stati accettarono. Baker fece contemporaneamente redigere il Trattato di Maastricht, che trasformava gli Stati del Vecchio Continente in «Stati Uniti d’Europa», sotto la tutela della NATO. La moneta unica di questa entità sovranazionale, l’euro, avrebbe dovuto essere emessa a equivalenza del dollaro. Tutto fu fatto troppo rapidamente perché così avvenisse. Come sempre diffidenti verso la Russia, Washington e Londra ne respinsero l’adesione all’Unione Europea, però l’associarono nella gestione delle leve del potere, aprendole la porta del G7, che divenne così G8 con prerogative decisionali.

Nel 1999 la caduta di Boris Eltsin e l’ascesa al potere di Vladimir Putin mise fine a questo periodo di titubanza. Le istituzioni controllate da Washington divennero più rigide. La strategia del containment – fallita durante la guerra fredda – fu rispolverata e nell’immaginario anglosassone l’orso russo sostituì l’orso sovietico. Oggi, con i pretesti più diversi, e persino senza alcun pretesto, Washington adotta ogni genere di sanzioni economiche, politiche e militari contro Mosca. La Russia è stata anche espulsa dal G8.

Manfred Weber (a sinistra) sarà democraticamente eletto alla successione di Jean-Claude Juncker (a destra).

Juncker fu costretto a dimettersi da primo ministro del Lussemburgo dopo che furono accertate le sue

responsabilità nella rete clandestina «stay-behind» della NATO.

 

Per comprendere le elezioni del parlamento europeo del 23-26 maggio, nonché la successiva nomina del presidente della Commissione Europea, bisogna collocarle in questo contesto storico e strategico. Gli Stati Uniti hanno deciso che alla presidenza della Commissione siederà Manfred Weber, che hanno incaricato di sabotare l’approvvigionamento dell’Unione Europea di idrocarburi russi. La prima battaglia di Weber sarà fermare la costruzione del gasdotto Nord Stream 2, nonostante i miliardi di euro investiti e i miliardi di euro che si risparmierebbero.

Affinché il parlamento europeo elegga democraticamente Weber non è necessario il sostegno della maggioranza dei parlamentari. È sufficiente che il suo gruppo, il PPE [Partito Popolare Europeo] ottenga il maggior numero di voti: il Trattato prescrive solo che il Consiglio Europeo deve «tener conto del risultato delle elezioni». Washington ha perciò preparato un parlamento dominato dal PPE e, in seconda posizione, dall’Europa delle Nazioni e della Libertà (ENL).

Steve Bannon è stato spedito in Europa per consigliare Matteo Salvini e creare una spinta da parte dei partiti identitari – non indipendentisti –, facendo però particolare attenzione a che l’ENL non possa ottenere la maggioranza.


Per questa ragione, nonostante le fatiche di Salvini, il partito polacco Diritto e

Continua qui:

https://www.voltairenet.org/article206589.html

 

 

 

 

E tu che lavoro fai?

[Di Enrico Galiano – insegnante, scrittore]

Cit. di Paola Campa Facebook – 07 settembre 2018

 

– E tu, che lavoro fai?

– Il prof.

– Ah.

– Già.

– E… com’è?

Di solito rispondo “Eh, figo”. Ma quello che vorrei dire in realtà è questo.

 

Stare in una stanza con venticinque persone di cui almeno venti non hanno nessuna voglia di essere lì.

Questo, è fare l’insegnante.

 

Partire da casa con sei matite, dodici penne e ventotto pennarelli, e tornare a casa con in tasca solo una mezza matita mangiucchiata. Che non è neanche tua.

Questo, è fare l’insegnante.

 

Avere amici che ogni volta che ti vedono, dopo il saluto, ti dicono: “Beato te che non fai un c…”.

Questo, è fare l’insegnante.

 

Dire una parola, o un’altra, e sapere che ogni volta la scelta potrebbe cambiare la vita di qualcuno. A volte pure la tua.

Questo, è fare l’insegnante.

 

Ricevere messaggi su whatsapp da gente che non senti da mesi e che ti chiede come si scrive una parola,

Continua qui:

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10216406296181184&id=1569211969

 

 

 

 

 

 

 

Sono tutti francesi

Talina Zonne 02 maggio 2019

 

Leggo in giro che Parigi è la capitale d’ Italia e che Leonardo da Vinci è francese..bene, allora anche tutti gli altri

 

SONO tutti francesi:

 

-Antoine Canovà

-Beato Angelicò

-Cimabuè

-Caravaggiò

-Donatellò

-Giottò

-Lippì

-Michelangelò

 

Continua qui:

 

https://www.facebook.com/100026111062881/posts/279056082974758/

 

 

 

 

 

 

 

 

Greta e le torri gemelle

Fabio Castellucci 4 05 2019

 

GRETA. COME LE TORRI GEMELLE. COME IL TERRORISMO IN ITALIA… SEMPRE LO STESSO SCHEMA…

 

Vi svelo il prossimo POSSIBILE futuro.

 

Stanno usando Greta come distrazione globale per fare in modo che il potere finanziario che ha massacrato il pianeta, metta le mani sulla “riconversione ecologica”…

 

Come dire che allo spacciatore di droga si affidano tutte le strutture di recupero dei drogati e di contrasto al traffico…

 

FIN QUI NON DICO NULLA DI NUOVO, OD ORIGINALE.

 

Ma,  ECCO IL POSSIBILE SVILUPPO RAZIONALE:

 

1) Continueranno a “pompare” Greta” (che ha già adesso la PIU’ GRANDE CAMPAGNA MEDIATICA MONDIALE MAI REALIZZATA!!!! NON VI PARE STRANO?) e, quando sarà al massimo della popolarità mondiale…

 

2) ORGANIZZERANNO UN ATTENTATO PER UCCIDERLA.

 

3) E RENDERANNO “SANTA QUINDI INTOCCABILE” la sua icona (non è MAI stata una PERSONA… è sempre e solo stata un’icona, ma con la morte violenta diventerà una Martire Intoccabile!).

 

Lo dico in chiaro:

 

4) il sistema finanziario globale, che controlla tutta la informazione mondiale, UCCIDERÀ GRETA, INSCENANDO UN ATTENTATO DI UN “NEGAZIONISTA CATTIVO DEL RISCALDAMENTO GLOBALE”, IN MODO DA PORTARE TUTTA LA OPINIONE PUBBLICA MONDIALE A CHIEDERE LA APPLICAZIONE DELLE “VISIONE GRETINA”.

 

AVETE CAPITO? VI FACCIO UN DISEGNO?

 

Sarebbe, se ci pensate, null’altro che il meccanismo della “strategia della tensione” degli anni ’70, applicato in Italia (ma poi anche nel mondo), ma questa volta applicato al settore dell’Ecologia, invece che al settore del terrorismo…

Ma con fine identico.

I meccanismi di distrazione/indirizzamento delle masse sono IDENTICI!

 

Il potere finanziario allora finanziava e inventava il terrorismo in Italia

 

Continua qui:

 

https://www.facebook.com/1055246726/posts/10215420037268195/

 

 

 

 

 

 

Con la scusa dell’odio ci imbavagliano

Il regolamento dell’Agcom

Francesco Maria Del Vigo – Ven, 24/05/2019 – 08:41

Occhio a quello che dite e a quello che scrivete. E forse anche a quello che pensate. Non solo se siete giornalisti, anche perché, grazie alle reti sociali, sono tutti un po’ giornalisti e tutti possono dire quello che gli pare e piace.

Ieri il garante per le comunicazioni, l’Agcom, ha tracciato un limite inviolabile oltre il quale si sprofonda nell’hate speech. Chi sgarra viene segnalato e poi multato. Fino a qui siamo tutti d’accordo. Il problema è: quali sono le parole d’odio? Perché a questo punto entra in ballo la sensibilità personale e quindi, almeno in una certa misura, anche la soggettività.

Le parole d’odio – spiega l’Agcom – prendono di mira bersagli specifici (come le donne, gli omosessuali, gli immigrati, i rom, le persone di colore). Parole che farebbero leva su stereotipi e luoghi comuni. Ma nel mirino del garante finiscono anche i contenuti di cronaca che possono portare a «pericolose generalizzazioni». E la questione si fa sempre più complicata. Facciamo un esempio pratico: lunedì a Mirandola un giovane marocchino ha dato alle fiamme le sedi dei vigili urbani, uccidendo due persone e ferendone altre venti. Posso dire che è marocchino? Oppure sto seminando odio nei confronti della popolazione del Nordafrica? E se, come purtroppo molte volte è accaduto, qualcuno fa una strage nel nome di Allah, possiamo scriverlo o dobbiamo tacerlo per non turbare la sensibilità degli 1,8 miliardi di musulmani nel mondo? Perché quelle non sono parole d’odio, sono parole che raccontano l’odio. Odio altrui, non di chi scrive. Altrimenti bisogna smettere di raccontare e gettare alle ortiche i 5 pilastri del giornalismo, le domande: «Chi? Che cosa? Quando? Dove? Perché?». «Chi», se si tratta di uno straniero, è

Continua qui:

 

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/scusa-dellodio-ci-imbavagliano-1700352.html?fbclid=IwAR19KEvi3A7aSXoRUNLDa_9nVBaQh41zjuKU0oKjvzMNVPbJKRuKznNjgYc

 

 

 

 

 

 

 

 

ARTE MUSICA TEATRO CINEMA

Dal Lazio oltre 120 milioni ai film di sinistra

Dal 2013 a oggi finanziate le pellicole di Madia, Fedeli e Veltroni

di Antonio Sbraga – 18 Ottobre 2018

 

Oggi parte la tredicesima edizione della «Festa del Cinema di Roma», ma in tutto il Lazio la settima arte è sempre al settimo cielo. E non solo per la storica presenza di Cinecittà, fondata 81 anni fa. Perché da 6 anni è attiva anche una nuova «CineRegione». Non ha studi di posa ma, grazie al suo ciak, si gira al mondo del cinema una media di 17 milioni e 714 mila euro all’anno da parte della Pisana. Il cui conto al box office è di ben 124 milioni negli ultimi 7 anni.

«Circa 102 milioni di euro sono stati investiti dalla Regione Lazio a sostegno del settore del cinema e dell’audiovisivo dal 2013 al 2017. I finanziamenti hanno premiato interventi a favore della produzione, delle manifestazioni e delle strutture cinematografiche», sottolinea la Regione, che ha già stanziato altri 22 milioni per il biennio 2018-2019. Il Lazio si vanta così di essere «la prima regione in Italia per investimenti nel settore audiovisivo e seconda in Europa. Il 77% dei finanziamenti al cinema italiano sono produzioni del Lazio». Compreso il pruriginoso titolo «Cicciolina. L’Arte dello scandalo» della Alpenway Media Production GmbH, un documentario «vietato ai minori di 14 anni», al quale la Regione ha elargito un finanziamento, appunto, minore: 2.615 euro.

Però ci sono stanziamenti per tutti: dai cinepanettoni («Natale a Londra», 114 mila euro) ai prestigiosi film premi Oscar («La Grande Bellezza» di Paolo Sorrentino, 315.895 euro). Ma è proprio una fiction firmata dall’immaginifico regista napoletano a toccare la cifra-record: un milione di euro. Anche se concesso solo in seguito alla «rivalutazione compiuta il 10 luglio 2018, in esecuzione della sentenza del Tar Lazio n. 3221/2018», la Regione ha comunque dovuto erogare il milione di euro di «contributo ammesso» a vantaggio della società ricorrente, la Wildside Srl, produttrice della serie televisiva italo-franco-spagnola, «The Young Pope», andata in onda sulla tv a pagamento Sky.

Ma il colossal, interpretato da Jude Law e Diane Keaton, non è la sola fiction sovvenzionata dalla Regione e trasmessa da un canale televisivo privato. Ci sono anche «I Cesaroni 5», ad esempio, trasmessi da Canale 5, che hanno incassato dalla Pisana 445 mila euro. Anche se la parte del leone la fanno le serie targate Rai-fiction. A partire dalla più nota e venduta all’estero, «Il Commissario Montalbano», interpretata da Luca Zingaretti, fratello maggiore del presidente della Regione, Nicola (399.559 euro nel 2013 e 31.355 nel 2017). C’è anche «Il giovane Montalbano», quello interpretato da Michele Riondino, nell’elenco dei beneficiari, ma insieme a quasi tutti i film a puntate dell’emittente pubblica: «Don Matteo», «Rocco Schiavone», «Che Dio ci aiuti», «È arrivata la felicità», «Luisa Spagnoli», «L’ispettore Coliandro» e «Un medico in famiglia». Ma, nel ricco cartellone di «CineRegione», brillano anche…

SE VUOI CONTINUARE A LEGGERE CLICCA QUI

 

https://www.iltempo.it/politica/2018/10/18/news/zingaretti-cinema-regione-lazio-milioni-film-sinistra-montalbano-1093290/

 

 

 

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

SAVIANO NEI LIBRI SCOLASTICI

Federica Francesconi 23 05 2019

 

Le ultime esalazioni di un’età impregnata di nichilismo sulfureo come quella che stiamo vivendo si possono cogliere anche a partire dai contenuti dei libri di testo per le Scuole Secondarie.

In uno di questi recentemente è apparsa una scheda dedicata a Roberto Saviano, descritto come se fosse un esimio rappresentante della cultura italiana del XXI secolo. Da Pirandello a Saviano, in un’epoca di abissi intellettuali, il passo è stato breve.

Di mezzo c’è stata a dire il vero la proposta avanzata nel 2012 da un’associazione che è consulente per l’ONU di eliminare dai programmi scolastici lo studio della Divina Commedia, accusata di contenere espressioni razziste e islamofobiche.

In sostanza, ” Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende/ Amor, ch’a nullo amato amar

Continua qui:

 

https://www.facebook.com/1165264657/posts/10216230289407660/

 

 

 

La scuola obbliga a comprare il libro di Saviano

Il caso in un liceo di Forlì. Gli studenti obbligati a comprare La paranza dei bambini. E scoppia la polemica

Luigi Mascheroni – 15/01/2017            RILETTURA OPPORTUNA, PER CAPIRE

Compito di un buon insegnante è, anche, consigliare ai propri studenti buoni libri da leggere, e invogliarli con ogni iniziativa possibile ad avvicinarsi agli autori.

E compito di un buon dirigente scolastico è quello di organizzare al meglio, con massima efficacia e radioso successo, le iniziative di supporto alla lettura.

Ma fra due intenzioni virtuose, a volte può insinuarsi il peccato. Ed è un peccato leggere la circolare indirizzata due giorni fa dal dirigente scolastico del Liceo classico statale «G.B. Morgagni» di Forlì «ai docenti e agli studenti delle classi quarte e quinte» in relazione alla presenza in città di Roberto Saviano, il prossimo 15 marzo. «L’iniziativa rappresenta un’importante occasione per incontrare uno degli scrittori più famosi del momento e per leggere il suo ultimo romanzo La paranza dei bambini», si legge. E fino a qui, tutti pensiamo a una buona scuola.

Ma quando si legge «L’adesione all’iniziativa deve riguardare l’intera classe con

Continua qui:

 

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/scuola-obbliga-comprare-libro-saviano-1351557.html

 

 

 

 

BELPAESE DA SALVARE

Quando penso ai vaccini penso a Giulio Andreotti, ai suoi intrallazzi con gli americani

E sapere che in America suo figlio è a capo di uno dei colossi farmaceutici…. mi viene da fare delle allusioni…

Post di Eleonora Brigliadori

Gruaro – La strage dimenticata dei 28 bambini italiani morti dopo il vaccino.

Nel 1933 nel comune di Gruaro si decise di iniziare una sperimentazione, mai riferito ciò alla popolazione, su un nuovo vaccino antidifterite.

La scelta nacque molto probabilmente perchè era uno dei comuni più piccoli e più poveri del Veneto.

L’ufficiale sanitario di allora dr. Betti Bettino all’inizio si rifiutò di vaccinare in quanto non vi erano focolai epidemici di difterite.

Il vaccino dal costo di 80 centesimi di lire verrà inoculato anche alle famiglie più povere e gratuitamente.

Il dr. Betti da pressioni del prefetto di allora fu costretto a vaccinare i bambini dai 13 mesi agli 8 anni.

In una settimana furono vaccinati 254 bambini.

Dopo i primi “eventi avversi” segnalati dal dr. Betti ( eritemi, esantemi, orticaria, edemi, disturbi gastrointestinali ) dopo circa 15 giorni iniziano le paralisi agli arti inferiori di molti bambini.

Alla fine dei 254 bambini vaccinati 28 muoiono ed altri avranno danni neurologici permanenti.

Tutto fu insabbiato e nessun responsabile pagò per questo atroce “delitto”.

Ecco il nome di molti bambini morti

È doveroso ricordare questi innocenti:

Barbui Erminio (anni 4),

Basso Maria (14mesi),

Biasio Renato (20 mesi),

Biason Placida ( 2 anni),

Bonan Luigi (6 anni),

Bor­colussi Mirella (7 anni),

Bravo Giovanni (15 mesi),

Colaurri Giuseppe (3 anni e mez­zo),

Dreon Gio Barra (3 anni),

Falcomer Evelina (20 mesi),

Innocente Celso (19 mesi),

Marson Maria (2 anni),

Moro Antonietta (4 anni),

Continua qui:

 

Inizio modulo

https://www.facebook.com/lino.palma.12?__tn__=%2CdlC-R-R&eid=ARD58sQ1HxtbrkPhHbLncdJS9o-WXDzasdr1smfvsyzBZmRl3gnrQiHRZAcHnLXyBhmMuitCtBgM7X3s&hc_ref=ARTrTho8kA67l_aq_11glhApE8GEfk7Q4p3-gR3CgMfvkQEBFyMrDEmxuH-vFNHIHzwFine modulo

 

 

 

 

CULTURA

Sul divenire

di Paolo Ferrario

 

  1. 1. Il divenire è divenire ‘altro da sé’, da parte di qualcosa. “Diventare altro da sé” significa: il prodotto di una ‘differenza’, di una non identità. A questo proposito, è chiaro che la semplice esistenza di una differenza o di cose differenti non è lo stesso del divenire. Per esempio, Lucerna non è Mendrisio: sono due città diverse. Ma questo non vuol dire che l’una sia “diventata” l’altra. Allo stesso modo, le circostanze che Giovanni sia seduto e Francesco sia in piedi non equivalgono a nessun divenire. La ‘differenza’ è dunque sì una condizione necessaria per il divenire, ma di per sé non basta.

Occorre che, contestualmente, ci sia un’identità sottesa ai “differenti”, per poter dire che il risultato, il divenuto, sia appunto il risultato di un inizio. Non si tratta di una generica identità – di quella per esempio per cui Lucerna e Mendrisio sono entrambe delle città – ma di qualcosa di più stringente dell’”identità” di un’unica e medesima cosa. Se c’è un mutamento, è “un” certo qualcosa ad avere delle differenze tali per cui “esso” è divenuto qualcosa di ‘diverso’ rispetto a quello che era all’inizio.

Divenire è diventato l’altro da sé; d’altra parte, anche intuitivamente, si può dire che se una cosa resta in tutto e per tutto eguale a sé stessa, essa “non” muta. Per esempio, una persona che non invecchiasse, una casa che non si alterasse minimamente, non sarebbero esempi di divenire. Al contrario, solo ciò che diventa quel che prima ‘non’ era, muta. Il tratto essenziale del divenire è dunque una differenza sottesa da un’identità. Questa teoria del divenire deve restituire questo rapporto di identità e differenza; e la varietà delle teorie sta nei diversi modi in cui tale rapporto viene configurato.

  1. 2. Questo tratto generale è immediatamente presente nella teoria del divenire per la quale le cose si modificano nel tempo e divengono altro. Qualcosa diventa un’altra cosa, ciò ch’essa non era. Emanuele Severino – che su questi temi ha scritto pagine di importanza fondamentale, e alla cui analisi qui ci rifacciamo – ha chiamato questa concezione del divenire pre-ontologica, per il fatto che essa non ricorre immediatamente a concetti filosofici.

Continua qui:

https://emanueleseverino.com/2019/05/04/sul-divenire-citazione-da-emiliano-boccardi-federico-perelda-eppur-si-muove-divenire-e-contraddizione-storia-e-teoria-di-un-problema-sta-in-scenari-dellimpossibile-la-contraddizione-nel-pen-2/

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

IL CADAVERE DELLA VERITA’

Giovanni Bernardini 03 05 2019    RILETTURA, PER NON DIMENTICARE!

 

Federico Fubini, vicedirettore del corriere della sera, non un giornalino qualsiasi, la maggiore testata italiana, confessa candidamente in una intervista televisiva, di non aver diffuso una notizia di cui era venuto a conoscenza: in seguito alla crisi greca c’era stato un incremento della mortalità infantile quantificato in settecento decessi in più di neonati.

Non ho dato la notizia, spiega Fubini, per non essere strumentalizzato dai nemici della UE e della sua democrazia “fondata sulle regole”.

Beh… una delle regole più importanti in una democrazia è, o dovrebbe essere, precisamente quella di informare onestamente i cittadini. Il primo dovere di un giornalista è, o dovrebbe essere, quello di dire come stanno le cose, salvo poi esprimere i suoi commenti, le sue valutazioni, il suo parere sul perché le cose stanno così e così.

Per Fubini e più in generale gli eurofanatici le cose stanno diversamente. Prima

Continua qui:

 

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=2448565995176628&id=100000697543272

 

 

 

È STATA LA CIA A INVENTARE IL CONCETTO DI “TEORIA DEL COMPLOTTO”

 11 Ottobre 2017  di Ron Unz

 

Analisi, ottobre 2017 – Il concetto di “teoria del complotto” è un’arma ideologica da guerra contro le ricostruzioni storiche e cronachistiche che non godono di un imprimatur ufficiale. Il concetto venne elaborato dalla CIA, e da allora si è imposto nei media internazionali…

 

Pare evidente che gran parte di quanto viene detto dai nostri capi di governo, o scritto sulle pagine dei nostri giornali più rispettabili – dagli attentati dell’11 settembre al caso locale più insignificante di piccola corruzione urbana – potrebbe essere tranquillamente collocata nella categoria « teoria del complotto », ma è difficile che in casi del genere si scomodi questo concetto. Vi si ricorre solo per quelle teorie, non importa se plausibili o fantasiose, che non hanno il timbro di approvazione dell’establishment.

In altri termini, esistono delle «teorie del complotto» buone e delle «teorie del complotto» cattive, le prime sono appunto quelle divulgate dagli esperti delle trasmissioni televisive tradizionali, e non vengono mai definite come tali. Mi capita talvolta di scherzare sulla possibilità che la proprietà e il controllo delle nostre stazioni televisive e di altri grandi media cambi improvvisamente, in questo caso il nuovo regime di informazione avrebbe bisogno solo di poche settimane perché l’ingenuo pubblico statunitense cambi completamente le sue idee su tutte le nostre «teorie del complotto» più famose.

Il racconto dei diciannove Arabi armati di taglierini che avrebbero dirottato diversi aerei di linea, evitato facilmente le difese aeree del NORAD, e ridotto vari edifici celebri in polvere, sarebbe in breve tempo universalmente ridicolizzato come una «teoria del complotto» tra le più assurde, tratta di sana pianta da qualche fumetto e capace di convincere solo degli spiriti malati, battendo il record dell’assurda teoria del «lupo solitario» nell’assassinio di JFK.

Anche senza che simili rivolgimenti si siano mai verificati nel controllo dei media, abbiamo ugualmente già assistito a radicali cambiamenti nelle credenze pubbliche statunitensi, anche solo per effetto di implicite associazioni. Subito dopo gli attentati del 2001, tutti i media USA sono stati arruolati nell’opera di denuncia e denigrazione di Osama bin Laden, il presunto cervello dell’islamismo, quale nostro peggior nemico nazionale, col suo volto barbuto continuamente in evidenza nelle televisioni e nei giornali, e diventato perciò rapidamente uno dei più noti al mondo. Ma quando l’amministrazione Bush e i suoi principali alleati mediatici hanno avviato i preparativi della guerra contro l’Iraq, le immagini delle torri in fumo hanno cominciato ad essere associate alle foto del dittatore coi baffi, Saddam Hussein, che era peraltro un nemico di Osama bin Laden. La conseguenza è stata che, al momento dell’attacco nel 2003, i sondaggi rivelavano che il 70% dei cittadini degli Stati Uniti credeva oramai che Saddam fosse direttamente responsabile della distruzione del nostro World Trade Center.

 

Twin Towers 11 S.

In quei momenti, sono certo che parecchi milioni di Statunitensi, patrioti ma non troppo informati, avrebbero denunciato e insultato con rabbia, definendolo un «teorico del complotto un po’ folle», chiunque avesse avuto la temerarietà di affermare che Saddam non era coinvolto nell’11 settembre, per quanto nessun dirigente abbia mai osato esplicitamente avanzare una tesi così falsa.

Questi esempi di manipolazione mediatica mi hanno molto fatto riflettere quando, un paio di anni fa, mi sono imbattuto in un breve ma affascinante libro, pubblicato dalla casa editrice dell’Università del Texas, «Conspiracy Theory in America» e scritto dal prof. Lance deHaven-Smith, ex presidente della Florida Political Science Association.

Partendo da una importante rivelazione dovuta alla FOIA [Freedom of Information Act, Legge per la libertà di informazione, NdT], il libro spiegava che, molto probabilmente, è da attribuirsi alla CIA la responsabilità della creazione del concetto di «teoria del complotto», utilizzato come strumento di manipolazione politica e mezzo attraverso il quale influenzare l’opinione pubblica.

Negli anni 1960, il pubblico statunitense aveva reagito con scetticismo crescente ai risultati della Commissione Warren, che pretendeva che un solitario uomo armato, Lee Harvey Oswald, fosse l’unico responsabile dell’assassinio del presidente Kennedy, mentre era diffuso il sospetto di un coinvolgimento anche di personalità di alto livello. Per tentare di ridurre il danno, la CIA distribuì un memo segreto a tutti i suoi uffici periferici, chiedendo di mettere in campo i media da essa controllati per ridicolizzare e attaccare questi critici, facendoli passare per seguaci irrazionali della «teoria del complotto». Subito dopo, nei media è cominciato ad apparire questo tipo di argomentazione, con termini, motivazioni e modelli di utilizzazione esattamente conformi alle linee guida fornite dalla CIA. Ne è derivato un enorme picco nell’uso peggiorativo dell’espressione, che si è rapidamente diffusa in tutti i media statunitensi, e il cui impatto dura ancora oggi. Vi sono quindi prove considerevoli a sostegno di quest’altra specifica «teoria del complotto», che spiega le ragioni dei tanti attacchi contro le « teorie del complotto » da parte dei media.

Ma, per quanto sembri che la CIA abbia effettivamente manipolato l’opinione pubblica per trasformare l’espressione «teoria del complotto» in una potente arma da guerra ideologica,nl’autore racconta anche come il necessario retroterra filosofico fosse stato preparato qualche decennio prima. All’epoca della Seconda Guerra Mondiale, quando importanti cambiamenti nella teoria politica determinarono un’enorme caduta di rispettabilità di ogni spiegazione «complottista» degli avvenimenti storici.

Nei decenni che hanno preceduto questo conflitto, uno dei nostri maestri e intellettuali più importanti fu lo storico Charles Beard, i cui scritti più noti mettevano fortemente l’accento sul ruolo nefasto delle varie cospirazioni attraverso le quali l’élite ha influenzato la politica statunitense, a profitto di qualcuno e a spese dei più, con degli esempi che, partendo dalla più antica storia degli Stati Uniti giungono fino alla partecipazione alla Prima Guerra Mondiale. Evidentemente i ricercatori non hanno mai sostenuto che tutti i più importanti avvenimenti storici avessero delle cause nascoste, ma ammettevano che per qualcuno di essi fosse così, e cercare di indagare su questa possibilità veniva considerato un impegno accademico perfettamente onorevole.

Ma Beard fu anche fortemente contrario all’impegno degli USA nella Seconda Guerra Mondiale e finì che venne emarginato, fino alla sua morte avvenuta nel 1948. Molti altri giovani intellettuali che la pensavano come lui hanno subito una sorte analoga, sono stati discriminati e si sono visti rifiutare ogni accesso ai media tradizionali. Contemporaneamente si affermavano negli ambienti intellettuali statunitensi le prospettive del tutto opposte di due filosofi politici europei, Karl Popper e Leo Strauss, e le loro idee sono diventate dominanti nella vita pubblica.

Popper, il più influente, ha presentato obiezioni ampie e molto teoriche alla stessa possibilità che cospirazioni di alto livello possano verificarsi, affermando che sarebbe difficile metterle in opera, tenuto conto della fallibilità degli agenti umani; quel che può sembrare un complotto, è in realtà da attribuirsi all’opera di attori individuali che perseguono obiettivi personali. Più importante ancora, Popper considerava le «credenze complottiste» una malattia sociale estremamente pericolosa, un fattore imprescindibile nell’affermazione del nazismo e di altre ideologie totalitarie mortali. La sua storia personale, di origine ebraica e fuggito dall’Austria nel 1937, ha contribuito certamente a dare forza al suo modo di pensare in merito a queste questioni filosofiche.

Nel frattempo, Strauss, uno dei fondatori del pensiero neoconservatore moderno, era altrettanto severo nei suoi attacchi contro le analisi complottiste, ma per ragioni opposte. Nel suo modo di vedere le cose, le cospirazioni delle élite sono assolutamente necessarie e vantaggiose, una difesa sociale fondamentale contro l’anarchia o il totalitarismo, ma la loro efficacia dipende evidentemente dalla possibilità di tenerle nascoste agli occhi indiscreti delle masse ignoranti. Il suo problema, con le «teorie del complotto», non era che fossero necessariamente false, ma piuttosto che potevano essere veritiere e, di conseguenza, la loro diffusione potenzialmente disturbava il buon funzionamento della società. Dunque, per autodifesa, le élite hanno bisogno di sopprimere attivamente o, almeno, ostacolare le ricerche non autorizzate sulle presunte cospirazioni.

Anche per gli Statunitensi istruiti, teorici come Beard, Popper e Strauss non sono altro probabilmente che dei nomi vistosi menzionati nei libri di testo, ed era davvero così nel mio caso. Popper è probabilmente uno dei fondatori del pensiero liberale moderno, con un individuo tanto influente politicamente come il finanziere liberale di sinistra George Soros che pretende di esserne il discepolo. I pensatori neoconservatori, che hanno totalmente dominato il Partito repubblicano e il movimento conservatore nel corso degli ultimi decenni, spesso fanno riferimento a Strauss.

Così, grazie alla combinazione del pensiero di Popper e di Strauss, la tendenza statunitense tradizionale a considerare le cospirazioni delle élite come un fatto reale ma nefasto della nostra società è stata progressivamente stigmatizzata come paranoica o politicamente pericolosa, dando base alla sua esclusione dal discorso rispettabile.

Nel 1964, questa rivoluzione intellettuale era in gran parte compiuta, come testimonia la reazione estremamente positiva al celebre articolo del politologo Richard Hofstadter che criticava il sedicente «stile paranoico» della politica USA, considerato come la causa principale della grande credulità popolare e delle teorie del complotto non plausibili. In larga misura, Hofstadter muoveva la sua critica a semplici prestanome della politica, raccontava e metteva in ridicolo la credulità rispetto ai complotti più assurdi, ignorando del tutto quelli che si erano dimostrati come veri. Per esempio, raccontava che alcuni tra gli anticomunisti più isterici credevano che decine di migliaia di soldati comunisti cinesi stessero nascosti in Messico, preparando un attacco contro San Diego, ma trascurava del tutto di dire che, per anni, alcune spie comuniste avevano effettivamente ricoperto cariche di alto livello nel governo USA. Anche le persone più sensibili alla teoria del complotto non pretendono che tutti i presunti complotti siano veri, affermano solo che alcuni possono esserlo.

La gran parte dei mutamenti nel modo di pensare pubblico è avvenuta prima che io nascessi o quando ero un bambino piccolissimo, e le mie idee sono state forgiate dalla narrativa mediatica piuttosto convenzionale che ho assorbito. Di conseguenza, per quasi tutta la mia vita, ho automaticamente respinto ogni «teoria del complotto» considerandola ridicola, e non immaginavo neppure che alcune potessero essere vere.

Quando capitava che ci pensassi, il mio ragionamento era semplice e fondato su quello che mi sembrava un solido buon senso. Qualsiasi complotto che riguardi un avvenimento pubblico importante deve certamente contare su molte «parti in movimento» separate, siano essi attori o azioni intraprese, diciamo almeno100 o più. Ora, considerando la natura imperfetta di ogni tentativo di dissimulazione, sarebbe certamente impossibile tenerle tutte nascoste. Quindi, anche se un complotto ottenesse inizialmente il 95% di successo nel rimanere segreto, cinque importanti indizi rimarrebbero comunque in vista per chi li volesse cercare. E quando frotte di giornalisti riuscissero a individuarli, emergerebbero certamente prove flagranti di complotto agli occhi di un investigatore motivato, con la possibilità di risalire la pista fino alla sua origine, scoprendo mano a mano sempre più elementi, fino a far crollare l’intero castello. E anche se non si riuscisse a disvelare tutti i fatti cruciali, sarebbe comunque chiaro che vi è stato un complotto.

Tuttavia, nel mio ragionamento c’era un’ipotesi tacita che, successivamente, ho capito essere del tutto falsa. Naturalmente

Continua qui:

 

https://www.controinformazione.info/e-stata-la-cia-a-inventare-il-concetto-di-teoria-del-complotto/

 

 

 

 

 

DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI

Cassazione: il “matrimonio rom” con le spose bambine è reato

Pubblicato il 22/11/2017

Anche se la cultura rom ammette le spose bambine, in Italia il matrimonio con minorenni non esiste. E commette reato – atti sessuali con minore (art.609 quater) – chi convive “more uxorio” con una minore di 16 anni, anche se c’è il suo consenso. La Cassazione ha così confermato la condanna a un anno, con le attenuanti generiche, inflitta dalla Corte d’Appello di Sassari a un giovane, all’epoca ventiduenne, che aveva sposato la ragazza “con matrimonio rom”.

I fatti si sono svolti nel 2011 e il giovane era stato ritenuto colpevole sia dal Tribunale di Sassari, che dalla Corte d’Appello. Nel ricorso in Cassazione, il difensore dell’imputato aveva opposto che non ci fosse alcuna «situazione di soggezione», neanche morale, tra i «due fidanzati, già coniugi», secondo la loro cultura. In pratica, la difesa aveva provato a sostenere che la norma punisce gli atti sessuali compiuti in un rapporto non paritario, di supremazia dell’autore tale da condizionare una ragazza di meno di 16 anni. Non in un’unione stabile.

Lo scandalo delle nozze tra bambini: baby sposa in lacrime, l’ira sui social

 

VIDEO QUI: https://video.lastampa.it/73cb51e2-5148-482b-85c6-5a9acca980da

Non esiste «un rapporto di matrimonio tra il soggetto attivo del reato e quello passivo», premette la terza sezione penale della Cassazione, e non può essere portato in giudizio come causa di esclusione del reato. Nemmeno se

Continua qui:

https://www.lastampa.it/2017/11/22/italia/cassazione-il-matrimonio-rom-con-le-spose-bambine-reato-pVFCxkcZoera0vB7lAUkNO/pagina.html

 

 

 

 

Spose bambine decine di casi in Italia che nessuno racconta: ecco dove

Da Maurizio Spezia – 14/12/2018

Le spose bambine islamiche di Palermo. Decine di casi di cui nessuno parla – di Ilaria Paoletti

I risultati della “importazione” culturale forzata nel nostro paese assumono contorni sempre più inquietanti.

Il tutto, a scapito spesso delle donne, ancor più spesso delle bambine: e il silenzio delle cosiddette femministe mediatiche e delle militanti da tastiera del #MeToo è assordante.

Lo racconta una inchiesta di Repubblica Palermo. Sempre più bambine, per lo più di religione islamica dai tredici anni in poi “spariscono” misteriosamente dalle loro scuole.

Ti potrebbe interessare anche Fotografo eroe scopre che la sposa ha 15anni e impedisce il matrimonio

La ragione? Sono promesse spose nei paesi di origine dei propri genitori: Bangladesh, Parkistan, Sri Lanka ed India.

E, altrettanto spesso, questi uomini che andranno a sposare sono dieci, venti anni più grandi di loro.

Oltre ad essere quindi matrimoni combinati imposti alle donne contro la loro volontà, questi rapporti sfiorano la pedofilia.

Le spose bambine sono sempre di più

Queste ragazze sono le cosiddette “spose-bambine”. E sono sempre di più. Enrica Salvioli,operatrice psico-pedagogica dell’Ufficio scolastico regionale, racconta:

Le spose bambine islamiche di Palermo. Decine di casi di cui nessuno parla

Di Ilaria Paoletti – 13 Dicembre 2018

 

I risultati della “importazione” culturale forzata nel nostro paese assumono contorni sempre più inquietanti. Il tutto, a scapito spesso delle donne, ancor più spesso delle bambine: e

il silenzio delle cosiddette femministe mediatiche e delle militanti da tastiera del #MeToo è assordante.

Lo racconta una inchiesta di Repubblica Palermo. Sempre più bambine, per lo più di religione islamica dai tredici anni in poi “spariscono” misteriosamente dalle loro scuole. La ragione? Sono promesse spose nei paesi di origine dei propri genitori: Bangladesh, Pakistan, Sri Lanka ed India. E, altrettanto spesso, questi uomini che andranno a sposare sono dieci, venti anni più grandi di loro. Oltre ad essere quindi matrimoni combinati imposti alle donne contro la loro volontà,

Continua qui:

https://www.ilprimatonazionale.it/approfondimenti/le-spose-bambine-islamiche-di-palermo-decine-di-casi-di-cui-nessuno-parla-98596/?fbclid=IwAR0qj2hWV4v9sLplwM_E8rubQc_QNf7i_6UVRlZw2yGRZNYYHNM_yCjUBIA

 

 

 

 

ZINGARETTI ILLUSTRA LA SUA RICETTA PER L’IMMIGRAZIONE

Sisto Ceci – 32 maggio 2019

 

Quella di rivolgere ai propri avversari offese ed attacchi di ogni genere è una prassi ormai invalsa da tempo nel confronto e nella dialettica politica, soprattutto in campagna elettorale.

Però è un giochetto che va fatto bene e con intelligenza, altrimenti rischia di trasformarsi in un pericoloso boomerang.

Ed ecco quindi che sull’immigrazione Nicola Zingaretti accusa Salvini di fare solo degli spot e in un’intervista al Quotidiano Nazionale propone la soluzione sua e del PD.

Leggiamola attentamente:

“Le politiche per gestire i flussi migratori sono una cosa complessa e non possono ridursi allo slogan ‘porti chiusi’.  Politica per l’immigrazione significa politica estera, coinvolgimento dell’Europa, investimenti nei Paesi d’origine dei migranti, più politiche sociali per l’integrazione, sostegno ai Comuni e al terzo settore. Tutto questo nell’azione di Salvini non c’è.”

Ecco….per l’immigrazione il PD ha solo ed unicamente improbabili soluzioni a lunghissimo termine frutto di estenuanti e sterili trattative internazionali con altri membri dell’UE che sull’argomento ci hanno sempre osteggiati

Continua qui:

 

https://www.facebook.com/100003288967951/posts/2239463252839952/

 

 

 

 

 

 

 

Quando la sinistra chiuse i porti (e Repubblica batteva le mani)

Oggi la sinistra attacca Salvini. Ma nel 1997 mise in campo un blocco navale ben più rigido di quello odierno. E Repubblica plaudeva alla linea dura contro gli “immigrati non in regola”

Giuseppe De Lorenzo – 12/06/2018

 

Il tempo non cura solo le ferite, annebbia pure la memoria. Lo sanno, o dovrebbero saperlo, dalle parti della sinistra italiana (sia essa politica o dei media). Oggi Veltroni, Pd, Repubblica e compagnia bella criticano aspramente la chiusura dei porti italiani attuata da Salvini (e Toninelli).

Eppure, ieri, quando l’Ulivo governava con Romano Prodi, metteva in campo le stesse politiche (se non peggiori) e le lodavano apertamente sulle pagine dei giornali.

Era il marzo del 1997. Prodi aveva vinto le elezioni solo da un anno e non aveva ancora fatto in tempo ad abituarsi alla comoda poltrona di Palazzo Chigi che l’Albania si trasformò nell’Africa che conosciamo oggi. Una polveriera in preda ad una crisi politica impressionante (chiamata anche “anarchia albanese”), col Paese spezzato in due, vittima della crisi economica e con bande armate a gestire ampie zone di territorio in barba al governo ufficiale.

In quell’anno di crisi degli anni Novanta, la squadra di governo poteva schierare ministri di prim’ordine. Agli Esteri comandava Lamberto Dini, alla Difesa Beniamino Andreatta e all’Interno Giorgio Napolitano. Con loro pure il ministro dei Trasporti e della Navigazione (responsabile sui porti), Claudio Burlando. Ebbene. Cosa fece il governo della sinistra quando migliaia di immigrati albanesi tentarono di lasciare i Balcani via mare e approdare sulle coste della Puglia? Aprirono i porti? Misero in mare imbarcazioni umanitarie? Macché. Se da una parte offrirono “protezione temporanea” (temporanea!) ai profughi e sostennero economicamente l’Albania, dall’altra attuarono un vero e proprio blocco navale (ben più duro di quanto non abbia fatto oggi Salvini).

Non solo. Perché chi non aveva diritto d’accoglienza, veniva immediatamente ri-accompagnato da Re Giorgio a casa. “Il ministro Napolitano – spiegava Prodi alla Camera – si è adoperato senza risparmio per impartire direttive e formulare proposte legislative che (…) hanno consentito un’attenta vigilanza intesa a garantire che chi ha bisogno di aiuti e di accoglienza dal nostro paese la abbia, come è giusto che sia, ma chi invece appartiene alla delinquenza organizzata sia tempestivamente e doverosamente espulso o respinto“. E tanti saluti (buonisti).

Certo, Prodi di fronte ai deputati (era il 2 aprile 1997) provò a spiegare che “blocco navale” non era proprio il nome esatto con cui avrebbe chiamato l’operazione, da lui invece definita “attività volta soprattutto a stroncare la malavita organizzata che gestisce gli espatri“. Ma si trattava di masturbazione semantica.

Già, perché per capire quanto la sinistra appoggiasse lo stop all’arrivo dei

Continua qui:

 

http://www.ilgiornale.it/news/politica/quando-napolitano-e-prodi-chiusero-i-porti-e-repubblica-1539609.html?fbclid=IwAR0PbkTqT4BBYpY1f7qdDyG4QSadDcwCf-S9ApD1zfwwINZPXQ8WSn6a-mw

 

 

 

GIUSTIZIA E NORME

ARIECCO BATTISTI 

Sisto Ceci 23 05 2019

 

QUESTI GIUDICI EMETTONO SENTENZE IN NOME DEL POPOLO ITALIANO!

 

Che paese l’Italia! Se non ci fosse dovremmo inventarlo

Battisti il pluriomicida comunista latitante per 45 anni con condanna all’ergastolo confermata in appello, MA………….DAL  2023 POTRA’ CHIEDERE PERMESSI PREMIO!?!?!? FRA  4 anni!!!!

Forse, lo premieranno per i 45 anni di latitanza o per che altro?

Al primo permesso ovviamente scapperà e questa volta non lo troveremo certamente

Continua qui:

 

 

https://www.facebook.com/100031860510496/posts/148982239507126/

 

 

 

 

 

 

 

 

I GIUDICI ITALIANI SONO COME IL MARCHESE DEL GRILLO: “IO SO’ IO….VOI NON SIETE UN CAXXO”.

Danilo Bonelli 04 05 2019

 

 

Considerato che la stragrande maggioranza dei magistrati italiani aderisce a Magistratura democratica sarebbe davvero stimolante sapere da loro quale concezione essi abbiano della democrazia.

Perché in una democrazia governa chi ha vinto le elezioni e non chi ha vinto un concorso statale per titoli ed esami….ed in una democrazia il Parlamento vara le leggi che i cittadini sono quindi tenuti a rispettare ed i giudici ad applicare.

Ma in Italia non funziona così perché da noi la Magistratura ritiene di essere un super potere che esercita a suo totale piacimento una discrezionalità sfrenata ed assoluta che trasforma i giudici in cittadini al di sopra e al di fuori di ogni legge dello Stato.

E così contravvenendo al disposto del Decreto Sicurezza ecco che il Tribunale di Bologna ha ritenuto di poter violare la legge, ordinando al Comune di iscrivere all’anagrafe due richiedenti asilo prima che fosse esaminata la sussistenza del loro diritto ad ottenere la protezione internazionale.

Da notare che l’iscrizione nei registri dell’anagrafe consente all’immigrato non solo di accedere a tutti i benefici previsti per gli italiani come ad esempio sussidi e case popolari ma soprattutto di ottenere quella carta di identità con la quale possono liberamente muoversi per tutto il territorio nazionale.

E se poi viene accertato che non hanno il diritto per restare in Italia???

Beh….a quel punto avranno avuto tutto il tempo di rendersi uccel di bosco, dileguandosi e così vanificando ogni tentativo di controllo dell’immigrazione.

Detto in parole semplici tutto questo si chiama sabotaggio, un autentico boicottaggio

Continua qui:

 

https://www.facebook.com/100003288967951/posts/2207288659390745/

 

 

 

LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

Mercatone Uno fallisce: 1800 dipendenti perdono il lavoro

I lavoratori dei 55 punti vendita sparsi in tutta Italia hanno trovato l’amara sorpresa stamani: improvvisa chiusura e nessun preavviso da parte della società. Tutti si attendevano investimenti della nuova proprietà, invece arriva la doccia fredda dopo soli 8 mesi dall’acquisizione del marchio

Federico Garau –  25/05/2019

Repentina chiusura per i 55 punti vendita della Mercatone Uno presenti in tutto lo Stivale.

I dipendenti dell’azienta, circa 1800, sono stati accolti da un’amara quanto inattesa sorpresa stamani, proprio mentre si recavano a lavoro come ogni giorno. Nessun preavviso per la notizia, una vera e propria doccia fredda.

Venerdì il tribunale fallimentare di Milano ha decretato il fallimento della società che aveva rilevato la proprietà del marchio, la Shernon Holding Srl, che aveva in preventivo un piano di rilancio dell’azienda. Questo sarebbe dovuto partire entro fine mese, per proiettarsi fino al 2022, ma a soli 8 mesi dall’acquisizione era già arrivata da parte della Shernon la richiesta di concordato preventivo in continuità. Un accordo che prevedeva la garanzia occupazionale dei dipendenti fino almeno al 30 maggio, data in cui è previsto un incontro col Ministero per lo sviluppo economico mirato al salvataggio del marchio e dei posti di lavoro. Tutto ora pare più difficile, dopo la dichiarazione di fallimento da parte della Shernon Holding arrivata come un fulmine a ciel sereno lo scorso giovedì.

I sindacati insorgono, come riportato da “Il Corriere della Sera”“La società non solo non ha comunicato nulla ai sindacati, ma ha tenuto all’oscuro i lavoratori, ai quali non è arrivata alcuna lettera di licenziamento, e che hanno saputo della chiusura soltanto sui social, in tarda serata, dai responsabili delle varie filiali. Anche loro aggiornati all’ultimo secondo. Un comportamento inaccettabile,

Continua qui:

 

http://www.ilgiornale.it/news/economia/mercatone-fallimento-1800-dipendenti-trovano-porte-chiuse-1701227.html

 

 

 

 

Lavoro

Federica Francesconi 1 maggio 2019

 

Il lavoro, nella fattispecie quello del XXI secolo, le cui fu forme sono allineate alla dottrina neoliberista, non nobilita affatto l’uomo, anzi, lo degrada ad animale che deve sopravvivere in una giungla a lui ostile dove la legge che domina è quella dello sfruttamento e della competizione tra simili. Il darwinismo sociale è penetrato in tutte i gangli della società, persino nel DNA umano. Vediamo il darwinismo sociale agire indisturbato in tutte le professioni, da quella di imbianchino a quella di professore. Mors tua vita mea.

Che cosa penso del 1 maggio? Oggi è solo una ricorrenza intrisa di retorica vuota, come vuote ed annichilite sono le coscienze di chi si appella alla difesa dei valori costituzionali, calpestati quotidianamente e mai applicati alla veramente in 70 anni di storia repubblicana.

Siamo in mano a un branco di cyborg neoliberisti spietati e ancora meniamo il can per l’aia? Scendere in piazza una volta all’anno per ostentare principi di uguaglianza serve solo ad illudersi di essere ancora liberi dietro le sbarre di una gabbia dorata. La chiave per aprirla è stata buttata da tempo ma noi continuiamo ad ingannarci sulla possibilità di una nuova liberazione dalla schiavitù che non vedrà mai la luce se non agiamo ogni giorno con scelte antisistema anziché crogiolarci nella celebrazione di feste decadute. Chi tra i docenti, solo per fare un esempio, ha il coraggio di dire senza mezzi termini ai propri studenti che questo sistema marcio è da abbattere? Quasi nessuno. Chi

Continua qui:

 

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10216074136943946&id=1165264657

 

 

 

 

Lo sciopero proposto da Cgil-Cisl-UIL per il “taglio delle pensioni”

Leonardo Peruzzi 23 05 2019

 

L’unico vero taglio riguarda le pensioni lorde superiori ai 100.000 euro. Lordi annui.

 

TRE milioni di baby pensionati andati in pensione a 47 anni che costano 4,7 mld all’anno.

Il vero taglio riguarda 25000 pensioni “miste” a partire da 100.000 euro con tagli a salire dal 15 al 40%.

Far politica non è entusiasmante, ma essere così viscidi ed asserviti alla

Continua qui:

 

 

https://www.facebook.com/100000163204938/posts/2872697972745615/

 

 

 

PANORAMA INTERNAZIONALE

Olanda: via ministro migranti, ‘nasconde i crimini violenti’

Deputati scatenano bufera per i dati sui rifugiati

Redazione ANSA BRUXELLES

22 maggio 2019

 

BRUXELLES – Nuova scossa per il Governo olandese: il ministro dell’immigrazione Mark Harbers è stato costretto a dimettersi durante un dibattito in Parlamento, perché accusato dai deputati di aver nascosto alcuni dati sui crimini violenti commessi dai rifugiati. Secondo quanto riporta la stampa olandese, il ministro stava presentando in Parlamento un rapporto su immigrazione e criminalità, dove il numero esatto dei crimini violenti era nascosto, secondo le accuse, perché aggregato a quello di ‘altri’ crimini e quindi non esplicitato.

“Sono responsabile non solo per la legge, ma mi sento responsabile”, ha detto

Continua qui:

 

http://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2019/05/22/olanda-via-ministro-migranti-nasconde-i-crimini-violenti_1fa19daa-0aa6-4a2b-8866-615e1d9ffacf.html?

 

 

 

 

 

Papa Ratzinger? Costretto a dimettersi perché era contro immigrazione e Islam

Benedetto XVI aveva lanciato ammonimenti contro lo ius soli e l’ingresso della Turchia in Europa, invitando a recuperare le radici cristiane dell’Occidente

di Redazione – 23 Novembre 2017

Francesco e Benedetto: da una parte un Papa sudamericano che vuole l’Europa senza sovranità e tutte le frontiere aperte, che si guarda bene dal parlare delle radici cristiane del Vecchio continente. Dall’altra un Papa tedesco, che invece ammoniva sul rischio islamico, sui danni del relativismo e dell’illuminismo e che molto probabilmente proprio per questo è stato costretto a dimettersi. A Ratisbona (Regensburg in tedesco), cittadina di 142mila abitanti del libero stato di Baviera, Benedetto XVI fu negli anni Settanta professore di dogmatica e vicerettore dell’università.

È negli anni di Ratisbona, in quell’atmosfera frizzante e cosmopolita di molte città tedesche che, ci racconta Joseph Ratzinger nella sua biografia La mia Vita: “Nacque l’idea di una rivista internazionale che doveva operare e partire dalla communio nei sacramenti e nella fede e si proponeva di introdurre in essa. All’inizio sembrava che il progetto dovesse essere realizzato in Germania e in Francia. Nel frattempo, Balthasar aveva conosciuto a Milano il fondatore del movimento Comunione e Liberazione, Luigi Giussani, e i suoi promettenti giovani. Così la rivista fu pubblicata prima in Germania e in Italia, con una fisionomia diversa in ciascuno dei due paesi. Era infatti nostra convinzione che questo strumento non potesse e non dovesse essere esclusivamente teologico, ma, di fronte a una crisi della teologia che nasceva da una crisi della cultura, anzi da una vera rivoluzione culturale, dovesse abbracciare anche l’ambito più generale della cultura ed essere edito in collaborazione con laici di grande competenza culturale. Dato che i singoli paesi presentano situazioni culturali differenti, la rivista doveva rendere conto di tale diversità e avere, per così dire, un carattere federalistico”. [La mia vita, Edizioni San Paolo, pag. 111]


È illuminista, tutt’altro che definitivo, contiene valori importanti dei quali noi, proprio come cristiani, non vogliamo e non possiamo fare a meno; ma è altrettanto evidente che la concezione mal definita o non definita affatto di libertà, che sta alla base di questa cultura, inevitabilmente comporta contraddizioni; ed è evidente che proprio per via del suo uso (un uso che sembra radicale) comporta limitazioni della libertà che una generazione fa non riuscivamo neanche ad immaginarci. “Una confusa ideologia della libertà conduce a un dogmatismo che si sta rivelando sempre più ostile verso la libertà”. [L’Europa di Benedetto, Joseph Ratzinger, Edizioni Cantagalli, pagg. 41-43]


La cultura illuminista, che pretende di essere universale e si sente compiuta in se stessa, fa sentire i suoi pesanti effetti quando si tratta di decidere confini e diritti, la cultura, la capacità di interiorizzare e contestualizzare la conoscenza, che ci rende liberi; ma non basta; per essere davvero noi stessi, per essere prima di tutto persone, per dare pieno compimento al nostro progetto di vita, cerchiamo una tensione al trascendente che dia un senso alla vita, la “follia”, quando non si crede o ci si professa agnostici, di “fare come se Dio esistesse”. [Blaise Pascal]


Se applichiamo queste riflessioni al dibattito sulle radici cristiane dell’Europa troveremo che al centro della disputa sta in realtà una crisi profonda delle culture, da quella illuminista a quella cristiana. Ci spiega Benedetto XVI: “Questa cultura illuminista sostanzialmente è definita dai diritti di libertà come un valore fondamentale che misura tutto: la libertà della scelta religiosa, che include la neutralità religiosa dello Stato; la libertà di esprimere la propria opinione, a condizione che non metta in dubbio proprio questo canone; l’ordinamento democratico dello Stato, e cioè il controllo parlamentare sugli organismi statali; la libera formazione

Continua qui:

http://www.ilpopulista.it/news/23-Novembre-2017/20733/papa-ratzinger-costretto-a-dimettersi-perche-era-contro-immigrazione-e-islam.html

 

 

 

 

 

POLITICA

Riflessioni su “Governance. Il management totalitario” di Deneault

di Francesco Marotta – 06/09/2018

“[…]La gestione governativa era sempre stata intesa come una pratica al servizio di una politica dibattuta pubblicamente. Ma poiché la politica si è lasciata rovesciare da quella pratica al punto di cancellarsi a suo vantaggio, è lecito dire che la governance aspira a un’arte della gestione in quanto tale. […] Una simile mutazione promuove il management d’impresa e la teoria della tecnica aziendale al rango di pensiero politico. […]”

 

 

Alain Deneault è un docente e filosofo canadese. Tanti lettori ricorderanno il saggio La Mediocrazia, edito da Neri Pozza nel 2017. Una mente libera, criticabile per la mancanza di approfondimenti su alcuni dei temi trattati, soggetti ad una semplificazione sin troppo esteriore. Non è il caso del lavoro che abbiamo citato e dell’ultimo, intitolato Governance. Il management totalitario in uscita dal 26 aprile, sempre per Neri Pozza e la Collana I Colibrì. Un buon saggio, attuale e completo. L’«Ideologia della Governance» neoliberale, presente nei gangli della politica ma non solo, viene analizzata a fondo dall’autore, dando al lettore la possibilità di intravedere una via d’uscita e delle soluzioni inedite per confinarla al rango di «un angusto presente sconnesso, etereo, che non ha niente a che fare con la presenza, ma che vi si libra al di sopra, o addirittura la contraddice indifferentemente».

 

 

“[…] Si parla soltanto di interessi specifici per cose circoscritte. Nessuna agorà è richiesta per discutere del bene comune. […] Il passato manageriale della nozione è taciuto per poterle così assegnare una portata politica piena e intera. […]”

 

 

Questa rivoluzione anestetizzante, stillata goccia dopo goccia dalle profondità della società post-moderna sotto l’egida del Capitale, è riuscita a ridurre la politica ad un format che modula tecnicamente ogni dissenso ad insane voci nel deserto; additando la critica come l’esegesi dell’improvvisazione di idee alienanti quando è l’esatto contrario, annichilendo la parola pubblica e ponendo un divieto ai pensieri autentici come a quelli nuovi che si discostano dall’ideologia. Incardinata su quei trend che hanno ridotto gli stati ad entità private ed accentratrici, ponendo quasi fine all’autonomia che è parte integrante anche del pensiero e della pluralità di un popolo, sostituita con l’unità del mondo.

 

 

“[…] Proprio in nome della società civile, la dottrina della governance giunge a concepire i soggetti politici come elementi dispersi, i quali formano sì una “società”, ma relegata ai margini delle sue stesse istituzioni… […]”.

 

 

All’opposto delle odi ripetitive su una rinnovata “società civile” che la destra, la sinistra e le loro estremità, continuano ad invocare senza sosta, Deneault ne fa un quadro in cui raffigura «un soggetto che vede se stesso diventare tutt’al più un lobbista particolare delle proprie velleità». Senza comprendere le pulsioni reali dell’unico progetto che lo stimoli, diventato così l’unico cui sia capace di perseguire. Tralasciando, presi come siamo dal vortice di aspirazioni a buon mercato, ciò che davvero corrisponde alla realtà: «La società civile in quanto soggetto storico è chiamata a stabile un rapporto di “partenariato” con le forze mondializzate del settore privato e con lo Stato stesso». Una delle tante brandizzazioni inculcate a quei “liberi” psuedocittadini, automatizzati e sotto profilazione, convinti di essere l’alternativa ad un qualcosa pur essendo diventati, una minima parte del meccanismo.

 

 

 “[…]L’ellissi permette di ignorare gli esclusi dal processo della govenance:coloro che non ne condividono la terminologia devono implicitamente concludere di non avere i requisiti per partecipare alla decisione pubblica. […]”

 

 

Questa «logica dell’esclusione», così viene espressa da Deneault, è il frutto di un lungo lavorio dedito alla concertazione per modificare la prospettiva sulle tante problematiche di interesse pubblico. Facendola passare per ovvia, ricordiamo il “caso” dell’amico Alain de Benoist e dell’incontro tenutosi presso la Fondazione Feltrinelli a Milano. L’intenzione degli esegeti della governance e del «Pensiero Unico» (termine coniato da ADB), è quello di escludere dal dibattito pubblico su qualsiasi tipo di argomento che sia suscettibile di critica degna di considerazione, chiunque si discosti e possa mettere in luce le storture dello status quo. La popolazione, impegnata nel mondo del lavoro, in politica o in altre cose, non ha diritto di replica. E gli appartenenti ad una comunità, qualunque essa sia e con tutto ciò che comporta, hanno lasciato il posto ad una correlazione di opportunità ed alla trasposizione della loro essenza, in quelle commerciali di patner o di stake-holder. Questa è una delle regole imprescindibili dell’ideologia dominante e del suo management totalitario: tutto ruota attorno ad un interesseenunciatoci per il bene dell’Italia, per quello dei giovani, per il futuro, ecc… Facendo passare chi la pensa diversamente per un povero minorato mentale che può essere ancora recuperato !

 

 

“[…]Il consenso che ci governa è una macchina di potere per il fatto che è una macchina di rappresentazione. […]”

 

 

La stessa che pervade il pulviscolo della rappresentanza e della rappresentatività. Viviamo in un’epoca dove lo svolgere l’attività di ascoltare le istanze della popolazione, coincide con l’attrattiva delle rendite di natura privatistica, garantendo una stabilità e affidabilità, inesistenti. La rappresentanza è ormai una professione. Una messa in scena che tutti conosciamo con il nome di «democrazia rappresentativa» dalle origini liberali e borghesi. Fortemente imperniata sull’ideologia liberale, in special modo sugli assunti che indicano la democrazia e la rappresentatività quali fossero, erroneamente, un tutt’uno. Nell’epoca attuale, è il baluardo di un’antropologia dissociativa che indica il singolo, separato dalla collettività, come il perno centrale della società. Niente di più falso, per tentare di dissolvere una condizione di ciò che esiste, effettivamente e concretamente, soprattutto nel campo della sociologia. Come ha scritto giustamente Deneault, riferendosi alla governance ed alla mentalizzazione della rappresentatività

Continua qui:

 

 

https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=60948

 

 

 

 

 

 

IL LEOLUCA ORLANDO CHE LASCIA LA COMMEMORAZIONE DI FALCONE PERCHÉ NON VUOLE AVERE NIENTE A CHE FARE CON SALVINI È LO STESSO CHE NEL 1990 ANDÒ DA SANTORO AD ACCUSARE FALCONE DI INSABBIARE LE INDAGINI SU RIINA? 

ULTIMO RACCONTA IL GIORNO DI CAPACI NEL LIBRO DI PINO CORRIAS: “TUTTI SAPEVANO CHE FALCONE DOVEVA MORIRE E MOLTI SE LO AUGURAVANO”

Mattia Feltri per ”La Stampa”24 MAG 2019

 

 

Si tollera tutto, di questi tempi, ma proprio tutto, e si tollererà pure questa, pure il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, che lascia la commemorazione di Giovanni Falcone perché non vuole avere niente a che fare col ministro dell’Interno, Matteo Salvini, venuto a lucrarci sopra qualche voto. Ha detto proprio così, Leoluca Orlando, ed è fantastico.

Proprio il Leoluca Orlando che nel 1990 andò da Michele Santoro a Samarcanda a dire che voleva vedere colpiti i mandanti degli omicidi di Piersanti Mattarella e Pio La Torre e Giuseppe Insalaco e che le prove stavano dentro i cassetti del palazzo di giustizia di Palermo, cassetti che restavano sigillati. Indovinate con chi ce l’aveva? Con Giovanni Falcone, era lui l’insabbiatore, e Falcone s’ infuriò, disse che se Orlando sapeva chi fossero i mandanti doveva dirne nomi e cognomi, sennò era un solo un pessimo modo di fare politica usando la giustizia.

Ma Orlando i nomi non li fece. E un anno più tardi, dopo una lunga campagna contro Falcone, concesse un colloquio all’ Unità per ripetere che la verità dell’alleanza fra politica e mafia era seppellita in tribunale, una verità sistematicamente occultata, mai salita a verità processuale, ed era ora che il coperchio della procura saltasse.

Saltò Falcone, invece, saltò in aria il 23 maggio 1992, e già Orlando era lì, a piangere l’ amico, l’ eroe, il servitore dello Stato, e sarebbe tornato il 23 maggio successivo e per ventisette anni di fila, fino a ieri, e ogni volta qui risuonavano le parole di Maria Falcone, sorella di Giovanni, indirizzate a Orlando: «Hai infangato il suo nome, la sua dignità, la sua onorabilità».

Ultimo racconta il giorno di Capaci nel libro “Fermate il capitano Ultimo!” di Pino Corrias, appena pubblicato da Chiarelettere

 

PINO CORRIAS “FERMATE CAPITAN ULTIMO!”

 

Ultimo: «Quel giorno, alle sei e mezza del pomeriggio, è arrivata la prima notizia dell’attentato a Falcone e alla sua scorta. Ero in ufficio alla Moscova e c’era il sole che entrava obliquo dalla finestra. Mi ricordo il silenzio e la luce che metteva in rilievo le cose conferendo loro una profondità nuova, come se tutte fossero parte di una scultura.

«Mi ricordo le notizie che arrivavano di minuto in minuto. Falcone è ferito, ma vivo. Falcone è gravissimo. Falcone è morto. E poi mi ricordo che tutti gli uomini della squadra erano arrivati un po’ alla volta in ufficio. Alla fine, era venuta

Continua qui:

 

https://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/leoluca-orlando-che-lascia-commemorazione-falcone-perche-non-204214.htm?fbclid=IwAR0Cuoi33JMCjcD_TVDsZXLQzXha8DKg2EKXIWZf43ii1QxAINaeSCc4u9E

 

 

 

 

 

Nicola Zingaretti l’Erede di un patrimonio dilapidato e quelle piazze di nessuno

Qualcosa si muove a sinistra, ma si muoveva anche prima, senza rappresentanza. A Milano e nei gazebo è sfilato un popolo senza leader. Non è un leader il sindaco di Milano Beppe Sala, il più applaudito della giornata del 2 marzo, e non lo è il nuovo segretario del Pd Zingaretti eletto ieri. Un’altra rottura con il passato

DI MARCO DAMILANO

04 marzo 2019

«Io, vi confesso, non ho ancora capito perché è toccato a me…», dice il nuovo segretario Nicola Zingaretti alla fine del suo discorso di investitura. «L’abbiamo capito noi», lo tranquillizza Paola De Micheli, l’ex sottosegretaria che lo ha seguito in tutti questi mesi. L’ammissione arriva alla fine di venticinque minuti di intervento, variamente dedicati a ringraziare, nell’ordine, i partigiani, i lavoratori, i sindacati, gli intellettuali, le donne, insomma tutte o quasi le categorie che negli ultimi anni si erano sentiti respinti dal Partito democratico, mancavano solo i gufi e i professoroni. Nicola Zingaretti elogia la storia, cita tre figure, Aldo Moro, Romano Prodi e Sergio Mattarella, appartenenti a quel cattolicesimo democratico che non ha mai fatto parte della storia del Pci e che pure è una delle radici del Pd, e la sedicenne svedese Greta Thunberg, come dire che senza passato non c’è futuro.

È lo strappo culturale più forte con la precedente gestione, quella del Rottamatore venuto da Firenze, al termine di un fine settimana che ha visto il ritorno nelle piazze e nelle strade di qualcosa di più dell’opposizione, concetto astrattamente geometrico della politica, e neppure di un popolo, o di un incrocio di popoli. Sono tornate a vedersi le persone, le donne e gli uomini con i loro corpi gettati nella mischia, li vedevi giovani nel corteo di Milano o anziani in fila davanti ai gazebo per le primarie, con le loro speranze e le loro attese. Con la loro spinta che la politica ha dimenticato, fare qualcosa di gratuito per un’altra persona, per l’altro, che è istintiva, forte, naturale almeno quanto la paura o la chiusura su cui si sono costruite negli ultimi anni le carriere politiche dei nuovi padroni della scena. Sono tornati i volti, come scriveva anni fa il teologo Italo Mancini: «la domanda sul futuro è legata alla comunione dei volti, a cosa ci sia da fare e da patire nel vivere faccia a faccia con il volto degli altri. Sarà una strada lunga: ma è già certo che se nel faccia a faccia prevale la faccia mia, allora è confermato il mondo della sopraffazione e della prevaricazione, se invece prevale la faccia dell’altro e il suo diritto, allora è un’altra cosa, quell’altra cosa sempre intravista e mai posseduta…».

Era piena di volti, di storie, la piazza antirazzista di Milano, una sfilata di arrivati a sorpresa, di non previsti, di non invitati. Appena pochi minuti prima, infatti, gli organizzatori giuravano che avrebbero messo la firma su cinquantamila partecipanti. Sono i non previsti, perché non mobilitati da nessun partito e nessuna organizzazione, a rappresentare la possibilità di risalita per quella parte di Italia che non si rassegna a vivere salviniana o casaleggiana. Li abbiamo visti molte volte in questo anno, in questi dodici mesi che ci separano dalla batosta elettorale di un anno fa, il 4 marzo 2018. Ma erano spariti ben prima, negli anni del Pd di governo, del progressivo allontanamento dei suoi leader da un pezzo consistente di elettorato e dalla realtà. Questo popolo che oggi sembra tornare, in realtà, non se n’è mai andato. Ha organizzato luoghi di incontro, forme di impegno inedito (l’operazione Mediterranea), forum sulla disuguaglianza (come quello di Fabrizio Barca), resistenza antifascista nelle scuole e nei licei. Ma certo, mancava all’appello la politica, che prima come si dice guidava i processi e oggi finalmente arriva, ma per ultima.

Qualcosa si muove a sinistra, ma si muoveva anche prima, senza rappresentanza. A Milano e nei gazebo è sfilato un popolo senza leader. Non è un leader il sindaco di Milano Beppe Sala, il più applaudito della giornata del 2 marzo, e non lo è il nuovo segretario del Pd Zingaretti eletto ieri. Un’altra rottura con il passato. «Mi avete dato la fascia di questa squadra e vi assicuro che combatterò su ogni pallone», disse Renzi nel 2013 pochi minuti dopo essere stato eletto segretario del Pd. Aveva vinto lui, dopo il disastro della non vittoria di Bersani. Quel voto andava a Renzi come speranza di una rivincita, era un voto per Renzi, ma anche un voto di Renzi, il sindaco di Firenze fece subito l’errore di considerarlo come una cosa di sua proprietà e rovesciò il governo di Enrico Letta, conquistò il 40 per cento alle elezioni europee, trasformò il Pd in un suo comitato elettorale, perse il referendum e poi le elezioni. Conclusione: oggi il Capitano della politica italiana è un Matteo di altro colore.

Il voto di ieri, invece, non appartiene a nessuno. Zingaretti si chiede retoricamente perché capiti a lui, anche se il presidente della regione Lazio è il contrario del segretario per caso. È il risultato di una lunghissima incubazione. L’ultimo della Stirpe delle Botteghe Oscure, uno che si è iscritto da giovane alla direzione del partito, come Pajetta diceva di Enrico Berlinguer. Un predestinato al trono del partito più grande della sinistra, se quel regno fosse rimasto integro. Segretario della Sinistra giovanile, spesso introduceva il discorso del leader Massimo (D’Alema), responsabile Esteri dei Ds, il ruolo che nel Pci fu di Giorgio Napolitano, capo della federazione romana dei Ds, poi segretario regionale del Pd, sotto attacco di Matteo Orfini (ieri Zingaretti l’ha stracciato a Roma nei gazebo), poi presidente della Provincia di Roma e presidente della regione Lazio. Un curriculum da professionista della politica, abituato alle discese e alle risalite, agli attacchi e alle ritirate, ma anche da figlio prediletto di un partito che non c’è più da tempo. Quello originario, il Pci, è finito trent’anni fa, un periodo ormai lungo che coincide con il tempo in cui la sinistra non solo italiana ma europea ha ceduto culturalmente all’egemonia neoliberista ed è stata poi cancellata dall’avanzata populista. Quello che ha sostituito il Pci negli anni più recenti, il Pd, ha rischiato di morire o di finire cancellato nell’irrilevanza.

Zingaretti fa parte di entrambe le storie, è la figura più lontana da quella del papa straniero avendo frequentato una delle chiese-madri, il Pci, e poi con Goffredo Bettini il cuore del modello romano da cui sono partiti Rutelli e Veltroni. Un politico dalla tattica estenuante, prudentissimo, calcolatore della propria ombra, poco coraggioso per gli avversari e per molti amici, mai uno strappo o un’alzata di testa, ma anche un uomo pacificato, auto-ironico, rilassato rispetto al potere. E dunque il più attrezzato per essere, almeno sulla carta, quello che cambia tutto. Renzi era il Principe di Machiavelli, voglioso di comandare sui territori strappati con l’astuzia e con la fortuna, la determinazione e il cinismo. Zingaretti, invece, è il Principino di una famiglia decaduta che ha dilapidato il patrimonio, sa che nulla di quella eredità può essere conservato ma che tutto di quel poco rimasto va rimesso in gioco.

La sua elezione arriva in un momento in cui Salvini appare fortissimo nei sondaggi ma potrebbe essere spiazzato dall’implosione troppo rapida dei 5 Stelle. L’altro Matteo, Renzi, è stato sorpreso dall’alta affluenza e dal plebiscito

Continua qui:

http://espresso.repubblica.it/attualita/2019/03/04/news/nicola-zingaretti-erede-di-un-patrimonio-dilapidato-e-quelle-piazze-che-non-sono-di-nessuno-1.332237?refresh_ce

 

 

 

 

Le corna della sinistra

Marco Travaglio – FQ – 26 MAGGIO 2019

Per dire come siamo ridotti, sui social e dunque sui giornaloni impazza un appassionante dibattito sul seguente tema: la sinistra (con la s minuscola) deve o no perdonare i compagni che avevano preferito i 5Stelle al Pd e oggi voteranno La Sinistra (con la L e la S maiuscola, che purtroppo non raggiungerà il quorum del 4%)?

Non sapendo chi detenga le chiavi della sinistra con la s minuscola, si è deciso di affidarle a due registi, Francesca Archibugi e Paolo Virzì. La Archibugi è per “spalancare le braccia a tutti quelli che si erano schierati coi 5Stelle” e ora tornano all’ovile – Mannoia, Marescotti, De Masi, Giannuli & C. – perché, “come per le corna, la colpa non è solo di chi le mette”. Cioè bisogna capire gli elettori di sinistra che nel 2016, tra Fassino e la Appendino a Torino scelsero quella più di sinistra, cioè la seconda; tra Giachetti e la Raggi a Roma scelsero quella più di sinistra, cioè la seconda; e nel 2018, fra il partito renziano del Jobs Act e della Confindustria e quello grillino del reddito di cittadinanza e della lotta al precariato, scelsero quello più di sinistra, cioè il secondo.

Virzì invece non transige, vuole prima le scuse dai compagni che, incuranti dei suoi moniti, hanno gravemente peccato: “Mi davano della Cassandra quando li mettevo in guardia: i 5Stelle sono fascisti! E purtroppo ho avuto ragione: sono fascisti per davvero! Ora abbiate il coraggio di dire che avevate voglia di fascismo, degli inni, delle marcette e delle canzonette”.

E chissà mai quando e dove Virzì – un fuoriclasse del cinema, uno dei nostri migliori registi – ha visto Di Maio spezzare le reni alla Grecia (anche volendo, ci aveva già pensato la mitica Europa), Di Battista intonare inni coloniali, Conte marciare al passo dell’oca in orbace, la Taverna arruolare le massaie rurali, Bonafede sfilare in camicia nera, Toninelli saltare nel cerchio di fuoco, Fico calcarsi il fez e salutare romanamente, la Appendino erudire le figlie della Lupa.

La Raggi, in effetti, si è circondata di fascisti: quelli che volevano linciarla a Casal Bruciato perché difendeva, sola rappresentante delle istituzioni e della politica, una famiglia rom e il suo diritto di abitare in una casa popolare regolarmente ottenuta. Della sinistra ufficiale, quel giorno in quella periferia, non c’era traccia: Casal Bruciato è troppo distante dai Parioli. Infatti, la Mannoia ricorda agli smemorati che le scuse toccano a “una sinistra che ha indotto tanti come me, anche sbagliando, a dirottare la speranza da un’altra parte”. Idem Marescotti, De Masi e Giannuli, delusi dal patto M5S-Lega, ma proprio per questo sostenitori dell’“unica alternativa”.

E cioè “un’alleanza tra M5S, Pd e sinistra”. Che poi è quel che vanno ripetendo – voces clamantes in deserto – Cacciari, Monaco, Bersani e anche il Fatto. Un’alternativa che, se Renzi e i suoi tremebondi oppositori interni non l’avessero sabotata un anno fa, sarebbe già realtà e ci avrebbe risparmiato dodici mesi di Salvini ministro dell’Interno. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, inquinata da nuovi veleni reciproci. Dunque, siccome l’orizzonte giallo-verde è di pochi mesi, un anno al massimo, chi davvero non vuole Salvini (non perché sia Mussolini, ma perché è Salvini) dovrebbe lasciare che si sgonfi un altro po’ al governo e intanto costruire quella benedetta alternativa. Che può piacere o non piacere, ma è l’unica in grado di contrastare quel governo di centrodestra che, se oggi si votasse per le Politiche e non per le Europee, avrebbe la maggioranza assoluta del Parlamento e ci regalerebbe Salvini a Palazzo Chigi e B. alla Giustizia, senza più

Continua qui:

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/05/26/le-corna-della-sinistra/5207632/

 

 

 

 

STORIA

Giuseppina Ghersi 25 aprile 1945

Valentina Carnielli 30 94 2019

 

Ditemi come si può torturare, pestare, seviziare e violentare per cinque interminabili giorni una bambina di 13 anni ed autoproclamarsi “eroi”.

Era il 30 aprile 1945 quando un gruppo di partigiani comunisti uccise, dopo cinque giorni di barbarie, Giuseppina Ghersi con

Continua qui:

 

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10214599301081065&id=1378097409

 

 

 

 

 

 

 

La Merkel ha dimenticato quando l’Europa dimezzò i debiti di guerra alla Germania

di Riccardo Barlaam – 15 ottobre 2014

 

«Scheitert Europa?», «L’Europa fallisce?» si chiede l’ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer nel suo libro, appena pubblicato, in Germania che è un durissimo atto di accusa contro le «politiche di euroegoismo» attuate dalla Cancelliera Angela Merkel e dal suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, la politica dell’«ognuno per sé», come la definisce l’ex leader dei verdi, politico-maratoneta, voce critica dell’attuale dirigenza tedesca.

Fischer scrive che è «sorprendente» che la Germania abbia dimenticato la storica Conferenza di Londra del 1953, quando l’Europa le cancellò buona parte dei debiti di guerra. «Senza quel regalo – scrive l’ex ministro tedesco nel suo libro – non avremmo riconquistato la credibilità e l’accesso ai mercati. La Germania non si sarebbe ripresa e non avremmo avuto il miracolo economico».

DOCUMENTI

La cura di austerità imposta dalla coppia Merkel-Schaeuble, secondo l’ex ministro tedesco, è stata «devastante» perché ha imposto ai Paesi del Sud Europa «una deflazione dei salari e dei prezzi» impossibile da superare con il peso del rigore; «alla trappola della spirale dei debiti», che condanna questi Paesi a non uscire dalla crisi con il pretesto del risanamento dei conti. Fischer, in definitiva, accusa la Germania della signora Merkel e della sua grande coalizione di «euroegoismo» e di avere la memoria troppo corta. «Se la Bce

Continua qui:

https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-10-14/la-merkel-ha-dimenticato-quando-l-europa-dimezzo-debiti-guerra-germania-151827.shtml?uuid=ABkKN62B&refresh_ce=1

 

 

 

 

 

 

LA RESISTENZA PARTIGIANA SOTTO ACCUSA DALL’AIA PER GENOCIDIO

Francesco Accardi: “FINALMENTE LA STORIA DEI VINTI VERRA’ NARRATA E NON COME LA NARRARONO I VINCITORI !”

 

Pubblicato il ottobre 2, 2012di

La Corte internazionale dell’Aia accoglie il ricorso del figlio di un milite della Repubblica sociale assassinato senza processo dai partigiani comunisti. Chiede giustizia per altri 400 caduti

 

 

La malinconica profezia espressa da Piero Buscaroli nel suo bel libro, Dalla parte dei vinti (Mondadori) secondo la quale la memoria degli sconfitti del 1945 sarebbe stata per sempre condannata all’oblio non si avvererà.

Luis Moreno Ocampo, procuratore capo della Corte penale internazionale dell’Aia ha accolto la domanda che chiede l’apertura di un’inchiesta per la morte di Lodovico Tiramani (milite scelto della Guardia nazionale repubblicana) e di altri quattrocento appartenenti alla Repubblica sociale, trucidati dalle bande partigiane.

L’ipotesi di reato è genocidio. Il Tribunale dell’Aia ha risposto così al figlio di Tiramani, Giuseppe, che, attraverso la consulenza del suo legale Michele Morenghi, ha chiesto l’apertura del procedimento tramite una memoria dove si sostiene che: «Mio padre fu prelevato nei pressi di casa sua a Rustigazzo nel piacentino nel luglio del ’44 da un gruppo partigiano della brigata Stella Rossa, fu processato e condannato a morte senza un giudice, senza un comandante partigiano e senza una sentenza a verbale. Fu fucilato poche ore dopo nei pressi del Monte Moria. Mia madre lo trovò crivellato di colpi. Io non voglio vendette, ho già perdonato tutti coloro che uccisero mio padre, abitavano nel mio paese e li ho conosciuti personalmente dopo la guerra. Chiedo sia fatta giustizia per il suo caso e per tutti gli altri combattenti della Repubblica sociale uccisi in quegli anni nel piacentino».

 

In questo modo, l’International Criminal Court, la cui competenza si estende a tutti crimini più gravi che riguardano la comunità internazionale, come il genocidio appunto, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra, potrebbe intervenire su una vicenda italiana che per tanti decenni è rimasta volutamente occultata dalla storiografia ufficiale ed è sopravvissuta solo grazie alla memoria dei sopravvissuti. Fino alla comparsa dei libri di Giampaolo Pansa (un grande giornalista che sa bene di storia), quanti italiani conoscevano le tristi vicende della caccia al repubblichino, che si aprì dopo il 25 aprile 1945 per protrarsi fino al 1946 e al 1947? Pochi, pochissini. Soltanto i parenti delle vittime o quanti di noi avevano un amico, un conoscente che visse personalmente quella tragedia. A me capitò di avere questa triste «fortuna» e di apprendere dell’uccisione di un proprietario agricolo dell’Emilia, fucilato insieme al nipote dodicenne, con l’accusa di vaghe simpatie fasciste; della morte di un contadino del bellunese fatto fuori dopo aver rifiutato di vettovagliare una banda partigiana; e del linciaggio di alcuni giovanissimi «ragazzi di Salò» che ora giacciono interrati nel Campo X al cimitero di Musocco a Milano. Ma di tutto questo fino a pochissimo tempo fa neanche un rigo sui libri di storia e ancora oggi nessun accenno nei manuali di scuola che vanno in mano ai nostri giovani.

Eppure, autorevoli testimoni di quella guerra fratricida, che si trasformò in tiro al piccione, sapevano. Sapevano e tacquero. Benedetto Croce, ad esempio. Dalla lettura dei Taccuini di guerra del vecchio filosofo, editi solo nel 2004, emerge con forza il timore che la guerra partigiana possa trasformarsi in una rivoluzione «comunistico-socialista», che, in breve, avrebbe consegnato l’Italia a un altro totalitarismo, forse più spietato,

Continua qui:

https://associazioneitalia.wordpress.com/2012/10/02/la-resistenza-partigiana-sotto-accusa-dallaia-per-genocidio-francesco-accardi-finalmente-la-storia-dei-vinti-verra-narrata-e-non-come-la-narrarono-i-vincitori/?fbclid=IwAR0MD_DkG61iwWDrZ_mybO_Y8C0FNUR5WcUO9k688EdB2Of7vsgK_eO18ZY

 

 

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°