NOTIZIARIO STAMPA DETTI E SCRITTI 9 OTTOBRE 2018
A cura di Manlio Lo Presti
Esergo
Se ar popolo je dai,
nun se contenta mai;
mentre se fa scannà
per chi promette sempre, ma nun dà
TITTA MARINI, Zitti tutti … ché parlo io, Accademia dell’ozio, 1970, Pag. 58
https://www.facebook.com/Detti-e-Scritti-958631984255522/
Le opinioni degli autori citati possono non coincidere con la posizione del curatore della presente Rassegna.
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EDITORIALE
Bersaglio Italia
Sono sempre più numerose le presenze televisive dell’economista, professore, esperto di conti pubblici Carlo Cottarelli. L’uomo dalle movenze cordiali e affabili, molto diverso dal tetro curialismo del prof. Monti. Ma anche lui è un “esperto”, un sicario dell’economia con dei precisi mandanti, non ha visioni complessive della società civile né intende averli. Un esperto va dritto, stermina e distrugge senza i problemi complicati del mantenimento del consenso popolare.
Il tour mediatico del ridetto N. H. Ing. Cav. Prof. Dott. Cottarelli è il raffinato risultato di una attentissima campagna pubblicitaria battente che ha lo scopo di abituare la popolazione italiana al suo faccione bonario, al suo eloquio discorsivo raffinato e declamato davanti ad un buon caffè.
La ENNESIMA COVERT OPERATION, messa in piedi per la promozione commerciale del prodotto Cottarelli, gestita con luciferina abilità dai soliti oscuri SPIN DOCTORS reclutati dai soliti THINK THANK di estrazione anglofrancotedescaUSA, ha lo scopo di rendere ineluttabile la nomina del preclaro Cottarelli come capo del quinto/sesto/settimo GOVERNO TECNICO NON ELETTO DA NESSUNO.
Lo scopo del V-VI-VII governo autogeno quale sarà?
Il mandato è chiaro: l’attuazione di tagli, in stile Fondo Monetario Internazionale, prioritariamente all’ultimo brandello di Stato Sociale, con la Sanità dei cittadini trasferita in blocco alle assicurazioni private. Da notare, infatti, un crescendo di pubblicità di alcuni giganti assicurativi sui maggiori canali e reti televisive nella punta massima dell’ascolto serale!
Tutto calcolato! Altro che caos, come vogliono farci credere!
Il tempismo di questi registi è straordinario e merita ammirazione, sebbene senza condivisione e con la necessaria esecrazione.
Strani segnali dal futuro stanno accompagnando la impressionante operazione di marketing politico del simpatico Cottarelli:
- Casualmente, salta il ponte di Genova che assicurava la massima fluidità di scorrimento di un movimento imponente di auto e di merci. Il collasso del ponte provoca due effetti. Il primo il taglio in due della ex-italia; il secondo l’interruzione del flusso di merci verso il porto di Genova che andrà in collasso molto presto, con il dirottamento del traffico commerciale a favore dei vicini porti francesi (è un caso, secondo voi??????)
- Scosse di terremoto in varie città, a ridosso dell’attuale conflitto italia-europa. Sarà un caso??????????
- Ripresa delle insurrezioni separatiste in Spagna. Una operazione che può quindi attuarsi anche nella ex-italia, quindi. Sono avvertiti i soliti noti che il nostro Paese può essere frazionato in tre parti, se non obbediamo servilmente e prontamente agli ordini del dominio anglofrancotedescoUSA!
- La Germania, che intende rispedirci migliaia di cosiddetti emigranti con aerei sul territorio italiano, come da applicazione (questa volta a convenienza tedesca) del trattato di Dublino, che prevede la restituzione dei pacchi-emigranti al Paese di primo imbarco!!!!!!!!!!!!!
- Detonatore della devastazione del tessuto sociale italiano è l’incremento criminale e il rialzo della sua ferocia da parte di bande nigeriane (le più feroci, assassine e antropofaghe) che stanno distribuendo nel nordest dell’Italia nuovi tipi di droga sintetica che ha finora ucciso 18 persone! Nessuna maglietta rossa con rolex ed altri senza rolex, hanno censurato questo genocidio. Alla mafia nigeriana si accompagna la solerte attività criminale di altri gruppi etnici reclutati dalle ridette attivissime otto mafie. Ovviamente, i dati ufficiali sono fumosi e sicuramente al ribasso.
- Detonatore della devastazione è l’incremento verticale delle epidemie che hanno dato l’occasione alle BIG PHARMA di collocare ben 14 (QUATTORDICI) vaccini da iniettare contemporaneamente pena il sequestro giudiziale dei bambini (un’idea poi rientrata ma inesistente perfino durante il nazismo! Sempre perché i fascisti sono gli altri). I buonisti neomaccartisti negano il ritorno di malattie scomparse da decenni, ma vanno sulle navi con i guanti e la mascherina: PERCHE’ QUESTE PROTEZIONI SE TUTTO E’ A POSTO?
- La ricerca, ossessiva fino alla stupidità, del capobanda, che doveva essere un italiano demmerda per le violenze da arancia meccanica ai danni della coppia anziana in villa. AL QUINTO TENTATIVO HANNO SMESSO! Volevano far vedere che gli italiani sono più assassini di tutta quella massa di delinquenti che sono arrivati in Italia dalle carceri di vari Paesi africani. Da notare che lo stesso accadde con le prime comunità nordamericane formate da galeotti inglesi e francesi liberati a patto di andare nelle praterie
- La infausta ed indecorosa vicenda di Riace. Una vera e propria orchestrazione per porre il nostro Paese in cattiva luce sul tema dei migranti, una trappola per dare fiato alle manifestazioni delle minoranze politiche, che remano contro gli italiani più della Germania e dell’UE messi insieme. Il caso Riace – se qualcuno non ci ha pensato – assieme a quello degli italiani che devono delinquere tanto quanto i cosiddetti immigrati (senza ANALISI PONDERATE DEI DATI CRIMINALI) – serve per giustificare l’intervento dell’ONU in Italia trattata, pertanto, come uno stato bananas.
- L’uso del meccanismo ARBITRARIO UE dello spread per far saltare le banche italiane che sarebbero sterminate dalla tagliola del BAIL-IN, con gravissimo danno per i depositi italiani, risparmi che andrebbero requisiti per coprire i colossali ed occultati deficit delle banche tedesche. L’Italia è nel mirino dell’asse anglofrancotedescoUSA perché ha un volume di risparmio pari ad oltre quello di tutta la UE messa insieme. Questo è il vero motivo della aggressione concentrica contro la penisola.
P.Q.M.
Tutta questo caos politico a ridosso delle prossime elezioni europee (questa è il motivo apparente) mi fa venire il sospetto che il governo attuale sia un espediente per dare il tempo al DEEP STATE EUROPEO di preparare un affilato e feroce piano di dominio utile alla distruzione finale del nostro martoriato Paese (questo è il motivo vero) con ulteriori e più pesanti politiche anticicliche, con la vendita all’estero delle ultime eccellenze aziendali, con la preparazione di più campi di raccolta per ricevere durante il V-VI-VII- governo non eletto, il certissimo sbarco di 3-4.000.000 di cosiddetti immigrati per ognuno dei quali i soliti noti riceveranno 6.000 euro, cioè la bella somma di DODICIMILIARDI DI EURO. Un malloppo da spartirsi – al solito – con Coop, case accoglienza, Vaticano, le otto mafie e i partiti che da sempre hanno sponsorizzato l’invasione senza controllo.
SIAMO VERAMENTE NEI GUAI…. Continuiamo a fare finta di niente girando la testa da un’altra parte!
Ne riparleremo
IN EVIDENZA
Stato d’eccezione contro il terrorismo
Intervista a François Saint-Bonnet
di FLORENT GUENARD *
Lo stato d’eccezione ha una lunga storia in Francia. Tipicamente usato per far fronte a crisi di vario genere, oggi è invocato in chiave antiterroristica. Ma, secondo il giurista François Saint-Bonnet, non ci sono garanzie che questa sia una buona soluzione.
Per quale motivo si ricorre oggi a una legislazione speciale?
- S-B.Per molto tempo, di fronte a un pericolo serio per la comunità politica, si è fatto ricorso al concetto di necessità evidenteper travalicare i limiti imposti al potere dei governi. Salus populi suprema lex est, oppure necessitas legem non habent: queste formule hanno spesso giustificato il passaggio da uno stato normale, in cui il potere è limitato, a uno stato d’eccezione, dove non ci sono limiti.
Con la Rivoluzione francese si è affermato il principio secondo il quale le leggi che limitano i poteri (che altro non sono, poi, che le leggi che garantiscono le libertà individuali) non dovevano essere sospese per nessun motivo. Ma questo assunto ha avuto vita breve, perché anche in seguito è capitato spesso che si decidesse di mettere tra parentesi le leggi, quando non anche la costituzione, sotto il Terrore specialmente, ma anche in seguito, nel corso del XIX secolo. Sotto la Repubblica si è dichiarato lo stato di assedio nei territori dei monarchici, per esempio, e vice versa durante la Restaurazione, e lo stesso si è fatto per le roccaforti dei bonapartisti sotto la Monarchia di luglio. La sospensione delle libertà civili veniva ogni volta operata in maniera brutale ed era funzionale a debellare un avversario politico che veniva considerato nemico belligerante del regime vigente, e cui perciò non era data legittimità di ricorso alla protezione giuridica.
Fu per questo motivo che la Costituente del 1848 volle dare un inquadramento giuridico allo stato d’assedio. Si trattava di stabilire una via di mezzo tra la legalità «normale» e il regno dell’arbitrario: una legalità ancora “eccezionale”, certo, ma comunque una forma legalità. Su questa logica si fonda la legge del 9 agosto 1849, ancora in vigore attraverso l’articolo 36 della Costituzione francese, che può essere applicata in due casi opposti: nel caso di un consenso nazionale («un pericolo imminente risultante da una guerra straniera»), oppure in quello di un dissenso nazionale (una «insurrezione armata» di una parte della popolazione). Questa legge consiste nel conferimento dell’essenziale dei poteri delle autorità civili ai militari in tutte le zone dichiarate in stato di assedio.
Tale misura è stata applicata durante la guerra del 1870 in una ventina di dipartimenti francesi, poi durante i primi quattro anni di guerra mondiale su tutto il territorio nazionale e, in seguito, nel settembre 1939.
Ma lo stato di assedio non è stato dichiarato durante la guerra di Algeria, per esempio, perché era fondamentale allora che, nella loro lotta, i membri dell’FLN non apparissero né come dei combattenti nemici, né come degli insurrezionali. Bisognava presentarli come semplici delinquenti (assassini e autori di attentati), i cui atti, poiché perpetrati durante un processo di decolonizzazione, non poteva essere giustificato da alcun principio politico. Ecco perché in quell’occasione è entrata in vigore la legge del 3 aprile 1955 sullo stato di urgenza, che, contro ogni evidenza, cerca con cura di evitare ogni accostamento con la categoria della guerra di indipendenza, evocando in modo abbastanza evasivo un «pericolo imminente risultante da gravi attentati all’ordine pubblico». Non solo: per distogliere ancora di più l’attenzione da considerazioni di ordine politico, questa legge stabilisce che lo stato di urgenza possa essere decretato anche in caso di «calamità pubblica», come una catastrofe naturale. Quanto a quest’ultimo aspetto bisogna tenere tuttavia conto del fatto che, solo qualche mese prima dell’entrata in vigore della legge, nel settembre del 1954, un terremoto era stato seguito da incresciose scene di saccheggio. La legge del 3 aprile 1955, comunque, prevede un rafforzamento dei poteri civili, ma non il loro conferimento ai militari.
Esiste inoltre l’articolo 16 della Costituzione francese del 1958, che, anche dopo la riforma del 2008, assegna un potere assolutamente discrezionale del Presidente della Repubblica in questi casi. Essa diventa applicabile quando «il funzionamento regolare dei poteri pubblici costituzionali» è interrotto, ovvero quando, a causa di una minaccia molto grave, le istituzioni politiche dello Stato non riescono più ad assolvere ai loro compiti. La misura è stata applicata soltanto una volta, il 23 aprile 1961 in occasione del putsch dei generali di Algeri, e fu mantenuta in vigore dal generale De Gaulle per circa sei mesi.
Troviamo dunque nel codice francese tre diverse legislazioni d’eccezione (stato di assedio, stato di urgenza e articolo 16), frutto di storie peculiari ma con in comune il fatto di mirare a facilitare la risoluzione di crisi intense e divisive ma brevi, come le insurrezioni, o di quelle un po’ meno brevi ma con l’effetto di serrare i ranghi dell’unità nazionale, come le guerre in cui vengono invase porzioni di territorio. Il terrorismo jihadista, che conosciamo ormai da una quindicina d’anni e che non accenna a finire, non rientra in nessuno di questi due casi. Per
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“Riace è un modello solo per Saviano e gli italiani cretini”
Scritto il 06/10/18
Si può essere «cretini» come Roberto Saviano, che finge di non sapere che Riace era un paesino deserto, e quindi adatto ad essere ripopolato con migranti? «Capirei se l’Italiafosse abitata da un milione di persone», dice il video-reporter Massimo Mazzucco. «Sfortunatamente gli italiani sono 60 milioni: Saviano non lo sa? Non capisce che inserire migranti in aree sovraffollate non è come domiciliare immigrati in un villaggio fantasma, abbandonato dagli abitanti originari?». A fare notizia, in realtà – sostiene Mazzucco nel “live” settimanale in web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights” – non è neppure l’imbarazzante, scontato propagandismo anti-Salvini dell’autore di “Gomorra”, quanto la levata di scudi suscitata dall’arresto del sindaco di Riace, Domenico Lucano, accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E’ comunque eccessivo, in casi come questo, il ricorso alla carcerazione preventiva? Spesso, dichiara sempre a Frabetti l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, l’arresto è «un indice di frustrazione, da parte di una magistratura che in questo modo anticipa la pena», temendo che poi il processo potrebbe naufragare. «Molto più efficace il “processo” mediatico», la “gogna” innescata dalle manette. Segno, ribadisce Carpeoro, «che in Italiala giustizianon riesce proprio a funzionare».
Sul caso Riace si è in ogni caso abbattuta l’ennesima tempesta. In difesa del sindaco Lucano si schierano scrittori, giornalisti, opinionisti a tempo pieno. La filosofa Maura Gancitano parla di “regime”, quando in realtà di amministratori locali arrestati se ne contano a bizzeffe. Perché proprio questa volta ci si scandalizza così tanto? «Ci si scandalizza – dice Mazzucco – perché quel sindaco è diventato una specie di simbolo, una bandiera (positiva o negativa, a seconda di come la guardi). Era stato addirittura inserito da “Fortune” tra le 50 persone più influenti del mondo: e senza un vasto movimento di supporto, da parte di una certa sinistra, non sarebbe mai potuto finire su “Fortune”. Il giornale non se ne sarebbe neppure accorto, dell’esistenza del paesino di Riace». E proprio perché Domenico Lucano è stato trasformato nella bandiera dell’accoglienza “senza se e senza ma”, «Matteo Salvini (giustamente, dal suo punto di vista) ha detto la sua, e quindi ha creato il caso: che infatti nasce perché questo sindaco è diventato un simbolo, non per quello che ha fatto a Riace». Il guaio, sottolinea Mazzucco, sta nel voler generalizzare in modo così
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L’Italia solida e la Germania solita
Commissariamento dell’Italia? Non vi è nessun indicatore fondamentale che possa giustificare una simile manovra. Sullo sfondo, la lotta egemonica fra anglosassoni e tedeschi.
7 ottobre 2018 di Giuseppe Masala.
Quando sento parlare di commissariamento dell’Italia non vi nascondo che trasecolo. Al momento non vi è nessun indicatore fondamentale che possa in qualche modo giustificare una simile manovra. Lo stesso aumento dello spread tra Bund tedeschi e BTP italiani può essere giustificato solo in relazione alla lotta senza esclusione di colpi in corso, spesso fatta anche con l’uso spregiudicato della disinformazione.
La bilancia commerciale italiana presenta 50 mld€ di attivi, il saldo delle partite correnti è positivo per 60 mld€, il tasso d’inflazione (che conta solo nelle teste bacate dei dirigenti tedeschi, ma tant’è) va bene, dunque la posizione netta finanziaria dell’Italia non può che essere ottima.
Se l’Italia merita uno spread a 300 con un rapporto di + (più) 2,5% di rapporto partite correnti/pil cosa meriterebbe la Francia che ha – (meno) 1,1% (fa peggio solo la Grecia con -1,2%)?
Allora capisci che il tema non è finanziario ma politico e allargando il quadro concettuale è un tema anche culturale: da una parte in Italia abbiamo i filotedeschi sotto le mentite spoglie di “filoeuropei” e dall’altro lato gli anglosassoni (USA e UK che fino alla Brexit terranno profilo basso, poi a Berlino e a Bruxelles si ritroveranno una pedina piuttosto maramalda e birichina). La prima fazione dei filotedeschi è capeggiata da Mario Monti e la seconda da Paolo Savona. Storia vecchia che dall’unità d’Italia si ripropone ciclicamente (pensiamo a Giolitti e Crispi).
Gli anglosassoni pretendono che la Germania abbandoni il suo mercantilismo e abbassi considerevolmente i 350 mld€ di surplus commerciale mentre i tedeschi da quell’orecchio non ci sentono. Ora, comunque la si pensi una cosa è
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La strategia di demonizzazione della Russia
di Manlio Dinucci
La strategia dei partiti populisti europei legati a Steve Bannon si scontra con una contraddizione di difficile soluzione: la logica vorrebbe che sostenessero un avvicinamento alla Russia, cosa che hanno fatto per esempio gli italiani, ma le azioni del loro sponsor, gli USA, sono invece indirizzate a sabotare l’economia e l’affermazione politica di Mosca.
RETE VOLTAIRE | ROMA (ITALIA) | 25 SETTEMBRE 2018
Il direttore dell’Ufficio per gli Affari Europei ed Euroasiatici del Dipartimento di Stato, Wess Mitchell, ha l’incarico di prevenire l’espansione della Russia in quanto concorrente degli Stati Uniti. A luglio scorso Mitchell si felicitava con il deputato tartaro ucraino Mustafa Djemilev (detto Mustafa Abdülcemil Cemiloğlu) per le azioni di sabotaggio da lui compiute in Crimea. Agente storico della CIA, Djemilev ha fondato, con l’aiuto di Ucraina e Turchia, la Brigata Internazionale Islamica.
Il contratto di governo, stipulato lo scorso maggio dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega, ribadisce che l’Italia considera gli Stati uniti suo «alleato privilegiato». Legame rafforzato dal premier Conte che, nell’incontro col presidente Trump in luglio, ha stabilito con gli Usa «una cooperazione strategica, quasi un gemellaggio, in virtù del quale l’Italia diventa interlocutore privilegiato degli Stati uniti per le principali sfide da affrontare». Allo stesso tempo però il nuovo governo si è impegnato nel contratto a «una apertura alla Russia, da percepirsi non come una minaccia ma quale partner economico» e addirittura quale «potenziale partner per la Nato».
È come conciliare il diavolo con l’acqua santa. Viene infatti ignorata, sia dal governo che dall’opposizione, la strategia Usa di demonizzazione della Russia, mirante a creare l’immagine del minaccioso nemico contro cui dobbiamo prepararci a combattere. Tale strategia è stata esposta, in una audizione al Senato, da Wess Mitchell, vice-segretario del Dipartimento di stato per gli Affari europei e eurasiatici: «Per fronteggiare la minaccia proveniente dalla Russia, la diplomazia Usa deve essere sostenuta da una potenza militare che non sia seconda a nessuna e pienamente integrata con i nostri alleati e tutti i nostri strumenti di potenza» [1].
Accrescendo il bilancio militare, gli Stati uniti hanno cominciato a «ricapitalizzare l’arsenale nucleare», comprese le nuove bombe nucleari B61-12 che dal 2020 verranno schierate contro la Russia in Italia e altri paesi europei. Gli Stati uniti – specifica il vice-segretario – hanno speso dal 2015 11 miliardi di dollari (che saliranno a oltre 16 nel 2019) per la «Iniziativa di deterrenza europea», ossia
Continua qui: http://www.voltairenet.org/article203106.html
ATTUALITÀ SOCIETÀ COSTUME
3 milioni e mezzo di studenti in fuga: la dispersione scolastica è una vera emergenza sociale, ma non interessa a nessuno
Dal 1995 a oggi tre milioni e mezzo di studenti su undici hanno abbandonato la scuola. Il costo è enorme: 55 miliardi di euro. E l’emorragia non si fermerà presto: la dispersione scolastica è un’emergenza che tutti ignorano
di Irene Cosul Cuffaro – 4 ottobre 2018
“La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde”, scriveva mezzo secolo fa don Milani in “Lettera a una professoressa”. Nel 2018 forse avrebbe aggiunto anche i tetti che crollano, le classi formate da almeno trenta studenti e i genitori che castigano i professori anziché i loro pargoli, ciò che è certo però è il disappunto che proverebbe nel leggere gli ultimi dati sulla dispersione scolastica elaborati da Tuttoscuola. Per ogni ciclo quinquennale dal 1995 ad oggi, infatti, sono mancati all’appello di anno in anno nella scuola secondaria superiore statale tra i 150 e i 200 mila studenti che si erano iscritti cinque anni prima: tra il 25 e il 35%. Erano iscritti al primo anno, non c’erano più al quinto. Il trend fortunatamente è in diminuzione, dal 35% del 2000-01 al 24,7% del 2017-18, ma dei 590 mila adolescenti che a settembre hanno varcato per la prima volta l’ingresso delle scuole superiore statali, almeno 130 mila non arriveranno al diploma.
Tirando le somme, dal 1995 al 2013-14, anno in cui è iniziato il ciclo scolastico che si è concluso quest’anno, e quindi negli ultimi 19 cicli scolastici, 3 milioni e mezzo di ragazzi italiani iscritti alle scuole superiori statali non hanno completato il corso di studi. È quasi come se l’intera popolazione della Toscana (3,7 milioni) avesse abbandonato la scuola. Gli istituti professionali sono di gran lunga quelli nei quali si registra il più elevato tasso di dispersione (32,1%), seguiti dagli istituti tecnici (27,3%), dai licei artistici (20,6%),delle scienze umane (18,0%), scientifici (19,8%) e classici(17,7%). L’area del Nord Ovest registra complessivamente un tasso di dispersione del 25,2% pressoché uguale all’area del Sud (25,4%), mentre le isole raggiungono il 29,4%.
Tenuto conto che lo Stato investe per ogni studente della scuola secondaria
Continua qui: https://www.linkiesta.it/it/article/2018/10/04/3-milioni-e-mezzo-di-studenti-in-fuga-la-dispersione-scolastica-e-una-/39640/
CONFLITTI GEOPOLITICI
L’inversione dell’India distrugge la strategia anticinese di Trump
Moon of Alabama 7 ottobre 2018
Un cambiamento nella politica estera dell’India disintegrava la strategia dell’amministrazione Trump contro Russia e Cina. Le dichiarazioni dei media statunitensi sull’India ora cambieranno. Il governo indiano di Narendra Modi sarà sottoposto a un pesante fuoco di propaganda. Due settimane prima, MoA rifletteva sulla corruzione dell’affare sugli aerei da combattimento Rafale, che il premier indù-fascista indiano Modi aveva organizzato: “In breve: il precedente governo firmò un contratto con la francese Dassault per l’acquisto di 126 jet Rafale per 10,6 miliardi di dollari. Il 30% del prezzo stato ritornato da Dassault al produttore indiano aeronautico statale indiano HAL, che avrebbe assemblato la maggior parte degli aerei. Modi andò a Parigi e cambiò l’accordo senza dirlo al suo gabinetto e alle forze armate del Paese. L’India otteneva solo 36 Rafale paghandoli però 8,7 miliardi di dollari. Il 30% del denaro sarebbe finito a una società indiana privata del Gruppo Reliance, in bancarotta, per progetti non collegati e senza alcun trasferimento di know-how. Cosa la Quanta Reliance, di proprietà della famiglia un tempo ricca Ambani, avrebbe dato a Modi e al suo partito è ancora sconosciuto. Ci sono richieste a Modi di dimettersi, ma è improbabile che lo faccia. Quanto scritto si basa e accredito su ciò che la rivista Caravan aveva scritto. Oggi il New York Times riprendeva la storia sull’accordo “puzzolente”, e l’opposizione indiana finalmente sbaraglierebbe Modi. Il “documento” esce dopo due settimane senza aggiungere nulla di nuovo e senza accreditare nemmeno Caravan che aveva scoperto i dettagli della corruzione. La domanda quindi è: perché è
Continua qui: http://aurorasito.altervista.org/?p=2912
CULTURA
Paul Virilio – 7 OTTOBRE 2018
“L’immediatezza è un’impostura”, scriveva il teologo Dietrich Bonhoeffer. Di questa impostura possiamo misurare gli effetti perversi osservando che ciò che è comune viene oggi messo in discredito dall’immediatezza di ciò che non è comune. Quando un utente della citizen band spiega per esempio che la sua ricetrasmittente gli permette di parlare “di preferenza con gente che non conosce”, di entrare in comunicazione “al di fuori della sua cerchia di affinità geografiche”, significa che quello che non c’è prevale di gran lunga su quanto è presente… In fondo, quella che è stata definita “la pressione dell’audiovisivo”, altro non è che l’espressione del declino dell’unità di vicinanza, e attraverso di esso, della prossima decadenza delle politiche territoriali. Da ciò deriva l’insidioso discredito gettato, da più di vent’anni, sull’estensività geopolitica a vantaggio di una intensità transpolitica insospettata, declino dello Stato di diritto, deregulation accelerata dei diversi sistemi di governo che portano, in questo stesso momento e nonostante l’illusione dei mercati internazionali, all’inversione del principio aggregativo, federativo, dissociazione propizia, raffigurazione di un illusorio decentramento che è solo il prolungamento della decolonizzazione liberale. Questo porta all’infinita serie di “divorzi” operati in nome delle libertà, fra i sessi, le generazioni, le etnie e i gruppi sociali, fino alle più vaste entità comunitari e nazionali, a vantaggio di un’amministrazione o meglio di un impero del tempo proprio di cui l’evoluzione della produzione industriale consente già di valutare la natura, con la precarietà dello statuto del personale temporaneo, costretto al tempo stesso alla disoccupazione congiunturale e agli orari intensivi, senza
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DIRITTI UMANI – IMMIGRAZIONI
“Troppi morti per mano dei migranti”
I tedeschi si ribellano alla Merkel
- SET 17, 2018
Kothen – “L’hanno massacrato di botte e poi dicono che è morto per un attacco di cuore?”. Alex è nato e vive a Kothen, città di circa 30mila abitanti della Sassonia-Anhalt. È sceso in piazza per protestare contro la morte di un 22enne del posto avvenuta settimana scorsa. “Voleva difendere una donna molestata da due richiedenti asilo afghani”, racconta. “Ho un’amica che lavora al pronto soccorso e dice che era praticamente irriconoscibile da gran che lo avevano pestato. Aveva delle costole rotte e la faccia sfigurata.”. Alcuni media tedeschi come Die Welt, però, dicono che il ragazzo sia morto per un’emorragia cerebrale. Altri invece parlano di decesso per un problema cardiaco. “Problema cardiaco? Ma di cosa stiamo parlando? Questo ragazzo aveva un pacemaker. Perché nessuno lo dice? Se ti pestano a sangue rompendoti pure delle costole che cosa dovrebbe succederti se non morire, quindi? Questo è un omicidio”.
Ma la rabbia di Alex è anche quella di Magde, una donna che vive a Kothen da diversi anni. Passeggia per le sue strade pattugliate da poliziotti e camionette e si dirige verso la manifestazione. “Vedi quell’edificio? È un orfanotrofio in pieno centro. Io l’ho visto anche dentro ed è davvero carino. Ecco: i due afghani che hanno ucciso il ragazzo erano ospitati lì. Tutto pagato, tutto offerto. Una vera fortuna, insomma. E questo è il loro modo di ringraziare”. Magde racconta di essere stata vittima più volte di episodi scomodi. A volte dei
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ECONOMIA
Draghi a Mattarella: obbedite, o vi faremo morire di spread
Scritto il 06/10/18
Dallo spread ti può difendere la Bce, a una condizione: il commissariamento sostanziale dello Stato, non più libero di decidere come indirizzare la spesa pubblica. Secondo il “Fatto Quotidiano”, sarebbe questo il piano che Mario Draghi ha esposto a Sergio Mattarella, nei giorni scorsi, al Quirinale. «Si tratta dell’acquisto diretto da parte della Bce di titoli di Stato a breve termine emessi dallo Stato in difficoltà, che però per accedervi deve concordare una sorta di memorandum con il Meccanismo Europeo di Stabilità.
Di fatto un commissariamento».
Nella sostanza: la Banca Centrale Europea, che continua a non voler emettere “eurobond” a garanzia del debito pubblico dei paesi dell’Eurozona, si appresterebbe a esercitare indebite pressioni – modello Grecia – su un paese come l’Italia, di cui non si tollera la decisione di andare in controtendenza, rispetto al pensiero unico neoliberista di Bruxelles, espandendo il deficit. In una nota, la Commissione Europea “avverte” che la previsione del Def gialloverde (disavanzo al 2,4%) non sarà digerita dall’Ue, anche se Lega e 5 Stelle ritengono indispensabile, quel disavanzo, per cominciare a finanziare reddito di cittadinanza, pensioni più dignitose e taglio del carico fiscale. Misure che, secondo il governo, rilancerebbero il Pil già nel 2019.
L’oligarchia finanziaria che domina le istituzioni comunitarie non arretra di un passo: la minaccia dello spread resta la sua arma principale. Una visione drammaticamente espressa dallo stesso Mattarella nel maggio scorso, quando spiegò la sua sorprendente decisione di impedire a Paolo Savona di diventare ministro dell’economia. I mercati finanziari privati ci punirebbero, disse sostanzialmente il capo dello Stato, in una sorta di ammissione di impotenza. Tradotto: uno Stato democratico non è più libero di autodeterminarsi, neppure dopo l’esito (molto netto) di regolari elezioni, perché ormai la sua sovranità è subordinata al potere – sovrano, ma non pubblico – dei detentori della moneta europea. Tutto vero? Certamente sì, se persino per un misero 2,4% di deficit il governo gialloverde dovrà lottare duramente, con Bruxelles, sopportando il prevedibilissimo ricatto a orologeria rappresentato dall’impennarsi dello
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Il mercato non c’entra: l’attacco viene dalla UE
Fino a qualche mese fa girava in televisione lo spot di un servizio online che semplifica la vita degli utenti mettendo a confronto assicurazioni, offerte adsl, prestiti finanziari e roba così. La pubblicità esordiva con l’aggancio ad un’avvenente bionda. La scena era pressappoco questa: un ragazzo dalla battuta pronta si avvicina alla fanciulla appoggiata ad una fiammante muscle car e dopo un confidenziale “ciao cara” e “che bella macchina”, sopraggiunge il fidanzato, un gigante di oltre due metri e con le spalle larghe come una porta che gli si piazza davanti ed esclama a muso duro: “c’è qualcosa che vuoi dire anche a me?”. Ecco allora che l’aspirante playboy si ritira in buonordine facendo finta di essere un amico erogatore automatico di saggi consigli.
Fate un esperimento mentale con l’uso delle metafore. Pensate allo Stato italiano come alla bionda e al viscido provolone come al Mercato. Il ruffianaccio si avvicina e molesta la ragazza e nessuno la difende. Poi, si avvicina il gigante buono, la Banca Centrale, che senza spargimento di sangue, fa capire al mercato che non c’è trippa per gatti e che si può anche diventare amici e scambiarsi battute e consigli, ma che le zampe sulla ragazza è meglio non metterle, a meno di non voler esser suonati come una zampogna. Cosa manca nella vita reale
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Spuntano carte e prove bollenti, crolla l’impero di Napolitano
TG e media di regime nascondono la verità agli italiani sullo spread
Maurizio Blondet 22 giugno 2018
(MB: Non ci posso credere. Ci sarebbe dunque un giudice a Milano?)
Alla sbarra i responsabili del crollo finanziario dell’Italia, per favorire il commissariamento del paese con la regia di Giorgio Napolitano? La prima banca tedesca, Deutsche Bank, con alcuni dei suoi ex top manager è indagata dalla Procura di Milano per la mega-speculazione in titoli di Stato italiani effettuata nel primo semestre del 2011. Operazione che contribuì a far volare lo spread dei rendimenti tra i Btp e i Bund tedeschi e a creare le condizioni per dimissioni del governo Berlusconi, a cui subentrò l’esecutivo di Mario Monti, con in tasca la ricetta “lacrime e sangue” per l’Italia, dalla legge Fornero sulle pensioni al pareggio di bilancio in Costituzione. Secondo l’“Espresso”, che ricostruisce la vicenda svelandone i dettagli, l’ipotesi di reato è la manipolazione del mercato, avvenuta attraverso operazioni finanziarie finite sotto la lente dei pm per un totale di circa 10 miliardi di euro
href=”http://www.libreidee.org/tag/euro/” rel=”tag nofollow”>euro.
Affari realizzati da Deutsche Bank dopo il crac della Grecia, quando la crisi del debito pubblico cominciava a minacciare altri paesi mediterranei, tra cui Italia e Spagna, scrive Marcello Zacché sul “Giornale”.
A onor del vero, scrive Zacché, l’indagine sul gruppo bancario di Francoforte è vecchia di due anni, avviata dalla Procura pugliese di Trani (già attivasi in altri procedimenti finanziari come per esempio quello contro le agenzie di rating). E nel settembre scorso è arrivato l’avviso di conclusione delle indagini, con i magistrati pugliesi pronti a chiedere il rinvio a giudizio di cinque banchieri che guidavano il gruppo nel 2011 (tra cui l’ex presidente Josef Ackermann e gli ex ad Anshuman Jail e Jurgen Fitschen) e della stessa Deutsche Bank. Poi però non se n’era saputo più nulla. Ora invece si apprende che l’indagine è stata trasferita a Milano dalla Corte di Cassazione, per motivi di competenza territoriale, su richiesta dei difensori della banca. «Come noto – ricorda il “Giornale” – la vicenda riguarda la forte riduzione negli investimenti in titoli di Stato italiani avvenuta nei primi sei mesi del 2011, quando Deutsche Bank smobilitò 7 dei circa 8 miliardi dei Btp che deteneva, comunicando tutto soltanto il 26 luglio». Una notizia bomba, tanto che il “Financial Times” titolò in prima pagina sulla «fuga degli investitori internazionali dalla terza economia dell’Eurozona».
Ora l’indagine che i pm milanesi hanno riaperto ricostruisce l’intera serie di
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Non solo Versace: la moda italiana è terreno di razzia per i gruppi stranieri
La Medusa è passata nelle mani di Michael Kors, ma è solo l’ultimo esempio: quasi tutto il made in Italy è nelle mani di gruppi stranieri. Così la moda italiana rischia di essere schiacciata tra New York e Parigi, complice anche la debolezza strutturale del capitalismo familiare italiano
di Roselina Salemi – 29 settembre 2018
Nel backstage sono tutti esterrefatti: “E’ una coltellata”. “Che tristezza”. “Peccato…”. Ma in pubblico nessuno si sbilancia, nessuno dice davvero quello che pensa. E cioè: l’Italia è un buon posto per fare shopping, è un grande outlet e sarà così finché ci sarà qualcosa da comprare. La vendita di Versace a Michael Kors, geniale profeta del lusso di massa, a 1,83 milioni di euro è un altro passo verso l’inarrestabile de-italianizzazione del made in Italy. E la notizia arriva alla fine della Milan Fashion Week (18-24 settembre) dedicata alle collezioni primavera – estate 2019. Un calendario compresso, dominato dal grandioso show di emporio Armani all’hangar di Linate e dalla polemica con il “New York Times” che accusa brand prestigiosi (Fendi, Max Mara) di produrre in Puglia pagando le sarte un euro l’ora.
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Non è un mistero che New York abbia grandi ambizioni, e il fashion system stia diventando un gigantesco Monopoli: Versace potrebbe essere il Parco della Vittoria, uno dei terreni di maggior valore nel gioco
La Camera della Moda reagisce con una dose massiccia di indignazione, ma c’è chi si domanda: perché questo attacco? Perché adesso, mentre un americano compra Versace? Non è un mistero che New York abbia grandi ambizioni, e il fashion system stia diventando un gigantesco Monopoli: Versace potrebbe essere il Parco della Vittoria, uno dei terreni di maggior valore nel gioco. I comunicati ufficiali per ora sono equilibrati e frizzanti. Donatella Versace, che ha raccolto l’eredità nel fratello nel 1997, resterà direttore creativo del gruppo, vivranno tutti ricchi, felici e contenti. ” Lo stile iconico di Donatella è al centro dell’estetica del design di Versace. Lei continuerà a guidare la visione creativa dell’azienda. Sono entusiasta di avere l’opportunità di lavorare con Donatella sul prossimo capitolo di crescita di Versace”, ha detto John D. Idol, Chairman and Chief Executive Officer di Michael Kors Holding. Stesso slancio anche da parte della famiglia: “Santo, Allegra e io siamo consapevoli che questo prossimo passo consentirà a Versace di raggiungere il suo pieno potenziale. Siamo tutti molto eccitati di unirci al gruppo guidato da John Idol, che ho sempre ammirato come un leader visionario ma anche forte e appassionato. Esserne parte è essenziale per il successo nel
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Da Versace a Gucci: tutti i marchi della moda venduti all’estero
–di C.A.F. – 24 settembre 2018
Sono il simbolo del Made in Italy, ma sempre più spesso finiscono in mani straniere. Versace sarà solo l’ultimo dei marchi dell’abbigliamento di lusso italiani che ha trovato un acquirente fuori dai confini. Mentre già di altri si vocifera un imminente cessione. Come per Ferragamo, la cui vendita è stata smentita dalla famiglia proprietaria, ma che da settimane è al centro di rumors secondo cui sarebbe nel mirino di Lvmh, il olosso francese del lusso di Bernard Arnault.
Il passaggio di proprietà però, va detto, spesso si è tradotto in investimenti e ulteriore crescita, non in perdita di lavoro in Italia.
Un esempio è quanto accaduto a Loro Piana, storico marchio piemontese delle lane di pregio, entrato nel 2013 nell’orbita di Lvmh, con polemiche sulla perdita di italianità. Solo pochi giorni fa però Pier Luigi Loro Piana, uno dei membri della famiglia che ancora detiene il 15% della società, ha rivendicato che quella con i francesi è «una partneship positiva. Lvmh è una società perfetta per accoglierne una delle dimensioni di Loro Piana». E ha sottolineato che «non è volato via nulla e gli operai sono ancora tutti là, in Valsesia».
GUARDA IL VIDEO: La moda italiana sempre più in mani straniere
Sempre nel 2013 è entrata a far parte della galassia Arnault anche la storica pasticceria Cova di Milano (contesa all’epoca ancheda Prada) per uscire dall’ambito della moda. E anche in questo caso non si può dire che la cessione della maggioranza abbia fatto danni.
Quello del gruppo francese non è il solo caso “illuminato” in cui un
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FINANZA BANCHE ASSICURAZIONI
Perché lo spread manda in crisi le banche italiane
Nei bilanci ci sono oltre 373 miliardi di titoli di Stato: il calo del loro valore riduce il capitale degli istituti di credito e potrebbe costringere le più deboli a nuove ricapitalizzazioni
08 ottobre 2018
Potrebbero essere le banche italiane le prime grandi vittime della risalita dello spread. Nel lunedì seguente la prima bocciatura da parte delle autorità europee del Def italiano, gli istituti di credito sono tra i titoli più penalizzati al borsino di Piazza Affari (leggi quila diretta dai mercati): Bpm perde in mattinata oltre il 6%, Mediobanca, Ubie Carige intorno al 5%, Intesa Sanpaolo e Unicredit appena sotto il 4%. Il problema degli istituti di credito italiani, per altro noto da tempo, è che sono molto esposti sui titoli di Stato, come sottolineato da diverse analisi pubblicate da analisti e giornali finanziari nell’ultima settimana. Questa esposizione è un grosso problema per tutti gli istituti di credito, ma in particolare per quelli che così vedono calare il loro capitale pericolosamente vicino alle soglie minime imposte dalle regole europee. Rischiando così di dover ricapitalizzare.
QUANTI TITOLI DI STATO CI SONO NELLE BANCHE ITALIANE
Secondo gli ultimi dati disponibili pubblicati dalla Banca d’Italia, da quando è iniziato a gennaio del 2018 il progressivo disimpegno della Bce dal programma di acquisto di titoli di Stato (il quantitative easing che abbiamo spiegato in questo pezzo), le banche hanno aumentato progressivamente i loro acquisti, passando progressivamente dal detenere 323,95 miliardi a 373,37 secondo l’ultimo dato disponibile di luglio 2018. Secondo Credit Suisse, se lo spread dovesse sfondare quota 400 le banche monitorate dagli analisti sarebbero costrette ad un aumento di capitale poiché il Cet1 (l’indicatore di solidità patrimoniale, ndr), passerebbe dal 12,53% all’11,87%. Tuttavia, al
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GIUSTIZIA E NORME
“Mio figlio ucciso da un migrante. Ma la procura ha nascosto tutto”
- 24 SETTEMBRE 2018
(Kothen)
“Sto lottando per avere giustizia. È questa l’unica cosa che mi tiene ancora in vita”. Mentre ci parla, Karsten Hempel ha due occhi che esplodono di rabbia e dolore. Fanno venire i brividi. Questo uomo sulla sessantina dal modo di fare delicato è un padre che ha perso il suo unico figlio. La cosa peggiore che possa succedere a un genitore, quindi. Ora la sua storia, dopo essere stata soffocata dall’omertà dei principali media tedeschi, arriva in Italia. “Il 29 settembre 2017 mio figlio è stato picchiato a morte da un richiedente asilo siriano davanti a un centro commerciale a Wittenberg. L’episodio – racconta Karsten – è stato ripreso dall’inizio alla fine da una telecamera di sorveglianza dell’edificio”. Dopo aver denunciato il fatto tramite i suoi legali, infatti, Karsten riceve dalla procura di Dessau una copia del filmato.
Come si può vedere dalle immagini, la sequenza è piuttosto chiara. Il 29 settembre 2017 verso le 15 Marcus Hempel, 30 anni, arriva al centro commerciale insieme alla sua fidanzata. La coppia parcheggia le bici e si avvia a piedi verso l’ingresso. Intanto i quattro richiedenti asilo siriani sono fermi su un lato. Marcus è già oltre la porta quando uno di loro urla qualcosa. Il trentenne torna allora indietro innervosito. I due iniziano a discutere e a spingersi, fino a quando Marcus tira uno schiaffo al siriano. L’immigrato, a quel punto, si scaglia contro di lui e lo colpisce alla testa. Una, due, tre volte. Al terzo pugno Marcus finisce per terra sbattendo violentemente la testa. Morirà qualche ora dopo
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LAVORO PENSIONI DIRITTI SOCIALI
L’inizio del lavoro visto dalla sua fine
24 SETTEMBRE 2018 – Lorenzo Coccoli
«The persistent feeling […] that the world as it was could never be more than a fraction of the world,
for the real also consisted of what could have happened but didn’t»
(P. Auster, 4 3 2 1)
Capire dove, nel corso più o meno lungo del passato, si è prodotto il futuro che stiamo vivendo: ecco l’obiettivo minimo a cui ogni storica o storico mosso da autentica urgenza politica dovrebbe ambire. Ma poi, se oltre a capire si vuole cambiare, questo da solo ancora non basta. Bisogna allora spingersi più in là, mostrare non solo ciò che è e ciò che è stato, ma anche ciò che avrebbe potuto essere, portare la storia a ebollizione fino a rivelarne il nocciolo incandescente di potenzialità non realizzate e però, almeno in linea di principio, realizzabili. Con L’inizio del lavoro (Carocci, 2018), Federico Tomasello riesce nel compito non facile di tenere insieme entrambe queste prospettive euristiche, in un esercizio di storiografia militante che, pur senza cedimenti sul piano del rigore scientifico, non si rifugia mai dietro il pretesto di un’oggettività distaccata da antiquario. Merito di un angolo di osservazione scorciato, non neutrale, esplicitato già nelle battute introduttive e radicato nelle contraddizioni di un vissuto generazionale: quello cioè di coloro a cui forse per primi è stato dato di vivere nell’età della fine del lavoro, del «prendere forma dell’aporia di società divenute incapaci di garantire il supporto in cui esse stesse avevano inscritto il vettore fondamentale dell’inclusione» (p. 9).
A partire da questo dichiarato ancoraggio nei paradossi del nostro tempo, il libro procede à rebours andando a indagare la genesi di quell’inscrizione, l’origine ottocentesca dei processi che hanno portato alla costruzione del «nesso identitario fra lavoro e cittadinanza» (p. 143), perno di molte delle costituzioni europee del dopoguerra. Rispetto però alle ipotesi storiografiche più consolidate, che tendono ad assegnare alla vicenda quarantottesca il ruolo di cesura epocale, Tomasello risale ancora indietro di un passo, scegliendo di concentrarsi sulla temperie sociale, culturale e politica della Francia degli anni Trenta. Un evento fa insieme da terminus a quo del ragionamento e da pietra di paragone per misurare gli scivolamenti, le trasformazioni, le rotture del discorso pubblico sotto la monarchia di luglio: la rivolta dei tessitori lionesi nel novembre 1831 contro i commercianti di seta, la cui eco segnerà a fondo, dentro e fuori il parlamento, le traiettorie teoriche delle principali forze politiche. Primo vagito del nascente movimento operaio o, forse meglio, canto del cigno del mondo artigiano davanti all’avanzata del modo di
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Lo shopping senza limiti non aumenta né consumi né produttività
Il dibattito sulla regolamentazione degli orari e dei giorni di apertura degli esercizi commerciali appare viziato su entrambi i fronti (favorevoli e contrari).
15 settembre 2018quotidianodipuglia.it
di Guglielmo Forges Davanzati
Il dibattito sulla regolamentazione degli orari e dei giorni di apertura degli esercizi commerciali appare viziato – su entrambi i fronti (favorevoli e contrari) – dal non tener conto di quanto si è fin qui fatto e dei risultati conseguiti. In altri termini, sembra che questo Governo abbia lanciato una proposta radicale e radicalmente nuova: così non é e gli argomenti a favore della maggiore regolamentazione degli orari e dei giorni di apertura erano noti da tempo.
I sostenitori della deregolamentazione fanno propria la tesi secondo la quale le c.d. riforme strutturali attivano crescita: la liberalizzazione del mercato dei beni e dei servizi – si sostiene – è un motore di crescita. Questa tesi – dominante in Italia qualche anno fa e niente affatto scomparsa – regge sull’ipotesi per la quale è la pressione concorrenziale a spingere le imprese a competere accrescendo la produttività. Si assume, cioè, che è solo creando le condizioni perché la concorrenza fra imprese sia completamente deregolamentata che le imprese abbiano incentivo a innovare. A ciò si aggiunge la tesi per la quale, con esercizi commerciali aperti ogni ora del giorno e ogni giorno dell’anno, i consumi aumentano.
L’evidenza empirica mostra che ciò non è accaduto; solidi argomenti teorici mostrano che molto verosimilmente non potrà accadere.
L’evidenza empirica. L’Italia, anche in questo caso, è un unicum in Europa. In alcuni settori, gli esercenti italiani, possono essere aperti 365 giorni l’anno, senza alcun limite. Ciò in virtù delle norme contenute nel c.d. Decreto Salva Italia promulgato dal Governo Monti. La proposta del governo – regolamentare gli orari e i giorni di apertura – non è una novità: ci aveva provato il Movimento 5 stelle nella scorsa legislatura e anche il PD.
Dal 2012 a oggi, il sentiero di riduzione del tasso di crescita della produttività del lavoro – che si avvia almeno dagli inizi degli anni novanta – non si è mai interrotto. Ciò che semmai è accaduto è un ulteriore riduzione dei salari e un aumento delle ore lavoro. Va segnalato, a riguardo, che l’Italia, nel confronto con la media dell’eurozona, è il Paese nel quale gli occupati lavorano più ore. Cosa che evidenzia come le liberalizzazioni – e la conseguente accresciuta concorrenza fra esercizi commerciali – non si associano a innovazioni, ma a misure che incidono sui costi di produzione. La pressione concorrenziale può semmai generare eccedenze di produzione. La singola impresa è
LA LINGUA SALVATA
impoveriménto
Vocabolario on line
impoveriménto s. m. [der. di impoverire]. – Il fatto, l’effetto dell’impoverire (per lo più nel sign. intr. del verbo): i. d’una famiglia; il graduale i. del paese, di una regione; l’i. delle campagne; l’i. culturale di un popolo; l’i. del patrimonio artistico e ambientale provocato dall’abbandono e dall’incuria. Con accezioni specifiche: i. del terreno, la riduzione delle sostanze nutritizie, in seguito a colture non opportunamente avvicendate; i. di un combustibile nucleare, il ridursi del contenuto di nuclei fissili; i. del sangue
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PANORAMA INTERNAZIONALE
“Basta cazzate!”: Brigitte ha sculacciato Macron. Ormai tardi.
Maurizio Blondet 6 ottobre 2018
“E’ ora di piantarla con le cazzate. Subito”: così Brigitte, la moglie-nonna, ha sollevato di peso il piccolo Macron, dandogli una lavata di capo in piena regola. A voce altissima.
Lo ha raccontato il giornalista Fréderic Helbert, che ha raccolto voci certissime dall’Eliseo.
Ecco il tweet:
“La lezione impartita a Macron dalla sua sposa, ex professoressa e mentore Brigitte. “E’ avvenuto a porte chiuse dietro la pesante porta dell’ufficio del presidente della repubblica, ma ha picchiato così duro” che abbiamo sentito tutto, dice un funzionario della sicurezza. Secondo la fonte, si è detto: “Bisogna piantarla con le cazzate, da subito!”.
Ho tradotto con “cazzate” la parola “conneries”. Ci si chiedeva dove fosse finita la moglie-nonna mentre “Manu” si faceva fotografare alluzzato fra i martinicani a torso nudo (tra l’altro, si è saputo, “conosciuti alla polizia”), e si produceva in gaffes arroganti e male auguranti per la sua rielezione in ogni incontro la “la gente” comune, dato il collasso della sua popolarità nei sondaggi.
Eccola tornata. Fra gli applausi del web francese. “Una bella sculacciata senza mutande (fessée deculottée) dalla Prima Signora dopo le ultime cazzate del suo bambino di marito”, gongola Mr. Le Maquis.
“Il popolo francese fa appello a Brigitte Macron perché corregga in maniera ferma ed efficace il suo ragazzino , perché persiste ad essere insolente nonostante il “bisogna fermare le cazzate”, interviene un altro twitterologo, Critic.Coeur. Che posta l’ultima delle conneries che il piccino proprio non riesce ad evitare. S’è recato a Colombey-les-Deux-Eglises, a meditare sulla tomba di De Gaulle, “per cercare di assumere la statura del generale”, titola Le Monde senza ridere; ma lì, tra la folla che lo circondava, è stato avvicinato da una pensionata che gli ha detto: prendo 700 euro al mese, presidente faccia qualcosa. E lui: “Il denaro che vi dò lo devo prendere da altrove”, e “La Francia starebbe meglio se smettesse di lamentarsi”. Ad un’altra pensionata da 500 euro, ha commentato: “Non ci si rende conto della fortuna che si ha. Si vive sempre più vecchi e in buona salute nel nostro paese”.
Un discorso pieno di tatto e comprensione. Evidentemente sta ripetendo una lezione che ha ricevuto da Attali: la vecchiaia sarebbe un bel business, peccato sia insolvente. Ovviamente queste uscite non lo rendono un tantino più simpatico alle plebi.
http://www.wikistrike.com/2018/10/france-la-pauvrete-prend-une-ampleur-alarmante.html
Ormai sul presidente si pubblicano vignette del genere:
Un commentatore, per questo genere di battute, lo chiama “La Maria Antonietta dell’Eliseo”.
Ma la sfuriata di Brigitte si adatta egualmente bene anche metafora storica di Macron- Eliogabalo: anche quello era succubo della madre, la siriana Giulia Soemia, che il ragazzino lasciò governare l’impero mentre lui si dedicava alla sua “religione” (di cui era il dio), ai suoi “mariti”, ai belletti e cosmetici e alle sue esibizioni di transessuale sempre più scandalose (oggi diremmo che fece acting-out quando promise metà dell’impero romano a un medico che potesse fornirlo di genitali femminili).
Una quantità di deputati macronisti si sono dati, ubriachi, ad un festino che per chiari motivi è stato chiamato dal Canard “la festa dello slip” , il 31 luglio all’Hotel Lassay, che è la residenza ufficiale del presidente dell’Assemblea: una festicciola organizzata dal presidente stesso Francois de Rougy, macroniano di ferro, per celebrare la fine della sessione parlamentare e l’inizio delle vacanze. Puro Eliogabalo; Maria Antonietta almeno questo non l’avrebbe fatto.
Michel Onfray, un filosofo neo-materialista, invelenito perché Macron lo ha fatto cacciare da France Culture (la radio culturale nazionale) gli ha scritto una lettera dove abbondano le espressioni “doigt au cul” fino a “fist fucking” all’indirizzo di “Votre Altesse, Votre Excellence, Votre Sérénité, Mon cher Manu, Mon Roy, Mais aussi : Mon Chéri”, una pesantissima derisione che non va senza ricordare le azzardate satire di Giovenale.
https://www.agoravox.fr/auteur/infocom-net
Entrambe le metafore storiche non sono di buon augurio, visto che Maria Antonietta finì sulla ghigliottina e la grande mamma di Eliogabalo trucidata col figlio dai pretoriani.
Il guaio è che in mancanza dei metodi spicci insegnati dalla storia, la costituzione presidenziale (confezionata su misura per De Gaulle) rende il presidente inamovibile fino a scadenza del mandato.
I suoi governi possono sciogliersi come neve al sole, i suoi ministri abbandonarlo l’uno dopo l’altro, ma Macron può mettere insieme un altro governo- e continuare a far danni, sopravvivendo alla propria autorità, e al proprio collasso politico.
Non è un mistero che i Rotschild e Attali avevano selezionato la loro creaturina perché la ritenevano capace di obbligare la Merkel ad accettare che l’euro si tramutasse in zona monetaria perfetta, con tanto di trasferimenti dal Nord al Meridione. Merkel ha sempre sfuggito la proposta, ovviamente, ma senza dirlo chiaramente. Sicchè è con una patetica disperazione che il ministro delle finanze di Manu, Bruno LeMaire, ha organizzato una dura intervista sul Suddeutsche Zeitung, in cui ricorda: “Germania e Francia hanno elaborato piani, bisogna metterli in pratica in fretta perché l’Europa non è mai stata così fragile”, e “non prendere alcuna decisione nutre il populismo”. Che “Senza un bilancio comune della zona euro, ad un certo punto non ci sarà più zona euro – non si tratta di politica interna o decisioni di breve respiro, ma cosa sarà il bene dell’Europa nei prossimi 15-20 anni” e poi recisa conclusione: “La pazienza dei cittadini è esaurita”: non tanto verso Berlino
Continua qui: https://www.maurizioblondet.it/basta-cazzate-brigitte-ha-sculacciato-macron-ormai-tardi/
Il piano di Trump: stroncare la Germania, per tagliare la testa all’Unione Europea
Il presidente Usa vuole ritirare i suoi soldati dalla Germania. Ultimo capitolo di un contrasto di rilevanza epocale. L’America ce l’ha con l’Unione Europea, e attacca il suo cuore e il suo cervello
di Fulvio Scaglione – 3 luglio 2018 RILETTURA
Ghiotta è ghiotta. E infatti il Washington Post di Jeff “Mister Amazon” Bezos, uno dei quotidiani che fanno da buca delle lettere al deep State che non ama Donald Trump, l’ha puntualmente anticipata: il Pentagono studia l’ipotesi di ritirare dalla Germania i 35 mila soldati americani che vi sono dislocati, presenza che data dalla fine della seconda guerra mondiale. I soliti portavoce hanno smentito, ma senza affannarsi: sono studi che si fanno con regolarità per verificare il rapporto costi-benefici degli investimenti della Difesa, eccetera eccetera. Quindi l’ipotesi è stata presa in esame.
È chiaro che anche solo parlarne è un fatto clamoroso. Soprattutto se si pensa che Trump ha accumulato un intero catalogo di attacchi alla Germania di Angela Merkel, dalle critiche sulle politiche migratorie (comprensive di pubblici apprezzamenti nei confronti di Horst Seehofer, il rivale della cancelliera) alle ironie sul tasso di criminalità, dalle pressioni perché venga mandato a monte il progetto del gasdotto South Stream 2 in arrivo dalla Russia (a favore, chiaro, del gas americano) ai dazi sulle esportazioni tedesche di acciaio e alluminio. È vero, la Merkel se l’era cercata, proponendosi come l’ultima garante dell’ordine liberale dopo l’uscita di scena di Obama e andando negli Usa a fare a Trump la predica sul Muro al confine con Messico, lei che aveva convinto l’Europa a sganciare sei miliardi di euro a Erdogan perché il Muro lo facesse la Turchia. Ma le caramelle che Trump ha messo sul tavolo dell’ultimo G7, dicendo alla cancelliera “Poi non dire che non ti do mai
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WikiLeaks: il conservatore Papa Benedetto XVI fu costretto a dimettersi da Obama, Soros e Clinton?
Maurizio Blondet 27 settembre 2018
George Soros, Barack Obama e Hillary Clinton hanno orchestrato un colpo di stato in Vaticano per rovesciare il papa conservatore nel febbraio 2013, secondo le e-mail di WikiLeaks.
Papa Benedetto fu il primo papa a dimettersi da quando papa Gregorio XII nel 1415, e il primo a farlo di propria iniziativa da papa Celestino V nel 1294.
Gloria.tv riporta: Tuttavia, il gruppo di leader cattolici cita nuove prove scoperte nelle e-mail rilasciate da WikiLeaks per affermare che il papa conservatore non si dimise di sua iniziativa, ma fu cacciato dal Vaticano da un colpo di stato che il gruppo di ricercatori chiama la “primavera cattolica”.
Soros, Obama e Clinton hanno usato il macchinario diplomatico degli Stati Uniti, i muscoli politici e il potere finanziario per costringere, corrompere e ricattare “il cambio di regime” nella Chiesa cattolica romana per sostituire il conservatore Benedetto con l’attuale Papa Francesco – che da allora è diventato un portavoce improbabile per la sinistra internazionale, lasciando stupefatto i cattolici in tutto il mondo.
Ora il gruppo di leader cattolici ha inviato una lettera al presidente Trump che lo esorta a lanciare un’indagine ufficiale sulle attività di George Soros, Barack Obama, Hillary Clinton (e altri) che sostiene fossero coinvolti nell’orchestrare la primavera cattolica che ha portato al loro obiettivo di “cambio di regime” in Vaticano.
I leader cattolici citano otto domande specifiche a cui hanno cercato di rispondere riguardo a fatti sospetti che hanno portato alle dimissioni di Papa Benedetto, la prima abdicazione papale in 700 anni.
“In particolare, abbiamo motivo di credere che un “cambio di regime” del Vaticano sia stato progettato dall’amministrazione Obama,” dicono i firmatari, nella loro lettera del 20 gennaio al presidente Trump.
“Siamo stati allarmati nello scoprire”, si legge nella loro lettera, “che, durante il terzo anno del primo mandato dell’amministrazione Obama, il tuo precedente avversario, il Segretario di Stato Hillary Clinton, e altri funzionari governativi con i quali ha associato proposto una rivoluzione cattolica” in cui si sarebbe realizzata la definitiva fine di ciò che restava della Chiesa cattolica in
Cina alla conquista dell’Africa
11.09.18 – Alessia Amighini
All’indomani del 7° Forum sulla cooperazione sino-africana, la Cina estende il suo peso in Africa, attraverso finanziamenti destinati a infrastrutture e attività estrattive. Il rapporto diventa così ancora più sbilanciato, a favore del gigante asiatico.
I risultati del Forum di cooperazione
La cronaca dal 7° Forum sulla cooperazione sino-africana (Focac), svoltosi a Pechino il 3 e 4 settembre, ha sottolineato i profondi legami tra la Cina e l’Africa (53 su 54 paesi) e il ruolo propulsore che la Cina ha assunto nello sviluppo africano. Dal 2000 il Forum formalizza le relazioni tra Pechino e il continente africano e di fatto istituzionalizza la presenza crescente di imprese, capitali, lavoratori e merci cinesi in Africa; quest’anno il presidente Xi ha promesso altri 60 miliardi di dollari di prestiti in varie forme, che si aggiungono ai 136 miliardi già elargiti negli ultimi 17 anni a un alto numero di governi e imprese di stato. La Cina è la fabbrica manifatturiera del mondo ma non dispone di sufficienti materie prime per sostenere il suo sviluppo industriale. E così Pechino da qualche anno usa il suo supporto politico ed economico all’Africa sub-sahariana, ricca di materie e povera di capitali, per assicurarsi gli approvvigionamenti di molte materie prime, tra cui il petrolio. Secondo i dati del Sais (School of Advanced International Studies, divisione della John Hopkins University), il primo paese ricevente è l’Angola, con quasi un terzo (42,2 miliardi), seguito dall’Etiopia con 13,7 miliardi e dal Kenya con 9,8.
La Cina estende così il suo peso nei finanziamenti all’Africa (il primo donatore/creditore sono ancora gli Stati Uniti), destinati soprattutto a infrastrutture e attività estrattive. La maggior parte dei fondi, infatti, è sotto forma di crediti commerciali, crediti all’esportazione, crediti di fornitura (il primato dell’Angola, per esempio, dipende da 19 miliardi di prestiti commerciali, non prestiti agevolati).
La cooperazione cinese in Africa contribuisce in parte all’assistenza umanitaria e allo sviluppo tramite progetti di responsabilità sociale d’impresa, istruzione, formazione, sanità, sicurezza, ma resta sempre strettamente legata agli obiettivi economici e commerciali di Pechino. Da qui il vasto numero dei paesi beneficiari, pochi dei quali però ottengono gran parte delle risorse (a loro volta concentrate su pochi settori produttivi).
Resta lo squilibrio
La cooperazione economica e commerciale è volta a facilitare soprattutto
Continua qui: http://www.lavoce.info/archives/54920/cina-alla-conquista-dellafrica/
POLITICA
La macchina sanzionatoria di Washington
27 settembre 2018 – PHILIP M. GIRALDI
strategic-culture.org
Probabilmente è il background culturale di tipo affaristico che induce Trump a credere che, se si fa soffrire economicamente qualcuno fino al punto giusto, alla fine si arrenderà e farà tutto quello che si vuole. Anche se un approccio di questo tipo potrebbe funzionare nel settore immobiliare di New York, non è certo la via del successo nei rapporti internazionali, dal momento che le nazioni non risentono delle pressioni economiche allo stesso modo degli investitori o dei costruttori.
L’ultima scorreria di Washington nel mondo delle sanzioni nei confronti della Cina è stupefacente, considerando anche i precedenti, veramente infimi, dei passati presidenti americani, partendo da Bill Clinton. Pechino sta già confrontandosi con le sanzioni americane imposte la settimana scorsa nei confronti dell’ente governativo Equipment Development Department of the Chinese Central Military Commission [Dipartimento Equipaggiamento e Sviluppo della Commissione Militare Centrale Cinese] e del suo direttore, Li Shangfu, per “essersi impegnati in transazioni significative” con un produttore di armi russo che è nell’elenco delle aziende sanzionate dagli Stati Uniti. Le transazioni comprendevano l’acquisto di aerei da combattimento russi Su-35 e materiale relativo al moderno sistema missilistico terra-aria S-400. Le sanzioni includono il divieto di ingresso negli Stati Uniti per il direttore cinese, la confisca di tutte le sue proprietà o conti bancari negli USA, così come il congelamento delle risorse locali del Dipartimento Equipaggiamento e Sviluppo.
Cosa più importante, queste sanzioni proibiscono qualsiasi transazione commerciale che utilizzi il sistema finanziario degli Stati Uniti. E’ l’arma più potente che Washington ha a sua disposizione, ma sta venendo contestata, perché numerose nazioni stanno studiando il modo di aggirarla. In ogni caso, dal momento che, attualmente, quasi tutte le transazioni internazionali avvengono in dollari e passano attraverso il sistema bancario americano, ciò significa che per il governo cinese sarà impossibile acquistare armi da molti produttori stranieri. Se delle banche estere dovessero aiutare la Cina ad eludere le restrizioni, verrebbero sanzionate anch’esse .
Riassumendo, Pechino ha acquistato armi da Mosca e per questo motivo è stata sanzionata dagli Stati Uniti, perché Washington disapprova il governo russo. Le sanzioni imposte alla Cina vengono definite “sanzioni secondarie” perché dipendono dalle “sanzioni primarie”, comminate all’azienda o alla persona straniera che si vuole, in realtà, colpire. Le sanzioni secondarie possone essere estese all’infinito, perché chiunque sia collegato alla transazione iniziale, entra a far parte del numero dei trasgressori potenzialmente perseguibili.
Non sorprende che l’ambasciatore americano sia stato convocato e che Pechino abbia cancellato diversi incontri bilaterali con i rappresentanti del Dipartimento della Difesa Americano. Il governo cinese ha espresso “indignazione” e ha chiesto che gli Stati Uniti revochino il provvedimento.
Secondo quanto riportato dai media, il Dipartimento Cinese aveva acquistato gli armamenti dalla Rosoboronexport, il principale esportatore russo di armi. Questo in violazione di una legge approvata dal Congresso nel 2017 chiamata, come al solito, Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act [Contrastare gli Avversari dell’America con Metodi Sanzionatori], volta a punire il governo russo e le sue diverse agenzie per l’interferenza nelle elezioni americane del 2016, per il suo presunto coinvolgimento in Ucraina, in Siria e per la sua abilità nella guerra informatica. Con questa normativa erano state colpite anche Iran e Corea del Nord.
Illustrando le nuove sanzioni, la portavoce del Dipartimento di Stato USA, Heather Nauert, ha rilasciato una dichiarazione, spiegando che le sanzioni iniziali nei confronti della Russia erano state adottate per “imporre dei costi aggiuntivi al governo russo, in risposta alle sue attività maligne”. Aveva aggiunto che gli Stati Uniti “faranno pressioni su tutte le nazioni affinché limitino le relazioni con i settori della difesa e dell’intelligence russa, entrambi implicati a livello mondiale in attività maligne”.
Essere implicati in “attività maligne” è un‘accusa che potrebbe tranquillamente essere rivolta a Washington e ai suoi alleati in Medio Oriente; non è chiaro se c’è qualcun altro, oltre ai barboncini francesi ed inglesi, che
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SCIENZE TECNOLOGIE
Numeri e prospettive dei moderatori di contenuti online
Youtube ha dichiarato di volerne assumere 11 mila entro fine anno. Facebook oltre 20 mila. Eppure resta il mistero su alcuni dettagli della loro professione. Che sarà sempre più richiesta.
JACOPO FRANCHI – 30 settembre 2018
L’unico dato certo è che non sappiamo quanti sono. Fino a pochi anni fa qualche centinaio, oggi diverse migliaia, un domani probabilmente decine o centinaia di migliaia di lavoratori ad altissimo tasso di turnover. Non hanno un nome, né un volto, e prendono ogni giorno decisioni che possono influire sul destino di milioni di persone, agendo nel più assoluto anonimato. Sono i moderatori di contenuti online, e sono la prova vivente che la “disintermediazione” delle grandi piattaforme come Facebook e Youtube è stata niente più che un’effimera chimera. O, per meglio dire, una rivoluzione di cui abbiamo per lungo tempo visto solo gli aspetti positivi, ignorando che c’era qualcuno a lavorare dall’altra parte dello schermo per proteggerci dai contenuti indesiderati e disturbanti.
I NUMERI: SECONDO THE MODERATORS, SONO OLTRE 150 MILA
I numeri non sono mai stati resi noti, ma secondo il documentario The Moderators i moderatori attivi nel mondo nel 2017 sarebbero oltre 150 mila. Di questi una buona parte è costituita da quelli attivi su Facebook (che ha dichiarato recentemente di volerne impiegare fino a 20 mila entro la fine del 2018) e Youtube (che dovrebbe invece fermarsi a “soli” 11 mila, sebbene sulla piattaforma vengano caricati ogni minuto oltre 400 ore di nuovi video). Tardivo è stato l’interesse dei media e perfino delle testate specializzate in nuove tecnologie.
La maggior parte dei moderatori è localizzata nelle aree più povere del mondo
La prima, vera inchiesta giornalistica che ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica le difficili condizioni quotidiane di lavoro dei moderatori risale a poco meno di quattro anni fa (Adrian Chen, «I lavoratori che eliminano le foto di peni e decapitazioni dal tuo newsfeed di Facebook», Wired, 23 ottobre 2014). Difficoltà che sono state confermate da una ex moderatrice, Selena Scola, che proprio in questi giorni ha denunciato Facebook davanti a una corte di giustizia della California, per non averle fornito adeguata «assistenza psicologica» di fronte alle numerosissime immagini di violenza a cui avrebbe dovuto assistere ogni giorno durante lo svolgimento del suo
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