NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI
28 NOVEMBRE 2018
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Menzogne: “A prezzi di fabbrica”
GÓMEZ DE LA SERNA, Sghiribizzi, Bompiani1997, pag. 201
https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/
Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.
Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
SOMMARIO
Minacce e guerra psichica 2.0
Dietro l’attacco di Mediaset a Di Maio, il piano Juncker anti-Salvini 1
Persuasione & Tecniche di lavaggio del cervello usate attualmente sulla popolazione 1
RIDE – L’esordio agrodolce alla regia di Valerio Mastandrea 1
Partito comunista e l’estrema sinistra
I partigiani e la lezione di comunismo alle elementari 1
Il franco CFA in Africa: neocolonialismo e dipendenza 1
PROMESSI SPOSI/ Natoli lettore di Manzoni: la Provvidenza e il politico 1
Michel Onfray: la mia battaglia contro “l’Impero di Maastricht” 1
Il caso Cambridge Analytica spiegato in 8 semplici punti 1
La protezione umanitaria? Una anomalia solo italiana
La nuova tecnica degli scafisti per portare i migranti in Italia 1
Quello strumento della Bce che fa tremare le banche italiane 1
Quei soldi che la Bce ci deve e che possono ridurre il debito 1
Il piano degli Usa per dettar legge nei prossimi 50 anni 1
George Soro, grazie a Mario Draghi e Romano Prodi, suoi complici …
A CHI DOBBIAMO RESTITUIRE IL DEBITO PUBBLICO? 1
Una lettera di Jean-Claude Michéa sul movimento dei gilet gialli 1
Hillary Clinton, il rito satanico: cena occultista con la Abramovic 1
Onu: povero un inglese su 5, colpa del governo neoliberista 1
EDITORIALE
Minacce e guerra psichica 2.0
Manlio Lo Presti – 28 novembre 2018
La guerra asimmetrica contro il governo in carica continua utilizzando le ricette della guerra sotterranea e a tradimento. Niente di nuovo sotto il sole, direi.
La vicenda del genitore del vicepremier Di Maio che ha assunto al nero dipendenti della sua impresa, un fatto che sussiste da tempo, perché emerge proprio adesso? Si tratta di un copione già letto. Il malleus maleficarum giudiziario, con tempismo simile, riservò il medesimo “trattamento” al padre di Renzi quando costui iniziò a fare la voce grossa contro i pretoriani dell’unione europea che sono i mandanti dello sterminio socioeconomico in atto nel continente europeo.
La situazione di depressione economica e finanziaria programmata dalle strutture di Bruxelles è la ossessiva, martellante e pignola esecuzione dello statuto comunitario nel quale il compito è quello di preservare il potere d’acquisto e la stabilità della cosiddetta moneta euro. I pretoriani di Bruxelles sono quindi i custodi della purezza monetaria, anche a costo di:
50.000.000 di disoccupati,
25.000.000 di prossimi espulsi dai processi produttivi per la diffusione di processi robotici,
Imminente invasione di 200.000.000 di africani sospinti dalle politiche predatorie di Francia, Germania, Inghilterra, Belgio che hanno rastrellato ricchezze e ora cercano in tutti i modi di far pagare le conseguenze al sud dell’europa (non si merita la maiuscola). Un sud che viene artificialmente tenuto al collasso economico perché non abbia la forza di reagire alle ondate che arriveranno a breve;
Presenza dell’unico parlamento al mondo che non legifera, una funzione, questa, sequestrata dal ristretto gruppo di pretoriani comunitari non eletti da nessuno e che gestiscono il continente come una grande caserma;
Infine, cosa più grave di tutte, l’assenza di un disegno politico di medio e lungo periodo che consenta una programmazione e uno riassetto condiviso del continente per opera di parlamentari liberamente eletti dalle popolazioni d’europa dentro un Parlamento che possa legiferare e dare linee di indirizzo politico e strategico al futuro dell’europa.
Non è pensabile che oltre 500.000.000 di persone, 27 Paesi, una economia aggregata importantissima siano gestiti dai cosiddetti “mercati” costituiti da un groppuscolo di operatori davanti a sei schermi ciascuno, come ci fanno vedere in tv, facendoci credere che I MERCATI siano la verità assoluta, il Moloch al cui altare sacrificare il destino di milioni di cittadini. Un falso smentito dal ricatto del meccanismo dello spread arbitrariamente creato e non condiviso con i popoli d’europa mediante votazione democratica.
Va chiarito che i cosiddetti “mercati” non sono altro che lo strumento della speculazione ossessiva del profitto a favore delle imprese delle strutture finanziarie internazionali ai quali dei cittadini e del loro futuro non importa proprio nulla! La protezione dei cittadini dagli abusi delle imprese e dagli speculatori dovrebbe essere il compito di uno Stato con poteri regolatori che in europa, scientificamente non esiste perché, secondo la dottrina liberista NWO, va rimosso ogni ostacolo alla libera “circolazione della ricchezza”.
Ecco che la formazione di una classe dirigente eletta direttamente e democraticamente diventa un argine allo strapotere assassino, depressivo e predatorio dei pseudomercati attenti solo al guadagno pompato al minuto, non più semestrale o annuale. Poco importa se questo beneficio scarica costi economici e sociali a milioni di persone provocando disseti economici, conflitti sociali, espulsioni dai cicli produttivi, instabilità geopolitica permanente. [1]
L’assenza di una gestione politica condivisa del continente lascia campo libero alla gestione puramente contabile delle risorse economiche, una gestione spietata i cui amministratori scaricano la propria gravissima responsabilità dietro al “rispetto delle regole” comunitarie, stabilite poi da chi?
Il mantra del “rispetto delle regole” costi quel che costi, è identica alla motivazione che avanzava ripetutamente, ossessivamente, autisticamente un certo Adolf Eichmann davanti al Tribunale di Norimberga per giustificare lo sterminio perpetrato con zelante efficienza e senza un moto della coscienza.
Per coloro che non hanno dimenticato di esaminare la storia, si tratta di una somiglianza veramente inquietante.
La storia si ripete sotto altre vesti, ma ad ogni giro di boa le conseguenze sono sempre più distruttive.
Ne riparleremo …
[1] Molto istruttiva la attentissima lettura del discorso dell’economista GARY BECKER per il premio Nobel dell’economia del 1992. Una riflessione lucidissima sui guasti sociali provocati dal predominio assoluto e ossessivo del profitto delle imprese anche a danno del tessuto sociale circostante con costi superiori al profitto delle imprese stesse. Un danno i cui costi ovviamente sono a carico della popolazione.
Link qui: https://www.nobelprize.org/uploads/2018/06/becker-lecture.pdf
IN EVIDENZA
Dietro l’attacco di Mediaset a Di Maio, il piano Juncker anti-Salvini
Diverse cose si tengono: l’attacco delle Iene a Di Maio, Quota 100, la caduta di Berlusconi nel 2011, Juncker, Conte, i voti del Nord, la trattativa sulla manovra. Ecco come
28.11.2018 – Dino Iamasvili
Il presidente dell’Inps Tito Boeri boccia del tutto la riforma voluta dal governo e dalla Lega in particolare, mettendo in discussione la stessa fattibilità del provvedimento che punta a superare la tanto vituperata legge di Elsa Fornero: “Quota 100 data dalla somma 62-38 è incompatibile con i vincoli tecnici di spesa che sono già nella bozza della legge di bilancio — ha detto Boeri parlando a un convegno all’Università Bocconi —. Ora si discute delle modalità per contenerla, usando un meccanismo di salvaguardia, ma non è fattibile dal punto di vista giuridico e avrebbe l’effetto negativo di far scappare la gente in pensione appena possibile”.
In realtà Boeri non è il solo a pensarla così. Nel fine settimana a Bruxelles, Jean-Claude Juncker ha fatto la faccia buona con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ma è stato inflessibile nel chiedere che le auspicate modifiche alla legge di bilancio consentano di bloccare la riforma delle pensioni made in Salvini.
Ma perché i vertici europei sono così angosciati dalle manovre leghiste in materia pensionistica?
E’ presto detto. Fu il rifiuto della Lega nel 2011 ad acconsentire alla riforma strutturale delle pensioni di anzianità che provocò l’attacco della Merkel e dei suoi alleati al governo Berlusconi. Le pensioni di anzianità e di vecchiaia sono spesso confuse ma hanno significato e definizione non coincidenti. Se quella di vecchiaia di norma fissa l’età anagrafica limite
Continua qui:
Persuasione & Tecniche di lavaggio del cervello usate attualmente sulla popolazione
Dick Sutphen – lunedì 21 novembre 2016
SOMMARIO
– La nascita della Conversione/Lavaggio del Cervello nel Revivalismo Cristiano nel 1735.
– La spiegazione Pavloviana delle tre fasi cerebrali.
– I predicatori rinati: Passo-per-Passo, come essi conducono un revival ed i risultati fisiologici attesi.
– La tecnica della “parlata cadenzata (voice roll)” usata da predicatori, avvocati e ipnotisti.
– Le nuove chiese induttrici di trance.
– I 6 passi per la conversione.
– Il processo di decognizione.
– Le tecniche per l’arresto del pensiero.
– La tecnica di vendita attraverso il fanatismo.
– Veri credenti e movimenti di massa.
– Tecniche di persuasione: “Set del si”, “Comandi subliminali”, “Shock e confusione”, e la “Tecnica della disseminazione”.
– I messaggi subliminali.
– Onde vibrate e ELF (frequenza estremamente bassa).
– L’induzione del trance attraverso suoni vibrazionali.
– Anche osservatori professionisti possono essere “posseduti” nei raduni dei carismatici.
– La tecnica della “sola speranza” per frequentare e non essere convertiti.
– Programmazione Neurofonica invisibile attraverso la pelle.
– Il mezzo per la presa del potere sulle masse….
LA NASCITA DELLA CONVERSIONE/LAVAGGIO DEL CERVELLO NEL REVIVALISMO EVANGELICO DEL 1735
CONVERSIONE è un eufemismo per dire LAVAGGIO DEL CERVELLO; e qualsiasi studio sul lavaggio del cervello deve cominciare con uno studio sul Revivalismo della cristianità nell’America del 18° secolo. Apparentemente, Johnathan Edwards scoprì per caso le tecniche nel 1735 durante una missione religiosa a Northampton, nel Massachusetts. Inducendo senso di colpa ed acuta apprensione e aumentando la tensione, i “peccatori” che partecipavano ai suoi incontri revivalisti crollavano e si sottomettevano completamente. Tecnicamente, ciò che Edwards stava facendo era creare le condizioni che riducono il cervello a una tabula rasa, in modo che la mente accetti poi la nuova programmazione. Il problema era che il nuovo input era negativo. Egli diceva loro: “Sei un peccatore! Andrai all’inferno!” Di conseguenza, una persona si suicidò e un’altra tentò il suicidio.
Charles J. Finney fu un altro Revivalista che usò le stesse tecniche quattro anni più tardi nel corso di conversioni religiose di massa a New York. Le tecniche sono ancora usate oggigiorno dai revivalisti evangelici, dai pentecostali, dai carismatici, dalle sette gnostiche, dagli sviluppatori di potenziale umano, da società commerciali di vendita MLM, e dalle Forze Armate degli Stati Uniti… per citarne solo alcuni.
Voglio specificare che non credo che la maggior parte dei predicatori revivalisti sia consapevole o sappia di usare delle tecniche di lavaggio del cervello. Edwards semplicemente trovò per caso una tecnica che funzionava davvero, ed altri la copiarono ed hanno continuato a copiarla per più di 200 anni. E più la nostra conoscenza e tecnologia divengono sofisticate, più efficace risulta la manipolazione. Sono convinto che questo sia uno dei fattori primari della crescente ascesa del fondamentalismo, specialmente quello televisivo.
LA SPIEGAZIONE PAVLOVIANA DELLE
TRE FASI CEREBRALI
I Revivalisti saranno pure stati i primi a formulare con successo il lavaggio del cervello, ma dobbiamo rivolgerci ad uno scienziato russo, Pavlov, per averne una spiegazione tecnica. Ai primi del ‘900, il suo lavoro con gli animali ha aperto la porta ad ulteriori indagini sugli esseri umani. Dopo la Rivoluzione russa, “Lenin” colse subito le potenziali applicazioni della ricerca di Pavlov per i propri fini.
Pavlov identificò tre distinti e progressivi stati di inibizione transmarginale. La prima è la fase EQUIVALENTE, in cui il cervello dà le stesse risposte a stimoli forti e deboli. La seconda è la fase PARADOSSALE, in cui il cervello risponde più attivamente agli stimoli deboli che ai forti. E la terza è la fase ULTRA-PARADOSSALE, in cui le risposte condizionate e gli schemi di comportamento cambiano da positivi a negativi o da negativi a positivi. Con il progresso da una fase all’altra, il grado di conversione si consolida e diviene completo. I modi per ottenere una conversione sono vari e molteplici, ma di solito il primo passo del lavaggio del cervello politico o religioso consiste nel lavorare sulle emozioni di un individuo o di un gruppo fino a che questi raggiungano un livello abnorme di rabbia, paura, eccitazione o tensione nervosa. Il graduale risultato di questa condizione mentale è la compromissione delle facoltà di giudizio e l’incremento della suggestionabilità. Più si riesce a mantenere o incrementare questa condizione, più questa si aggraverà. Una volta che viene raggiunta la catarsi, o la prima fase cerebrale, la completa possessione mentale diventa più facile. La programmazione mentale esistente può essere sostituita con nuovi modelli di pensiero o di comportamento.
Altri strumenti frequentemente usati per modificare le normali funzioni cerebrali sono:
il digiuno,
le diete radicali o con eccesso di zuccheri,
le sofferenze fisiche,
il controllo del respiro (come nello Yoga),
la recita di mantra durante la meditazione,
la scoperta di misteri terrificanti,
effetti sonori o luminosi,
il responso programmato all’incenso,
le droghe psicotrope.
Gli stessi risultati possono essere ottenuti, nei trattamenti psichiatrici contemporanei,attraverso l’elettroshock, ed addirittura abbassando artificialmente il livello di zuccheri nel sangue di una persona con delle iniezioni di insulina. Prima di addentrarmi nelle modalità di applicazione di alcune di queste tecniche, voglio sottolineare che l’ipnosi e le tattiche di conversione sono due cose del tutto differenti – e che le tecniche di conversione sono di gran lunga più potenti. Tuttavia, le due cose vengono usate spesso in sinergia, con risultati formidabili.
I PREDICATORI EVANGELICI RINATI: Passo-per-Passo, come essi conducono un revival, ed i risultati fisiologici attesi
Se siete curiosi di vedere un predicatore revivalista al lavoro, ne troverete probabilmente molti nella vostra città. Andate nella chiesa o nella sala di buonora e sedetevi nelle ultime file, circa a tre quarti della stanza verso il fondo. Molto probabilmente sarà diffusa una musica ripetitiva, mentre i fedeli affluiscono per la funzione. Un ritmo ripetitivo, idealmente di 45-72 battiti al minuto (un ritmo vicino a quello del cuore umano), è estremamente ipnotico, e può generare uno stato di coscienza alterata ad occhi aperti in una grande percentuale di persone. E una volta che siete in uno stato alfa, sarete 25 volte più suggestionabili di quanto sareste in uno stato di piena coscienza beta. La musica è probabilmente la stessa per ogni funzione, o è basta sullo stesso ritmo, e molte persone cadranno in uno stato di coscienza alterata immediatamente nell’ingresso alla sala. In maniera subconscia, ricorderanno il loro stato mentale in funzioni precedenti e reagiranno secondo la programmazione post-ipnotica. Osservate le persone mentre aspettano che cominci la funzione. Molti di loro mostreranno i segni esteriori di una trance – rilassamento fisico e pupille leggermente dilatate. Spesso si metteranno a dondolare avanti e indietro sui loro sedili con le mani in aria. Poi probabilmente entrerà l’assistente del pastore. Che di solito è piuttosto esperto nella “parlata cadenzata (voice roll)”.
LA TECNICA DELLA PARLATA CADENZATA (voice roll) usata da telepredicatori evangelici, avvocati e ipnotisti
Una “parlata cadenzata” è uno stile vocale scandito e regolare usato da molti ipnotisti per indurre uno stato di trance. Viene usata anche da molti avvocati, parecchi dei quali sono ipnotisti ben addestrati, quando desiderano imprimere fermamente un determinato dettaglio nella mente dei giurati. Una “parlata cadenzata” può suonare come se colui che parla stesse seguendo il ritmo di un metronomo
Continua qui: https://crepanelmuro.blogspot.com/2016/11/persuasione-tecniche-di-lavaggio-del.html
ARTE MUSICA TEATRO CINEMA
RIDE – L’esordio agrodolce alla regia di Valerio Mastandrea
Ride di Valerio Mastandrea presentato nel concorso principale del Torino Film Festival 36: un esordio alla regia che non mantiene le aspettative.
28.11.2018 – Carmine Massimo Balsamo
Dopo aver abbandonato il progetto de La profezia dell’armadillo, girato da Emanuele Scaringi, Valerio Mastandrea ha iniziato l’avventura da regista con Ride, presentato in concorso al Torino Film Festival 36. Il film racconta la storia di Carolina (Chiara Martegiani) e del tragico lutto che deve sopportare insieme alla figlia: la morte del marito Mauro, un giovane operaio deceduto in fabbrica. La comunità di Nettuno si è stretta attorno alla donna, che deve fare fronte alla perdita dell’amore della sua vita e del padre della sua bambina. Ma Carolina non riesce a piangere: non è una vedova devastata dal dolore, come tutti al funerale si aspettano di vedere, e capisce di non dover deludere nessuno, compresa se stessa…
Noto per essere uno dei migliori interpreti del panorama italiano, con oltre 25 anni di carriera alle spalle, Valerio Mastandrea si mette per la prima volta alla prova dietro la macchina da presa e il risultato non soddisfa. Il suo è un dramma che non riesce a convincere, seppur sia ottima l’idea di presentare allo spettatore una pluralità di spunti su cui riflettere e alleggerire la tragedia con black humor. L’azione ruota attorno a Carolina, interpretata dalla compagnia del regista, e si concentra soprattutto sulle emozioni e sulla loro spontaneità: Mastandrea si focalizza sul ruolo della società e sul grado di condizionamento nel viverle in maniera sana.
Un tono agrodolce per una protagonista che si sente fuori posto, con amici e
Continua qui:
BELPAESE DA SALVARE
Partito Comunista ed estrema sinistra: un legame che ha distrutto la scuola italiana
La Redazione – 4 settembre 2018
Uno degli aspetti maggiormente rilevanti sul piano storico è la stretta correlazione che ci fu tra il partito comunista e l’estrema sinistra. Lo storico Danilo Breschi osserva come sia il Pci che il Psi avviarono già a partire dalla seconda metà degli anni ’50 nell’ambito universitario una graduale opera di penetrazione con lo scopo di condizionare il governo strumentalizzando l’antagonismo studentesco con la finalità di determinare una graduale crescita elettorale.
Insomma, il Pci diede un contributo rilevante in termini di destabilizzazione del nostro paese. D’altronde la legittimazione, ad esempio, della violenza rivoluzionaria nei confronti dello Stato liberale capitalistica, non affondava le proprie radici ideologiche proprio nell’ideologia marxista di cui il Pci era il portavoce istituzionale?
Anche De Felice sottolinea come al di là dei contenuti di cui i movimenti si facevano portavoce, la loro ideologia fu protetta e insieme strumentalizzata dai partiti della sinistra storica determinando da un lato la convinzione da parte degli studenti di essere una forza rivoluzionaria. D’altra parte, l’incapacità di controllarli da parte del Pci e del Psiup determinò la deriva terroristica. Quanto poi alle presunte innovazioni di natura pedagogica proposte negli anni settanta, queste non erano altro che una vera e propria forma di imbonimento cioè di indottrinamento ideologico sistematico e capillare attraverso il quale veniva insegnato solo quel punto di vista negando a priori validità a qualsiasi altro punto di vista, finendo dunque per squalificare il diverso fino a irriderlo, manifestando in questo modo una cultura manichea portatrice di odio e di intolleranza. Un ruolo di estrema rilevanza svolse il cattolicesimo di sinistra. A tale proposito il filosofo della politica Nicola Matteucci, padre nobile del liberalismo italiano, Presidente dell’Istituto Carlo Cattaneo e fondatore della rivista Il Mulino, ebbe modo di rivelare nel saggio sul sessantotto come l’insorgenza populistica sessantottina, aveva determinato il nascere di una vera e propria zona grigia tra cultura cattolica e comunista che ebbe modo di manifestarsi nella mistica dell’operaio.
Ebbene questa zona grigia condusse rispettivamente da un lato fuori dal marxismo verso il sindacalismo rivoluzionario e dall’altro lato verso un travisamento radicale del cristianesimo la cui finalità non era la trasformazione della società, ma la salvezza dell’anima. Un messaggio questo validissimo ancora oggi. Mettere insieme il marxismo ateo con il cristianesimo costituisce un vero e proprio incesto ideologico. L’insieme di questo sincretismo ed estremismo ideologico trasformò radicalmente il mondo delle istituzioni formative. A questo riguardo Rosario Romeo docente di Storia Moderna alla LUISS di Roma osservò causticamente come una delle conseguenze più nefaste del ‘68 fu l’alleanza tra partito comunista e gruppi di estrema sinistra che portò alla sistematica devastazione delle istituzioni formative. Ebbene questa nefasta sinergia determinò la degradazione della scuola e dell’università a meri strumenti di ordine pubblico destinati a trattenere e ad assorbire le minacce d’ordine politico che il governo e le istituzioni politiche non erano in grado di affrontare sul terreno specifico delle normative e della repressione.
Insomma, le scuole – come le università – furono trasformate in centri di agitazione e propaganda, nelle quali regnavano sopraffazione e violenza. Quanto al ruolo del Pci, questo attuò con la connivenza e la complicità della sinistra extraparlamentare, una vera proprio egemonia totalitaria all’interno dell’università e, al di là della retorica relativa al pluralismo a alla democrazia, il Pci stese su tutto il paese una rete dalle maglie sempre più stretta attuando nei confronti dei
Continua qui:
I partigiani e la lezione di comunismo alle elementari
In Romagna l’Anpi celebra il Pci in un libro per le elementari. E le famiglie romene insorgono
Paolo Bracalini – Mar, 21/10/2014
«Papà cosa vuol dire “utero in affitto”?». Domande che ti vengono, all’età di dieci anni, solo se ti capita di leggere di femminismo, comunismo, guerra partigiana e D’Alema, in un libretto gentilmente donato dall’Anpi locale alle scuole elementari di Cervia, nella rossa Romagna, nel corso di una serie di lezioni.
L’autore del librettino è Giampietro Lippi, presidente dell’Associazione nazionale partigiani a Cervia, «esponente del Pd» secondo un genitore di una delle scuole coinvolte, Raffaele Molinari, che sul suo blog denuncia l’«indottrinamento di partito» a spese dei bambini.
Nel libretto distribuito nelle classi di quinta elementare, nel corso di vari incontri a scuola, non si rievocherebbe solo la storia dei partigiani e delle staffette, perché «tutte le storie sono raccontate per rendere idilliaco il ricordo del Pci, con innumerevoli note dove si citano personaggi del grande Partito comunista, le immagini col pugno alzato… Insomma, comunismo ovunque», lamenta Molinari. Il quale riporta alcuni passi del libretto per rendere meglio l’idea: «Ho incontrato allora tanta brava gente. Tra i tanti, uno che ricordo con stima e simpatia, era il padre del nostro D’Alema, che aveva come nome di battaglia “Braccio”». O anche quest’altro: «Le portava l’Unità, perché la leggesse e incominciasse ad interessarsi alle cose vere della vita, ed Anna poco alla volta capì che era importante scegliere il fronte politico con il quale accasarsi e scelse il Pci». I genitori hanno chiesto spiegazioni alla
Continua qui: http://www.ilgiornale.it/news/politica/i-partigiani-e-lezione-comunismo-elementari-1061299.html
CONFLITTI GEOPOLITICI
Il franco CFA in Africa: neocolonialismo e dipendenza
Di Margherita Russo – Novembre 27, 2018
Per chi avesse dubbi su quanto un’unione monetaria possa attivare meccanismi di tipo neocoloniale, un articolo di Economic Questions, che illustra il dispiegarsi di questo fenomeno nelle aree del franco CFA: 14 stati africani, la maggior parte ex colonie francesi, legati da una moneta comune ancorata all’euro e le cui riserve sono depositate in Francia. Qui la dipendenza esplicita dalla potenza coloniale è stata sostituita subdolamente da una finta indipendenza, fortemente limitata dalla mancanza di sovranità monetaria, che impedisce alle ex colonie di svilupparsi economicamente e di riguadagnare la propria vera autonomia. Chi si arricchisce, invece, è la Francia, per ammissione dei suoi stessi presidenti. Con la complicità delle élite governative locali filofrancesi, difese dalla Francia perché della Francia difendono gli interessi. Vi ricorda qualcosa?
di Mariamawit Tadesse, 10 agosto 2018
La geopolitica francese in Africa è determinata dalle risorse naturali. Inizialmente l’area del franco era stata impostata come un sistema monetario coloniale, attraverso l’emissione di valuta nelle colonie, per evitare alla Francia di dover spostare materialmente denaro contante. Ma anche dopo l’indipendenza di questi paesi, il sistema monetario ha continuato a funzionare fino ad includere altri due stati che non erano ex colonie francesi. Al momento, le due aree del franco CFA comprendono 14 stati. Il fatto che ancora oggi la moneta di queste regioni sia ancorata all’euro (ex franco francese) e che le riserve siano depositate in Francia mostra il sottile neocolonialismo che la Francia sta perseguendo, senza alcun controllo. È un’unione monetaria di cui la Francia è il fulcro e su cui ha potere di veto. In questo è supportata dalle élite governative africane, che si affidano al sostegno economico, politico, tecnico e talvolta militare fornito dalla Francia. Non c’è da meravigliarsi quindi che queste ex colonie non abbiano sviluppato il loro pieno potenziale, dal momento che hanno barattato lo sviluppo consentito dalla sovranità con la dipendenza dalla Francia. Questo articolo indaga l’istituzione delle aree del franco CFA, i suoi legami con il neocolonialismo francese e la sua capacità di accrescere ulteriormente la dipendenza delle ex colonie dell’Africa occidentale e centrale.
Le aree del franco CFA
La prima area del franco fu istituita nel 1939 come area monetaria con il franco francese come valuta principale. Nel 1945 furono creati il franco delle colonie francesi d’Africa (franco CFA) e il franco delle colonie francesi del Pacifico (franco CFP). Dopo l’indipendenza, Marocco, Tunisia, Algeria e Guinea abbandonarono il sistema. La Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale (CEMAC) e l’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (UEMOA) sono le due aree del franco CFA. L’UEMOA comprende otto stati: Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau (ex colonia portoghese entrata nel 1997), Mali, Niger, Senegal e Togo. La loro moneta comune è il “Franco della Comunità Finanziaria dell’Africa” (franco CFA), emesso dalla Banca Centrale degli Stati dell’Africa Occidentale (BCEAO) con sede a Dakar, in Senegal. Il CEMAC comprende sei stati: Camerun, Repubblica centrafricana, Ciad, Repubblica del Congo, Guinea equatoriale (ex colonia spagnola entrata nel 1985) e Gabon. La loro moneta comune è il “Franco della Cooperazione Finanziaria dell’Africa” (franco CFA), emesso dalla Banca Centrale degli Stati dell’Africa Centrale (BEAC) con sede a Yaounde, Cameroon. Si noti che fino alla fine degli anni ’70 sia la BCEAO che la BEAC avevano sede a Parigi.
Nel 1948 il cambio dei due franchi CFA fu fissato a 50 franchi CFA per franco francese. Nel 1994 i franchi CFA hanno subito una svalutazione, per l’esattezza del 50 per cento. Al momento il sistema istituito dalla Francia con le due aree comprende un cambio fisso rispetto all’euro, una garanzia di convertibilità da parte del Tesoro francese e infine un insieme di requisiti legali, istituzionali e politici. La zona franco CFA collega tre valute: le due aree e l’euro. Il franco CFA è fissato a 655,957 per 1 euro. UEMOA e CEMAC hanno ciascuna le proprie banche centrali, indipendenti l’una dall’altra. I franchi CFA possono essere convertiti in euro, ma non possono essere convertiti direttamente l’uno con l’altro. Il denaro viene inviato in Francia come conto operativo presso il Tesoro francese dalle due banche centrali. Inoltre, “almeno il 20 per cento delle passività a vista di ciascuna banca centrale deve essere coperto da riserve valutarie, almeno il 50 per cento delle riserve in valuta estera deve essere depositato nel conto operativo e si applicano sanzioni in caso di insolvenza. La Francia è anche rappresentata nel consiglio di entrambe le istituzioni.” In “Colonial Hangover: the Case of the CFA”, Pierre Canac e Rogelio Garcia-Contreras spiegano:
“Il funzionamento dei conti operativi è fondamentale per mantenere la convertibilità dei franchi CFA al tasso di cambio ufficiale, mentre, allo stesso tempo, consente alle banche centrali regionali di mantenere una certa autonomia monetaria. I conti operativi sono accreditati con le riserve estere di BCEAO e BEAC, ma possono essere in passivo quando la bilancia dei pagamenti dei membri della zona CFA è negativa. In questi casi il Tesoro francese presta riserve estere alle due banche centrali. Questa speciale relazione con il Tesoro francese consente alle due banche centrali africane di mantenere la fissità del tasso di cambio pur consentendo loro di avere un controllo limitato sulla loro politica monetaria. L’ammontare del prestito concesso è illimitato, sebbene soggetto a diversi vincoli al fine di limitare l’espansione del debito. In primo luogo, le banche centrali ricevono interessi sul loro credito nel conto operativo, ma devono pagare un tasso di interesse progressivamente crescente sul loro debito nel conto. In secondo luogo, le riserve estere diverse dai franchi francesi o dagli euro potrebbero dover essere restituite – una pratica chiamata “ratissage”, o ulteriori riserve potrebbero dover essere prese in prestito dal FMI. In terzo luogo,il Tesoro francese nomina i membri dei consigli di amministrazione di BCEAO e BEAC per influenzare le rispettive politiche monetarie e assicurare la loro coerenza con la parità fissa. L’autonomia delle due banche centrali africane è dunque limitata dalle autorità francesi, prolungando così il rapporto coloniale tra la Francia e le sue ex colonie“.
A quanto pare, delegati francesi ricoprono posizioni importanti negli uffici di presidenza, nel ministero della Difesa, alla Banca centrale, al Tesoro, negli uffici della Contabilità e del bilancio e al ministero delle Finanze, il che consente loro di supervisionare e influenzare le decisioni politiche. Uno studioso francese ha osservato che in media i diversi ministri degli stati africani francofoni totalizzano in un anno duemila soggiorni a Parigi. Adom dimostra che il denaro custodito presso il tesoro francese frutta un interesse nullo o molto basso per le nazioni dell’area del franco. Nel 2007 l’ex presidente senegales Abdoulaye Wade aveva affermato che questi fondi avrebbero potuto essere utilizzati per stimolare gli investimenti, la crescita economica e alleviare la povertà nei paesi membri se non fossero bloccati in Francia.
Dopo la svalutazione del 1994 il cambio dei due franchi CFA fu fissato al nuovo tasso di 100 franchi CFA per franco francese. La causa di questa svalutazione è stata attribuita alla bassa competitività, in quanto il franco francese si era apprezzato rispetto alla valuta dei suoi principali partner commerciali. La competitività di queste zone si riferiva al mercato francese, ma non ai mercati mondiali. Negli anni ’80 c’era stato un calo del prezzo delle materie prime e una svalutazione del dollaro. Questo di conseguenza ebbe un impatto sulla crescita e sulle esportazioni di queste nazioni. I governi di queste aree si trovarono a fronteggiare disavanzi di bilancio, che finanziarono con prestiti richiesti all’estero fino a quando il FMI li sospese, nel 1993. Gli scambi tra le due unioni non sono significativi, a causa di un dazio esterno. I flussi di capitale tra le due aree sono fortemente limitati. La prospettiva che un’unione monetaria aumentasse gli scambi tra le aree del franco CFA non si è mai materializzata.
La Francia e il neocolonialismo
Come afferma Kwame Nkrumah: “...gli imperialisti… sostengono di voler “concedere” l’indipendenza alle ex-colonie, ma solo per farla seguire dai cosiddetti “aiuti” per lo sviluppo. Sotto la copertura di queste parole, tuttavia, escogitano innumerevoli modi per raggiungere gli stessi obiettivi precedentemente raggiunti dal colonialismo esplicito. L’insieme di questi moderni tentativi di perpetuare il colonialismo sotto la retorica della “libertà” è diventato noto come neocolonialismo“.
In “Government accounting reform in an ex-French African colony: The political economy of neocolonialism”, P.J.C. Lassou e T. Hopper affermano che “Il colonialismo non cessa con la dichiarazione di indipendenza politica o con l’ammainare l’ultima bandiera europea. La decolonizzazione è solo di formale facciata se alle ex colonie viene impedito di acquisire la base socio-economica e le istituzioni politiche per gestirsi come paesi sovrani indipendenti. La moderna manifestazione dei tratti coloniali e imperialisti è comunemente denominata neocolonialismo, ed è a volte associato al concetto di “dipendenza”. Il neocolonialismo si manifesta quando l’ex potere coloniale controlla ancora le istituzioni politiche ed economiche delle ex colonie“.
La Francia sta realizzando il neocolonialismo, camuffando questo meccanismo come unione monetaria. Queste nazioni hanno abdicato alla loro sovranità in favore della Francia. Il neocolonialismo è un ostacolo allo sviluppo per le nazioni africane. L’intervento della Francia si è manifestato in termini economici, politici e militari. Gli “Accordi di cooperazione” furono firmati da leader africani che salirono al potere con l’aiuto della Francia al momento dell’indipendenza. D’altra parte, gli “Accordi speciali di difesa” fornivano alla Francia il potere di intervenire militarmente per proteggere i leader africani che tutelavano gli interessi della Francia. Infine, gli accordi economici impongono alle ex colonie di esportare in Francia materie prime come petrolio, uranio, fosfato, cacao, caffè, gomma, cotone ecc…, mentre importano beni e servizi industriali dalla Francia. Inoltre, queste nazioni sono tenute a ridurre o cessare le loro esportazioni di materie prime quando la difesa dell’interesse francese lo richiede.
Lassou e Hopper sottolineano che la parte di amministrazione economica è una parte trascurata delle politiche di sviluppo, specialmente nell’Africa francofona. Aggiungono inoltre che “Riforme basate sul mercato quando applicate nel Sud in generale e in Africa specificamente… promuovono il neocolonialismo, consentendo alle ex potenze coloniali di mantenere il controllo sulle istituzioni politiche ed economiche delle ex colonie a vantaggio delle multinazionali e del commercio con cui i paesi “del Sud” esportano materie prime a buon mercato verso i paesi “del Nord” e a loro volta importano beni e servizi ad alto valore aggiunto“.
Secondo l’Indice di sviluppo umano, su 187 paesi gli ultimi tre e sette dei peggiori dieci paesi si trovano nell’Africa francofona. L’approccio neocolonialista francese è estremamente sottile e paternalistico. L’ex presidente francese, Jacques Chirac, ha dichiarato: “Ci dimentichiamo di una cosa: cioè, gran parte del denaro che è nel nostro portafoglio [cioè dei francesi] proviene proprio dallo sfruttamento dell’Africa [per lo più dell’Africa francofona] per secoli”. Nel 2008 ha proseguito, “Senza l’Africa la Francia scivolerebbe al rango di una potenza del [terzo] mondo“.
Teoria della dipendenza nell’Africa francofona
L’Africa, l’Asia e l’America Latina hanno perseguito uno sviluppo sostenibile dopo aver ottenuto l’indipendenza. Tuttavia alcuni paesi sono riusciti a sviluppare efficacemente le loro economie. Negli anni Cinquanta Raul Prebisch e altri economisti elaborarono la teoria della dipendenza, che spiega perché “la crescita economica nei paesi avanzati industrializzati non ha necessariamente portato alla crescita nei paesi più poveri“. Prebisch riteneva che ciò fosse perché i paesi poveri (paesi periferici) esportano materie prime verso i paesi sviluppati (nazioni centrali) e importano i prodotti finiti. Esiste anche una relazione dinamica tra stati dominanti e dipendenti. Andre Gunder Frank teorizzò che il sistema capitalista mondiale fosse diviso in due sfere concentriche: centro e periferia. I paesi del centro avanzato hanno bisogno di materie prime a basso costo provenienti dalla periferia sottosviluppata e di un mercato di sbocco per i loro prodotti finiti.
Sono passati decenni da quando i paesi africani hanno ottenuto l’indipendenza. Tuttavia, questa indipendenza è stata sostituita da una relazione di dipendenza dai paesi dominanti, nota come post-colonialismo. Si ha dipendenza dai paesi dominanti “quando un paese è in grado di partecipare in modo definitivo o determinante al processo decisionale di un altro paese mentre il secondo paese non è in grado di avere la stessa influenza nel processo decisionale del primo paese“. Le politiche estere e interne delle nazioni africane indipendenti continuano ad essere influenzate da potenze esterne, in particolare i loro ex colonizzatori. La relazione post-coloniale nel caso delle ex colonie francesi è data dal ruolo dominante della Francia.
Il colonialismo francese è stato un colonialismo di stato. Era un governo diretto, in cui i capi locali assistevano gli amministratori francesi, il che portò alla nascita di élite locali che furono educate nel sistema francese. Le ex colonie furono indottrinate con la cultura, la lingua e la legge francesi. All’epoca dell’indipendenza, le colonie subsahariane si decolonizzarono in modo non violento, mentre le ex colonie britanniche ottennero la loro indipendenza attraverso la guerra, un modo violento che allentò le relazioni con la Gran Bretagna. Poiché la libertà dalla Francia è stata raggiunta attraverso la non violenza, fu naturale per le élite locali prendere il potere e mantenere i loro forti legami con la Francia.
Attraverso l’area del franco CFA, la Francia è in grado di controllare l’offerta di moneta, la regolamentazione monetaria e finanziaria, le attività bancarie, l’allocazione del credito e le politiche economiche e di bilancio di queste nazioni. Inoltre genera corruzione e diversione illegale di aiuti pubblici
Continua qui: http://vocidallestero.it/2018/11/27/il-franco-cfa-in-africa-neocolonialismo-e-dipendenza/
CULTURA
PROMESSI SPOSI/ Natoli lettore di Manzoni: la Provvidenza e il politico
Male e Provvidenza agiscono entrambi nei legami: così Salvatore Natoli nel libro “L’animo degli offesi e il contagio del male” rilegge il capolavoro di Manzoni
28.11.2018 – Gianfranco Dalmasso
L’animo degli offesi e il contagio del male: sembra il titolo di un romanzo di Dostoevskij, ma è il titolo di un recente contributo di Salvatore Natoli al centenario manzoniano (Il Saggiatore, 2018). “…in Manzoni parlare del male è lo stesso che dire: Provvidenza”. Con questa affermazione, immediatamente provocatoria, si apre il volume e subito si chiarisce che il concetto di Provvidenza non può essere pensato in nessun modo come una “storia a lieto fine”. La Provvidenza, infatti, “penetra il male nella sua profondità, lo assume in tutta la sua serietà”. D’altra parte, se non si cerca di vincere il male — anche se non ci si riesce —, vuol dire che si è conniventi con esso.
Nella pervasività del male che affligge l’umana esistenza la Provvidenza è tuttavia il filo rosso che lega gli eventi e che soprattutto li sottrae alla mera causalità. Credere nella Provvidenza è lottare contro il male senza usare le stesse armi. Manzoni crede nella Provvidenza e in un piano salvifico di Dio, ma propone un’idea di Provvidenza che fa tutt’uno con la sua stessa possibilità e pratica. E’ come agisce fra Cristoforo e come don Abbondio non sa fare, prigioniero com’è delle sue paure: e il male, alla fine, lo subisce.
Manzoni non ci offre una sorta di visione, poco o tanto “ideologica”, del bene e del male, ma delle regole impositive e dominatrici dell’esistenza. Del resto, la conversione del grande scrittore a Parigi, durante le celebrazioni napoleoniche, seguita alla perdita e al ritrovamento della moglie a causa di un grave incidente, testimonia che l’atto di convertirsi è indisgiungibile dall’“affrontare il buio della storia”. Il male che si conosce è più vicino alla guarigione che il male che si ignora.
Per Manzoni il male è negli atti degli uomini: viltà, sopraffazioni, violenze. Il male è nei legami. I Promessi Sposi costituiscono una sorta di “romanzo nero” nel senso del grande commento proposto da Giovanni La Macchia (Manzoni e la via del romanzo, Adelphi, 1994). Ma nei legami funziona anche una “trascendenza” che si coglie come una risorsa inesauribile, che è il modo con cui i legami si riconoscono o no, si intrecciano o no, anche attraverso i compromessi, le meschinità (vedi la trattativa fra il conte zio e il padre provinciale riguardo alla punizione di colui che diventerà fra Cristoforo). E’ in questione una “risorsa” che funziona in modo, per così dire, “sperimentale”, anche nella ri-creazione di legami “politici”. Il “politico”, infatti, nel romanzo è concepito come più radicale e ospitante lo stesso legame fra il “personale” e il “politico” in senso stretto.
La Provvidenza, perciò, la si coglie non come un “ottimismo della volontà”, ma come un intrecciarsi degli eventi. Questo intrecciarsi è tutto costituito dagli atti degli esseri umani, che ne sono gli ingredienti. La Provvidenza, dunque, si annuncia, nel romanzo manzoniano, come un requisito della “libertà” di tali atti. Non ci si potrebbe muovere umanamente nella vita, proprio in modo “libero”, se non in una strada il cui selciato è l’impasto, quotidiano e politico insieme, di effetti non precedentemente calcolabili. Si tratta della nozione di “accidenti” giustamente richiamata da Natoli. “I personaggi dei Promessi sposi
Continua qui:
Michel Onfray: la mia battaglia contro “l’Impero di Maastricht”
13 novembre 2018 DI FEDERICO IARLORI
davincipost.info
L’avanzata dei partiti populisti in Europa e nel mondo, l’avvenire della sinistra, l’opposizione tra liberalismo ed ecologia, il servilismo dei media tradizionali ed il ruolo delle reti sociali nell’informazione, le elezioni europee e la rovina della civiltà occidentale. Il filosofo Michel Onfray risponde alle nostre domande
In Francia Marine Le Pen resta lo spauracchio. Ad ogni elezione rappresenta un pericolo, ma dopo sono sempre gli altri (gli stessi) che vincono e lei scompare fino alle seguenti elezioni. In Italia questo incubo presunto è diventato realtà, con il successo elettorale di Salvini: perché secondo lei? Qual è la differenza tra i due paesi?
Mitterrand ha tradito due volte la sinistra: una prima volta nel 1983 con la svolta verso il rigore, una seconda nel 1992 con il Trattato di Maastricht. In entrambi i casi si trattava di permettere la costruzione di un’Europa liberale. Per restare al potere ed essere rieletto per un secondo settennato, Mitterrand ha avuto bisogno di lasciar credere che la direzione storica della sinistra era di convertirsi al mercato che fa le regole… In quel modo realizzava il programma politico di colui che aveva battuto nel 1981: Giscard d’Estaing! Per essere rieletto, ha dovuto spaccare la destra in due fazioni, dato che non poteva essere rieletto soltanto in base alla sua forza elettorale ma solo grazie alla debolezza del suo avversario. Dunque ha strumentalizzato Jean-Marie Le Pen intervenendo personalmente presso i giornalisti per dare al leader del Fronte nazionale una diffusione mediatica che faceva il suo gioco politico, dato che indeboliva la destra repubblicana.
Da allora, i liberali di destra (Sarkozy e Chirac) e di “sinistra”, (Hollande e Macron), utilizzano la stessa strategia: bisogna che Marie Le Pen sia sufficientemente forte per arrivare al secondo turno, ma non abbastanza per vincere. Da qui la necessità di demonizzare la Le Pen in modo che al secondo turno non ci sia altro voto possibile tra i falsamente progressisti e chi viene qualificato come cattivo populista.
Insomma, ciò che è chiamato “populismo” non già dai progressisti, ma dai “populicidi” non è altro che il rifiuto del programma politico liberale di distruggere la protezione dello Stato sovrano in nome di un internazionalismo del mercato degli uomini e delle merci -degli uomini considerati merce. Questo modo di fare funziona ovunque sia in vendita l’Europa liberale, Italia compresa…
Il Partito Democratico in Italia, così come il Partito Socialista in Francia vivono un momento tra i più oscuri della loro storia politica. Perché la sinistra moderata perde dovunque e perché non riesce a prendere coscienza dei suoi errori e a rifondarsi?
Perché la linea di demarcazione a destra e a sinistra separa ormai i “sovranisti” dai “liberali” e non esiste un uomo politico francese ideologicamente e moralmente abbastanza forte per rinnovare il Partito
Continua qui:
CYBERWAR SPIONAGGIO DISINFORMAZIONE
Il caso Cambridge Analytica spiegato in 8 semplici punti
Dall’utilizzo illecito dei dati sugli utenti di Facebook ai legami con la vittoria di Trump e della Brexit, ecco chi c’è dietro e cosa fa Cambridge Analytica.
Il nome di Cambridge Analytica nelle ultime ore sta rimbalzando sulla stampa internazionale: la società è accusata di aver utilizzato illegalmente i dati di milioni di utenti Facebook al fine di arricchire il proprio database, parte dell’offerta che rivolge a partiti politici e a grandi società con il fine di targettizzare le campagne e migliorare i risultati di conversione.
La società ha contribuito alla vittoria di Donald Trump alle elezioni statunitensi del 2016 e a quella del Sì all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea in occasione del referendum Brexit.
Ecco il caso Cambridge Analytica spiegato in 8 semplici punti.
Cambridge Analytica è una società che offre i suoi servizi a imprese e partiti politici che vogliono «cambiare il comportamento del pubblico».
Sostiene di essere capace di analizzare delle enormi quantità di dati dei consumatori e combinarli con la scienza comportamentale per identificare le persone che le organizzazioni possono scegliere come target per le proprie attività di marketing. Raccoglie dati da una vasta quantità di fonti, tra cui le piattaforme di social network, come Facebook, e tramite il proprio sistema di sondaggi.
La società ha sede a Londra ed è stata fondata nel 2013 come filiale di un’altra società, la SCL Group, che offre servizi simili in tutto il mondo.
In un’intervista al sito Contagious, il fondatore di Cambridge Analytica, Alexander Nix, ha dichiarato che la società è stato creata «per colmare il vuoto nel mercato politico repubblicano degli Stati Uniti», diventato evidente quando Mitt Romney è stato sconfitto alle elezioni presidenziali del 2012.
«I democratici stavano apparentemente guidando la rivoluzione tecnologica; l’analisi dei dati e l’impegno nel digitale erano aree in cui i repubblicani non erano riusciti a recuperare. Lo abbiamo visto come un’opportunità».
Durante il fine settimana, l’Observer ha riferito che nel 2014, i dati di 50 milioni di profili Facebook sono stati raccolti da un accademico britannico, Aleksandre Kogan, e dalla sua società Global Science Research.
Kogan ha raccolto le informazioni attraverso un’app sul sito, catalogando i dati degli americani che erano stati pagati per fare un test della personalità, e raccogliendo anche i dati dei loro amici su Facebook.
Kogan era d’accordo a condividere queste informazioni con la Cambridge Analytica. Ma secondo un informatore, Christopher Wylie, la maggior parte di queste informazioni personali sono state raccolte senza autorizzazione. Egli riferisce che la Cambridge Analytica abbia usato i dati raccolti per creare un potente programma software con il fine di prevedere e influenzare le scelte alle urne dei cittadini americani.
Wylie, un canadese ex dipendente della Cambridge Analytica, ha svelato i retroscena su questa e altre pratiche d’uso presso l’azienda, che descrive come una «macchina di propaganda a servizio completo». Egli contraddice le affermazioni rilasciate in passato da Nix, che a febbraio ha detto ai parlamentari britannici che la società non ha mai utilizzato i dati di Facebook per il suo lavoro.
In una dichiarazione di sabato, la società ha negato qualsiasi illecito affermando di non aver raccolto i dati da Facebook, e che nessuno di questi dati è stato utilizzato in occasione delle elezioni presidenziali del 2016. La società afferma di rispettare pienamente i termini di servizio di Facebook e di aver cancellato tutti i dati ricevuti da GSR.
Kogan ha inoltre negato il fatto che la GSR abbia fatto qualcosa di sbagliato.
Questa non è la prima polemica che l’azienda si trova ad affrontare. È stata accusata di aver offerto il contatto di donatori stranieri per la campagna Brexit nel Regno Unito e in novembre è stato riferito che Nix ha contattato il fondatore di Wikileaks Julian Assange per chiedere se potesse aiutarlo con la pubblicazione di alcune e-mail collegate a Hillary Clinton.
La società è stata anche accusata di sopravvalutarsi. Alcuni nel mondo della tecnologia affermano che non abbia l’influenza che sostiene di avere.
Facebook ha sospeso Cambridge Analytica e diversi profili privati dal suo sito durante la fase di ricerche e investigazioni. La società di zuckerberg nega ci sia stata una violazione dei dati e afferma di aver concesso a Kogan il permesso di accedere alle informazioni. Tuttavia, condividendole con Cambridge Analytica e permettendo che fossero usate per scopi commerciali, ha infranto i termini della licenza.
«Le persone hanno fornito consapevolmente le loro informazioni,
Continua qui: https://www.money.it/Il-caso-Cambridge-Analytica-spiegato
DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI
LA PROTEZIONE UMANITARIA? UNA ANOMALIA SOLO ITALIANA.
Giovanbattista Fazzolari Fb 60718
Esistono due forme di protezione internazionale:
- il diritto di asilo dei rifugiati che ha come fonte la Convenzione di Ginevra del 1951. Solo l’8% di chi sbarca in Italia ne ha diritto.
- La protezione sussidiaria che ha come fonte il diritto dell’Unione europea (Direttiva 2005/85/CE), che estende le tipologie di rifugiati rispetto alla convenzione di Ginevra. Solo il 9% di chi sbarca in Italia ha diritto alla protezione sussidiaria.
Ma a queste due forme l’Italia ne aggiunge una terza, la sedicente “protezione umanitaria”, che non nasce da obblighi internazionali. E’ una anomalia tutte italiana (introdotta dalla legge Turco-Napolitano sull’immigrazione), con la quale si riconosce uno status di rifugiato anche a chi non ne ha diritto. Un inganno, una truffa. Con questo strumento negli ultimi anni l’Italia ha concesso il permesso di soggiorno al 25% di chi è sbarcato in Italia. Clandestini trasformati in ipotetici “
Continua qui: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=660894477589436&id=593972037615014
La nuova tecnica degli scafisti per portare i migranti in Italia
L’operazione illustrata oggi presso la procura di Agrigento, denota una modalità sempre più collaudata nell’organizzazione degli sbarchi: una nave madre traina piccoli barchini fino in prossimità delle coste italiane
Mauro Indelicato – Lun, 26/11/2018
Barchino trascinato
Non c’è più l’attenzione mediatica di questa estate, quando nel bel mezzo delle giornate più calde dell’agosto siciliano, dagli uffici della Procura escono i fogli delle inchieste inerenti la nave Diciotti, che vedono il ministro Salvini indagato fino alla richiesta di archiviazione arrivata ad inizio novembre.
Ma nonostante ciò, l’attività in seno al palazzo di giustizia di Agrigento appare frenetica. E nel cuore dell’ultimo lunedì di novembre proprio il protagonista principale di quelle giornate, il procuratore Luigi Patronaggio, rivela i dettagli di un’importante operazione compiuta nell’ambito del contrasto all’immigrazione.
Sei scafisti arrestati, 68 migranti trainati fino a Lampedusa, un inseguimento operato dagli uomini della Marina militare e della Finanza in alto mare che permette anche di rintracciare una cosiddetta “nave madre”. Sono questi numeri ed elementi che spiccano nell’azione presentata in dettaglio al tribunale di Agrigento: “Questa procura – rivendica Patronaggio – Ha sempre avuto grande attenzione verso il contrasto dell’immigrazione. Voglio ricordare che proprio da qui lo scorso anno è partito l’allarme sul rischio terrorismo derivante dagli approdi lungo le coste agrigentine. Gli sbarchi fantasma non ce li siamo inventati noi”.
Il procuratore rivela poi i numeri che riguardano proprio il fenomeno migratorio in questo 2018: “Contiamo complessivamente 207 sbarchi – afferma Patronaggio – Più di tremila immigrati approdati, 700 dei quali sono minori non accompagnati. C’è una diminuzione del 75% degli sbarchi rispetto allo scorso anno. Ma il lavoro compiuto nel nostro circondario da parte di tutte le forze dell’ordine è comunque sempre molto impegnativo”.
Una situazione quindi ancora complessa, nonostante i numeri parlino di un drastico calo degli attraversamenti del canale di Sicilia. E lo scorso 22 novembre un areo impegnato nella missione Frontex avvista, non lontano da Lampedusa, un peschereccio che traina un piccolo barchino. Come specificato dallo stesso Patronaggio, inizialmente sembra che questa imbarcazione sia normalmente impegnata in una battuta di pesca. Ma così non è: il piccolo natante agganciato con una corda desta sospetti, specie quando viene lasciato alla deriva dall’imbarcazione madre. Da qui, scattano i controlli della guardia di Finanza. Ne nasce un inseguimento molto delicato: “Bastavano pochi minuti di navigazione in più – afferma un rappresentante della marina militare presente in conferenza stampa – E non avremmo più potuto proseguire l’operazione”. Infatti, il peschereccio viene braccato a soltanto 20 miglia dalle acque tunisine e a 40 da quelle libiche. L’azione è svolta in un punto lontano 200 miglia da Lampedusa, dunque si è decisamente in alto mare.
Nel piccolo barchino invece, la guardia costiera soccorre 68 migranti stipati nella parte più bassa dell’imbarcazione. Per questo motivo, dall’alto il natante sembra vuoto e senza la presenza di persone a bordo. Questo permette di appurare una dinamica sempre più collaudata, sia negli sbarchi fantasma che in quelli sventati lungo
Continua qui: http://www.ilgiornale.it/news/cronache/arrestati-sei-scafisti-inseguimento-nel-canale-sicilia-1607237.html
ECONOMIA
Quello strumento della Bce che fa tremare le banche italiane
MICHELE CRUDELINI – 3 giugno 2018 RILETTURA
La Bce, Banca centrale europea, è l’ente nel Vecchio Continente che più di ogni altro ha la responsabilità sull’andamento della politica monetaria. Nata nel 1998 la Bce ha come obiettivo principale della sua mission la “stabilità dei prezzi”, come scritto nero su bianco nel suo statuto.
Stabilità dei prezzi e creazione della moneta, i due principi dell’Eurotower
Un obiettivo che viene perseguito attraverso diversi strumenti di cui la Bce può servirsi. Uno su tutti, fondamentale, è la creazione stessa della moneta. Tra i 19 Stati aderenti all’Unione europea che hanno adottato l’euro, la Bce è l’unico istituto di credito che ha il potere legittimato di creare e immettere nel mercato gli euro. Questa operazione di emissione e di successiva immissione nel mercato europeo viene fatta dalla Bce attraverso operazioni finanziarie con gli Stati appartenenti all’area euro e i loro rispettivi istituti di credito. In pratica Stati, banche e da poco anche soggetti privati emettono obbligazioni (nel caso dello Stato sono conosciuti come Bot) che vengono acquistati dalla Bce.
L’istituto di Francoforte nell’atto di acquisto dei titoli immette così gli euro che circolano poi nelle economie nazionali. La Bce ha però nel suo statuto delle peculiarità che la discostano di molto da altri istituti di credito nazionali nel mondo. A differenza, per esempio, della Banca centrale giapponese o di quella che era una volta la Banca d’Italia, quando stava sotto il Ministero del Tesoro, la Bce non svolge la funzione di prestatrice di “ultima istanza”. Ovvero non è, o non dovrebbe essere, garante del debito pubblico degli Stati dell’area euro. Se quindi uno Stato tra i 19 si ritrovasse a rischio default a causa di un alto tasso d’interesse
Continua qui: http://www.occhidellaguerra.it/quello-strumento-della-bce-tremare-le-banche-italiane/
Quei soldi che la Bce ci deve e che possono ridurre il debito
Il volume delle monete emesso dall’Austria è due volte e mezzo quello dell’Italia. Se potessimo copiarli, negli ultimi quattro anni il debito sarebbe calato di 200 miliardi
26.11.2018 – Paolo Tanga
In un precedente articolo ho richiamato l’attenzione su come con le operazioni di Quantitative easing abbiamo subìto delle penalizzazioni rispetto a Germania e Francia. Comunque si vada a fondo nelle relazioni con l’euro, si nota che molto, moltissimo andrebbe cambiato per trasformare questa Europa in un organismo unitario accettabile per la popolazione europea. I disastri causati a Cipro prima e alla Grecia addirittura in misura drammatica, riducendo alla fame migliaia di bambini, si sentono in tanti altri Paesi.
Ora vorrei sottoporre all’attenzione un altro aspetto che appare marginale, di poco conto, ma che potrebbe da solo riuscire a rimettere a posto i conti se solo seguissimo l’esempio dell’Austria. Numerose interrogazioni parlamentari o in sede europea hanno da tempo sollevato un problema sempre rimasto irrisolto: a chi deve essere attribuita la proprietà dell’euro in sede di emissione? Invero numerosi studiosi lo avevano anticipato, chiedendo che fosse esplicitamente previsto che la proprietà venisse attribuita ai cittadini europei perché, grazie alla loro accettazione del nuovo strumento di scambio, ne avrebbero suggellato il valore; altrimenti la moneta, com’è avvenuto, diventa un elemento che erode la ricchezza reale prodotta a vantaggio di coloro che la emettono addebitandola e pretendendo un interesse che è impossibile reperire, a meno che non ci sia un organismo che sia deputato a stampare un ammontare di banconote e/o monete almeno equivalente agli interessi che maturano in un determinato Stato; in questo modo si annullano i movimenti speculativi che vanno sotto il nome di spread.
Invero, ciò sarebbe possibile se ciascuno Stato fosse abilitato a coniare e a spendere monete per un importo corrispondente agli interessi che maturano sui debiti a carico di tutti i residenti pubblici o privati del territorio in cui circola l’euro. Cosa succede nella realtà?
Mi limito a presentare i volumi massimi di emissione di monete metalliche autorizzati dalla Bce per il quadriennio 2015-2018, confrontandoli con i coefficienti relativi alla distribuzione delle banconote e conseguentemente le spettanze per l’Italia sulla base dell’applicazione di quei coefficienti:
Dall’esame dei dati sopra riportati, non è assolutamente ipotizzabile che l’Austria (7,3 milioni di cittadini residenti) abbia un utilizzo di contante monetato superiore a 2,5 volte quello italiano (55,4 milioni di cittadini residenti al netto degli stranieri), quasi a significare che in quel Paese nessuno utilizzi le carte di credito. Ne consegue che se l’Italia avesse adottato i parametri austriaci (avendone più titolo per la ben nota diffidenza alla diffusione di strumenti elettronici
Continua qui:
Il piano degli Usa per dettar legge nei prossimi 50 anni
L’America sa che la guerra globale in atto è quella che detterà le regole e stabilirà ruoli e priorità per i prossimi 50 anni. E gioca quindi le sue carte
28.11.2018 – Mauro Bottarelli
Al netto del clamoroso successo politico interno (molto più sistemico di quanto possa sembrare, anche a livello di forza nelle mediazioni in politica estera e nelle contrapposizioni economiche) di cui abbiamo parlato nella prima parte pubblicata ieri, a cosa sta portando il corso ribassista imboccato da Wall Street? A questo, di fatto lo sgonfiamento della bolla creditizia. Appena un accenno, per carità. Ma significativo. Nell’ottobre horribilis appena superato, il margin debt è calato infatti di qualcosa come 40,5 miliardi di dollari, stando a dati ufficiali della Finra (Financial Industry Regulatory Authority), il controvalore maggiore dal novembre 2008, poche settimane dopo il fallimento di Lehman Brothers, come mostra il primo grafico.
La reazione dei mercati è stata palese a questa fuga di denaro da Wall Street, ma quella dei media e dell’opinione pubblica? Praticamente zero, almeno a livello di panico. E signori, stiamo parlando di margin debt, ovvero di denaro preso a prestito per speculare sugli indici di Wall Street: quindi, l’accelerante di ogni incendio doloso di corso rialzista dopato ma anche il detonatore di ogni crollo auto-alimentante, visto che quel denaro che viene drenato dagli indici si sostanzia nelle famigerate margin calls, ovvero chiusure obbligate delle posizioni assunte. A qualsiasi prezzo, pena evitare perdite maggiori. La proverbiale palla di neve che diventa valanga. E in che tipo di ambiente sta avvenendo questo sgonfiamento silenzioso?
Grafici qui: https://cdnx.ilsussidiario.net/wp-content/uploads/2018/11/27/Margin_debt1-500×300.png
Ce lo mostrano il secondo e terzo grafico. Dai quali notiamo che durante il boom del mercato iniziato con la grande crisi finanziaria del 2008 e durato fino ai giorni nostri, il margin debt è continuato a crescere, di massimo in massimo, fino a raggiungere il suo picco nel maggio scorso, quando toccò i 669 miliardi di dollari, su del 60% dall’apice precrisi del luglio 2007 e del 117% dal gennaio 2012. Bene, da quel picco di sei mesi fa, il margin debt è sceso per un controvalore di 62 miliardi di dollari, un bel -9,2%, di cui appunto 40,5 miliardi solo a ottobre di quest’anno. Il terzo grafico ci mostra la correlazione storica recente fra aumento del margin debt e crolli di mercati azionari ai massimi: quando nell’ottobre del 2002 si arrivò alla fine dello scoppio della bolla dot.com, il Nasdaq era calato del 78%, mentre nel medesimo arco temporale il margin debt era sceso del 54%. Uno scenario simile si è verificato durante la bolla subprime del 2008.
E oggi? Sarà la bolla tech guidata dal calo delle Fang a garantire uno sgonfiamento del margin debt, tale da rientrare in un range di leva normale? Una differenza, se anche fosse così, appare chiara fin da ora: quella dell’informazione. E, quindi, della percezione. Sia nel primo caso che nel secondo, le prime pagine dei giornali e i tg avevano toni da 1929 e le notizie finanziarie erano onnipresenti. Oggi sono di passaggio e i cali appaiono incidenti di percorso, nuvoloni neri che portano qualche temporale in un cielo, quello dell’economia Usa, che resta comunque blu e terso. Non è così, in realtà. E lo dicono i numeri.
Continua qui:
George Soros grazie a Mario Draghi e Romano Prodi, suoi complici , nel 1992 si pappò 15.000 miliardi di vecchie lire italiane.
A seguito dell’attacco speculativo di Soros, l’incompetenza e la complicità di personaggi italiani quali Carlo Azeglio Ciampi e Mario Draghi, allora rispettivamente governatore della Banca d’Italia e direttore generale del Tesoro, hanno regalato a Soros e agli speculatori 15.000 miliardi di lire
Alfredo Ecclesia – 13 febbraio 2017 RILETTURA
Quello che gli Italiani non sanno: I Criminali che condannarono all’esilio Craxi, distruggendone anche la carriera politica. George Soros, ebreo e affamatore di popoli, parassita speculatore finanziario: è un nome che dovrebbe far tremare ma che in pochi conoscono . Infatti il 16 settembre 1992 tramite una speculazione finanziaria guadagnava 1,1 miliardi di dollari, faceva svalutare la sterlina costringendola a uscire dallo SME (sistema monetario europeo) . Lo stesso giorno attaccava pure la lira italiana
Continua qui: http://alfredodecclesia.blogspot.com/2017/02/george-sorosgrazie-mario-draghi-e.html
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
A CHI DOBBIAMO RESTITUIRE IL DEBITO PUBBLICO?
DI FABIO CONDITI – 28 GIUGNO 2018
Ci siamo talmente abituati alla crisi economica, che facciamo fatica ad immaginare che possa esistere una società che non ne sia caratterizzata.
Sono anni che ci ripetono che il debito pubblico è insostenibile e che dobbiamo seguitare con politiche di austerity perché in questo modo riusciremo a risolvere il problema : ma nonostante i grandi sacrifici a cui ci sottoponiamo, la situazione invece che migliorare, peggiora.
Tutti gli Stati del mondo sono indebitati, per una cifra complessiva che supera i 200.000 mld di euro, e questo dovrebbe insospettirci: come mai
siamo “tutti” indebitati, a chi dobbiamo tutti questi soldi?
Ovviamente non ad un altro pianeta, ma ai mercati finanziari, visto che è lì che i Titoli di Stato vengono collocati per essere acquistati da una piccolissima percentuale della popolazione mondiale, principalmente costituita da operatori del mondo finanziario.
Lo Stato italiano, se ha bisogno di denaro, anziché crearlo, è costretto a reperirlo sui mercati finanziari, aumentando continuamente il debito pubblico.
Ma lo Stato è anche il titolare della sovranità monetaria, perché da secoli emette la propria moneta con la propria effige e le conferisce valore attraverso l’imposizione del valore legale e l’obbligo di utilizzarla per pagare le tasse.
Quindi è lo Stato che dà valore al denaro, perché per averlo allora lo prende in prestito?
In fondo, se ci pensiamo bene, all’origine di tutti i problemi che abbiamo attualmente, c’è sempre una mancanza di denaro che impedisce la risoluzione del problema stesso.
Nonostante gli aumenti delle tasse, le riduzioni della spesa pubblica, le privatizzazioni continue, lo Stato ha sempre problemi economici per i quali non può attuare politiche economiche a favore dei suoi cittadini.
Diceva Ezra Pound: “Uno Stato che non ha il denaro per costruire un ospedale, è come un ingegnere che non ha i chilometri per costruire una strada”.
Ma allora chi crea il denaro e come lo usa?
Attualmente in Italia, nel nostro sistema economico noi utilizziamo tre tipi di moneta:
– monete metalliche coniate dallo Stato, pari allo 0,3% del totale che usiamo;
– banconote emesse dalla BCE, pari al 6,7% del totale che usiamo;
– moneta bancaria creata dalle banche, pari al 93% del totale che usiamo.
Trascurando i contanti, che costituiscono solo il 7% del denaro totale che usiamo, in realtà la maggior parte del denaro che usiamo è creato dal nulla dalle banche quando fanno prestiti.
E’ la cifra che è scritta nei nostri conti correnti bancari, che ci permette con bonifici, assegni, carte di credito e bancomat, di pagare qualsiasi bene o servizi di cui abbiamo bisogno.
Senza voler approfondire il sistema che utilizzano per creare e gestire questo denaro, per capirne la reale natura, è necessario analizzare l’art.1834 del c.c. che definisce i depositi nelle banche, che dice testualmente: “Nei depositi di una somma di danaro presso una banca, questa ne acquista la proprietà ed è obbligata a restituirla nella stessa specie monetaria, …, a richiesta del depositante“.
In definitiva, la cifra scritta sul nostro conto corrente bancario, rappresenta una
Continua qui: https://comedonchisciotte.org/a-chi-dobbiamo-restituire-il-debito-pubblico/
LA LINGUA SALVATA
co-rì-sta
SIGNChi canta in un coro; chi canta accompagnando un cantante di musica leggera; direttore del coro di una chiesa; diapason, strumento che dà l’intonazione
da coro, che attraverso il latino chorus viene dal greco chorós.
Questa parola ha delle complessità che nella registrazione semplice che tutti ne abbiamo fatto sono quasi sicuramente sfuggite. Se dico che un corista è parte di un coro, nessuno si stupisce; ma questo dato va a parare in direzioni diverse (non dico tanto da diventare un’enantiosemia, ma però…).
Il corista ci pare invariabilmente una figura secondaria: addirittura certi dizionari accolgono come significato figurato comune di ‘corista’ quello di ‘non protagonista’, o di ‘elemento di un insieme indistinto’ quale è il coro, sia che si pensi alla falange compatta del coro in chiesa, sia che si pensi al gruppo che danza e canta intorno al cantante famoso, sia che si pensi al coro greco (chorós significava a un tempo i danzatori che nelle liturgie danzando cantavano, la danza cantata stessa e anche il luogo dove era eseguita – per poi passare al teatro e diventare il ben noto personaggio collettivo che dicevamo parlando del
Continua qui: https://unaparolaalgiorno.it/significato/C/corista
PANORAMA INTERNAZIONALE
Una lettera di Jean-Claude Michéa sul movimento dei gilet gialli
Di Carmenthesister – Novembre 26, 2018
Il filosofo francese Jean Claude Michéa scrive una lettera aperta sul movimento dei gilet gialli, da lui apprezzato e sostenuto come un autentico movimento popolareche spontaneamente parte dal basso contro le politiche liberiste degli ultimi quarant’anni. Nonostante l’ottusa ostilità degli intellettuali di sinistra ecologisti e libertari e dei cani da guarda mediatici, e nonostante la cinica determinazione del governo, questo movimento, avverte Michéa, non è che l’inizio.
di Jean Claude Michéa, 21 novembre 2018
Cari amici,
Solo poche parole molto concise e lapidarie – perché qui siamo presi dai preparativi per l’inverno (tagliare la legna, piante e alberi da pacciamare ecc). Io sono ovviamente d’accordo con tutti i vostri commenti, come con la maggior parte delle tesi espresse su Luoghi comuni (solo l’ultima affermazione mi sembra un po’ debole a causa del suo “occidentalismo”: una vera cultura di emancipazione popolare esiste anche, naturalmente, in Asia, Africa o America Latina!).
Il movimento dei “gilet gialli” (un buon esempio, a proposito, di quella creatività popolare di cui parlavo nei Misteri della sinistra) è, in un certo senso, l’esatto opposto di “Nuit Debout“. Questo movimento, semplificando, è stato infatti il primo tentativo – incoraggiato da gran parte della stampa borghese e dal “10%” (vale a dire, quelli che sono deputati ad essere, o si preparano a diventare, la leadership tecnica, politica e “culturale” del capitalismo moderno) – di disinnescare la critica radicale al sistema, concentrando tutta l’attenzione politica su quell’unico potere (seppur decisivo) rappresentato da Wall Street e dal famoso “1%”. Una rivolta quindi di quei metropolitani ipermobili e ultraqualificati (anche se una piccola parte delle nuove classi medie comincia a conoscere, qua e là, una certa “precarizzazione”) che costituiscono, dall’era Mitterrand, il principale vivaio per la classe dirigente di sinistra ed estrema sinistra liberale (e in particolare dei suoi settori più apertamente contro-rivoluzionari e anti-popolari: Regards, Politis, NP“A”, Université Paris VIII, ecc). Qui, al contrario, sono quelli che vengono dal basso a ribellarsi (come analizzato da Christophe Guilluy – tra l’altro stranamente assente, fino ad ora, da tutti i talk show televisivi, a vantaggio, tra gli altri comici, del riformista sub keynesiano Besancenot), i quali hanno già una coscienza rivoluzionaria sufficiente a rifiutarsi di dover ancora
Continua qui: http://vocidallestero.it/2018/11/26/una-lettera-di-jean-claude-michea-sul-movimento-dei-gilet-gialli/
Hillary Clinton, il rito satanico: cena occultista con la Abramovic
6 Novembre 2016 – di Glauco Maggi
La «Cena degli Spiriti» di un anno fa, che aleggia oggi sulla campagna di Hillary grazie a Julian Assange, introduce una scabrosa nota di mistero nella storia della sfida presidenziale del 2016. La succulenta rivelazione del party, offerta sempre da WikiLeaks, riguarda un invito che John Podesta, manager della Clinton oggi ed ex capo staff di Bill Clinton presidente negli Anni Novanta, aveva ricevuto per email il 28 giugno 2015, tramite suo fratello Tony, dall’artista Marina Abramovic. Famosa per le sue performance masochiste, estrema frontiera dell’astratto concettuale, Marina aveva scritto: «Non vedo l’ora di averti allo Spirit Cooking a casa mia. Pensi di potermi dire se tuo fratello John si unisce alla compagnia?». Tony non perse tempo a girare l’invito a John: «Se sei a New York giovedì 8 luglio Marina vuole che tu venga alla sua cena».
Il piatto forte non era riportato nelle e-mail, ma gli eruditi dell’occulto sanno che lo Spirit Cooking, un «sacramento» della religione di Thelema fondata da Aleister Crowley, usa tutti ingredienti naturali per il suo «menu»: sangue da mestruazioni, latte dal seno, urina e sperma, impastati da Marina in una performance horror che, alla fine, produce un «quadro». L’accostamento privato, provato da WikiLeaks, del clan Clinton alla Abramovic ha dato a quest’ultima un ritorno di popolarità: su Internet si rivedono le sue esibizioni, da quella in cui si pugnala le mani con un coltello a quando posa con la testa di un caprone insanguinato, la rappresentazione del simbolo occulto Baphomet. Quanto ai Podesta, solo mercoledì prossimo si saprà se il bizzarro Spirit Cooking (il nome formale della cena) con l’amica «strega» ha portato buono o se era stata invece una Cena delle
Continua qui: https://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/12009612/hillary-clinton-rito-satanico-cena-occultista-marina-abramovic.html
Onu: povero un inglese su 5, colpa del governo neoliberista
Scritto il 26/11/18
Mentre la classe politica inglese è lacerata a causa della Brexit, una crisi molto più grave continua a colpire i milioni di vittime dell’austerity voluta dai conservatori. Un devastante rapporto delle Nazioni Unite sulla povertà nel Regno Unito evidenzia in modo incontrovertibile che il vero nemico del popolo britannico è la sua stessa classe politica che negli ultimi anni ha fatto di tutto per convincerlo che è colpa della Russia. Il professor Philip Alston, nella sua veste di incaricato speciale delle Nazioni Unite per l’estrema povertà e i diritti umani, ha trascorso due settimane in giro per il Regno Unito per verificare l’impatto di otto anni di uno dei più radicali programmi di austerità tra le economie avanzate del G20 adottato in risposta al crollo finanziario del 2008 e alla conseguente recessione globale. Quello che ha riscontrato è l’evidenza di una guerra sistematica, intenzionale, concertata e brutale condotta dall’ala destra del partito conservatore contro la classe più povera e vulnerabile della società britannica, guerra che ha coinvolto la vita di milioni di persone che non erano responsabili del crollo finanziario ma che sono state costrette a pagarne il prezzo.
Si legge nell’introduzione del rapporto: «Appare profondamente ingiusto e contrario ai valori britannici che così tante persone vivano in povertà. Ciò è di assoluta evidenza per chiunque apra gli occhi e veda l’impressionante moltiplicarsi dei banchi alimentari con le lunghe code all’esterno, le persone che dormono in strada, l’aumento dei senzatetto, il senso di profonda disperazione che porta perfino il governo a costituire un apposito ministero per la prevenzione dei suicidi con il compito di indagare a fondo gli inauditi livelli di solitudine e isolamento raggiunti». Sebbene cittadino del Regno Unito, rispettosamente mi dissocio dall’affermazione degli intellettuali che una tale carneficina sociale ed economica sia “contraria ai valori britannici” (mentre, al contrario, essa risulta perfettamente conforme ai valori del partito conservatore, un sistema politico nella cui ideologia la deumanizzazione dei poveri e della classe operaia è centrale), mentre è invece calzante l’osservazione che ciò appare ovvio “a chiunque apra gli occhi”.
Poiché è vero che oggi in ogni città e in ogni centro abitato in Inghilterra è impossibile camminare in qualunque direzione per più di un minuto senza incrociare dei senzatetto che chiedono l’elemosina. E il fatto che circa 13.000 di loro siano ex soldati, reduci dalle varie avventure militari del paese degli ultimi anni, chiamati al servizio di Washington, qualifica le mere banalità spacciate dal governo e dai politici per apprezzamento e rispetto delle truppe e del loro “sacrificio” come ipocrita spazzatura. Complessivamente, nel Regno Unito vivono attualmente in povertà 14 milioni di persone, cifra che corrisponde a un quinto della popolazione. Quattro milioni di loro sono bambini, mentre – secondo il professor Alston – un milione e mezzo di persone sono in totale indigenza, cioè non in grado di soddisfare le elementari necessità della vita. E questo è ciò che la classe dirigente della quinta maggiore economia del mondo, un paese che si atteggia sulla scena mondiale a pilastro della democrazia e dei diritti umani, considera progresso.
I valori responsabili di aver creato uno scenario sociale tanto cupo sono compatibili con il 18° e non con il 21° secolo. Sono la prova concreta che la rete delle scuole private elitarie – Eton, Harrow, Fettes College, ecc. – nelle quali i responsabili di questa carneficina umana sono stati inculcati con la convinzione del diritto acquisito per nascita a stabilire l’etica che li definisce, sono i focolai inglesi dell’estremismo. Ancora il professor Alston: «La compassione dell’Inghilterra per coloro che soffrono è stata sostituita da un approccio punitivo, gretto e spesso insensibile apparentemente volto a instillare disciplina dove serve di meno, a imporre un ordine rigido alle vite di quelli meno in grado di affrontare il mondo di oggi, privilegiando il proposito di indurre una cieca acquiescenza in luogo di una genuina preoccupazione di migliorare il benessere degli appartenenti ai livelli più bassi della società britannica». Questa è la barbarie, spacciata per intervento correttivo, che si accompagna all’economia capitalistica del libero mercato. E’la stessa barbarie responsabile di aver precipitato la Russia post sovietica in un abisso economico e sociale
Continua qui: http://www.libreidee.org/2018/11/onu-povero-un-inglese-su-5-colpa-del-governo-neoliberista/
POLITICA
Marcello Veneziani –
Ma cosa aspetta Matteo Renzi a uscire dal Pd e a fondare un nuovo partito? È stato cacciato dal governo, poi dalla guida del Pd, poi dal controllo politico del partito, i suoi supplenti al governo e al partito si sono ammutinati a lui, adesso non può nemmeno dichiarare per chi vota alla segreteria che i candidati si affrettano a smentire ogni intesa con lui, come se il suo voto fosse inquinante e controproducente. Così facevano un tempo per il voto dei fascisti… Se dice che lui vota Minniti, è Minniti stesso a precisare che lui corre per sé, per il Partito e per la Patria, mica per Renzi. Pussa via. A questo punto non gli resta che fare le valigie, raccogliere la sua roba, le sue boschi, i suoi lotti e andar via a fondare una Cosa Nuova. Peccato che lo faccia con due anni e più di ritardo; avrebbe dovuto fondare allora il partito della nazione, oggi può fare il partito del granducato fiorentino.
Certo, è curiosa la storia di Renzi, e non solo a causa del protagonista. Il mistero buffo di Matteo. Diventò senza meriti speciali il Leader Massimo e Assoluto del Pd, del governo e d’Italia. Poi diventò senza demeriti speciali il più detestato e deriso bullo della sinistra, del governo e d’Italia. È un mistero come dal nulla sia sorto ed è un mistero come sia finito nel nulla. Solo da noi si può diventare premier e macchiette di Stato con questa velocità e con questa assoluta gratuità, destituita di ogni fondamento, in ambo i casi.
Renzi è stato fino a due anni fa il leader assoluto d’Italia e del Pd. Poi dovette fare un passo indietro e lasciò che a governare fossero i suoi uomini di fiducia. Poi fece un altro passo indietro perché chi lo aveva sostituito al governo come al partito si mise in proprio e non volle più dipendere di lui. Poi si arrivò alle candidature congressuali e Renzi non solo ha dovuto fare un passo indietro come candidato ma ora deve ben guardarsi dal sostenere un candidato perché rischia di bruciarlo
Continua qui: http://www.marcelloveneziani.com/articoli/esci-dal-pd-matteo/
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°