NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI
5 MARZO 2019
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Piazza Duomo a Milano ha un’ampiezza di 17.000 mq.
Ogni mq possono stare quattro persone, quindi 68.000 cittadini.
Gli organizzatori della manifestazione
sono riusciti a mettercene 250.000!
(Riflessione ripresa da Facebook)
https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/
Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.
Tutti i numeri dell’anno 2018 della Rassegna sono disponibili sul sito www.dettiescritti.com
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SOMMARIO
Migranti, la buonista Merkel? Sbarra i confini e li respinge 1
Non siamo tutti sulla stessa barca! 1
Trapelato audio di John Kerry che rivela il via libera al potere di ISIS
Il commissario Moscovici si è congratulato con Zingaretti 1
Franco Cfa, a Roma sfilano gli africani: “Basta imperialismo nel Continente nero”. 1
L’Italia dei buoni e dei migliori
La RAI fa intelligenza con Macron nemico dell’Italia
“Parigi Capitale d’Italia”. Bufera sull’intervista di Fazio a Macron. 1
Rapine, stupri e aggressioni. Quei criminali lasciati liberi 1
Saviano a “chi l’ha visto?” Neanche una parola sull’arresto del boss di “Gomorra” Di Lauro….. 1
National Interest: la nuova arma segreta degli Stati Uniti
Putin ha annunciato la sospensione del trattato sulle armi nucleari 1
“LTI, La lingua del Terzo Reich” di Victor Klemperer 1
Ora i servizi accusano le Ong: “Così importiamo l’illegalità” 1
Assassinato scienziato farmaceutico Tristan Beaudette impegnato nella ricerca sui vaccini
Cina: accusato di spionaggio ex diplomatico canadese
Migranti, il prete smonta la sinistra: “No alla Salvinofobia”. 1
Se la sinistra fa sfilare pure i bimbi al corteo pro-immigrati 1
Cooperative: governance, finanziamenti e appalti, come riformare il sistema. 1
Le “regole europee” che distruggono l’Europa a beneficio della Germania. 1
Caso diamanti, le banche pagano il 100% delle pietre 1
Germania difende Bail-in ma sua banca ha buco tre volte Banca Carige 1
Banche, Vestager: rimborsare la VENDITA FRAUDOLENTA? Se c’è stata davvero 1
L’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo. Peccato per quel difetto della Costituzione 1
Altri 351 licenziamenti nei centri di accoglienza. 1
Volontariato: può essere retribuito? 1
Russia-Usa, incontro a Vienna tra capi di Stato maggiore 1
Perché la Cina sta costruendo le infrastrutture di mezzo mondo? 1
Germania: Il numero dei detenuti stranieri ha raggiunto livelli record. 1
Iran, Khamenei si smarca da Rohani
Gramellini, il corsivista dei poteri forti che “bastona” Tria per compiacere i banchieri tedeschi 1
Errori e ferocia, così è nata l’infinita Guerra di Corea. 1
IN EVIDENZA
Migranti, la buonista Merkel? Sbarra i confini e li respinge
Dopo gli accordi con Spagna e Grecia, iniziati i respingimenti alla frontiera. Negoziati con l’Italia, ma Salvini non cede
Giuseppe De Lorenzo – 04/03/2019
Facciamo un passo indietro. Anzi due. Torniamo a metà dicembre del 2018. Mentre in Italia (e altrove) forze politiche sovraniste si interrogavano sull’opportunità o meno di firmare il “Global compact”, Angela Merkel volava a Marrakech per sostenere il patto internazionale sulle migrazioni.
Nel suo applaudito intervento definì gli immigrati portatori di “prosperità” (quando legali) e si fece sponsor di un accordo Onu piuttosto chiacchierato. Ma a parte le lodevoli dichiarazioni, come si è comportata nei fatti la Germania? Ha tirato dritto sull’apertura delle frontiere? Si è mantenuta salda ai suoi principi? Macché.
Tra il dire e il fare, spesso, in politica, più che il semplice “mare” c’è un vero e proprio oceano di contraddizioni. Come nel caso della Merkel. Dopo aver predicato accoglienza, le tensioni interne hanno infatti costretto Angela alle dimissioni dalla guida del partito e alla rinuncia alla (prossima) Cancelleria. Tra le mille cause della fine del suo impero c’è anche la crisi migratoria, inutile negarlo. E così, nella speranza di risollevare le sorti del governo e della Cdu, negli anni Merkel ha rivisto la sua posizione: più controlli all’ingresso, accordi per i respingimenti, rimpatri e via dicendo.
A gennaio l’interrogazione di una deputata della Linke aveva portato alla luce l’incremento di espulsioni di “dublinanti”. Si tratta dei migranti che, entrati in Grecia o Italia, hanno attraversato le frontiere nella speranza di ricostruirsi una vita in Nord Europa. Per le regole di Dublino (la cui riforma è ferma al palo) sono gli Stati di primo approdo a doversi far carico della domanda.
Continua qui: http://www.ilgiornale.it/news/politica/migranti-buonista-merkel-sbarra-i-confini-e-li-respinge-1656506.html
Non siamo tutti sulla stessa barca!
Luigi Iannone – 3 marzo 2019
No! Non ci siamo proprio, care e cari Laura Boldrini, Ornella Vanoni, Giuliano Pisapia, Roberto Vecchioni, Claudio Bisio, Amelia Monti, Malika Ayane, Giobbe Covatta, Lella Costa e tutto il Circo Barnum, che insieme a tanti milanesi (più o meno ingenui) vi siete ritrovati in piazza per la manifestazione antirazzista, ostentando lo slogan: «Siamo tutti sulla stessa barca».
No, cari tutti… siete dei mentitori perché qualunque mieloso e suggestivo proposito possiate portare avanti, non siamo sulla stessa barca!
E cerco di spiegarvelo in maniera diretta, seppur molto sintetica.
Chi vive nei centri storici delle città e non nelle periferie degradate, non è “sulla stessa barca” con gli altri.
Chi non fa lavori “comuni” e, quindi, non riesce (o non vuole) comprendere che si stanno demolendo i diritti dei lavoratori per via di questa rincorsa verso il peggio che obbliga alla ricerca di mano d’opera a basso costo, non è “sulla nostra stessa barca”.
E chi non capisce che questa corsa al ribasso dei salari danneggia essenzialmente le fasce di lavoratori meno professionalizzati e quindi più esposti (e di conseguenza più poveri) non è “sulla nostra stessa barca”.
Chi non vede (o non vuole vedere) che la popolazione straniera residente continua a crescere, anche se di lavoro ce n’è sempre meno, non è “sulla nostra stessa barca”.
Chi non considera il fatto che, insieme a tanti poveri cristi, arrivino tanti delinquenti e criminali, non è “sulla nostra stessa barca”.
Chi crede che, nonostante una infinita crisi economica, sia possibile continuare a spendere per un’accoglienza tramutatasi in assistenzialismo perpetuo a carico dello Stato, perciò togliendo risorse a famiglie italiane nelle stesse condizioni, non è “sulla nostra stessa barca”.
Chi non capisce che, non potendo accoglierli tutti, vi sarà una parte non irrisoria di immigrati che troverà strade alternative, e sarà arruolata dalle nostre organizzazioni criminali (Mafia, ‘Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona), non è “sulla nostra stessa barca”.
Chi non afferra il concetto che molti di questi immigrati aspirino all’accoglienza ma non all’integrazione, non è “sulla nostra stessa barca”.
Chi fa finta di illudersi che a costoro (non a tutti, ovviamente!) nulla importi della laicità dello Stato
Continua qui: http://blog.ilgiornale.it/iannone/2019/03/03/non-siamo-tutti-sulla-stessa-barca/#
Trapelato audio di John Kerry che rivela, il via libera al potere di ISIS , per ordine di Obama
Sean Adl-Tabatabai
Una registrazione audio trapelata di John Kerry rivela che il presidente Obama ha richiesto la sua amministrazione di facilitare e permettere a ISIS di salire al potere.
Il 30 settembre 2016, il New York Times con molta calma ha pubblicato una registrazione audio trapelata del segretario John Kerry che discute la strategia della Casa Bianca e trattava di Siria e ISIS.
Theconservativetreehouse.com riferisce:
Quando si ascolta la registrazione audio (che trovate sotto) diventa subito evidente che cosa stava succedendo quando entrambe le dichiarazioni sono state fatte, era il 2014, dalla Casa Bianca. Inoltre, si scopre il motivo per cui questa perdita del racconto sbalorditivo nel 2016 fu nascosto dai media americani e come questo si collega a più di 5 anni di politica degli USA in Medio Oriente lasci tutti perplessi.
Questa evidenza all’interno di questa storia singola avrebbe / dovuto eliminare per sempre ogni credibilità della politica estera degli Stati Uniti sotto la presidenza Obama. Distrugge anche la credibilità di un gran numero di ben noti Repubblicani. Che la registrazione rivela:
- In primo luogo, solo un cambio di regime, la rimozione di Bashir Assad, in Siria era l’obiettivo per il presidente Obama. Questo è ammesso e delineato dal Segretario John Kerry.
- In secondo luogo, al fine di raggiungere questo obiettivo primario, la Casa Bianca era disposto a vedere il sorgere di ISIS, ponendo la loro scommessa che il successo di ISIS avrebbe costretto il presidente siriano Bashir Assadad accettare i termini di Obama a dimettersi.
- In terzo luogo, al fine di agevolare i due obiettivi, Obama e Kerry hanno dato intenzionalmente armi a ISIS e anche, probabilmente, hanno attaccato un convoglio militaredel governo siriano per fermare un attacco strategico sugli estremisti islamici uccidendo80 soldati siriani.
Un momento di pausa per prendere in considerazione questi tre punti con
Continua qui: https://sadefenza.blogspot.com/2017/01/trapelato-audio-di-john-kerry-che.html
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
Il commissario Moscovici si è congratulato con Zingaretti
04 marzo 2019
Al nuovo leader del Pd, Nicola Zingaretti, arrivano le congratulazioni di Pierre Moscovici: “Congratulazioni al mio amico Nicola Zingaretti per l’ampia vittoria alle primarie del Pd – scrive su Twitter il commissario Ue ed esponente socialista
Continua qui: https://www.agi.it/politica/pd_zingaretti_moscovici-5087208/news/2019-03-04/
Franco Cfa, a Roma sfilano gli africani: “Basta imperialismo nel Continente nero”
Nel giorno di People, nella Capitale è andata in scena una manifestazione contro “le ingerenze francesi” nella Françafrique. Tra bandiere e cartelli, gli attivisti chiedono lo stop alla “moneta coloniale”. Ma non solo
di F. Q. | 3 Marzo 2019
Africani in piazza. Nel giorno di People – prima le persone, corteo contro il razzismo che ha invaso le vie di Milano, a Roma è andata in scena un’altra manifestazione, contro il franco Cfa, la contestata moneta delle ex colonie francesi d’Africa, e contro l’imperialismo nel Continente nero. Qualche centinaio i partecipanti, che hanno sfilato da piazza dell’Esquilino a piazza della Madonna di Loreto, attraversando via Cavour, largo Corrado Ricci e via dei Fori Imperiali.
A sfilare sono state donne e uomini di origine africana, ma anche italiani che hanno sposato la causa della Françafrique, tra striscioni e cartelli contro “l’imperialismo”, “il franco Cfa” e “la schiavitù economica”. Tante le bandiere di Stati africani, insieme a quelle italiane e della pace. E uno striscione che sembra fare il verso agli slogan leghisti: “Prima la dignità“. Queste alcune delle foto scattate dallo scrittore eritreo Daniel Wedi Korbaria:
“Una manifestazione libera per radunare tutti gli africani che si sentono vittime dell’ingiustizia”, spiega Whylton Ngouedi, uno degli organizzatori dell’evento. L’”ingiustizia”, per le associazioni che hanno manifestato nella Capitale
L’Italia dei buoni e dei migliori
Nicola Porro – 4 marzo 2019
00:00 L’Italia dei buoni e dei cattivi: i primi, chiaramente, sarebbero quelli che hanno manifestato a Milano contro l’antirazzismo e che si sono presentati alle urne del partito democratico. I giornaloni esaltano le primarie Pd.
03:18 Zingaretti dice che sarà leader e non capo. Già, ma tu sei ora il capo. Leader vedremo…
04:50 Il Pd e il giornalismo italiano: Cazzullo su Renzi e Mauro sulla “coscienza della responsabilità
Continua qui: https://www.nicolaporro.it/zuppa-di-porro/litalia-dei-buoni-e-dei-migliori/
BELPAESE DA SALVARE
LA RAI FA INTELLIGENZA CON MACRON, NEMICO DELL’ITALIA
di Fabio Rampelli – 4 MARZO 2019
Mi piacerebbe sapere quale sia il giudizio dei vertici Rai sulla presenza del presidente francese Macron alla trasmissione di Fazio. O forse Fazio amministra una Repubblica autonoma dal resto dell’azienda e ha licenza di brigare con chi si è fatto beffa dell’Italia in questi anni, cercando palesemente di dominarla, talvolta anche con l’uso della violenza?
Macron ha definito gli italiani ‘vomitevoli’ per il tentativo in corso di bloccare l’arrivo di centinaia di migliaia di clandestini, ha però blindato la frontiera a Ventimiglia e fatto sconfinare la sua gendarmeria per riportare in Italia gli stranieri fermati oltre il confine, ha richiamato il nostro ambasciatore per i contatti tra forze politiche italiane e alcuni leader dei ’gilet gialli’, ma offre tuttora ospitalità a decine di latitanti delle Brigate Rosse condannati in Italia per terrorismo. Non spiega la ragione per la quale la Francia mantiene di fatto, nel terzo millennio, le sue colonie in Africa, sfruttando manodopera, materie prime e applicando interessi usurai sulla moneta che stampa (il Franco Coloniale Africano) e lasciandole nell’arretratezza e nella povertà, cause primarie dell’emigrazione.
Non si prende le sue responsabilità sulla Strage di Ustica mentre tutto il mondo sa che il missile che abbatté l’aereo di linea sui cieli italiani proveniva da un caccia francese che intendeva colpire un velivolo Tupolev a bordo del quale
Continua qui: http://alfredodecclesia.blogspot.com/2019/03/la-rai-fa-intelligenza-con-macron.html
“Parigi Capitale d’Italia”. Bufera sull’intervista di Fazio a Macron
Polemiche sul lungo monologo del presidente francese. Ira della Meloni: “Fazio si faccia pagare dai suoi amici d’Oltralpe”
Bartolo Dall’Orto – Lun, 04/03/2019
Ma ora a finire nel mirino sono le domande scelte dalla redazione per l’inquilino dell’Eliseo.
Alla fine è stata un’intervista in cui Macron ha cercato di ricucire il rapporto con l’Italia e in cui si è proposto come maestrino in uno scontato spot pro-Europa. “Ci sono stati malintesi tra Italia e Francia ma bisogna andare oltre”, ha detto il presidente francese. “I malintesi e le peripezie più recenti non sono gravi, bisogna andare oltre: ci sono state affermazioni un po’ eccessive. Quello che dobbiamo ai nostri popoli è andare oltre”. Poi il leader di EnMarche! ha parlato di Europa, dell’accordo di Aquisgrana, della pressione cinese e ha infine provato a mettere in guardia dal ritorno del nazionalismo.
Mentre la politica digerisce l’intervista macroniana, sulle domande di Fazio si scatena un polverone di polemiche. A sollevarle è Giorgia Meloni, già critica su Che tempo che fa. “Secondo voi avrà il coraggio di chiedergli conto del neocolonialismo francese in Africa condannato dal Parlamento italiano con la recente mozione di Fratelli d’Italia?”, si domandava la leader di FdI prima del lancio
Continua qui: http://www.ilgiornale.it/news/politica/parigi-capitale-ditalia-bufera-sullintervista-fazio-macron-1656255.html
Macron a Che tempo che fa, Osho brutalizza Fabio Fazio: “Scusa se ti faccio stare nel corridoio, ma…”
4 marzo 2019
“Scusa se ti faccio stare nel corridoio ma ho la donna che sta facendo le stanze”. Ovviamente in romanesco. Questo è lo sfottò di Osho (il profilo satirico), firma della prima pagina del Tempo. Si riferisce a Macron e a Fazio.
La frase è pronunciata da Macron che ha trattato Fazio come un servitore. O meglio, è Fazio che ama essere trattato così, lui le domande scomode non le ama, preferisce il “volemose bene”.
“Servo tra i servi”, ha detto Giorgia Meloni. “Non è un’intervista”, ha criticato Marco Mazzocchi. Insomma, Fabio Fazio che prende un aereo e vola a Parigi per intervistare il presidente francese, ha convinto poco. E lo dimostrano
Continua qui: https://www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/13436447/che-tempo-che-fa-emmanuel-macron-fabio-fazio-osho.html
Rapine, stupri e aggressioni. Quei criminali lasciati liberi
Troppa discrezionalità dei magistrati e leggi inadeguate. Le forze dell’ordine frustrate dalle scarcerazioni facili
Luca Fazzo – 04/03/2019
Dell’elenco fanno parte anche quelli cui sarebbe convenuto restare in carcere un po’ più a lungo: come Vitale Morcea, un giovane moldavo che si era fatto beccare a Sondrio a rubare biciclette, era stato presto liberato, si era trasferito in Toscana, si era rimesso a fare furti.
E il 28 novembre scorso, a Monte San Savino, è rimasto ucciso da un gommista cui stava svaligiando il negozio.
Per tutti gli altri, per quelli che non incorrono in disavventure del genere, l’impatto con la giustizia italiana assomiglia spesso all’incontro con un bravo prete confessore, che rimbrotta e assolve con due pater e quattro ave. Il messaggio di dolore del poliziotto che – come raccontato nei giorni scorsi dal Giornale – racconta la frustrazione di chi lavora per assicurare alla giustizia indagati che vengono immediatamente scarcerati punta i riflettori su una realtà ben nota a chi frequenta i corridoi delle questure e le aule dei tribunali. Una manciata di ore, al massimo di giorni, e poi fuori. Come accade ieri anche per due degli anarchici che a Torino il 6 febbraio si impadronirono di un autobus, pestarono l’autista e distrussero il mezzo: scarcerati in attesa di giudizio.
Il principio, in teoria, è giusto: in carcere si va quando la condanna è definitiva. Peccato che la condanna arrivi dopo anni ed anni, sempre che non venga inghiottita dalla prescrizione, quando ormai l’imputato è irreperibile. Così si può capire l’incredulità delle vittime quando scoprono che il responsabile dei loro guai è già tornato in circolazione. E ancora più comprensibile l’indignazione quando il soggetto, scarcerato sulla base di una «prognosi favorevole», riprende immediatamente a fare altri delitti.
Di esempi se ne possono fare a bizzeffe, recenti ma anche remoti: perché le scarcerazioni veloci sono un fenomeno antico. In novembre, vicino Caserta, il carabiniere Emanuele Reali morì sotto un treno inseguendo tre ladri: faceva meglio a restare seduto sulla Gazzella, tanto i tre vennero scarcerati due giorni dopo.
Nello stesso mese a Roma una donna viene aggredita, trascinata per strada, stuprata, i carabinieri si dannano per individuare il responsabile nell’ospite di un centro di accoglienza: in una manciata di giorni è fuori anche lui, unica sanzione il «divieto di dimora» a Roma. In dicembre a Forlì in un supermercato le guardie giurate bloccano un ladro che scappa con la refurtiva, lo consegnano alla polizia. La mattina dopo se lo ritrovano in negozio: non è un sosia, è proprio il ladro già tornato libero e al lavoro. In maggio a Milano aveva destato un certo stupore la vicenda del senegalese che in piazza del Duomo aveva aggredito e quasi linciato due vigili urbani: catturato e denunciato per lesioni gravissime, si fece il weekend in cella e il lunedì era libero con l’unico obbligo di presentarsi periodicamente in commissariato. Per non parlare del signore di Avellino che in settembre prese a martellate la convivente polacca, al termine di una lunga storia di violenze e intimidazione: tornò in circolazione ancora prima che la vittima lasciasse il reparto di neurochirurgia.
La frustrazione di poliziotti e carabinieri, insomma, è comprensibile. C’è un reato
Continua qui: http://www.ilgiornale.it/news/cronache/rapine-stupri-e-aggressioni-quei-criminali-lasciati-liberi-1655600.html
Saviano a “chi l’ha visto?” Neanche una parola sull’arresto del boss di “Gomorra” Di Lauro…
3 marzo 11:06 – di Robert Perdicchi
A ventiquattr’ore dal clamoroso arresto del super boss della camorra Marco Di Lauro, tra i protagonisti, con la sua famiglia, della narrazione di “Gomorra” firmata da Roberto Saviano, il popolare scrittore italiano non parla, non commenta, non esprime soddisfazione, come ci si sarebbe aspettati da uno che si vanta di essere un paladino della lotta alla camorra. Invece, nulla, neanche un tweet, un post, magari per ringraziare quei poliziotti che ieri esultavano sotto la Questura di Napoli assistendo alla vittoria dello Stato contro “il male assoluto”.
C’entrerà forse il fatto che al Viminale c’è quel ministro, Matteo Salvini, che Saviano accusa di essere impegnato solo sul fronte dell’immigrazione e non su quello della mafia e della camorra? Probabile, visto che nel momento in cui
Continua qui: https://www.secoloditalia.it/2019/03/saviano-a-chi-lha-visto-neanche-una-parola-sullarresto-del-boss-di-gomorra-di-lauro/
CONFLITTI GEOPOLITICI
National Interest: la nuova “arma segreta” degli Stati Uniti
05.03.2019
L’Ufficio dei progetti di ricerca del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha proposto di utilizzare tunnel tattici sul campo di battaglia, secondo National Interest.
Come osserva il giornale, dispositivi simili in possesso degli avversari per lungo tempo sono stati un mal di testa per l’esercito americano: durante la Seconda guerra mondiale durante la battaglia, in Vietnam, e anche contro lo Stato Islamico.
Secondo i dipendenti del dipartimento, i soldati americani potrebbero utilizzare questa esperienza per ottenere benefici, ma non hanno ancora le competenze necessarie.
“Nessuna specializzazione dei militari prevede la formazione per la costruzione di tunnel, e non ci sono tecnologie o attrezzature, che consentano di eseguire e utilizzare i tunnel”, si legge nell’articolo.
Il dipartimento ha offerto un programma di formazione, la cui prima fase sarà
Continua qui: https://it.sputniknews.com/mondo/201903057370463-national-interest-nuova-arma-segreta-stati-uniti-uytlizzare-tunnel/
Putin ha annunciato la sospensione del trattato sulle armi nucleari
Da oggi la Russia non aderisce più all’intesa sui missili a medio e corto raggio. Finisce un’era di pace basata sul principio della deterrenza e segnata dal patto Gorbacev Reagan.
4 MARZO 2019
Il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha firmato il decreto con cui sospende l’attuazione del trattato Inf (i missili nucleari a raggio corto e intermedio) siglato fra l’Urss e gli Stati Uniti. Il trattato era stato firmato dal presidente degli Stati Uniti d’America, Ronald Reagan, e dall’allora presidente “del presidio del soviet supremo dell’Urss”, Michael Gorbachev 32 anni fa, correva l’anno 1987, per scongiurare una eventuale crisi degli Euromissili, i missili sovietici schierati nell’Europa orientale a cui la Nato rischiava di rispondere con altrettante testate nucleari da disporre al confine della Germania occidentale e che portò a una mutua riduzione delle armi nucleari. L’amministrazione Trump ha annunciato da tempo la sospensione del trattato, sotto il pressing del falco John Bolton, già ambasciatore Usa alle Nazioni Unite del presidente delle guerre del terzo millennio, George W. Bush, e nel quadro di generale rifiuto dell’ordine globale che ha segnato la Guerra Fredda. Nel difendere la sua posizione il presidente degli Stati Uniti non ha nascosto che la sua attenzione è ormai focalizzata su Pechino, l’unica che nella sua visione trarrebbe vantaggio dall’accordo di limitazione degli armamenti. E ha anche accusato la Russia di non rispettarlo. Il problema è ora tutto per i Paesi dell’Unione europea.
LEGGI ANCHE: Con Trump torna pure lo spettro del rischio nucleare
«Considerata la necessità di adottare misure urgenti in seguito alla violazione da parte degli Stati Uniti degli obblighi derivanti dal Trattato, firmato dall’Unione Sovietica e dagli Stati Uniti l’8 dicembre 1987, l’adesione della Russia
Continua qui: https://www.lettera43.it/it/articoli/mondo/2019/03/04/news-putin-trump-trattato-nucleare/229754/
CULTURA
“LTI, La lingua del Terzo Reich” di Victor Klemperer
Silvia Ballestra – 4 marzo 2019
Continua il nostro speciale Ritorno al futuro. L’idea è quella di rileggere libri del passato che offrano una prospettiva capace di illuminare il momento che viviamo oggi. Per leggere gli altri contributi cliccare sul nome dello speciale a sinistra sopra il titolo in questa stessa pagina.
Come si legge un taccuino di un filologo, ricavato da diari scritti dal ’33 al ’45 per riuscire a sopravvivere e “reggersi in equilibrio”, da ebreo tedesco, in un mondo diventato improvvisamente bestiale? Come una testimonianza preziosa; come una galleria di ritratti ed episodi quotidiani vividi e minuti; come una raccolta di osservazioni sulla manipolazione della lingua; come un libro di storia; come un portolano che ancora oggi, pur con tutte le differenze, può guidarci nelle correnti e nelle rapide del linguaggio quando la propaganda politica prende ad agitarlo e vuole a tutti i costi governarlo, tentando di sviarne e dirigerne l’uso.
“Taccuino di un filologo” è il sottotitolo di LTI, La lingua del Terzo Reich, di Victor Klemperer, uscito in Italia per la casa editrice Giuntina nel 1998 (in Germania nel ’46, divenuto presto un classico), dove LTI sta per Lingua Tertii Imperii. L’autore è un professore ebreo di Filologia all’Università di Dresda, nato nel 1881, esperto di letteratura francese, laureato con una tesi su Montesquieu, allievo di Karl Vossler e collega di Erich Auerbach: privato dal nazismo della cattedra e dei suoi libri, trasferito in una “casa degli ebrei”, spedito in fabbrica con la stella gialla cucita sul petto, si salverà solo grazie al fatto di essere sposato con una tedesca “ariana”.
Diviso in 36 capitoli, più una prefazione in cui si parla della parola “Eroismo” e una postfazione dal titolo “Per delle parole”, in cui l’autore ricorda la figura di un’operaia berlinese che era stata in carcere per “delle parole”, cioè per aver offeso Hitler e i suoi simboli, il libro illustra come la lingua di un regime totalitario, se opportunamente dispensata, inoculata ai parlanti come “piccole dosi di cianuro” che intossicano subdolamente giorno dopo giorno, riesca a intaccare nel profondo il pensiero di un intero Paese, anche il più colto e avanzato.
Dalle parole si parte e sulle parole si chiude: in mezzo, osservazioni sui segni di interpunzione (le virgolette ironiche), sull’uso del superlativo numerico preso di peso dall’America (dove è usato dalla pubblicità e nel commercio in modo ingenuo) per essere trasferito dai nazisti nei bollettini di guerra, sulla grafica della sigla SS (due taglienti saette), sulla sillaba di un canto che viene ritoccata per renderlo innocente in vista della fine della guerra. E ancora le parole e gli slogan, cercando di non tralasciare nulla, perché questa è l’opera di un filologo dalla spiccata, vibrante, tesissima sensibilità linguistica, calda fino a quasi diventare incandescente viste le circostanze e la sua condizione. E il filologo può permettersi di essere pedante e non tralasciare nulla “perché domani le cose appariranno diverse”. Anzi è proprio il suo farsi urtare, colpire, ferire, ad aiutare il lettore: non occorre conoscere necessariamente il tedesco o essere ferrati in linguistica per addentrarsi in questo testo eccezionale.
Basta forse solo l’esergo di Franz Rosenzweig, “La lingua è più del sangue”, per seguire il racconto ricco di sfumature e sguardi laterali, orecchio e minuta attenzione, nel succedersi di incontri, tradimenti, scoperte, intuizioni, in cui le parole sono sempre rivelatrici. Mai astrazioni, ma sempre concrete, materiali, d’uso spiccio.
Sono le parole degli operai che Klemperer ascolta mentre lavora in fabbrica o spazza le strade, che legge nel Mein Kampf o nell’opera dell’ideologo Rosenberg, nei discorsi di Goebbels, che reperisce scartabellando annuari del commerciante, volantini, annunci mortuari o di nascite. Dall’alto al basso, dalla lingua alta a quella degli ignoranti, nelle lettere e negli scritti persino degli ebrei stessi: su tutto regna la LTI, con i suoi due tratti distintivi, la povertà e la monotonia. Povertà già nell’abolizione della distinzione fra parlato e scritto: tutto deve diventare semplice, deve prevalere l’appello, l’ordine, l’esecrazione, perché la lingua totalitaria, per mantenere i pensieri inalterati, fissi su un solo aspetto, deve essere una e avere una sola dimensione. Monotonia perché è nella ripetizione, nell’ossessione, che trae la sua essenza il fanatismo.
Da studioso di letteratura francese, Klemperer individua subito lo stravolgimento della parola “fanatismo”: presa dall’illuminismo (dove aveva un significato negativo in quanto indicava mancanza di razionalità, cecità necessaria a piegare la massa a un culto, in quel caso la religione, per ingannarla e sfruttarla), da un iniziale significato peggiorativo anche in tedesco, all’improvviso si rovescia, nella lingua nazificata, in termine centrale e positivo. Prende il posto di “appassionato”, diventa termine virtuoso in quanto implica fedeltà, coraggio, tenacia, forza e dalla politica tracima ai romanzi, dal linguaggio militare a quello quotidiano.
Poi ci sono le parole specificamente naziste: “spedizione punitiva” (Strafexpedition), “cerimonia ufficiale” (Staatsakt) e l’aggettivo “storico” che viene applicato a ogni inezia del regime.
E “sistema”: tutto diventa sistema, organizzazione, chiunque diventa pezzo di quel sistema (sono “pezzi” da contare gli ebrei mandati nei campi di sterminio). Chiunque è compreso nel sistema, persino i ragazzini, persino i gatti!
Fra le tante umiliazioni che quotidianamente subisce da perseguitato, Klemperer si trova a non poter più pagare la quota per i suoi gatti alla società protettrice per gli animali e annota: “nella “organizzazione tedesca dei gatti” – non scherzo, così si chiamava il bollettino di informazioni della società, divenuto organo del partito – non c’era più posto per quegli animali che, dimentichi della purezza della razza, continuavano a rimanere in casa di ebrei. Più tardi ce li tolsero, anche, i nostri animali domestici: gatti, cani e persino canarini vennero portati via e uccisi, non in casi isolati o per spregio a opera di singoli, ma per ordini superiori e con sistematicità”. Così vuole il sistema.
Niente animali domestici e niente casa: solo “case degli ebrei”. E sulla targhetta il loro nome è contrassegnato con la stella, quello del coniuge ariano no. Se il nome non è abbastanza ebraico, devono aggiungervi “Israel” o “Sara” (mentre “i tedeschi” vanno protetti dai nomi biblici, come “Lea” o, di nuovo, “Sara”, ora vietati) e presentarsi anteponendo sempre la parola “ebreo” al cognome (“l’ebreo Klemperer”). Non possono più prendere in prestito in biblioteca libri, né tenerne in casa: sono permessi solo libri ebraici, allora una collega adotta l’escamotage, durante le perquisizioni della Gestapo, di segnalare che certi curatori di classici sono proprio germanisti ebrei o che taluni nomi puntati di autori corrispondono in realtà a nomi ebraici, tipo M. per Moses (singolare operazione al contrario per salvare il tesoro di testi).
Sin dall’apparizione di questo libro in Italia, nelle recensioni – da Tobia Zevi a Stefano Vitale, da Anna Foa a Gianrico Carofiglio – si è sempre insistito sulla sua utilità, sul suo valore di monito, sul suo richiamarci al dovere di vigilare sulla lingua in ogni momento, sulla necessità di stare in guardia anche in tempi, come si dice, non sospetti. Aldo Nove, recensendolo venti anni fa, scriveva: “Rabbia, demagogia e identificazione di un capro espiatorio. Questi tre elementi in particolare sono quanto mai attuali, e forse lo saranno
Continua qui: https://www.doppiozero.com/materiali/lti-la-lingua-del-terzo-reich-di-victor-klemperer
CYBERWAR SPIONAGGIO INFORMAZIONE DISINFORMAZIONE
Ora i servizi accusano le Ong: “Così importiamo l’illegalità”
La relazione degli 007: “Con lo stop alle navi umanitarie si abbassa il rischio di importare criminalità”. Assist a Salvini
Luca Romano – 03/03/2019
La relazione annuale dei servizi segreti promuove la linea del governo e del Viminale che di fatto hanno dato una stretta alle operazioni in mare da parte delle Ong sul fronte migranti.
Gli 007 italiani sono convinti che questo blocco delle navi umanitarie abbia abbassato i rischi di importare illegalità nel nostro Paese. Il documento presentato dal premier, Giuseppe Conte e dal direttore del Dis (il coordinamento) Gennaro Vecchione e dai direttori dei due servizi Luciano Carta (Aise, estero) e Mario Parente (Aisi, interno) mette a fuoco quanto accaduto negli ultimi tempi sul fronte sbarchi: “Nel 2018 gli sbarchi di migranti sulle coste italiane si sono ridotti dell’80 per cento rispetto al 2017 e tale sviluppo è da attribuire soprattutto alla rafforzata capacità della Guardia costiera libica nella vigilanza delle acque territoriali, fortemente promossa dal governo italiano, e alla drastica riduzione delle navi delle Ong nello spazio di mare prospiciente quelle coste che, di fatto, ha privato i trafficanti della possibilità di sfruttare le
Continua qui: http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ora-i-servizi-accusano-ong-cos-importiamo-lillegalit-1655596.html
ASSASSINATO SCIENZIATO FARMACEUTICO “TRISTAN BEAUDETTE” IMPEGNATO NELLA RICERCA SUI VACCINI.
Tristan Beaudette, scienziato farmaceutico
La recente scomparsa di Tristan Beaudette, lo scienziato farmaceutico assassinato durante un campeggio a Malibu, ha suscitato molte domande. Tristan era un ricercatore sui vaccini.
Ecco un elenco di documenti di ricerca pubblicati sui vaccini su cui Tristan ha lavorato.
È una buona idea che il pubblico inizi a studiare come questi vaccini vengano progettati per rendere disabile la popolazione. Tutto ciò che serve è una proteina in un vaccino per colpire e disabilitare qualcuno.
– Particelle di poliuretano degradabile con acido per la valutazione biologica dei vaccini a base di proteine e analisi in vitro dei prodotti di degradazione delle particelle
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2650432/
– Analisi in vitro di microparticelle di destrano acetalate come potente piattaforma di somministrazione per coadiuvanti del vaccino
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2882515/
– Attivazione delle cellule T da particelle di idrogel sensibili al pH caricate con l’antigene in vivo: l’effetto della dimensione delle particelle
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2640420/
Continua qui: http://sadefenza.blogspot.com/2018/06/assassinato-lo-scienziato-farmaceutico.html
Cina: accusato di spionaggio ex diplomatico canadese
© AP Photo /
04.03.2019
Il cittadino canadese Michael Kovrig ha violato le leggi cinesi dal 2017, agendo come spia e rubando informazioni contenenti segreti di stato, ha riferito l’agenzia di stampa Xinhua citando le autorità.
In precedenza, è stato riferito che un ex diplomatico canadese, che ora lavora con l’International Crisis Group (ICG), è stato arrestato in Cina con l’accusa di minare la sicurezza nazionale. Nel 2014-2016, Michael Kovrig è stato il viceconsole dell’ambasciata canadese a Pechino, dopo aver prestato servizio come console presso il consolato generale canadese a Hong Kong. Con lo stesso sospetto
Continua qui: https://it.sputniknews.com/mondo/201903047372163-Cina-accusato-spionaggio-ex-diplomatico-canadese/
DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI
Migranti, il prete smonta la sinistra: “No alla Salvinofobia”
Don Aldo Buonaiuto, direttore del quotidiano In Terris e sacerdote della Comunità Giovanni XXIII a “difesa” del ministro dell’Interno: “Collaboriamo per corridoi umanitari”
Pina Francone – Lun, 04/03/2019
“Ultimamente c’è una sorta di ‘Salvinofobia‘, per la quale bisogna mettere questo ministro in tutte le situazioni.
Con il ministero dell’Interno collaboriamo per attuare i corridoi umanitari, ne abbiamo fatto uno dal Niger e uno dalla Libia”. Le parole sono di un uomo di chiesa, don Buonaiuto.
Il prete, direttore del quotidiano In Terris e sacerdote della Comunità Giovanni XXIII, è così intervenuto a “difesa” del responsabile del Viminale e del suo operato ai microfoni di Adnkronos Live, commentando le recenti dichiarazioni
Continua qui: http://www.ilgiornale.it/news/politica/migranti-prete-smonta-sinistra-no-salvinofobia-1656325.html
Se la sinistra fa sfilare pure i bimbi al corteo pro-immigrati
La sinistra liberale non si fa alcuno scrupolo e sfrutta persino i bimbi. Al corteo pro-immigrati svoltosi ieri a Milano – «People, prima le persone», giusto per non farsi mancare nemmeno l’inglesismo – come nota Francesco Borgonovo su La Verità, in prima fila al corteo, con il sindaco di Milano Beppe Sala, c’era un nutrito gruppo di bimbi mandati a sfilare a favore dell’accoglienza senza limiti.
Nella società dello spettacolo, si sa, i bimbi sono uno strumento di propaganda
Continua qui: https://oltrelalinea.news/2019/03/03/se-la-sinistra-fa-sfilare-pure-i-bimbi-al-corteo-pro-immigrati/
ECONOMIA
Cooperative: governance, finanziamenti e appalti, come riformare il sistema
www.affaritaliani.it – 4 marzo 2019
Da un punto di vista generale, c’è un pregiudizio da sfatare. Se una società di capitali incappa in un malaffare, l’episodio resta confinato a quell’impresa; se un’ipotesi di reato riguarda una cooperativa, automaticamente ad essere sotto accusa è l’intero sistema. Per valorizzare la cooperazione occorrono scelte decise, diradando le ombre e premiandone il protagonismo nei territori. Per preservare la trasparenza ed il principio mutualistico sarebbe utile pubblicare l’elenco dei soci presso le camere di commercio o nel registro unico nazionale del terzo settore.
Necessario sarebbe anche un faro di attenzione sulle modalità attraverso le quali la
Continua qui: http://www.affaritaliani.it/economia/cooperative-governance-finanziamenti-e-appalti-come-riformare-il-sistema-591614.html
Le “regole europee” che distruggono l’Europa a beneficio della Germania.
Scriviamo queste poche righe per i nostri interlocutori nella sinistra variamente anticapitalista (le autodefinizioni sono ormai più numerose che efficaci). E’ noto infatti che abbiamo messo da tempo al centro della nostra riflessione sul “potere effettivo” l’Unione Europea, i suoi trattati, i meccanismi della governance sull’intero continente e soprattutto su lavoratori e ceti popolari.
contropiano.org Alessandro Avvisato – Giovanni Pons
Da cui facciamo discendere una linea di rottura della Ue come condizione minima indispensabile per poter concretamente avanzare verso un cambiamento radicale, in qualche misura socialista.
Sappiamo benissimo che molti (ma sempre meno) continuano a restare aggrappati a vecchi schemi analitici, confondendo – secondo noi – la dimensione “internazionalista” del capitale con quella dei lavoratori. Il movimento operaio è stato sempre internazionalista, fin da quando i capitali erano ancora rigidamente nazionalisti; dunque un sistema di valori universalista non dipende dai confini storicamente determinati esistenti in un certo momento storico. Mentre la lotta politica concreta deve naturalmente fare i conti con le condizioni date.
La domanda cui un qualsiasi soggetto anticapitalista deve rispondere per ragionare seriamente su una prospettiva conflittuale è dunque: dov’è oggi il luogo della decisione politica? Che è poi la domanda: chi decide sulla nostra vita, il nostro salario, il modo in cui avviene la riproduzione sociale?
Una cosa ci sembra evidente: il potere sull’Italia non sta più, e da tempo, a Palazzo Chigi. Basta pensare che la più importante legge dello Stato – la legge finanziaria, oggi “legge di stabilità”, che determina spese, entrate e uscite dello Stato, nonché le misure fiscali relative – viene scritta “di concerto” con la Commissione Europea, l’Eurogruppo e altri organismi sovranazionali. Secondo regole non approvate democraticamente, ma anzi sempre sottratte al vaglio e al voto delle popolazioni. Una “sovranità rigidamente limitata”, come si diceva al tempo in cui la sinistra si batteva contro la subordinazione del Paese agli Stati Uniti e alla presenza delle basi Nato.
A chi non ha provato neanche a leggerle, le “regole europee” potrebbero apparire per come vengono narrate dai media del potere: formule razionali, best pratices, “si fa così”. Al contrario, è sempre più chiaro che nessuna regola è neutra, tanto meno quelle che determinano decisioni macroeconomiche, spostamenti colossali di ricchezza, impoverimenti e arricchimenti di intere classi sociali, all’interno di uno o più paesi.
Chi non vuol sapere e capire potrebbe giudicare questo discorso come “ideologico”, troppo “generico”.
Vi proponiamo allora questo curioso articolo di Giovanni Pons, pubblicato su Business Insider, autorevole blog specializzato del gruppo Repubblica, certamente non accusabile di populismo o sovranismo nazionalista. Da cui emerge la preoccupazione – decisamente tardiva – di una parte notevole dell’establishment economico italiano per “regole europee” che vengono elaborate sotto la guida degli interessi economici tedeschi per facilitare una egemonia finanziaria e produttiva delle imprese basate a Berlino e dintorni.
E’ una lettura che per qualcuno potrebbe illuminante, facilitando modi e tempi del dibattito tra anticapitalisti.
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I tedeschi vogliono mettere in ginocchio il Veneto. Per diventare padroni d’Europa
Giovanni Pons
Che cosa succederebbe in concreto se la Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca dovessero entrare in procedura di risoluzione con le regole del bail in approvate in Europa nel 2015? Lo spiega bene Fabrizio Viola, ad della Vicenza, in un’intervista al Corriere della Sera del 2 giugno: “Gli effetti di una crisi non risolta delle due banche venete non sarebbero molto inferiori a quelli generati dal default della Grecia. Per essere più chiari: la procedura di bail-in impone il rientro forzoso degli impieghi a tutela dei depositi. Si pensi che BpVi e Veneto banca hanno concesso prestiti ‘buoni’, cioè al netto da sofferenze e incagli, per circa 30 miliardi. In gran parte concentrati nel Nordest, cioè nel territorio più importante per l’economia nazionale. Doverli richiamare da un momento all’altro creerebbe uno sconquasso tremendo, non senza conseguenze anche sul piano politico. Anche per questo faccio appello al senso di responsabilità delle autorità europee: le dimensioni in gioco non possono essere sottovalutate”.
E chi spinge per fare il bail in delle banche venete? La Germania, come riferiscono diverse fonti interpellate le quali convergono nel dire che influenti esponenti dell’economia tedesca sono intervenuti presso la Dg Comp (la direzione generale della concorrenza della Ue in mano all’olandese Marghrete Vestager) affinché vengano posti paletti molto rigidi all’impiego di soldi pubblici in BpVi e Veneto Banca. Nonostante il primo esame della Bce abbia accertato che le due banche sono solvibili e dunque possono accedere al meccanismo della ricapitalizzazione precauzionale previsto dalla direttiva se si è in presenza di un rischio sistemico.
Ma questa spinta germanica non era difficile da prevedere. Il 27 dicembre scorso, in un’intervista alla Bild, il governatore della banca centrale tedesca Jens Weidmann, pronunciava le seguenti parole: “Per le misure previste dal governo italiano la banca deve essere finanziariamente sana nel suo fulcro poiché il denaro non può essere usato per coprire perdite già prevedibili”. Il riferimento era alla direttiva Brrd (bail in) e al Decreto legge varato il 19 dicembre dal neonato governo Gentiloni in cui si sono stanziati 20 miliardi di soldi pubblici per salvare le banche in crisi. Un provvedimento dettato in particolare dalla preoccupazione per il Monte dei Paschi di Siena che proprio in quei giorni aveva fallito nel tentativo di varare un aumento di capitale da 5 miliardi finanziato sul mercato.
In pratica Weidmann richiamava il rispetto delle regole sul bail in, la cui portata le autorità italiane hanno compreso con colpevole ritardo. “Abbiamo stabilito nuove regole di base – aveva detto ancora Weidmann – e queste sono mirate essenzialmente alla protezione dei contribuenti e a indurre gli investitori a comportamenti responsabili. Il denaro pubblico deve essere considerato come l’ultima risorsa, per questo l’asticella è posta molto in alto”.
A distanza di quasi sei mesi da quelle dichiarazioni il braccio di ferro tra italiani e tedeschi sembra segnare un punto in favore dei primi. Il Monte dei Paschi, attraverso una trattativa assai laboriosa con la Bce prima e la Dg Comp poi, sta per ottenere il via libero definitivo alla ‘ricapitalizzazione preventiva’, cioé quella che permette di utilizzare soldi pubblici per un aumento di capitale ma solo dopo una conversione delle obbligazioni subordinate in azioni. In pratica si fa pagare una parte del conto agli investitori privati ma poi si permette allo Stato di subentrare per evitare guai peggiori. In pratica si tratta di una via di mezzo tra risoluzione e salvataggio pubblico che è stata abilmente chiesta e sfruttata dagli uomini del Tesoro e che per la prima volta viene applicata a una realtà bancaria della Ue. Siamo quindi nel campo dell’innovazione pura soprattutto a livello giuridico anche perché la stessa direttiva si presta a diverse interpretazioni da parte dei legali. Quali siano le perdite ‘prevedibili’ che non possono essere coperte da denaro dei contribuenti è infatti esercizio complesso da definire ma comunque nel caso di Mps pare che la strada sia ormai spianata.
Tuttavia ai tedeschi si è presentata una seconda occasione per manifestare agli italiani la loro indole rigorista. A febbraio infatti è arrivata agli organismi europei una seconda richiesta di ricapitalizzazione preventiva, questa volta da parte di due banche venete (Popolare di Vicenza e Veneto banca) che avevano rischiato di fallire già a inizio 2016 ma erano state salvate dall’intervento provvidenziale del fondo Atlante (uno strumento ad hoc finanziato dalle principali banche, fondazioni e assicurazioni italiane). L’attivo delle due banche si è deteriorato al punto che si è resa necessaria una nuova immissione di capitali a cui Atlante ha potuto contribuire solo in parte. All’appello mancano altri 6,4 miliardi e anche in questo caso è stato chiesto l’intervento dello Stato attraverso il pacchetto da 20 miliardi stanziato a dicembre. Per la Bce l’operazione è fattibile poichè le due banche sono state ritenute ‘solvibili’ mentre per la Dg Comp occorre che dei 6,4 miliardi almeno 1,2 sia a carico di soci privati.
Nel caso delle venete l’asticella si è dunque spostata in alto, come preannunciava Weidmann già a dicembre, e a questo punto non è facile trovare soci privati che versino un miliardo in due istituti la cui operatività è così seriamente compromessa e che avranno comunque bisogno di un sostegno pubblico per poter continuare la loro attività. Se non si trova una soluzione in fretta Popolare Vicenza e Veneto banca rischiano di essere messe in risoluzione, cioé di veder realizzato ciò che dice Viola nella sua intervista, la richiesta di rientro di 30 miliardi di prestiti che senza dubbio può mettere in ginocchio migliaia di piccole e medie aziende sane che contavano su quei prestiti. E non è escluso che a beneficiarne siano le stesse aziende tedesche che con il tessuto industriale veneto hanno un forte interscambio e che potrebbero sostituirsi a esse o comprarle per un tozzo di pane.
Insomma c’è il fondato sospetto che la Germania stia utilizzando con l’Italia la stessa strategia
Continua qui: http://contropiano.org/news/news-economia/2017/06/04/regole-europee-distruggono-beneficio-germania-092560
FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
Caso diamanti, le banche pagano il 100% delle pietre
Secondo l’Aduc, fra le maggiori associazioni dei consumatori, Mps, Intesa Sanpaolo e Unicredit hanno cominciato a effettuare bonifici. Banco Bpm smentisce la proposta 50% cash e 50% attraverso un bond della banca. Diamanti e rischio Npl
di Elena Dal Maso – 4 MARZO 2019
La questione dei diamanti venduti allo sportello dalle banche come forma di investimento sta trovando pian piano una soluzione. Una delle maggiori associazioni dei consumatori, Aduc, che da anni segue il caso per conto di circa 2mila clienti (che hanno investito fra 20mila e 800mila euro a testa), ha trovato un accordo con quattro delle cinque banche coinvolte.
“All’inizio Unicredit aveva deciso di pagare subito, poi ha fatto marcia indietro e di recente, quando è fallita Intermarket Diamond Business, è tornata a restituire il valore completo della pietra”, spiega a milanofinanza.it Giuseppe D’Orta, responsabile della tutela dei risparmiatori per conto di Aduc.
“E anche Mps ha iniziato da un mese a questa parte a effettuare i bonifici per il valore originario delle pietre, mentre Intesa Sanpaolo ha chiuso il capitolo da tempo rimborsando l’intera quota”, aggiunge D’Orta. Resta un piccolo giallo su Banco Bpm , che secondo alcune associazioni dei consumatori avrebbe presentato un’offerta mista, il 50% in contanti e il 50% attraverso un bond emesso dal gruppo. Contattata da milanofinanza.it, la banca ha smentito spiegando che ad oggi sta trattando le situazioni in maniera separata, una ad una. Lavorando da un anno e mezzo a questa parte con i singoli clienti, la banca è arrivata a trovare, secondo quanto risulta a milanofinanza.it, accordi stragiudiziali con circa 4mila persone dei 40mila casi che si stima siano stati coinvolti in maniera generale in Italia. Resta aperta oggi una questione: le banche stanno ritirando tutte le pietre vendute attraverso gli sportelli e riempiendo i portafogli di beni il cui valore non è definito da un listino ufficiale di contrattazione
Continua qui: https://www.milanofinanza.it/news/caso-diamanti-le-banche-pagano-il-100-delle-pietre-201903041214368637
Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Mps, Ubi. Ecco quanto le banche dovranno restituire alla Bce
di Tino Oldani
Secondo gli analisti di Deutsche Bank, gli importi che le maggiori banche italiane dovrebbero restituire in base alla Tltro che scade nel 2020 (ma da rifinanziare in parte prima del giugno 2019) sono i seguenti: 41 miliardi per Intesa Sanpaolo, 26 per Unicredit, 15 per Banco Bpm, 10 per Mps e Ubi, 2 per Mediobanca, 1 per Credem. L’articolo di Tino Oldani, firma di Italia Oggi
Sul fronte economico, le cose non vanno affatto bene. Anzi. Non c’è un solo dato congiunturale che confermi l’incauta previsione del premier, Giuseppe Conte, per il quale il 2019 «sarà un anno bellissimo».
Limitiamoci a due fattori essenziali per lo sviluppo: il petrolio e il credito. Gli ultimi dati sulle importazioni di petrolio in Europa segnalano un calo accentuato per tutti i paesi, in testa la Germania, che ha ridotto le importazioni di greggio di 302 mila barili al giorno, quasi dieci volte di più dell’Italia, dove il calo è di 38 mila barile al giorno. In forte arretramento anche la Francia (meno 124 mila), nonostante produca molta energia con il nucleare, e i Paesi Bassi (meno 85 mila). Meno petrolio significa meno energia per le industrie. E il dato tedesco dice che la locomotiva economica europea non corre più, ma decelera, trascinando i paesi fornitori, come l’Italia, verso la recessione.
IL RAPPORTO
Quanto al credito, due giorni fa un rapporto Unimpresa, basato su dati della Banca d’Italia, ha reso noto che nel 2018 i prestiti delle banche alle imprese sono diminuiti di circa 50 miliardi di euro. Un calo vistoso, dovuto a 22 miliardi in meno di finanziamenti a breve, ad altri 24 miliardi in meno nei crediti a lungo termine, più 1,5 miliardi di minori prestiti alle famiglie. Non c’è bisogno di un master per capire che meno risorse energetiche e meno crediti, sommati insieme, producono un rallentamento industriale, con inevitabile caduta del pil.
ATTENZIONI E APPRENSIONI
Per questo, più che alle sciocchezze in libertà del premier Conte, l’attenzione dei banchieri e degli imprenditori italiani è rivolta in questi giorni a Mario Draghi e alle prossime decisioni della Bce, considerate decisive per evitare che la riduzione del credito si traduca in vero e proprio credit crunch.
GLI AUSPICI SULLA BCE
In buona sostanza, sia i banchieri che le imprese si augurano che Draghi, terminata l’epoca del quantitative easing, metta di nuovo in campo una politica monetaria espansiva, agevolando così il credito bancario. Grazie al quantitative easing, la Bce ha acquistato, tra marzo 2015 e il 31 dicembre 2018, ben 2,6 trilioni di bond, alleggerendo le banche dell’eurozona di tale onere, con l’obiettivo di stimolare la crescita con una politica espansiva del credito. Una mossa contestata dai falchi tedeschi dell’austerità, ma rivelatasi provvidenziale per molti paesi dell’area mediterranea, Italia compresa.
IL RUOLO DELLA BCE
È ormai assodato che, senza il quantitative easing di Draghi, le banche italiane, appesantite nel 2015 da oltre 200 miliardi di crediti deteriorati (ridotti poi della metà), avrebbero stretto i cordoni del credito ben oltre i 50 miliardi lamentati ora da Unimpresa. È però altrettanto vero che le banche italiane, per quanto abbiamo migliorato i bilanci e riportato utili, non sono affatto uscite dalla crisi iniziata nel 2008. Anzi, oltre a dover smaltire i creditori deteriorati (non perfoming loans) rimasti nei loro bilanci, devono fare fronte a una scadenza molto impegnativa: restituire alla Bce, tra giugno 2020 e marzo 2021, ben 250 miliardi di euro, vale a dire i prestiti a tasso favorevole concessi da Draghi, prima del quantitative easing, con le cosiddette operazioni Tltro (Targeted longer-ter refinancing operation): finanziamenti ultra-agevolati per 750 miliardi alle banche europee perché facessero più credito alle imprese e alle famiglie, di cui le banche italiane sottoscrissero un terzo, pari a 250 miliardi.
DOSSIER BCE PER INTESA SANPAOLO, UNICREDIT, BANCO BPM, MPS, E UBI
Sono in grado, ora, le banche italiane di restituire quei soldi alla Bce? La risposta di tutti gli analisti è un no secco, anche se una clausola piuttosto complessa da spiegare, nota come Net stable funding ratio, consente alle banche indebitate di ridurre del 50% l’importo da restituire nel 2020 mediante l’emissione di nuovi prestiti obbligazionari, purché tali operazioni siano fatte entro il giugno 2019. Ma anche qui, le banche italiane non sono messe affatto bene. Soltanto le prime sette banche italiane dovrebbero raccogliere ben 108 miliardi di euro per stare in linea con la clausola agevolatrice. Ma tra il maggio 2018 e il gennaio 2019 le banche italiane sono riuscite a collocare non più di 10 miliardi di bond. Il che rende molto difficile, per non dire impossibile, l’obiettivo dei 108 miliardi.
TUTTI I NUMERI CHE RIGUARDANO INTESA SANPAOLO, UNICREDIT, BANCO BPM, MPS, E UBI
Secondo gli analisti di Deutsche Bank, gli importi che le maggiori banche italiane dovrebbero restituire in base alla Tltro che scade nel 2020 (ma da rifinanziare in parte prima del giugno 2019) sono i seguenti: 41 miliardi per Intesa Sanpaolo
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Germania difende Bail-in ma sua banca ha buco tre volte Banca Carige
4 Marzo 2019, di Alessandra Caparello
L’Unione Europea che si occupa dell’italiana Banca Carige dopo la ricapitalizzazione fallita di 400 milioni di euro dovrebbe volgere lo sguardo anche più a nord, in Germania, dove l’istituto NordLB deve fare i conti con un buco di bilancio potenzialmente tre volte più grande dell’omologo italiano.
Le autorità tedesche hanno stabilito che NordLB venga messa in sicurezza con 3,7 miliardi di euro complessivi, di cui 1,5 in arrivo dal Lander primo azionista, ossia la Bassa Sassonia. Altri 1,2 miliardi arriveranno invece dal fondo interbancario delle Sparkassen (le casse di risparmio tedesche). A ciò potrebbe aggiungersi un ulteriore miliardo di risorse pubbliche.
I risparmiatori non metteranno mano al portafoglio, dunque. Nel senso che a pagare saranno gli azionisti (pubblici). Il governo regionale (Land) detiene il 59%. Come per Alitalia è previsto un intervento della Commissione europea per eventuali misure compensative a favore del mercato.
C’è chi ha fatto notare che si tratta di un salvataggio che non segue le regole puntuali del bail-in, che prevedono, in caso di difficoltà di una banca, che siano anche gli obbligazionisti e i correntisti con oltre €100.000 a sborsare tale somma per coprire le lacune di finanziamento. Per cui a partecipare alle perdite sono, nell’ordine, azionisti, obbligazionisti e correntisti con oltre 100 mila euro. Cosa che non succederebbe per la NordLB, banca pubblica, che verrebbe salvata di fatto con i soldi dei contribuenti.
NordLB, verso aumento di capitale di emergenza
Il rapporto patrimoniale Tier 1 di dell’11,8% è abbastanza buono. Tuttavia, la banca deve mettere da parte accantonamenti sui prestiti più alti del 43% di valore di facciata attuale. A causa dei bassi tassi di interesse, difficilmente la banca ci riuscirà in maniera organica. Il return on equity è di appena l’1,6%.
Portare i cuscinetti di copertura dei prestiti deteriorati a un più realistico 60% vorrebbe dire 1,2 miliardi di accantonamenti. In quel caso il CET1 di NordLB scenderebbe al 9,2%, sotto la soglia fissata dalle autorità di regolamentazione. Per rafforzarsi potrebbe fondersi con concorrenti più attrezzate come Commerzbank o la banca a controllo statale Helaba. Ma i colloqui in merito sono scemati.
In teoria se le cose rimanessero così, la banca dovrebbe ricorrere alla risoluzione di bail-in. Ma siccome tra i soci azionisti e i creditori figurano l’amministrazione regionale, cui fa una capo una quota del 59%, e casse di risparmio tedesche che rischiano di subire perdite pesanti qualora i 5,6 miliardi di capitale della banca andasse in fumo.
La banca sarà invece probabilmente salvata con fondi pubblici e gruppi di private equity che parteciperebbe a un aumento di capitale di emergenza.
Bail-in: le dichiarazioni del ministro tedesco
Proprio sul bail-in, in Italia hanno creato un caso le parole di Giovanni Tria. Il ministro delle Finanze e dell’Economia ha detto nei giorni scorsi che quelle norme furono un ricatto della Germania – e nella fattispecie del ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble – nei confronti
Continua qui: https://www.wallstreetitalia.com/germania-difende-bail-in-ma-sua-banca-ha-buco-tre-volte-piu-grande-di-carige/
Ecco verità a scoppio ritardato, capriole e amnesie di Bankitalia su bail-in, crediti deteriorati e non solo
Ogni volta che esponenti di Banca d’Italia parlano in pubblico della crisi finanziaria e degli effetti sul nostro sistema bancario, lo stupore aumenta, di fronte all’asettica terzietà che contraddistingue tali interventi. Come se loro fossero stati altrove o, al massimo, fossero stati semplici spettatori di quart’ordine.
Il 1 marzo è stato il turno del Capo della Vigilanza, Carmelo Barbagallo, che ha parlato presso l’Università di Modena. Sembra ‘Cronaca di una morte annunciata’. Cosa sarebbe mai potuto andare storto?
La partenza promette bene. Il Nostro ci racconta che, in Europa, con la crisi finanziaria, si sono improvvisamente (sic!) resi conti che un’Unione Monetaria senza Unione Bancaria non avrebbe potuto reggere e quindi sono stati costretti a correre ai ripari ‘con la massima rapidità’. La risposta europea è stata rapida e molto ampia, arrivando a contemplare “una sensibile cessione di sovranità verso istituzioni europee”
“…Per altro verso questa scelta, così rapidamente implementata, non ha consentito di usufruire dei benefici insiti in una transizione più graduale, che, oltre a favorire processi di adattamento meno repentini delle autorità nazionali, avrebbe potuto attutire i bruschi contraccolpi sulle banche relativamente meno capitalizzate. Quest’ultima problematica è emersa plasticamente per le banche italiane – che non avevano raggiunto i livelli patrimoniali assicurati dall’aiuto pubblico concesso in molti altri Stati europei – in chiusura del cosiddetto comprehensive assessment del 2014, fortemente incentrato sul rischio di credito…”.
Ma sfortunatamente le nostre banche sono giunte nude alla meta. Gli altri le avevano capitalizzate a dovere con denaro pubblico, anche in parte nostro versato attraverso il Fondo Salva Stati. Noi no, perché, da un lato, si diceva ‘tutto bene, madama la marchesa’, dall’altro, l’onda lunga della recessione 2012-2014 non aveva ancora rilasciato i suoi venefici effetti sulle sofferenze bancarie. Insomma, abbiamo terremotato mezzo sistema bancario perché bisognava fare in fretta e perché l’intervento è stato pure particolarmente invasivo. Bel capolavoro! Anche ammetterlo!
Questo è solo il prologo. Dopo aver messo in piedi in fretta e furia un’Unione Bancaria zoppa, arrivano al pettine i nodi delle sofferenze, le macerie derivanti di una doppia epocale e profonda recessione. E cosa accade? Si deve svendere tutto e pure in fretta. Chi ci rimette? Ovviamente le banche. Si sarebbe potuto evitare? Certo!
“…Tali cessioni, che hanno principalmente riguardato posizioni in sofferenza, si sono pesantemente riflesse, come già precisato, sui conti economici delle banche. Il costo di queste dismissioni avrebbe potuto essere ben inferiore se fosse stata consentita dalla Commissione europea la tempestiva costituzione di una società di gestione dei crediti deteriorati supportata dallo Stato (cosiddetta Asset Management Company di sistema), similmente a quanto avvenuto in altri paesi europei prima del 2013.
Ah, ma guarda! C’era un modo per non massacrare le banche nello smaltimento accelerato dei crediti deteriorati. Ma non si poteva più fare. Perché le regole erano nel frattempo cambiate ed accettate supinamente dai nostri rappresentanti (Letta, Saccomanni).
Più in generale, il “rialzo dell’asticella” dei coefficienti patrimoniali e la forte pressione del supervisore a ridurre i rischi – di credito e di liquidità – potrebbero generare una modifica strutturale del modello di business delle banche, sempre meno stimolate ad erogare crediti e sempre più indotte a privilegiare ricavi commissionali, nella difficile ricerca di una adeguata remunerazione del capitale.
[…] In tale contesto, l’azione di riduzione degli attivi a rischio è stata trainata anche dalla contrazione dei prestiti a clientela, diminuiti, nel periodo considerato, da 1.350 a 1.250 miliardi. […] Tuttavia, numerosi studi teorici ed empirici mostrano che il rafforzamento patrimoniale nel breve periodo tende a frenare l’erogazione del credito, soprattutto nelle fasi di bassa crescita. Analisi recenti condotte in Banca d’Italia confermano che in alcuni casi l’aumento dei coefficienti patrimoniali delle banche, indotto – talvolta in modo repentino – da iniziative sia regolamentari sia di supervisione, avrebbe frenato la ripresa del credito a imprese e famiglie e il recupero dell’attività economica.
Clamoroso al Cibali!
Dopo averci raccontato a lungo che le nuove regole (tra cui lo smaltimento accelerato dei crediti deteriorati) avrebbero migliorato la capacità di credito delle banche, ora scopriamo che, una volta alleggerite, hanno sempre meno incentivo ad erogare crediti. Ma dove siamo? Su ‘Scherzi a parte’?
Ma lo stillicidio continua…
“… il legislatore europeo ha adottato di fatto un approccio del tipo “one-size fits all”, per cui gli standard di Basilea – nonostante avessero come destinatari privilegiati le banche attive a livello internazionale – si applicano in modo uniforme a tutte le banche e imprese di investimento, indipendentemente dalla loro dimensione o livello di interconnessione…”.
Qui ammettono il vizio di fondo di quasi tutte le regole europee. Un’unica taglia di abito non può andare bene a tutti. Noi abbiamo massicciamente investito tutto il nostro sistema (anche le banche piccole) con regole pensate per banche grandi. Il risultato disastroso è sotto gli occhi di tutti.
Ma veniamo al famigerato bail-in. Essi pensavano avrebbe fatto bene, perché avrebbe ”… disincentivato l’azzardo morale e l’eccessiva assunzione di rischi derivante dalla garanzia pubblica implicita sul passivo delle banche…”.
L’entrata in vigore, nel 2016, del bail-in … è stata affrettata, in quanto ha preceduto di molto un suo essenziale presupposto di funzionamento, ossia la costituzione da parte delle banche di una dotazione di passività idonee ad essere assoggettate a riduzione o conversione in nuovo capitale nell’ambito della procedura di risoluzione (MREL), preferibilmente detenute da investitori professionali consapevoli delle possibili conseguenze in caso di dissesto. In assenza di questa condizione, il bail-in è pressoché inapplicabile e “rischia di minare la fiducia nelle banche e generare instabilità”. Questa situazione di difficoltà applicativa è destinata a durare nel tempo, posto che il termine per la piena entrata a regime del MREL è stato fissato al 2024.
Invece è accaduto che, in assenza di un idoneo cuscinetto di passività bancarie disponibili ad essere aggredite in caso di risoluzione, detenute da soggetti professionali e non da pensionati e casalinghe a cui erano stati spacciati per risparmio sicuro, il bail-in non solo è inapplicabile, poiché scatenerebbe una corsa agli sportelli ed una crisi di fiducia nelle banche, ma è anche incostituzionale. Le due cose avrebbero dovute nascere insieme? Chi, come e perché ha consentito che partisse solo il bail-in? Se avesse rifiutato, cosa sarebbe accaduto?
Ma non basta. C’è anche di peggio…
Un ulteriore profilo critico della BRRD è aver posto come condizione per la risoluzione di una banca la sussistenza di un “interesse pubblico”, lasciando ampia discrezionalità interpretativa. Nei fatti, l’interpretazione assai restrittiva che ne dà l’SRB, fa sì che, nel caso di dichiarazione di “dissesto o rischio di dissesto”, solo un centinaio di banche su circa 3.000 della zona dell’euro sarebbero sottoposte a risoluzione, mentre per le altre resterebbe la sola procedura di liquidazione, da effettuare in base alle regole nazionali, non armonizzate. In assenza di un compratore al quale cedere attività e passività della banca da liquidare – idealmente nell’arco di un fine settimana – non rimane che applicare la procedura di liquidazione cosiddetta “atomistica”, che distrugge valore per tutti gli stakeholders della banca liquidata, minando la fiducia del pubblico nel sistema bancario.
Insomma, la procedura di risoluzione non è nemmeno la via maestra per la gestione di una crisi bancaria. In assenza di un ‘interesse pubblico’, si procede ad una liquidazione in blocco (vedi le due banche venete) o pezzo per pezzo, con una notevole distruzione di valore.
Viceversa, la natura di aiuti di Stato attribuita dalla Commissione europea a tali interventi fa sì che essi comportino automaticamente la dichiarazione di dissesto dell’intermediario e, quindi, l’avvio della liquidazione per gli intermediari per i quali non sussista l’”interesse pubblico”. Si è così finito per interrompere una solida tradizione nazionale di gestione delle crisi – che avrebbe potuto essere utilizzata rendendo, ad esempio, molto meno oneroso l’intervento di risoluzione delle “quattro banche” – senza fornire, al contempo, strumenti alternativi ugualmente efficaci.
È stupefacente la soavità, la leggerezza, con cui Barbagallo ci racconta che la risoluzione delle ‘quattro banche’ avrebbe potuto essere evitata. Sarebbe bastato non considerare aiuti di Stato le somme già raccolte dal Fondo Interbancario. Insomma, per timore che la Banca Marche potesse alterare la concorrenza (sic!), la Commissione Europea ha mandato per strada decine di migliaia di risparmiatori. E Padoan? E Banca d’Italia? Si opposero, ma poi assentirono. Perché, quale straordinario potere contrattuale fu esercitato
Banche, Vestager: rimborsare la VENDITA FRAUDOLENTA? Se c’è stata davvero
Commissaria Ue: “Per investitori esperti è un’altra questione”
4 marzo 2019
Bruxelles, 4 mar. (askanews) – Perché lo Stato possa rimborsare i risparmiatori vittime di “misselling” (vendita fraudolenta da parte delle banche di azioni e obbligazioni a persone che non sono informate del rischio che si assumono), “bisogna che il ‘misselling’ ci sia effettivamente stato: ma se sei un investitore esperto (‘educated’, ndr) e sai che rischio stai correndo, allora è una
Continua qui: http://www.askanews.it/economia/2019/03/04/banche-vestager-rimborsare-misselling-se-c%C3%A8-stato-davvero-pn_20190304_00213/
LA LINGUA SALVATA
L’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo. Peccato per quel difetto della Costituzione
Giuseppina La Face – Docente universitaria e musicologa – 3 marzo 2019
In questi giorni una buona notizia ha dato l’esca a vari commenti. Segnalatami dall’efficientissima redazione del Fatto, merita due righe. Secondo la classifica stilata da Ethnologue, pubblicazione di Sil International (Summer Institute of Linguistics, Dallas, Texas), nell’anno accademico 2016-17 l’italiano è diventato la quarta lingua più studiata al mondo, dopo inglese, spagnolo, cinese. Sorpasserebbe perciò il francese. Se ci riferiamo invece alla lingua parlata, l’italiano si attesta al 21esimo posto, dunque non svetta, ed è preceduto da inglese, cinese, hindi-urdu, spagnolo, arabo, francese, malese, russo, bengalese, portoghese eccetera. Siccome però gli italiani spesso si trasferiscono all’estero, la nostra lingua acquisisce un buon primato in un altro campo: risulta madrelingua in 26 Paesi.
La crescita del numero di studenti che apprendono l’italiano è un fatto gaudioso. Da dove nasce questo interesse? L’attenzione per l’inglese e il cinese si spiega da sé: il primo consente lo scambio interpersonale veloce, è strumento utile sempre e dappertutto, in un mondo globalizzato; il cinese è ormai indispensabile per l’economia, il commercio, l’industria.
Dove starà allora l’attrattiva dell’italiano? In genere una lingua straniera non si apprende in astratto, ma come espressione di cultura, pensiero, storia, modo di vivere. Chi si accosta all’italiano è spesso spinto da ragioni turistiche – clima, luce, sole, cucina, paesaggi – ma anche e soprattutto da motivi artistici: i beni culturali. L’arte calamita studenti, intellettuali, studiosi, ma anche persone semplici che visitano i musei, le città storiche, i piccoli borghi, le chiesette, i palazzi fuori mano. L’amore per l’Italia, e dunque per la sua cultura e la sua lingua, non è nato oggi: ha radici robuste.
Grande fascino ha sempre esercitato sugli stranieri il nostro Rinascimento. Vale, è scontato, per l’Europa d’oltralpe. Ma vale anche per gli Stati Uniti, che intendono il Rinascimento come un momento meraviglioso e fondativo, ch’essi sentono come un “proprio passato”. Dopo la guerra d’indipendenza delle 13 colonie nordamericane contro la Gran Bretagna, la loro madrepatria, si sviluppò un intenso gusto per l’architettura rinascimentale di Andrea Palladio (1508-1580): sorsero edifici e ville di chiara impostazione palladiana – un esempio è la Casa Bianca – quasi a instaurare un rapporto diretto con l’Italia rinascimentale, e nel contempo a sottolineare una distanza dal dominio, ideale e politico, dell’Inghilterra e della Francia.
Se guardiamo poi all’Europa, spicca l’infatuazione dei grandi scrittori. Goethe percorre la penisola ponendo il palpitante, famoso interrogativo: Kennst du das Land, wo die Zitronen blühen?(conosci il Paese dove fioriscono i limoni?). Stendhal visita e vive a Milano, Parma, Firenze, Roma, Napoli, si esalta e scrive Una storia della pittura italiana (1817). La lingua italiana è dal Seicento quella dell’opera lirica, diffusa in tutt’Europa e poi oltre gli oceani: Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi, Puccini, e già prima il teatro in musica di Pietro Metastasio, godono di una fortuna dapprima continentale, indi planetaria. Infine, accanto a Shakespeare, nell’immaginario collettivo giganteggia Dante Alighieri,
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LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
Altri 351 licenziamenti nei centri di accoglienza
Decreto Salvini. Il caso della Medihospes che gestisce servizi in 12 regioni. «Ogni giorno una nuova procedura: a rischio 18mila posti su 36mila», denuncia la Fp Cgil
Le seconde vittime del decreto Salvini. Accanto ai migranti a cui viene negata assistenza, ci sono i lavoratori dei servizi di accoglienza. «In queste settimane non passa giorno in cui non ci arrivi notizia di una chiusura e di una procedura di licenziamento. Ci spiace di essere stati cattivi profeti: dal giorno dopo la direttiva Salvini abbiamo lanciato l’allarme sui posti di lavoro: 18mila posti su 36mila sono a rischio», spiega Stefano Sabato, responsabile nazionale cooperative sociali della Funzione pubblica (Fp) Cgil.
La procedura di licenziamento collettivo più grande è quella resa nota ieri: la Medihospes, cooperativa sociale con sede a Bari ma con appalti di servizi in tutta Italia, ha deciso di mandare a casa ben 351 operatori su 2.103 lavoratori dipendenti sul territorio nazionale, quasi il 17 per cento del totale. Gli esuberi sono individuati in 12 regioni, tutte da Lazio verso Sud. Il picco è a Roma – 165 licenziamenti – già pesantemente colpita dalla chiusura del Cara di Castelnuovo di Porto.
Nella procedura di licenziamento naturalmente è messa nero su bianco la vera motivazione senza aver però il coraggio di usare il nome di chi ha deciso: «il decreto del ministero dell’Intero del novembre 2018». Salvini non viene nominato ma gli effetti della sua legge sono ben spiegati: «impone una netta riduzione del personale delle attuali dotazioni di organico nei Cas (centri accoglienza straordinari), Cara (centri accoglienza richiedenti asilo) e Sprar (servizio di protezione richiedenti asilo e rifugiati)», così come «la gestione dei minori nei Centri diurni e case famiglia». Le figure che verranno licenziate sono assai diversificate: infermieri, psicologi, medici,
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Volontariato: può essere retribuito?
24 Gennaio 2018 | Autore: Chiara Arroi
La risorsa più preziosa delle associazioni non profit sono i volontari: ma possono essere retribuiti per le mansioni svolte? Ecco le risposte
“Ciò che dai è tuo per sempre”, si recitava nel film Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano. E quando si parla di dare, non sempre ci si riferisce a cose materiali, a denaro. Si può donare anche altro: per esempio il proprio tempo. È questo lo spirito che spinge molte persone generose a diventare volontari e dedicare un po’ del loro tempo libero a favore di una buona causa: autisti che accompagnano i ragazzi disabili, insegnanti che insegnano l’italiano ai figli dei migranti che arrivano nel nostro Paese, chi dà una mano nelle attività di reception e segreteria di associazioni, oppure chi si impegna a raccogliere fondi per una giusta causa, mettendosi a disposizione per disseminare il proprio territorio di banchetti e stand di raccolta fondi, soprattutto durante le festività.
Ci sono moltissime opportunità per chi sente il bisogno di fare la propria parte nella società. Le associazioni e organizzazioni di volontariato sono sempre alla ricerca di volontari.
La domanda è: il volontariato può essere retribuito? La risposta va cercata nel termine stesso, anche se non sempre è immediata viste le diverse sfaccettature che la legge consente.
Indice
- 1Cosa sono le organizzazioni non profit?
- 2Cos’è il volontariato?
- 3Volontariato: può essere retribuito?
- 4Volontariato: è obbligatoria l’assicurazione?
Cosa sono le organizzazioni non profit?
Sono vere e proprie associazioni senza scopo di lucro, che nascono e si strutturano per far fronte a particolari esigenze di solidarietà e bisogni sociali: tutela della salute, ricerca scientifica, educazione, assistenza sociale e ai poveri. Agiscono a tutti gli effetti come attori complementari dello Stato, cercando di ‘arrivare dove lo Stato non arriva’. Si impegnano cioè a eliminare disparità e disuguaglianze sociali e promuovere il benessere della comunità: eliminare la fame, la povertà, le guerre, dare riparo ai senzatetto, promuovere l’istruzione dei bambini poveri, la cultura, dare accoglienza, promuovere la ricerca per combattere malattie che ancora non hanno una cura, curare le persone malate o vittime di guerra. Aism, Telethon, Airc, Medici senza Frontiere, sono solo le più conosciute. Ma ce ne sono davvero tante, anche più piccole e ognuna promuove la propria buona causa.
Un vero e proprio lavoro! Per questo al loro interno molte (soprattutto le più grandi) sono strutturate come delle piccole aziende, con personale retribuito che possa dedicare il giusto tempo e le giuste competenze alla causa: segretari, impiegati amministrativi, direttori generali, personale addetto alle attività di comunicazione e raccolta fondi, ai rapporti con i giornalisti. Queste persone sono risorse retribuite e lavorano per l’associazione a tempo pieno o part time, a seconda dei contratti.
Come si finanziano le associazioni?
Le associazioni hanno bilanci propri e si finanziano con:
Attività private di raccolta fondi – banchetti, adozioni a distanza, grandi donazioni da parte di aziende, ecc.
Finanziamenti pubblici – perché lo Stato sa che sulla questione della tutela dei diritti spesso è in difetto di impegno e queste organizzazioni svolgono compiti molto importanti, complementari alle attività che dovrebbe promuovere lui [1]
Finanziamenti pubblici europei
In quanto associazioni senza scopo di lucro e con fini di solidarietà però, si avvalgono anche di folte schiere di volontari che, a seconda delle competenze, delle attitudini, delle esigenze, prestano il loro tempo a titolo gratuito per aiutare gli impiegati e l’Associazione stessa.
Una delle risorse più preziose che un’associazione possa avere sono sicuramente loro: i volontari, persone che scelgono di prestare il proprio impegno in modo del tutto personale, spontaneo e gratuito a favore dell’organizzazione di volontariato di cui sono parte e solo per fini di solidarietà. Per questo viene spesso da chiedersi se in qualche modo o in qualche forma si possa ringraziare economicamente queste persone preziose, domandandosi se il volontariato possa essere retribuito.
Volontariato: può essere retribuito?
Le diverse e generose attività di volontariato che noi cittadini scegliamo di svolgere per l’associazione che tanto amiamo, sono regolate da specifiche norme [2], che ci dicono chiaramente che non possiamo essere retribuiti in alcun modo per questa attività specifica.
Il nostro impegno infatti è a titolo spontaneo e gratuito e il volontariato non è compatibile con forme di lavoro subordinato e autonomo. Non si può essere cioè volontari lavoratori. O si è volontari (non pagati) o si è
Continua qui: https://www.laleggepertutti.it/186166_volontariato-puo-essere-retribuito
PANORAMA INTERNAZIONALE
Russia-Usa, incontro a Vienna tra capi di Stato maggiore
4 marzo 2019
Il capo dello stato maggiore della Russia, Valery Gerasimov, incontrerà il collega statunitense Joseph Dunford, a Vienna nel corso della giornata.
Lo ha riferito il ministero della Difesa russo. “Un incontro tra il capo dello Stato maggiore della Russia
Continua qui: https://www.milanofinanza.it/news/russia-usa-incontro-a-vienna-tra-capi-di-stato-maggiore-201903040827255485
Perché la Cina sta costruendo le infrastrutture di mezzo mondo?
La storia della “Belt and Road Initiative” – la nuova via della seta, come la si chiama spesso – e di come la Cina vuole continuare a essere un impero
di Paolo Bosso – 3 marzo 2019
Quella cosa che sui giornali e nei convegni viene chiamata “via della seta cinese” innanzitutto non si chiama “via della seta cinese”, neanche via della seta in generale, ma yi dai yi lu, traducibile come una cintura, una via, o una cintura che è una via, com’è stata definita nello statuto del Partito Comunista, modificato nel 2017, dove si legge che il partito «deve migliorare costantemente i rapporti tra la Cina e i paesi vicino e lavorare per rafforzare l’unità e la cooperazione tra la Cina e gli altri paesi in via di sviluppo», «raggiungere una crescita condivisa attraverso discussione e collaborazione, e perseguire l’iniziativa della yi dai yi lu». Una cintura, una via, o come viene più spesso chiamata, la Belt and Road Initiative (BRI).
È stato Xi Jinping nel settembre del 2013, allora neosegretario e presidente del Partito Comunista Cinese, il primo a parlare di un «progetto del secolo», una «cintura economica lungo la via della seta», durante un discorso agli studenti della Nazarbayev University di Astana, in Kazakistan. Ma «via della seta» è un’espressione che non è stata più ripresa dal partito – mentre spopolava nel resto del mondo – essendo eccessivamente amichevole, stucchevole, al limite dell’ipocrisia (era Marco Polo che andava in Asia, non il contrario). Si è preferito enfatizzare l’aspetto spaziale, logistico, così da apparire più neutrale: e quindi Belt and Road Initiative.
È la nuova fase di espansione dell’economia cinese, e, sotto il punto di vista logistico, ha uno scopo specifico: avviluppare Europa e Asia con navi e treni, controllandone la maggior parte delle infrastrutture. Direttamente, con operai a lavorare nei cantieri, dipendenti a dirigere gli uffici, armatori e ferrovieri a trasportare tonnellate di beni. Indirettamente, investendo con finanziamenti e
Continua qui: https://www.ilpost.it/2019/03/03/cina-belt-and-road/
Germania: Il numero dei detenuti stranieri ha raggiunto livelli record
di Soeren Kern – 23 febbraio 2019
Pezzo in lingua originale inglese: Germany: Number of Foreign-Born Prison Inmates at Record High
Traduzioni di Angelita La Spada
Un tempo, negli istituti penitenziari del Nord Reno-Westfalia c’erano 114 imam accreditati, ora però se ne contano soltanto 25. Questa riduzione drastica è la conseguenza dei controlli di sicurezza grazie ai quali le autorità tedesche hanno scoperto che 97 imam erano pagati dal governo di Ankara, essendo dipendenti pubblici turchi. La Turchia ha rifiutato di consentire agli imam di rispondere alle domande dei funzionari tedeschi.
Un articolo del Berliner Morgenpost titolato “Il tedesco diventa una lingua straniera in molte carceri” spiega che il numero crescente di conflitti tra gli agenti penitenziari tedeschi e i detenuti stranieri è dovuto alle barriere linguistiche.
Le autorità tedesche segnalano inoltre un aumento delle aggressioni al personale penitenziario da parte dei detenuti. Nel Nord Reno-Westfalia, ad esempio, dal 2016 il numero di tali aggressioni è più che raddoppiato. Il numero dei detenuti stranieri nelle carceri tedesche ha ora raggiunto livelli record, come rilevato da una recente inchiesta condotta sul sistema penitenziario dei 16 Stati federati tedeschi (Länder). A Berlino e Amburgo, ad esempio, oltre il 50 per cento dei reclusi è di origine straniera, secondo il reportage, che ha anche rivelato un aumento del numero degli islamisti nel sistema carcerario tedesco.
I dati, raccolti dal quotidiano Rheinische Post, mostrano che il forte aumento di detenuti stranieri è iniziato nel 2015, quando la cancelliera Angela Merkel permise a più di un milione di migranti per lo più incontrollati e provenienti dall’Africa, Asia e dal Medio Oriente di entrare nel paese.
Secondo il giornale, tutti i Länder tedeschi hanno registrato negli ultimi tre-cinque anni un “fortissimo aumento” di detenuti stranieri e apolidi, sebbene sia difficile da calcolare il loro numero complessivo a livello nazionale a causa delle differenze nel modo in cui gli Stati federati elaborano le statistiche.
Dal 2016, ad esempio, negli Stati federati occidentali la percentuale dei detenuti stranieri è passata ad Amburgo dal 55 per cento al 61 per cento; a Berlino, dal 43 al 51 per cento; nel Baden-Württemberg, dal 44 al 48 per cento; a Brema, dal 35 al 41 per cento; nel Nord Reno-Westfalia, dal 33 al 36 per cento; nello Schleswig-Holstein, dal 28 al 34 per cento; nella Bassa Sassonia, dal 29 al 33 per cento; in Renania-Palatinato, dal 26 al 30 per cento; nel Saarland, dal 24 al 27 per cento. In Assia, la percentuale è cresciuta leggermente dal 44,1 per cento di tre anni fa al 44,6 per cento di oggi. In Baviera, la percentuale è aumentata attestandosi al 45 per cento, rispetto al 31 per cento nel 2012.
Lo stesso fenomeno si riscontra negli Stati federati orientali. In Sassonia, il numero dei detenuti di origine straniera è più che raddoppiato dal 2016. La maggior parte di tali reclusi arriva dalla Polonia, dalla Tunisia, dalla Libia, dalla Repubblica ceca e dalla Georgia. Il Meclemburgo-Pomerania Anteriore conta ora 160 detenuti stranieri provenienti da 66 paesi diversi.
Le autorità tedesche segnalano inoltre un aumento del numero di musulmani presenti nelle carceri tedesche. La percentuale dei musulmani reclusi è ora nettamente superiore alla loro quota di popolazione totale.
Con il recente afflusso massiccio di migranti, la popolazione musulmana della Germania ora conta circa sei milioni di persone, il 7 per cento della popolazione tedesca totale di 82 milioni di abitanti. Al contrario, secondo i dati raccolti dai ministeri della Giustizia dei Länder, circa il 20 per cento dei 65mila detenuti nelle prigioni tedesche è musulmano.
I musulmani costituiscono il 29 per cento dei detenuti a Brema; il 28 per cento, ad Amburgo; il 27 per cento, in Assia (anche se in alcune carceri di questo Land il 40 per cento di tutti i detenuti partecipa alle preghiere del Venerdì); il 26 per cento in Baden-Württemberg; il 21 per cento del Nord Reno-Westfalia; il 20 per cento a Berlino; e il 18 per cento in Baviera.
Secondo i dati forniti dai ministeri della Giustizia dei Länder, almeno 300 islamisti irriducibili stanno scontando la loro pena in un penitenziario tedesco. Altri 350 islamisti hanno dei mandati di cattura pendenti. La maggior parte dei detenuti islamisti si trovano in Assia, in Baviera, nel Nord Reno-Westfalia e a Berlino. Molti sono rinchiusi in strutture detentive separate, ma ci sono preoccupazioni che coloro che non lo sono possano radicalizzare altri detenuti.
In Assia, ad esempio, il numero degli islamisti è più che triplicato dal 2013, mentre nel Baden-Württemberg il numero dei detenuti islamisti è più che raddoppiato dal 2016. “Il numero dei carcerati i cui sentimenti islamisti spiccano è aumentato drasticamente negli ultimi due anni”, ha dichiarato Guido Wolf, ministro della Giustizia del Baden-Württemberg. “Questo presenta nuove sfide per i nostri agenti penitenziari, che sono già duramente provati. Stiamo facendo tutto il possibile per rilevare i segni della radicalizzazione islamista in una fase iniziale e per contrastarli con fermezza”.
Il 10-15 per cento dei detenuti musulmani nelle carceri tedesche è a rischio di radicalizzazione, afferma Husamuddin Meyer, un tedesco convertito all’Islam sufita che ora lavora come chierico nel sistema penitenziario del Nord Reno-Westfalia (NRW). Secondo Meyer, il sistema carcerario tedesco ha bisogno di più imam, per contrastare la radicalizzazione.
Un tempo, negli istituti penitenziari del Nord Reno-Westfalia c’erano 114 imam accreditati, ora però se ne contano soltanto 25. Questa riduzione drastica è la conseguenza dei controlli di sicurezza grazie ai quali le autorità tedesche hanno scoperto che 97 imam erano pagati dal governo di Ankara, essendo dipendenti pubblici turchi. La Turchia ha rifiutato di consentire agli imam di rispondere alle domande dei funzionari tedeschi. “L’obbligo per questi dipendenti di sottoporsi a un nuovo controllo di sicurezza è inappropriato e sbagliato”, ha dichiarato il consolato turco. Il ministro della Giustizia del NRW Peter Biesenbach ha replicato: “L’obiettivo a medio termine deve essere quello di organizzare l’assistenza religiosa e la cura pastorale indipendentemente dallo Stato turco”.
In Assia, nel frattempo, il ministero della Giustizia ha sospeso un imam autorizzato a entrare in carcere a causa dei suoi legami con i Fratelli Musulmani.
Il forte aumento di detenuti stranieri ha portato al problema del sovraffollamentodelle carceri e della carenza di personale. Le prigioni del Baden-Württemberg e del Nord Reno-Westfalia operano attualmente al massimo delle loro capacità. Nel tentativo di mitigare il problema nel NRW, più di 500 detenuti sono stati di recente rilasciati per una “amnistia di Natale”. I penitenziari della Baviera
Continua qui: https://it.gatestoneinstitute.org/13793/germania-detenuti-stranieri
Iran: Khamenei si smarca da Rohani, pubblicato testo incontro luglio 2018
Teheran, 04 mar 18:24 – (Agenzia Nova)
La guida suprema dell’Iran, ayatollah Ali Khamenei, ha sollecitato il presidente Hassan Rohani a rivedere le politiche che hanno legato le sorti economiche del paese all’accordo sul nucleare alle relazioni con l’Europa. È quanto emerge da un importante discorso di Khamenei pronunciato lo scorso luglio 2018 al gabinetto di governo e pubblicato solo oggi integralmente sul sito ufficiale della guida suprema. La diffusione del discorso di Khamenei avviene a una settimana dalle dimissioni, non accettate dal capo dello Stato, del ministro degli Esteri, Mohammad Javad Zarif, che hanno fatto emergere uno scontro interno tra l’esecutivo e i vertici dei Guardiani della rivoluzione iraniana. Secondo la stampa internazionale, la decisione di pubblicare proprio oggi il testo del discorso di Khamenei è un modo per chiarire la posizione della guida suprema in merito a due questioni particolarmente care al governo Rohani: l’accordo sul nucleare iraniano e la cooperazione economica con i paesi dell’Unione europea.
Nel suo discorso pronunciato a luglio, Khamenei aveva accusato l’amministrazione Rohani di aver basato la rinascita economica dell’Iran su fattori esterni, come il rapporto con i paesi occidentali, condizionando a scelte di terzi il futuro del paese. “Non dovete aspettarvi alcun aiuto da nessuno. Abbiamo reso l’economia del paese dipendente dal Piano d’azione globale congiunto (l’accordo sul nucleare iraniano, noto con l’acronimo di Jcpoa). Ma il Jcpoa non è riuscito ad eliminare i nostri problemi economici e ad aiutare il paese in modo evidente. Il risultato (di queste decisioni) è stato quello di condizionare la popolazione al Jcpoa, tanto che quando quel personaggio (in riferimento al presidente Usa, Donald Trump) ha annunciato l’uscita dall’accordo abbiamo assistito a violenti scossoni della nostra economia”, aveva dichiarato Khamenei.
Nel suo discorso di luglio, la guida suprema iraniana aveva inoltre invitato l’amministrazione Rohani a non ripetere il medesimo errore, a non confidare nella proposta dei paesi europei di creare un meccanismo (noto come Special purpose vehicle) per aggirare le sanzioni statunitensi e sostenere il commercio con l’Iran. “Non dovreste trasformarlo in uno dei principali problemi del paese. Che ci vengano offerte delle proposte europee o meno, abbiamo determinati compiti da svolgere nel paese. Abbiamo determinati doveri e regole da
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POLITICA
Gramellini, il corsivista dei poteri forti che “bastona” Tria per compiacere i banchieri tedeschi
venerdì 1 marzo 2019 – di Corrado Vitale
Massimo Gramellini, corsivista principe del Corriere della Sera, ha sbertucciato ieri il ministro Giovanni Tria c0n una cattiveria che lascia perplessi, soprattutto perché si è trattato di un attacco a freddo e del tutto (apparentemente) immotivato. Il giornalista ha definito il ministro un «timido professore di economia con gli occhiali a ventiquattro pollici e una cartella consunta appesa alla mano come una protesi». Perché, lui pensa forse, con i suoi occhiali da topo di biblioteca e le sue floride ganasce da divoratore di tagliatelle, di essere più aitante? Vabbè, andiamo avanti. Un tipo così, il Tria, sarebbe indegno, secondo il sapido Gramellini, di occupare «la scrivania di Quintino Sella» all’interno del tetro edificio dove ha sede il Mef. E sai che onore! Il corsivista non si ferma lì: continua ad accanirsi gabellando il ministro come «sacrificio umano a Crozza». «uomo mite costretto a cucirsi la bocca», «Nembo Tria, omino di ferro e acciaio».
Non ci sono più i ministri (né i corsivisti) di una volta
Insomma, un killeraggio in piena regola. A questo punto è lecito obiettare che non c’è niente di strano se un corsivista attacca, pur pesantemente, un ministro. Non era forse così ai tempi di Gianna Preda (a destra) e di Fortebraccio (a sinistra)? Sì. era così, ma il paragone con l’oggi non regge: i ministri di una volta erano gente veramente potente e se volevano, potevano fare paura; i ministri di oggi, almeno in Italia, sono in gran parte (sia detto senza offesa) dei “poveracci” e non fanno più paura a nessuno. E questo per il semplice motivo che il potere s’è trasferito altrove.
L’attacco di Tria ai tedeschi e la puntuale “bastonatura”
Ma proprio qui sta il punto-, quello che ci può far capire perché mai il corsivista principe di uno dei “giornaloni” della borghesia finanziaria italiana, là dove risiede il potere vero (con i suoi collegamenti transnazionali ed europei) , si lanci nella gratuita “bastonatura” mediatica di un ministro. La risposta sta in quattro parole, buttate lì, quasi di sfuggita al termine dell’articolo: è laddove Gramellini, tra una spiritosaggine e l’altra, dice che Tria «ieri invade la Germania». In realtà Tria non ha “invaso” proprio nessuno. Ha solo rivelato che al tempo del governo Letta, l’allora titolare del Mef, Fabrizio Saccomanni, ricevette pesanti pressioni dall’allora ministro delle Finanze tedesco, il potentissimo Wolfgang Schauble, che voleva imporgli l’introduzione del bail-in, cioè il sistema di controllo sulle banche europeeche favorisce la Germania e penalizza l’Italia. Il ministro dell’Economia ha parlato per la precisione di «ricatto tedesco» nei confronti del nostro Paese. Si tratta della dichiarazione più ardita finora arrivata dal “prudente” Tria durante il suo mandato. Se uno come lui decide di svelare un retroscena così inquietante dei recenti rapporti italo-tedeschi un motivo ci sarà pure. E sarà sicuramente un motivo importante, dal momento che stiamo andando verso la ridefinizione del
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STORIA
Errori e ferocia, così è nata l’infinita Guerra di Corea
Un saggio ricostruisce genesi e svolgimento del conflitto che ha destabilizzato l’Asia
Matteo Sacchi – Mar, 26/02/2019
Quando la Seconda guerra mondiale finì, a colpi di atomica, nessuna delle potenze vincitrici aveva fatto una vera riflessione sul destino della Corea. Per lungo tempo erano state in ballo questioni ben più preoccupanti.
Dal punto di vista ufficiale se ne era discusso alla conferenza del Cairo del 1943. L’accordo raggiunto tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Cina prevedeva l’indipendenza della penisola dal Giappone, a guerra ultimata, e lo status di nazione neutrale. Non andò così quando anche l’Urss dichiarò guerra al Giappone. Nell’estate del 1945, in tre settimane, i sovietici occuparono la Manciuria, le isole Curili, la parte meridionale dell’isola di Sachalin e la penisola coreana fino al 38º parallelo. Lì si fermarono semplicemente perché incontrarono gli statunitensi che la stavano occupando, in tutta fretta, per prevenire la loro avanzata, a partire dalla regione meridionale.
Gli americani si erano, finalmente, resi conto che il Giappone rischiava di essere accerchiato dalle forze comuniste e stavano correndo ai ripari. Nessuno però capì, sul momento, che quella linea tracciata sulla carta, e accettata dai Russi obtorto collo, si sarebbe trasformata in una linea di faglia permanente in grado, ancora oggi, di condizionare la politica mondiale. Nessuno immaginava che da lì a pochi anni il regime instaurato nel Nord dai sovietici, e poi appoggiato dalla nascente Cina comunista, avrebbe scatenato una guerra tremenda che nessuno sarebbe stato in grado di vincere.
In Italia quel conflitto è stato poco studiato ma ora è arrivato in libreria il saggio di Gastone Breccia, Corea la guerra dimenticata (Il Mulino, pagg. 392, euro 25), che l’analizza nel dettaglio, sulla base anche di consistenti ricerche svolte in loco. Il dimenticata del titolo si spiega con il fatto che sia il blocco dei Paesi occidentali sia i cinesi sono usciti dallo scontro senza un trionfo netto e che, quindi, alla fine hanno preferito lasciar depositare quel conflitto nelle pieghe della Storia. Quanto ai coreani del Sud la considerano una immane tragedia di cui parlano con pudore. Cosa ne pensino i coreani del Nord non è dato sapere, sono obbligati dal regime a chiamare quello scontro fratricida Grande guerra patriottica e tanto basta. Compulsando il libro di Breccia, che insegna storia militare all’università di Pavia, ci si rende conto di quanto poco gli Stati uniti fossero pronti ad affrontare il conflitto coreano. L’attacco delle truppe di Kim Il Sung, il dittatore della Repubblica Popolare, colse impreparato non solo l’esercito del Sud ma anche i consulenti Usa. Quando il 25 giugno 1950 le truppe comuniste scattarono all’attacco non c’era nessuno in grado di fermarle. Il primo ufficiale americano che si rese conto di ciò che stava succedendo, il capitano Joseph R. Darrigo, dopo essere sfuggito sgommando sotto il fuoco dell’Armata del popolo, dovette lanciare due volte la sua jeep contro le cancellate del comando della prima armata. Dormivano tutti comprese le sentinelle. La situazione cambiò poco nelle settimane a seguire anche quando fu chiaro che le truppe comuniste del Chosn inmin’gun stavano facendo sul serio, le truppe Usa mandate in fretta e furia dal Giappone continuarono a lungo a mostrarsi inadeguate. La Corea del nord schierava solo un centinaio di carri armati T34/85 ricevuti dai russi. Una miseria confronto all’enormità di mezzi corazzati schierati nelle battaglie europee della Seconda guerra mondiale. Eppure, gli americani, e tanto meno i coreani, non avevano alcuna arma anticarro adatta a perforare la loro corazza frontale. Soldati inviati in Corea ufficialmente per una missione di polizia internazionale si trovarono ad essere travolti da reparti addestrati per anni, in Cina, per combattere una guerra vera. In breve, gli Usa, e il governo sudcoreano in fuga, si trovarono a controllare solo il cosiddetto quadrilatero di Pusan nel Sud del Paese. In questa fase della guerra l’unica cosa che il generale Walton Walker, l’uomo di MacArthur in Corea riuscì a fare fu barattare terreno contro tempo. Rallentando l’avanzata coreana, anche a costo di sacrificare interi reparti, riusci a consentire l’arrivo di rinforzi e il dispiegarsi dell’enorme potenziale della flotta
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