NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI
27 MARZO 2019
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Un’azione servile non è sempre l’azione di un servo.
GEROG Ch. LICHTENBERG, Osservazioni e pensieri, Einaudi, 1966, pag. 104
https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/
Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.
Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com
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SOMMARIO
THE BIG CARNIVAL (e il nostro più piccolo) 1
Il vescovo di Innnsbruck appende il Cristo e testa in giù
Il vescovo di Innsbruck appende in chiesa un Cristo a testa in giù: “Sarà il nuovo orologio”. 1
Libano, presidente Michel Aoun: “Presto nuove ondate migratorie verso l’Europa” 1
Schadenfreude. La gioia per le disgrazie altrui 1
Il vero motivo che portò a Tangentopoli, strumento per “terminare” la Prima Repubblica Italiana. 1
Battisti ammette: commise gli omicidi. Protetto da Parigi?. 1
Copyright, perché i veri sconfitti della riforma sono i cittadini (e non i giganti del web) 1
Internet è ufficialmente morto in Europa. 1
La Direttiva europea sul Copyright passa con 348 voti (contro 274) 1
Copyright: il Parlamento Ue approva la nuova direttiva. 1
Marcello Veneziani: sovranismo europeo. 1
IN EVIDENZA
THE BIG CARNIVAL (e il nostro più piccolo)
Maurizio Blondet 26 Marzo 2019
Il padre di Rami , intervistato dalla Chaouqui:
LUI NON AVEVA NESSUNA INTENZIONE DI CHIEDERE LO IUS SOLI E IL DIRITTO DI CITTADINANZA PER IL FIGLIO: SONO STATI I GIORNALISTI A FARGLIELO DIRE – “SONO QUA DA 18 ANNI, NON L’HO MAI CHIESTO PRIMA. È COLPA LORO. VOGLIO SOLO VIVERE TRANQUILLO”
“Il padre del bambino ha ammesso davanti alle telecamere di non essersi mai interessato di chiedere la cittadinanza per il figlio, ma che sono stati i giornalisti di varie testate (Repubblica, La7) ad avergli chiesto di rilasciare quel tipo di dichiarazioni”.
Il vero giornalismo, ormai, lo fa Dagospia. Repubblica e La7 fanno un’altra cosa. Se il papà ha detto il vero, qualcosa di peggio che “semplicemente” diffondere fake news, notizie false. No, qui hanno fabbricato loro – di sana pianta – la notizia che non c’era, in modo che il PD e Fabio Fazio potessero agitare il tema dello “ius soli” in tv, onde far apparire Salvini cattivo e loro tanto, tanto buoni. E raccattare qualche voto.
Nel fabbricare la notizia falsa, hanno utilizzato le speranze e strumentalizzato le illusioni di quella famiglia di origine egiziana di cui proclamano di promuovere “i diritti”, esponendo questi deboli alla luce di riflettori spietati, che il papà di Rami ha i suoi motivi per voler evitare. Se è, come sembra, che lui benché qui da 18 anni non ha chiesto per sé la cittadinanza perché ha qualcosa nella fedina penale, lui ha diritto al silenzio e all’ombra; a quella discrezione che i giornalisti hanno violato per lo scopo abietto, di partito. Hanno fatto del male a papà, a Rami (che forse non sapeva del passato del padre) ai figli.
Questo calpestare i sentimenti dei deboli e dei poveri esponendoli indifesi alla notizia-spettacolo, questo fabbricare notizie che non esistono per cinismo e carrierismo, fingendosi per giunta buoni, accoglienti e protettori di quei poveri ed indifesi, è nelle possibilità ripugnanti del giornalismo soprattutto televisivo.
E’ il tema del capolavoro di Billy Wilder, The Big Carnival, dove un giornalista senza scrupoli (Kirk Douglas), che aspira a tornare ai grandi giornali di New York dai quali è stato cacciato per i suoi vizi, nel nulla deserto di Albuquerque (Nuovo Messico) crea una “notizia” di livello nazionale – ritardando il soccorso di un poveraccio rimasto sepolto in una vecchia caverna indiana. Lui è il solo che parla all’uomo bloccato nella caverna; gli fa credere di essere il suo salvatore, soccorritore ed amico. Negli stessi giorni, lo tradisce con
Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/the-big-carnival-e-il-nostro-piu-piccolo/
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Il vescovo di Innsbruck appende in chiesa un Cristo a testa in giù: “Sarà il nuovo orologio”
La deriva kitsch della chiesa in Europa. Mons. Hermann Glettler: “Al crocifisso abbiamo staccato le braccia, saranno le lancette che permetteranno di segnare le ore e i minuti”. E’ la ricetta per attrarre nuovi fedeli?
di Matteo Matzuzzi – 20 MARZO 2019
Roma. A Innsbruck, piccola diocesi della fu Austria felix, il vescovo Hermann Glettler – già noto per certe sue stravaganze, come il far distribuire la comunione a dei ragazzini, più inorriditi degli adulti lì presenti – si è dato all’arte moderna (o almeno a quella che lui ritiene essere arte moderna): ha fatto recuperare una vecchia statua lignea del Crocifisso, ha fatto staccare le braccia e l’ha appesa sul muro della chiesa dell’ospedale (dedicata allo Spirito santo): sarà il nuovo orologio. Le braccia segneranno l’una le ore e l’altra i minuti. Il tutto in modo armonico. Gesù è appeso per i piedi a testa in giù. Il vescovo ha spiegato con fare da guida turistica la decisione quantomeno originale: “Man mano che il tempo scorre, le braccia formano le diverse costellazioni e il corpo statico del Cristo morto prende all’improvviso vita, il che rappresenta un momento di liberazione dalla croce e un superamento della stessa morte”. Mons. Glettler è convinto di quel che dice, mentre dietro di lui – lo si vede in un video pubblicato da un giornale locale – la statua lignea su muove per segnare l’ora esatta.
La chiesa dello Spirito santo di Innsbruck con il Gesù-orologio (da Youtube)
Il vescovo sottolinea che l’opera rende giustizia “alla capacità di movimento del corpo umano, figura tradizionale del Rinascimento”, chiarendo altresì che attraverso la posizione capovolta e storta si mostra “la deformazione della figura umana”. Questo accenno, a quanto pare, dovrebbe essere un fumoso riferimento alla quaresima, non immediatamente intellegibile. Tant’è. Mons. Glettler è soddisfatto della resa e dice che non importa se l’arte sia moderna o no, basta che sia buona. Inoltre, il Cristo-orologio “riprende il tema barocco della dinamicità”. Il presule non è nuovo a tali “innovazioni”: nella cattedrale ha fatto installare una luce al neon (rossa) che ricorda l’insegna di una
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CONFLITTI GEOPOLITICI
Libano, presidente Michel Aoun: “Presto nuove ondate migratorie verso l’Europa”
In visita in Russia, il capo di Stato ha detto a Vyacheslav Volodin, il presidente della Duma, che il Libano sta affrontando la “terribile conseguenza economica” della crisi siriana e ha espresso l’auspicio che il Cremlino voglia aiutare Beirut nel rimpatriare gli 1,5 milioni di profughi arrivati durante la guerra. E ha chiesto un aiuto all’Unione europea: la grave crisi economica in cui versa il Paese dei cedri “potrebbe portare i rifugiati a cercare altre alternative e i Paesi europei sarebbero per loro la prima meta”
di F. Q. | 26 Marzo 2019
“Nuove ondate migratorie verso l’Europa inizieranno presto“. La profezia porta la firma di Michel Aoun, presidente del Libano, Paese che ospita due milioni di profughi e che ora, alle prese con una grave crisi economica, e che ora chiede un sostegno a Bruxelles.
In visita in Russia, Aoun ha detto a Vyacheslav Volodin, il presidente della Duma, che il Libano sta affrontando la “terribile conseguenza economica” della crisi siriana e ha espresso l’auspicio che il Cremlino voglia aiutare Beirut nel rimpatriare i profughi confluiti nel Paese negli anni della guerra civile prima e della lotta contro l’Isis poi.
“Abbiamo 500mila rifugiati palestinesi e circa 1,5 milioni di siriani. E’ un numero troppo grande per il nostro Paese – ha spiegato Aoun, citato dall’agenzia russa Tass – Presto ci saranno nuove ondate di migranti verso l’Europa”. “E’ nell’interesse dell’Europa risolvere la questione dei profughi siriani perché la difficile situazione in Libano potrebbe portare i rifugiati a cercare
CULTURA
Schadenfreude. La gioia per le disgrazie altrui
Ah la Schadenfreude (pron. sciàdenfròide), la terribile e deprecatissima quanto ambivalente «gioia per le disgrazie altrui».
Nemmeno Tommaso d’Aquino, gran santo e teologo ma soprattutto finissimo filosofo, riuscì a sfuggire al suo fascino ambiguo, tant’è che nella Summa theologica pare abbia introdotto la seguente superba asserzione:
Affinché quindi la beatitudine dei santi venga da essi più apprezzata, e maggiormente essi ne rendano grazie a Dio, viene loro concesso di vedere perfettamente la pena dei reprobi.
Come dire che più ci si compiace della propria santità quanto più si gode di essere sfuggiti alla pena e viceversa. Insomma bisogna immaginare santi e beati che, contemplando dalle loro nuvolette i dannati gettati nei pentoloni bollenti e inforconati da’ diavoli, godono (come ricci o come furetti, chissà perché) nell’assistere alla pena altrui. Anche l’Aquinate sembra dunque aver sdoganato la gioia malignazza per la disgrazia altrui, almeno a leggere questo divertente ma anche inquietante saggio della storica culturale inglese Tiffany Watt Smith, Schadenfreude. La gioia per le disgrazie altrui (tr. it. di Claudia Durastanti, Milano, Utet/DeAPlaneta Libri, 2019. Ed. orig. Schadenfreude. The Joy of Another Misfortune, Profile Books LDT 2018).
Un termine intraducibile
Che cos`e dunque la Schadenfreude? Innanzitutto una parola tedesca composta da Schaden (danni) e Freude (gioia, quella dell’Inno di Beethoven), detta intraducibile perché non ha un termine unico corrispondente nelle lingue di molti paesi e costringe a ricorrere a una perifrasi. Gli abitanti di quei paesi che conoscono il termine (non molti) e la difficoltà di tradurlo, sostengono di non possederlo perché a loro quel sentimento è alieno, e invece…
Un sentimento meschino
La nostra autrice lo dichiara sentimento universale e ben noto al mondo intero e aggiunge che esso suscita oggi grandissimo interesse. Watt Smith ne identifica cinque aspetti ricorrenti. Tra questi, il fatto che la Schadenfreude sia un sentimento un po’ meschino, da tenere nascosto, anche se si prova prevalentemente quando ci imbattiamo in una disgrazia di cui non siamo noi la causa, primo, e che in ogni caso può essere inquadrata, secondo, come una giusta rivalsa, una punizione meritata in seguito a comportamenti scorretti. Sarà. Ma allora che cosa giustifica le matte risate di chi assiste a programmi tipo «Paperissima», trionfo della Schadenfreude, dove si ride della caduta di bambinetti innocenti sulla buccia di
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CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Il vero motivo che portò a Tangentopoli, strumento per “terminare” la Prima Repubblica Italiana
Maurizio Blondet 25 Marzo 2019
…Domani, secondo alcune sirene EUro-franco-tedesche – si vorrebbe che proprio le basi nazionali di Gladio divenissero il “backbone” del nuovo esercito EU…
Sono passati ormai 25 anni da Tangentopoli, il tempo corre veloce. Da allora molte cose sono cambiate: ai tempi, durante i mondiali di Italia ’90, il Belpaese era davvero Belpaese, ricco, prospero, attivo, felice, con un grande futuro innanzi. Era la Repubblica a Sovranità limitata tanto insopportabile a Flamigni. Una Repubblica che però prosperava, cresceva, aveva futuro. E che certamente il Flamigni oggi rimpiange.
Tangentopoli non a caso segnò l’inizio della deriva italica a tutto tondo, per ragioni abbastanza incomprensibili ai più, almeno in apparenza. Si parlò di finanziamento illecito dei partiti per giustificare il crollo del sistema, di corruzione; in realtà solo alcuni anni prima, con Cossiga presidente, appena prima del crollo del muro, venne approvata una legge che di fatto normalizzava il processo del finanziamento alla politica, senza che crollasse il mondo (sebbene Cossiga avesse dovuto minacciare di intervenire manu militare per cancellare una riunione del CSM, ndr). Anzi, senza che nessuno ne facesse un dramma.
Nel 1993 successe invece il pandemonio, con un tempismo eccezionale (Tangentopoli scoppiò mentre Cossiga stava lasciando il Quirinale, ndr).
Dobbiamo capire perchè ci fuTangentopoli: fu un golpe? Quali furono i motivi scatenanti? Quale fu la genesi?
Forse i tempi sono maturi affinchè si possa fare un passo avanti, decisivo –
Venticinque anni dopo, 25. Nei prodromi di Tangentopoli – e poi durante – abbiamo rilevato le strane frequentazioni di Antonio Di Pietro con il Dipartimento di Giustizia USA oltre che con Rudolph Giuliani (che oggi potrebbe essere di grande aiuto oggi all’Italia per chiarire il passato, …), oltre alle sue assidue frequentazioni con il Console USA, Peter Semler a Milano; abbiamo scoperto dopo lustri che erano stati inopinatamente annunciati all’amministrazione USA in Italia con un anticipo di mesi gli arresti ossia i connotati di quello che sarebbe stato il più grande scandalo corruttivo/mediatico della storia italiana (…). Abbiamo anche rilevato come la fine di Tangentopoli avvenne sempre “per via americana“, ossia lo stop venne imposto da Antonin Scalia per volontà del plenipotenziario USA in Italia, quel Reginald Bartholomew che fu il capo delegazione per lo smantellamento delle armi nucleari dell’ex URSS, un pezzo più che da novanta contiguo ad ambienti militari.
Dunque, dobbiamo ricordare quello che successe nel mezzo: la ricca Italia venne spolpata e chi potè ne prese un pezzetto, parlo soprattutto degli EUropei (che mai furono partners, solo avversari, anche avvoltoi se volete).
Quello che è stato invece taciuto è il motivo di cotanta implosione, che non sarebbe potuta avvenire in assenza di un placet USA ovvero da parte del paese che dal Trattato di Cassibile in avanti, in condominio dopo l’eccidio di Portella della Ginestra con la sempre coloniale Londra, dirige le danze in terra italica.
Dunque la prima domanda da porsi è perchè gli USA ci abbiano voltato le spalle in modo così radicale, a partire dal 1990.
La seconda domanda è il metodo: infatti non sfugge come la morte dei due giudici più in vista del Paese, il giudice Falcone ed il suo diciamo vice, Borsellino, ammazzati con tecniche ed esplosivo militari e con coperture di altissimo livello, fossero troppo coincidentali per apparire casuali. Forse stavano indagano su fatti inquietanti, forse furono parte della trama
Certamente Giovanni Falcone, parimenti, era ingombrante: ascoltatissimo, amatissimo, decisamente influente; contemporaneamente restava progressista e assolutamente garantista nella sua impostazione giuridica (perseguiva sempre i fatti, non le ipotesi), potendo realmente minare l’indirizzo voluto per Tangentopoli ormai ai blocchi di partenza, partendo dalla fazione che poi avrebbe di fatto governato – salvando se stessa – dallo scempio lì a venire (vedasi il Compagno G, alias Primo Greganti, la vera costante tra i fatti di Tangentopoli e la seconda Tangentopoli del 2011-12, ndr).
Ad esempio, il fatto che Giovanni Falcone si fosse ai tempi fatto promotore di un’iniziativa interna alla magistratura per la cancellazione dell’obbligo di azione penale (sostituendola con indirizzi programmatici) la dice lunga sulla “pericolosità antieversiva” di un personaggio simile, per quella parte anche della magistratura che poi avrebbe di lì a poco messo a ferro e fuoco il paese, cancellando la sua classe dirigente storica anche con strumenti di dubbia liceità processuale (parlo dell’uso estensivo della carcerazione preventiva in carcere, che lo stesso Antonin Scalia durante la sua famosa visita al Pool di Milano – voluta dall’ambasciatore R. Bartholomew – bollò come un abuso dei diritti democratici della difesa, ndr).
Resta la domanda più importante: il perchè di Tangentopoli, ovvero (meglio detta) perchè gli USA vollero che succedesse. Lo strumento diciamo “operativo” – chiaramente – ha coinvolto le attività della magistratura italiana che
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Battisti ammette: commise gli omicidi. Protetto da Parigi?
Scritto il 27/3/19
Cesare Battisti, l’ex terrorista dei Pac arrestato a gennaio dopo quasi 40 anni di latitanza, ha ammesso per la prima volta, davanti al Pm di Milano Alberto Nobili, di essere responsabile dei 4 omicidi per cui è stato condannato. Battisti è stato arrestato in Bolivia e quindi estradato in Italia: era scomparso dal Brasile, dove il nuovo governo di Jair Bolsonaro aveva annunciato che avrebbe posto fine al regime di protezione di cui godeva. All’ex leader dei Pac, Proletari Armati per il Comunismo, era stata inflitta una condanna in via definitiva per quattro omicidi, due commessi materialmente e due in concorso: quello del maresciallo degli agenti di custodia Antonio Santoro, ucciso a Udine il 6 giugno 1978, quello del gioielliere Pierluigi Torregiani e del commerciante Lino Sabbadin, che militava nel Msi, uccisi entrambi dai Pac il 16 febbraio 1979, il primo a Milano e il secondo a Mestre; e quello dell’agente della Digos Andrea Campagna, assassinato a Milano il 19 aprile 1978. Battisti si era finora sempre dichiarato innocente. Ora ha invece ammesso per la prima volta le proprie responsabilità di fronte ai Pm milanesi.
Secondo Gianfranco Carpeoro, saggista, è verosimile che Battisti fosse stato infiltrato in Italia, all’epoca degli anni di piombo, dai servizi segreti francesi.
La protezione della Francia, per Carpeoro, sarebbe proseguita anche in Sudamerica fino alla cattura e all’estrazione, a metà gennaio: sempre secondo Carpeoro, teoricamente Battisti potrebbe essere in pericolo di vita, nel caso i suoi “protettori occulti” temessero imbarazzanti rivelazioni, da parte sua. Battisti potrebbe confessare i legami con l’intelligence che lo avrebbe a lungo tutelato, finanziato e ospitato, prima a Parigi e poi in Brasile? Per ora, l’ex terrorista – come conferma l’Ansa – ha ammesso, per la prima volta, la sua responsabilità nei 4 omicidi per i quali è stato condannato. E questo «fa giustizia di tante polemiche che ci sono state in questi anni e rende onore alle forze dell’ordine e alla magistratura di Milano», afferma il procuratore Francesco Greco. Per il magistrato, l’ammissione di Battisti fa chiarezza anche su un gruppo, quello dei Pac, «che ha agito dalla fine degli anni ‘70 in modo efferato». Come se, davvero, i Pac fossero “ispirati” da servizi segreti stranieri, per aggravare deliberatamente il già pesante bilancio di sangue della strategia della tensione che ha fortemente indebolito l’Italia negli anni Settanta?
Tutto quello che è stato ricostruito nelle sentenze definitive sui Pac, «i 4 omicidi,
Continua qui: http://www.libreidee.org/2019/03/battisti-ammette-commise-gli-omicidi-protetto-da-parigi/
GIUSTIZIA E NORME
Copyright, perché i veri sconfitti della riforma sono i cittadini (e non i giganti del web)
26 Marzo 2019 – Guido Scorza – Docente, avvocato e giornalista
Il Parlamento europeo, alla fine, ha detto sì e approvato la Direttiva di riforma della disciplina europea sul diritto d’autore.
Si potrebbe dire che hanno vinto i titolari dei diritti d’autore e gli editori di giornali e hanno perso i giganti del web o – e qualcuno nelle prossime ore lo scriverà certamente – che la creatività e la cultura europee hanno prevalso sulla tecno-industria americana ma si sbaglierebbe.
In realtà, probabilmente, gli unici veri sconfitti sono i cittadini europei la cui voce – che pure si è levata forte almeno negli ultimi mesi – è stata ignorata e bollata dalle stesse Istituzioni di Bruxelles come il risultato di un processo di condizionamento mediatico di massa orchestrato dai giganti del web e, come tale, inattendibile.
Le ragioni di un giudizio tanto severo sono tante e diverse. Eccone alcune.
La Direttiva non sarà legge nei singoli Paesi dell’Unione prima della primavera-estate del 2021 il che, nell’economia digitale, significa un’era geologica. È tecnicamente impossibile dire oggi se, domani, le nuove regole saranno ancora utili a governare un fenomeno – quello della circolazione dei contenuti online – che realisticamente si presenterà con tratti sensibilmente diversi.
La Direttiva dovrà essere recepita in tutti i Paesi membri attraverso una serie di provvedimenti nazionali e complice la vaghezza e approssimazione della formulazione di una serie di disposizioni in essa contenute è facile ipotizzare che genererà ventisette leggi diverse, trasformando alcuni Paesi dell’Unione in “isole felici” per i titolari dei diritti e altri in “paradisi” per i gestori delle piattaforme con buona pace per l’ambizione europea a un mercato unico digitale.
La Direttiva è stata, purtroppo, approvata all’esito di un dibattito tanto rumoroso e chiassoso quanto poco rigoroso e scientifico con la conseguenza che, nella sostanza, non esiste un solo studio di impatto della nuova disciplina sul mercato editoriale e su quello dei contenuti creativi online: nessuno è in grado di dire quanto, effettivamente, gli editori di giornali guadagneranno di più, quanti editori di giornali continueranno a essere indicizzati dalle grandi piattaforme di aggregazione dei contenuti, quanti utenti si vedranno rifiutare l’upload dei propri contenuti perché il gestore della piattaforma non avrà un accordo di licenza con il titolare dei diritti su alcuni degli elementi utilizzati per la produzione del contenuto né quanti titolari dei diritti guadagneranno effettivamente di più grazie alle nuove regole.
Si è tradito uno dei più elementari principi democratici: conoscere per deliberare.
E non ci sarà da sorprendersi, dunque, se quando tra tre anni sarà, finalmente, possibile fare un bilancio, numeri alla mano, sugli effetti della Direttiva – che, oggi, per l’ultima volta, a Strasburgo, è stata presentata come una questione di vita o di morte per l’industria editoriale e quella dei contenuti – si scoprirà che gli editori, purtroppo, hanno raccolto solo qualche spicciolo, che i giornalisti continuano a essere sottopagati, che i titolari dei diritti che ricevono qualche euro in più da Google, Facebook & c. sono poche decine in tutto il mondo, che il livello di pluralismo dell’informazione online è crollato perché i piccoli editori non sono più indicizzati e aggregati e che piattaforme come Youtube si avviano a diventare, semplicemente – e tristemente – novelle grandi televisioni che “trasmettono” i contenuti di una manciata di editori.
A qualche ora dal voto definitivo e quando ormai il dado è tratto, c’è da augurarsi il meglio per l’Europa e, dunque, c’è da augurarsi che non succederà. Oggi, a microfoni spenti, non c’è nessuno tra gli sponsor della Direttiva che potrebbe, per davvero, dirsi certo che la nuova disciplina non sarà un fallimento, un flop, un nulla di fatto.
E non basta, perché, purtroppo c’è il rischio ed è concreto – nonostante lo si sia sin qui raccontato come uno “spauracchio” agitato ad arte dalle lobby dei big della Rete – che il livello di libertà di informazione online crolli al di sotto
Internet è ufficialmente morto in Europa
Il Parlamento Europeo ha appena approvato in pieno la direttiva sul copyright, articoli 11 e 13 compresi. “È un giorno buio per la libertà di internet.”
Il Parlamento Europeo ha appena approvato la direttiva europea sul copyright. Con 348 voti a favore e 274 contrari, gli articoli 11 e 13 sono diventati realtà. Non vi è stata nemmeno la possibilità di votare per gli emendamenti che avrebbero proposto la rimozione dei singoli articoli — possibilità persa per soli 5 voti contrari.
Gli sforzi dei cittadini, degli attivisti, e degli esperti di internet — culminati con la pubblicazione domenica scorsa di una lettera contraria agli articoli 11 e 13, firmata dagli accademici di tutta Europa che si occupano di diritto informatico e proprietà intellettuale — non sono bastati a convincere la maggioranza degli europarlamentari a votare contro una direttiva che introduce una macchina della censura preventiva, che dovrà filtrare ogni contenuto caricato online.
Alcuni politici hanno intenzionalmente avvitato la discussione sulla direttiva copyright intorno alle sole posizioni dei detentori dei diritti d’autore — che non sempre combaciano con gli autori e i creatori dell’opera — e le grandi piattaforme. Lasciando completamente da parte le richieste dei cittadini, degli artisti e dei creatori di contenuti. I colpi bassi in questi mesi hanno ricordato più una stagione di Game of Thrones che un processo democratico.
Come sottolineato dalla parlamentare Julia Reda nel suo ultimo appello questa mattina, abbiamo assistito probabilmente a una delle più grandi mobilitazioni cittadine degli ultimi anni su un tema digitale. Dall’altra parte, però, alcuni europarlamentari si sono ostinati a svilire ogni critica liquidandola come fake news, bollando i cittadini come bot, o persino alludendo alla possibilità che i critici fossero stati assoldati dai colossi digitali. Tacendo completamente, però, le pressioni portate avanti dalle lobby editoriali
Continua qui: https://motherboard.vice.com/it/article/3kg9nv/parlamento-europeo-approva-direttiva-copyright-art-11-e-13-morte-internet
La Direttiva europea sul Copyright passa con 348 voti (contro 274)
Postato da Redazione il 26 Marzo 2019
L’Europarlamento ha votato sì alla Direttiva sul Copyright. I tanto discussi Articolo 11 sulla link tax e Articolo 13 sui filtri ai contenuti da parte delle piattaforme entreranno in vigore a due anni dalla pubblicazione della legge in Gazzetta UE e previo recepimento a livello nazionale.
A nulla è valsa la mobilitazione che allertava contro i pericoli di una rete in cui la libertà di espressione sarà controllata da algoritmi e filtri automatici.
A niente è servito il precedente nefasto della link tax introdotta anni fa in Spagna: determinando la rimozione dei link alle notizie fece crollare gli accessi ai quotidiani on line.
Altre ragioni per non essere contenti di questa legge che imbavaglia il web
Continua qui: https://www.ebookreaderitalia.com/la-direttiva-europea-sul-copyright-passa-con-348-voti-contro-274/
Copyright, il Parlamento europeo approva la direttiva Ue. Cosa cambia ora
26 marzo 2019
l Parlamento europeo ha dato l’ok alla direttiva sul copyright contenente le nuove regole sul diritto d’autore. Il via libera dall’aula di Strasburgo all’accordo provvisorio raggiunto a febbraio soprattutto per quanto riguarda internet è passato con 348 sì, 274 no e 36 astenuti. Le nuove norme Ue sul copyright, che includono salvaguardie alla libertà di espressione, consentiranno a creatori ed editori di notizie di negoziare con i giganti del web.
GUARDA IL VIDEO / Copyright, il Parlamento europeo approva la direttiva Ue
«È un momento cruciale per la cultura europea, per l’economia digitale, per la difesa dei nostri valori Ue», nel giorno della verità per quanto riguarda il recepimento della Direttiva sul copyright da parte del Parlamento europeo a Strasburgo, si esprime in questi termini la commissaria Ue al digitale Mariya Gabriel. «La nuova direttiva – ha affermato – permetterà di adeguare il diritto d’autore al Ventunesimo secolo», andando «a vantaggio di autori, interpreti, giornalisti, editori, produttori di film e musicali». Il testo, ha aggiunto la Gabriel, sosterrà «la nostra stampa e il settore creativo».
PER APPROFONDIRE – Copyright, su cosa si vota e perché è così importante
Gli autori «si aspettano che l’Ue mantenga le sue promesse. Bisogna attrezzare meglio i nostri autori, e questo significa far vivere la nostra cultura», oltre che «i nostri giornalisti» e ciò comporta «far vivere la nostra democrazia», ha concluso. Il testo dell’accordo politico sulla direttiva sul copyright è «equilibrato e ambizioso» e, secondo la Gabriel, «riconcilia i vari interessi in gioco. I creatori e gli altri detentori di diritti saranno equamente retribuiti e l’impatto sui prestatori di servizi rimarrà proporzionato e gli utenti e la loro libertà di espressione
Continua qui:
Copyright: il Parlamento Ue approva la nuova direttiva
26/03/2019 – Claudia Morelli
Approvata la nuova direttiva sul copyright da parte del Parlamento europeo, destinata a soppiantare le regole della direttiva del 2001, surclassata dall’avanzata del digitale, con i suoi nuovi modelli di business e di fruizione dei contenuti.
Con 348 voti favorevoli, 275 contrari e 36 astenuti è stato approvato un testo che ha avuto una gestione di tre anni, con molti stop and go a causa della partita lobbistica tra i giganti del web e gli editori europei.
Per la fine del contrastato percorso legislativo occorre attendere l’ok anche del Consiglio europeo. Poi si tratterà di recepire la direttiva e di trovare gli accordi economici tra piattaforme ed editori per tutelare i contenuti on line.
Il voto affermativo del Parlamento di Strasburgo è considerato una vittoria per l’editoria europea e per i professionisti (giornalisti, fotografi, videomaker) e una sconfitta per le grandi piattaforme (Facebook e Google) e per Wikipedia che le ha sostenute a spada tratta (LaPresse).
Le novità principali sono anche quelle che hanno creato tanto malumore. Vediamole in sintesi.
Eccezioni alla tutela del Copyright
Nell’ultimo passaggio e nel testo di “compromesso” sono diventate quattro. Significa che nelle quattro ipotesi specifiche, gli utilizzatori di contenuti altrui sono dispensati dal riconoscimento dei diritti. In particolare, si tratta dei casi di insegnamento, di utilizzazione anche in digitale di testi già in possesso di istituzioni culturali (per esempio biblioteche) e dei casi di TDM, text e data mining. A queste ipotesi è stata aggiunta la quarta: niente autorizzazione preventiva per l’analisi di dati necessari allo sviluppo di AI e machine learning.
Diritti ancillari anche agli editori
Il famigerato articolo 11 (diventato il 15). Le piattaforme che offrono questi servizi (Google, Facebook, Youtube e le altre) dovranno concordare con editori e titolari dei contenuti raccolti e distribuiti un compenso sui materiali riutilizzati. Sono esclusi (contrariamente a quanto più volte evidenziato), iperlink e snippet. Questo significa che le piattaforme potranno anche aggregare titoli e didascalie senza nulla dovere, ma dovranno rimandare al sito “proprietario”. Gli editori potrebbero però anche decidere di non mettere a disposizione i propri contenuti (neanche dietro compenso) e, in questo caso, le piattaforme dovranno vigilare (come, per altro, fa già Youtube con i video) che non ci sia un copyright
Continua qui: https://www.altalex.com/documents/news/2019/03/26/copyright-il-parlamento-ue-approva-la-nuova-direttiva
POLITICA
Marcello Veneziani: sovranismo europeo
Maurizio Blondet 26 Marzo 2019 3 commenti
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Marcello Veneziani esamina il concetto emergente di “sovranismo europeo”, che vediamo sempre più spesso invocato come slogan dagli europeisti nostrani. E’ un concetto che ha un senso? Secondo Veneziani sì: là dove per Europa si intenda un insieme di Stati sovrani integrati in un progetto comune, e non -come invece è accaduto- un progetto che punti a disintegrare drasticamente le Nazioni.
Un’Europa sovrana, ad esempio, dovrebbe rappresentare una risposta ed un argine alla globalizzazione, e non una mera tappa verso un mondo senza più identità nazionali.
In questa Europa non esiste una visione strategica comune, un’idea di “confine europeo”, ciascuno persegue esclusivamente il proprio interesse, e il risultato è un’Europa vessatoria degli Stati membri e dei popoli che ne fanno parte.
La nascita di movimenti e partiti che si oppongono a questo stato di cose diventa quindi una conseguenza naturale. Per questo occorre, secondo Veneziani, una nuova risposta politica alla divaricazione tra chi governa l’Europa e chi
Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/marcello-veneziani/
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