ra di Manlio Lo Presti
Esergo
Gli imperi suggeriscono inevitabilmente il tema della loro caduta.
[…] Gibbon enfatizzò due cause principali:
1) L’invasione dei barbari
2) Una nuova e vigorosa religione originaria della giudea.
RONALD SYME, Tre élites coloniali, Rizzoli, 1989, pag. 18
https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/
Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
SOMMARIO
Caos migranti, pronto un governo tecnico con l’aiuto di Berlusconi 1
“Ponte crollato per un attentato”: la tesi choc di un ingegnere. La Procura: delirio. 1
«A Genova un attentato»: la tesi choc del consulente (scaricato da Autostrade) 1
Mafia, Wall Street e traditori: così è stata svenduta l’Italia. 1
Contro la secessione con scasso
Lo strano gioco della Guardia costiera 1
Il piano della Chiesa per raddoppiare i posti per i migranti. In Italia e in Europa. 1
Rocca di Papa, tensione davanti al centro tra pro e contro migranti 1
Il pusher rimesso in libertà: “Si mantiene con lo spaccio”. 1
Fatture false, chiesto il processo per Tiziano Renzi. I pm: «Illeciti per 160mila euro» 1
Italia si, Italia no
Nave Diciotti, la vergogna dell’Europa contro l’Italia: “Se ci minacciate ancora vi isoliamo”. 1
Il sindaco di Messina: “Inviano migranti senza avvisi, li metto nelle baracche”. 1
La Spagna critica l’Italia e poi rimanda in Marocco 116 migranti 1
Army 2018
I servizi americani vanno a Damasco: le condizioni per lasciare la Siria 1
Fico: “I migranti devono poter sbarcare in Italia”. E il Pd tifa per lui 1
In Israele: I rifugiati africani vittime di razzismo, internamento, deportazione 1
Il modello “No Way” funziona La strategia australiana sui migranti 1
John McCain e gli elogi della sinistra, ma chi era davvero il guerrafondaio Usa?. 1
L’Italia ha molti amici tra i sovranisti europei, ma i migranti se li deve tenere 1
Bono ha voluto dire la sua su Europa, migranti e sovranisti 1
Le divisioni tra Lega e M5s ci portano al commissariamento 1
Ricordate Attilio Befera? Da Equitalia a “United Colors”, anche lui. 1
Governo, il piano per evitare la tempesta d’autunno: chiedere a Draghi un quantitative easing-bis 1
Privatizzazioni for Dummies (per schemi) 1
Banca MPS in caduta libera a Piazza Affari 1
Non regalate Unicredit a Macron proprio ora. E’ alle corde. 1
Uno studio rivela che l’Economia cresceva quando le Banche Centrali erano meno indipendenti 1
UNA DOMANDA AI NOSTRI DIPENDENTI PARLAMENTARI: MA…FORSE…CI STATE PRENDENDO PER IL CULO? 1
LIBERTA’ LIBERALE E DEMOCRAZIA DI TUTTI GLI UOMINI LIBERI: TRA MATERIALISMO E SPIRITO 1
Gli errori grammaticali più frequenti degli italiani 1
Pedofilia, la lettera di Viganò
Putin licenzia 15 generali
Magaldi: cade il governo? Tanto meglio per Lega e 5 Stelle 1
Scoperti minuscoli tunnel segreti nellaa nostra testa: collegano il cranio al cervello
IN EVIDENZA
Caos migranti, pronto un governo tecnico con l’aiuto di Berlusconi
Gianni Letta è in costante contatto con il colle più alto. Forza Italia garantirebbe l’appoggi a Salvini per poi sfilarsi all’ultimo. D’accordo col Quirinale.
24 agosto 2018 Antonio Fanna
Gianni Letta da giorni è in costante contatto con il colle più alto. Nessuno più del gran cerimoniere di Berlusconi capisce i vantaggi che possono derivare dalla strategia del presidente della Repubblica volta a mettere fuori gioco Matteo Salvini e la sua “No way” ai flussi migratori irregolari.
Fico nelle mani di Mattarella come Fini lo fu in quelle di Napolitano? È uno scenario possibile e questa volta Forza Italia è decisa a sfruttarlo piuttosto che subirlo. Soffia quindi sul fuoco della divisione tra Di Maio e Salvini, sapendo che dal Quirinale ci sarà fuoco di copertura specie ai primi di settembre, in coincidenza con gli attacchi speculativi sui mercati.
Eppure, ci sarebbe un modo con cui Salvini potrebbe volgere a suo favore la partita: chiedere all’intero governo di sostenere una sua richiesta di convocazione del Consiglio supremo di difesa, presieduto per definizione dal Presidente della Repubblica, al fine di deliberare il blocco navale sul modello applicato dall’Australia recentemente. Per il blocco navale con l’impiego della Marina militare e non della Guardia costiera deve riunirsi infatti il Consiglio supremo di difesa, aperto anche al Ministro dell’Interno. Questi può emettere un provvedimento che scaturisce da un Comitato nazionale per l’ordine e sicurezza pubblica che stabilisca condizioni o restrizioni di accesso alle acque territoriali, ma per un blocco navale che presuppone l’impiego della Marina a ridosso dei confini marittimi e per interdire l’accesso alle acque territoriali, la strada è un’altra: il Governo riunito chiede al Capo dello Stato la riunione urgente del Consiglio supremo di difesa motivandola per sicurezza nazionale.
Salvini può insomma muoversi da solo per la disciplina delle acque interne, ma per un blocco navale vero e proprio, no. Ma con questa mossa stanerebbe i 5 Stelle: in quel tipo di riunione è prevista infatti anche la presenza di Conte e Di Maio, e li obbligherebbe a schierarsi con lui compatti nel braccio di ferro con il Quirinale.
Il blocco navale è un’operazione “tipicamente” militare e prevista tra le misure atte a garantire la sicurezza internazionale, se attuate ex art. 42 dello Statuto delle Nazioni Unite da uno Stato che deve dimostrare l’esistenza di una minaccia per poter ottenere il riconoscimento di misura legittima da parte della Comunità internazionale. Al di fuori di questi termini ogni decisione unilaterale del solo ministro, peraltro dell’Interno e non della Difesa, rischia di trovarsi scoperta.
Questa soluzione è l’unica che può garantire la sopravvivenza del leader leghista. In alternativa, Salvini deve prepararsi alle dimissioni ad effetto, con conseguente tentativo di elezioni anticipate.
Ed eccoci tornati a Gianni Letta, pronto a rassicurare Mattarella che in quel caso Forza Italia sosterrà un qualsivoglia governo, meglio tecnico, pronto ad allungare il brodo della legislatura. E la vita politica del vecchio Silvio.
“Ponte crollato per un attentato”: la tesi choc di un ingegnere. La Procura: delirio
30 Agosto 2018
Il ponte Morandi sarebbe stato fatto saltare per aria, con delle cariche esplosive piazzate ad hoc. Un attentato, quindi. È la tesi choc del professor Enzo Siviero, ingegnere padovano, per anni docente allo Iuav di Venezia, riportata dal Corriere del Veneto dopo le sue dichiarazioni a Reteveneta.
“Quella dell’attentato è un’ipotesi che sto esplorando io stesso – riporta il quotidiano -. La dinamica è compatibile. Il ponte Morandi è molto pulito, ha degli elementi, mancando i quali non tiene più. Se sono state messe delle microcariche di un certo tipo in pochi secondi salta. Al momento è un’ipotesi che valuto sopra al 50 percento. Ci sono dei lampi, c’è un crollo verticale, insomma ci sono molti elementi”. Ma chi sarebbe stato allora, gli veniva chiesto? “Autostrade è diventato il leader mondiale delle autostrade”, affermava Siviero, “ci sono altri soggetti che potrebbero essere interessati a prendere in mano le situazioni, non ci dimentichiamo che fine ha fatto Mattei”.
“C’è una fortissima probabilità, superiore al cinquanta per cento, che si tratti di attentato. E penso che nel giro di 4-5 giorni sarò in grado di supportare tale ipotesi”, ribadisce Siviero che in un primo momento si era presentato come consulente di Spea Engineering, società legata ad Autostrade, proprio per analizzare il crollo del viadotto. “Spea prima confermava l’esistenza del rapporto di consulenza con Siviero; poi, però, dopo alcune verifiche, faceva sapere che a colloqui iniziali non era seguito alcun incarico formale”, si legge nel quotidiano veneto.
Tesi dell’attentato che il procuratore capo di Genova Francesco Cozzi respinge duramente bollandola come delirante e fantasiosa. “Sulla base degli elementi noti e conosciuti non ci sono evidenze di esplosioni, né sono state trovate tracce di bombole di acetilene. Si parla di lampi e di fulmini ma non di esplosioni. Valutiamo tutto ma non le ipotesi deliranti e fantasiose”, così che oggi parlando con i giornalisti ha smentito l’ipotesi di un attentato dietro le cause del crollo di ponte Morandi. “Noi – ha aggiunto – dovremmo prendere in considerazione fattori eccezionali, in grado da soli di determinare un evento. Questo lo dice il codice penale. Se c’è un bombardamento aereo, non importa la condizione precedente del ponte. Ma se una persona è molto malata, anche una influenza può determinare dei grandi effetti”.
«A Genova un attentato»: la tesi choc del consulente (scaricato da Autostrade)
Il professor Siviero: «Ipotesi bomba». E «Spea» prende le distanze: nessun incarico
VENEZIA
Il ponte Morandi? È stato fatto saltare per aria, con delle cariche esplosive piazzate ad hoc. Un attentato, quindi. Sì, avete letto bene: un attentato. Ora se la tesi fosse proposta da uno dei tanti siti complottari che infestano la rete ci si potrebbe pure ridere su (o piangere, dipendere dai punti di vista). Ma si dà il caso che qui la vicenda sia molto più complessa. E, diciamo pure, sconcertante.
L’ingegnere padovano
Mettiamo in fila i fatti. A lanciare la clamorosa supposizione è stato martedì sera il professor Enzo Siviero, 73enne ingegnere padovano, per anni docente allo Iuav di Venezia, che non è solo uno dei massimi esperti al mondo di ponti (è colui che ha collaudato «Calatrava» a Venezia; oltre ad aver scritto libri, realizzato centinaia di progetti e aver preso una laurea ad honorem in Architettura a Bari); ma è soprattutto colui che, all’indomani della tragedia di Genova costata la vita a 43 persone, aveva ricevuto da «Spea Engineering», società di progettazione e manutenzione del gruppo «Autostrade per l’Italia», un incarico di consulenza per studiare proprio le cause del crollo. O almeno questo è quello che lui aveva dichiarato una settimana fa e che avevano scritto i giornali, senza ricevere smentite.
La tesi in diretta tv
Ebbene, martedì sera durante il telegiornale di Reteveneta, Siviero — presentato nel servizio appunto come «consulente di Spea» — se n’è uscito con queste dichiarazioni: «Un attentato? Stanno circolando dei video e da questo punto di vista io non mi sento in questa fase di escluderlo. Anzi, è un’ipotesi che sto esplorando io stesso. La dinamica è compatibile». Di fronte all’incredulità del giornalista, il professore ha quindi dettagliato: «Il ponte Morandi è molto pulito, ha degli elementi, mancando i quali non tiene più. Se sono state messe delle microcariche di un certo tipo in pochi secondi salta. Al momento è un’ipotesi che valuto sopra al 50 percento. Ci sono dei lampi, c’è un crollo verticale, insomma ci sono molti elementi». Ma chi sarebbe stato allora, gli veniva chiesto? «Autostrade è diventato il leader mondiale delle autostrade — affermava Siviero — ci sono altri soggetti che potrebbero essere interessati a prendere in mano le situazioni, non ci dimentichiamo che fine a fatto Mattei». Di fronte a simili dichiarazioni — e con il video dell’intervista a Reteveneta che già circolava sui social network — ieri abbiamo dunque chiamato il professore.
«Confermo tutto»
«Confermo tutto — ci ha detto —. Io sono una persona libera. Ripeto che c’è una fortissima probabilità, superiore al cinquanta per cento, che si tratti di attentato. E penso che nel giro di 4-5 giorni sarò in grado di supportare tale ipotesi non solo attraverso la mera sensazione, ma anche con i numeri. E se la procura mi chiederà, riferirò le mie conclusioni». Siviero, tuttavia, ha voluto precisare con nettezza un dettaglio: «Voglio che sia chiaro che queste considerazioni le faccio a titolo esclusivamente personale — ha sottolineato — esulando dal compito che mi ha assegnato Spea. Loro mi hanno chiesto di controllare, cosa che sto già facendo, che tutto quello che è stato fatto nel passato dal punto di vista della manutenzione e delle indagini sul ponte Morandi sia corretto e che non ci siano buchi che possano giustificare eventuali negligenze. Non mi hanno chiesto altro, sono io che sono curioso e mi sono spinto avanti».
«Spea» prende le distanze
Ed è qui il punto. «Spea», società al cento percento di «Autostrade per l’Italia» — e quindi Benetton — era al corrente di queste valutazioni? «Non gliene ho ancora parlato», ha ammesso Siviero. E infatti da «Spea» cadevano dalle nuvole. «Non è la nostra posizione, non ne sappiamo nulla», ci facevano sapere. E per altro la società prima confermava l’esistenza del rapporto di consulenza con Siviero; poi, però, dopo alcune verifiche, faceva sapere che a colloqui iniziali non era seguito alcun incarico formale. Già, ma ora cosa accadrà?
Mafia, Wall Street e traditori: così è stata svenduta l’Italia
Scritto il 27/8/18
Falcone e Borsellino? Eliminati per un motivo più che strategico. Braccando la mafia, erano risaliti – tramite la pista massonica – ai legami finanziari tra l’élite Usa e la manovalanza italiana della grande operazione che si stava preparando, e che avrebbe devastato la storia del nostro paese: la svendita dell’Italia all’élite finanziaria globalista, che si servì di collaborazionisti di primissimo piano. Obiettivo: mettere le mani sullo Stato, razziando risorse e togliendo servizi vitali ai cittadini. All’indomani della catastrofe di Genova, coi riflettori puntati sullo strano caso delle autostrade “regalate” ai Benetton (e ai loro potenti soci d’oltreoceano), è illuminante rileggere oggi la paziente ricostruzione realizzata già nel 2007 da Antonella Randazzo. Mentre i giudici di Mani Pulite davano agli italiani l’illusione di un cambiamento nel segno della trasparenza, mettendo fine alla corruzione della Prima Repubblica, la finanza anglosassone convocava a bordo del Britannia gli uomini-chiave della futura Italia, assoldati per sabotare il proprio paese. Sarebbero stati agevolati dalla super-speculazione di George Soros sulla lira, che tolse all’Italia il 30% del suo valore, favorendone la svendita a prezzi stracciati. Da allora, un copione invariabile: aziende pubbliche rilevate da imprenditori italiani finanziati dalle stesse banche anglosassoni che avevano progettato il “golpe”. Il grande complotto contro l’Italia che – per primo – proprio Giovanni Falcone aveva fiutato.
Era il 1992, all’improvviso un’intera classe politica dirigente crollava sotto i colpi delle indagini giudiziarie. Da oltre quarant’anni era stata al potere. Gli italiani avevano sospettato a lungo che il sistema politico si basasse sulla corruzione e sul clientelismo. Ma nulla aveva potuto scalfirlo. Né le denunce, né le proteste popolari (talvolta represse nel sangue), né i casi di connivenza con la mafia, che di tanto in tanto salivano alla cronaca. Ma ecco che, improvvisamente, il sistema crollava. Cos’era successo da fare in modo che gli italiani potessero avere, inaspettatamente, la soddisfazione di constatare che i loro sospetti sulla corruzione del sistema politico erano reali? Mentre l’attenzione degli italiani era puntata sullo scandalo delle tangenti, il governo italiano stava prendendo decisioni importantissime per il futuro del paese. Con l’uragano di Tangentopoli gli italiani credettero che potesse iniziare un periodo migliore per l’Italia. Ma in segreto, il governo stava attuando politiche che avrebbero peggiorato il futuro del paese. Numerose aziende saranno svendute, persino la Banca d’Italia sarà messa in vendita. La svendita venne chiamata “privatizzazione”.
Il 1992 fu un anno di allarme e di segretezza. L’allora ministro degli interni Vincenzo Scotti, il 16 marzo, lanciò un allarme a tutti i prefetti, temendo una serie di attacchi contro la democrazia italiana. Gli attacchi previsti da Scotti erano eventi come l’uccisione di politici o il rapimento del presidente della Repubblica. Gli attacchi ci furono, e andarono a buon fine, ma non si trattò degli eventi previsti dal ministro degli interni. L’attacco alla democrazia fu assai più nascosto e destabilizzante. Nel maggio del 1992, Giovanni Falcone venne ucciso dalla mafia. Egli stava indagando sui flussi di denaro sporco, e la pista stava portando a risultati che potevano collegare la mafia ad importanti circuiti finanziari internazionali. Falcone aveva anche scoperto che alcuni personaggi prestigiosi di Palermo erano affiliati ad alcune logge massoniche di rito scozzese, a cui appartenevano anche diversi mafiosi, ad esempio Giovanni Lo Cascio. La pista delle logge correva parallela a quella dei circuiti finanziari, e avrebbe portato a risultati certi, se Falcone non fosse stato ucciso.
Su Falcone erano state diffuse calunnie che cercavano di capovolgere la realtà di un magistrato integro. La gente intuiva che le istituzioni non lo avevano protetto. Ciò emerse anche durante il suo funerale, quando gli agenti di polizia si posizionarono davanti alle bare, impedendo a chiunque di avvicinarsi. Qualcuno gridò: «Vergognatevi, dovete vergognarvi, dovete andare via, non vi avvicinate a queste bare, questi non sono vostri, questi sono i nostri morti, solo noi abbiamo il diritto di piangerli, voi avete solo il dovere di vergognarvi». Che la mafia stesse utilizzando metodi per colpire il paese intero, in modo da spaventarlo e fargli accettare passivamente il “nuovo corso” degli eventi, lo si vedrà anche dagli attentati del 1993. Gli attentati del 1993 ebbero caratteristiche assai simili agli attentati terroristici degli anni della “strategia della tensione”, e sicuramente avevano lo scopo di spaventare il paese, per indebolirlo. Il 4 maggio 1993, un’autobomba esplode in via Fauro a Roma, nel quartiereParioli. Il 27 maggio un’altra autobomba esplode in via dei Georgofili a Firenze, cinque persone perdono la vita. La notte tra il 27 e il 28 luglio, ancora un’autobomba esplode in via Palestro a Milano, uccidendo cinque persone.
I responsabili non furono mai identificati, e si disse che la mafia volesse “colpire le opere d’arte nazionali”, ma non era mai accaduto nulla di simile. I familiari delle vittime e il giudice Giuseppe Soresina saranno concordi nel ritenere che quegli attentati non erano stati compiuti soltanto dalla mafia, ma anche da altri personaggi dalle «menti più fini dei mafiosi» (da “reti-invisibili.net”). Falcone era un vero avversario della mafia. Le sue indagini passarono a Borsellino, che venne assassinato due mesi dopo. La loro morte ha decretato il trionfo di un sistema mafioso e criminale, che avrebbe messo le mani sull’economia italiana, e costretto il paese alla completa sottomissione politica e finanziaria. Mentre il ministro Scotti faceva una dichiarazione che suonava quasi come una minaccia («la mafia punterà su obiettivi sempre più eccellenti e la lotta si farà sempre più cruenta, la mafia vuole destabilizzare lo Stato e piegarlo ai propri voleri»), Borsellino lamentava regole e leggi che non permettevano una vera lotta contro la mafia. Egli osservava: «Non si può affrontare la potenza mafiosa quando le si fa un regalo come quello che le è stato fatto con i nuovi strumenti processuali adatti a un paese che non è l’Italia e certamente non la Sicilia. Il nuovo codice, nel suo aspetto dibattimentale, è uno strumento spuntato nelle mani di chi lo deve usare. Ogni volta, ad esempio, si deve ricominciare da capo e dimostrare che Cosa Nostra esiste» (“La Repubblica” , 27 maggio 1992).
I metodi statali di sabotaggio della lotta contro la mafia sono stati denunciati da numerosi esponenti della magistratura. Ad esempio, il 27 maggio 1992, il presidente del tribunale di Caltanissetta Placido Dall’Orto, che doveva occuparsi delle indagini sulla strage di Capaci, si trovò in gravi difficoltà: «Qui è molto peggio di Fort Apache, siamo allo sbando. In una situazione come la nostra la lotta alla mafia è solo una vuota parola, lo abbiamo detto tante volte al Csm» (“La Repubblica”, 28 maggio 1992). Anche il pubblico ministero di Palermo, Roberto Scarpinato, nel giugno del 1992 disse: «Su un piatto della bilancia c’è la vita, sull’altro piatto ci deve essere qualcosa che valga il rischio della vita, non vedo in questo pacchetto un impegno straordinario da parte dello Stato, ad esempio non vedo nulla di straordinario sulla caccia e la cattura dei grandi latitanti» (“La Repubblica”, 10 giugno 1992). Nello stesso anno, il senatore Maurizio Calvi raccontò che Falcone gli confessò di non fidarsi del comando dei carabinieri di Palermo, della questura di Palermo e nemmeno della prefettura di Palermo (“La Repubblica”, 23 giugno 1992).
Che gli assassini di Capaci non fossero tutti italiani, molti lo sospettavano. Il ministro Martelli, durante una visita in Sudamerica, dichiarò: «Cerco legami tra l’assassinio di Falcone e la mafia americana o la mafia colombiana» (“La Repubblica”, 23 giugno 1992). Lo stesso presidente del Consiglio, Amato, durante una visita a Monaco, disse: «Falcone è stato ucciso a Palermo, ma probabilmente l’omicidio è stato deciso altrove». Probabilmente, le tecniche d’indagine di Falcone non piacevano ai personaggi con cui il governo italiano ebbe a che fare quell’anno. Quel considerare la lotta alla mafia soprattutto un dovere morale e culturale, quel coinvolgere le persone nel candore dell’onestà e dell’assenza di compromessi, gli erano valsi la persecuzione e i metodi di calunnia tipici dei servizi segreti inglesi e statunitensi. Tali metodi mirano ad isolare e a criminalizzare, cercando di fare apparire il contrario di ciò che è. Cercarono di far apparire Falcone un complice della mafia. Antonino Caponnetto dichiarò al giornale “La Repubblica”, il 25 giugno 1992: «Non si può negare che c’è stata una campagna (contro Falcone), cui hanno partecipato in parte i magistrati, che lo ha delegittimato. Non c’è nulla di più pericoloso per un magistrato che lotta contro la mafia che l’essere isolato».
L’omicidio di due simboli dello Stato così importanti come Falcone e Borsellino significava qualcosa di nuovo. Erano state toccate le corde dell’élite di potere internazionale, e questi omicidi brutali lo testimoniavano. Ciò è stato intuito anche da Charles Rose, procuratore distrettuale di New York, che notò la particolarità degli attentati: «Neppure i boss più feroci di Cosa Nostra hanno mai voluto colpire personalità dello Stato così visibili come era Giovanni, perché essi sanno benissimo quali rischi comporta attaccare frontalmente lo Stato. Quell’attentato terroristico è un gesto di paura… Credo che una mafia che si mette a sparare ai simboli come fanno i terroristi… è condannata a perdere il bene più prezioso per ogni organizzazione criminale di quel tipo, cioè la complicità attiva o passiva della popolazione entro la quale si muove» (“La Repubblica”, 27 maggio 1992). Infatti, quell’anno gli italiani capirono che c’era qualcosa di nuovo, e scesero in piazza contro la mafia. Si formarono due fronti: la gente comune contro la mafia, e le istituzioni, che si stavano sottomettendo all’élite che coordina le mafie internazionali. Quell’anno l’élite anglo-americana non voleva soltanto impedire la lotta efficace contro la mafia, ma voleva rendere l’Italia un paese completamente soggiogato ad un sistema mafioso e criminale, che avrebbe dominato attraverso il potere finanziario.
Come segnalò il presidente del Senato Giovanni Spadolini, c’era in atto un’operazione su larga scala per distruggere la democrazia italiana: «Il fine della criminalità mafiosa sembra essere identico a quello del terrorismo nella fase più acuta della stagione degli anni di piombo: travolgere lo Stato democratico nel nostro paese. L’obiettivo è sempre lo stesso: delegittimare lo Stato, rompere il circuito di fiducia tra cittadini e potere democratico…se poi noi scorgiamo – e ne abbiamo il diritto – qualche collegamento internazionale intorno alla sfida mafia più terrorismo, allora ci domandiamo: ma forse si rinnovano gli scenari di dodici-undici anni fa? Le minacce dei centri di cospirazione affaristico-politica come la P2 sono permanenti nella vita democratica italiana. E c’è un filone piduista che sopravvive, non sappiamo con quanti altri. Mafia e P2 sono congiunte fin dalle origini, fin dalla vicenda Sindona» (“La Repubblica”, 11 agosto 1992). Anche Tina Anselmi aveva capito i legami fra mafia e finanza internazionale: «Bisogna stare attenti, molto attenti… Ho parlato del vecchio “piano di rinascita democratica” di Gelli e confermo che leggerlo oggi fa sobbalzare. E’ in piena attuazione… Chi ha grandi mezzi e tanti soldi fa sempre politica e la fa a livello nazionale ed internazionale».
«Ho parlato in questi giorni con un importante uomo politico italiano che vive nel mondo delle banche. Sa cosa mi ha detto? Che la mafia è stata più veloce degli industriali e che sta già investendo centinaia di miliardi, frutto dei guadagni fatti con la droga, nei paesi dell’est… Stanno già comprando giornali e televisioni private, industrie e alberghi… Quegli investimenti si trasformeranno anche in precise e specifiche azioni politiche che ci riguardano, ci riguardano tutti. Dopo le stragi di Palermo la polizia americana è venuta ad indagare in Sicilia anche per questo, sanno di questi investimenti colossali, fatti regolarmente attraverso le banche» (“L’Unità”, 12 agosto 1992). Anni dopo, l’ex ministro Scotti confesserà a Cirino Pomicino: «Tutto nacque da una comunicazione riservata fattami dal capo della polizia Parisi che, sulla base di un lavoro di intelligence svolto dal Sisde e supportato da informazioni confidenziali, parlava di riunioni internazionali nelle quali sarebbero state decise azioni destabilizzanti sia con attentati mafiosi sia con indagini giudiziarie nei confronti dei leader dei partiti di governo».
Una delle riunioni di cui parlava Scotti si svolse il 2 giugno del 1992, sul panfilo Britannia, in navigazione lungo le coste siciliane. Sul panfilo c’erano alcuni appartenenti all’élite di potere anglo-americana, come i reali britannici e i grandi banchieri delle banche a cui si rivolgerà il governo italiano durante la fase delle privatizzazioni (Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers). In quella riunione si decise di acquistare le aziende italiane e la Banca d’Italia, e come far crollare il vecchio sistema politico per insediarne un altro, completamente manovrato dai nuovi padroni. A quella riunione parteciparono anche diversi italiani, come Mario Draghi, allora direttore delegato del ministero del Tesoro, il dirigente dell’Eni Beniamino Andreatta e il dirigente dell’Iri Riccardo Galli. Gli intrighi decisi sul Britannia avrebbero permesso agli anglo-americani di mettere le mani sul 48% delle aziende italiane, fra le quali c’erano la Buitoni, la Locatelli, la Negroni, la Ferrarelle, la Perugina e la Galbani. La stampa martellava su Mani Pulite, facendo intendere che da quell’evento sarebbero derivati grandi cambiamenti.
Nel giugno 1992 si insediò il governo di Giuliano Amato. Si trattava di un personaggio in armonia con gli speculatori che ambivano ad appropriarsi dell’Italia. Infatti Amato, per iniziare le privatizzazioni, si affrettò a consultare il centro del potere finanziario internazionale: le tre grandi banche di Wall Street, Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers. Appena salito al potere, Amato trasformò gli enti statali in società per azioni, valendosi del decreto Legge 386/1991, in modo tale che l’élite finanziaria li potesse controllare, e in seguito rilevare. L’inizio fu concertato dal Fondo Monetario Internazionale, che come aveva fatto in altri paesi, voleva privatizzare selvaggiamente e svalutare la nostra moneta, per agevolare il dominio economico-finanziario dell’élite. L’incarico di far crollare l’economia italiana venne dato a George Soros, un cittadino americano che tramite informazioni ricevute dai Rothschild, con la complicità di alcune autorità italiane, riuscì a far crollare la nostra moneta e le azioni di molte aziende italiane. Soros ebbe l’incarico, da parte dei banchieri anglo-americani, di attuare una serie di speculazioni, efficaci grazie alle informazioni che egli riceveva dall’élite finanziaria. Egli fece attacchi speculativi degli “hedge funds” per far crollare la lira. A causa di questi attacchi, il 5 novembre del 1993 la lira perse il 30% del suo valore, e anche negli anni successivi subì svalutazioni.
Le reti della Banca Rothschild, attraverso il direttore Richard Katz, misero le mani sull’Eni, che venne svenduta. Il gruppo Rothschild ebbe un ruolo preminente anche sulle altre privatizzazioni, compresa quella della Banca d’Italia. C’erano stretti legami fra il Quantum Fund di George Soros e i Rothschild. Ma anche numerosi altri membri dell’élite finanziaria anglo-americana, come Alfred Hartmann e Georges C. Karlweis, furono coinvolti nei processi di privatizzazione delle aziende e della Banca d’Italia. La Rothschild Italia Spa, filiale di Milano della Rothschild & Sons di Londra, venne creata nel 1989, sotto la direzione di Richard Katz. Quest’ultimo diventò direttore del Quantum Fund di Soros nel periodo delle speculazioni a danno della lira. Soros era stato incaricato dai Rothschild di attuare una serie di speculazioni contro la sterlina, il marco e la lira, per destabilizzare il Sistema Monetario Europeo. Sempre per conto degli stessi committenti, egli fece diverse speculazioni contro le monete di alcuni paesi asiatici, come l’Indonesia e la Malesia. Dopo la distruzione finanziaria dell’Europa e dell’Asia, Soros venne incaricato di creare una rete per la diffusione degli stupefacenti in Europa.
In seguito, i Rothschild, fedeli al loro modo di fare, cercarono di far cadere la responsabilità del crollo economico italiano su qualcun altro. Attraverso una serie di articoli pubblicati sul “Financial Times”, accusarono la Germania, sostenendo che la Bundesbank aveva attuato operazioni di aggiotaggio contro la lira. L’accusa non reggeva, perché i vantaggi del crollo della lira e della svendita delle imprese italiane andarono agli anglo-americani. La privatizzazione è stata un saccheggio, che ancora continua. Spiega Paolo Raimondi, del Movimento Solidarietà: «Abbiamo avuto anni di privatizzazione, saccheggio dell’economia produttiva e l’esplosione della bolla della finanza derivata. Questa stessa strategia di destabilizzazione riparte oggi, quando l’Europa continentale viene nuovamente attratta, anche se non come promotrice e con prospettive ancora da definire, nel grande progetto di infrastrutture di base del Ponte di Sviluppo Eurasiatico» (da “Solidarietà”, febbraio 1996).
Qualche anno dopo la magistratura italiana procederà contro Soros, ma senza alcun successo. Nell’ottobre del 1995, il presidente del Movimento Internazionale per i Diritti Civili-Solidarietà, Paolo Raimondi, presentò un esposto alla magistratura per aprire un’inchiesta sulle attività speculative di Soros & Co, che avevano colpito la lira. L’attacco speculativo aveva permesso a Soros di impossessarsi di 15.000 miliardi di lire. Per contrastare l’attacco, l’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, bruciò inutilmente 48 miliardi di dollari. Su Soros indagarono le procure della Repubblica di Roma e di Napoli, che fecero luce anche sulle attività della Banca d’Italia nel periodo del crollo della lira. Soros venne accusato di aggiotaggio e insider trading, avendo utilizzato informazioni riservate che gli permettevano di speculare con sicurezza e di anticipare movimenti su titoli, cambi e valori delle monete.
Spiegano il presidente e il segretario generale del Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà, durante l’esposto contro Soros: «È stata annotata nel 1991 l’esistenza di un contatto molto stretto e particolare del signor Soros con Gerald Carrigan, presidente della Federal Reserve Bank di New York, che fa parte dell’apparato della banca centrale americana, luogo di massima circolazione di informazioni economiche riservate, il quale, stranamente, una volta dimessosi da questo posto, venne poi immediatamente assunto a tempo pieno dalla finanziaria Goldman Sachs & co. come presidente dei consiglieri internazionali. La Goldman Sachs è uno dei centri della grande speculazione sui derivati e sulle monete a livello mondiale. La Goldman Sachs è anche coinvolta in modo diretto nella politica delle privatizzazioni in Italia. In Italia inoltre, il signor Soros conta sulla strettissima collaborazione del signor Isidoro Albertini, ex presidente degli agenti di cambio della Borsa di Milano e attuale presidente della Albertini e co. Sim di Milano, una delle ditte guida nel settore speculativo dei derivati. Albertini è membro del consiglio di amministrazione del Quantum Fund di Soros».
«L’attacco speculativo contro la lira del settembre 1992 era stato preceduto e preparato dal famoso incontro del 2 giugno 1992 sullo yacht Britannia della regina Elisabetta II d’Inghilterra, dove i massimi rappresentanti della finanza internazionale, soprattutto britannica, impegnati nella grande speculazione dei derivati, come la S. G. Warburg, la Barings e simili, si incontrarono con la controparte italiana guidata da Mario Draghi, direttore generale del ministero del Tesoro, e dal futuro ministro Beniamino Andreatta, per pianificare la privatizzazione dell’industria di Stato italiana. A seguito dell’attacco speculativo contro la lira e della sua immediata svalutazione del 30%, codesta privatizzazione sarebbe stata fatta a prezzi stracciati, a beneficio della grande finanza internazionale e a discapito degli interessi dello stato italiano e dell’economia nazionale e dell’occupazione. Stranamente, gli stessi partecipanti all’incontro del Britannia avevano già ottenuto l’autorizzazione da parte di uomini di governo come Mario Draghi, di studiare e programmare le privatizzazioni stesse. Qui ci si riferisce per esempio alla Warburg, alla Morgan Stanley, solo per fare due tra gli esempi più noti. L’agenzia stampa “Eir” (Executive Intelligence Review) ha denunciato pubblicamente questa sordida operazione alla fine del 1992 provocando una serie di interpellanze parlamentari e di discussioni politiche che hanno avuto il merito di mettere in discussione l’intero procedimento, alquanto singolare, di privatizzazione» (dall’esposto della magistratura contro George Soros presentato dal Movimento Solidarietà al procuratore della Repubblica di Milano il 27 ottobre 1995).
I complici italiani furono il ministro del Tesoro Piero Barucci, l’allora direttore di Bankitalia Lamberto Dini e l’allora governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi. Altre responsabilità vanno all’allora capo del governo Giuliano Amato e al direttore generale del Tesoro Mario Draghi. Alcune autorità italiane (come Dini) fecero il doppio gioco: denunciavano i pericoli ma in segreto appoggiavano gli speculatori. Amato aveva costretto i sindacati ad accettare un accordo salariale non conveniente ai lavoratori, per la «necessità di rimanere nel Sistema Monetario Europeo», pur sapendo che l’Italia ne sarebbe uscita a causa delle imminenti speculazioni. Gli attacchi all’economia italiana andarono avanti per tutti gli anni Novanta, fino a quando il sistema economico-finanziario italiano non cadde sotto il completo controllo dell’élite. Nel gennaio del 1996, nel rapporto semestrale sulla politica informativa e della sicurezza, il presidente del Consiglio Lamberto Dini disse: «I mercati valutari e le Borse delle principali piazze mondiali continuano a registrare correnti speculative ai danni della nostra moneta, originate, specie in passaggi delicati della vita politico-istituzionale, dalla diffusione incontrollata di notizie infondate riguardanti la compagine governativa e da anticipazioni di dati oggetto delle periodiche comunicazioni sui prezzi al consumo… è possibile attendersi la reiterazione di manovre speculative fraudolente, considerato il persistere di una fase congiunturale interna e le scadenze dell’unificazione monetaria» (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica, Rivista N. 4, gennaio-aprile 1996).
Il giorno dopo, il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, riferiva che l’Italia non poteva far nulla contro le correnti speculative sui mercati dei cambi, perché «se le banche di emissione tentano di far cambiare direzione o di fermare il vento (delle operazioni finanziarie) non ce la fanno per la dimensione delle masse in movimento sui mercati rispetto alla loro capacità di fuoco». Le nostre autorità denunciavano il potere dell’élite internazionale, ma gettavano la spugna, ritenendo inevitabili quegli eventi. Era in gioco il futuro economico-finanziario del paese, ma nessuna autorità italiana pensava di poter fare qualcosa contro gli attacchi destabilizzanti dell’élite anglo-americana. Il Movimento Solidarietà fu l’unico a denunciare quello che stava effettivamente accadendo, additando i veri responsabili del crollo dell’economia italiana. Il 28 giugno 1993, il Movimento Solidarietà svolse una conferenza a Milano, in cui rese nota a tutti la riunione sul Britannia e quello che ne era derivato (“Solidarietà”, ottobre 1993). Il 6 novembre 1993, l’allora presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi, scrisse una lettera al procuratore capo della Repubblica di Roma, Vittorio Mele, per avviare «le procedure relative al delitto previsto all’art. 501 del codice penale (“Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio”), considerato nell’ipotesi delle aggravanti in esso contenute».
Anche a Ciampi era evidente il reato di aggiotaggio da parte di Soros, che aveva operato contro la lira e i titoli quotati in Borsa delle nostre aziende. Anche negli anni successivi avvennero altre privatizzazioni, senza regole precise e a prezzi di favore. Che stesse cambiando qualcosa, gli italiani lo capivano dal cambio di nome delle aziende, la Sip era diventata Telecom Italia e le Ferrovie dello Stato erano diventate Trenitalia. Il decreto legislativo 79/99 avrebbe permesso la privatizzazione delle aziende energetiche. Nel settore del gas e dell’elettricità apparvero numerose aziende private, oggi circa 300. Dal 24 febbraio del 1998, anche le Poste Italiane diventarono una Spa. In seguito alla privatizzazione delle Poste, i costi postali sono aumentati a dismisura e i lavoratori postali vengono assunti con contratti precari. Oltre 400 uffici postali sono stati chiusi, e quelli rimasti aperti appaiono come luoghi di vendita più che di servizio. Le nostre autorità giustificavano la svendita delle privatizzazioni dicendo che si doveva «risanare il bilancio pubblico», ma non specificavano che si trattava di pagare altro denaro alle banche, in cambio di banconote che valevano come la carta straccia. A guadagnare sarebbero state soltanto le banche e i pochi imprenditori già ricchi (Benetton, Tronchetti Provera, Pirelli, Colaninno, Gnutti e pochi altri).
Si diceva che le privatizzazioni avrebbero migliorato la gestione delle aziende, ma in realtà, in tutti i casi, si sono verificati disastri di vario genere, e il rimedio è stato pagato dai cittadini italiani. Le nostre aziende sono state svendute ad imprenditori che quasi sempre agivano per conto dell’élite finanziaria, da cui ricevevano le somme per l’acquisto. La privatizzazione della Telecom avvenne nell’ottobre del 1997. Fu venduta a 11,82 miliardi di euro, ma alla fine si incassarono soltanto 7,5 miliardi. La società fu rilevata da un gruppo di imprenditori e banche, e al ministero del Tesoro rimase una quota del 3,5%. Il piano per il controllo di Telecom aveva la regia nascosta della Merril Lynch, del gruppo bancario americano Donaldson Lufkin & Jenrette e della Chase Manhattan Bank. Alla fine del 1998, il titolo aveva perso il 20% (4,33 euro). Le banche dell’élite, la Chase Manhattan e la Lehman Brothers, si fecero avanti per attuare un’Opa. Attraverso Colaninno, che ricevette finanziamenti dalla Chase Manhattan, l’Olivetti diventò proprietaria di Telecom. L’Olivetti era controllata dalla Bell, una società con sede a Lussemburgo, a sua volta controllata dalla Hopa di Emilio Gnutti e Roberto Colaninno. Il titolo, che durante l’Opa era stato fatto salire a 20 euro, nel giro un anno si dimezzò. Dopo pochi anni finirà sotto i tre euro.
Nel 2001 la Telecom si trovava in gravi difficoltà, le azioni continuavano a scendere. La Bell di Gnutti e la Unipol di Consorte decisero di vendere a Tronchetti Provera buona parte loro quota azionaria in Olivetti. Il presidente di Pirelli, finanziato dalla Jp Morgan, ottenne il controllo su Telecom, attraverso la finanziaria Olimpia, creata con la famiglia Benetton (sostenuta da Banca Intesa e Unicredit). Dopo dieci anni dalla privatizzazione della Telecom, il bilancio è disastroso sotto tutti i punti di vista: oltre 20.000 persone sono state licenziate, i titoli azionari hanno fatto perdere molto denaro ai risparmiatori, i costi per gli utenti sono aumentati e la società è in perdita. La privatizzazione, oltre che un saccheggio, veniva ad essere anche un modo per truffare i piccoli azionisti. La Telecom, come molte altre società, ha posto la sua sede in paesi esteri, per non pagare le tasse allo Stato italiano. Oltre a perdere le aziende, gli italiani sono stati privati anche degli introiti fiscali di quelle aziende. La Bell, società che controllava la Telecom Italia, aveva sede in Lussemburgo, e aveva all’interno società con sede alle isole Cayman, che, com’è noto, sono un paradiso fiscale.
Gli speculatori finanziari basano la loro attività sull’esistenza di questi paradisi fiscali, dove non è possibile ottenere informazioni nemmeno alle autorità giudiziarie. I paradisi fiscali hanno permesso agli speculatori di distruggere le economie di interi paesi, eppure i media non parlano mai di questo gravissimo problema. Mettere un’azienda importante come quella telefonica in mani private significa anche non tutelare la privacy dei cittadini, che infatti è stata più volte calpestata, com’è emerso negli ultimi anni. Anche per le altre privatizzazioni – Autostrade, Poste Italiane, Trenitalia – si sono verificate le medesime devastazioni: licenziamenti, truffe a danno dei risparmiatori, degrado del servizio, spreco di denaro pubblico, cattiva amministrazione e problemi di vario genere. La famiglia Benetton è diventata azionista di maggioranza delle Autostrade. Il contratto di privatizzazione delle Autostrade dava vantaggi soltanto agli acquirenti, facendo rimanere l’onere della manutenzione sulle spalle dei contribuenti. I Benetton hanno incassato un bel po’ di denaro grazie alla fusione di Autostrade con il gruppo spagnolo Abertis. La fusione è avvenuta con la complicità del governo Prodi, che in seguito ad un vertice con Zapatero, ha deciso di autorizzarla. Antonio Di Pietro, ministro delle infrastrutture, si era opposto, ma ha alla fine si è piegato alle proteste dell’Unione Europea e alla politica del presidente del Consiglio.
Nonostante i disastri delle privatizzazioni, le nostre autorità governative non hanno alcuna intenzione di rinazionalizzare le imprese allo sfacelo, anzi, sono disposte ad utilizzare denaro pubblico per riparare ai danni causati dai privati. La società Trenitalia è stata portata sull’orlo del fallimento. In pochi anni il servizio è diventato sempre più scadente, i treni sono sempre più sporchi, il costo dei biglietti continua a salire e risultano numerosi disservizi. A causa dei tagli al personale (ad esempio, non c’è più il secondo conducente), si sono verificati diversi incidenti (anche mortali). Nel 2006, l’amministratore delegato di Trenitalia, Mauro Moretti, si è presentato ad una audizione alla commissione lavori pubblici del Senato, per battere cassa, confessando un buco di un miliardo e settecento milioni di euro, che avrebbe potuto portare la società al fallimento. Nell’ottobre del 2006, il ministro dei trasporti, Alessandro Bianchi, approvò il piano di ricapitalizzazione proposto da Trenitalia. Altro denaro pubblico ad un’azienda privatizzata ridotta allo sfacelo.
Dietro tutto questo c’era l’élite economico finanziaria (Morgan, Schiff, Harriman, Kahn, Warburg, Rockfeller, Rothschild) che ha agito preparando un progetto di devastazione dell’economia italiana, e lo ha attuato valendosi di politici, di finanzieri e di imprenditori. Nascondersi è facile in un sistema in cui le banche o le società possono assumere il controllo di altre società o banche. Questo significa che è sempre difficile capire veramente chi controlla le società privatizzate. È simile al gioco delle scatole cinesi, come spiega Giuseppe Turani: «Colaninno & soci controllano al 51% la Hopa, che controlla il 56,6% della Bell, che controlla il 13,9% della Olivetti, che controlla il 70% della Tecnost, che controlla il 52% della Telecom» (“La Repubblica”, 5 settembre 1999). Numerose aziende di imprenditori italiani sono state distrutte dal sistema dei mercati finanziari, ad esempio la Cirio e la Parmalat. Queste aziende hanno truffato i risparmiatori vendendo obbligazioni societarie (bond) con un alto margine di rischio. La Parmalat emise bond per un valore di 7 miliardi di euro, e allo stesso tempo attuò operazioni finanziarie speculative e si indebitò. Per non far scendere il valore delle azioni (e per venderne altre) truccava i bilanci.
Le banche nazionali e internazionali sostenevano la situazione perché per loro vantaggiosa, e l’agenzia di rating “Standard & Poor’s” si è decisa a declassare la Parmalat soltanto quando la truffa era ormai nota a tutti. I risparmiatori truffati hanno avviato una procedura giudiziaria contro Calisto Tanzi, Fausto Tonna, Coloniale Spa (società della famiglia Tanzi), Citigroup Inc. (società finanziaria americana), Buconero Llc (società che faceva capo a Citigroup), Zini & Associates (una compagnia finanziaria americana), Deloitte Touche Tohmatsu (organizzazione che forniva consulenza e servizi professionali), Deloitte & Touche Spa (società di revisione contabile), Grant Thornton International (società di consulenza finanziaria) e Grant Thornton Spa (società incaricata della revisione contabile del sottogruppo Parmalat Spa). La Cirio era gestita dalla Cragnotti & Partners. I “Partners” non erano altro che una serie di banche nazionali e internazionali. La Cirio emise bond per circa 1.125 milioni di euro. Molte di queste obbligazioni venivano utilizzate dalle banche per spillare denaro ai piccoli risparmiatori. Tutto questo avveniva in perfetta armonia col sistema finanziario, che non offre garanzie di onestà e di trasparenza.
Grazie alle privatizzazioni, un gruppo ristretto di ricchi italiani ha acquisito somme enormi, e ha permesso all’élite economico-finanziaria anglo-americana di esercitare un pesante controllo, sui cittadini, sulla politica e sul paese intero. Agli italiani venne dato il contentino di Mani Pulite, che si risolse con numerose assoluzioni e qualche condanna a pochi anni di carcere. A causa delle privatizzazioni e del controllo da parte della Banca Centrale Europea, il paese è più povero e deve pagare somme molto alte per il debito. Ogni anno viene varata la finanziaria, allo scopo di pagare le banche e di partecipare al finanziamento delle loro guerre. Mentre la povertà aumenta, come la disoccupazione, il lavoro precario, il degrado e il potere della mafia. Il nostro paese è oggi controllato da un gruppo di persone, che impongono, attraverso istituti propagandati come “autorevoli” (Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea), di tagliare la spesa pubblica, di privatizzare quello che ancora rimane e di attuare politiche non convenienti alla popolazione italiana. I nostri governi operano nell’interesse di questa élite, e non in quello del paese.
(Antonella Randazzo, “Come è stata svenduta l’Italia”, da “Disinformazione.it” del 12 marzo 2007.
La Randazzo ha scritto libri come:
“Roma Predona. Il colonialismo italiano in Africa”, edito da Kaos nel 2006,
“La Nuova Democrazia. Illusioni di civiltà nell’era dell’egemonia Usa” edito nel 2007 da Zambon
“Dittature. La storia occulta”, pubblicata da “Il Nuovo Mondo”, nel 2007).
http://www.libreidee.org/2018/08/mafia-wall-street-e-traditori-cosi-e-stata-svenduta-litalia/
CONTRO LA SECESSIONE CON SCASSO DEL VENETO BISOGNA FIRMARE, PERCHÈ…
di Pino Aprile
Contro un vero e proprio colpo di Stato nelle vesti inoffensive del “federalismo differenziato” (finché non si spiega di cosa di tratta), insorge la parte più attenta e consapevole del nostro mondo accademico. Che almeno si sappia cosa stanno facendo e come Veneto e Lombardia (cui, zitta zita, si è aggiunta l’Emilia Romagna e, a seguire, altre Regioni, incluse alcune del Sud che non hanno capito niente, non potendo credere che possano essere complici sino a tal punto): chiedono il trasferimento di competenze e risorse, dallo Stato centrale alle Regioni, per far fronte a bisogni comuni, collegate, però, non al pari diritto di ogni cittadino italiano, ma al gettito fiscale del territorio, ovvero, alla ricchezza. In tal modo, i ricchi avrebbero sempre di più e i poveri sempre di meno, per necessità uguali per tutti.
Proponente dell’appello ai presidenti della Repubblica, delle Camere, ai parlamentari, ai cittadini tutti, è il professor Gianfranco Viesti, docente di economia cui si devono gli studi più interessanti degli ultimi decenni sulla Questione meridionale, e una serie di libri destinati non solo alla circolazione accademica, ma soprattutto al grande pubblico, perché sia alla portata di tutti la conoscenza delle ragioni vere e dei modi di creazione e mantenimento del divario Nord-Sud (uno per tutti: “Il Sud vive sulle spalle dell’Italia che produce. Falso”).
Viesti è uno dei maggiori esperti di sviluppo regionale, disciplina utile ai governi non orientati geograficamente, come i nostri, perché aiuta a gestire le risorse in modo che le aree che marciano non siano frenate e quelle che, per ragioni storiche o altro, sono state rallentate, possano recuperare.
Per come si sono mossi i governi italiani da un secolo e mezzo, salvo pochi, straordinari ma brevi periodi (non a caso i migliori di sempre), questa difficile ma fondamentale disciplina potrebbe non esistere, da noi. Sembra quasi sovversiva, mirando all’equità!
È compito dei “chierici” onesti esaminare, proporre, discutere e, ove serva, intervenire. Il nostro grazie ai docenti che non si sottraggono al dovere di cittadini che non si limitano ad agire in ambito accademico, ma estendono il loro impegno nella società. Cosa che può aver fastidiose conseguenze, a volte (per le cattedre in “Tutta colpa del Sud”, invece, si aprono autostrade).
La scellerata azione della Lega per scappare dall’Italia fregando la cassa è giunta all’ultima tappa: presidenti leghisti dovrebbero essere contrastati nelle loro esagerazioni, da una ministra leghista e veneta alle Regioni, che proclama quale scopo della sua azioni, l’autonomia-secessione dei ricchi. La cosa, poi, dovrebbe essere votata dal Parlamento, cui però non sarà consentita la discussione, né tanto meno, la possibilità di presentare emendamenti, correzioni: sui decreti del governo, si può solo dire “sì” o “no”. E se vincesse il no, cadrebbe il governo.
I secessionisti pretenderebbero di “andarsene, restando”, ovvero, tenersi i soldi, ma continuando a riceverne dallo Stato, perché vogliono una “autonomia” totale, senza tagliare l’ultimo filo. Insomma, la secessione senza la secessione, per conservare tutti i vantaggi di un Paese formalmente unito (un mercato ampio, grandi appalti pubblici, flussi fiscali del gas, del petrolio, dell’energia prodotti al Sud, peso politico nel mondo…), lasciando tutti gli svantaggi agli altri.
I rappresentanti delle istituzioni non possono tacere dinanzi a questo o la responsabilità storica delle conseguenze graverà sulla loro coscienza (o almeno sui loro nomi).
Il troppo è troppo! Ognuno di noi dovrebbe firmare questo appello.
Chi vuole che il Paese resti uno, non può tollerare che l’egoismo di pochi distrugga la Patria di tutti. Un Paese unito è l’esatto contrario dell’Italia come è stata fatta e tanto peggio come la vogliono ridurre i lanzichenecchi leghisti (con l’appoggio più o meno dichiarato dei rappresentanti del Nord degli altri partiti, dal centrodestra al centrosinistra e M5S).
Chi ritiene che di connazionali del genere meglio fare a meno e pensa che tanto vale smettere di fingere di avere un’Italia unita e riprendersi ognuno la propria autonomia, non può accettare che la cosa avvenga con l’ultimo saccheggio: prima si fanno i conti, poi ognuno si regola come vuole.
Chi considera che le cose non stiano, per fortuna, a questo punto, non può accettare che la furia predatoria dei soliti noti e pure più ricchi (grazie all’inondazione di risorse pubbliche sottratte al resto del Paese) esaperi le condizioni di convivenza al punto tale da renderla insopportabile.
Lo strano gioco della Guardia costiera
Ora per colpa di Salvini il giocattolo si è rotto, ma loro, evidentemente, non hanno alcuna intenzione di rassegnarsi
Gian Micalessin – Lun, 20/08/2018
«Una volta è un caso, due volte una coincidenza, tre volte è un’azione del nemico». Matteo Salvini e il ministro delle infrastrutture Matteo Toninelli farebbero bene a rileggersi Ian Fleming.
Le azioni della nave Diciotti, il pattugliatore della Guardia Costiera, per la terza volta al centro di uno scontro con il Governo in meno di due mesi e mezzo, sembrano infatti più delle mosse studiate che non delle semplici coincidenze. La cronaca della sorda diatriba tra la Guardia Costiera, da una parte, e il Ministero delle Infrastrutture, da cui in teoria dipende, e il Viminale dall’altra inizia verso il 10 di giugno. Mentre Salvini raccomanda la fine delle operazioni di soccorso davanti alla Libia e la nave Aquarius di Sos Mediterranee viene tenuta alla larga dai porti italiani, il pattugliatore Diciotti compie ben sette interventi in prossimità delle coste di Tripoli caricando 937 migranti. Migranti che Salvini e Toninelli si vedono costretti obtorto collo a far sbarcare a Catania. Ma le incursioni della Diciotti non finiscono lì. Il 9 luglio il pattugliatore accosta il rimorchiatore Vos Thalassa e carica 67 migranti che stando ad una versione mai chiarita – minacciavano il personale di bordo colpevole di volerli sbarcare in Libia anziché in Italia. La versione convince poco Matteo Salvini che fa capire di considerarla un pretesto per giustificare l’intervento dell’unità della Guardia Costiera. Ma la mossa fatale capace di portare allo scoperto lo scontro con la Guardia Costiera arriva mercoledì. Quel giorno il pattugliatore Diciotti interviene in soccorso di un barcone con 177 migranti proprio mentre il governo preme su Malta perché lo accolga in un suo porto. Un intervento assolutamente immotivato visto che il barcone non è in pericolo immediato e viene effettuato, come nota Matteo Salvini, all’insaputa del Viminale. «I maltesi ieri avevano assunto la responsabilità di un intervento in aiuto di un barcone con 170 immigrati a bordo spiega il Ministro degli Interni – e una nave della Capitaneria di Porto italiana, senza che al Viminale ne fossimo informati, ha imbarcato gli immigrati mentre ancora si trovavano in acque maltesi, per dirigersi verso l’Italia». Ancora una volta , a dar retta a Salvini, la Guardia Costiera avrebbe approfittato di una situazione perlomeno lacunosa per contravvenire alle disposizioni del governo e metterlo in difficoltà. Ed infatti l’esecutivo si ritrova, una volta di più, nell’imbarazzante posizione di negare l’accesso ai porti italiani ad una propria nave militare. Ma quali sono i motivi della sorda lotta? Per capirlo bisogna andare indietro fin ai tempi di Mare Nostrum quando le operazioni di soccorso vengono inizialmente affidate soltanto alla Marina Militare, escludendo proprio la Guardia Costiera. Un’esclusione durata solo pochi mesi visto che il governo Renzi nel 2014 allarga ben presto le operazioni ad una Guardia Costiera entusiasta di farne la propria bandiera. Talmente entusiasta da diventare successivamente la principale referente delle Ong con cui concorda decine di operazioni di soccorso fino al limite delle acque territoriali libiche. Non a caso nel luglio di un anno fa l’allora Comandante generale delle Capitanerie di Porto Ammiraglio Vincenzo Melone – chiamato a deporre dalla Commissione Difesa del Senato sulle attività delle navi delle Ong già indagate dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro – non esita a difenderle a spada tratta. Una difesa scontata e obbligata visto che le missioni di soccorso ai migranti erano diventate la vera ragion d’essere della nostra Guardia Costiera e dei suoi vertici. Ora per colpa di Salvini il giocattolo si è rotto, ma loro, evidentemente, non hanno alcuna intenzione di rassegnarsi. Né tantomeno di rinunciarvi.
http://www.ilgiornale.it/news/politica/strano-gioco-guardia-costiera-1566363.html
Il piano della Chiesa per raddoppiare i posti per i migranti. In Italia e in Europa
L’obiettivo, scrive il Messaggero, è aiutare e sistemare in tutto il continente 250 mila persone. Coinvolgendo chi finora ha cercato di tenersi da parte
28 agosto 2018
Raddoppiare l’accoglienza dei migranti nelle strutture diocesane, fino a 30-40 mila posti aggiuntivi. Secondo quanto riporta Il Messaggero nella sua edizione cartacea è l’impegno cui pensa la Chiesa dopo essersi già fatta carico di cento migranti della nave Diciotti che saranno ospitati dalla Cei in una struttura a Rocca di Papa, alle porte di Roma.
Si apre dunque una nuova fase, in cui la Chiesa sarà impegnata a tutto campo nell’accoglienza, sia in Italia che in Europa. L’obiettivo, ambizioso ma non irrealistico – si legge sul Messaggero – è quello di fare posto nel Vecchio Continente a 250 mila persone tra richiedenti asilo e migranti economici. Un progetto ambizioso considerato che dall’Europa sarà difficile attendersi soluzioni concrete all’emergenza degli sbarchi. Sarà dunque compito del Vaticano presentare soluzioni all’Europa.
A complicare ulteriormente la situazione sono i fedeli. Secondo il Messaggero, sul tema dell’immigrazione si è aperta una faglia profonda tra i fedeli, sempre più intolleranti e diffidenti verso lo straniero, e il dettato del Vangelo che al contrario si fonda sull’amore per il prossimo. I sondaggi assegnano a favore del pugno di ferro di Salvini sette cattolici su dieci. Il problema dunque è come fare ad accogliere di più senza inimicarsi i fedeli.
Saranno formati piccoli gruppi di persone per rendere più sostenibile l’impatto con la gente del luogo. Saranno sistemate nelle diocesi che ancora non hanno risposto all’appello per l’accoglienza. A oggi infatti nelle strutture ecclesiastiche risultano presenti circa 25 mila persone, ma sono soltanto in 136 diocesi su 220, ossia il 60%.
Si tratta di canoniche, seminari, associazioni, strutture ecclesiali, episcopi. La maggior parte fa capo al sistema dei Cas, i Centri prefettizi di accoglienza straordinaria, mentre un 16% è compreso nel sistema Sprar gestito dal Viminale con i Comuni.
Si tratta di posti sovvenzionati dallo Stato – spiega il quotidiano romano – con i famosi 35 euro al giorno, in base al concetto di sussidiarietà dell’articolo 118 della Costituzione. Se si guarda alle persone interamente a carico dei fondi ecclesiali, siamo a quasi tremila migranti accolti dalle parrocchie – più o meno l’equivalente di quanti sono nello Sprar – e 500 in famiglia. L’intento è coinvolgere le diocesi che ancora mancano all’appello per raddoppiare, o quasi, il numero di ospiti (sia in forma sussidiaria che con risorse autonome). Laddove si lamentano carenze di risorse, si cercherà di provvedere con erogazioni compensative ad hoc, tratte dall’otto per mille, finanziamenti privati, offerte e risorse Caritas.
Un modello da esportare in Europa
Per ampliare l’integrazione, la chiesa confida anche sui corridoi umanitari ideati dalla Comunità Sant’Egidio (circa duemila profughi accolti in tre anni in accordo con lo Stato) e si punta a stanziare inoltre nuove risorse per il tutoraggio che finora ha assegnato a famiglie o singoli accolti in case della diocesi e di organizzazioni cattoliche 500 persone, tutte a carico della Chiesa.
Ma la vera partita, se possibile ancora più difficile, si gioca nel cuore dell’Europa. La Chiesa mira a estendere il modello dell’accoglienza diffusa anche nelle diocesi europee a più forte tradizione cattolica. Dove, in base alle prime stime potrebbero essere creati per i migranti fino a 250 mila posti, tutti sovvenzionati con risorse ecclesiastiche. E a prescindere dallo status: richiedenti asilo o migranti economici sarebbero accolti tutti, senza distinzione.
https://www.agi.it/cronaca/emergenza_migranti_chiesa_raddoppia_ospitalit-4318999/news/2018-08-28/
Rocca di Papa, tensione davanti al centro tra pro e contro migranti
Ore prima nella cittadina dove si trova il centro di accoglienza nel quale saranno ospitati circa cento migranti della Diciotti era comparso uno striscione contro il papa
In attesa dell’arrivo di un centinaio di migranti che erano a bordo della nave Diciotti si registrano momenti di tensione davanti al centro «Mondo migliore» a Rocca di Papa, comune dei Castelli Romani.
Poche ore prima era apparso uno striscione, a piazza Roma, contro papa Francesco: «Francé portateli a san Pietro». Lo striscione, pubblicato dalla testata Leggo, esprime la rabbia dei cittadini per l’accoglienza ai migranti: nella cittadina, infatti, si trova il centro nei quali saranno ospitati un centinaio di migranti che erano a bordo della nave Diciotti. Altri 39 sono rimasti nell’hotspot di Messina: saranno trasferiti presto in Albania e Irlanda.
28 agosto 2018
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Il pusher rimesso in libertà: “Si mantiene con lo spaccio”
Il tribunale di Milano scarcera un clandestino «Vendere droga è la sua sola fonte di sostentamento»
Paola Fucilieri – 29/08/2018
I giudici del Tribunale del riesame di Milano, concordando con l’avvocato difensore, il 18 luglio hanno fatto cadere le accuse a suo carico sentenziandone la scarcerazione per «assenza di gravi indizi».
Gli stessi indizi che, invece, il 27 giugno, dopo il giudizio per direttissima, avevano portato il gambiano 31enne Buba C. in cella a San Vittore, bollandolo come pusher recidivo e particolarmente operoso di una delle zone al momento più calde dello spaccio milanese quando, per la seconda volta in quattro giorni (la prima era stata il 23 giugno, ndr) era stato sorpreso a vendere ecstasy in via dei Transiti, periferia nord della città, dalla squadra investigava dei commissariati di polizia di «Greco Turro» e «Villa San Giovanni». Anzi, seppur assai discutibili, nelle motivazioni al rilascio il Riesame ha voluto trovare anche alcuni «alibi» alla condizione di fuorilegge del gambiano che, già in precedenza, gli era costata, sempre a Milano, due denunce per il medesimo reato (prima di quella del 23 giugno, infatti, ce n’era stata un’altra esattamente cinque mesi prima, il 23 gennaio) e un analogo arresto datato 19 novembre 2016. È così che l’africano – respinto dalla Svizzera come clandestino e fotosegnalato per la prima volta in Italia due anni fa a Como, con precedenti penali per spaccio, altre due denunce tra quest’anno e il 2017 rispettivamente per falsa attestazione sull’identità personale e per ricettazione – secondo i giudici milanesi che decidono per il rilascio dei detenuti, farebbe lo spacciatore perché, scrivono, non avendo «(…) alcun provento derivante da attività lavorativa, lo spaccio appare l’unico modo per mantenersi».
E non è tutto. I giudici del Tribunale del riesame ammettono che ci sia «un concreto e attuale pericolo di reiterazione di analoghi reati, tenuto conto dei precedenti specifici, l’ultimo dei quali risale a pochi giorni prima dell’arresto» (e qui elencano anche le denunce che avevano già colpito Buba C.). Così concludono: «Posto che il reato è stato commesso a Milano» e che le impronte sono tutte relative «a fatti commessi in questa città, va applicato il divieto di dimora nei territori del Comune di Milano, onde ad allontanare il ricorrente dal contesto territoriale in cui ha operato». Come se davvero fossero così ingenui da poter anche lontanamente sperare che un tipo del genere si possa fare degli scrupoli a tornare in un luogo che gli è stato precluso.
La parte più grave però è sicuramente la seguente. I giudici del Riesame accolgono il ricorso perché, anche se in direttissima si è deciso che Buba C. doveva andare in carcere, il tribunale ordinario a loro parere avrebbe ragionato in maniera errata. «Il dato ponderale» (cioè le 5 pastiglie di ecstasy, ndr) – infatti per questi magistrati – è molto contenuto». Scordando come anche una sola pastiglia di questa sostanza psicoattiva possa significare morte sicura.
Infine, concludono le loro motivazioni al rilascio del gambiano cantandosela e suonandosela. «I limiti di pena previsti dall’articolo 73, comma 5 della legge 309 del 1990 (che parla proprio di reati di lieve entità, ndr) non consentono la custodia cautelare in carcere» scrivono i giudici. Che tradotto significa: «poiché per noi del Riesame si tratta proprio di un reato da nulla, il gambiano, come dice la legge a proposto dei crimini irrilevanti, in carcere non ci può stare». Ora un dato: solo le squadre investigative dei commissariati «Greco Turro» e «Villa San Giovanni» e nel solo nel mese di giugno in via dei Transiti hanno arrestato un gruppo di 10 gambiani, un sudanese e un giovane del Mali. Tutti pusher tra i 20 e i 25 anni. E, guarda un po’, tutti richiedenti asilo.
http://www.ilgiornale.it/news/politica/pusher-rimesso-libert-si-mantiene-spaccio-1569138.html
Fatture false, chiesto il processo per Tiziano Renzi. I pm: «Illeciti per 160mila euro»
di Ivan Cimmarusti – 11 maggio 2018
False fatture per complessivi 160mila euro. La Procura della Repubblica di Firenze ha chiesto il rinvio a giudizio per Tiziano Renzi e Laura Bovoli, i genitori dell’ex presidente del Consiglio Matteo. L’accusa dei magistrati fa riferimento a un presunto giro di acquisti ritenuti fasulli attraverso le società “Eventi6” e “Party”, riconducibili alla famiglia Renzi, e Luigi Dagostino – ex amministratore della società Tramor – che puntava a evadere il fisco. L’inchiesta è stata condotta dalla Guardia di finanza, coordinata dai sostituti procuratori fiorentini Luca Turco e Christine Von Borries.
Le due fatture false sotto inchiesta
Stando alle indagini del procuratore aggiunto Luca Turco e del sostituto Christine Von Borries, i Renzi avrebbero emesso due fatture false attraverso le società “Party” ed “Eventi 6”, entrambe riconducibili ai genitori dell’ex premier. La prima fattura «falsa» risale al 16 giugno 2015: viene emessa dalla «Party srl in Rignano sull’Arno, di cui era legale rappresentate Laura Bovoli e amministratore di fatto Tiziano Renzi». Ammonta a «euro 20mila più Iva per euro 4mila 400» ed ha a «oggetto “studio di fattibilità commerciale per collocazione area destinata al food nel vostro insediamento nei pressi di The Mall a Reggello”». Lo studio di fattibilità che, in realtà, non sarebbe mai stato effettuato. La seconda fattura, invece, è del 30 giugno 2015. Viene emessa attraverso la “Eventi6” e ha un valore di 140mila euro più 30mila 800 di Iva. Anche in questo caso l’oggetto è un presunto studio di fattibilità che, secondo i pm, non sarebbe mai stato effettuato.
Le e-mail con l’imprenditore Dagostino
Stando ai documenti investigativi, Dagostino e Bovoli avrebbero studiato a tavolino il giro di fatture false. Negli atti si legge che Dagostino «si accordava» con Laura Bovoli e Tiziano Renzi «affinché emettessero la falsa fattura». Il particolare non è di poco conto, perché in due successive email, del 29 giugno e del 30 giugno, giunge la stessa identica fattura ma con l’oggetto parzialmente diverso. Per i pm sarebbe una delle prove per dimostrare che le fatture erano false e che a monte c’era stato un accordo illecito con Luigi Dagostino. A ciò si aggiunga il reato di truffa compiuto dallo stesso imprenditore. Il 6 luglio 2015 invia una email a Carmine Rotondaro, procuratore speciale del Gruppo Kering del quale la Tramor faceva parte, al quale scrive: «Buongiorno caro, ti pregherei di mettere in pagamento urgentemente per motivi che ti ho spiegato. Un abbraccio». Così il denaro delle fatture false viene liquidato, «procurando così a Laura Bovoli amministratore di diritto e Tiziano Renzi amministratore di fatto (…) un ingiusto profitto pari all’importo della fattura».
BELPAESE DA SALVARE
Italia sì, Italia no
di Cinzia Perrone · 17 luglio 2018
Oggi, in questo sabato assolato, in cui molti hanno deciso di prendere le stradi del mare o della montagna, in cerca di refrigerio, io sto con la mia compagna, la tastiera, e vado a raccontarvi una storia del passato che pochi conoscono o conoscono poco.
Il passato, come ho detto più volte dovrebbe insegnarci molte cose, invece rimane inascoltato, reputandolo solo vecchia storia, e intanto gli errori umani o disumani si ripetono. E anche attualmente mi sa che non stiamo messi bene!
La scienza è una cosa bellissima, quando fa nuove e strabilianti scoperte, quando salva vite, quando la vita la rende migliore con nuove tecnologie, e così via.
Ma c’è anche un lato oscuro della scienza, o dovrei dire di certi fantomatici scienziati, che si mettono al servizio del potere, del più forte, del prepotente, di chi vuole comandare senza ritegno, invece di mettersi al servizio dell’umanità, dell’umanità tutta, nessuno escluso.
Vi parlerò di come sedicenti scienziati al servizio dei poteri forti, per denigrare e infamare un popolo che andava distrutto e sottomesso, per motivi economici sottesi, si sono industriati a inventare teorie sull’inferiorità genetica, organica e fisiologica di quel popolo che dava fastidio a quello di turno che voleva comandare.
Qualcuno di voi, certamente, starà pensando subito all’Olocausto del popolo ebraico, che sicuramente è deprecabile, ma purtroppo non è l’unico esempio ricollegabile a queste coordinate di aberrazioni. Io vi ho parlato di storia poco nota, e quella ebraica almeno fortunatamente, non ha questa caratteristica. Anzi, anche se tutto è ormai successo e non si può cancellare, anni di processi, nonostante le reticenze naziste, hanno portato una qualche forma di giustizia e senz’altro una verità storica. Mi rendo conto che questo non sia sufficiente a cancellare anni orrendi di persecuzione e morte, ma figuratevi cosa deve essere per chi non ha nemmeno quello. Per chi vive in uno Stato dove quelle teorie razziste vengono studiate ancora e fatte passare per scientifiche; per chi deve sopportare nel territorio del proprio Stato, precisamente in quel di Torino, un museo che mostra di come questo dott. Frankenstein abbia condotto le sue ricerche, esponendo in teche di vetro teste mozze e crani sezionati di esseri umani, tra i quali potrebbe esserci anche un mio antico avo, visto che sono meridionale.
Sì, perché questa storia è quella accaduta nel secolo prima della sciagurata Shoà, nel periodo storico chiamato Risorgimento, e intanto il Sud tramontava. Ma doveva tramontare non solo la sua Monarchia, secondo il conquistatore, ma tutto il suo popolo; allora diventarono tutti cafoni, zotici, ignoranti, delinquenti…briganti, anche semplici contadini, che pensavano ai fatti loro, ma possedevano magari un falcetto per la terra, che per la legge Pica era considerato arma da taglio e il suo possessore giustiziato all’istante senza processo.
Ma non bastava, perché si doveva mettere a tacere le comunità internazionali; allora si pagarono illustri scrittori e intellettuali dell’epoca, perché parlassero male di quel territorio e di quel popolo, senza aver mai conosciuto né l’uno né l’altro. È il caso di un certo Lord Gladstone, che anni dopo confessò anche il suo peccatuccio, ma ormai era troppo tardi, il danno all’immagine era stato fatto.
Ma ancora non bastava; chiamarono un certo Cesare Lombroso, medico, antropologo, sociologo, filosofo, e chi più ne ha più ne metta, che poi ironia della sorte era di origina ebraica: mia nonna me lo diceva sempre, ‘a vita è ‘na rota!
Questo signore, padre della moderna criminologia che ancora si insegna, tirò fuori una teoria misurando scatole craniche e circonferenze di teste di meridionali, pardon briganti, giustiziati, concludendo che essi appartenevano a una razza atta a delinquere, era nella loro fisionomia tipica criminale. Descrisse i meridionali come un popolo intellettualmente inferiore e pericoloso perché incline solo alla violenza.
È triste veder sbandierare negli stadi del nord quando gioca il Napoli l’effigie di questo discutibile scienziato, ma si sa il mondo del calcio è pieno di idiozia e ignoranza, ma è ancora più triste che un museo del genere esista ancora in territorio italiano; da nord a sud è sempre Italia, giusto? Siamo tutti fratelli d’Italia, giusto?
Esiste un comitato che si batte per la chiusura di questo scempio, il Comitato No Lombroso, e sembra che stia raggiungendo dopo anni di lotta qualche risultato; speriamo bene!
Guardando agli slogan politici attuali, mi sembra che antecedente a “prima gli italiani”, vi fosse “prima il nord”, ma poi ci si è accorti che i voti del Sud facevano comodo; insomma quando dimostreremo di essere una nazione veramente unita nella solidarietà mondiale?
http://culture-creative.com/sociologia/italia-si-italia-no/cinzia-perrone
La finta Unione
Nave Diciotti, la vergogna dell’Europa contro l’Italia: “Se ci minacciate ancora vi isoliamo”
27 Agosto 2018
Solo per il 2019 le finanze dello Stato italiano si ritroveranno a pagare 700 milioni di euro in più rispetto al previsto sui propri titoli di Stato. Tutta colpa di quel che è successo negli ultimi giorni nei mercati, quando lo spread sui titoli a 10 anni hanno visto crescere il proprio spread con Portogallo e Spagna come non succedeva da tempo. E come riporta il Corriere della sera, i differenziali stavolta non sono cresciuti per colpa degli annunci sul bilancio del governo, ma sugli eventi politici accaduti attorno all’esecutivo italiano.
Gli investitori internazionali quindi hanno reagito sugli istinti e le posizioni del governo rispetto agli altri Paesi europei e ai presunti effetti nei meccanismi dell’Unione europea. Determinanti sono stati i fatti sulla nave Diciotti, con il rifiuto di quasi tutti gli Stati membri di accogliere parte degli immigrati a bordo dell’imbarcazione della Guardia Costiera. Poi la minaccia di non pagare i versamenti per due miliardi di euro netti l’anno al bilancio Ue, con la minaccia da parte del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. E infine il vertice tutto politico tra Matteo Salvini e il premier Ungherese Viktor Orban, che non fa dormire sonni tranquilli alle cancellerie di mezza Europa.
L’aumento dei rendimenti sul debito italiano sarebbe stato causato dall’interpretazione che gli investitori hanno dato su quel che accadeva nelle ultime ore nei corridoi di Bruxelles. È emersa infatti la volontà unanime di isolare il governo italiano, così da spingerlo alla sconfitta politica sulla nave Diciotti. Dietro il rifiuto di accogliere gli immigrati attraccati a Catania, ci sarebbe la volontà di Germania e Francia in testa di non accettare la soluzione italiana, vista più come una prova di forza che come una via strutturata per affrontare l’emergenza immigrazione. E l’avvertimento esplicito c’è anche stato, quando il premier francese Edouard Philippe ha avvertito che il metodo negoziale imposto dalle decisioni di Roma può portare l’Italia “in un vicolo cieco”. Ecco la solidarietà europea.
Il sindaco di Messina: “Inviano migranti senza avvisi, li metto nelle baracche”
27 agosto 2018
Cateno De Luca provocatorio sull’arrivo dei profughi scesi dalla nave Diciotti nellʼhotspot della città siciliana. “Non sarebbe giusto dopo 110 anni dare un tetto dignitoso ai messinesi?”, si chiede il primo cittadino
“Mandiamo i baraccati negli alberghi e i migranti nelle baracche. Non sarebbe giusto dopo 110 anni dare un tetto dignitoso ai messinesi?”. Lo dice provocatoriamente il sindaco di Messina Cateno De Luca riferendosi ai migranti scesi dalla Diciotti e portati in città. “Nessuno mi ha avvertito dell’arrivo dei migranti all’hotspot di Messina”, ha aggiunto, “sindaci sono buoni solo per prendersi denunce ma muti su politiche migratorie“.
“Mi chiedo perché oltre 10 mila persone possono continuare a stare nelle baracche sotto l’amianto con bambini che giocano tra le fogne e i ratti ed i migranti possono stare in strutture migliori ivi incluso gli alberghi”, prosegue De Luca, che afferma di aver appreso solo dai giornali dell’arrivo in città dei profughi della Diciotti.
“Nessuno mi ha avvertito dell’arrivo dei migranti all’hotspot di Messina – aggiunge il sindaco messinese, eletto a giugno – vuol dire che i sindaci sono buoni solo per prendersi le denunce per le scuole prive di verifica sistemica e prive delle elementari norme antincendio mentre sulle politiche di ammasso dei migranti non hanno alcun diritto di parola”.
CONFLITTI GEOPOLITICI
Agosto 2018
U.S. weapons exports from 1950 to 2017.
Data from the Stockholm International Peace Research Institute’s Arms Transfers Database.
Units are expressed in trend indicator values (TIV).
Each dot on the map = one TIV. Visualization by Will Geary.
If you’d like to support my work and the creation of future maps that promote critical thinking, please consider becoming a monthly patron here: patreon.com/willgearymaps
La Spagna critica l’Italia e poi rimanda in Marocco 116 migranti
Spagna, rispedisce in Marocco i migranti
La Spagna rimanda in Marocco 116 migranti entrati illegalmente nel suo paese, intanto critica l’Italia per il caso Diciotti
Matteo Salvini è criticato da tutta Europa per il caso della Diciotti e non solo. I migranti per molti andrebbero fatti scendere ma per il Ministro non se ne parla. L’Europa finisce contro l’Italia ma mostra incoerenze.
Spagna, rimanda indietro 116 migranti
La Spagna è stata una delle prime nazioni a criticare Salvini sulla questione immigrati e migranti. La penisola iberica, intanto, ha rimandato in Marocco le 116 persone che ieri sono entrate nel paese illegalmente attraversando il confine tra l’enclave di Ceuta e il paese africano. A rivelarlo è El Pais facendo riferimento alle informazioni fornite dalla polizia. L’operazione è stata condotta sulla base di un’intesa che Spagna e Marocco hanno siglato nel 1992.
In base a questo accordo, il Marocco è costretto a riammettere nel proprio territorio, su espressa richiesta spagnola, individui provenienti da paesi terzi e entrati illegalmente in Spagna facendo da sponda con il territorio marocchino.
Le mafie dietro gli assalti dei migranti
Secondo il giornale El Pais ci sono le mafie dietro gli assalti dei migranti. Il quotidiano spagnolo pare sia entrato in possesso di un rapporto della Guardia Civil, secondo il quale la mafia paga 200 dirham marocchini, poco più di 18 euro, a ogni migrante. E’ così che entrano a far parte di gruppi protetti dalle organizzazioni mafiose che hanno delle regole e delle gerarchie interne.
I migranti che rifiutano di pagare i 18 euro non hanno diritto a protezione, vengono quindi esclusi dal gruppo. Sono quindi i mafiosi a decidere il come, il dove e il quando degli assalti. Ai migranti viene ritirato il cellulare, che viene restituito dopo il passaggio. Ognuno di loro viene addestrato ad intimidire la polizia con urla, lanci di pietre, calce ed escrementi. Se l’assalto fallisce si può sempre riprovare sborsando altri 18 euro.
Le parole di Salvini sul respingimento spagnolo:
“Dopo aver superato il confine spagnolo a Ceuta e aggredito gli agenti di pattuglia, questi signori sono stati rimandati in Marocco grazie ad un accordo internazionale di vent’anni fa. Se lo fa la Spagna va bene, ma se lo propongo io allora sono razzista, fascista e disumano. Io vado avanti, alla faccia dei buonisti e radical chic di sinistra. #stopinvasione”
https://www.kontrokultura.it/88661/la-spagna-critica-litalia-e-poi-rimanda-in-marocco-116-migranti/
CYBERWAR SPIONAGGIO DISINFORMAZIONE
Army 2018, Rosoboronexport firma contratti per 20,3 miliardi di rubli
18:56 24.08.2018
L’ente statale russo per l’import-export di tecnologia militare Rosoboronexport, nell’ambito del forum Army 2018, ha firmato 15 contratti del valore di oltre 20,3 miliardi di rubli.
“La somma dei contratti di esportazione firmati da Rosoboronexport nell’ambito del forum Army supera i 20,3 miliardi di rubli. Si tratta di mezzi militari moderni, velivoli a controllo remoto, attrezzature per la guerra elettronica, armi, ecc. Il portafoglio della società è stato incrementato dagli ordini di paesi dell’Asia e dell’Africa, così come dei paesi della CSI”, ha dichiarato Alexander Mikheev, direttore generale di Rosoboronexport.
Egli ha anche osservato che molti nel mondo, anche in Europa, sono francamente indignati dalle azioni degli Stati Uniti che stanno cercando di interferire con i paesi che cercano sviluppare la cooperazione tecnico-militare con la Russia. Rosoboronexport ritiene tali azioni un’interferenza negli affari interni dei diversi paesi e, forte della sua esperienza e dei suoi successi, sta lavorando per abbandonare il dollaro e usare il rublo come valuta per le operazioni di investimento.
“Nonostante la continua propaganda contro la Russia, Rosoboronexport ha condotto una serie di trattative di successo con le delegazioni dei paesi europei che hanno visitato il forum Army”, ha aggiunto Mikheev.
https://it.sputniknews.com/mondo/201808246408331-rosoboronexport-army-contratti-esportazioni/
I servizi americani vanno a Damasco: le condizioni per lasciare la Siria
Matteo Carnieletto – 29 AGOSTO 2018
In queste ore Damasco scalpita. Tutto è pronto per l’offensiva di Idlib che chiuderà la partita con i ribelli e, molto probabilmente, anche la guerra in Siria. Una guerra che è proseguita per sette anni anche a causa dell’intervento di Paesi stranieri – Stati Uniti, Turchia, Qatar e Arabia Saudita in testa – che hanno aiutato, chi con le armi e chi con i soldi, i ribelli. È per questo che il conflitto, per terminare definitivamente, ha bisogno anche di una soluzione politica.
Ieri, il giornale libanese Al Akhbar ha riportato un’interessante notizia: a fine giugno, un alto ufficiale americano, accompagnato da membri di diverse agenzie di intelligence statunitensi, avrebbe incontrato a Damasco il generale Ali Mamlouk, capo dell’ufficio di sicurezza nazionale siriano. Nel corso del colloquio, i funzionari americani avrebbero proposto di ritirarsi dalla Siria, ma ad alcune condizioni:
- Il ritiro dell’Iran dal sud della Siria
- La possibilità per le aziende statunitensi di ricevere una quota nel settore petrolifero nella Siria orientale
- La lista dei membri combattenti stranieri, sia quelli vivi che quelli deceduti, che in questi anni hanno raggiunto i movimenti terroristici nel Paese, considerando che “la minaccia terroristica è intercontinentale e possiamo mettere queste informazioni al servizio della sicurezza internazionale”
Queste richieste, però non sono state accettate da Damasco. Il generale ha infatti risposto che gli Usa sono “una forza di occupazione in Siria, entrata nel nostro territorio con la forza senza permesso e potete uscire allo stesso modo. Finché ciò non accadrà, continueremo a trattarvi come una forza di occupazione”. Fatta questa premessa, Mamlouk ha spiegato che “la Siria fa parte di un ampio asse” e che esiste un “rapporto solido” con l’Iran e gli Hezbollah, “le forze alleate che hanno combattuto i terroristi fianco a fianco all’esercito siriano”.
Come è stato detto più volte, anche dallo stesso presidente Bashar al Assad, la Siria verrà ricostruita da quei Paesi che in questi anni non l’hanno abbandonata e che, sono le parole del generale, “non hanno cospirato contro il popolo siriano”. Per questo, prosegue Mamlouk, “non è nel nostro pensiero offrire agevolazioni o dare servizi alle aziende appartenenti ai Paesi chi ci hanno fatto la guerra e lo stanno facendo ancora”. Tuttavia, più avanti, quando sarà finita la ricostruzione, “le aziende statunitensi potranno entrare nel settore energetico siriano attraverso società occidentali o russe. Consideriamo questo un gesto di buona volontà in risposta alla vostra visita”.
Ma è sulla minaccia terroristica che sembrano esserci maggiori convergenze: “Abbiamo un’enorme struttura informativa sui gruppi terroristici, che si è sviluppata considerevolmente durante gli anni di crisi. Siamo pienamente consapevoli dei pericoli rappresentati da loro su di noi e su di voi, ma siamo altrettanto consapevoli della portata del vostro bisogno di queste informazioni, e sappiamo che alla base delle funzioni dei servizi di sicurezza c’è il continuare a rimanere in contatto anche durante le crisi”.
E qui Mamlouk svela qualcosa di interessante, che fa capire come su questo tema Damasco abbia continuato a collaborare con le altre nazioni: “Abbiamo già fornito informazioni ai giordani e a molti altri Paesi, compresi gli Emirati Arabi Uniti. Ma la nostra posizione in merito, oggi, è legata all’evoluzione della vostra posizione politica verso la Siria, dal suo sistema politico e dall’esercito. Pertanto, la Siria non inizierà alcuna cooperazione o coordinamento di sicurezza prima di raggiungere una stabilità nelle relazioni politiche tra i due Paesi”. A prova di questa volontà di collaborare per fermare il terrorismo internazionale, val la pena sottolineare come lo stesso Mamlouk, negli scorsi mesi, avrebbe incontrato a Roma il direttore dell’Aise, Alberto Manenti.
L’incontro si è concluso con un nulla di fatto. Almeno per il momento. Ma lo stesso giornale libanese fa sapere che i colloqui proseguiranno attraverso il canale russo-emiratino. Gli Usa sono quindi intenzionati a lasciare la Siria. Ma le condizioni ora le detta Damasco.
http://www.occhidellaguerra.it/servizi-segreti-usa-damasco/
DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI
Fico: “I migranti devono poter sbarcare in Italia”. E il Pd tifa per lui
Tanto per cambiare, quando si parla di migranti, Roberto Fico tiene sempre la barra a sinistra. «La giusta contrattazione con i Paesi dell’Unione europea – scrive il presidente della Camera su Twitter – può continuare senza alcun problema, adesso però le 177 persone – tra cui alcuni minori non accompagnati – devono poter sbarcare. Non possono essere più trattenute a bordo, poi si procederà alla loro ricollocazione nella Ue».
Sui migranti Pd e Fico in perfetta sintonia
Una presa di posizione che trova una sponda nel Pd. I dem chiedono a questo punto a Fico di esercitare una moral suasion sul capo del Viminale. «Faccia una cosa presidente Fico: telefoni al ministro degli Interni Salvini e faccia in modo di fare sbarcare quelle persone altrimenti è il suo solito intervento inutile e ipocrita. Non basta un tweet al mese per salvarsi faccia e coscienza», dice Alessia Morani. Alla parlamentare dem fa eco la collega Anna Ascani, che chiama in causa anche il vicepremier Luigi Di Maio: «Che dici Roberto, fai una telefonata al tuo amico @luigidimaio che poi avvisa @matteosalvinimi oppure preferisci continuare coi tweet? No perché quelle 177 persone non è che non vogliano sbarcare. È che gli amici tuoi, del tuo governo, non le fanno sbarcare. Ipocrita». Dello stesso tenore anche il post di Andrea Rossi: «Presidente dopo il tweet, personalmente condivisibile, una cortese e garbata telefonata al ministro #Salvini potrebbe essere utile».
Migranti a bordo della Diciotti: la Ue indugia
Chi traccheggia ancora è invece Bruxelles. Per la Commissione Europea è «un imperativo umanitario» trovare una «rapida soluzione» alla vicenda della nave Diciotti, bloccata al porto di Catania, «per permettere di sbarcare alle persone che si trovano a bordo». Così la portavoce della commissione Tove Ernest, ribadendo che da domenica scorsa, su richiesta delle autorità italiane, «siamo contattando stati membri per provvedere al coordinamento, al sostegno ed anche dare il nostro contributo ad una rapida soluzione a questa soluzione». «Questo lavoro è ancora in corso», ha aggiunto la portavoce facendo intende che non si sono ancora offerti Paesi della Ue per accogliere parte dei 177 rifugiati a bordo della nave della Guardia Costiera italiana. «Stiamo parlando di persone, oltre 170 persone, e la priorità di tutti dovrebbe essere naturalmente che queste persone ricevano l’assistenza di cui hanno bisogno», ha concluso la portavoce.
In Israele: I rifugiati africani vittime di razzismo, internamento, deportazione
Maurizio Blondet 29 agosto 2018
(MB. Immaginate la mia sorpresa: nell’unica demokrazia razzista del MO)
6.8.2018
di Mesloub Khider. Su: http://www.les7duquebec.com/7-au-front/en-israel-les-refugies-africains-victimes-de-racisme-dinternement-de-deportation/
Avvertenza: questo testo l’ho scritto prima dell’adozione della Legge fondamentale sullo stato nazione ebraico che definisce il carattere ebraico dello stato sionista. Si tratta della questione della politica xenofoba dello stato sionista contro gli africani. Il parlamento israeliano ha approvato il 19 luglio 2018 una legge fondamentale che definisce il paese come “Stato-nazione del popolo ebraico” Questa legge controversa definisce espressamente il carattere ebraico di Israele, a spese della minoranza araba istituzionalizzando così la disuguaglianza tra cittadini “israeliani”. Questa è l’istituzione ufficiale di un regime di apartheid.
“Il razzismo è un atto di persone che non hanno ceppo”. Taher Mahamat
Il sionismo, ideologia putrida nato nel bel mezzo del colonialismo e dell’imperialismo trionfante, continua ancora oggi gli stessi pregiudizi e gli abusi razzisti insiti nella mentalità degli schiavi dei secoli passati. Per settanta anni, il sionismo (Israele è il nome legale civilizzato dato a un’azienda di espropriazione di terre palestinesi, nome omologati dalla maggior parte dei paesi per coprire la connotazione colonialista del sionismo) colonizza la Palestina per conto della nazione ebraica mitologica sepolta nell’antichità e resuscitata dalla divina grazia sionista. Lo stato sionista, quindi colonialista (eufemisticamente denominato Israele per concedergli legittimità giuridica internazionale), non solo ha proceduto con la forza militare all’espulsione dei palestinesi autoctoni durante la sua offensiva imperialista nel 1948 ( preceduto da un’occupazione latente “pro-immigrazione”, iniziata nei primi anni del ventesimo secolo), ma applica anche una politica razzista all’altro partito autoctono palestinese tenuto prigioniero all’interno dei confini eretti dallo stato sionista.
In generale, se dimostriamo la natura sostanzialmente razzista del sionismo al’opera da settanta anni contro i palestinesi, la prova è ora amministrata dal prolungamento delle politiche razziste ora perpetrati nei confronti dei profughi africani. In effetti, in Israele la caccia agli immigrati africani è aperta. Negli ultimi anni, sostenuti dalle guerre, e specialmente dalla miseria e dalla fame, decine di migliaia di africani hanno trovato rifugio in Israele. Il loro lungo viaggio era spesso costellato di violenze inflitte dalla polizia egiziana. Infatti, durante la traversata del Sinai, alcuni sono stati torturati dai loro contrabbandieri, questi schiavisti dei tempi moderni. Alcune donne sono persino state violentate.
Secondo le cifre ufficiali del potere coloniale sionista, il numero di rifugiati insediati in Israele ammonterebbe a 60.000 individui.
Va detto che dal loro insediamento in Israele, questi rifugiati sono stati sottoposti alla segregazione e al terrore razzista. Oggi, lo stato sionista, uno specialista in espulsioni di massa, l’alunno ha superato il suo maestro nazista, si prepara ad attuare un vasta piano di deportazione di 40.000 africani, di cui 5.000 bambini nati in Israele. In effetti, determinato a realizzare il suo piano di deportazione di massa, lo stato sionista ha già iniziato la sua impresa criminale di espulsione attraverso l’internamento di 3.000 rifugiati africani nei campi di concentramento nel deserto del Negev. Questi campi, di sinistra memoria, sono circondati da filo spinato. Chi ha detto che il sionismo non è l’ideologia razzista della triste era coloniale? Quel sionismo non è stato alla buona scuola del nazismo.
Internati in campi in pieno deserto, i profughi africani sono condannati a due alternative entrambe suicidarie, consentire al loro imprigionamento a tempo indeterminato o accettare la loro espulsione nel loro paese di origine devastato dalla guerra, sopraffatto dalla miseria. L’espressione sinistra “la valigia o la bara” era conosciuta. Israele inventa la morte o il trapasso. La morte a fuoco lento nel campo di internamento. O il trapasso accelerato nel paese di origine.
Inoltre, gli africani sfollati all’interno, suddivisi in diverse città israeliane, subiscono il razzismo di stato e lo sfruttamento forsennato dei padroni sionisti. Infatti, senza documenti, senza un permesso di lavoro, gli africani sono costretti a svolgere lavori di sopravvivenza nei settori informali della ristorazione, della pulizia, dell’asilo e così via. noltre, lo stato di Israele, per scoraggiare gli africani dallo stabilirsi stabilmente, instaura un clima spaventoso di insicurezza e terrore, compresa la persecuzione di tutti coloro che aiutano i rifugiati. Queste persone si espongono non solo alla persecuzione da parte dei loro concittadini israeliani, ma anche a pesanti multe e alla reclusione. Soprattutto gli israeliani che impiegano gli africani. L’obiettivo dello stato sionista è di degradare drasticamente le condizioni di vita dei rifugiati, già miseramente precari, per costringerli a lasciare il paese.
Chiaramente, un vero clima di isterismo e odio anti-africano si è stabilito in Israele, mantenuto dai politici sionisti. Il razzismo si esprime liberamente anche al vertice delle autorità statali.
Alcuni funzionari considerano gli africani come “infiltrati”. Altri li trattano come criminali. Un parlamentare israeliano ha persino usato il termine “cancro” per descrivere la presenza di africani in Israele. Il ministro degli Interni nel 2012 ha usato un commento razzista affermando che Israele “appartiene all’uomo bianco”. Da parte loro, anche le autorità religiose ebraiche non risparmiano i loro sforzi spirituali per suscitare odio contro gli africani. Così, nel 2010, centinaia di rabbini hanno rilasciato una dichiarazione che esorta gli ebrei a rifiutarsi di vendere case o affittare appartamenti ai lavoratori migranti.
Questi incitamenti all’odio spesso sfociano in violenze razziste e crimini contro i migranti, e in particolare la loro frangia socialmente fragile, gli africani. Ad esempio, nel maggio 2012 i residenti di colore che vivevano nei quartieri meridionali di Tel Aviv sono stati vittime di attacchi agli immigrati, veri e propri pogrom perpetrati da violenti rivoltosi ebrei. Durante queste spedizioni razziste, i negozi furono saccheggiati, bombe incendiarie gettate in un cortile della scuola.
Oggi, dappertutto in Occidente si protestano regolarmente per denunciare le politiche anti-immigrati di Trump, per accusare alcuni paesi, tra cui l’Algeria, di maltrattare i migranti. Paradossalmente, queste stesse ONG, organizzazioni “umanitarie” di sinistra, non denunciano mai la politica xenofoba di Israele, né i violenti maltrattamenti inflitti alle popolazioni immigrate stabilite in Israele.
Eppure negli ultimi anni un intero arsenale di leggi anti-immigrati è stato adottato dal governo israeliano. Inoltre, per proteggere queste misure discriminatorie, fu eretto un muro di acciaio lungo tutto il confine con l’Egitto per fermare il flusso di rifugiati. Inoltre, nel giugno 2012 il parlamento ha approvato una legge che consente alle autorità israeliane di internare i rifugiati ei loro figli a tempo indeterminato. Questa legge razzista ha provocato forti proteste. Migliaia di manifestanti hanno protestato contro il rifiuto del governo israeliano di concedere lo status di rifugiato e l’internamento dei rifugiati. È vero che dal 2013 sono state adottate procedure di asilo. Ma solo undici richiedenti asilo sono stati regolarizzati.
Inoltre, le campagne razziste non risparmiano i 150.000 ebrei etiopi che vivono in Israele negli anni ’80 e ’90. In effetti, sebbene di nazionalità israeliana, questi afro-ebrei sono soggetti a discriminazione in materia di impiego, alloggio, istruzione, trasporti. Sono gli Stati Uniti dall’era nera del razzismo istituzionale fino agli anni ’60. Come gli afro-americani massicciamente discriminati, questi Falacha occupano posti di lavoro precari e mal retribuiti. Inoltre, sebbene costituiscano solo il 2% della popolazione israeliana, i giovani falashas rappresentano oltre il 30% dei minori incarcerati. Un’altra somiglianza con la società razzista americana, i giovani ebrei di origine etiopica sono costantemente vittime di reati di facies e violenze della polizia.
Ancora più scandalosamente, nel 2013, il governo israeliano ha ammesso di aver iniettato donne etiopi con Depo-Provera, un potente contraccettivo. Ciò ha provocato una vertiginosa diminuzione del tasso di natalità in questa comunità di Falacha. Hitler deve essere orgoglioso dei suoi studenti. I sionisti sono andati oltre il maestro nella politica eugenetica e sterminatrice.
In generale, per settanta anni, sfidando i valori umani e il diritto internazionale, lo Stato sionista ha perseguito una politica di spoliazione, oppressione, deportazione e omicidio contro palestinesi di nazionalità israeliana o meno. Oggi, lo stato sionista sottopone gli immigrati africani alla stessa politica criminale razzista.
Certamente, la politica razzista dello stato sionista contro i palestinesi e gli immigrati africani sfida tutte le classi lavoratrici, le masse sfruttate. Contro la colonizzazione della Palestina e la politica criminale discriminatoria rivolta agli immigrati, devono rispondere, attraverso un’alleanza allargata che riunisce le masse palestinesi e immigrate, ma anche le masse israeliane. Attraverso la solidarietà di classe delle masse di ogni razza, religione e nazionalità, la risposta deve essere uguale agli attacchi dello stato sionista contro immigrati e palestinesi. In effetti, per porre fine al sionismo, è della massima importanza porre la questione coloniale israeliana al centro di una lotta internazionale, al di là dei recuperi e delle deviazioni islamiche, delle divisioni religiose e nazionali.
La lotta deve far parte di una più ampia lotta anticapitalista e antimperialista. Altrimenti, in settant’anni la questione palestinese sarebbe ancora rilevante.
Mesloub Khider
PS: Il parlamento di Israele ha appena adottato una legge fondamentale il 19 luglio 2018, definendo il paese come “lo stato-nazione del popolo ebraico”. Questa controversa legge definisce concretamente il carattere ebraico dello stato ebraico, a spese di Minoranza araba, istituzionalizzando così la disuguaglianza tra cittadini “israeliani”.
Questa è l’istituzione ufficiale di un regime di apartheid.
Il modello “No Way” funziona
La strategia australiana sui migranti
29 AGOSTO 2018 – Lorenzo Vita
Con l’esplosione del dibattito sull’immigrazione e il caso della nave Diciotti, si torna a parlare di “modello australiano”. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini lo considera come un esempio da seguire per il nostro Paese. Una presa di posizione netta, dal momento che l’Australia applica sull’immigrazione una politica durissima nei confronti di chiunque si avvicini alle coste dell’isola clandestinamente. Ma vediamo in cosa consiste.
“No Way”, il pugno di ferro dell’Australia
I governi australiani hanno impostato la loro campagna di controllo delle coste sulla tolleranza zero. Il concetto è semplice: nessuno entra in Australia illegalmente, a prescindere da età, sesso, religione o gruppo etnico. E lo slogan applicato da Canberra verso chi tenta di arrivare sulle sue coste clandestinamente, è altrettanto chiaro: “No way”.
Il motto è stato poi utilizzato in un video realizzato dal governo australiano in cui Angus Campbell, comandante dell’operazione Frontiere sovrane ha spiegato che il senso della sua missione è quello di “intercettare qualsiasi nave che sta cercando di entrare illegalmente in Australia e rimuoverla in sicurezza”. “Le regole si applicano a tutti, anche famiglie e bambini, non ci sono eccezioni”, afferma il generale in tenuta mimetica nel video di propaganda.
Il modello è stato introdotto in Australia nel 2013 dall’allora primo ministro conservatore Tony Abbott. Il quadro di riferimento è il programma “Pacific Solution” e si può sintetizzare in due direttrici. La prima, è che chiunque non ottiene lo status di rifugiato politico, viene rimpatriato. La seconda, è che chiunque tenti di entrare illegalmente in Australia, in larga parte su barconi provenienti dal Sud-est asiatico, viene intercettato, identificato e trasferito nei centri di detenzione costruiti dal governo australiano sia nell’isola che all’esterno. Due in particolare sono quelli più noti: il primo nell’isola di Manus, in Papa Nuova Guinea, chiuso nel 2017; l’altro a Nauru, ancora operativo.
Se l’obiettivo di Canberra era quello di fermare gli ingressi clandestini via mare, di sicuro ci è riuscita. Non solo gli sbarchi sono praticamente finiti, ma, come riporta il sito Formiche, anche i tentativi di raggiungere l’Australia sono calati drasticamente. Segno che anche l’immagine di un Paese impermeabile cambia la percezione dei trafficanti di esseri umani ma anche di coloro che vogliono raggiungere clandestinamente le sue coste. Dal 2015 al 2018 sono stati bloccate 18 imbarcazioni, numeri quindi decisamente bassi, e sono stati arrestati più di 500 trafficanti di esseri umani e capi di organizzazioni criminali legate all’immigrazione.
A dimostrazione di quanto detto, una notizia arrivata proprio in queste ore dall’Austria dove per la prima volta negli ultimi quattro anni, un barcone di migranti è riuscito a raggiungere le coste australiane. Uno sbarco solo in quattro anni: numeri che fanno riflettere vista anche la vastità del territorio costiero da controllare.
Per il governo australiano, tanto è bastato per parlare di falle al sistema di sicurezza. Il ministro dell’interno Peter Dutton ha confermato comunque che le 15 persone a bordo dell’imbarcazione, tutti provenienti dal Vietnam sono stati immediatamente arrestati e portati nei centri di detenzione.
In questi anni, sono in molti ad aver criticato aspramente la politica impostata dai governi conservatori. In particolare, preoccupare le organizzazioni internazionali e l’opposizione interna è il centri di detenzione di Nauru. Lo confermano anche alcune inchieste giornalistiche che hanno descritto le pessime condizioni in cui vivono i detenuti. A preoccupare è in particolare la condizione dei bambini che vivono in questi campi.
Come riportò il Guardian nel 2016, “più della metà delle 2.166 segnalazioni – un totale di 1.086 incidenti, pari al 51,3% – coinvolgono bambini, anche se i bambini costituivano solo circa il 18% di quelli in detenzione su Nauru durante il periodo coperto dai rapporti, da maggio 2013 a ottobre 2015″. E le notizie di incidenti e abusi sono arrivati anche all’allora premier Malcolm Turnbull, che decise di avviare un’inchiesta pubblica per decretare le responsabilità nella situazione del campo di prigionia di Nauru. Lo stesso governo australiano, a dimostrazione della trasparenza della sua politica migratoria, ha pubblicato un rapporto dettagliato sulle accuse di violenze anche a danni dei bambini.
http://www.occhidellaguerra.it/australia-no-way/
John McCain e gli elogi della sinistra, ma chi era davvero il guerrafondaio Usa?
Francescomaria Tedesco – 28 agosto 2018
Filosofo del diritto e della politica
John McCain, il maverick della politica statunitense, l’eroe della guerra del Vietnam, è morto di cancro al cervello nei giorni scorsi. Tra gli ultimi desideri, quello di non avere il presidente in carica Donald Trump al proprio funerale. Da parte sua il presidente ha stoppato uno statement della Casa Bianca in cui si riprendeva la tematica dell’‘eroe’ per mandare un semplice messaggio di condoglianze alla famiglia su Twitter. Perfino Bernie Sanders ha usato parole di elogio per la ‘civiltà’ di McCain, definendolo “an American hero, a man of decency and honor and a friend of mine”. Per non dire di Barack Obama, che pur da immeritevole vincitore del Premio Nobel per la Pace, ha avuto uno stile ben diverso da quello di McCain, ha avuto parole di profonda commozione per la morte del suo competitor alle elezioni presidenziali del 2008.
Ma se il contesto politico statunitense è un mondo assai complesso dove un attivista dei diritti civili come Sanders può commemorare un guerrafondaio come McCain perché le linee politiche sono talvolta attraversabili per trovarsi sul terreno di battaglie comuni (mentre, come ho detto, meno stupefacente è l’elogio di Obama), è nella sinistra italiana che si è assistito al più imbarazzante coro di prefiche per il senatore. Gentiloni, Martina e tutti i massimi livelli del Pd si sono sperticati in lodi che vanno ben oltre il più classico de mortuis nihil nisi bonum.
Ma chi era davvero John McCain? Alcuni ritengono che il suo contegno, e gli elogi che oggi se ne leggono, siano da interpretare in contrapposizione alla volgarità aggressiva di Trump. Insomma, i bei tempi andati della correttezza istituzionale, quando la corsa da presidente vedeva come protagonista un azzimato eroe di guerra compreso nel ruolo di rappresentante delle istituzioni. Ma McCain non ha niente a che fare con questa descrizione. Nel 2000 lo scrittore David Foster Wallace fu mandato da Rolling Stone a seguire la carovana di una campagna di McCain, e già allora l’eroe di guerra veniva restituito per ciò che era stato: mentre Bill Clinton era una sorta di sfigato impegnato nelle battaglie scolastiche per i consigli di istituto, John McCain veniva menzionato per essere uno scapestrato studente e uno scapestrato pilota, una sorta di ‘simpatico’ combina-guai, autentico e spaccone.
Non c’era insomma alcuna sobrietà ‘istituzionale’ da celebrare, né erano da celebrare le sue scelte politiche, al contrario assai discutibili: sempre in prima linea in tutte le guerre statunitensi di aggressione e contro il diritto internazionale, compreso l’intervento in Iraq (fondato, lo si ricordi, sulle false prove dei criminali di diritto internazionale Bush, Powell e Blair), McCain rispondeva con una canzone dei Beach Boys che diceva “bomb bomb bomb” a chi gli chiedeva lumi sull’Iran e sulla politica estera statunitense. Aveva definito i manifestanti contro la guerra come ‘scum’ (feccia). Ai suoi comizi nella campagna per le presidenziali, la gente urlava contro Obama “ammazzatelo”, “terrorista”, “traditore”. Aveva fatto battute sulla bruttezza di Chelsea Clinton. Quando un suo supporter gli disse, come documentano gli attivisti di Democracy Now, che Obama era un “Arabo”, lui rispose “No, he’s a decent family man”: ‘arabo’ versus ‘decent family man’.
Insomma, se Trump ne fa di cotte e di crude, McCain – fatte salve alcune sfumature nient’affatto secondarie – appare tutt’altro che un gran signore della politica statunitense. Per non dire del suo passato di pilota nella sporca guerra contro il Vietnam. Certo, eroe di guerra perché catturato, torturato, trattenuto in isolamento, detenuto nelle prigioni nemiche per 5 anni e mezzo, con due tentativi di suicidio alle spalle. Se Trump è il tycoon sguaiato e volgare, McCain è il ‘buon repubblicano’, certo, ma con un ruolino di uscite e di posizioni politiche – non ultima la scelta dell’imbarazzante Sarah Palin come sua candidata vice-presidente – da far tremare le vene e i polsi.
Ma ciò che più stupisce è che la sinistra italiana, o meglio il centro-sinistra, e ancora meglio il Pd, abbia scritto elogi per un uomo che avrebbe sempre messo al primo posto “i valori dell’America (sic) e del mondo libero” (l’ex presidente del Consiglio ed ex ministro degli esteri Paolo Gentiloni). Ma non c’è molto da stupirsi, in effetti, se ancora la sinistra non ha imparato a dire ‘statunitense’ invece di ‘americano’, confondendo l’imperialismo degli Stati Uniti e i cortili dello zio Sam.
L’Italia ha molti amici tra i sovranisti europei, ma i migranti se li deve tenere
Salvini vede Orban e lancia l’alleanza per bloccare le sinistre europee. Conte il premier ceco Babis. e si sente dire che di ricollocamenti non se ne parla
28 agosto 2018
Cordialità, franchezza, parlar diretto: parole che in diplomazia possono indicare sia la piena sintonia, sia la tensione al limite del litigio. Schiettezza c’è tra Matteo Salvini e Viktor Orban, che si incontrano a Milano tra le proteste della sinistra cui il leader leghista risponde con atteggiamento di sufficienza. Schiettezza c’è anche tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il premier ceco Andrej Babis. Solo che qui si registra una sostanziale divergenza tra i due riguardo non la lotta all’immigrazione, ma sui ricollocamenti. Che poi sono il nocciolo della questione.
nsomma, con il Gruppo di Visegrad si va d’accordo nel voler bloccare i migranti, ma quando questi sono ormai sul suolo europeo ognuno gioca per sé.
L’Europa come potrebbe essere domani
Creare in Europa un’alleanza per mettere all’angolo socialisti e democratici, cambiare l’Ue nel nome della sicurezza e dimostrare che i migranti si possono bloccare prima che sbarchino sulle nostre coste. Su questi principi a Milano ha preso forma l’asse italo-ungherese, saldato dall’amicizia tra il vice premier e ministro dell’Interno e il premier ungherese. In oltre un’ora di colloquio i due hanno stretto un patto di ferro sull’immigrazione, e non solo.
Manifestazioni reciproche di stima e di pensieri condivisi. Orban si sbilancia fino a definire Salvini il suo “eroe”, l’uomo dal cui successo “dipende la sicurezza dell’Europa e il suo coraggio merita rispetto”. “Gli auguriamo di non indietreggiare – aggiunge- che ci difenda, che difenda i confini europei”. Dal canto suo Salvini assicura che continuerà su questa strada e che “possono aprire inchieste e indagini” su di lui, ma non lo “faranno assolutamente retrocedere e cambiare idea, tanto che se si ripetesse un nuovo caso Diciotti” il suo atteggiamento sarebbe lo stesso.
“Sono fiero e orgoglioso di rappresentare una svolta per l’Europa”. E poi con convinzione sottolinea: “Fermare l’immigrazione è possibile”.
Orban lo ha dimostrato per i confini terrestri, Salvini, secondo Orban, lo sta dimostrando per quelli via mare.
“Chiudiamo le sinistre all’angolo”
“Lavoriamo insieme per una futura alleanza che riporti al centro i valori che i nostri movimenti e i nostri governi rappresentano – dice il ministro – Possiamo unire energie diverse con un obiettivo comune, escludendo le sinistre”. L’incontro di oggi segna una svolta nella politica italiana: “Conto che questo sia il primo di una lunga serie di incontri – assicura – per cambiare il destino dell’Italia, dell’Ungheria e dell’intero continente europeo”. Che ha aggiunto “Sono fiero e orgoglio di rappresentare l’Italia e il parlamento europeo”.
Poi una richiesta di collaborazione anche agli altri paesi, la Francia in primis su un tema fondamentale: “Cambiare i trattati europei, non solo in tema di immigrazione – aggiunge Salvini – rimane una priorità mia e del governo. Chiediamo collaborazione ai paesi di confine e in primis alla Francia”.
Macron? È nervoso per i sondaggi
Per il presidente Macron parole dure: “Passa il suo tempo a dare lezione ai governi stranieri”, mentre lui “è ai minimi storici della popolarità in patria. É il primo che dovrebbe mostrare solidarietà riaprendo il confine di Ventimiglia. E questo lo può fare anche domattina”, dice Salvini, che aggiunge “Se dai grandi paesi arrivasse questo esempio è chiaro che per i paesi più piccoli, per i paesi di Visegrad potrebbe esserci un approccio diverso”.
Uniti nella battaglia all’immigrazione illegale, ma distanti sulla politica dei ricollocamenti. E’ questo, secondo quanto si apprende, ciò che emerge al termine dell’incontro che si è svolto a palazzo Chigi tra il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il premier ceco Andrej Babis. Un faccia a faccia che viene definito “molto franco, diretto e cordiale” e che ha avuto al centro il tema dell’immigrazione, ma che di fatto registra una divergenza di posizioni.
Conte e Babis hanno condiviso “pienamente l’obiettivo di combattere l’immigrazione illegale, di intensificare la cooperazione con i Paesi da cui hanno origine le partenze e, in quest’ottica, di aumentare le risorse europee destinate al Fondo per l’Africa”. Restano distanti, invece, le posizioni dei due governi sull’approccio generale al fenomeno immigrazione.
Ma a Conte piace la soluzione dell’Unione Europea
Conte infatti ha ribadito che bisogna dar seguito alle conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo, conclusioni che rappresentano un “buon compromesso” per tutti i 28 paesi che le hanno sottoscritte e che pongono le basi per un approccio al fenomeno migratorio non più emergenziale, ma strutturale.
Il richiamo alle conclusioni del Consiglio europeo di giugno – alla cui stesura l’Italia ha dato un “contributo fondamentale” viene sottolineato – è servita a Conte per ribadire la necessità per il governo italiano di arrivare ad “una politica europea dell’immigrazione”.
Il presidente Babis ha condiviso il fatto che sul fronte immigrazione l’Italia vada aiutata, ma ha anche ribadito – secondo quanto si apprende – la sua forte contrarietà alla politica dei ricollocamenti. Si è dichiarato disponibile, invece, ad incrementare le risorse finanziarie per contrastare l’immigrazione dai paesi africani.
Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a dir@agi.it
Bono ha voluto dire la sua su Europa, migranti e sovranisti
Gli U2 apriranno il loro tour europeo a Berlino, esponendo una grande bandiera dell’Unione europea e lanciando un appello per l’unità e il sostegno dell’Ue
29 agosto 2018
Gli U2 apriranno il loro tour europeo a Berlino, esponendo una grande bandiera dell’Unione europea e lanciando un appello per l’unità e il sostegno dell’Ue.
Lo ha annunciato su Twitter la stessa band irlandese, con il suo frontman Bono che ha lanciato un duro attacco contro “nazionalisti ed estremisti”, che stanno minacciando il progetto europeo.
Leggi anche Se Bono e The Edge durante un concerto si fermano a parlare di Europa
Bono, in un articolo sul Frankfurter Allgemeine, ha denunciato che “la parola pariottismo ci è stata rubata dai nazionalisti ed estremisti, i veri patrioti cercano l’unita’”. L’artista si è poi detto orgoglioso della sua identità di europeo e del lavoro che la Ue ha fatto per “diffondere benefici e prosperità” tra gli Stati membri.
“Gli U2 inizieranno il loro tour a Berlino questa settimana e abbiamo avuto una delle nostre più provocatorie idee: durante lo spettacolo sventoleremo una grande, luminosa e blu bandiera dell’Ue”, si legge nell’articolo.
Anche se dobbiamo lavorare molto più duramente per diffondere i benefici della prosperità, gli europei sono più istruiti e meglio protetti dagli abusi delle grandi aziende. Conducono vite migliori, più lunghe, più sane e più felici di quelle di qualsiasi altra regione del mondo. Sì, più felici
“Come europeo, sono orgoglioso di pensare a quando la Germania ha accolto gli spaventati profughi siriani e mi sentirei ancora più orgoglioso se altri Paesi si facessero avanti”, ha aggiunto il cantante, sottolineando che “l’Europa è teatro di forze potenti ed emozionanti che si scontrano e che modelleranno il nostro futuro”, scrive Bono.
https://www.agi.it/politica/bono_u2_europa_migranti_sovranisti-4322929/news/2018-08-29/
ECONOMIA
Le divisioni tra Lega e M5s ci portano al commissariamento
Lo spread continua ad aggirarsi intorno ai 280 punti base. L’atteggiamento del Governo non aiuta a ridurlo, anzi preoccupa maggiormente i mercati, spiega
29 agosto 2018 – lORENZO tORRISI
Lo spread continua ad aggirarsi intorno ai 280 punti base. C’è un’attesa carica di tensione per conoscere quelli che sono i piani effettivi del Governo – al di là delle enunciazioni delle ultime settimane – per la Legge di bilancio che dispiegherà i suoi effetti nell’anno venturo. Dallo stesso esecutivo sono arrivate dichiarazioni che parlano di attacco imminente dei mercati e anche l’ex ministro delle Finanze, Francesco Forte, spiega che «la situazione è tesissima».
Per quali ragioni professore?
Non si sa se la Legge di bilancio avrà o meno i requisiti per superare il giudizio non tanto della Commissione europea, che tra l’altro si avvicina al rinnovo, quanto dei mercati. Il Governo sembra muoversi senza bussola precisa, si presenta non omogeneo e non si sa bene che di tipo di politiche adotterà. Sarebbe stato opportuno rispettare un’abitudine introdotta da Tremonti.
Quale?
Presentare tra luglio e agosto un documento preliminare di bilancio, nel quale chiarire gli obiettivi di medio lungo termine globali e a cui condizionare la manovra di fine anno. Un documento che risulta essenziale per dare certezze ai mercati. Tant’è che oggi in sua assenza vediamo che lo spread balla. Anche perché non si capisce bene che orientamento abbia il Governo: si ha solo l’impressione che non sia molto propenso a rispettare regole di bilancio prudenziali. Ci vorrebbe quindi un documento in cui si mettesse in chiaro quanto deficit si vuole fare e si segnalasse l’importo globale quanto meno delle spese correnti e di quelle di investimento, oltre che il livello delle imposte dirette e indirette.
Ha detto che il Governo non sembra propenso a rispettare regole di bilancio prudenziali. Dovrebbe fare quindi una manovra con un deficit basso?
Attenzione, sarebbe controindicato fare una manovra troppo restrittiva, sarebbe pericolosa come mostra l’esempio di Monti. Ai mercati vanno benissimo manovre di medio-lungo termine di consolidamento del bilancio, che generano crescita e non disoccupazione, perché liberano risorse riducendo il debito, ma non deprimono eccessivamente la domanda di consumi e nello stesso tempo fanno ripartire gli investimenti.
Qual è il rischio che stiamo correndo realmente in questi giorni?
Siccome ho l’impressione che al Governo siano in tutt’altre faccende affaccendati, il rischio è che un giorno venga fuori uno spread altissimo e allora bisognerà correre ai ripari non più con annunci, ma con decisioni concrete del ministro dell’Economia. Il rischio è essere preda della speculazione internazionale in un periodo in cui si avvicina la scadenza del mandato di Draghi, che sicuramente interverrà, ma porrà delle condizioni all’Italia. Rischiamo cioè un commissariamento. La minaccia verrà fuori se il Governo non prenderà prima la situazione per il verso giusto.
Cioè?
Il verso giusto non è, come si crede, rispettare i parametri europei, ma fare una manovra tranquillizzante, in cui margini di flessibilità ci possono e ci debbono essere, perché una depressione eccessiva come quella che è stata fatta da Monti su suggerimento europeo e sulla base di una teoria completamente sballata creerebbe solo danni: Grecia docet. C’è però da dire che i mercati guardando all’Italia non hanno timori solo rispetto ai conti pubblici.
Cosa intende dire Professore?
Credito e credibilità sono termini molto legati tra loro e perdere credibilità vuol dire perdere credito. Questo Governo ha ereditato una perdita di credibilità, ne ha persa un po’ di suo e adesso dovrebbe cercare di rendersi credibile. Cosa che finora non ha fatto, anzi. Lo si è visto con l’Ilva: si dice che la gara sarebbe da rifare, ma non la si rifà, però Di Maio non esclude di annullarla. Lo si è visto con le concessioni autostradali: si dice che revoca quella ad Autostrade per l’Italia, ma non si capisce se si vuole tornare alla gestione pubblica o meno e non c’è accordo su chi debba ricostruire il ponte crollato a Genova. Insomma, non c’è chiarezza e dunque gli investitori possono dire che non c’è da temere solo per il debito pubblico, ma per ogni altro investimento.
Perché secondo lei non c’è chiarezza da parte del Governo?
Perché non c’è chiarezza nella loro testa. Parlo soprattutto dei 5 Stelle. Anche la nota di aggiornamento del Def, vista la situazione dello spread, sarebbe stato opportuno anticiparla ad agosto. Tuttavia non è accaduto e credo che ciò dipenda dal fatto che le due forze al Governo non sono d’accordo tra loro.
Il reddito degli italiani in base alle città: ecco dove è più alto e dove più basso
I redditi medi nelle città italiane: il confronto con i livelli precrisi non è positivo.
di Chiara Lanari, pubblicato il 29 Agosto 2018
I redditi degli italiani sembrano guardare verso i livelli pre-crisi ma ancora per molte città, soprattutto capoluoghi di provincia, il segno meno è tangibile. Si parla di crescita ma osservando i redditi dichiarati nel 2017 si nota che questi sono ancora il 2% più bassi rispetto al 2009, quando l’Italia non era ancora entrata nel tunnel della crisi economica.
I redditi italiana, un confronto con la pre-crisi
Come riporta Il Sole 24 ore nel rapporto, per alcune città in particolare la caduta è reale. Ad Isernia si è toccato il -9,39%, Crotone il -7,97%, Agrigento il -7,09%, Roma il -4,09% e Milano il -1,37%. In totale si parla di un calo medio del -1,92% . Il Sud, anche se in maniera non troppo marcata, è ancora maglia nera ma stavolta anche le province del Centro-Nord non sembrano essere immuni. Le città dove invece i redditi hanno visto un segno positivo sono Trieste con il +2,15%, Belluno con il +2,06%, Torino +1,24% e Verona +1,1%. Il rapporto tiene in considerazione anche il numero di contribuenti rispetto agli abitanti, dunque al Sud il rapporto tra abitanti e contribuenti è inferiore alla media nazionale (65,4% contro il 49,5% di Napoli, il 51,9% di Crotone, il 51,9 di Catania) in cui la disoccupazione è un tarlo molto pesante.
La mappa dei redditi medi delle città
Andando a guardare il grafico sui redditi, si vede che quello medio di Agrigento si attesta sui 20.881, Firenze 26.503, Ferrara 23.596, Aosta 24.257, Bari 22.947, Genova 24.281, Ancona 24.321, Bergamo 30.432, Bolzano 26.288, Caserta 25.073, Milano 34.046, Padova 28.252, Rimini 20.459, Torino 25.015, Bologna 28.048, Venezia 24.147, Napoli 22.434, Roma 28.241, Verona 25.184, Ravenna 22.343, Trieste 23.118, Treviso 28.106, Brescia 26.158, Campobasso 21.706, Catanzaro 21.487, Catania 20.179, Como 26.007, Enna 20.268, Foggia 19.515, La Spezia 22.502, Lecce 23.420, Lucca 23.447, Mantova 26.547, 26.389, Palermo 22.264, Perugia 23.535, Pescara 22.930, Piacenza 25.187, Pesaro-Urbino 22.533, Salerno 23.888, Belluno 24.190, Cagliari 25.681, Monza Brianza 30.376, Parma 27.353, Pistoia 21.700, Reggio Emilia 24.468,Taranto 21.058, Udine 25.725, Vicenza 25.020.
Ricordate Attilio Befera? Da Equitalia a “United Colors”, anche lui.
Maurizio Blondet 27 agosto 2018
Attilio Befera, a sinistra. Da grande dirigente pubblico a stipendiato dei Benetton.
Attilio Befera, per un decennio e fino al 2014 capo dell’Agenzia delle Entrate ed Equitalia. E che poi, abbandonate le tasse, è diventato uno dei dirigenti più alti in grado di Atlantia, holding del gruppo Benetton da cui dipende Autostrade per l’Italia. Il fatto in questione è del 2012, riguarda proprio faccende tributarie ed è stato rivelato dall’Espresso: Benetton pagò 12 milioni di euro al fisco e rimpatriò Sintonia, la holding della famiglia che aveva sede in Lussemburgo per evitare ulteriori indagini sulla holding stessa. I Benetton finora avevano fatto credere che quel rimpatrio era dovuto a ragioni prettamente economiche.
Due anni più tardi lo stesso Befera si dimise dalle Agenzie fiscali. E per chi andò a lavorare? Per i Benetton, acquisendo un incarico di fiducia: coordinatore dell’ Organismo di vigilanza di Atlantia,
Befera si aggiunge alnumero degli assunti d’oro dalla Famiglia:
Paolo Costa, ministro dei Lavori pubblici tra il 1997 e il 1998.
Costa, nel 2010, è stato chiamato a presiedere il consiglio di amministrazione di Spea Engineering, una controllata di Autostrade per l’ Italia; nel 2016 il gruppo Atlantia ha vinto la gara per la privatizzazione dell’ aeroporto di Nizza e di due altri piccoli scali regionali e i Benetton gli hanno chiesto di sedere nel consiglio di sorveglianza dell’ aeroporto francese.
Gian Maria Gros Pietro, presidente dell’IRI nel 1999, fu lui a cedere in concessione una parte delle autostrade italiane al gruppo Benetton fu «l’ allora presidente dell’ Iri, Gian Maria Gros Pietro, gran frequentatore di salotti che contano e amico di Romano Prodi. Subito dopo la privatizzazione delle autostrade, Gros Pietro fu assunto dai Benetton per presiedere le autostrade. Stipendio: 1 milione di euro l’ anno».
https://www.maurizioblondet.it/ricordate-attilio-befera-da-equitalia-a-united-colors-anche-lui/
Governo, il piano per evitare la tempesta d’autunno: chiedere a Draghi un quantitative easing-bis
29 Agosto 2018
“Ci aspettiamo una tempesta“. E’ così che il governo, da Giuseppe Conte in giù, vede il prossimo mese di settembre e l’autunno in generale. Per la fine del quantitative easing, la manovra finanziaria da preparare e il giudizio delle agenzie di rating, che arriverà a metà mese. Il piano?
Tirare la corda in Europa con l’obiettivo di indurre la Banca centrale europea guidata dall’italiano Mario Draghi a varare un Quantitative easing bis, che metterebbe “sotto ghiaccio” il mercato dei titoli di Stato ancora per un po’, bloccando qualsiasi tentativo di speculazione o “sabotaggio” che farebbe impennare lo spread con esiti devastanti sul nostro debito pubblico e di conseguenza sulla tenuta del governo.
Il ministro Tria sta invece tirando nell’altro senso, perchè il vincolo del 3% non venga nè sorpassato nè minacciato di sparire, con l’obiettivo di rispettare i vincoli europei ed evitare, come simulato da un sondaggio condotto da Bloomberg, che il nostro spread si impenni a 470. Il presidente Mattarella, da parte sua, vigila.
Non è un caso che sia saltata la visita di Stato in Australia, che era prevista proprio tra la fine di settembre e la prima decade di ottobre.
Privatizzazioni for Dummies (per schemi)
Un analista serio deve stare attento a non confondere la personale visione politica con il giudizio che fornisce sulla bontà o meno di un investimento, di un progetto, di una soluzione ad un problema. Beninteso, chi scrive qui promuove sempre le proprie preferenze, ma sente la necessità di dirlo ogni volta, senza prendere in giro i lettori facendo passare per oggettivo ciò che è soggettivo. Mi sono allora chiesto se, nel caso delle privatizzazioni, il mio giudizio fortemente negativo non fosse inficiato dall’ideologia.
Siccome mi sono risposto che l’alto valore che di norma attribuisco alla cosa pubblica nulla abbia a che fare con la mia netta condanna al fenomeno delle privatizzazioni, meglio chiarire i motivi del loro fallimento.
Le privatizzazioni non hanno funzionato, nè possono funzionare in futuro, perchè riguardano beni e servizi in regime di monopolio. E per fortuna che lo sono.
Il monopolio è un tipo di mercato dove esiste un unico venditore che offre un prodotto o un servizio per il quale non esistono sostituti stretti (monopolio naturale) oppure opera in ambito protetto (monopolio legale, protetto da barriere giuridiche). La domanda e l’offerta non si incontrano nel monopolio: semplicemente sono in mano ad un unico soggetto.
L’esperienza mi suggerisce che non tutti i beni ed i servizi siano in grado di prosperare in una situazione di monopolio. Anzi, pochissimi!
Immaginatevi di frequentare una cittadina dove esiste un unico Bar. E’ del tutto ovvio che se tutti gli avventori sono costretti ad andare lì perchè non c’è altra offerta, il proprietario potrà aumentare i prezzi dei prodotti come più gli pare e piace, abbassando pure l’asticella della qualità. Lo vediamo spesso quando frequentiamo località turistiche ad “imbuto”, dove per fruire delle bellezze del luogo incappiamo in un’offerta di tipo monopolistico (ehm, abito vicino a Venezia e credo di sapere di che parlo…).
Nonostante la concorrenza e la molteplicità dell’offerta siano positive per l’ottimizzazione dei servizi, non tutto può essere lasciato alla libertà di intraprendere. Alcuni servizi sono strategici per il benessere colletivo e devono prosperare solo in una situazione di monopolio. A tal proposito propongo un esempio personale.
Quando frequentavo l’università di Bologna, la mia casa madre era ancora nel bellunese, in una amena (ma bellissima) località che si chiama Valbelluna. Il treno per raggiungere Bologna (con cambio alla stazione di Padova) si trovava lungo l’asse chiamato Padova – Calalzo. Nonostante la tratta servisse alcune località importanti del Veneto come Feltre e Castelfranco, la parte alta della linea era considerata dai vertici aziendali un “ramo secco”. Tutti, nessuno escluso, considerano la montagna veneta strategica per storia, tradizione, turismo, sport, industria distrettuale degli occhiali e della refrigerazione, risorse idriche e chi più ne ha più ne metta. Tutti, nessuno escluso, piangono per il suo spopolamento e si stracciano le vesti se qualcuno dei duecentomila scarsi abitanti che risiedono nelle valli osano andare a vivere in pianura. “Così nessuno sfalcia i prati e arrivano parassiti e malattie”, “così avremo tragedie idriche tipo il Vajont”, “così muoiono i pittoreschi paesini famosi in tutto il mondo come Cortina d’Ampezzo”. Insomma, sul tema dello spopolamento tutti citano a modello Svizzera e Tirolo e nessuno frigna più dei bellunesi.
Quando però si va al sodo e si parla, ad esempio, di viabilità, i treni che attraversano quelle valli sono considerati una spesa inutile e superflua per la società trenitalia. Sono un costo, che andrebbe tagliato, visto l’esiguo numero degli utenti e l’asperità del vasto territorio bellunese.
Se la società fosse al 100 per 100 privata, la tratta Padova-Cadore andrebbe smantellata il più presto possibile, con inevitabile morte della montagna veneta. Dunque è ovvio, sacrosanto, e persino conveniente che le tratte dei treni riamangano pubbliche, anche se rappresentano un costo per l’azienda, così come appena descritto.
Ho proposto un esempio sulla viabilità non a caso, perchè farlo con istruzione e sanità sarebbe stato troppo semplice, e basti guardare a tal proposito agli Stati Uniti che hanno regimi misti pubblico-privato e che sulla tragedia di questi servizi dedicano ore di servizi CNN e di film Hollywoodiani strappalacrime.
Nel caso delle privatizzazioni di servizi pubblici operate soprattutto negli anni Novanta, si è ragionato in modo ideologico, promuovendo l’idea che la gestione privata funzioni sempre meglio di quella pubblica. In verità, l’esperienza ci dice che la gestione privata funziona meglio di quella pubblica quando abbiamo un privato che è in concorrenza con altri privati. In altre parole, se esiste un unico bar “statale” nel tuo paesello, bene sarebbe permettere ai privati di aprirne altri affinchè anche quello pompi a meraviglia birra e patatine. Ciò non è stato fatto per Eni, Autostrade ecc ecc. perchè il privato ha comprato dallo stato in regime di monopolio. Il privato, vista la ghiottissima occasione, ha profittato della ventata iperliberista e dei trattati capestro targati Unione Europea e si è comprato la concessione di un monopolio, indebitandosi fino al buco dello sbaragnaus.
I privati dunque non c’hanno messo soldi loro, ma DEBITO, perchè le banche – sapendo molto bene che si trattava di monopoli – prestarono quella volta anche la mamma!
Ho sostenuto in diverse occasioni che l’economia NON è una scienza. Ma nel caso delle privatizzazioni occorre ricredersi un attimino. Quando un monopolio naturale viene privatizzato, immancabilmente accade quanto segue: i prezzi del servizio aumentano, la qualità del servizio diminuisce cosi come gli investimenti. Tutto ciò che costa, anche se utile, viene smantellato. Ci sono pochissime cose di cui gli economisti possono essere certi. Ma questa è una di quelle.
http://micidial.it/2018/08/privatizzazioni-for-dummies/
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
Banca MPS in caduta libera a Piazza Affari
28 agosto 2018 – 12.30
(Teleborsa) – Si muove in profondo rosso l’istituto di Rocca Salimbeni, che è in forte flessione, mostrando una perdita del 2,06% sui valori precedenti.
L’andamento di Monte Paschi nella settimana, rispetto al FTSE MIB, rileva una minore forza relativa del titolo, che potrebbe diventare preda dei venditori pronti ad approfittare di potenziali debolezze.
Lo scenario di breve periodo di Banca Monte dei Paschi evidenzia un declino dei corsi verso area 2,047 Euro con prima area di resistenza vista a 2,15. Le attese sono per un ampliamento della fase negativa verso il supporto visto a 1,997.
Le indicazioni sono da considerarsi meri strumenti di informazione, e non intendono in alcun modo costituire consulenza finanziaria, sollecitazione al pubblico risparmio o promuovere alcuna forma di investimento.
(A cura dell’Ufficio Studi Teleborsa)
Non regalate Unicredit a Macron proprio ora. E’ alle corde.
Maurizio Blondet 29 agosto 2018
Ancora alcuni copia incolla per recuperare una notizia di importanza essenziale.
La segnalano persone di cui abbiamo imparato a fidarci:
@GuidoCrosetto
Considero la mormorata fusione di #SocGen ed #UniCredit un atto ostile nei confronti dell’Italia, al pari della guerra alla Libia. Voglio dirlo prima anche questa volta. È il risultato di una strategia nata con la scelta del CEO Mustier, francese, “dimesso” da Soc Gen per insider
09:12 – 27 ago 2018 · Ostuni, Apulia
Andrea Mazzalai@icebergfinanza
Noi consigliamo all’attuale Governo di bloccare in qualunque modo possibile l’ipotesi di fusione con la banca francese, non è interesse nazionale una simile operazione e Unicredit è banca di interesse nazionale, secondo il nostro modesto parere…
Federico Dezzani
Se andasse in porto la fusione tra Socgen e Uncredit, l’Italia sarebbe stata ridotta ufficialmente a satellite della Francia in 16 anni di euro. Ma si sa, i cattivi sono i tedeschi…
21:55 – 25 ago 2018
Poteri aggiungere: Bagnai, Giacché, persino Renato Brunetta (che non si capisce perché faccia opposizione al governo):
Ecco come la Francia vuole far pappare Unicredit da Société Générale. Il paper di Brunetta
https://www.startmag.it/economia/francia-unicredit-brunetta/
- In cosa consista il pericolo per l’Italia, lo spiega bene Paolo Annoni sul Sussidiario, a cui rimando:
Riporto lo scheletrico essenziale, politico:
“Comprando o mettendo le mani su una banca di queste dimensioni, ovviamente comanderebbe la Francia, si acquisirebbe una leva di controllo/indirizzo sul Governo italiano notevole. Pensiamo solo al ruolo delle banche italiane nella stabilizzazione dello spread. Si potrebbe pensare che in questo modo, in un certo senso raddoppiando l’esposizione, si arrivi a una situazione tale di sovranità sostanziale sull’Italia da poterne determinare le politiche sia in un vero e proprio senso coloniale, sia come assicurazione sui suoi fremiti “populisti”. […]
“L’Italia ha ancora una ricchezza che ha pochissimi eguali, ma davvero pochi, tra i Paesi del primo mondo e cioè il risparmio. Gli italiani hanno, per esempio, uno dei tassi di proprietà della prima casa più alti in Europa occidentale. Solo uno dei moltissimi indicatori che testimoniano la ricchezza finanziaria, i risparmi, delle famiglie italiane”.
Mazzalai: “I risparmi degli italiani: quello il primo obiettivo di ogni banca estera che si rispetti, risparmi e investimenti”. Già adesso, i francesi possiedono tante banche italiane, che “i nostri depositi sono il collateral posti a garanzia dei “loro” crediti”. Infatti l’amministratore delegato di Unicredit è già un francese, Jean Pierre Mustier, ex parà della Legione (quindi anche probabilmente “servizi”), che è stato vent’anni alla Société Génerale – dove era responsabile di un “trader”, Jerome Kerviel, che con le sue speculazioni sui derivati ha causato alla sua banca danni per quasi 5 miliardi di euro. Mustier è stato piazzato qui per vendere Unicredit (la sola nostra banca sistemica) a SocGen, e non ne è un mistero. Adesso sta trattando, guarda guarda, con un altro francese, Daniel Bouton, già “haut fonctionnaire” alle finanze, poi presidente di SocGen ai tempi dello scandalo Kerviel, dichiarato fallito, ma ora riapparso come “consigliere” (advisor) dei Rotschild per questo affare.
In generale:
La Francia ha potuto fare shopping in Italia per oltre 52 miliardi. L‘Italia in Francia, non più di 7.
http://www.infodata.ilsole24ore.com/2017/01/26/lo-shopping-francese-italia-vale-52-miliardi-10-anni/
La Francia ostacola palesemente e occultamente gli acquisti italiani dei suoi tesori, come ha dimostrato un anno fa il veto all’acquisto, da parte di Fincantieri, dei cantieri STX con la motivazione della “sicurezza anzionale”- I nostri governanti non hanno mai opposto, invece, la minima resistenza. Annoni:
“La Francia negli ultimi due decenni ha comprato talmente tante società da diventare il Paese europeo che avrebbe più da perdere in caso di crollo economico-finanziario italiano. La dimensione delle acquisizioni e dell’intervento francese in Italia è stato così grande in termini dimensionali e così sbilanciato da determinare una situazione che avrebbe eguali sono nei casi di ex-colonie. L’Italia ha scelto di farsi comprare convinta che legandosi alla Francia avrebbe maggiore riparo in sede europea; oggi la Francia non può augurarsi un fallimento dell’Italia: telecomunicazioni, media, banche, assicurazioni, energia, industria, lusso, alimentare… non c’è un settore in cui non faccia capolino una società francese con ruoli di rilievo. Comprare o fondersi con la principale banca italiana non può essere un caso, soprattutto in una fase così delicata per l’economia italiana. Bisogna quindi chiedersi perché incrementare l’esposizione in Italia e perché oggi”.
Ora si capiscono meglio tutte quelle Legion d’Onore sparse a piene mani sui petti dei nostri piddini e governanti ed esponenti del nostro Deep State, ovviamente “democratico”. Qui sotto per l’elenco:
Ora, il nuovo governo può e deve proibire questa fusione sulla base dell’interesse strategico nazionale.
Per giunta, Macron è politicamente alle corde. Un suo ministro, Nicolas Hulot dell’ecologia, s’è dimesso sbattendo la porta ha annunciato la sua dimissione in tv, senza consultare l’Eliseo);
I risultati economici del “macronismo” sono disastrosi.
https://www.agoravox.fr/actualites/economie/article/les-resultats-economiques-du-207165
“La Francia registra il calo della disoccupazione più basso d’Europa. Il miracolo produttivo non s’è verificato.
La produzione industriale del paese è aumentata dello 0% da settembre 2017, in confronto all’1,7 della Germania e al 5% della Svezia. La perdita di competitività continua, il debito è ormai il 100 % in rapporto al Pil, quest’anno il paese sforerà il limite di deficit del 3% (inutile ma necessario per farsi stimare da Berlino), la Francia è deficitaria per 50 miliardi delle partite correnti verso gli altri paesi dell’UE, anche verso l’Italia. Fra aumenti delle imposte e rincari (2,6 di aumento dle costo della vita, solo Romania e Bulgaria fano peggio) Macron è riuscito a ridrre il potere d’acquisto dei lavoratori in pensione del 10% in due anni, un record”.
Inoltre, “le riforme di Macron non sono strutturali, non modernizzano il paese”.
Un po’ di titoli a caso, di media economici o di blogger:
Budget 2019: pitoyable défaite
(Budget 2019, pietosa disfatta, BFM)
“Improvvisazione politicante che mira a inventare una ppolitica del potere d’acquisto e mancano di rigore intellettuale (Le Journal du Dimanche)
Crise de l’immobilier, crise de sens, crise de la raison et de l’intelligence
(crisi dell’immobiliare, crisi di senso, crisi della ragione e dell’intelligenza)
“La classe politique n’a pas conscience du désastre dans lequel notre patrimoine est plongé»
“La classe politica non ha coscienza del disastro in cui il nostro patrimonio è affondato” (Figaro)
Secondo Michel Geoffroy, autore di La Super-classe mondiale contre les peuples ♦ (quindi sovranista), il clima prevalente oggi è una sorta di rassegnazione tragica . “La Destra è in coma profondo. A sinistra, i sindacati non riescono a mobilitare: gli si risponde, “a che serve?”. A che serve, perché Macron dispone di tutti i poteri. Gode del sostegno dei media, delle lobbies, della Davos-crazia. I suoi deputati senza esperienza votano a catena tutti i progetti di legge che presenta il governo, stakanovisti del voto. Persino gli alti funzionari [una istituzione-pilastro de la République] assistono senza reagire alla decostruzione sistematica dello Stato repubblicano e presto alla loro propra scomparsa, perché il governo promette di sostituirli con precari a contratto reclutati sul mercato”.
Ma allora tutto è passività e rassegnazione? No. “Questo silenzio apparente della Francia nasconde una collera fredda e una rottura abissale tra il paese reale e il paese legale, come fra occupanti ed occupati“. Geoffroy compara l’ggi al “1940, dopo il collasso di giugno dell’armata, quando la Francia sbalordita dalla vergogna e dalla disfatta, non sapeva più che fare, dava fiducia al mareciallo Pétain”….Come allora, però, Macron opera come un agente della Germania. “il suo Potere dà la caccia alla dissidenza, i suoi sbirri associativi la denunciano alla polizia, la trascinano nei tribunali, la censurano sui social – secondo le procedure repressive usate al di là del Reno, perché ancora come allora, Macron è a rimorchio della Germania”.
A questo punto?
“Come nel 1940, il Potere non si rende conto che la dissidenza progredisce nei cuori. Il caos migratorio sta risvegliando a poco a poco l’Europa. un grande movimento storico prende forma. Come nel ’40, il Potere si illude di mantenerne estranea la Francia”. Questa rassegnazione sembra a Geoffory un annuncio della rivolta.
Esagera? Ma lo stesso Macron sembra aver avvertito qualcosa, se ha diffuso questo stupefacente messaggino:
“coloro che credevano all’avvento di un popolo mondializzato si sono profondamente ingannati. Dovunque nel mondo l’identità dei popoli è tornata. Ed è in fondo una buona cosa”.
Cos’è? Un tentativo di riposizionamento? Suggerito dal suo mentore Attali, in piena rielaborazione della nuove strategia perché “non si deve lasciare la nazione ai nazionalisti”, come abbiamo raccontato il 25 luglio scorso?
Come che sia, leggete i commenti dei francesi a questa uscita:
https://twitter.com/EmmanuelMacron/status/1034020933357502464
Sarebbe veramente sciocco se il primo governo sovranista in Italia, che sta “svegliando l’Europa” dei popoli al di là di ogni speranza (lasciate che i media mentano parlando di “isolamento”), regalasse la sua banca sistemica ad un perdente, creato per un progetto sconfitto.
Che ha pure sforato il 3%.
(Tra l’altro, in questa tabella, potete vedere che da quando è nell’euro la Francia ha “sforato” il 3 % del deficit nel 70% delle volte, l’Italia “solo” 53%, persino la Germania nel 41% degli anni. Quando i media e il Pd si scandalizzano perché Di Maio ha annunciato che il governo violerà il 3% di deficit nel 2019, dovrebbero essere informati che da quando esiste l’euro, questo limite è stato superato 114 volte dai 28 paesi, senza chiedere il permesso a Bruxelles.
Solo l’Italia del Monti, Renzi e Gentiloni, ha sostanzialmente obbedito a questa imposizione arbitraria)
https://www.maurizioblondet.it/non-regalate-unicredit-a-macron-proprio-ora-e-alle-corde/
Uno studio rivela che l’Economia cresceva quando le Banche Centrali erano meno indipendenti
La Brexit terrorizza così tanto gli inglesi che all’inizio di questo mese hanno deciso di alzare i tassi di interesse per la seconda volta in meno di un anno. La Bank of England (BoE) li ha portati sopra lo 0,5% per la prima volta in quasi un decennio (a un tasso storicamente ancora estremamente basso dello 0,75%).
I responsabili della banca nazionale inglese hanno motivato la decisione sostenendo che a causa della disoccupazione bassissima, questo tipo di provvedimento dovrebbe aiutare a stabilizzare l’inflazione, dato che tende a salire quando la disoccupazione è molto bassa.
Molti economisti si sono subito messi di traverso alla BoE perché a livello teorico l’innalzamento dei tassi aumenta il costo dei prestiti rallentando così la crescita economica di un paese, l’Inghilterra, che vive una situazione incerta a causa della Brexit
C’è un particolare grande come una montagna che sfugge sempre quando vengono fatti questi ragionamenti sui tassi:
come mai, nonostante la fortissima riduzione dei tassi operata in questi anni (da 5 a 0 in UK) e la massiccia iniezione di liquidità (QE) non hanno portato a grandi risultati in termini di crescita, bensì a qualche misera briciola?
Cioè, detto diversamente, perché invece di pensare sempre ai danni – eventuali – di un aumento dei tassi, non pensiamo al sostanziale fallimento registrato dal pregresso ABBASSAMENTO degli stessi?
E se arriva un’altra crisi, ora, come fare a calmarla con tassi ancora così relativamente bassi, visto che la leva più di così non può essere abbassata?
In questi mesi si è tanto sentito parlare dell’Helicopter Money, strumento che prevede di finanziare le famiglie affinchè consumino, appunto, come se l’elicottero ci gettasse i soldi dal cielo
L’idea si basa sul presupposto che gli attori siano razionali. Con il QE si credeva che le imprese avrebbero ottenuto più finanzaimenti grazie alla liquidità fornita alle banche. Con l’Helicopter Money, invece, si ipotizza che le famiglie consumeranno di più.
Ci sono però due grandi pericoli dietro all’Helicopter Money (e proprio perché si basa su presupposti sbagliati, come il QE): il primo è che le famiglie potrebbero tendere a “tesaurizzare” gli introiti freschi di liquidità. Il secondo è che potrebbero spendere in beni molto relativamente produttivi, come gli immobili
Fondamentalmente, i problemi macroeconomici del Regno Unito non sono legati all’ammontare o al costo del denaro (il tasso di interesse) ma più alla sua allocazione nell’economia.
Infatti, come sostiene l’Institute for Innovation and Public Purpose (IIPP) in una nuova policy che critica il QE, l’evidenza suggerisce che le imprese – i cui investimenti sono maggiormente necessari per migliorare la produttività – non sono particolarmente sensibili ai cambiamenti dei tassi di interesse delle famiglie. Piuttosto, le imprese investiranno quando ritengono che vi sia un’opportunità di profitto da realizzare.
Il problema con il QE è stato che entrava si denaro, ma nella parte sbagliata, quella della finanza speculativa. Il rischio è uguale con il l’Helicopter Money.
La maggioranza degli economisti ha sostenuto che la ripresa avrebbe potuto essere molto più rapida se i governi avessero usato i bassissimi tassi di interesse sul debito pubblico che il QE ha prodotto per spendere di più. Tuttavia, la maggior parte dei governi occidentali ha fatto l’opposto, credendo che il settore privato sarebbe intervenuto a investire, data la politica monetaria ultra-accomodante delle banche centrali.
Il settore privato non è intervenuto.
Rimane allora la domanda delle domandone: come faceva il “sistema” economico a cresce prima, quando non c’erano né QE né elicotteri?
Eco la risposta:
Secondo un paper targato IIPP, Bringing the Helicopter to Ground, redatto da Frank van Lerven della New Economics Foundation, tra il 1930 e il 1970, i governi si appoggiavano alle istituzioni monetarie – comprese le banche centrali e le banche commerciali – per finanziare la spesa pubblica attraverso direttive, regolamenti e negoziati formali e informali. Per decenni dopo la seconda guerra mondiale, la metà del debito pubblico era detenuta da istituzioni monetarie.
Le banche centrali durante questo periodo avevano meno “indipendenza” e mandati più ampi di quanto non abbiano oggi – con l’inflazione che era solo uno dei tanti obiettivi. Se ci spostiamo in Usa, col famoso Piano Marshall, ecco che vediamo che fu finanziato pubblicamente tramite banche, non fu iniziativa di colossi privati.
In passato, insomma, gli Stati monetizzavano il deficit pubblico facendo in modo tale che lo comprassero banche e banche centrali nazionali. L’opposto in pratica di quello che è stato fatto e di quello che si dovrebbe fare.
LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
UNA DOMANDA AI NOSTRI DIPENDENTI PARLAMENTARI: MA…FORSE…CI STATE PRENDENDO PER IL CULO?
redazione | 18 agosto 2017 (RILETTURA OPPORTUNA E NECESSARIA)
Riceviamo e volentieri pubblichiamo. Un lettore ci scrive.
Si chiama Matteo Mattiola, e sta denunciando la situazione assurda che in Italia si è verificata per la discriminazione che i lavoratori italiani subiscono a causa degli extracomunitari “gestiti” dalle cooperative di accoglienza.
Insomma, la tanto temuta guerra tra i poveri oramai è in atto, e Matteo lo denuncia apertamente mettendoci la faccia.
“Un anno fa si è laureato in Viticoltura e enologia. Oggi sto facendo un tirocinio in provincia di Reggio Emilia, facendo molti sacrifici: percepisco 450 € di rimborso spese, nulla più.
Ieri, nell’azienda dove sto lavorando, è venuto un rappresentante di una cooperativa di accoglienza della zona. Voleva proporre 3 ragazzi, che grazie al progetto Lift possono essere assunti, con un contratto di tirocinio, con un rimborso spese di 450 € interamente corrisposto dallo Stato, non dal proprietario dell’azienda (come nel mio caso).
Quest’uomo ha aggiunto anche che i ragazzi usufruiscono di vitto e alloggio presso la struttura che lui rappresenta, e percepiscono anche un pocket money mensile di 75 € per le piccole spese.
Io sono in camper da 5 mesi perché con il “rimborso spese” riesco si e no a pagarmi il cibo, loro hanno una camera e gli viene fornito pranzo e cena, oltre alla colazione.
Ma la cosa più incredibile deve ancora arrivare…
Sono andato a leggermi le condizioni di questo “progetto Lift” e leggo che gli immigrati non possono lavorare per più di 30 ore settimanali… Io ne lavoro 40!
Siamo all’assurdo! Da domani chiunque abbia una ditta può avere manovalanza gratuita (che paghiamo noi cittadini) e non assumerà più nessuno, nemmeno un pulcioso neolaureato a 450 €, non gli conviene più. Paghiamo delle cooperative di accoglienza e gli immigrati che accolgono per prendere il nostro posto nel mondo del lavoro, e nessuno dice nulla?”.
LIBERTA’ LIBERALE E DEMOCRAZIA DI TUTTI GLI UOMINI LIBERI: TRA MATERIALISMO E SPIRITO
http://orizzonte48.blogspot.com/2015/08/perche-essi-vivono.html
Post di Francesco Maimone
PROLEGOMENI SULLA EPISTEMOLOGIA DELLA “LIBERTA’ COSTITUZIONALE” – SUO FONDAMENTO E…DIREZIONE
Accolgo di buon grado l’invito rivoltomi da Quarantotto – nell’ambito dell’amabile discussione originata come appendice a questo recente post – anche per cercare di ricondurre ad unità (come “consuetudine” del blog) frammenti di riflessione sparsi soprattutto nei commenti dei vari post (per esempio qui), e per evitare, di conseguenza, il rischio che possano disperdersi fonti e contributi. Mi perdoneranno i lettori se, per questa esigenza metodologica di “totalità” (altra “consuetudine” del blog), mi sono imposto di “prenderla un pò alla larga”, richiedendo così un pò di sforzo in più nella lettura; ma il momento storico non ammette scorciatoie di comprensione che possono, non di rado, annidarsi anche nell’esame empirico ed isolato dei vari momenti della realtà.
- Per quanto sopra, si prenderà le mosse da alcuni presupposti ontologici (ontologia in senso aristotelico, come “scienza che studia l’essere-in-quanto-essere e le proprieta che gli sono inerenti per la sua stessa natura”, così ARISTOTELE, Metafisica. Libro D, 1, 1003a-20, A. Russo, Bari, 1971] che si rinvengono nel “giovane” Marx e senza i quali, tuttavia, non può essere letto il Marx “maturo”:
“… L’uomo è un essere appartenente alla specie [Gattungswesen] non solo in quanto praticamente e teoricamente fa suo oggetto la specie, tanto la sua propria come quella delle altre cose, ma – e questa è solo un’altra espressione per la stessa cosa – anche in quanto si rapporta a sé stesso come alla specie presente, vivente, in quanto si rapporta a sé come a un ESSERE UNIVERSALE e dunque LIBERO.
La vita della specie, tanto nell’uomo quanto negli animali, consiste fisicamente anzitutto nel fatto che l’uomo (come l’animale) vive della natura inorganica, e quanto più universale è l’uomo dell’animale, tanto più universale è il regno della natura inorganica di cui egli vive. Le piante, gli animali, le pietre, l’aria, la luce, ecc., come costituiscono teoricamente una parte della coscienza umana, in parte come oggetti della scienza naturale, in parte come oggetti dell’arte – si tratta della natura inorganica spirituale, dei mezzi spirituali di sussistenza, che egli non ha che da apprestare per goderne e assimilarli – , cosi costituiscono anche praticamente una parte della vita umana e dell’umana attività.
L’uomo vive fisicamente soltanto di questi prodotti naturali, si presentino essi nella forma di nutrimento o di riscaldamento o di abbigliamento o di abitazione, ecc. L’universalità dell’uomo appare praticamente proprio in quella universalità, che fa della intera natura il corpo inorganico dell’uomo, sia perché essa 1) è un mezzo immediato di sussistenza, sia perché 2) è la materia, l’oggetto e lo strumento della sua attività vitale.
La natura è il corpo inorganico dell’uomo, precisamente la natura in quanto non è essa stessa corpo umano. Che l’uomo viva della natura vuol dire che la natura è il suo corpo, con cui deve stare in costante rapporto per non morire. Che la vita fisica e spirituale dell’uomo sia congiunta con la natura, non significa altro che la natura è congiunta con sé stessa, perché l’uomo è una parte della natura…
… IL LAVORO, L’ATTIVITÀ VITALE, LA VITA PRODUTTIVA stessa appaiono all’uomo in primo luogo soltanto come un mezzo per la soddisfazione di un bisogno, del bisogno di conservare l’esistenza fisica. MA LA VITA PRODUTTIVA È LA VITA DELLA SPECIE. E’ la vita che produce la vita. In una determinata attività vitale sta interamente il carattere di una “specie”, sta il suo carattere specifico; e L’ATTIVITÀ LIBERA E COSCIENTE È IL CARATTERE DELL’UOMO. La vita stessa appare soltanto come mezzo di vita. L’animale è immediatamente una cosa sola con la sua attività vitale. Non si distingue da essa. E’ quella stessa. L’UOMO FA DELLA SUA ATTIVITÀ VITALE L’OGGETTO STESSO DELLA SUA VOLONTÀ E DELLA SUA COSCIENZA. HA UN’ATTIVITÀ VITALE COSCIENTE…” [K. MARX, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Milano, 2018, 77-79].
1.2 Il Marx “maturo” ritornerà nel Capitale al famoso paragone tra l’ape e l’architetto, in cui è riproposto l’accento sull’attività cosciente degli uomini, attività conforme ad un télos (scopo):
“… Innanzi tutto IL LAVORO È UN PROCESSO CHE AVVIENE TRA L’UOMO E LA NATURA, in cui l’uomo media, regola e controlla CON LA SUA AZIONE IL RICAMBIO ORGANICO TRA SÉ E LA NATURA. Contrappone sé stesso, in quanto una delle potenze della natura, alla materialità di quest’ultima. Egli pone in movimento le forze naturali che appartengono al suo corpo, braccia e gambe, mani e testa, per far suoi i materiali della natura dando loro una forma utile alla sua vita. Coll’agire tramite questo movimento sulla natura esterna e col trasformarla, egli trasforma allo stesso tempo la sua propria natura. Sviluppa le facoltà che si sono addormentate, e sottomette al suo potere il giuoco delle loro forze…
Noi supponiamo IL LAVORO in una forma APPARTENENTE ESCLUSIVAMENTE ALL’UOMO. Il ragno conduce azioni che somigliano a quelle del tessitore, l’ape mette in imbarazzo molti architetti con la struttura delle sue cellette di cera. Ma quello che sin dall’inizio distingue il peggiore architetto dalla migliore delle api è il fatto che EGLI HA COSTRUITO LA CELLETTA NELLA SUA TESTA PRIMA DI AVERLA COSTRUITA NELLA CERA…
AL TERMINE DEL PROCESSO LAVORATIVO VIEN FUORI UN RISULTATO CHE, AL SUO INIZIO, ERA GIÀ IMPLICITO NEL L’IDEA DEL LAVORATORE, che perciò era già presente idealmente. Ed egli non opera soltanto un mutamento di forma dell’elemento naturale; egli contemporaneamente realizza in questo il proprio fine, DI CUI HA COSCIENZA, che determina come legge la maniera del suo agire, e al quale deve subordinare la propria volontà. E tale subordinazione non è atto sporadico. Durante l’intero svolgersi del lavoro occorre, oltre la tensione degli organi che lavorano, LA VOLONTÀ CONFORME ALLO SCOPO …” [K. MARX, Il Capitale, a cura di Eugenio Sbardella, Roma, 2016, 146].
1.3 Engels, più tardi, riprenderà il paragone per affermare che il carattere distintivo dell’uomo è l’attività conforme allo scopo per dominare la natura “… l’animale si limita a usufruire della natura esterna, e apporta ad essa modificazioni solo con la sua presenza; l’uomo la rende utilizzabile per i suoi scopi modificandola: LA DOMINA. Questa è l’ultima essenziale differenza tra l’uomo e gli altri animali, ed è ANCORA UNA VOLTA IL LAVORO CHE OPERA QUESTA DIFFERENZA…” [F. ENGELS, Dialettica della natura, in Opere, Roma, 1974, 467].
- L’uomo, quindi, è un essere universale [Gattungswesen] che, a differenza delle altre specie viventi, è privo di uno specifico “armamentario biologico” che gli consenta di sopravvivere come accade per gli animali; solo sotto tale specifico aspetto, potremmo definire l’essere umano come un Mangelwesen (un essere carente, mancante) [A. GEHLEN, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, Milano, 1983, 60].
2.1 La tesi marxiana, sul punto, risale addirittura alle origini della civiltà occidentale, ed attraversa trasversalmente la riflessione di una lunga schiera di pensatori i quali, in modi diversi, sono giunti alle medesime conclusioni. Il tema, difatti, è affrontato, tra gli altri, da Platone nel Protagora, da Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae, da Pico Della Mirandola nella Oratio de hominis dignitate, da Kant in Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, da Hegel nella Fenomenologia dello Spirito e nella Scienza della Logica, da Nietzsche in Al di là del bene e del male e da Gehlen nell’opera citata.
György Lukács, dal canto suo, nella sua monumentale Ontologia dell’essere sociale, è forse il pensatore che più di tutti è giunto, attraverso l’esame delle fondamentali categorie reali e logiche, ad un estremo e mirabile approfondimento epistemologico sul tema. Non si può che rinviare il lettore a dette opere, dal momento che sarebbe in questa sede impresa veramente ardua passare in analitica rassegna filologica i citati testi.
- Ci giovi sapere, nell’economia del discorso, che in generale mentre l’animale, con il suo bagaglio biologico, esiste in un mondo già preordinato ed al quale non può che adattarsi passivamente; gli uomini, al contrario, per sopravvivere devono attivamente costruirsi un mondo ed organizzarlo con la loro azione cosciente.
Tale azione cosciente degli uomini è rappresentata dal LAVORO, attività costituente un processo il quale – mediante la modificazione e l’appropriazione della natura – consente certamente di soddisfare un bisogno primario (la conservazione dell’esistenza fisica), ma che, allo stesso tempo – in quanto attività produttiva libera, cosciente e finalizzata – determina altresì la modificazione degli esseri umani, consentendo di appropriarsi di loro stessi, potremmo dire di “realizzarsi”: quel sentimento, come afferma Lelio Basso, “…che l’uomo ha dell’esser suo…”, di appartenersi [L. BASSO, Termine di paragone, in “Conscientia”, 9 maggio 1925, n. 19, 1].
3.1 Nel “ricambio organico” continuo e dialettico che avviene tra gli uomini (assumendo “l’umanità” come soggetto) ed il mondo esterno (“la natura” come oggetto), sarebbe interessante analizzare funditus – per le implicazioni politiche e giuridiche che ne discendono – il ruolo che gioca sia la preventiva conoscenza delle leggi naturali (con il connesso tema della “scienza”) sia lo strumento (con il correlativo tema della “tecnica”), quest’ultimo costituendo il medium indispensabile che permette agli uomini di modificare ed appropriarsi della natura, oltre che di sé stessi. Allo strumento (melius, “all’indagine sugli strumenti”) com’è intuitivo, è infatti legato il discorso sui “mezzi di produzione” (e attorno alla proprieta dei mezzi di produzione si incrociano, in base alla dottrina del materialismo storico, gli avvenimenti della storia). L’aver qui sollevato la questione funge, ancora una volta, solo da “avvertenza metodologica” preliminare, anche se la stessa questione è rinviata di necessità ad una trattazione separata.
- Sin qui, in ogni caso, si è parlato di “uomini” al plurale, e ciò per il semplice fatto che l’essere umano – contrariamente alla persistente vulgata liberista – non è mai un individuo isolato, ma è per sua natura (ontologicamente) un essere sociale, la cui essenza è l’insieme dei suoi rapporti sociali i quali – come abbiamo visto – trovano nel lavoro (come categoria reale) il loro originario principio. Marx ed Engels tratteranno tale fondamentale profilo nell’Ideologia tedesca; noi ci “accontenteremo” qui della spiegazione fornita al riguardo da Lelio Basso:
“… La società non è un dato ma un prodotto degli uomini, una creazione storica. Gli uomini lavorano – IL LAVORO È L’ATTIVITÀ FONDAMENTALE DELL’UOMO – per produrre i propri mezzi di esistenza, per soddisfare i propri bisogni elementari di vita, per riprodursi, per perpetuare la specie. I bisogni dell’uomo si accrescono ben al di là di quelli elementari e si deve lavorare per soddisfare ai bisogni sempre nuovi e crescenti; si devono approntare gli strumenti che permettono di soddisfare questi bisogni. Tutto questo insieme di lavoro, di attività umana è la storia o, se si preferisce, la storia dell’uomo è la storia di quella attività – Marx la chiama PRAXIS: attività collettiva degli uomini riuniti che producono e riproducono sé stessi e i mezzi per soddisfare ai bisogni crescenti dell’umanità.
Questa storia è la dimensione reale dell’uomo, della società, poichè non esiste possibilità, per Marx, di intendere l’uomo e di intendere la società se non in questo processo storico, in questo divenire continuo, in questa trasformazione continua, in questa prassi, in questo lavoro che crea continuamente una società, la rinnova e fa nascere i rapporti che legano gli uomini tra di loro, le istituzioni, le idee e tutte le forme, tutte le manifestazioni della vita umana che sono tutte manifestazioni dell’uomo.
GLI UOMINI, INFATTI, LAVORANDO PER SODDISFARE I PROPRI BISOGNI, NON LAVORANO SOLTANTO SULLA NATURA, MA ANCHE SU SE STESSI perché lavorano collettivamente, collaborano, scambiano tra di loro le cose che sono necessarie a soddisfare i bisogni, entrano tra loro in rapporti, in relazioni determinate dalle situazioni in cui si trovano; in questo lavoro, in questa prassi collettiva nasce tutta una serie di rapporti tra gli uomini, di rapporti sociali, di rapporti di produzione, cioè rapporti diretti alla produzione dei beni necessari, degli oggetti necessari, delle idee che son necessarie agli uomini. È l’insieme di questi rapporti, che in un determinato momento della storia, formano l’insieme della società; LA SOCIETÀ NON È ALTRO CHE QUESTA SERIE DI RAPPORTI SOCIALI CHE LEGANO GLI UOMINI E CHE È IL PRODOTTO DEL LAVORO… DELLO SFORZO RECIPROCO DEGLI UOMINI, DEGLI UNI VERSO GLI ALTRI. Questa società si modifica attraverso il processo storico a seconda che si modificano i rapporti tra gli uomini, dando vita, di volta in volta, a delle formazioni sociali diverse che si differenziano l’una dall’altra, che si caratterizzano a seconda del modo come è organizzato questo sforzo collettivo per produrre, per lavorare, per creare.
Nel corso della storia Marx ha individuato diverse formazioni economico-sociali: quella asiatica, quella antica, quella feudale, quella borghese; ma si è, naturalmente, soffermato in modo particolare a studiare quella che gli era contemporanea, cioè la società capitalistica ….” [L. BASSO, La sociologia marxista, sviluppo in Italia e attuali problemi, Roma, Istituto per gli studi di servizio sociale, 1966, 85-104].
4.1 Il lavoro, di conseguenza, come attività conforme ad uno scopo, come costruzione cosciente del futuro, come “progetto collettivo” (Castoriadis), non è altro che la storia, trasformazione della natura ad opera degli uomini e insieme autocreazione degli uomini e della società. La storia, in sintesi, “… non è altro che l’attività dell’uomo che persegue i suoi fini …” [K. MARX, la Sacra famiglia, in Opere, IV, Roma, 1972, 103].
E la ragione di ciò è evidente: “… in quanto ente naturale generico, l’uomo non è geneticamente prefissato a dar luogo a una e una sola forma di oggettivazione sociale… L’ente naturale generico, cioè la Gattungswesen, che costituisce l’uomo come essere inscindibilmente naturale e sociale, permette all’uomo la storicità, che non è soltanto l’infinita produzione di configurazioni storiche e sociologiche diverse, ma è anche il luogo della perdita e del ritrovamento di se stesso…” [C. PREVE, Marx inattuale. Eredità e prospettiva, Torino, 2004, 160]. Da questo punto di vista, gli animali, a differenza degli uomini, non hanno e non fanno “una storia”.
4.2 Quanto sin qui detto ci è servito da collegamento retrospettivo/integrativo con il fine di ribadire e mettere ulteriormente in risalto che, quando si parla di “alienazione”, ciò che quella società “borghese-capitalistica” studiata da Marx ha alienato – attraverso la moderna divisione del lavoro – è l’essenza umana generica da intendersi come “potenza creatrice”, intervenendo sul lavoro per mercificarlo e, in definitiva, riducendo a merce l’intera vita sociale che nel lavoro trova il suo principio originario. Il tema è stato di recente sviscerato da Bazaar ed Arturo in precedenti post su alienazione e feticismo, con relativa appendice, ai quali integralmente si rinvia.
4.2 Ci basti qui rammentare che gli “effetti estranianti” aventi ad oggetto l’attività lavorativa ed oggigiorno accettati acriticamente come “naturali”, possono così essere sintetizzati:
“… Poiché il lavoro estraniato rende estranea all’uomo 1) la natura e 2) l’uomo stesso, la sua propria funzione attiva, LA SUA ATTIVITÀ VITALE, rende estranea all’uomo la specie; fa della vita della specie un mezzo della vita individuale. In primo luogo il lavoro rende estranea la vita della specie e la vita individuale, in secondo luogo fa di quest’ultima nella sua astrazione uno scopo della prima, ugualmente nella sua forma astratta ed estraniata…” [K. MARX, Manoscritti economico-filosofici del 1844, cit., 78].
Se agli uomini viene estraniata la loro “attività vitale”, quanto li caratterizza in senso ontologico, cioè “… la manifestazione della [loro] propria vita…”, se, con le parole di Hegel, il loro spirito diviene altro da sé nell’oggettività, poiché lo scopo del loro agire è esterno e soltanto barattabile con una certa quantità di denaro, se l’unica cosa che gli uomini producono per loro è il salario (peraltro, fissato a livelli sempre più infimi), se il loro è in definitiva un lavoro “astratto”, non si può più dire che gli uomini “si appartengono”. Per rendere in modo icastico il concetto, possiamo dire con Marx che “… Se il baco da seta dovesse tessere per campare la sua esistenza come bruco, sarebbe un perfetto salariato…”.
- Ora, abbiamo delineato in modo molto sommario la struttura teleologica della categoria reale “lavoro”, ovvero la sua triadicità tra scopo posto, indagine sui mezzi e scopo realizzato. Resta però da definire, come sopra anticipato, qual è lo scopo che conferiscono (o debbano conferire) gli uomini alla loro attività. L’interrogativo non è fine a sé stesso e non costituisce una mera esercitazione speculativa, ma è strettamente collegato all’indagine concreta sul modo in cui, da un certo momento storico in poi, una data comunità (nella fattispecie, quella italiana) ha inteso organizzare in forma giuridica (vincolante) la propria convivenza come società, ossia ha deciso di fare la propria “storia”.
Il fatto che, sull’argomento, l’analisi marxiana – giova dirlo subito – coincida con l’indirizzo fondamentale e necessitato contenuto nella Costituzione italiana, non fa che accrescere i meriti in capo ai nostri Costituenti i quali avevano in mente un concetto di “LIBERTÀ” (perché di questo in fondo si tratta) affatto diversa da quella sbandierata nei secoli dal rozzo liberalismo.
5.1 Possiamo dire che Marx vede lo scopo generale, o più propriamente, questa tendenza generale dell’attività degli uomini, nel LIBERO SVILUPPO DELLA PERSONALITÀ DI TUTTI E DI CIASCUNO, ovvero nella realizzazione della potenzialità (dynamei on, con Aristotele) contenuta nell’essere umano, tanto che non è eccessivo affermare – supportati dalla seguente analisi filologica – che il pieno sviluppo della personalità è il motivo costante di tutta la sua esistenza e della sua opera: “… Un’associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti”, affermava Marx nel Manifesto.
5.2. Nei Grundrisse lo stesso scriveva altresì che “… LA LIBERA individualità, fondata sullo sviluppo universale degli individui e sulla subordinazione della loro produttività collettiva, sociale, quale loro patrimonio sociale, costituisce il terzo stadio…”, ovvero la società post borghese (post €uropeista e post globalista). Nel Capitale si preannunciava “… una forma superiore di società il cui principio fondamentale sia lo sviluppo pieno e LIBERO di ogni individuo…”, una “… educazione dell’avvenire…per produrre uomini di pieno e armonico sviluppo…”.
Ancora nel Capitale Marx ha sostenuto che “la libertà può consistere soltanto in ciò, che l’uomo socializzato, cioè i produttori associati, regolano razionalmente questo loro ricambio organico con la natura…eseguono il loro compito… nelle condizioni più adeguate alla loro natura umana e più DEGNE DI ESSA. Ma questo rimane sempre un regno della necessità. Al di là di esso comincia lo sviluppo delle capacità umane, CHE È FINE A SÉ STESSO, IL VERO REGNO DELLA LIBERTÀ…”.
5.3 Un vero e proprio inno, infine, è contenuto sempre nei Grundrisse, il cui passo è utile riportare:
“… una volta cancellata la limitata forma borghese, che cosa è la ricchezza se non l’universalità dei bisogni, delle capacità, dei godimenti delle forze produttive, ecc, degli individui, creata nello scambio universale? Che cosa è se non il pieno sviluppo del dominio dell’uomo sulle forze della natura, sia su quelle della cosiddetta natura, sia su quelle della propria natura? Che cosa è se non L’ESTRINSECAZIONE ASSOLUTA DELLE SUE DOTI CREATIVE, senza altro presupposto che il precedente sviluppo storico, che rende fine a sé stessa questa totalità dello sviluppo, cioè dello sviluppo di tutte le forze umane come tali, non misurate su di un metro già dato?
Nella quale l’uomo non si riproduce in una dimensione determinata, MA PRODUCE LA PROPRIA TOTALITÀ? Dove non cerca di rimanere qualcosa di divenuto, ma è nel movimento assoluto del divenire? Nell’economia politica borghese — nella fase storica di produzione cui essa corrisponde – questa completa estrinsecazione della natura interna dell’uomo si presenta come un completo svuotamento, questa universale oggettivazione come ALIENAZIONE TOTALE, E LA ELIMINAZIONE DI TUTTI GLI SCOPI DETERMINATI UNILATERALI COME SACRIFICIO DELLO SCOPO AUTONOMO a uno scopo completamente esterno…”.
5.4 Perciò R. Rosdolsky ha potuto sostenere che il Capitale (come in fondo tutta l’opera di Marx):
“… nacque dallo sforzo sia di indagare la struttura interna e le leggi di movimento del modo di produzione capitalistico, sia di fornire la prova della possibilità e necessità del grande “salto quantitativo” destinato a sopprimere “l’autoalienazione” umana e a rendere gli uomini “coscienti ed effettivi padroni della natura, perché e in quanto PADRONI DELLA PROPRIA ORGANIZZAZIONE SOCIALE” (Engels) …” [R. ROSDOLKY, Genesi e struttura del “Capitale” di Marx, Bari, 1971, 478].
Lelio Basso, a chiarimento, aggiungeva che “… quel che interessa principalmente Marx e chiunque voglia camminare sulle sue orme, nello studio di questo processo di disumanizzazione… è IL GIOCO DI PROCESSI SOCIALI E PSICOLOGICI CHE METTONO L’UOMO IN CONDIZIONI DI NON POTER PADRONEGGIARE COSCIENTEMENTE IL PROCESSO LAVORATIVO, perché gli mistificano la coscienza, e gli capovolgono l’immagine della realtà, impedendogli di afferrare i nessi reali, i rapporti umani, la natura effettiva dei processi che gli rimangono misteriosi nel loro contenuto reale, mentre le loro manifestazioni fenomeniche sembrano naturali ma indipendenti dalla sua volontà e pertanto sottratte a qualsiasi possibilità di suo controllo: leggi che dominano la sua vita…” [L. BASSO, Socialismo e rivoluzione, cit., 61].
5.5 Per fugare interpretazioni fantasiose e dogmatiche, deve perciò rimarcarsi che lo specifico proposito dell’analisi scientifica di Marx è quello di “… scoprire e spiegare un meccanismo economico e i suoi limiti che perpetuano un rapporto disumano, un rapporto di universale mistificazione, e di indicare i modi che ne consentano il superamento al fine di istituire UN RAPPORTO SOCIALE NUOVO E PIÙ UMANO …” [P. VRANICKI, Storia del marxismo, I, Roma, 1971, 177]. Pertanto, il marxismo, come chiarito da Basso, “… non è una filippica morale contro la società capitalistica…” [L. BASSO, La sociologia marxista, cit.], ma– come abbiamo evidenziato altrove (v. commenti) – “… “lo smascheramento di questa mistificazione ideologica e la dimostrazione del carattere “storico e transitorio” delle strutture e sovrastrutture in genere, e in particolare di quelle del capitalismo” per una completa “riumanizzazione” intesa da Basso come “controllo cosciente condotto secondo un piano, la relizzazione del progetto, la finalizzazione della prassi”. Il recupero cosciente e pragmatico dell’essenza umana generica (alienata): solo in questo quadro possono assumere significato espressioni oramai desuete e tuttora incomprese (proprio nell’ambito della nutrita schiera dei “marxisti” della domenica) come “coscienza di classe” e “lotta di classe” nel significato fatto proprio dal pensatore di Treviri.
5.6 Il problema fondamentale, allora, si risolve nel dominio delle forze produttive, nella costruzione libera e cosciente del futuro da parte della collettività umana, nel controllo cosciente dei processi sociali, tanto da farci affermare che “… la RIVOLUZIONE esprime … il bisogno radicale di SOTTOMETTERE LE CONDIZIONI DI VITA AL POTERE CONSCIO DELL’UOMO CHE LE AVEVA DETERMINATE…” [S. AVINERI, Il pensiero politico e sociale di Marx, Bologna 1972, 189].
Demistificazione ideologica delle strutture e delle sovrastrutture, presa di coscienza della cosificazione dell’essere umano e della sua potenza creativa, riappropriazione di sé, pieno sviluppo della personalità dell’uomo: ecco la sequenza che porta al “REGNO DELLA LIBERTÀ”. E, si badi, in sintonia con il pensiero di Federico Caffè, questa “… non è semplicemente una visione di abbondanza economica o di sicurezza sociale…Alla fine della sua vita, attraverso il “sudiciume economico” in cui sguazzò così coscienziosamente e malvolentieri, Marx rimase il filosofo, l’apostolo e il predicatore della libertà … Dominare la natura e vincere l’alienazione umana, in questi traguardi vi è la chiave della libertà dell’uomo…” [E. KAMENKA, L’umanesimo marxista e la crisi dell’etica socialista, in E. FROMM, L’umanesimo socialista, Milano, 1975, 141-143].
- Basterà brevemente aggiungere a questo punto che il significato del termine “libertà” sopra delineato è del tutto antitetico rispetto a quello che ha sempre avuto ed ha per i “liberali”, ove esso – per tutti, da Locke ad Hayek, passando per i loro attuali epigoni €uro-globalisti – si identifica esclusivamente con la libertà dei proprietari (quindi di una ristretta oligarchia) e con la corrispondente sfera di attività riconosciuta all’individuo, come tale inviolabile da parte dello Stato il quale, in quella sfera di attività, deve intromettersi il meno possibile (c.d. libertà negativa, quindi associata ad un “regime autoritario” che “si connota come Stato minimo monoclasse”, cfr p. 2).
6.2 La libertà in senso socialista corrisponde, al contrario, alla “… partecipazione cosciente e libera al dominio collettivo sul processo di costruzione del futuro comune, in una società necessariamente libera dal dominio di classe …” [L. BASSO, Socialismo e rivoluzione, cit., 98] e, quindi, in senso stretto alla libertà in senso costituzionale così come consacrata nel principio fondamentale di cui all’art. 3, comma II, Cost.: “… La libertà non è data dal fatto che la collettività non si interessi di me e mi lasci fare. La libertà è che io possa vivere nella collettività esplicando il massimo della mia personalità. È una concezione completamente diversa che porta a tutta una serie di conseguenze anche in sede pratica, politica, legislativa circa la posizione dell’uomo nel mondo e risponde, a mio parere, a una visione più profonda dell’uomo…” [L. BASSO, La sociologia marxista, cit.].
6.3 E la “Libertà” come tutela del diritto eguale di tutti all’affermazione della propria personalità (cioè l’esigenza del socialismo come della nostra Costituzione) implica “… innanzi tutto la libertà dalla miseria, la libertà dall’ignoranza, la libertà dallo sfruttamento altrui, in una parola il godimento delle massime condizioni di benessere materiale e spirituale compatibili con la possibilità di un analogo godimento da parte degli altri…”, ovvero l’uguaglianza sostanziale che “… non consiste nell’essere tutti simili.
Al contrario.
L’eguaglianza per tutti gli uomini è di avere ciascuno a propria disposizione tutte le cose che essi possono desiderare per svilupparsi. Ciascuno ne profitterà secondo la sua propria misura. L’eguaglianza sarà realizzata il giorno in cui nessuno sarà più limitato nei suoi bisogni di espansione. Quel giorno, con l’eguaglianza, vi sarà del pari la libertà, poiché ciascuno sarà invitato ad essere liberamente tutto ciò che vuole, tutto ciò che può essere…” [L. BASSO, Socialismo e libertà, in Esperienze e studi socialisti. Scritti in onore di Guido Mondolfo, Firenze, 1957, 137-144].
- Una Libertà, quella costituzionale, la cui realizzazione – come sanno i lettori del blog – è palesemente disattesa e frustrata da decenni inseguendo il sogno della pac€, tanto da far affermare con toni amari a Lelio Basso già negli anni ’70 (e non a caso)
“… Noi abbiamo scritto – in modo particolare io, che fui relatore all’Assemblea Costituente sulla prima parte della Costituzione – un articolo 3, secondo il quale ogni lavoratore deve diventare partecipe cosciente e responsabile della gestione della vita collettiva. Io sapevo però che scrivevamo una cosa che non era vera, e il fatto di averla inserita nella Costituzione italiana porta a dire che la nostra Costituzione è basata essenzialmente su una menzogna, in quanto afferma che l’Italia è un paese democratico, mentre non lo è, perché non consente che si realizzino le condizioni all’uomo necessarie, PERCHÉ CIOÈ NON DÀ AGLI UOMINI LA POSSIBILITÀ DI ESSERE COSCIENTI E RESPONSABILI, perché ripeto, lascia sopravvivere un sistema che sottopone gli uomini a questi poteri impersonali e lontani, potremmo ormai dire kafkiani…” [L. BASSO, Intervento in Il marxismo come strumento di autoliberazione delle masse (Roma 31 maggio 1972), in “Idoc Internazionale”, 15 giugno-1 luglio 1972, n. 12/13, 50-54];
- Da tutto quanto detto sin qui alla comprensione profonda del perché Basso fosse così geloso della sovranità popolare (almeno quanto dovrebbe esserlo tutto il Popolo italiano) il passo è veramente breve: rivendicare la sovranità (art. 1 Cost.) significa rivendicare quella “Libertà”, cioè quella possibilità per tutti i cittadini e ciascuno di “esplicare il massimo della propria personalità” partecipando in modo “cosciente e responsabile alla gestione della vita collettiva”.
Questa è quella che noi definiamo (e che è affermata dalla Costituzione) “DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE”, una democrazia nella quale non ci sia opposizione individuo-collettività (come nelle farneticazioni dei liberali), ma nella quale vi sia una compresenza, una compenetrazione, un rapporto dialettico permanente, una democrazia che permetta di dire finalmente, con Piero Calamandrei, che “Lo Stato siamo noi”.
- Orbene, è certamente vero, a questo punto, che il libero sviluppo delle forze umane, secondo i principi richiamati, è una tendenza immanente alla storia, e ne costituisce una spinta interna che deve continuamente vincere gli ostacoli rinascenti che lo stesso processo storico oppone sotto forma di disumanizzazione; ma è altresì vero – come opportunamente avvertito da Quarantotto – che esso:
“… rimane comunque un esito che dipende da una conquista necessaria: quella coscienziale, storica, sì, ma da questa base inevitabile, diretta a una riflessione trascendente” (qui nei commenti).
In quella sede, difatti, veniva ricordato come Basso evidenziasse che l’idea di libertà “sia alcunché di interiore all’uomo” e che “la coscienza umana sia la sola fonte …”, configurandosi in fondo la vera libertà come una “esigenza spirituale”. Affermazioni apparentemente scandalose, queste, che farebbero di sicuro strabuzzare gli occhi dei “liberali” con il loro individualismo metodologico e con il loro ordine spontaneo, sempre pronti ad etichettare i citati principi marxiani (e costituzionali) ora come “realismo ingenuo” e “storicismo”, ora come “scientismo positivista” [si veda in tal senso HAYEK in L’abuso della ragione, Roma 2008], perennemente incapaci – nella loro innata (ed interessata) superficialità – di distinguere tra metodo e merito.
9.1 Su quest’ultimo punto bisogna fare chiarezza. Come sotenuto da Lukàcs “… il marxismo non significa una accettazione acritica dei risultati della ricerca marxiana, non significa un “atto di fede” in questa o in quella tesi di Marx, e neppure l’esegesi di un libro “sacro”.
Per ciò che concerne il marxismo, l’ortodossia si riferisce esclusivamente al METODO. Essa è la convinzione scientifica che nel marxismo dialettico si sia scoperto il corretto metodo della ricerca”, metodo che ci proibisce di guardare i fatti frazionati, atomizzati, non connessi in una totalità; “… solo operando questa connessione, nella quale i fatti singoli della vita sociale vengono integrati in una totalità come momenti dello sviluppo storico, diventa possibile una conoscenza dei fatti come conoscenza della realtà…come processo unitario…” [G. LUKÀCS, Storia e coscienza di classe, Milano, 1967, 1-12].
9.2 Il “merito”, e quindi “la direzione” cui sopra si è fatto riferimento, è invece tutt’altra faccenda e lo si ricava ancora in modo inequivocabile dalle parole di Basso:
“… Ov’è dunque la vera realtà del socialismo? Forse nelle previsioni scientifiche del suo ineluttabile trionfo? Forse nelle leggi dell’immiserimento crescente, del concentramento crescente e via discorrendo? Ovvero nella vivacità, che pur dura, dei contrasti economici? O piuttosto nella fatalità del progresso che mena diritto alla realizzazione dell’assoluta Eguaglianza, della perfetta Giustizia? Nulla di tutto questo. La realtà del socialismo è NELLA COSCIENZA dei proletari che sentano nell’interiorità propria l’antitesi fondamentale che divide la società e in cui oggi s’incarna l’immanente tragicità della storia, ed abbiano la volontà di superare quest’antitesi per salire più in alto. Ora questa volontà è un atto di fede, è la religiosità del socialismo…
…il socialismo è coscienza dell’antitesi che lacera la società presente e volontà di superarla. E NULLA PIÙ. Solo se inteso così, il socialismo cesserà di essere, come presso gli utopisti, una bella idea di filantropi che vogliono aiutare i poveri, ma diverrà sforzo di proletari che si aiutano da sé; solo se inteso così il socialismo potrà sbugiardare la sfrontata ipocrisia della beneficenza borghese e proclamare che la prima conquista morale è la conquista della dignità umana; solo se inteso così, il socialismo potrà essere strumento di ELEVAZIONE SPIRITUALE delle masse che trovò bestie e farà degli uomini, in quanto li animerà dell’alito divino della fede…” [L. BASSO, Socialismo e idealismo, in Quarto Stato, 10 aprile 1926, n. 3, 3].
9.3 Ma in che cosa consiste quest’afflato religioso, questo “alito divino della fede” e questa “elevazione spirituale” in bocca ad un marxista?
Un Lelio Basso sicuramente inedito ce lo spiega:
“… se la storia ha da essere dialettica, questa realizzazione dello spirito divino altrimenti non saprebbe concepirsi se non come vittoria su Satana. E perciò direi io che l’elemento satanico è sempre immanente alla storia; è in fondo la nostra natura stessa, in quanto natura di essere limitati, finiti, legati quindi al particolare e al transeunte, e che pure è tratta a porsi sempre come assolutezza, eternità, necessità. Epperò la storia dovrebbe intendersi – questo è, per me, il grande insegnamento di Marx – come continuo sforzo di redenzione da tale elemento diabolico insito in noi, ch’è poi il peccato originale; e questa volontà di superare sé stessi è l’elemento divino, che pure è in noi, immanente anch’esso come trascendenza…
…la storia è la sintesi di questo eterno conflitto, conflitto che si risolve tuttavia colla progressiva sconfitta dell’elemento satanico, cioè col continuo superamento di tutto che v’ha di accidentale, imperfetto, erroneo, contraddittorio, ad opera della volontà divina, della volontà che noi abbiamo di conquistarci una più alta realtà.
E appunto per questo, ben può dirsi che la storia sia, in ultima analisi, progressiva realizzazione della volontà divina: realizzazione che non potrebbe essere mai compiuta se non a patto di uccidere Satana, cioè di porre un termine alla storia, che è la sola e vera realtà…” [L. BASSO, La polemica sull’idealismo. Primo bilancio, in Quarto Stato, 24 luglio 1926, n. 18, 3].
- Si può essere o meno d’accordo con la “direzione trascendente” propostaci da Basso così come ognuno può vestire quella “direzione trascendente” con l’abito che più gli aggrada.
Ciò che invece dev’essere definitivamente fugata è la rozza identificazione tra principi socialisti e materialismo “volgare” (così sempre Lukàcs).
In tal senso, anzi, possiamo asserire che è proprio “… il materialismo la tipica filosofia borghese. È strano come tutti coloro che strepitano contro l’idealismo reazionario non si siano accorti che il materialismo è la espressione quintessenziale della Weltanschaunung borghese.
Lo stesso Marx definiva la filosofia borghese come la più alta forma del materialismo e ci teneva a distinguere ben chiaramente la sua concezione sociale e storicistica – che è la negazione in termini del materialismo – da questa filosofia borghese…” [L. BASSO, La polemica sull’idealismo. Primo bilancio, cit.].
10.1. E allora è il caso di lasciare proprio a Marx l’ultima parola a conclusione di questa esposizione.
Nei Dibattiti sulla legge contro i furti di legna, lo stesso, nell’esporre lo scarto esistente tra diritto consuetudinario e rigore freddo della legge nella realtà tedesca dell’epoca, ne tratteggiava il nucleo essenziale nella difesa della proprietà e degli interessi privati, a fronte dell’immiserimento della popolazione inscritto in quello che definiva come “abbietto materialismo”:
“… Questo materialismo abbietto, questo peccato contro lo spirito santo dei popoli e della umanità è una conseguenza immediata di quella dottrina che la Prussiana gazzetta di Stato predica al legislatore: per una legge sulla legna pensare solo alla legna e alla foresta e non sciogliere i singoli problemi materiali politicamente, cioè non in relazione all’intero senso morale dello Stato…”.
Invano si cercherebbe nell’”abbietto materialismo” dei “liberali” (e nella “… economia classica che è intimamente legata ad esso…”, così G. LUKÀCS, Storia e coscienza di classe, cit., 5] una “direzione” che non coincida in tutto con l’estraniarsi degli uomini nelle cose, così “… da comportarsi, di fronte ai loro prodotti, in modo da perdere il controllo dei loro reciproci rapporti, per cui questi li rendono autonomi di fronte ad essi e la potenza della loro vita acquista la supremazia su di essi…” [K. MARX – F. ENGELS, Ideologia tedesca, cit.]. Ma questa, d’altronde, è da sempre la “loro” libertà.
http://orizzonte48.blogspot.com/2018/08/liberta-liberale-e-democrazia-di-tutti.html
LA LINGUA SALVATA
Gli errori grammaticali più frequenti degli italiani
Ecco gli strafalcioni che commettiamo più spesso, e che ci fanno fare la figura degli ignoranti.
Di Redazione
27/08/2018
Pultroppo siamo daccordo che avvolte sarebbe profiquo ripassare un pò l’italiano.
La frase potrebbe essere uno degli indovinelli della Settimana Enigmistica tipo “scova l’errore”. Eppure merita qualche attenzione in più, perché vi sono racchiusi alcuni dei tipici strafalcioni che non solo quanti studiano la nostra come seconda lingua, ma anche noi “italianissimi” commettiamo ogni giorno.
Scrivere e parlare correttamente l’italiano non è solo roba da Accademia della Crusca, noiosi topi di biblioteca e boriosi radical chic; si tratta infatti di apprendere lo schema di pensiero che ne è alla base, e quindi, di dominare il linguaggio in modo da comprendere, valutare e utilizzare in piena autonomia le informazioni che attraverso esso scambiamo. Una sfida che nel nostro paese dovremmo cercare di affrontare con più decisione, dato che il 28% della popolazione è analfabeta funzionale, ovvero, pur avendo ricevuto una educazione scolastica di buon livello, nel corso del tempo ha perso la capacità di comprendere un testo scritto; quasi un italiano su tre non saprebbe dunque interpretare il bugiardino dell’aspirina, il testo di una multa, o un qualsiasi documento legale.
Se è necessario migliorare questa cattiva performance, che arriva perfino a penalizzare la nostra economia, bisogna però anche ammettere che la nostra è una lingua piuttosto complessa, soprattutto per la sua grande ricchezza grammaticale. Tanto è vero che, secondo una ricerca condotta nel 2017 da Libreriamo in occasione della Settimana della Lingua Italiana del mondo, tendiamo a fare sempre gli stessi errori, che riguardano le regole grammaticali più difficilmente comprensibili.
I grandi nemici da affrontare per l’italiano medio, che è a disagio a utilizzare questi costrutti, sono almeno sei: il congiuntivo (69%), l’apostrofo (68%), l’uso dei pronomi (65%), l’uso della “c” o della “q” (58%), una corretta punteggiatura (41%) e l’uso della “d” eufonica (35%).
Imparare le regole (e le onnipresenti eccezioni) può richiedere un po’ di tempo, ma un’occhiata veloce agli errori più comuni che commettono gli italiani è già utile per farsi un’idea di quanto sia grave la malattia. Ecco allora la lista delle parole e dei costrutti che vengono sbagliati più spesso.
Gli apostrofi (che in generale si mettono ogni qual volta vengano omesse una o più lettere alla fine delle parole):
- Un amico e un’amica
2. Qual è – vietatissimo aggiungere l’apostrofo dopo qual
3. Un po’
4. Un altro e un’altra
5. Qualcun altro
6. Non ce ne è abbastanza per tutti
7. Non c’è altro da fare
La “d” eufonica (ovvero: che produce un bel suono. Viene inserita dopo le particelle “e” e “a”, quando la parola che precedono inizia per LA STESSA vocale)
- Vado ad Amburgo ma vado a Oxford
9. Sei bello ed eccezionale ma sei bello e affascinante
I pronomi (in particolare i femminili, che creano più problemi)
- Le ho telefonato per dirle che era davvero splendida ieri sera, NON gli ho telefonato per dirgli che era davvero spledida ieri sera, se abbiamo chiamato Carla).
Le espressioni “unite” nella lingua parlata, ma che devono rimanere ben separate nella lingua scritta:
- A parte, NON apparte
12. A volte, NON avvolte (che è il participio passato plurale femminile di avvolgere)
13. D’accordo, NON daccordo
14. Piuttosto che e più tosto, e hanno due significati differenti. Molto differenti.
15. A posto, NON apposto
16. A parte, non apparte
17. Dappertutto, NON d’appertutto o dapertutto
- Proprio, NON propio
19. Cerebrale, NON celebrare (se si intende l’aggettivo di cervello)
20. Purtroppo, NON pultroppo
https://www.esquire.com/it/lifestyle/passioni/a22823470/errori-italiano-piu-frequenti/
PANORAMA INTERNAZIONALE
Pedofilia, la lettera di Viganò rischia di diventare un manifesto per i nemici di Papa Francesco
29 agosto 2018 – Francesco Antonio Grana, VATICANISTA
Se monsignor Carlo Maria Viganò fosse stato nominato cardinale da Papa Francesco avrebbe scritto un durissimo atto di accusa contro Bergoglio chiedendone perfino le dimissioni? La domanda è più che legittima visto che quando, nel 2012, scoppiò lo scandalo Vatileaks 1 con la pubblicazione di alcuni documenti riservati di Benedetto XVI passati ai giornalisti dal suo maggiordomo, Paolo Gabriele, emerse proprio che Viganò era profondamente deluso per non essere diventato cardinale presidente del governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Delusione che, con l’elezione di Bergoglio, un Papa latinoamericano, si era tramutata nella speranza che quella porpora sarebbe finalmente arrivata per Viganò mandato, intanto, da Ratzinger nunzio a Washington.
Il durissimo atto di accusa del diplomatico vaticano rischia di diventare un vero e proprio “manifesto” di tutti coloro che nelle gerarchie ecclesiastiche sperano di archiviare presto questo pontificato. Il gesto del nunzio, infatti, rischia di essere emulato da quanti, cardinali e vescovi, coltivano una forte avversione verso Francesco e le sue scelte di governo. Viganò ormai non può più tornare indietro e può, dunque, diventare il regista di questi attacchi contro Bergoglio.
Molto fragile, per non dire goffa, è stata la campagna pro Papa messa subito in atto da coloro che, da tempo, si sono autonominati portavoce papali. Addirittura cercando di edulcorare le gravissime accuse di Viganò sostenendo che, nel 2013, Bergoglio sarebbe stato informato da lui soltanto, per usare un eufemismo, di abusi sessuali su maggiorenni da parte dell’ex cardinale di Washington Theodore McCarrick. Quasi come se già questi non fossero dei crimini gravissimi per lo più compiuti da uno dei massimi esponenti della Chiesa negli Stati Uniti. Tra l’altro nella sua lunga denuncia Viganò non precisa se abbia detto a Francesco che McCarrick era pedofilo come poi è emerso con chiarezza recentemente.
Ma il Papa non lo si difende certamente così. Lui stesso con i giornalisti che gli chiedevano un commento ha tagliato corto: “Leggete voi, attentamente, il comunicato e fate voi il vostro giudizio. Io non dirò una parola su questo. Credo che il comunicato parla da se stesso, e voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni. È un atto di fiducia: quando sarà passato un po’ di tempo e voi avrete tratto le conclusioni, forse io parlerò. Ma vorrei che la vostra maturità professionale faccia questo lavoro: vi farà bene, davvero. Va bene così”.
Una risposta che ancora una volta ha dimostrato il grande equilibrio di Francesco che sul tema del contrasto alla pedofilia non deve prendere lezioni da nessuno. In oltre cinque anni di pontificato i suoi gesti, prima ancora delle sue parole, hanno reso sempre più concreta la linea della tolleranza zero sugli abusi sessuali su minori da parte di preti, vescovi e cardinali. Con una lunga e importante serie di mea culpa, come avvenuto anche durante il recente viaggio in Irlanda, e di incontri con le vittime dai quali il Papa ha tratto, come lui stesso ha affermato, tanti preziosi insegnamenti per il futuro.
Fa di certo molta tenerezza chi fino a ieri lodava gli “innegabili risultati di moralizzazione” attuati da monsignor Viganò e oggi lo condanna con estrema durezza. Il curriculum ecclesiastico del nunzio è di tutto rispetto e il giudizio che tanti suoi colleghi hanno sempre avuto di lui non è mai stato negativo. Anche quando, nel 2012, entrò violentemente in contrasto con l’allora Segretario di Stato vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone. Nelle sue pagine c’è sicuramente tanto rancore, forse anche un sentimento di vendetta per non aver visto riconosciuti i suoi meriti e il suo servizio alla Santa Sede come avrebbe voluto. Ma c’è anche tanta sofferenza perché è difficile credere che un nunzio apostolico a 77 anni attacchi il Papa e la Chiesa a cuor leggero.
Chi lo condanna oggi crocifiggendolo nella gogna mediatica ne fa un martire più che un traditore. E ignora, o fa finta di ignorare, che Viganò ha almeno avuto il coraggio di metterci la faccia. Tanti cardinali e vescovi la pensano molto peggio di lui, ma si chinano ipocritamente a baciare la mano del Papa. Non a caso Francesco ha sempre ribadito che più che gli oppositori teme gli adulatori. Il rischio concreto è che la denuncia del nunzio sia l’inizio di Vatileaks 3, dopo la seconda edizione andata in onda proprio durante il pontificato di Bergoglio, nel 2015, con la pubblicazione di numerosi documenti riservati sulle finanze vaticane. Ma il Papa continuerà serenamente la sua opera di riforme. Nonostante gli oppositori e soprattutto gli adulatori.
Putin licenzia 15 generali
29.08.2018
Vladimir Putin con un decreto ha licenziato 15 generali in varie posizioni.
Tra i generali licenziati ci sono i direttori generali della protezione civile russa per la regione di Tomsk, Mikhail Begun, per la regione di Murmansk Vladimir Gusev e per la regione di Sakhalinsk Denis Ilynov.
Inoltre, il presidente ha fatto rimpasti di personale nel sistema del Ministero degli affari interni. Sono stati licenziati il capo del Ministero degli Interni della Russia nella regione di Brjansk Valentin Kuzmin e il Ministero degli Affari Interni della regione di Ulyanovsk Yuri Varchenko, nonché capo del Dipartimento di IT, comunicazioni e protezione delle informazioni del Ministero degli Affari Interni Sergey Lyashenko.
Il capo dello Stato ha licenziato vice capo del Ministero degli Interni della regione di Nizhny Novgorod Grigory Tkachenko, capo del Ministero degli Interni della regione di Saratov Andrey Boyko e il Vice Ministro degli Interni nella regione di Kemerovo Igor Korshunov.
Ha lasciato il suo lavoro il capo del comitato investigativo della Russia per la regione di Kemerovo Sergey Kalinkin, così come il primo vice capo del Dipartimento Militare Investigation del TFR nel Sud Distretto Militare Dmitry Vasilyev.
Hanno lasciato i loro posti i direttori dei tre dipartimenti della Repubblica Komi Igor Benaia, della regione di Volgograd Pavel Radchenko e la regione di Omsk Sergei Koryuchin.
Il presidente ha nominato il luogotenente generale della polizia Oleg Torubarov, che in precedenza era a capo del Ministero degli affari interni del territorio di Altai, a capo del Ministero degli affari interni della Russia nella Repubblica di Crimea.
https://it.sputniknews.com/mondo/201808296425118-Putin-licenzia-15-generali/
POLITICA
Magaldi: cade il governo? Tanto meglio per Lega e 5 Stelle
Scritto il 28/8/18
Cade il governo Conte, in autunno? Non reggerà alla prova del fuoco rappresentata dal bilancio 2019 da sottoporre a Bruxelles? Tanto meglio: Lega e 5 Stelle farebbero il pieno di voti, nel caso di elezioni anticipate. Facile profezia: l’eventuale nuovo esecutivo avrebbe un programma meno timido e sarebbe pronto a rompere in modo ancora più netto con l’attuale governance europea, fondata sulla grande menzogna del rigore ammazza-Stati spacciato per amara medicina. Gioele Magaldi non ha dubbi: se l’esecutivo gialloverde dovesse davvero cadere, l’establishment politico-mediatico violentemente ostile a leghisti e pentastellati avrà ben poco di cui rallegrarsi, perché gli elettori premieranno Salvini e Di Maio con un autentico plebiscito, come ben si è visto dagli applausi dei genovesi scrosciati all’arrivo dei due vicepremier ai funerali delle vittime del viadotto Morandi. Tutto si tiene, nei drammi estivi che hanno scosso l’Italia: la responsabilità politica del disastro di Genova ricade sulla stessa élite che ha privatizzato la penisola, regalandola agli “amici degli amici”, salvo poi imporre a un paese impoverito di accogliere senza fiatare i migranti (quasi un milione, negli ultimi tre anni) che l’Europa vorrebbe che restassero interamente a carico nostro.
«Ecco perché applaudo Salvini: per una volta, il ministro dell’interno ha “tenuto il punto”, rinunciando a piegarsi ai diktat dell’oligarchia europea», dice Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, ai microfoni di “Colors Radio”. Troppo comodo – e ipocrita – il moralismo di chi accusa il leader della Lega di mancanza di umanità, specie se l’attacco proviene dal potere neoliberista che ha razziato l’Africa e imposto, ai lavoratori italiani, il “dumping” salariale dei neo-schiavi, costretti a fare concorrenza sleale alla nostra forza lavoro, accettando condizioni disumane di sfruttamento. Dov’era, il centrosinistra che oggi si scaglia con inaudita violenza contro Salvini, quando si trattava di gestire l’economia in modo equo, evitando di far sprofondare il paese nella crisi più nera? Bersani “impiccava” lo Stato al nodo scorsoio del pareggio di bilancio, insieme al cappio della legge Fornero sulle pensioni, prima ancora che Renzi facesse piazza pulita – con il Jobs Act – degli ultimi diritti sindacali. Ed ecco oggi la “guerra tra poveri”, che oppone lavoratori italiani e stranieri, vittime – tutti – della stessa catastrofe macroeconomica: lo Stato in bolletta, impossibilitato a investire denaro per produrre lavoro grazie a una gestione privatistica dell’euro, senza neppure il paracadute degli eurobond a garantire il necessario debito pubblico.
Nel lucido ragionamento di Magaldi, la tragedia di Genova e la rissa mediatica sui naufraghi a bordo della nave Diciotti («con le accuse surreali rivolte a Salvini dalla magistratura») sono due facce, drammatiche, della stessa medaglia: da una parte la vecchia élite che ha prodotto solo macerie (infrastrutturali e sociali) e dall’altra il primo governo “sovranista”, da 25 anni a questa parte, che cerca di rimediare allo sfacelo. «Per fortuna – insiste Magaldi – Salvini ha inaugurato la linea necessaria, quella della fermezza: che non ha certo per bersaglio i migranti, ma l’ipocrisia con cui Bruxelles vorrebbe continuare a non-gestire un fenomeno vergognoso come l’esodo da paesi africani letteralmente depredati dell’élite europea». Azione necessaria, quella del governo Conte, ma non sufficiente: «Sarà meglio che, anche sui provvedimenti economici, Salvini e Di Maio comincino a passare dalle parole ai fatti, cercando di attuare quello che hanno promesso agli italiani. Nel caso non ce la dovessero fare, però – aggiunge Magaldi – non sarebbe affatto un male». Già, perché dopo eventuali elezioni anticipate, aggiunge, la coalizione “gialloverde”, ormai strategicamente coesa, farebbe l’en plein e ripartirebbe con maggiore slancio, per abbattere il Muro di Bruxelles fondato sulla “teologia” dell’austerity.
Keynesiano e progressista, Magaldi non ha dubbi: tutta l’Europa è in crisi, perché negli ultimi decenni il continente è caduto, letteralmente, nelle mani di una ristretta cerchia di oligarchi. Hanno contrabbandato per virtù l’ideologia del rigore di bilancio, con trattati-capestro che hanno amputato gli Stati del potere sovrano di investire nell’economia. Risultato: classe media in via di estinzione, popoli impoveriti, democrazie svuotate ed élite divenute improvvisamente miliardarie, padrone di tutto ciò che prima era pubblico – acqua, energia, trasporti, telefonia e Poste, persino le autostrade. Nel bestseller “Massoni”, Magaldi ha fornito nomi e cognomi della cabina di regia – supermassonica – che ha pilotato questa globalizzazione selvaggia e senza diritti, a beneficio esclusivo delle multinazionali finanziarie. Il complottismo degli ultimi anni punta il dito contro le malefatte della Trilaterale? «Ma quella è solo una emanazione, peraltro piuttosto trasparente, della Ur-Lodge “Three Eyes”», a lungo ispirata da personaggi come Kissinger, Rockefeller e Brzezisnki.
I blogger più esasperati, come Daniel Estulin, se la prendono con il Bilderberg e i suoi invitati, da Lilli Gruber al segretario di Stato vaticano Pietro Parolin? «Aprite gli occhi: le notizie che lo stesso Bilderberg lascia filtrare servono solo a produrre il gossip necessario a distogliere l’attenzione dai veri manovratori, i “fratelli controiniziati” delle Ur-Lodges reazionarie: personaggi che, certo, non finiscono sui giornali». Che fare, dunque? Esattamente quello che sta facendo il governo Conte, ribadisce Magaldi, fautore di un risveglio democratico europeo, di cui l’Italia “gialloverde” sembra destinata a fare da apripista. Una “profezia” che il presidente del Movimento Roosevelt (“metapartito” nato proprio per rianimare lo scenario politico italiano in senso progressista) aveva formulato in tempi non sospetti: vedrete, aveva annunciato, che alla fine sarà proprio questa scassatissima Italia a invertire il corso della storia, mettendo in campo forze politiche in grado di smascherare la grande impostura neoliberista che ha impoverito l’Europa spolpando Stati e popoli.
Quelle a cui stiamo assistendo oggi, in fondo, sono le prove generali di una rivoluzione culturale: verrà il giorno in cui la parola “spread” perderà ogni significato, perché la finanza pubblica sarà tornata a garantire pienamente tutto il deficit necessario a rimettere in piedi il paese, cominciando dalla ricostruzione delle troppe infrastrutture fatiscenti, lasciate agonizzare da governi costretti a elemosinare “a strozzo” gli euro della Bce. «A proposito: spero che i familiari delle vittime di Genova non si rivalgano solo sugli eventuali responsabili della società autostradale, ma chiedano di essere risarciti anche dai governi precedenti, che hanno creato le premesse del disastro». In ogni caso, Magaldi è ottimista: «Che il governo Conte regga o meno alla prova d’autunno, è irrilevante: indietro non si torna. La destrutturazione politica della Seconda Repubblica è ormai nei fatti». Gli italiani sembrano aver capito che centrodestra e centrosinistra fingevano soltanto di essere alternativi. Nella realtà non hanno fatto altro che obbedire ai diktat dei grandi privatizzatori neoliberisti: quelli che oggi sparano su Salvini, temendo che l’Italia si stia davvero risvegliando.
http://www.libreidee.org/2018/08/magaldi-cade-il-governo-tanto-meglio-per-lega-e-5-stelle/
Orban-Salvini, incontro a Milano
“Insieme per cambiare questa Unione”. A piazza San Babila migliaia in protesta
“Siamo vicini a una svolta storica per il futuro dell’Europa”, ha detto il vicepremier leghista al termine del vertice in prefettura con il primo ministro ungherese. “Noi siamo contro Macron e l’immigrazione illegale – ha detto il leader di Fidesz – e vorremmo che nel partito popolare europeo fosse adottata la nostra posizione”. Alla manifestazione di protesta “Europa senza muri” hanno aderito anche partiti politici, come il Pd, Liberi e Uguali e Possibile, l’Anpi e i sindacati a partire dalla Cgil
di F. Q. | 28 agosto 2018
“Siamo vicini a una svolta storica per il futuro dell’Europa”, ha detto il vicepremier leghista al termine del vertice in prefettura con il primo ministro ungherese. “Noi siamo contro Macron e l’immigrazione illegale – ha detto il leader di Fidesz – e vorremmo che nel partito popolare europeo fosse adottata la nostra posizione”. Alla manifestazione di protesta “Europa senza muri” hanno aderito anche partiti politici, come il Pd, Liberi e Uguali e Possibile, l’Anpi e i sindacati a partire dalla Cgil
“L’Ungheria ha dimostrato che l’immigrazione può esser fermata – ha spiegato Orban – tutti dicevano fosse impossibile, sia sul piano giuridico sia su quello fisico. Abbiamo dimostrato che è possibile su entrambi i piani. La nostra politica è portare aiuto dove ci sono guai, non portare a noi i guai”. In questo contesto Salvini “sta dimostrando che l’immigrazione può essere fermata anche in mezzo al mare. Al di fuori di lui nessuno si è assunto questa responsabilità, nel Mediterraneo, lui è il primo. Dal suo successo dipende la sicurezza dell’Europa. Questo coraggio desta in noi rispetto. Gli auguriamo di non indietreggiare, che difenda i confini europei”.
Anche sul punto che da anni divide l’Italia e l’Ungheria – il ricollocamento e le redistribuzione dei migranti arrivati in territorio europeo – Orban e Salvini giungono a una sintesi: Budapest non accetterà mai di prenderne una quota perché “i migranti possono essere ritrasportati nei loro Paesi. Non bisogna ricollocare, non bisogna spartire tra di noi, ma rimandarli a casa loro”, ha spiegato il leader di Fidesz. E il collega leghista rilancia sugli accordi in vigore tra gli alleati europei: “Di ong, che volendo o no erano di aiuto ai trafficanti di esseri umani, non ce ne sono più nel Mediterraneo – ha detto Salvini – e posso dire che se non cambieranno le regole di alcune missioni internazionali e navali, potremmo anche fare a meno di queste missioni”.
Il riferimento è a EunavForMed Sophia, missione Ue contro i trafficanti di esseri umani: oggi nessun accordo è stato raggiunto alla riunione degli ambasciatori del Cops sul cambio del piano operativo sui porti di sbarco e “il punto passerà ora alla discussione dei ministri della Difesa Ue”, all’informale di dopodomani a Vienna, spiega un portavoce Ue. Roma ha chiesto che il piano operativo cambi entro fine agosto, per evitare che tutti i migranti salvati dalle navi della missione arrivino in Italia, ma secondo fonti diplomatiche l’Ungheria non ha sostenuto la richiesta italiana di cambiare il piano operativo.
Eppure, in favore di telecamere e microfoni la sintonia è totale, al punto che Salvini tiene a tessere le lodi dell’alleato anche in campo economico: “Il caso ungherese è da studiare. Lo dico visto che ci stiamo preparando ad affrontare la manovra economica“, ha detto il vicepremier elogiando il basso tasso di disoccupazione, l’alta crescita e la flat tax in vigore in Ungheria, che dimostrano “che un Paese può crescere investendo, spendendo e non tagliando e sacrificando”. E a chi gli domanda dei timori dei mercati circa la legge di bilancio in preparazione a Roma, Salvini replica sicuro: “Stiamo lavorando in maniera compatta a una manovra di crescita di investimenti e di lavoro. Sono convinto che i mercati riconosceranno la bontà di questa manovra. Quindi non ho preoccupazioni”.
Migliaia in protesta a piazza San Babila – Intanto la Milano a favore dell’accoglienza e dell’integrazione si è riunita in piazza San Babila in segno di protesta. Alcune migliaia di persone hanno partecipato alla manifestazione Europa senza muri, organizzata dalle stesse realtà che hanno promosso la grande tavolata per l’integrazione che si è tenuta in città a giugno. Al corteo hanno aderito anche partiti politici, come il Partito Democratico, Liberi e Uguali e Possibile, Anpi, sindacati a partire dalla Cgil, centri sociali, collettivi studenteschi, oltre ai Sentinelli di Milano, che sono fra gli organizzatori.
La piazza è presidiata dalle forze dell’ordine e l’accesso a corso Monforte, dove si trova la sede della prefettura, è bloccato da camionette della Polizia e da agenti in tenuta anti sommossa. In piazza ci sono anche i ragazzi della ‘St Ambroeus Fc‘, la prima squadra composta da rifugiati iscritta alla Figc, che metterà in scena un allenamento per opporsi alla riapertura dell’ex Cie di via Corelli.
La sede del Consolato generale dell’Ungheria, nel capoluogo lombardo, è stata imbrattata con della vernice rossa. Gli attivisti del centro sociale Cantiere hanno protestato fuori dall’edificio di via Fieno, tappezzando la cancellata esterna con cartelli e striscioni. “I vostri confini uccidono, Salvini e Orban complici di razzismo e paura”, si legge. La cancellata e i muri esterni del Consolato sono stati ricoperti di impronte di mani rosse e all’ingresso della sede è stata versata della vernice dello stesso colore.
Martina: “Orban è il problema, non la soluzione” – Si moltiplicano, intanto, i commenti delle opposizioni: “Orban non è la soluzione. Orban è il problema – scrive Maurizio Martina su Facebook – e come lui lo sono i tanti egoismi a ogni latitudine che non intendono condividere responsabilità ma solo scaricare sugli altri i problemi di questo tempo”. “L’Europa non offre ancora risposte forti a temi cruciali come l’immigrazione – prosegue il segretario del Pd – proprio per responsabilità di governi, come quello ungherese, che non sono mai stati disposti a condividere oneri e responsabilità ma in compenso sono sempre pronti a riceve regolarmente ingenti fondi comunitari. Il 95% degli investimenti pubblici in Ungheria è cofinanziato dall’Unione europea”.
“Salvini dice che la sinistra sa solo insultare – ha detto l’assessore alle Politiche Sociali del Comune di Milano Pierfrancesco Majorino durante la manifestazione – si vergogni per l’insulto che lui fa alla storia di questo Paese per l’operazione scandalosa che lui e Orban stanno mettendo in piedi”.
SCIENZE TECNOLOGIE
Scoperti minuscoli tunnel ‘segreti’ nella nostra testa: collegano il cranio al cervello
Un gruppo di ricerca americano ha appena scoperto dei microscopici tunnel che collegano il midollo osseo del cranio con il rivestimento più esterno del cervello, la meninge chiamata dura madre. Si tratta di passaggi sino ad oggi sconosciuti che permettono alle cellule immunitarie di raggiungere immediatamente il cervello in caso di danni, come quelli causati da un ictus.
28 agosto 2018
Nella nostra testa sono stati appena scoperti microscopici tunnel ‘segreti’ che collegano il midollo osseo del cranio al rivestimento del cervello: sono passaggi che permettono alle cellule del sistema immunitario di giungere rapidamente a destinazione in caso di danni al tessuto cerebrale. Prima della loro (incredibile) scoperta si riteneva che le cellule immunitarie arrivassero attraverso il flusso sanguigno da altri distretti. A individuarli è stata una squadra di ricercatori della Scuola di Medicina presso l’autorevole Università di Harvard, che ha collaborato con i colleghi del Centro di ricerca cardiovascolare del Massachusetts General Hospital. Gli scienziati, coordinati dai medici Michael A. Moskowitz e Matthias Nahrendorf, prima di individuare i minuscoli tunnel nell’essere umano li hanno osservati per la prima volta nei topi, in seguito ad alcuni specifici esperimenti. L’obiettivo degli studiosi era cercare di capire se in seguito a una meningite o a un ictus le cellule immunitarie venissero rilasciate dal cranio o da altre ossa, come ad esempio la tibia. Così dai topi hanno estratto i granulociti neutrofili (i primi globuli bianchi a intervenire in caso di infiammazione) e li hanno trattati con coloranti, per poi reintrodurli successivamente negli animali: quelli con colorante rosso nel cranio e quelli con colorante verde nella tibia. Dopo aver indotto infiammazioni acute nelle cavie – come ictus o meningoencefaliti – si sono resi conto che la maggior parte dei neutrofili in difesa dell’organismo provenivano proprio dal cranio. Ma da che parte sono passati?
Analizzando con immagini ad altissima risoluzione il cranio dei topi, gli scienziati hanno scoperto i minuscoli tunnel che collegano il midollo osseo del cranio al rivestimento più esterno e spesso del cervello, la dura madre (una delle tre meningi, assieme alla pia madre e all’aracnoide). Per verificare la loro presenza anche nell’essere umano, Moskowitz e colleghi si sono fatti consegnare pezzi di cranio “freschi”, rimossi da alcuni pazienti per eseguire delicati interventi neurochirurgici. Studiandoli con la medesima tecnica, chiamata organ-bath microscopy, sono stati così trovati gli stessi tunnel presenti nei topi, solo con diametro di cinque volte superiore. Sembra incredibile che ancora oggi vengano scoperti nuovi dettagli anatomici nel corpo umano, eppure basti pensare che solo tra il 2017 e il 2018 sono stati individuati addirittura due nuovi organi, il mesentere e l’interstizio. La scoperta di questi microscopici tunnel, i cui dettagli sono stati pubblicati sull’autorevole rivista scientifica Nature Neuroscience, potrebbe aiutarci a capire meglio come agisce l’infiammazione sui tessuti cerebrali e sulle patologie come la sclerosi multipla, nella quale è proprio il sistema immunitario ad aggredire il tessuto cerebrale. [Credit: Herrison et al./Nature Neuroscience]
STORIA
scomode verità
Tra il presente della Diciotti e il passato delle foibe
di Pietrangelo Buttafuoco – 27 Agosto 2018
Chissà cosa avrebbe fatto Luigi Patronaggio, il magistrato di Agrigento che indaga su Matteo Salvini, quando degli italiani, al porto d’Ancona – riuscendo a non farla attraccare – bloccavano la nave di italiani in fuga dalle foibe.
Non sappiamo cosa avrebbe fatto lui ma di certo – in quel tempo, in quell’Italia – non se ne trovò uno di procuratori della Repubblica pronto a schierare così la Costituzione più bella del mondo dalla parte di profughi inermi.
Nessuno, tantomeno un Pasolini, come oggi un Saviano – in quel tempo, in quell’Italia – osò schierarsi coi disperati e alla stazione di Bologna il treno che portava in salvo gli italiani d’Istria non si fermò perché la folla, radunata nel nome della Costituzione più bella del mondo, gettava sui binari il latte caldo portato dalla Croce Rossa pur di non farlo bere a chi scappava dalla guerra e dalle persecuzioni.
L’Italia è anche questa porcheria, di cui nessuno ha memoria, ma quelli che oggi fanno la morale a Salvini, eredi di quelli che bloccavano le navi ad Ancona e i treni a Bologna, almeno loro, questa storia, dovrebbero cominciare a raccontarsela.
E magari si viene a scoprire cosa avrebbe fatto un Patronaggio in quel tempo, in quell’Italia.
Chissà.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°