NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 4 APRILE 2019

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NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI

4 APRILE 2019

A cura di Manlio Lo Presti

Esergo

Non è il vivere da tenere in massimo conto, ma il vivere bene …

E il vivere bene è lo stesso che il vivere con virtù e giustizia.

(PLATONE, Tutti gli scritti, Critone, 48, B, Bompiani, 20000, pag. 58)

 

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Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.

 

Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com 

 

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SOMMARIO

Il vero pericolo per la sicurezza nazionale? Sono gli sbarchi-fantasma. Altro che Cina!

Quasi 200 giudici hanno interessi nelle strutture a cui affidano i minori 1

Interrogazione a risposta scritta. Senato 17 02 2015

Olanda, la sinistra vuole limitare interventi chirurgici per over 70 1

Il business dell’accoglienza sulla pelle dei migranti minorenni 1

Torna “padre” – “madre” sulla carta d’identità 1

Il lato ordinario della vita. Filosofia ed esperienza comune 1

TERRORISTI DELL’ISIS GIRANO PER L’EUROPA CON CARTE DI CREDITO RILASCIATE DALLA UE  1

Edoardo Agnelli era un Sufi, ma con parenti nel B’nai B’rith 1

La trappola del global compact. Così aprirà le porte all’invasione

Quella nuova strategia degli scafisti per fare sbarcare i migranti 1

Lerner insiste: il disagio psichiatrico degli immigrati va curato. Così commenta il delitto di Torino 1

BREXIT. LE RIPERCUSSIONI SULLE TASCHE DEI CITTADINI 1

L’Ocse, un Club di Sadomasochisti 1

LA LEGGE EUROPEA SUL COPYRIGHT. 1

L’esercito degli stagisti 1

Sovranità democratica e internazionalismo autentico 1

TOKYO – È nato l’utero artificiale benvenuti in Matrix! 1

La Germania analizza i vaccini per uso umano. I risultati sono paurosi e in Italia li censurano

Achille Lauro, fu vera crisi Italia-Usa sul nodo del terrorismo palestinese 1

 

 

EDITORIALE

Il vero pericolo per sicurezza nazionale? Sono gli sbarchi-fantasma. Altro che la Cina!

Manlio Lo Presti – 4 aprile 2019

Prosegue il funzionamento della macchina-di-distrazione-di-massa. Si proclama di aver risolto il problema dei flussi di c.d. immigrati sul territorio italiano. Una ondata umana di cui non sappiamo l’entità numerica o forse gli organismi di intelligence non vogliono farli sapere per non allarmare la popolazione italiana.

Non va sottovalutato per i soliti motivi di opportunità politica (leggi corse elettorali, campagne elettorali permanenti, ecc.) il fatto che esiste un vasto numero di barchette che approdano alla spicciolata sulle nostre coste. Il fenomeno è furbescamente occultato da tutto l’arco parlamentare, compreso l’attuale Governo.

Questo fenomeno sotterraneo (volutamente?) implica l’arrivo di terroristi, componenti di varie spietatissime mafie africane che usano l’Italia come transito per il Nord Europa. Non si tratta di bollare questi sospetti come complottismo, si tratta di valutare con serietà le implicazioni in materia di sicurezza nazionale che questa miriade innumerata di sbarchi può provocare. Cosa si fa invece? Si strombazza ai quattro venti con una ottava sopra la media che la Cina è il vero problema di sicurezza nazionale in Italia. Un altro tentativo di azzoppare il nostro Paese che deve solo pagare interessi sul debito pubblico, non deve sporcare, non deve scassare i cabbasisi e deve diventare la sacca razziale dell’UE.

Ovviamente, tale timore per la sicurezza nazionale non viene imputato alla Francia, alla Germania, all’Inghilterra che trafficano con Cina da oltre 30 anni!!!

Poiché non sottovaluto le capacità dei nostri servizi segreti,

ritengo che questa calma apparente abbia una spiegazione.

Se consideriamo che il PATTO STATO-MAFIE di fatto non è mai venuto meno,

si può pertanto ipotizzare che gli apparati della sicurezza italiana abbiano incaricato le mafie

al controllo e alla neutralizzazione e/o alla eliminazione fisica silenziosa

di elementi pericolosi che arrivano con sbarchi-fantasma.

Lo Stato non appare, ma il controllo del territorio e le deflagrazioni terroristiche sono sotto controllo.

P.Q.M.

Può essere spiegabile l’esistenza di una spessa coltre di silenzio e di bugie sulla questione sbarchi non ufficiali e sul perché l’attenzione viene spostata sulla scomparsa di approdi di navi Ong sul territorio.

Nessuno ne parlerà mai ufficialmente, ma il sospetto cresce …

Non credo inoltre, che possa esserci una soluzione condivisa con l’unione europea totalmente indifferente sul tema delle immigrazioni che hanno un impatto immediato sulle coste italiane a causa della nostra sfortunata posizione geopolitica.

Piuttosto ritengo che i pretoriani e gli apparati di Bruxelles dilazionino qualsiasi decisione ma stanno ipotizzando la creazione di una cintura sanitaria stile Grande Muraglia da allocare poco sotto i confini dei cosiddetti Stati ricchi.

Questi bravi ragazzi stanno lavorando alla realizzazione di una specie di OPERAZIONE TRIMARIUM 2.0.

Meglio una europa a due velocità che accollarsi l’invasione di milioni di c.d. immigrati che si possono gestire più facilmente in appositi campi di raccolta concentrati nel sud del vecchio continente, cioè Italia e Grecia.

Concludendo (come lo spiritoso slogan di una famosa grappa):

  • l’inerzia apparente dei nostri servizi,
  • il ruolo oscuro ma efficace delle 8 mafie incaricate dai nostri apparati di controllare ed eliminare gli elementi pericolosi soprattutto nel quadrante delle coste meridionali e della Sardegna,
  • il temporeggiamento degli apparati di Bruxelles sul tema immigrazione come approccio globale,

lasciano pensare che il destino del nostro martoriato Paese è segnato!

ALTRO CHE CINA!

Ne riparleremo molto molto molto presto!

 

 

 

 

IN EVIDENZA

Quasi 200 giudici hanno interessi nelle strutture a cui affidano i minori

3 agosto 2015                   ATTENTISSIMA RILETTURA

L’inchiesta

Sono poco più di un migliaio e si trovano all’interno dei 29 tribunali minorili di tutta Italia così come nelle Corti d’Appello minorili. Sono i giudici onorari minorili, e di fatto hanno il pallino in mano quando si tratta di affidamenti in casa-famiglia oppure a centri per la protezione dei minori.

Una figura prevista dall’ordinamento ma che continua a risultare anomala nonostante il peso determinante nelle decisioni nell’ambito dei procedimenti che riguardano i minori e gli affidamenti: nel settore infatti il giudizio di un giudice onorario minorile è pari a quello di un magistrato di carriera. Quando si decide nelle corti infatti giudicano due togati e due onorari, mentre in Corte d’Appello sono tre i togati e due gli onorari.

A definire il ruolo del giudice onorario minorile ci pensa una del 1934 e una riforma del 1956, ripresa nelle circolari del Consiglio Superiore della Magistratura: l’aspirante giudice oltre che ad avere la cittadinanza italiana e una condotta incensurabile, «deve, inoltre, essere “cittadino benemerito dell’assistenza sociale” e “cultore di biologia, psichiatria, antropologia criminale, pedagogia e psicologia”».

Il tema non fa rumore, ma tra queste circa mille persone che ricoprono incarichi lungo tutto lo stivale, c’è qualcosa che non funziona come dovrebbe. Il centro di alcune distorsioni del sistema rimane proprio all’interno delle circolari del Csm che ogni tre anni mette a bando posti per giudici onorari: all’articolo 7 della circolare si definiscono le incompatibilità, e si scrive espressamente che “Non sussistono per i giudici onorari minorili le incompatibilità derivanti dallo svolgimento di attività private, libere o impiegatizie, sempre che non si ritenga, con motivato apprezzamento da effettuarsi caso per caso, che esse possano incidere sull’indipendenza del magistrato onorario, o ingenerare timori di imparzialità”. Al comma 6 dello stesso articolo addirittura si prevede una causa certa di incompatibilità: all’atto dell’incarico il giudice onorario minorile deve impegnarsi a non assumere, per tutta la durata dell’incarico, cariche rappresentative di strutture comunitarie, e in caso già rivesta tali cariche deve rinunziarvi prima di assumere le funzioni.

Insomma, a meno che non ci siano pareri motivati che possano incidere su indipendenza e imparzialità del giudizio, solo un atto motivato, che spesso non arriva, può mettere ostacoli sulla nomina del giudice onorario. Sulle maglie larghe dell’articolo 7 è depositata anche una interrogazione parlamentare dallo scorso 17 febbraio del senatore Luigi Manconi al Ministero della giustizia, che al momento rimane senza risposta, mentre ai primi di maggio l’onorevole Francesca Businarolo del Movimeneto 5 Stelle, ha depositato una proposta di legge per l’istituzione di una apposita commissione d’inchiesta.

Tuttavia, tra questi 1.082 (tanti risultano all’ultimo censimento) circa 200 sarebbero incompatibili con la carica, dunque il 20% sul totale. Questi sono i dati contenuti in un dossier che l’associazione Finalmente Liberi Onlus presenterà nei prossimi mesi al Consiglio Superiore della Magistratura per mettere mano al problema. In particolare, segnalano dall’associazione, che i duecento nomi che fanno parte della lista e ogni giorno decidono su affidamenti a casa-famiglia e centri per la protezione dei minori, dipendono dalle strutture stesse.

 

Tra questi 1.082 (tanti risultano all’ultimo censimento) circa 200 sarebbero incompatibili con la carica,

dunque, il 20% sul totale

 

A vario titolo c’è chi ha contribuito a fondarle, chi ne è azionista e chi fa parte dei Consigli di Amministrazione. Dunque il tema è centrato: a giudicare dove debbano andare i minori e soprattutto se debbano raggiungere strutture al di fuori della famiglia sono gli stessi che hanno interessi nelle strutture stesse.

L’incompatibilità, che dovrebbe essere già valutata come condizione precedente al conflitto di interessi,

 

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https://www.linkiesta.it/it/article/2015/08/03/quasi-200-giudici-hanno-interessi-nelle-strutture-a-cui-affidano-i-min/26917/?fbclid=IwAR1QSMJNqaF9BrEAp65Rd5-o-4ZI_-163Sr0_vAd-67aooWuX1-TEkCoxmQ

 

 

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA SENATO 02/17/2015 392 4 200559

MANCONI LUIGI PARTITO DEMOCRATICO 02/17/2015 MINISTERO DELLA GIUSTIZIA MINISTERO DELLA GIUSTIZIA

Atto Senato


Interrogazione a risposta scritta 4-03452

presentata da

LUIGI MANCONI


martedì 17 febbraio 2015, seduta n.392

MANCONI – Al Ministro della giustizia – Premesso che:

secondo quanto previsto dal regio decreto-legge del 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, recante “Istituzione e funzionamento del tribunale per i minorenni”, così come modificato dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1441, il giudice onorario presso il tribunale per i minorenni non è un magistrato, bensì un cittadino benemerito dell’assistenza sociale, ovvero un operatore che conosce la materia di cui si occupa. Inoltre, il suo ruolo non è esclusivo: può svolgere un altro lavoro oltre a quello di componente del collegio giudicante;

nella circolare del Consiglio superiore della magistratura del 14 maggio 2010 (“Criteri per la nomina e conferma dei giudici onorari minorili per il triennio 2011-2013”), all’articolo 7 sono elencate molte incompatibilità relative alla nomina dei giudici onorari minorili. In particolare, la circolare vieta ai titolari di cariche rappresentative di strutture comunitarie ove siano inseriti i minori dall’autorità giudiziaria, di assumere il ruolo di giudice onorario. E tuttavia lo consente ai direttori generali, ai soci, ai consulenti e agli psicologi che operano all’interno delle comunità per minori. La necessaria terzietà del giudice onorario è ribadita con forza in tutti gli articoli della circolare;

a tale proposito, l’associazione “Finalmente liberi onlus”, intervistata in un servizio della trasmissione televisiva “Presa diretta”, andato in onda il 25 gennaio 2015, fa riferimento a numerosi giudici onorari, operanti su tutto il territorio italiano, per i quali sembra che si debba individuare un’incompatibilità, anche se non espressamente richiamata dalla circolare. Ad esempio, si fa riferimento a psicologi che lavorano nelle strutture comunitarie per minori, remunerati per le prestazioni professionali, anche a seconda del numero di minori seguiti in struttura, oppure a direttori generali incaricati di coordinare l’attività delle stesse comunità;

proprio in virtù dell’articolo 111, comma secondo, della Costituzione (“Ogni processo si

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https://terrarealtime.blogspot.com/2015/04/tokyo-e-nato-lutero-artificiale.html?m=1&fbclid=IwAR370OJWFaQYASSpAjGuWDukhg9DdfHAXMp_S6EjqFolmbwCNgFlKVXmJ-I

 

 

 

 

Olanda, la sinistra vuole limitare interventi chirurgici per over 70

La volontà del paziente di continuare a vivere e combattere le malattie in Olanda potrebbe non avere più un valore determinante, ma diventerebbe fondamentale l’opinione di un geriatra e le sue previsioni sulle “aspettative della qualità della vita dell’anziano”

Matteo Orlando – 25/03/2019

In Olanda continua a crescere la mentalità eutanasica e un partito di sinistra, la Groenlinks(la Sinistra Verde) vuole adesso limitare la possibilità degli interventi chirurgici per i pazienti di età superiore ai 70 anni, consentendo ai geriatri ospedalieri di decidere se operare o meno e continuare a fornire cure.

Corinne Ellemeet, esponente di questo partito di orientamento eco-socialista (fondato nel 1991 dalla fusione del Partito Comunista ‘Nederland’, del Partito Socialista Pacifista, dei Radicali e dell’Evangelische Volkspartij) ha presentato la sua proposta nella camera bassa olandese.

In particolare, come riporta Lifesitenews, Ellemeet ha insistito sul fatto che la sua proposta, promossa come iniziativa per dare agli anziani “la migliore assistenza possibile“, non nascerebbe per “risparmiare denaro“, ma per evitare “overtreatment“, perché le operazioni non sono sempre vantaggiose e possono anche mettere in difficoltà il paziente.

In realtà la logica della sua proposta si baserebbe sul rapporto costo-efficacia. Ha sottolineato che il 70% dei pazienti negli ospedali olandesi ha più di 70 anni, il che suggerisce che non dovrebbero ricevere lo stesso trattamento dei pazienti più giovani. “Un processo di screening dovrebbe essere messo in atto quando si sta prendendo in considerazione un trattamento avanzato e costoso“, ha detto la Ellemeet, comprese le operazioni cardiache, il trattamento del cancro, la dialisi renale e simili.

La questione centrale è questa: cosa stiamo facendo al paziente? Ospedalizzazione, anestesia, dolore e un diluvio di droghe. La ricerca dimostra che il trattamento eccessivo dei pazienti anziani è ancora un evento quotidiano“, ha denunciato la Ellemeet.

In altri termini, la volontà del paziente di continuare a vivere e combattere in Olanda non avrà più un valore determinante, ma sarà

 

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http://www.ilgiornale.it/news/mondo/olanda-sinistra-vuole-limitare-interventi-chirurgici-over-70-1668453.html

 

 

 

 

Il business dell’accoglienza sulla pelle dei migranti minorenni

3 APRILE 2019 – MAURO INDELICATO

 

“La verità è che un ragazzo su due di quelli che assistiamo come minorenne in realtà mente sull’età e appena può scappa”: a lanciare l’allarme è un avvocato piemontese che preferisce rimanere anonimo in un’intervista rilasciata a La Verità. Si tratta di una delle persone maggiormente impegnate nel mondo dell’accoglienza dei migranti minorenni, che dunque conosce bene la situazione e la descrive minuziosamente. Soltanto la metà di coloro che dichiarano di essere minorenni al loro arrivo in Italia hanno realmente meno di diciotto anni. E questo, inevitabilmente, pesa su due fronti: la sicurezza da un lato, un maggiore impegno di spesa dall’altro.

Che fine fanno i migranti minori presenti in Italia? 

Per visualizzare al meglio il fenomeno, è necessario partire dai dati forniti dal Viminale. Negli ultimi tre anni sulle nostre coste sono sbarcati complessivamente 45.159 minori non accompagnati. Di questi, 20.862 nel corso di questi anni compiono la maggiore età. Degli altri minorenni, risulta che 869 non sono dati in affidamento e nemmeno ospitati in centri d’accoglienza, 5.229 invece sarebbe il numero di chi è scappato dai vari centri. A questo occorre aggiungere che anche di chi è diventato maggiorenne non si sa più nulla in buona parte dei casi. In poche parole, tra chi arriva in Italia ancora minorenne non solo sono poi pochi coloro che si integrano e trovano un lavoro, ma di fatto nella grande maggioranza della situazioni di loro non si sa più nulla.

L’Italia, tra accoglienza, formazione e mantenimento all’interno di strutture che in linea teorica dovrebbero aiutare ad integrare i migranti minorenni sbarcati, spende svariati milioni di euro ogni anno. Soldi quasi buttati, visto che poi i minorenni o scappano o fanno perdere le tracce. Sempre se, come detto ad inizio articolo, chi arriva in Italia e dichiara di essere minorenne abbia realmente meno di 18 anni. Circostanza tutt’altro che scontata, anche a giudicare dalle parole dell’avvocato intervistato su La VeritàMolti di loro arrivano senza documento e senza accompagnatori, difficile attestare la reale età di chi sbarca. Spesso dunque il migrante viene inserito nel “limbo” dei minori non accompagnati e, da lì, il più delle volte fa perdere le tracce.

Non solo quindi una spesa piuttosto importante per chi minorenne non è o per chi, a prescindere, non si riesce ad integrare, ma anche un reale e concreto problema di sicurezza. I migranti non censiti dalle autorità in Italia sono migliaia, di loro non si sa più nulla. Fantasmi che potrebbero aggirarsi nel nostro paese, oppure che potrebbero aver raggiunto le famiglie nel nord Europa o, ancora,

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http://www.occhidellaguerra.it/business-migranti-minorenni/

 

 

 

ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME

Torna “padre” – “madre” sulla carta d’identità

ANSA 4 aprile 2019

È in Gazzetta Ufficiale il provvedimento che prevede la dicitura “madre” e “padre” per la carta d’identità dei minorenni anziché “genitori”.

Lo rende noto il Viminale. Il decreto, firmato dal ministero dell’Interno, da quello della

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https://www.msn.com/it-it/notizie/italia/torna-padre-madre-su-carta-identità/ar-BBVAIZj?MSCC=1554359967&ocid=spartandhp

 

 

 

CULTURA

Il lato ordinario della vita. Filosofia ed esperienza comune

di PIERGIORGIO DONATELLI

Qual è il significato filosofico del modernismo, come esperienza artistica e letteraria a cavallo fra Otto e Novecento? Se lo è chiesto, nel suo ultimo libro (Il lato ordinario della vita. Filosofia ed esperienza comune, il Mulino, 2018), Piergiorgio Donatelli, che ringraziamo, insieme all’editore, per averci concesso di pubblicare l’introduzione al volume.

  1. La crisi della ragione

Questo libro parte da Wittgenstein e dai fili teorici che è possibile tessere insieme alla luce della sua impostazione per mettere a fuoco una problematica che chiama modernista, dove il riferimento è da una parte al modernismo letterario e artistico austriaco tra i due secoli e dall’altra alla nozione di modernismo elaborata da Stanley Cavell e che egli riferisce specificamente alla sua concezione della filosofia.

Aldo Giorgio Gargani ha dato una descrizione esemplare di tale problematica in molti suoi lavori, anche se non con questo nome. Vorrei cominciare con la sua analisi per presentare l’impostazione modernista, tenendo presente in particolare il volume Crisi della ragione[1]. Gargani ricostruisce una prospettiva che riflette chiaramente la centralità di Wittgenstein e che lavora più estesamente sulla crisi e le svolte intraprese in molti campi del sapere tra i due secoli, principalmente da personalità intellettuali dell’impero asburgico nonché da autori che si collocano in altri contesti culturali europei. È il grande episodio – o, meglio, i molti episodi – di contestazione dei modelli dominanti che arrivano dalla modernità e che sono messi in discussione da nuovi modi di pensare alla filosofia, alla fisica, alla matematica, alla psicologia, alla musica, ma anche alla città, al mobilio, allo stile della conversazione e delle relazioni umane.

Gargani presenta una linea di ricostruzione storica che documenta la crisi di un modello di sapere classico formatosi nella prima modernità. Si tratta di un modello che vuole disciplinare le condotte intellettuali che si svolgono tra gli esseri umani attraverso forme di normatività inesorabili e inflessibili. Il risultato è la produzione di una duplicazione. La normatività che appartiene alla realtà trova il suo fondamento in una concezione perfetta, nell’ideale di purezza cristallina di cui parla Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche, che rendono inadeguata qualsiasi realtà e qualsiasi pratica intellettuale umana. In un volume precedente, Il sapere senza fondamenti, Gargani aveva scritto: «La riflessione corrisponde ad una duplicazione delle situazioni della vita, dell’ordine sociale per effetto della quale una volta essi si presentano nella loro forma ordinaria e opaca, e una seconda volta invece si presentano nella forma di norme, di regole ideali, di sistemi irrevocabili di permissioni e di divieti»[2]. Nella sua ricostruzione Gargani sottolinea il bisogno di disciplinamento e di controllo che si sedimenta nei primi secoli della modernità a partire da Descartes – e che convive con una linea di contestazione che trova in Hume l’autore che «introduceva in filosofia quello che si potrebbe chiamare il senso della possibilità; in luogo di un modello o di un assetto rigido di spiegazione, un fascio di alternative possibili tra le quali non v’è ragione di stabilire una preferenza»[3]. Tale bisogno di disciplinamento corrisponde anche a un’esigenza comune agli esseri umani, un bisogno di sicurezza, ma anche la paura del nuovo e del poliforme e la ricerca dell’uguale che conferma se stesso, dell’ordine acquisito, conosciuto, familiare.

La crisi della ragione è la crisi di questo modello e la scoperta che la normatività è un affare che riguarda pratiche umane inventive e costruttive, che sgretola l’illusione di un punto di osservazione esterno e assoluto e chiama in causa punti di osservazioni e di intervento interni (come nella fisica relativistica di Einstein su cui Gargani insiste). Le regole, i modelli e le norme sono perciò la cristallizzazione di un’economia di momenti della vita. Esprimono attività e decisioni e ogni loro applicazione è un modo di continuare la vita a cui essi hanno dato questa forma, questo aspetto: «non sono il dispiegamento di un ordine logico inesorabile, bensì di una nuova applicazione della nostra vita»[4]. Il superamento dell’idea di un superordine che governa le pratiche intellettuali dal di fuori, completo in se stesso, sublime e purissimo, ci riconsegna a una creatività e un’inventività interna alle pratiche intellettuali, alla “condotta intellettuale” come scrive Gargani.

Il motore che spiega questo passaggio dai modelli disciplinanti alla mobilità interna delle pratiche intellettuali è la condizione di blocco a cui ci portano tali modelli. La sublimazione della ragione sotto forma di modelli che si presentano come autosufficienti produce insoddisfazione; il movimento del pensiero si ferma, si inceppa; l’esperienza è immobilizzata, meccanizzata, diventa ripetitiva e ossessiva. Registriamo qui un rovesciamento importante. La purezza dell’ideale normativo, di come si deve procedere, di ciò che conta come la mossa ulteriore in una certa attività intellettuale (la mossa corretta, appropriata, che fa parte di quell’attività o che la innova in modi che creano una continuità magari inattesa), si rovescia nella meccanizzazione di tali pratiche, in meccanismi ripetitivi e ossessivi: le pratiche perdono mobilità, vita e spontaneità. Il blocco, la ripetitività, il meccanismo (alcuni dei temi cruciali di Robert Musil) sono quindi l’altra faccia della purezza

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http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2019/01/25/il-lato-ordinario-della-vita-filosofia-ed-esperienza-comune/

 

 

 

 

CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE

TERRORISTI DELL’ISIS GIRANO PER L’EUROPA CON CARTE DI CREDITO RILASCIATE DALLA UE

 2 Aprile 2019 da Redazione

 

Informazioni attendibili riferiscono che terroristi dell’ISIS, rientrati dalla Siria e dall’Iraq, sono mescolati fra i rifugiati arrivati in Europa ed ottengono facilmente le carte di credito che la UE ha riservato ai migranti a cui spetta la protezione umanitaria e, per le loro spese personali, godono delle agevolazioni previste per questi casi dalle organizzazioni dell’Unione Europea.

Secondo quanto riferito, un sospetto terrorista dello Stato islamico, che ha chiesto asilo in Europa, ha ricevuto una carta di debito prepagata destinata ai rifugiati provenienti dall’Unione europea. Il caso segnalato riflette un nuovo pericoloso periodo per l’Europa, come ha detto un analista alla RT.
Gli agenti antiterrorismo ungheresi hanno arrestato un cittadino siriano, a Budapest, la scorsa settimana, che era stato identificato come membro di alto rango dello Stato islamico (ex ISIS / ISIL). Il sospetto terrorista, fingendosi rifugiato, avrebbe ricevuto una carta di credito prepagata dall’Unione Europea al suo arrivo in Europa – una delle 64.000 persone destinate a ricevere le carte sovvenzionate dal contribuente. Altri casi del genere sono stati segnalati in Germania.

Mentre l’UE insiste che viene utilizzato un severo processo di screening per assicurare che le elargizioni in euro raggiungano le persone giuste, il governo ungherese ha sostenuto che l’imbarazzante scoperta espone il rischio della minaccia per la sicurezza dell’Europa, mentre numerosi jihadisti che fuggono dal Medio Oriente cercano rifugio all’estero, spacciandosi come profughi.

Philip Ingram, un ex ufficiale dell’intelligence militare britannica, è d’accordo con tale analisi, riferendo alla RT che l’Europa deve diventare più attenta a valutare le informazioni mentre i militanti islamici fuggono dalla Siria e dall’Iraq.

 

VIDEO QUI: https://www.youtube.com/watch?time_continue=3&v=Me6EVENP1w4 

 

Stiamo assistendo a un momento di transizione. Questi elementi si trasformeranno in

 

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https://www.controinformazione.info/terroristi-dellisis-girano-per-leuropa-con-carte-di-credito-rilasciate-dalla-ue/?fbclid=IwAR1Wc9ZpFawlwX060_hoHsc33i8_vMqF3xyzeHS5e5N2NedPXsrg5jR9J40

 

 

 

 

 

 

 

Edoardo Agnelli era un Sufi, ma con parenti nel B’nai B’rith

Scritto il 13/11/17

 

Edoardo Agnelli era un Sufi: lo scomodo figlio dell’Avvocato, morto il 15 novembre del 2000, era approdato all’ala mistica dell’Islam. Una mosca bianca, nell’impero Fiat, oggi retto da una famiglia «il cui capostipite fa parte del B’nai B’rith», cioè dell’élite massonica del sionismo più reazionario.

 

 

Edoardo Agnelli era un Sufi: lo scomodo figlio dell’Avvocato, morto il 15 novembre del 2000, era approdato all’ala mistica dell’Islam. Una mosca bianca, nell’impero Fiat, oggi retto da una famiglia «il cui capostipite fa parte del B’nai B’rith», cioè dell’élite massonica del sionismo più reazionario.

Lo afferma l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, che pubblica su Facebook una foto del giovane Agnelli raccolto in preghiera: «Se le fonti sono giuste», scrive Carpeoro, la foto è stata scattata a Teheran il 27 marzo 1981 durante la Preghiera del Venerdì, condotta dall’ayatollah Seyyed Khamenei, “guida suprema” della repubblica islamica.

 

 

Edoardo, in prima fila sulla destra, prega insieme a un Imam «che è famoso per aver avuto forme di collaborazione anche con Battiato». Si tratta di un religioso musulmano che, «appartenendo alla parte sciita dell’ambiente islamico, era anche uno dei capi del movimento Sufi». Molto si è detto sul mistero della fine di Edoardo Agnelli, trovato morto ai piedi di un viadotto dell’autostrada Torino-Savona 17 anni fa. Si era anche parlato della sua insofferenza verso il potere, delle sue inclinazioni mistiche e della sua vicinanza all’Islam. In diretta web-streaming, Carpeoro mette a fuoco il problema in modo più preciso: «Che risulti a me, Edoardo Agnelli era diventato Sufi».

L’impatto sulla famiglia, di una scelta così radicale? «Per l’Avvocato, bastava che Edoardo non mettesse piede in azienda», dichiara Carpeoro a Fabio Frabetti di “Border Nigths”. «Poi lì c’è un entourage, però, che mal sopportava questo, sicuramente». E aggiunge: oggi siamo passati da un Sufi a una famiglia il cui capostipite, «che poi è il marito di Margherita Agnelli», cioè lo scrittore e giornalista Alain Elkann, appartiene al B’nai B’rith, espressione «di un certo sionismo reazionario che ha fatto tanti danni alla cultura israeliana». Il primo che si è scagliato contro questo tipo di potere «è un grande personaggio della cultura ebraica che si chiama Moni Ovadia», dice Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. B’nai B’rith? Per Wikipedia, si tratta di una innocua loggia di ebrei, di prevalente origine tedesca, nata un secolo prima dello Stato di Israele: fondata il 13 ottobre del 1843 a New York. Da allora, i “figli dell’alleanza” hanno una missione ufficiale: assistere i poveri. «L’organizzazione partecipa a numerose attività legate ai servizi sociali, tra cui la promozione dei diritti degli ebrei, l’assistenza negli ospedali e alle vittime dei disastri». Inoltre, la “lega dei fratelli” stanzia premi per gli studenti di scuole ebraiche e combatte l’antisemitismo tramite il suo Center for Human Rights and Public Policy.

Oltre alle sue attività sociali, continua Wikipedia, il B’nai B’rith è anche un

 

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http://www.libreidee.org/2017/11/edoardo-agnelli-era-un-sufi-ma-con-parenti-nel-bnai-brith/

 

 

 

 

 

DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI

La trappola del Global Compact. Così aprirà le porte all’invasione

Di Valerio Benedetti – 27 Novembre 2018

Siamo stati probabilmente i primi a parlare in Italia del Global Compact dell’Onu, il «Patto globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare». Mentre in molti Paesi europei infuriava la polemica sulla sua firma – prevista il 10 e 11 dicembre al summit delle Nazioni Unite a Marrakech –, nella nostra nazione, infatti, quasi nessuno ne parlava. Ma perché un documento che viene presentato come una semplice «dichiarazione d’intenti», un accordo meramente politico senza alcun vincolo giuridico, è stato però rigettato da Stati Uniti, Israele, Australia, Ungheria, Austria, Polonia e tanti altri? La risposta è semplice: si tratta di una trappola, di un cavallo di Troia per regolarizzare tutti gli immigrati presenti illegalmente su suolo europeo e, inoltre, per aprire le porte a una vera e propria invasione. Vediamo perché.

Partiamo dall’inizio: che cos’è il Global Compact for Migration (Gcm)? Ebbene, si tratta di un documento che, nella sua versione finale, è composto da 23 obiettivi e 54 punti per un totale di 34 pagine. Il testo del Global Compact, tuttavia, non è stato tradotto in italiano, e probabilmente non lo sarà mai. E questo perché, qualora si avesse la possibilità di leggerlo, già al punto 4 del preambolo scopriremmo che «i rifugiati e i migranti sono titolari degli stessi diritti umani universali e delle stesse libertà fondamentali, che devono essere rispettate, protette e garantite in ogni momento. Tuttavia, migranti e rifugiati sono attualmente gruppi distinti soggetti a quadri giuridici separati. Solo i rifugiati hanno diritto alla specifica protezione internazionale come definita dalla Legge internazionale sui rifugiati. Questo Global Compact si riferisce ai soli migranti e prevede una struttura cooperativa che affronti le migrazioni in tutte le loro dimensioni». In pratica, l’obiettivo dell’accordo è di equiparare status di rifugiati e immigrati, o meglio di estendere le tutele speciali dei profughi di guerra anche agli immigrati irregolari. In altri termini, viene sancito un vero e proprio «diritto all’emigrazione». Ogni differenza tra rifugiati e «migranti economici» verrebbe di fatto a decadere.

Come ha specificato un ampio e dettagliato dossier del quotidiano tedesco Die Weltè stata proprio la Germania a svolgere un ruolo da protagonista nella stesura del Global Compact. Riguardo alla bozza iniziale dell’accordo, nell’aprile 2018 due collaboratori della Stiftung Wissenschaft und Politik (cioè il think tank della Repubblica federale tedesca, finanziato direttamente dalla Cancelleria) scrissero ad esempio che si trattava di «un primo passo, buono ma non sufficiente». E concludevano: «In tutto il mondo cresce il numero di rifugiati e migranti

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Quella nuova strategia degli scafisti per fare sbarcare i migranti

MAURO INDELICATO – 9 GENNAIO 2019

 

Un nuovo blitz che testimonia quanto pericolosa sia, per la nostra sicurezza nazionale, la rotta di barconi e gommoni tra Tunisia e Sicilia. Questa volta, grazie ai risultati acquisiti con l’operazione “Abiad”, la minaccia jihadista nei confronti dell’Italia appare esplicita. Se prima quei viaggi “di lusso”, con gommoni comodi ed effettuati in poche ore di viaggio, sembrano celare il sospetto dell’arrivo dei terroristi nel nostro paese, adesso si parla chiaramente di simpatie verso l’Isis e di esaltazione della jihad tra chi gestisce il business del contrabbando lungo il canale di Sicilia. Ed il cerchio, verrebbe da dire, si chiude. Gli allarmi per possibili infiltrazioni jihadiste vengono lanciati già nell’estate del 2017, quella che in Sicilia viene ricordata come la stagione per eccellenza degli “sbarchi fantasma”.

Approdi cioè non segnalati, dove chi lascia le imbarcazioni sulla spiaggia fa poi perdere traccia tra le campagne siciliane circostanti. In quella stagione si conta, soprattutto ad Agrigento, una media di almeno due sbarchi al giorno.

Gommoni provenienti in gran parte dalla Tunisia, paese che ha il triste primato del numero di foreign fighters affiliati all’Isis. Elementi dunque troppo evidenti per non pensare al rischio di infiltrazioni terroristiche.

La peculiarità delle rotte degli sbarchi fantasma 

La “stagione di fuoco” degli sbarchi fantasma inizia nella seconda metà di giugno del 2017. Due barchini vengono notati lungo la spiaggia di Zingarello, una contrada ricadente all’interno del comune di Agrigento e non lontana da Palma di Montechiaro. Quell’avvistamento appare subito anomalo: non c’è traccia di persone all’interno delle imbarcazioni, ma nemmeno nelle zone circostanti. Tutto sembra essere avvenuto di notte ed in fretta: sulla spiaggia, alcuni vestiti ed alcuni oggetti personali, segno che chi è approdato lì subito si è messo in cammino verso altre mete senza essere intercettato. Quell’episodio, già pochi giorni dopo, non appare più come episodio isolato. Si contano numerosi sbarchi, tra luglio ed agosto del 2017 gli approdi sono quasi quotidiani. Da Zingarello alla riserva di Tosse Salsa, nel territorio di Siculiana, dalla suggestiva ed isolata spiaggia delle Pergole di Realmonte, fino ai lidi compresi tra Ribera e Sciacca.

Tutta la costa dell’agrigentino appare sotto assedio. Ed al Tribunale di Agrigento, dagli stessi uffici del quinto piano da cui esattamente un anno dopo partirà l’indagine contro Salvini per il caso Diciotti, si lancia il primo allarme: “Non si possono escludere rischi sul fronte terrorismo”, tuona infatti il procuratore Luigi Patronaggio. 

Del resto nel mese di settembre del 2017, desta scalpore il ritrovamento di una felpa a Torre Salsa abbandonata da uno dei tanti migranti sbarcati e subito dispersi tra le campagne. In quell’indumento di colore nero, spicca la scritta “Haters Paris”, un riferimento alla capitale francese colpita dal terrorismo negli anni precedenti. Finita l’estate, gli sbarchi iniziano a diminuire. Scattano le indagini: nell’agrigentino vengono arrestati cinque scafisti, gli unici ad essere braccati dopo uno sbarco avvenuto a Porto Empedocle.

Ma nei mesi successivi a quella calda estate, le inchieste puntano anche sul trapanese. Ed è lì che emergono i dettagli più inquietanti. Si evidenziano, in particolare, alcune differenze tra il fenomeno degli sbarchi fantasma ad Agrigento e quelli invece che avvengono in provincia di Trapani. I primi sono quasi sempre effettuati con barchini: la traversata parte dalle coste di Biserta o di Sfax e termina nell’agrigentino, sia lungo le coste siciliane che dell’isola di Lampedusa. 

 

Gli sbarchi nel trapanese sono invece quelli considerati “di lusso”: si arriva tra Marsala e Mazara del Vallo e non con piccole imbarcazioni di legno, bensì come mezzi molto più veloci e sicuri. Attraversare il canale di Sicilia con queste imbarcazioni costa molto di più. Lo si intuisce per la prima volta con il blitz del giugno 2017 disposto proprio dalla procura di Trapani, così come con il recente blitz Caronte del 23 marzo scorso. Gli unici elementi in comune tra gli sbarchi ad Agrigento e quelli nel trapanese, sono dati dal fatto che tutte le imbarcazioni sfuggono al controllo delle navi militari presenti nel canale di Sicilia. Ma il fenomeno riguarda due canali di immigrazione differenti: ad Agrigento approda chi parte con piccole imbarcazioni, tra Marsala e Mazara invece coloro che possono permettersi molti più soldi da spendere.

Il concreto pericolo per l’Italia: “Un esercito di kamikaze pronto ad entrare”

Il sospetto degli inquirenti sta proprio in quest’ultimo elemento: chi può permettersi di avere maggiore disponibilità economica per una traversata verso la Sicilia, potrebbe avere l’appoggio di un’associazione criminale. O, peggio

 

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http://www.occhidellaguerra.it/il-rischio-del-terrorismo-negli-sbarchi-fantasma/

 

 

 

 

 

 

Lerner insiste: il disagio psichiatrico degli immigrati va curato. Così commenta il delitto di Torino

martedì 2 aprile 18:31 – di Redazione

Evidentemente Gad Lerner ci prova gusto ad andare controcorrente: è dai tempi dell’omicidio di Desirée Mariottini che si fa notare per i suoi tweet normalizzanti e giustificativi rispetto a episodi di cronaca che, se non vanno strumentalizzati, non possono neanche essere banalizzati o annacquati per continuare ad accusare gli italiani e il governo di “razzismo”.

L’omicidio del giovane Stefano Leo

L’omicidio del giovane Stefano Leo a Torino ad opera di un marocchino naturalizzato italiano dopo essere stato adottato dovrebbe colpire tutti e dovrebbe indurre a parlare dell’argomento con senso di responsabilità, stando ai fatti. E i fatti sono che Said Mechaquat ha confessato di avere voluto colpire un bianco e di averlo scelto perché non sopportava la sua “aria felice”.

Ecco il commento di Gad Lerner su Twitter: “Il disagio psichiatrico in crescita esponenziale tra gli immigrati non giustifica alcun crimine ma dovrebbe essere affrontato per quel che è: una piaga sociale da

 

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https://www.secoloditalia.it/2019/04/lerner-insiste-il-disagio-psichiatrico-degli-immigrati-va-curato-cosi-commenta-il-delitto-di-torino/?

 

 

 

 

 

 

ECONOMIA

BREXIT. LE RIPERCUSSIONI SULLE TASCHE DEI CITTADINI

23 Marzo 2019 di Dario Rivolta * –

Cosa succederà con la Brexit è questione ancora incerta. Se si dovesse scommettere, temo che i bookmaker di Londra diano favorita l’ipotesi del “no deal”, nonostante tutti sappiano che questa sarebbe la soluzione peggiore per tutti. Vedremo se il rinvio potrà portare un po’ di saggezza ai legislatori britannici, ma lo scontro interno al Partito Conservatore alimentato dalle ambizioni di chi vorrebbe il posto della May sembra non offrire grandi possibilità al buon senso.

Lo stesso governo britannico ha stimato che l’uscita dall’Unione potrebbe costare ai suoi cittadini circa 3mila euro l’anno cadauno e cioè l’8% del Pil. Tale “spesa” sarebbe dovuta, in caso di nessun accordo, ai dazi che colpirebbero le merci importate dall’Europa. Più esattamente, se mancasse il mercato unico e fossero applicate le migliori condizioni offerte ai Paesi con cui non esiste la libera circolazione delle merci, veicoli e macchinari vari sarebbero soggetti a un dazio medio del 10%, i prodotti agricoli a quello del 12% e i formaggi addirittura del 35%. Anche i prodotti britannici esportati verso il continente sarebbero penalizzati da un dazio medio del 5,7%.

In aggiunta ai vincoli tariffari potrebbero essere applicati anche quelli non tariffari e cioè tutte quelle norme e procedure che obbligano controlli sui prodotti che entrano nel nostro mercato e le condizioni di uniformità di standard affinché’ quei prodotti posano essere accettati.
È evidente che anche l’Europa continentale ne soffrirebbe ma di certo in misura molto minore. Ciò è dovuto al fatto che la Gran Bretagna importa ora dal resto dell’Unione molto di più di quanto esporta e la sostituzione con prodotti di altra provenienza, ove possibile, richiederebbe comunque un certo tempo.

Chi tra i membri dell’Unione soffrirebbe maggiormente è l’Olanda che manda oltre Manica ben il 10 % delle proprie esportazioni. Francia e Germania si limitano al 7% e l’Italia addirittura soltanto il 5%. Per quanto riguarda i volumi il Paese più penalizzato sarebbe la Germania che vedrebbe messa a rischio almeno una parte dei suoi 45 miliardi di euro mentre per l’Olanda si parla di circa 27 miliardi.

Noi italiani vi esportiamo molto meno, ma abbiamo il più grande avanzo commerciale poiché’ siamo in attivo per ben 12 miliardi. I nostri settori che verrebbero più colpiti da una hard Brexit sono l’alimentare, la meccanica strumentale, il tessile e il chimico.

La fonte di maggiori problemi nel dibattito a Londra è quello del confine nord-irlandese. Se, come chiedono i più accaniti fautori dell’”uscita”, la GB dovesse rinunciare a ogni forma di mercato unico, allora anche tra le due Irlande sarebbero restaurate le dogane sia per le merci che per le persone, così come avverrebbe con la costa sud del Canale. Questa ipotesi, fortemente avversata da Dublino

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L’Ocse, un Club di Sadomasochisti

Nei paesi dell’Entità Europoide si sprofonda nell’arretratezza tecnologica a causa della visione ottusa di chi non capisce che avere un debito pubblico basso non conta nulla. Conta l’innovazione

 

2 aprile 2019 di Giuseppe Masala.

 

Lasciano davvero esterrefatti i resoconti del rapporto Ocse sull’Italia. L’unico orizzonte ideale che si riesce ad avere è quello degli inevitabili sacrifici per mantenere i parametri di sostenibilità del debito pubblico. Conseguentemente chiedono l’abolizione dell’appena istituita Quota 100 che fa andare in pensione le persone due anni prima rispetto alla Legge Fornero.

 

Tutto questo vale anche lasciando perdere sia il percorso logico-dottrinario e le conclusioni che possono essere fortemente contestate per quanto riguarda l’Italia, visto che non tengono conto della sostenibilità del debito data dai nostri fondamentali (conti con l’Estero) positivi. Evidentemente per questi signori i risparmi degli italiani non sono degli italiani; sono risparmi che devono essere investiti in titoli dei paesi del nord Europa e sottoposti a Jus primae noctis con tassi d’interesse negativi (anche i Bund tedeschi a 10 anni hanno un tasso negativo) che di fatto significa sottoporre a tributo il risparmio degli italiani.

 

Ma il tema non è manco questo. Qui non si vuole capire che, non solo l’Italia, ma tutti i paesi appartenenti all’Entità Europoide stanno sprofondando nell’arretratezza tecnologica a causa della visione ottusa dei tedeschi e della Merkel che non riescono a capire che avere un debito pubblico basso non significa assolutamente nulla (ricordiamolo ancora una volta: il Congo ha un invidiabile rapporto debito/prodotto del 15% e il Giappone del 250%). Ciò che conta è la capacità di innovare che possiede il tessuto produttivo. E dunque la capacità di offrire, in prospettiva, prodotti in grado di competere nei mercati internazionali. In caso contrario ci si autocondanna a competere con i paesi in via di sviluppo sui prodotti a basso costo. Cose dette e ridette da Ashoka Mody, ma evidentemente questi soloni di Parigi non sanno manco chi sia.

 

L’Europa produce meno brevetti della sola Corea del Sud. La Germania – la Grande Germania – produce meno brevetti della sola IBM. Siamo ad anni luce di distanza da USA, Cina e Giappone. Ci stiamo condannando all’irrilevanza sebbene la posizione di partenza fosse quella di area economica più ricca e istruita del mondo. Eppure, questo enorme problema – figlio di una visione ottusa e ignorante – non viene contemplato. Nel rapporto Ocse non si parla minimamente degli

 

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GIUSTIZIA E NORME

LA LEGGE EUROPEA SUL COPYRIGHT

28 Marzo 2019 di C. Alessandro Mauceri 

Con 348 voti a favore, 274 contro e 34 astensioni, il Parlamento europeo, riunito in sessione plenaria, ha approvato in via definitiva la nuova direttiva sul copyright nel mercato unico digitale. L’accordo approvato dal Parlamento deve essere ancora formalmente approvato dal Consiglio dei Ministri UE, ma questo passaggio è dato praticamente per scontato. Si tratta di quello che molti hanno definito un traguardo: a questo risultato si è giunti dopo tre anni di discussioni e negoziati che hanno visto anche diversi colpi di scena. Solo a settembre 2018 si era avuta la prima approvazione del testo definitivo, ma l’iter valutativo è stato completato solo ieri. A confermare le lunghe diatribe su questo tema che hanno animato i parlamentari di Strasburgo fino allo scorso anno, anche il ristretto limite di consensi con cui la norma è passata. E solo dopo non pochi emendamenti il Parlamento Ue ha proceduto ad approvarlo.

La direttiva sul copyright vigente nell’Unione Europea e risalente al 2001, in realtà, era da molti considerata non più sufficiente a tutelare il diritto d’autore. E molti, se non tutti, erano d’accordo sulla necessità di aggiornarla, ma partendo da punti di vista completamente differenti sul come farlo, soprattutto in relazione ad alcuni articoli della direttiva ritenuti troppo vaghi e che potrebbero lasciare spazio a interpretazioni.
Sin dal primo momento, sono state tre le questioni spinose contenute nella nuova norma: il diritto concesso agli editori di pubblicazioni giornalistiche di ricevere un compenso ogni qual volta i loro articoli vengono pubblicati online; l’imposizione ad alcune piattaforme on line (come, ad esempio, Youtube) di dotarsi di misure destinate a controllare i contenuti inseriti dagli utenti per tutelare il diritto d’autore; e la creazione di una nuova eccezione sul copyright per consentire l’utilizzo di tecniche di ‘text and data mining’ (fino ad ora l’esplorazione e la lavorazione di grandi quantità di dati, al fine di modificare alcune tendenze poteva violare le leggi sul copyright ma solo in alcuni Paesi).

L’articolo che mira a regolamentare il rapporto tra le piattaforme online – in primis, Google, Facebook e poche altre – e gli editori è una materia spinosa dato che se, da un lato, è vero che spesso sui social network e sui motori di ricerca circolano troppo liberamente contenuti coperti dal diritto d’autore e senza che gli autori stessi o gli editori ricevano alcuna forma di

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LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI

L’esercito degli stagisti

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È ormai in corso da vari anni un processo di trasformazione e ramificazione della struttura produttiva nei paesi in cui lo stato del sistema capitalistico-finanziario non sembra poter esser messo in discussione. Sebbene la centralità dello scontro capitale lavoro non sia risolta – al contrario appare acutizzata – il terreno di raffronto tra di essi non si mostra più circoscritto alle mura dell’industria ottocentesca, ma procede inglobando verticalmente tutta la popolazione. Il coefficiente di produttività viene esteso oltre i mattoni della fabbrica e diventa componente attivo in ogni ingranaggio della società. La progressiva parcellizzazione del ciclo produttivo ha ottenuto tra i suoi risultati la trasformazione dell’intellettuale in un segmento all’interno del più ampio processo lavorativo, dissolvendo ancor più nettamente le distinzioni tra operaio e operaio massa.

Sebbene le categorie lavorative sembrino essersi modificate per via degli sviluppi tecnologici, la conflittualità tra le due classi rimane effettiva. Il capitalismo, infatti, prova imperterrito ad estendere le meccaniche della disciplina industriale all’intera popolazione, nel tentativo ultimo di assoggettare i lavoratori. Allo stesso tempo i movimenti di lotta – ridotti ai minimi termini in questa fase storica – fraintendono completamente la riorganizzazione del sistema capitalista e, cadendo prede della misera retorica post strutturalista, volgono la loro attenzione esclusivamente nei confronti dei diritti civili.

Nel suo libro La forma di Stato Antonio Negri notava come dopo la sconfitta subita dal movimento popolare armato negli anni successivi alla resistenza, la lotta della classe operaia si fosse progressivamente spostata su un terreno di riproduzione interna, ovvero non più diretta a rompere con odio i meccanismi del dominio ma a determinare nuove dinamiche di propria valorizzazione dentro e contro la valorizzazione capitalistica:

Le modificazioni della composizione di classe operaia, e proletaria, ed in particolare il processo di auto riconoscimento dell’operaio-massa e quello di formazione dell’operaio sociale contro l’egemonia capitalistica sulla riproduzione complessiva, rappresentano la filigrana delle inferenze strutturali.

Accade, dunque, che le vecchie e rigide categorie del lavoro sfocino – in maniera proporzionale all’aumento della congiunzione e della sovrapposizione tra struttura e sovrastruttura – in una nuova dimensione, arrivando ad esprimere una composizione di classe che ha come protagonista l’operaio-massa all’interno della società-fabbrica.

A circa quarant’anni dallo scritto del Professor Negri la figura dell’operaio-massa diventa importante chiave di lettura per comprendere il nuovo tipo di sfruttamento lavorativo attuato attraverso una progressiva automatizzazione e digitalizzazione della forza-lavoro sociale. Le fabbriche-aziende necessitano di un crescente numero di specializzati a basso costo cui affidare un frammento del sistema produttivo; essi in realtà diventano ingranaggio integrante di un sistema molto più ampio che finisce per collocarli nel ruolo di meri esecutori all’interno di una diversa e più grande catena di montaggio.

Tale sistema fonda le sue radici nella paura, nel senso di colpa e nell’ambizione: i tre sentimenti indicati ne La logica delle passioni di Paolo Virno. Infatti, l’aumento dell’accumulazione di tali aziende poggia – oltre che su una progressiva fagocitazione delle piccole realtà da parte dei grandi monopoli del settore – su una retorica supportata dell’egemonia culturale delle classi dominanti volta a incrementare l’agonismo e l’individualismo tra i lavoratori. La mancanza di sicurezze contrattuali e il connesso arretramento dei diritti lavorativi

 

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PANORAMA INTERNAZIONALE

Sovranità democratica e internazionalismo autentico

Per molti opinionisti il termine “sovranità nazionale” è diventato sinonimo dei più gretti sentimenti politici: nazionalismo, razzismo, rosso-brunismo, neofascismo. Forse è il caso di introdurre qualche distinguo in quella che appare una strumentalizzazione volta a mettere nello stesso calderone ispirazioni politiche ben diverse. Una confusione che trova la sua radice nella mancanza di argomenti solidi per contestare chi ritiene una piena sovranità nazionale il presupposto della democrazia e di una costruttiva cooperazione internazionale.

Ho altrove definito “Polanyi moment” la fase storica più recente, caratterizzata da un diffuso sentimento di protesta contro le élite liberiste. Lungi dal ritenere il libero mercato come una condizione naturale per l’umanità, l’antropologo Karl Polanyi (1886-1964) preconizzò che l’imposizione brutale del liberismo avrebbe generato un’opposizione popolare volta a ricostituire i legami comunitari violentati dal mercato. Se la creazione attraverso lo Stato Sociale di un’area “demercificata” è stata una risposta progressista a cui il capitalismo dovette prestarsi a fronte della sfida sovietica, Polanyi temette che, come era avvenuto col nazismo, la protesta popolare potesse indirizzarsi verso la destra illiberale, pronta a raccoglierla con slogan semplici e reazionari. Con la sinistra orfana della sfida socialista, la risposta di destra rischia di apparire oggi l’unica disponibile, tanto più che le élite, incluse quelle di sinistra, trattano sovente con disprezzo il sentimento popolare di ricerca di protezione contro le angherie del mercato e la dislocazione dei centri di potere fuori dei confini delle democrazie nazionali.

Già oltre vent’anni fa Massimo Pivetti, un rigoroso economista allievo di Sraffa e Garegnani, aveva cominciato a denunciare come la sottrazione di sovranità monetaria al controllo delle istituzioni democratiche nazionali fosse parte di un disegno più ampio di svuotamento dello Stato nazionale inteso come terreno naturale entro il quale si esercita, semplificando, il conflitto distributivo fra le classi sociali. Del resto, i sistemi di cambio fissi sono stati uno strumento tradizionale per disciplinare il conflitto distributivo. Così è stato in Italia dal lontano 1979 quando, sotto l’ispirazione di Andreatta e della sua corte di professori bolognesi, dei bocconiani e della Banca d’Italia del dopo-Baffi, l’importazione della disciplina tedesca è diventato l‘asse della politica economica italiana (Paolo Baffi fu governatore fra il 1975 e i 1979, molto cauto nei riguardi dell’Europa monetaria). Senza la politica monetaria e la manovra del tasso di cambio i margini della politica fiscale diventano risicati; gli spazi dell’elettorato nel decidere l’orientamento della politica economica vengono annullati; lo spazio per il conflitto sociale, l’humus della democrazia se ben regolato, risulta mortificato. La democrazia si riduce al dibattito sui diritti civili, terreno privilegiato dell’attuale “sinistra”, assieme all’adesione a una indistinta solidarietà cosmopolita. Ma non è solo questo. La politica basata sul “cambio forte” (chi ci ricorda?) ha condotto alla perdita di competitività esterna, alla crescita del rapporto debito pubblico/PIL, a un’austerità infinita che, mortificando la domanda aggregata, è alla radice della stagnazione degli investimenti e della produttività.

Pensare a una federazione sovranazionale fra Paesi economicamente molto diversi vuol dire assecondare questo disegno liberista, come ben sapeva Friedrich von Hayek (1899-1992), il campione del liberismo, che riteneva

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http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/?p=25593

 

 

 

 

SCIENZE TECNOLOGIE

TOKYO – È nato l’utero artificiale benvenuti in Matrix!

18 aprile 2015

A Tokyo, i ricercatori hanno messo a punto una tecnica chiamata EUFI – incubazione fetale extrauterina. Hanno così creato la vita senza la necessità di usare una donna. Usando dei feti di capra, hanno poi collegato attraverso dei cateteri il sistema venoso
e creando la camera amniotica presente all’interno della donna. I Ricercatori hanno utilizzato dei feti di capra, cateteri filettati attraverso grandi vasi nel cordone ombelicale e fornito, ai feti, sangue ossigenato mentre erano sospesi in incubatrici contenenti liquido amniotico artificiale riscaldato alla temperatura corporea adatta e modificata man mano. Forse tra 10 anni avremo la possibilità di far nascere bambini da uteri di animali, o addirittura da uteri completamente artificiali. Se credete che l’utero in affitto sia l’ultimo stadio della rivoluzione biotecnologica che potrebbe sconvolgere per sempre la società umana – figli con due padri, due madri, due madri e due padri, quattro madri, etc. – distaccando definitivamente la sessualità dalla riproduzione, beh, cari lettori, vi sbagliate di grosso. La battaglia prossima, in questo diabolico atto di disumanizzazione, è quella di separare per sempre i bambini dal grembo materno, cioè dalle viscere femminili e crescerli in laboratorio! Nel 1997, in un articolo per la rivista LGBT The Advocate, il neuroscienziato gay Simon LeVay ha scritto parole molto precise sulla gestazione interspecifica o xenogravidanza: «Certo, vedo la clonazione come un beneficio per i gay (…) e anche la xenogravidanza (far partorire un feto umano da una specie differente) potrebbe essere di enorme beneficio, specialmente per le coppie di maschi gay, che attualmente devono pagare $40.000 o più per avere un bambino da una surrogata umana. L’idea ti rivolta, ma perché? Sceglierei senza problemi l’utero di un sobrio, non-drogato, non-fumatore maiale invece di un normale ambiente naturale». Avete letto bene: far partorire bambini dai maiali – che non fumano, non bevono, non si drogano quindi sono più “sani” delle gestanti

 

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https://terrarealtime.blogspot.com/2015/04/tokyo-e-nato-lutero-artificiale.html?m=1&fbclid=IwAR370OJWFaQYASSpAjGuWDukhg9DdfHAXMp_S6EjqFolmbwCNgFlKVXmJ-I

 

 

 

 

 

La GERMANIA ANALIZZA i VACCINI per uso UMANO: I risultati sono PAUROSI e in Italia li CENSURANO

Angela Francia – 28 marzo 2019

Consigliamo a tutti di condividere, l’informazione libera e senza censure ce la creeremo noi sul web!

Questi dati scioccanti trovati nei vaccini per uso umano non sono come dire “nell’acqua hanno trovato tracce di alluminio”!!

Qui la cosa è gravissima! I vaccini ci vengono iniettati nell’organismo e vanno nel sangue, negli organi e nelle cellule di tutto il corpo.
VACCINI E GERMANIA: FIALE ANALIZZATEE UNA VERITÀ SCIOCCANTE!

Sono stati donati migliaia di euro ad una società no-profit di Herrenberg, nelle vicinanze di Stoccarda, denominata AGBUG e.V. per ricercare gli elementi contenuti nei vaccini attuali.

In origine, si intendeva indagare i vaccini per il loro contenuto di mercurio, ma andando avanti, l’associazione ha poi chiesto di estendere le indagini a tutti gli elementi ricercabili.

A questo scopo sono state inviate 16 differenti fiale di vaccini al laboratorio clinico ed ambientale Micro Trace Minerals, con sede in Germania, fondato nel 1975, che opera nel campo dell’analisidei minerali e dei metalli tossici.

AGBUG ha ora pubblicato i risultati del primo lotto sul suo sito web (vedasi figura 1)

I 16 vaccini analizzati sono:

Afluria 2015/16 [vaccino antinfluenzale] ,

Bexsero [vaccino antimeningococco sierogruppo B, soggetto a monitoraggio addizionale] ,

Cervarix [vaccino bivalente antipapillomavirus umano],

Gardasil [vaccino quadrivalene antipapillomavirus umano],

Gardasil 9 [vaccino 9-valente antipapillomavirus umano] ,

Hexyon [nuovo vaccino esavalente, soggetto a monitoraggio addizionale] ,

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https://angelafrancia.wordpress.com/2019/03/28/la-germania-analizza-i-vaccini-per-uso-umano-i-risultati-sono-paurosi-e-in-italia-li-censurano/?fbclid=IwAR1lFCFgCee3o_R8XMaYNNJAXBj2VzIpLvGE6ZoeAJgQnFuSzouQKY3qMYg

 

 

 

 

STORIA

Achille Lauro, fu vera crisi Italia-Usa sul nodo del terrorismo palestinese

Un saggio di Matteo Gerlini (Mondadori Università) sulle scelte del governo Craxi. La fuga del capo guerrigliero Abu Abbas provocò gravi tensioni con l’America

di PAOLO MIELI – 27 dicembre 2016 (modifica il 28 dicembre 2016 | 21:28)

 

Quelli tra il 7 e il 12 ottobre 1985 furono giorni che turbarono i rapporti tra Italia e Stati Uniti. Lì per lì sembrò che tutto fosse rientrato, che la vicenda del sequestro della nave Achille Lauro da parte di un commando terroristico del Fronte di liberazione della Palestina — resa ancor più tragica dall’assassinio dell’ebreo americano Leon Klinghoffer, ucciso e gettato a mare con la sedia a rotelle —, del tentativo americano di catturare il capo del gruppo Abu Abbas atterrato su un aereo egiziano all’aeroporto militare di Sigonella, dell’opposizione italiana a questo atto di forza, del trasferimento dello stesso Abbas a Ciampino e di lì, su un aereo di linea, a Belgrado, da dove si sarebbe eclissato, sembrò — dicevamo — che tutta questa complicata storia si fosse ricomposta. Che il clima tra il nostro Paese e gli Stati Uniti fosse tornato amichevole a dispetto anche dell’esplicito disappunto del presidente americano Ronald Reagan nei confronti del capo del governo italiano Bettino Craxi, il quale, per difendere la nostra sovranità nazionale, aveva rifiutato di consegnargli Abu Abbas con i suoi quattro sodali. E che tutto si fosse rasserenato dopo che era rientrata la brevissima crisi aperta dal leader repubblicano Giovanni Spadolini, all’epoca ministro della Difesa.

 

Leon Klinghoffer (1916-1985) cittadino americano di religione ebraica, assassinato da terroristi israeliani sulla nave da crociera italiana Achille Lauro nel 1985

 

Nei giorni del caos non si conoscevano in dettaglio le modalità dell’assassinio di Klinghoffer: un leader dell’Olp, Faruq al-Qaddumi, aveva addirittura avanzato la provocatoria ipotesi che l’anziano paraplegico israelita fosse stato ammazzato dalla moglie Marilyn per poter intascare il premio di assicurazione sulla sua vita. Poi si seppe la verità. Ma nel frattempo Abbas e i suoi si erano volatilizzati. Il 6 novembre Craxi parlò alla Camera dei deputati, ottenne anche il plauso del Partito comunista italiano, che pure all’epoca aveva con il Psi rapporti incandescenti. Trascorsero alcuni giorni e Reagan — con una lettera cordiale che iniziava con le parole «Dear Bettino» — sembrò aver fatto pace con il nostro governo. Adesso un libro di Matteo Gerlini, Il dirottamento dell’Achille Lauro e i suoi inattesi e sorprendenti risvolti, che sta per essere pubblicato da Mondadori Università, prende in considerazione l’ipotesi che quella frattura abbia avuto una scia lunga e addirittura un riflesso nelle vicende giudiziarie che una decina di anni dopo avrebbero provocato l’uscita di Craxi e di Giulio Andreotti dalla scena politica italiana. Anche se, per l’assenza di riscontri documentali, l’autore non dà eccessivo credito a questa ipotesi e la riconduce ad una semplice «vulgata».

Merito del libro di Gerlini — a differenza degli altri che si sono occupati di questo caso — è quello di non aver puntato i riflettori pressoché esclusivamente sul ruolo svolto da Bettino Craxi in quei giorni dell’ottobre 1985. Il faro illumina anche altre figure. Quella dell’allora ministro degli Esteri, ad esempio. Dapprincipio Andreotti ebbe un incidente con l’ambasciatore americano a Roma Maxwell Rabb, che gli rimproverava di non aver avvertito gli Stati Uniti della partenza di Abu Abbas. Andreotti spiegò che non aveva dato quell’informazione perché l’ambasciatore egiziano era «spaventato della possibilità che l’aereo su cui viaggiavano i palestinesi fosse attaccato e abbattuto». Rabb disse che quell’accusa era «scioccante». A quel punto Andreotti emendò la sua dichiarazione dicendo che, secondo il diplomatico del Cairo, l’aereo avrebbe potuto essere «costretto ad atterrare». Ma, scrive Gerlini, «la correzione di Andreotti — riportata unicamente nel documento statunitense — ovviamente non cambiava il significato di una simile affermazione, perché la sola menzione del timore dell’abbattimento aveva sortito il suo effetto sull’interlocutore».

E non finì lì. Da un successivo resoconto emerge un contrasto fortissimo nel corso di un incontro a Bruxelles tra Andreotti e il segretario di Stato americano George Schultz dopo che l’ambasciatore statunitense Rabb aveva sostenuto la tesi di un cedimento italiano ad Abu Abbas. Il nostro ministro — si legge nella nota — «ha risposto che questa insinuazione gli sembrava offensiva» e che l’Italia avrebbe processato i terroristi «secondo le proprie leggi». Anche Abu Abbas, ove le prove addotte dovessero risultare sufficienti, sarebbe stato «incriminato e, se possibile, processato al pari di qualsiasi cittadino italiano». L’Italia, ribadiva il nostro ministro degli Esteri, «ha condotto, con risultati che tutti conoscono, la lotta al terrorismo senza violare le proprie leggi… Non possiamo accettare le affermazioni dell’ambasciatore Rabb che sembrano mettere in dubbio la nostra determinazione di combattere il terrorismo ed altre insinuazioni simili, da ovunque vengano». Dopodiché Andreotti aveva consegnato a Schultz due note distinte — una sugli avvenimenti di Sigonella, l’altra sul volo di Abbas da Sigonella a Roma — dicendo che considerava «opportuno» farle leggere al presidente degli Stati Uniti, specificando che da questa lettura qui in Italia «non ci si attendeva una risposta».

 Successivamente, fa notare Gerlini, dopo una riunione del consiglio atlantico, Andreotti e Schultz «ripresero la conversazione con toni diversi». Andreotti, però, chiese espressamente che da parte di Reagan non venisse «sottovalutata» la posizione italiana, precisò che in merito a Sigonella giudicava «grave» l’atteggiamento degli Usa e che solo «il suo senso di responsabilità e quarant’anni di esperienza politica» lo inducevano a «non alimentare la polemica su questo aspetto». Tanto più che, se la polemica fosse divampata, sarebbe stata «enormemente complicata la posizione del governo italiano rispetto al dislocamento degli euromissili». Schultz colse al volo il senso della neanche tanto velata minaccia, si disse «colpito» da come Andreotti gli aveva spiegato «il ruolo di negoziatore di Abu Abbas» e propose al ministro democristiano

 

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https://www.corriere.it/cultura/16_dicembre_27/matteo-gerlini-il-dirottamento-dell-achille-lauro-mondadori-5e54936e-cc4b-11e6-89aa-18ad6a6eb0ec.shtml

 

 

Per l’articolo sopra riportato, suggerisco vivamente la attenta lettura del documento che analizza la VERA identità di Leon Klinghoffer e visionabile al seguente link:

http://www.dicoseunpo.it/A_files/Death_of_Klinghoffer.pdf

 

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